SCIPERO! ANCORA?
k ronstadt
periodico bimensile Numero 0/1 Lunedì 3 Novembre 2003
Kronstadt Immagino un periodico che serva: articoli informativi con dati tecnici ad uso del lettore, in ogni settore del giornale. Luoghi date recapiti per gli eventi, suggerimenti per approfondimenti, dichiarazione delle fonti affinché siano riutilizzabili e verificabili da parte di chi legge. Immagino un periodico serio ma non serioso: ampia e rigorosa documentazione nell’esporre reportage e opinioni. Immagino un periodico fatto per giovani (lavoratori, studenti, disoccupati), ma non giovanilistico: quindi articoli anche per adulti e chiunque voglia scardinare un po’ di vecchie idee e sapere qualcosa in più su ciò che gli sta intorno. Immagino un periodico sociale: cosa vuol dire? D’interesse comune, ma non necessariamente di tutti, che indaghi nei tratti della società e anche nelle sue pieghe. Questo Progetto è diretto alla creazione di una rivista che si propone una precisa prospettiva di crescita all’interno del tessuto culturale cittadino. Nelle città è presente un sostanziale deficit di comunicazione e tra le varie istanza cultural-associative (PaviaInSerieA, il Barattolo, associazioni di volontariato e culturali), le istituzioni (Università, Amministrazione Comunale, Associazione di Categoria) e la cittadinanza (“ottentotti e parigini”). Le associazioni sembrano incapaci di elaborare un codice comunicativo comune e le iniziative di crescita culturale, non risultano adeguatamente integrate. Le istituzioni si affannano anch’esse a cercare forme di collaborazione che non riescono a realizzarsi pienamente e iniziative condivise rivolte al pubblico giovanile. Da un lato l’Università sembra volersi rinchiudere nella turris eburnea dell’accademia, dall’altro il comune non riesce a coordinare una politica integrata per i giovani, universitari e non.
Infine il territorio cittadino risulta condiviso tra due popolazioni, gli studenti e gli indigeni, con sistemi simbolici, luoghi di ritrovo, linguaggi, quasi del tutto non sovrapponibili e su piani normali l’uno all’altro. La retta, in realtà un’insieme di punti di dimensione uno, non connessi (affitti, alcool, attività riproduttive generalmente non finalizzate o destinate alla crescita demografica) e nella quale non è possibile riconoscere alcuna legge o progettualità. L’ambito culturale risulta quindi uno spazio privilegiato per combattere una battaglia che da un lato può solo migliorare la nostra qualità di vita (non fosse altro che per il divertimento) dall’altro puo migliorare il posto in cui viviamo. La chiave di lettura prescelta è quella della verità. Raccontare, descrivere, scoprire quella che, molto banalmente, accade nel mondo, piccolo, che ci circonda. Almeno per come lo vediamo noi, per i meccanismi che riusciamo a vedere e interpretare noi, per il coraggio che ci sentiamo noi.
Report Cari Amici, sono Paolo Barnard, coautore della puntata di Report “L’Altro Terrorismo” del 23/09/03. Avrei veramente voluto rispondere a tutti individualmente, e ci ho povato, ma la mole incredibile di email ricevute mi obbligano a desistere. Perdonatemi dunque se vi rispondo in gruppo. Cercherò di dare indicazioni per ciascuno dei temi che più frequentemente mi avete posto. Innanzi tutto grazie per i complimenti, che ci hanno persino commosso. Essi sono graditissimi perchè contrariamente a quanto si crede, noi lavoriamo nel silenzio e quasi mai abbiamo riscontri di quello che facciamo. Grazie ancora. Perchè ci fanno ancora parlare nell’Italia di oggi? Perchè siamo stati in grado di proporre sempre fatti documentati e non opinioni, e dunque non diamo appigli a nessuno per poterci stroncare. Poi credo che la RAI abbia bisogno di mantenere una facciata di libertà di qualche tipo, ed ecco che Report si presta bene a ciò. Terzo, è vero che viviamo sempre con i bagagli fatti.. perchè mai sappiamo
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1943: dolorem ecte molenibh ectem dionsed tet, si. Lor si. Lore commy nullandre vel il eu faccu Зкономия: dolorem ecte molenibh ectem dionsed tet, si. Lor si.... Statti alterati di coscienza:dolorem ecte molenibh ectem dionsed tet, si. Lor si. Lore commy Bivacco: nullandre vel il eu faccum dipit autpat. Lor sit, consent luptate dui blan henisl in
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La stonsa:hendrem Il commercialista di Sondrio: Lor incing eum doleniatin ulputpatem iriurem ipsum vendigna augu Storie: Lor incing eum doleniatin ulputpatem iriurem ipsum vendigna augue magna corem venibh er in ut acilla feuism Capitali: Lor incing eum doleniatin ulputpatem iriurem ipsum vendigna augue magna corem venibh er in ut acilla feuismo
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Lavori in Corso: Lor incing eum doleniatin ulputpatem iriurem ipsum ven-
se ci sarà una prossima serie. Noi non siamo coraggiosi, cari amici, la realtà è che non abbiamo nulla da perdere. Siamo il sottoscale della RAI, mal pagati, nessuno assunto, senza uno straccio di possibilità di far carriera e allora che almeno ci sia lasciata la possibilità di essere liberi. Non vi immaginate con quali mezzi di fortuna dobbiamo lavorare, varrebbe al pena scriverci un libro. Forse se un coraggio c’è stato fu iniziale, quando col nostro modo di intendere l’informazione ci precludemmo ogni chance di far carriera (“..lei è bravo Barnard, ma non sa fare corridoio..” mi disse anni fa un direttore di rete). Però la gente di Report ha passione per quella che ritiene sia la decenza umana, questo sì. Per quelli che ci hanno scritto che siamo dei “venduti comunisti prezzolati ecc..” sottolineo che se lo fossimo non saremmo ridotti con le pezze al sedere. In merito alla mia inchiesta. I documenti riservati sono oggi depositati presso il National Security Archive di Washington, all’interno della George Washington University e credo li abbiano anche messi sul loro sito. Altri documenti si trovano presso il Public Record Office di Londra, altri ancora li ho avuti da fonti riservate, sorry. Il testo integrale della puntata si trova sul sito www.report.rai.it, e per ottenre una cassetta andate sul sito e cliccate su Info a sinistra. Costa parecchio e sappiate che sono soldi che NON vengono a noi, a scanso di equivoci. Per tutti quelli che hanno sollevato dubbi sull’inchiesta. Pochissimo hanno scritto insulti e quelli possono solo vergognarsi. Per gli altri: il motivo per cui non abbiamo incluso nella puntata il terrorismo di Cina, Urss, Birmania, Cuba ecc.. è semplice: primo, esso è arcinoto, da mezzo secolo tutto l’occidente ne ha straparlato con dovizia di particolari (l’Impero del Male..) e noi di Report avevamo poco da aggiungere. Siamo totalmente d’accordo, quegli stati furono e sono terroristi. Ciò che invece fu detto troppo poco è che noi fummo e siamo come o peggio di loro. Questo andava e andrà detto. Secondo, Cina, Urss, Birmania, Cuba ecc.. non si sono mai eretti a gendarmi
