Kronstadt 21

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k ronstadt 21 © Massimo Ghimmy

periodico bimensile Numero 21 Mercoledì 15 Febbraio 2006

Coraggio Pavia

Giovedì 19 gennaio la città di Pavia si è fatta bella per la visita del presidente Ciampi, ripulendo persino le scritte sui muri (la settimana prima, in modo da lasciare tutto il tempo necessario ai graffitari per rimetterle più belle). Nella foto accanto il Presidente ci saluta sullo sfondo delle macerie della SNIA, che in passato è stata un’importante industria per la città, assumendo e poi licenziando intere generazioni di cittadini. I resti dello stabile, lasciati a se stessi per troppo tempo, sono stati popolati da numerose famiglie extracomunitarie, in gran parte senza permesso di soggiorno, che convivevano in questa “area dismessa” a due passi dal centro in condizioni di grande degrado. Coraggio Pavia. Simone Leddi/A.F.A.&G.

Nonostante i negozi che chiudono, le fabbriche suicide, “l’università della ricerca”, e i focolai di problemi sociali, come appunto la SNIA, che le istituzioni vorrebbero, dopo essersene tardivamente occupate, trasformare in giganteschi centri commerciali. Coraggio Pavia.

Teoria e pratica dei mondi paralleli Cerchiamo di andare al di là della retorica delle parole del Presidente Ciampi (http: //www.quirinale.it/Discorsi/ Discorso.asp?id=28443) su Pavia che è ricca e scontenta, su Pavia che deve investire sugli universitari (e dàgli con il Ghislieri e il Borromeo e la IUSS, come se ne servissero ancora: ce ne scampi), sul modello di sviluppo basato sulle risorse del territorio; sì insomma vorremo chiedere ma... Presidente, di quale Pavia parla? Parla della Pavia ricca e scontenta dei professionisti, dei primari d’ospedale e dei professori d’università riuniti nella lega degli straordinari gentleman (leggi: massoneria)? Parla della Pavia di quelli che si svegliano alle sei per andare a lavorare a Milano, quelli che la sera tornano tardi e devono andare all’Esselunga ché è l’unico negozio aperto? Parla della Pavia dei commercianti che non sanno più cosa inventarsi (e nessuno dice che forse sarebbe più utile un altro paio di negozi e locali in centro piuttosto che il fantomatico poliziotto di quartiere)? Parla della Pavia degli universitari (e diamine è facile pensare agli universitari come un corpo unico, ma potremmo parlare di quelli che sono in appartamento, rispetto a quelli che sono in collegio, rispetto a quelli che fanno i pendolari, rispetto a quelli che sono qui in Erasmus; è facile dire che bisogna investire su di loro mentre è difficile dire che Pavia munge da loro affitti in nero e serate in disco e per il resto, chi se

ne frega di ‘sti terroni.)? Parla della Pavia del volontariato e delle iniziative culturali che muoiono nell’indifferenza generale a meno che non siamo sponsorizzate dal Comune o da quelli del riso? Parla della Pavia degli ambulanti, degli immigrati che la notte dormono alla SNIA? Pavia è tutta una serie di questi mondi paralleli, di questi circuiti chiusi, che ogni tanto si incontrano e si scontrano e magari fanno cortocircuito; Pavia è un esempio del punto a cui ci ha portato l’attuale modello di sviluppo, va bene siamo ricchi e abbiamo lo stomaco pieno, ma a quale prezzo? Abbiamo imparato ad ignorare quello che ci lasciamo dietro comprandoci l’iPod, e quando tra dieci anni rimpiangeremo una birra in centro o salteremo in aria in metropolitana, l’unico conforto sarà leggere l’analisi sociologica del Corriere della Sera, se volete vi anticipiamo ora cosa scriveranno: gli immigrati di seconda generazione e l’integrazione culturale, le sacche di disoccupazione e il sottoproletariato, e poi diciamolo: il libero mercato e la società del benessere più o meno collettivo ci hanno fatto scoprire che siamo tutti malati di depressione. Caro Presidente, al di là della retorica della Patria e del damose da fa’, nemmeno una parola sul fatto che tutto sommato vuoi mettere la comodità di un centro commerciale sulla Vigentina in più e di un locale in centro che rompe le balle fino alle due di notte in meno? Domenico Santoro