globali vestiti del manto immacolato dei giusti, e non hanno mai dichiarato una Guerra al Terrore a nome di tutta la civiltà, in altre parole sono stati meno ipocriti di quanto non lo siamo noi oggi. Terzo, crediamo che il dovere principale dei giornalisti occidentali sia quello di controllare le fonti del proprio potere politico, innanzi tutto. Quarto, le vittime dei gulag, delle carceri di Castro o dei terroristi islamici hanno goduto almeno di vari gradi di riconoscimento. I bambini di Rufina Amaya o le donne curde torturate a morte non sono neppure memoria, non contano. A New York una placca recita “Agli eroi dell’11 di settembre”. Dove sono le lapidi agli “eroi” del Salvador, Cile, Paraguay, Colombia, Laos, Sudafrica, Bangladesh, Indonesia? E non sono 3.000, sono decine di milioni. Report è a favore della guerra al terrorismo, nessuno di noi vuole trovarsi incenerito da un aereo che ti entra in ufficio. Ma nessuno di noi vuole dormire sul sangue di milioni di poveracci che pagano per il nostro confort. Report è dunque a favore di una lotta contro TUTTI i terrorismi e contro TUTTI i terroristi, questo era il senso della puntata. In generale. Noi non molleremo, ma è importante che non molliate voi. I potenti temono una cosa sola, e non è il giornalismo. Essi temono l’opinione pubblica, ne hanno il terrore. E allora fatevi sentire, basta poco. Una telefonata ai media, una lettera ai politici, oppure divulgare, anche a voce, nelle scuole, negli ipermercati, ai giardini con chi si incontra, sui treni, ovunque. Siete voi che contate. Se Report avesse l’audience di Striscia la Notizia sarebbe in prima serata tutto l’anno. E chi ha in mano il telecomando? A chi ci ha scritto “Report è la nostra voce” io rispondo “E allora alzate la voce, e Report si alzerà con lei”. Spero solo che “L’Altro Terrorismo” sia servito ad aggiungere quel granello di speranza per un mondo migliore. Che sia servito a ricordare per una volta gli sconfitti e i perdenti, gli eroi dimenticati che nessuno celebra. Paolo Barnard P.S: non sono mai stato comunista.
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MAI MORTI La Gaia Scienza
З К О Н О М И Я
Il bivacco - È fondamentale la mimetizzazione contro l’avvistamento da terra e dall’aria. Il luogo del bivacco deve essere al riparo dal vento. Possibilmente deve restare asciutto dopo le intemperie, o per lo meno deve asciugarsi rapidamente. I terreni erbosi sono sempre umidi e favoriscono il formarsi di brina e di nebbia. Come luoghi di bivacco essi si adattano quindi solo forzatamente. A causa della loro impermeabilità i terreni fangosi non sono molto adatti. Il terreno coperto di muschio è abbastanza asciutto solo se lo strato di muschio è sottile. Il bosco fitto, con grande sottobosco, è soffocante, umido e pieno di insetti. I terreni sabbiosi sono caldi e asciutti e si adattano quindi meglio degli altri. Una leggera pendenza è meglio di un terreno completamente in piano (scolo acqua). - Il materiale da bivacco primario è il telone da tenda personale. Oltre a ciò anche le improvvisazioni rendono buoni servizi. - Il comandante di squadra stabilisce i luoghi dove montare le tende e dà le indicazioni relative alla mimetizzazione. Con un bivacco disposto irregolarmente si ottiene effetto di mimetizzazione. Dove non sia possibile bivaccare nei boschi, le tende vanno adattate al paesaggio; spaziarle, sparpagliarle). Anche i teloni mimetici da campeggio che sfuggono alla vista, nelle fotografie aeree figurano come una superficie chiara. Quindi bisogna sempre rivoltare la parte scura del telone verso l’esterno. Angoli e superfici vanno coperti con rami e arbusti. - Il comandante di squadra stabilisce quando e dove si possono attizzare fuochi per cucinare (riverbero, fumo). Accanto ai fuochi va sempre tenuta pronta sabbia o terra per poterli spegnere rapidamente. L’acqua non è adatta (sviluppa vapore rivelatore). - Il luogo del bivacco viene ripulito alla meglio dai sassi e dai grossi rami, e il materiale di mimetizzazione messo a punto. Subito dopo si montano le tende che vengono immediatamente mascherate. - Soltanto una disposizione eccezionalmente precisa permette una rapida partenza e permette di lasciare il luogo senza perdite materiali. anche in condizioni sfavorevoli (buio, pioggia, neve). - Per ogni squadra si organizza una latrina. Questa va messa in un posto all’ombra, dove è più facile che le mosche non vadano. La latrina è formata da una buca profonda 60 centimetri e larga 30 centimetri, su cui si accovacciano coloro che ne fanno uso. La terra si ammucchia come una sponda su uno dei lati. Ci si tiene una vanga, per poter ricoprire immediatamente gli escrementi. - Si scava una buca per i rifiuti per ogni squadra. - Le latrine e le buche per i rifiuti sono parte integrante dell’igiene del campo, e servono a tener lontane le malattie. - Come acqua potabile si usa, in primo luogo. l’acqua di condutture rialzate, o l’acqua corrente delle sorgenti. L’acqua di fiume e di lago va usata soltanto in casi di emergenza e va sempre bollita prima di berla. Nei torrenti bisogna controllare il corso superiore per scoprire possibili fonti di impurità, quali abitazioni, stalle, pozzi neri, ecc. L’acqua di pozzo è sospetta e deve essere bollita. In caso di emergenza l’acqua può essere filtrata.
Ogniqualvolta in televisione, alla radio o sui quotidiani non specializzati mi capiti di sentir parlare del mondo del lavoro, e cioè di flessibilità, pensioni, licenziamenti e articolo 18, costo del lavoro, posto fisso ecc…., sorgono in me, che svolgo la professione di consulente del lavoro, due riflessioni. La prima, indubbiamente la più amara, è la seguente: se sull’unica materia, che ho modo di approfondire da “addetto ai lavori”, sento pronunciare o scrivere tante inesattezze, tanti qualunquismi o, ancora peggio, tante falsità, come posso io, da non addetto ai lavori, dare credito e fiducia a chi scrive e parla di finanza, agricoltura, clima, inquinamento, economia, medicina, politica internazionale, cultura oppure di vino e ristoranti? La seconda, meno cruciale ma più concreta, è la seguente: è mai possibile che tanti lavoratori (e tanti datori di lavoro) non conoscano, se non in minima parte, la situazione attuale del mondo del lavoro, la sua evoluzione , nonché le fondamentali
Cosa fare in caso di Golpe Curiosità , e quisquilie della gente di scienza La conoscenza delle regole del gioco
Massimo
In seguito al successo del film “A beautiful mind”, ormai tutti conoscono la drammatica storia della follia di John Nash, il matematico, impersonato, nel film, da Russel Crow, cui fu assegnato il premio Nobel per l’economia per il suo contributo alla teoria dei giochi. In questa breve nota è contenuto un esempio di una situazione che molti avranno vissuto, e che corrisponde ad un “equilibrio di Nash”. In questo gioco ci sono due giocatori. Poiché la vita è per lo più conflittuale, immagineremo che si tratti di due innamorati dai nomi improbabili: Galatea (G.) e Aci (A.). G. preferisce andare in vacanza al mare (MA) . A. preferisce andare in montagna (MO). Il “gioco” consiste nello scegliere la strategia migliore per andare in vacanza la prossima estate. Tanto per quantificare diciamo che G. guadagna 2 punti se va al mare da Sola, perché comunque ama troppo il mare, mentre guadagna 10 punti se va al mare con A. Questa sarebbe la sua scelta preferita. Invece, se, G. va in montagna soffre il freddo, e guadagna 0 punti, ma, se e’ in compagnia di A. guadagna 4 punti (è veramente innamorata di A.). Lo stesso vale per A., ovviamente scambiando mare e montagna. Il tutto si può riassumere nella seguente tabella, in cui sono elencate tutte le possibili scelte della coppia. Per ogni coppia di scelte (cioè in ogni casella) il primo numero indica il guadagno di Galatea, e il secondo il guadagno di Aci. Si vede che ci sono quattro strategie possibili: o entrambi scelgono di andare al mare, o A entrambi in montagna, o ciascuno sceglie un posto diverso MA MO (due Possibilità di questo tipo, di cui una autolesionistica per entrambi). MA 10.4 2.2 Ora si passa alla contrattazione. G può ragionare così: se A. sceglie MA, anch’io scelgo MO 0.0 4.1 Galatea MA, perché guadagno 10 punti, anziché 0. Se invece A. sceglie MO, anche a me conviene scegliere MO, perché guadagno 4 punti anziché 2. Anche Aci può fare un ragionamento simile (provare). La conclusione è che, per ciascun giocatore, non c’e’ modo di scegliere una strategia SEMPRE vincente. La strategia vincente dipende di volta in volta dalla scelta che fa anche l’altro giocatore. Esistono due strategie che, di volta in volta, sono ottimali per la coppia, anche se, in ciascuna, un giocatore guadagna più dell’altro: sono le strategie (MA,MA), e (MO,MO), cioè quelle in cui entrambi i giocatori vanno nello stesso posto. Questi due punti sono gli “equilibri di Nash” per questo gioco. Se il gioco si fa una volta sola e’ ovvio che uno dei due giocatori vince più punti dell’altro. Se, invece, il gioco si ripete ogni estate, esiste una strategia ottimale per entrambi: è una strategia mista che consiste nello scegliere metà delle volte (MO,MO), e l’altra metà (MA,MA). In questo modo, in media, ciascun giocatore può guadagnare un punteggio pari a 7 punti.
Carlo Andrea Rozzi
regole del gioco cui ogni giorno sono costretti a partecipare e che tanto spazio nella loro vita occupa? Se l’unica risposta possibile alla prima delle due domande è il borrelliano “resistere resistere resistere”, per quanto riguarda la seconda accarezzo l’illusione di poter contribuire, attraverso queste pagine, alla diffusione di un po’ di conoscenza delle regole, dei diritti e, perché no, dei doveri propri di ognuno di noi quando si cala nel difficile e pervasivo ruolo di lavoratore (o di aspirante tale). Traendo spunto dalle novità recentemente introdotte dal legislatore con la c.d. legge biagi, nei prossimi numeri cercherò, pertanto, di proporre un’analisi a puntate della situazione attuale delle regole del mercato del lavoro e delle nuove forme flessibili di contratto di lavoro, con particolare riguardo per chi nel mercato deve ancora entrarci. Tutto ciò nella speranza di aiutare i “non addetti ai lavori” a meglio comprendere cosa li aspetta quando diventano lavoratori.
Luca Contardi
Kronstadt: 3-18 marzo 1921 Il 1921 fu un anno cruciale per il governo comunista (fine della guerra con la Polonia). Attenuatasi la tensione della guerra civile, incalzavano ora i problemi della ricostruzione delle strutture economiche e sociali necessarie a sopravvivere e, non certo a «edificare il socialismo», per di più in un solo paese, come farà lo stalinismo. Con la grave e profonda crisi del ‘21 (economica e sociale) foriera di gravi precipitazioni politiche (scioperi di Mosca e di Pietrogrado), il partito bolscevico doveva fare i conti. Non aveva altra scelta. Nell’ambito di questo indirizzo le posizioni dei vari esponenti bolscevichi si differenziarono. L’isola di Kotlin, situata a 33 kilometri ad ovest di Pietrogrado, quasi esattamente a mezza strada tra la riva settentrionale e quella meridionale del Golfo di Finlandia, si presenta in forma di un triangolo lungo circa 13 chilometri e largo al massimo più di un chilometro e mezzo. La fortezza di Kronstadt fu la principale base navale russa nel Baltico e fu fatta costruire all’inizio del XVIII secolo da Pietro il Grande. Successivamente i russi avevano esteso le difese di Kronstadt all’intera insenatura. Così tutte le acque della parte orientale del Golfo di Finlandia venivano a trovarsi entro i settori di tiro incrociato dei pezzi d’artiglieria. Kronstadt era considerata inespugnabile.