S.N.I.A. Il nome “SNIA Viscosa”, oggi, ricorda ai cittadini pavesi, quell’area (situata in via Montegrappa), da lungo tempo dismessa, ma che in passato tanto ha cambiato l’economia della provincia. Attualmente una porzione dell’ex fabbrica è stata recuperata da aziende ed enti pubblici che hanno ristrutturato alcuni spazi per adibirli ad uffici, ma c’è ancora una gran parte della struttura, lasciata all’abbandono del tempo e delle intemperie, che è costantemente occupata da clandestini più o meno regolari. Nonostante gli sgomberi e le demolizioni effettuate da parte delle forze dell’ordine, questi “invisibili” continuano ad occupare l’area. La “Società di navigazione italoamericana” è stata fondata da Riccardo Gualino e da Giovanni Agnelli nel 1917 e si prefiggeva continua a pagina quattro...

Non di solo terziario Il declino industriale di Pavia non è evento recente e non può essere imputato solo alla crisi che sta investendo il paese negli ultimi anni. Tuttavia, anche a Pavia scontiamo il fallimento di un’illusione che, da una decina d’anni a questa parte, ha attraversato l’Italia, vale a dire che si possa basare un’economia solo sullo sviluppo del

terziario. E’ una teoria in voga dall’inizio degli anni Novanta e certo ha avuto una sua validità. L’Italia era (ed è) piena di potenzialità perché il livello di sviluppo tecnologico e gestionale dei servizi era così basso che qualsiasi iniziativa in quel senso non poteva che trovare fortuna. Dove non c’è nulla o quasi, qualsiasi iniziativa, anche minima, è già un’avanzata. Largo allora allo sviluppo dei servizi e, non ultimo, al turismo che è sempre stato importante ma oggi ha bisogno di sempre nuova innovazione, di capacità d’impresa e d’attenzione alla domanda, soprattutto nel sud Italia. Tutto questo è bene, ma non basta. Il declino dell’industria italiana, dell’innovazione, degli investimenti e della ricerca, rivela la fragilità di un sistema e la pochezza di una classe imprenditoriale inetta, continua a pagina quattro...

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i soldi sono tanti, milioni di milioni, li ha tutti Berlusconi, chissà che se ne fa

strumenti

Noisetier, Septidi, 27 Pluviôse, An CCXIV

Legge 194: trent’anni dopo

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Diritti della donna e coscienza civile Il giorno 22 maggio 1978 in Italia viene approvata la legge n. 194 che sancisce le norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza. Nel 1981 la popolazione italiana attraverso un referendum abrogativo si esprime a favore della legge 194. Dunque lo Stato garantisce alle donne il diritto alla procreazione cosciente e responsabile e riconosce il valore sociale della maternità. Questo significa in pratica che l’interruzione di gravidanza può essere richiesta dalla donna entro i primi novanta giorni dal concepimento, nel caso in cui la stessa donna accusi circostanze fisiche,

psichiche, sociali o famigliari, per le quali la prosecuzione della gravidanza risulterebbe dannosa per se stessa e per il bambino. La legge prevede che la donna abbia la possibilità di rivolgersi a strutture socio-sanitarie statali (consultori) per chiedere assistenza sia nel caso in cui scelga di interrompere o portare a termine la gravidanza. I consultori devono garantire i necessari accertamenti medici e devono esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, le possibili soluzioni di problemi proposti. Il tutto nella massima riservatezza e nel massimo rispetto della dignità e libertà di

scelta della donna. La commissione d’indagine nominata dal Governo, quest’anno, ha decretato che la legge 194 è “un’ottima legge”. La manifestazione indetta il 14 gennaio 2006 a Milano in difesa della 194, ha ribadito fortemente il valore e l’importanza sociale di questa legge. Ma perché, a quasi trent’anni dal decreto legge, si parla ancora così tanto di 194? Perché questa legge viene ancora messa in discussione? E’ stata applicata correttamente? Noi, da qui, daremo inizio alla nostra commissione d’indagine. Kavida e Lidia