quanto allora modesta, di importanti vie di comunicazione terrestre che, partendo da Pietrogrado, raggiungono ogni angolo della Russia, da Vilna a Odessa a Vladivostock, per tacere di Mosca, distante circa 700 Km. Nel marzo 1921 perdere Kronstadt significava perdere, non Pietrogrado, ma la Russia intera: non era più il novembre 1919, quando furono le truppe inglesi a fallire la presa di Pietrogrado; allora era stata la reazione spontanea del proletariato e delle masse russe di fronte al pericolo a consentire la vittoria; nel 1921 ormai, al posto della disponibilità a tendere ancora le forze in uno sforzo supremo, erano sopraggiunte la stanchezza e la demoralizzazione. Per capire la rapida reazione dei bolscevichi devono essere presi in considerazioni alcuni elementi. Il Golfo di Finlandia è gelato fino a fine marzo inizio aprile. I collegamenti fra l’isola di Kotlin e la terraferma avvenivano su slitte o cavalli che transitavano sulla spessa crosta di ghiaccio ricoperta di neve. Le navi venivano serrate nella morsa del ghiaccio e rimanevano immobili fino al disgelo. Così si trovavano la Petropavlosk e la Sevastopol, affiancate, in modo da ostacolarsi l’una con l’altra nel tiro. Finché fosse rimasto il ghiaccio, la zona sarebbe stata un’unità gigantesca da guerra senza capacità di manovra. Ma
Mappa di Kroinstadt (Isola di Kotlin) e San Pietroburgo (sulla destra) Uno sguardo all’atlante mette in evidenza come la via da Pietrogrado alla Russia interna non solo non sia impedita da alcun ostacolo naturale, ma anzi sia facilitata in ogni direzione da una rete, per
il disgelo avrebbe modificato profondamente la situazione. Kronstadt sarebbe divenuta irraggiungibile. Qualsiasi attacco per mare sarebbe stato allora senza sforzo respinto, e bombardarla
dalla costa sarebbe servito a ben poco, giacché nessuna delle batterie istallatevi era in grado di raggiungere efficacemente Kronstadt, mentre questa poteva riversare sulla costa un volume di fuoco di gran lunga superiore. Il 2 marzo 1921 gli equipaggi della Petropavlosk e della Sevastopol, a bordo della prima nave, in una assemblea, votarono una risoluzione che divenne poi la «carta della rivolta». Crediamo utile riportarla nella suo totalità: RISOLUZIONE DELL’ASSEMBLEA GENERALE 1a E 2a SQUADRA MARITTIMA «Dopo aver ascoltato il rapporto dei rappresentanti degli equipaggi inviati a Pietrogrado dalla assemblea generale dei marinai della flotta per esaminare la situazione, è stato deciso quanto segue: 1) di procedere immediatamente alla rielezione a scrutinio segreto dei soviet, dato che i soviet attuali non esprimono la volontà degli operai e dei contadini. A questo scopo dovrà svolgersi prima una libera propaganda elettorale affinché le masse operaie e contadine possano essere onestamente informate. 2) di esigere la libertà di parola e di stampa per gli operai e per i contadini, per gli anarchici e per i socialisti di sinistra. 3) di esigere libertà di riunione per i sindacati operai e per le organizzazioni contadine. 4) di convocare entro il 10 marzo 1921 un’assemblea generale degli operai, dei soldati rossi e dei marinai di Kronstadt e di Pietroburgo. 5) di rilasciare tutti i prigionieri politici socialisti e tutti gli operai e i contadini, i soldati rossi e i marinai, arrestati in occasione di diverse agitazioni popolari. 6) di eleggere una commissione incaricata di esaminare i casi di tutti i detenuti trattenuti nelle prigioni e nei campi di concentramento. 7) di abolire tutte le «sezioni politiche» perché d’ora in poi nessun partito deve avere dei privilegi per la propaganda delle sue idee, né ricevere la minima sovvenzione dallo stato per tale scopo. Al loro posto, noi proponiamo che siano elette in ogni città delle commissioni di Cultura e di Educazione finanziate dallo Stato. 8) di abolire immediatamente tutti gli sbarramenti militari. 9) di uniformare le razioni alimentari per tutti i lavoratori, salvo per coloro che esercitano mestieri particolarmente insalubri e pericolosi. 10) di abolire tutti i reparti speciali comunisti nell’unità dell’esercito, e la guardia comunista nelle fabbriche e nelle miniere. In caso di necessità questi
corpi di difesa potranno essere designati dalle compagnie nell’esercito e dagli operai stessi nelle fabbriche. 11) di dare ai contadini la piena libertà di azione per ciò che concerne le loro terre, e il diritto di allevare il bestiame, a condizione che compiamo da soli il loro lavoro, senza l’impiego di lavoratori salariati. 12) di chiedere a tutte le unità dell’esercito e ai compagni delle scuole di cadetti di solidarizzare con noi. 13) di esigere che questa risoluzione sia largamente diffusa dalla stampa. 14) di designare una commissione mobile incaricata di controllare questa diffusione. 15) di autorizzare la produzione artigianale libera purché non impegni il lavoro salariato». («Izvestia» N° 1, giovedì 3 marzo 1921) L’arma della critica passa alla critica per le armi. 15.000 uomini di Kronstadt fra marinai, soldati e civili, dietro 135 cannoni e 68 mitragliatrici, compresi quelli delle navi. Dall’altra parte, cannoni di minor calibro e gittata, una vasta distesa di ghiaccio senza alcuna protezione dal fuoco di Kronstadt, la 7a armata di Tukacevsky, i Kursanti e unità comuniste fidate provenienti da altre zone. La mattina del 7 marzo Tukacevsky scatenò l’offensiva. Il giorno dopo riprese il duello d’artiglieria, con scarsi risultati. Intanto si apriva il X Congresso del partito. Mentre le operazioni militari subivano una pausa, Trotzky riferiva al congresso sulla drammatica situazionea Pietrogrado in una seduta ristretta. Era il 10 mano. La rivolta era ancora in piedi, più pericolosa che mai; il dispositivo di attacco aveva rivelato gravi deficienze e il morale delle truppe era sempre più basso. Fu allora deciso un vasto «rimpasto» nelle file degli attaccanti; gli uomini vennero scelti con cura particolare, interi battaglioni di allievi ufficiali e di giovani comunisti arrivarono da località distanti. Reparti scelti di comunisti e speciali unità della Ceka costituivano una parte assai rilevante della nuova forza d’assalto. Ma l’atto politicamente più rilevante fu quello compiuto da trecento delegati al congresso i quali si offrirono come volontari. Senza entrare nei particolari della cruenta battaglia, ricordiamo che l’inferno si fermò il 18 marzo. Paul Avrich («Kronstadt 1921», Mondadori) indica in circa 10 mila uomini tra morti e feriti le perdite dei bolscevichi. Dei delegati al X congresso, una quindicina lasciarono la loro vita in battaglia; tra i ribelli sembra che 600 siano stati i morti in combattimento, circa mille i feriti e 2.500 i prigionieri.
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Lo scrigno placcato oro WE ARE FAMILY La mia cassetta per te è ricoperta di una pellicola trasparente che mossa da un venticello mostra grinze e bolle e forse vertici, dove i volatili s’immergono col becco, dove gli abitanti dei fondali riaffiorano d’improvviso dentro rubini rossi, pezzi del mio cuore infartuato e una stella marina, pure ella rossa stella di un giorno di sole smeraldi dai miei occhi e del verde di un prato, quello dove è stato scritto un addio il brillante una tua lacrima il prezioso il cristallo dei tuoi sottisi luccica tra uno strato e l’altro dei quotidiani, di pochi lunedì che fanno vacillare vetri colorati di giornate vicine e di giornate ormai lontane Collane e anelli a tenere insieme questi gioielli composizione con fili e cordicelle e pietre che piacciono tanto a noi donne, vestite di una camicia senza bottoni, che abbiamo perso le chiavi di casa nostra
Corrispondenze Berlino
La vita notturna è andata concentrandosi soprattutto nella parte est della città. I locali sono innumerevoli, e innumerevoli i loro generi. Così può capitare di raggiungere amici in posti dove si diventa un personaggio, come dire, un po’ sopra le righe. Per non creare una situazione degna di Peter Sellers in “Hollywood Party”, mi suggeriscono di vestirmi di scuro, ma mi assicurano che posso fare a meno di decorarmi il viso. Mi avvisano che un’ostentata allegria è un po’ fuori luogo, e che la musica non è esattamente commerciale. Tanto meglio. Mi metto compunto ed entro guardingo nella stazione del metro in cui il locale è alloggiato. Pareti nere, pavimento nero, soffitto nero, luci nere. Poi vedo delle teste fluttuare a mezz’aria. Tenui bagliori sepolcrali rendono diafani visi bianchissimi su corpi per lo più invisibili, perché ammantati di nero. Quando le mie pupille raggiungono il massimo diametro sono ormai convinto che la parola chiave è “gotico”. Mi calo nella parte, e mi aggiro cercando di sembrare depresso, ma ben presto mi accorgo di essere solo un patetico dilettante. Chiedo in prestito una sedia a un solitario. Ne ricevo in risposta un capolavoro dello slow-motion: gli occhi, persi in una profondità insondabile si muovono appena. Chi osa turbare il suo dolore? Un impercettibile cenno del capo accondiscendente, accompagnato da un gesto, la cui gravità fa impallidire l’investitura di un cardinale, mi fa capire che io, insetto insignificante, non mi rendo conto al cospetto di quale vampiro millenario abbia l’onore di trovarmi. Guardo meglio. Il vampiro è la quintessenza del gothic look. Non un capello fuori posto. Finissimi ricami neri sulla pelle resa candida. Tutta una bardatura di borchie e catenelle. Deve aver rimandato il suicidio in serata per abbinare la montatura degli occhiali da sole con il braccialetto di stelle a cinque punte. È un’estetica, o è un modo come un altro di passare una serata? E fino a che punto manifestare la nostra estetica in pubblico rimane un fatto personale? Non posso non pensare a Nietzsche. L’avrei pensato anche in un locale latinoamericano? È vero però che la gente è decisamente più riservata che nella discoteca media. Un riserbo compensato, in parte, dalla varietà esibizionistica delle fogge. Colleziono un paio di ragazzi con sottane lunghe (inutile ricordarne il colore), e trucco femminile su viso ed unghie. Vari elementi con indumenti reticolati o semitrasparenti. L’effetto è diseguale, specie sulle ragazze. Quelle che sono già carine guadagnano. Se non sono splendide in origine, diventano repellenti. Qui bisogna essere coerenti: se si parla di estetica, l’unico metro deve essere “bello, nonbello”. Tutto il resto non conta.
Carlo Andrea Rozzi
Barbarah
Barcellona Ramblas pa’ abajo
In alto alle Ramblas, giusto sotto plaza de Catalunya, andando verso il mare, c’é una fontana con sei bocche e una scritta che dice “Si beveu aigua / de la font de canaletes / sempre mes sereu / uns enamorats de Barcelona / i per lluny que n’aneu / tornareu sempre.” E allora per forza uno si deve fermare un attimo, avvicinare, e bere, per essere sempre piú innamorato di Barcellona e tornarci sempre, anche quando vai molto lontano. Un po’ piú in basso, fra le panchine sistemate come poltrone in un salotto, c’è un Bisquter che con le sue sedie di velluto rosso fa accomodare i signori col giornale e gli pulisce le scarpe raccontando il Barrio Chino e chissá quali storie, e se vuoi lo vedi che quel signore lí col maglione grosso è proprio Carvallo che se la ride e invita Biscuter a mangiare con lui una fabada. La Rambla è una ma sono tante, questo lo sa chi le attraversa di passaggio e chi ci cammina tutti i giorni un po’ di fretta. Sono tante le Ramblas e cambia anche il nome, qui su, vicino alla piazza e a Biscuter si chiama Rambla dels estudiants, anche se non so bene cosa c’entrino gli studenti con questo primo pezzo con i negozietti di animali, gabbie di uccelli e tartarughe e iguane e polli che gridano e schiamazzano. Non so cosa c’entri, e forse è meglio qui se cammini veloce veloce per non guardare e non sentire, soprattutto se è un martedì pomeriggio di schizzi improvvisi di pioggia e vento, cerchi di arrivare al piú presto piú sotto quando giá diventa la Rambla de les Flors e intorno sono gigli e rose e margherite, profumi e sorrisi. Di fianco la Boqueria con la sua frutta colorata e le spezie e il rumore di una mattina bella come questa. I piedi poi entrano senza accorgersene in un cerchio di mosaico colorato e se stai bene attento vedi che piccolino c’é scritto di lato Miró. Magari se è sabato sera vedi i gioielli luccicare e le sete delle prime file della prima della nuova versione della Carmen al Gran Teatro del Liceu. Se invece è giorno ed è un giorno qualunque quello che vedi e t’incanta e ti devi fermare sono le facce di una fata del bosco, verde, quella bianca di riso dell’uomo paella o il corpo dipinto di festa di un Rapa Nui. Senti la musica di un angelo con la chitarra e puoi entrare se vuoi nella bolla di sapone soffiata dalla malinconia di una marionetta. O puoi scontrarti con un cameriere e riempirti di calamari fritti. O fermarti un minuto a leggere i titoli delle prime pagine del mondo. E di Rambla ce n’é ancora davanti, c’è ancora davanti la Rambla dels Capuxins e sono certo come dei frati quei pittori amanuensi, se ti fermi con loro, il tuo viso sulla loro tela, sará viso pieno dei colori e le lingue e i mantelli che hai visto passare, in quel tempo seduto con loro. Se é domenica e vai ancora piú giú, verso il mare, ci saranno di certo gli artigiani e le loro collane. E lì lo vedi Colombo Colón e le barche e l’odore, e sai di sicuro che anche quando non si vede, il mare é sempre lí, nel tempo sospeso, come lo sanno i gabbiani.
Paola Soriga
Riflessioni
In genere il sovraffollamento informazionale rischia di mandare in tilt un sistema elaborativo elementare, ed è sostanzialmente per questo motivo che di solito temo eventi come la biennale di Venezia: troppe cose da vedere in un margine di tempo per me sempre eccessivamente ristretto. D’accordo: ho delle effettive carenze intellettuali e metaboliche, ma penso ci sia un motivo profondo se all’alba delle 17: 40 di un gelido 26 ottobre la mia attenzione riprende vigore e mi pesca dal petto manciate di entusiasmo. Il motivo in questione è Patricia Piccinini, l’artista originaria della Sierra Leone che porta al padiglione australiano le sue inquietanti riflessioni sul rapporto con l’alterità, la mutazione ed il preminente desiderio umano di migliorarsi, anche se questo a volte implica la sofferenza di qualcuno o di qualcosa. Sì, perché la Piccinini dà vita a creature nuove, mutanti, che ci mostrano come l’amore e l’affetto siano ancora forze travolgenti e a 360 gradi, capaci di instaurare lagami profondi a dispetto delle conformazioni fisiche e a dispetto di quanto l’estetica tradizionale sembra voler cestinare; apparire-divenire-essere, nel contesto di un incontro che sancisce l’unione e l’armonia tra surrogati umani
mutanti
alla
iperrealistici e nuove forme di vita come a dire: “Noi che siamo di carne ne saremmo capaci?” Lo stupore di una comunione simile spiazza lo spettatore quanto l’illusione perfetta del dettaglio umano in vetroresina e lo accompagna sin dall’inizio del percorso all’interno del padiglione, dove cellule staminali oltremisura giocano e si fanno coccolare da una bambina “più umana dell’umano” nell’atteggiamento oltre che nell’aspetto; dove ibridi umanomangustoidi scrutano gli avventori con lo stesso straniato stupore negli occhi, grandi e densi di un’espressività accentuata ad arte dall’effetto “umido” del materiale. Sono sensazioni forti quelle evocate dalla scultrice, legate al binomio tenerezza-repulsione che circonda la sua “famiglia”, una struttura che vuole sgrossarsi dei vincoli e delle sovrastrutture intellettualizzate eccessivamente umane per dar spazio al suo valore primigenio, quello degli affetti, delle sensazioni, del legame madre-figlio; ed è al sentimento contestualizzato più nel cuore che nel cervello limbico, che l’artista si rivolge raggiungendo una straordinaria potenza espressiva con l’opera scultorea “The young family”: una mamma SO3( syntethic organism 3) allatta i suoi cuccioli sdraiata su di un fianco; il suo volto simil-umano sul
biennale
corpo di scrofa si specchia negli occhi di un cucciolo isolato, una femmina che pare cercare se stessa nel suo riconoscersi nella madre. Rimango a fissare questo bizzarro “quadretto domestico” fin quando una signora dalla mie spalle esclama “certo però che l’autore ne ha di fantasia..” Fantasia?! Sinceramente penso sia qualcosa in grado di andare oltre: un iperrealismo tragicamente veggente più che visionario, che ci spinge a ricercare una dimensione di affetti profonda, partendo da creature sintetiche che potremmo sentire come estranee, aliene, distanti, ma alle quali siamo probabilmente vicini più di quanto loro lo siano a noi. Noi siamo i veri esclusi, e me ne rendo conto nel momento in cui esco dal padiglione e mi accorgo che anche i due bambini vicini alla porta sono figli della Piccinini: Olly e Solly sono due ragazzi di circa nove anni in jeans e scarpe da tennis. Sono identici e drammaticamente invecchiati, ma si trastullano con un videogioco portatile; la clonazione come monito, iterazione beffarda di un interrogativo aperto, non poteva mancare e non poteva non riproporsi che alla fine del percorso, quando si pensa: “Che figata questa fabbrica di mostri!”.
Paolo Bertazzoni
La quasi rivincita del contrabbasso Signori musicisti, è a voi che mi rivolgo: sono un contrabbassista. No, non ridete sono un contrabbassista, un musicista al pari di voi violinisti, violoncellisti, oboisti, clarinettisti… Beh, non nomino i violisti, (circolano più barzellette su di loro che sui carabinieri!); o i cantanti: conoscete il detto… com’era… ah si, che “I musicisti sono i peggiori cantanti e i cantanti i peggiori musicisti!” Che ve ne pare? E non nomino nemmeno i trombettisti… Non erano considerati loro gli ignoranti del Conservatorio per antonomasia al pari dei cantanti? (risparmio i trombonisti: col loro strumento ingombrante quasi quanto il nostro mi stanno simpatici…) Ma non divaghiamo: è per altre ragioni che scrivo questa lettera. E’ ora che sappiate tutti, cari signori musicisti, che noi contrabbassisti ne abbiamo abbastanza delle vostre nevrosi, dei vostri luoghi comuni, delle vostre battute e dei vostri giudizi. Quante volte nella sua vita un contrabbassista, dopo aver suonato una miriade di note (sono un po’ megalomane, in realtà “miriade” significa due o al massimo tre note per rigo ma non lo dite a nessuno) si è sentito dire da un violoncellista, che alla prima pausa si gira puntuale: “Ma quando la finite di spostare i mobili?” L’ulteriore ingiustizia è che se noi ci dovessimo girare per rimproverare chi sta dietro di noi in orchestra parleremmo con il muro, poiché dietro a noi spesso non c’è nessuno se non quest’ultimo. A proposito… ma un torcicollo non vi viene mai, maledetti strimpellatori di Haydn, Dvorak o Saint-Saens? Il violoncello non è ne carne ne pesce: non è né piccolo e delicato come un violino né imponente come un contrabbasso! Zitti, miei cari… E i direttori d’orchestra? Questi signori impettiti, ben vestiti e con i loro ciuffi ribelli, quando ricevono dalle loro fini orecchie degli input che qualcosa non va “nell’insieme” del suono dell’orchestra, fanno il gesto di “chiusa” e guardano sbigottiti i contrabbassi, dicendo: “C’era qualcosa che non andava…vero?” I violinisti… beh, quelli nemmeno quasi ci salutano e i trombettisti credono di essere chissà chi! I fagottisti si fingono nostri amici solo quando fiutano che avremo un passaggio all’unisono con loro: hanno paura di urtare la nostra sensibilità, come se questo andasse ad incidere in maniera ulteriore sulla nostra già precaria intonazione… Ma che volete tutti da noi? Non vi facciamo pena? Lasciateci nel nostro brodo, noi facciamo del nostro meglio… E le altre battute? Che so, ad esempio che i contrabbassisti solitamente puzzano! Ma non sapete che si suda a trasportare quel cassone rumoroso? E poi, noi mica ci profumiamo come quelle checche dei violinisti! Oppure… ah, è vero, l’altro luogo comune vuole che siamo maniaci sessuali… Ma immaginate quanto sia noioso per noi attendere magari duecentodieci battute prima di fare tre note? Prima o poi su certi discorsi si finisce… Eppure sembrate capire qualcosa di musica e vita… come fate a non arrivarci da soli ad intuire certe cose? Eh? Maestri, non rispondete? E la “fregnaccia”che non sappiamo contare! Ma se abbiamo praticamente solo “interi” da suonare, come potremmo sbagliarci? Bisognerebbe essere dei violisti per… no, così sto diventando arrogante ed offensivo come voi, meglio che mi fermi qui... Persino i bigliettai delle metropolitane, i controllori dei treni o i
poliziotti quando ci fermano per strada e ci trovano in compagnia del nostro strumento ci guardano con compassione, ilarità, quasi sospetto. Beh, cari miei, siamo stufi. Un mio amico ha fermato una ragazza per strada e ha deciso di farle una serenata con il contrabbasso. Per poco non è stato arrestato per atti osceni in luogo pubblico… ah sì, ma se fosse stato un violinista avreste tirato fuori frasi del tipo: “Ah, ragazzi del genere non se ne vedono più in giro…”. O al limite avreste lanciato all’artista qualche cent di euro… Ah, un’ultima cosa… Ci siamo rotti anche della battuta ormai classica: “Ma che c’è dentro a quella custodia? Una cadavere?” E’ ora di finirla, una volta per tutte. Sono lontani i tempi in cui Berlioz ci definiva “porteurs d’eau”, ossia “facchini”. Siamo stanchi anche di fare i facchini. Voglio dire, non date retta a quello che Suskind dice per bocca del suo conatrabbassista nel libro intitolato “Il contrabbasso”: lì addirittura un contrabbassista denigra il suo strumento e la sua categoria di musicisti in maniera vergognosa. Basta, davvero basta. Dragonetti, Bottesini, Koussevitskij… e poi Petracchi, Gary Karr, Streicher e gli altri grandi solisti delle ultime generazioni, compresi rimarchevoli complessi di contrabbassi soli come i “Basspartout” (sezione eccezionale dei contrabbassi del Teatro Regio di Torino) o gli “Ottava Sottosopra” hanno dimostrato che il contrabbasso non è certamente uno strumento secondo a nessun altro. Bottesini ha scritto dei bellissimi concerti, non meno interessanti dal punto di vista compositivo di alcuni concerti di Paganini per violino e orchestra o di quelli di Listz o Chopin per pianoforte e orchestra, e sfido chiunque a dire il contrario! Bottesini fu senza fallo il più grande contrabbassista di tutti i tempi: sapete perché, paradosso dei paradossi, egli è ricordato nei libri di storia della musica? Perché Verdi gli affidò la “prima” dell’Aida al Cairo il 24 dicembre 1871! Ma rendetevi conto! Il più grande contrabbassista di sempre è ricordato per aver diretto un’opera! Stessa sorte toccò al buon Serge Koussevitskij; chiedete ad un qualsiasi storico della musica chi era questo signore… “Un buon direttore d’orchestra”, vi risponderà sfregandosi con la mano il folto pizzetto in atteggiamento pensoso, ignorando che il grande contrabbassista è stato, tra le altre cose (come afferma il M° Emilio Benzi nel suo libro “Il Contrabbasso”, copyright © 2000 Stefano Giacomelli Editore) “l’anello di congiunzione tra il solismo dell’800 e quello del 900”. L’ “arpeggione” di Schubert (scritto dal grande compositore tedesco per questo strumento ad arco, l’arpeggione appunto, e il fortepiano), che i vanagloriosi violoncellisti ritengono scritto per loro (ma guarda questi…) è ormai un capolavoro che ogni buon contrabbassista deve avere nel proprio repertorio. Noi, oddio… chi di noi ci riesce… suoniamo anche le suites di Bach per violoncello solo sul nostro bestione! E non è per nulla un risultato scadente, vedi Karr. Siamo cambiati. Siamo cresciuti. E all’ombra della vostra ilarità, delle vostre parole compassionevoli, dei vostri stupidi atteggiamenti di supponenza e arroganza siamo anche migliorati al punto che, forse, ci sentiamo musicisti quanto voi. Flavio Barbaso
Ho deciso di far pubblicare questa lettera circolata lo scorso anno in un Conservatorio del Piemonte, lettera-protesta che suscitò ilarità e qualche polemica, perché la trovo un buon misto di ironia, auto-ironia e saggezza. Flavio Barbaso, mio amico e compagno di classe tirocinante, decise di far pervenire tale invettiva a tutti gli strumentisti indistintamente, per giunta senza nessun motivo apparente. Il gesto gli procurò una ramanzina dal Direttore ma non sortì nessun effetto particolare: i contrabbassisti sono, a tutt’oggi, le pecore nere dell’Istituto e gli asini dell’orchestra. Almeno, secondo tutti gli altri… Spero che Flavio non se la prenda a cuore (visto che non l’ho avvertito di tale mia intenzione di pubblicazione…) per questo mio “scherzo”… e che continui a farmi lezione al lunedì mattina prima che arrivi in classe il Maestro.
Carlo Calegari
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La cena delle beffe Abbiamo imparato in questi ultimi giorni una cosa nuova, mercé gli equilibrismi comunicativi del nuovo potere politico-mediatico: sempre scontenti a sproposito - da bravi fessi - ci lamentiamo insomma per un’inflazione virtuale, immaginaria, mentre invece tutto andrebbe ben, madama la marchesa. Sta al Presidente dell’Istat, una figura di autorevolezza quasi mitologica e dal rapporto con la realtà presumibilmente vacillante, cavare per questo governo le castagne dal fuoco del malcontento da caroprezzi; e per non saper né leggere né scrivere, ci tocca sentirci dire in diretta televisiva che esiste un nuovo parametro a darci ragione ma anche in ultima analisi torto: l’inflazione percepita. Non tutto è come appare: la scoperta dell’acqua calda nasconde però in questo caso una serie di menzogne più che una lezione zen. D’accordo con Eco, convinto che non sia possibile che non sia verissimo che le cose ci appaiano per come le percepiamo, l’Istat ci spiega che percepiamo un euro equivalente alle vecchie duemila lirette; e di conseguenza i prezzi attuali delle cose - il chilo di pane, la lampadina, il litro di benzina, il cinema - sono percepiti più alti (in vecchie lire) di quanto in realtà non siano. Tale approssimazione per eccesso corrisponde alla differenza tra duemila e millenovecentotrentasei e ventisette: il tre e poldo per cento, che, sommato all’inflazione ritenuta reale - 2,8% porta la gente del belpaese a ritenere che l’inflazione sia al sette quasi, mentre in realtà non sarebbe. Ora parlando di percezione, io percepisco il tanfo quasi consueto ahinoi di presa per i fondelli. Lo stesso Istituto centrale di Statistica in quest’occasione tralascia - tanto per dirne una - di accorpare nel ragionamento i dati, pure dall’Istat raccolti, sulla crescita della retribuzione media: 1,8 percento. Lo stipendio medio in Italia perde dal 2002 al 2003 qualcosa come 750 Euro. Il fesso-tipo è libero di percepire tale perdita come un milione e mezzo di vecchie lire, se fa di conto a mente - ovvero 1452202,5. La differenza tra queste due cifre non sarà enorme, soprattutto rapportata agli stipendi dei Presidenti di prestigiosi Istituti. Calcolata invece in pomodori, capaci di costare un Euro l’uno, o in litri di latte (anche quasi due euro alcuni tipi al supermercato) fa la differenza tra mangiare o non mangiare un pomodoro, un uovo, una brioche; andare o non andare al cinema; bere o non bere una birretta (quattro eurettes e trenta) - né più né meno. Ecco quanto accade nel nord del mondo, e non in Biafra. Ci son pensioni in Italia - e stipendi e compensi mensili, soprattutto nel campo dei nuovi contratti di flessibilità - che equivalgono alla metà di questa cifra, o poco più. Alcuni, in pratica, vedono oggi entrare in casa - rispetto allo scorso anno - 11 mensilità anziché dodici. A prescindere da come questi la percepiscano (io ad esempio la percepisco come un furto), la cosa sta così e non cosà come ci dicono, allora. Una volta in più quelli che governano e commentano le magnifiche sorti e progressive delle finanze del nostro paese, tra una missione militare e l’altra, un condono e l’altro, una cirami e l’altra, una spacconata sull’immigrazione e l’altra, estraggono dalle nostre tasche la manina che ci fregava un po’ di soldini; poi, faccia di legno, s’esibiscono in TV - le loro TV - loro e i loro dipendenti e/o amici, pretendendo di spiegarci che sì - la loro mano usciva dalla nostra tasca, ma abbiamo visto male: non ci stava derubando, è solo che noi percepiamo così la cosa. L’hanno detto anche in Tivù.
Luca Monti
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Punta su Pavia Eventi di domenica 16 novembre 2003
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• Tour guidato alla scoperta di Pavia con bus navetta in collaborazione con Line S.p.A. (suggerita la prenotazione), partenza da Strada Nuova, angolo bar Demetrio, ore 11.00 • Tour guidato alla Certosa di Pavia con bus navetta in collaborazione con Line S.p.A. (su prenotazione) partenza da Pavia, viale Matteotti (davanti al supermercato GS); ore 14.30;partenza da Certosa, ore 16.15
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Idee e proposte della redazione per il futuro prossimo venturo Teatro le compagnie: chi sono, dove sono, cosa fanno, linee teoriche che seguono, appuntamenti; il Fraschini: cos’è e cosa fa\non fa; il corso di teatro sociale: info e racconti; il teatro scala; Università leviamola dall’unidimensionalità: ovvero cosa c’è dentro di diverso da corsi, esami e brutale produzione di laureati; situazione economica dell’ateneo pavese: come i tagli del governo incidono a Pavia? rapporto o non rapporto tra le sedi “umanistiche” della città e quelle scientifiche; i collegi: cosa sono e che rapporto c’è con l’Università; Abitare a Pavia dove abitano gli studenti: alloggi isu, altro, case occupate, locande, pensioni; inchiesta sui fondi per alloggi: coordinarsi con i sindacati inquilini, Associazioni Le realtà Associative a Pavia; elenco e presentazione in ogni numero di un’Associazione A che punto sia- Mattei, p.zza Fontana, p.zza della Loggia, Italicus, Moro, 100 passi, Ambrosoli, Ustica, Bologna, mo / 47 morto Calvi, Natale 1981/2, Dalla Chiesa, Chinnici, Cassarà, Falcone, Borsellino che parla Gaia Scienza pillole su matematica/fisica Enigmistica Enigmi Matematici, Crittografie, Cacce al Tesoro, Cruciverba, Bersagli Recensioni classici della letteratura sconosciuti 60annifa storia della Resistenza a Pavia nel 1943/4 Economico/ interventi specialistici (pensioni, diritto del lavoro, sindacati, 626, piccole aziende) Sindacale Stati Alterati di interventi specialistici (stati alterati di coscienza e sostanze psicoattive) Coscienza Redazionali cosa succede nella Redazione/Associazione: decisioni, discussioni, dichiarazioni, scazzi e mazzi. Numeri Raccolta e presentazione di puri e semplici dati sociografici (omicidi all’anno negli ultimi 100 anni, popolazione pavese per origine), economici (inflazione/interessi bancari negli anni, bilanci etici), storico/giornalistici (numero di vittime palestinesi e israeliane, andamenti e flussi elettorali, ingressi/ espulsioni clandestini) Luoghi comuni epifanie di non-verità e luoghi comuni: libero mercato portatore di ricchezza, cani come armi improprie, no-global sinistri di sinistra, fascismi e crocifismi Anima mundi La pubblicità anima del commercio: smontare e rimontare spot pubblicitari svelandone i meccanismi Prossimamente presentazione di nuovi articoli che la redazione vuole scrivere chiedendo la collaborazione dei collaboratori/lettori Diritto d’Autore il diritto d’autore, la proprietà intellettuale, le licenze d’uso, la SIAE, come gestire e proteggere le opere Mai Morti estratti da una pubblicazione dell’Esercito Federale Svizzero che illustra cosa e come farlo in caso di golpe nel proprio paese Corrispondenze corrispondenze varie da luoghi più o meno esotici; Bacheca cosa succederà in città nei 15 giorni seguenti; L’elenco non vuole essere esaustivo ed è totalmente aperto a contributi, osservazioni e interventi
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Incontri, spettacoli...
• “Aperitivo con l’autore”, incontro-dibattito ed aperitivo. Presentazione del volume “Pavia Moderna” di Vittorio Prina, ed. Cardano. Santa Maria Gualtieri, piazza della Vittoria, ore 11.00 • “Dietro la facciata”, visita guidata all’organo Lingiardi della basilica di S. Lanfranco, piazza S. Lanfranco, ore 15.30 • Idomeneo (Mozart), Teatro Fraschini, ore 15.30. Per biglietti e informazioni, tel. 0382-371206 • “Incontro con S. Agostino” biografia animata, ritrovo piazza San Pietro in Ciel d’Oro, ore 16.00 • Mabo Band spettacolo itinerante di quartetto di fiati, vie del centro storico, partenza da piazza della Vittoria, ore 16.00
Degustazioni
• Prima colazione equosolidale, organizzata dall’ Associazione CAFE, sala consiliare di Quartiere Pavia Storica, piazza della Vittoria, orario 9.00-12.00 • “Le tradizioni: polenta e formaggio”, presso il Punto Informativo, piazza della Vittoria, ore 18.00. • “Di tutto un pò”, mercatino di prodotti gastronomici e artigianali, Cupola Arnaboldi, tutta la giornata
Punti informativi e di accoglienza
• Certosa di Pavia, orario 10.00-12.00 • Biglietteria dei Musei Civici, Castello Visconteo, orario 10.00-13.00/14.30-17.30 • Piazza della Vittoria, sabato 15 novembre, ore 16.00-19.00; domenica 16, ore 10.0018.00 Kronstadt Periodico probabilmente bimensile Numero 0/1 Redazione: Alice Bescapé, Paolo Bertazzoni, Salvatore Gulino, Emanuele Quinto Stampato in proprio