La Gaia Scienza L’impatto di Darwin sul pensiero moderno. L’evoluzione per selezione naturale, come ogni altro dato o teoria della scienza, appartiene a quella sfera della conoscenza che non produce verità etiche, che non si pronuncia in merito al bene e al male, né può farlo, e se vuole restare fedele alla sua natura scientifica non può confrontarsi con alcuna genesi mitica o religiosa. Nonostante ciò, Darwin ci ha mostrato come nuove teorie scientifiche possono incidere profondamente sullo “spirito del tempo” e condizionare per sempre la visione della realtà. Cominciamo con il creazionismo. Il radicalismo della selezione naturale sta nella sua capacità di detronizzare alcune delle più profonde consolazioni del pensiero occidentale, in particolare l’idea che la benevolenza, l’ordine e lo squisito disegno della natura provino l’esistenza di un creatore onnipotente e benevolo che ci ama più di tutti (versione teologica vecchio stile), o quanto meno che la natura segua direzioni privilegiate e che gli esseri umani facciano parte di uno schema sensato che governa il tutto: quest’ultima versione, più moderna e più laica, è stata fatta passare per una sorta di “riconoscimento” dell’evoluzionismo da parte della Santa Sede (Giovanni Paolo II parlò di uomo-apice dell’evoluzione ma il processo evolutivo, in quanto tale, non ha né massimi né minimi; e se per evoluzione si intendesse erroneamente l’adattamento della specie, allora gli organismi più evoluti sarebbero alcune specie di batteri!). Ma sicuramente la tesi più devastante per i suoi contemporanei (ma non solo) fu che

Darwin privò l’antropocentrismo dei suoi fondamenti: l’uomo non è una creazione separata ma ha una comune origine ancestrale con tutti gli organismi. Anche se già Kant scrisse che “la natura umana si pone sui gradini di mezzo della scala degli esseri”, è bene sottolineare che sarebbe un grave errore

andare all’altro estremo e dire che l’uomo altro non è che uno degli animali. L’uomo si è evoluto in un essere caratterizzato non soltanto da elevata intelligenza ma anche dal possesso del linguaggio, cioè di una peculiare capacità di comunicazione che gli permette di tramandare la propria cultura. Al tempo di Darwin vi era una fede generalizzata nella venuta di un mondo migliore, un credo che qualcosa di intrinseco al mondo avrebbe portato un futuro migliore: ciò viene indicato come teleologia cosmica. Anche grazie a Darwin non possiamo contare più su questo assunto, dobbiamo incominciare a pensare maggiormente al futuro del genere umano nel suo insieme, o anche al fu-

turo della nostra comunità, della nostra popolazione ed intraprendere i passi necessari anche se questi sono dolorosi per il singolo individuo. Questa lezione è sicuramente la più difficile conseguenza delle teorie darwiniane. Inoltre la selezione naturale assunse un ruolo determinante nel rigetto del determinismo, rimpiazzandolo con una fiducia nei ruoli dei processi stocastici, del caso e di fattori contingenti. Va da sé che il rigetto del determinismo ha profonde conseguenze su molti problemi filosofici, ad esempio il libero arbitrio assume una nuova complessità: non c’è più la forza delle leggi universali che determina ogni cosa dall’inizio alla fine e rende possibile una completa predizione, ma priva l’uomo di ogni tipo di iniziativa. Invece sappiamo che i processi causali sono molto complessi ed offrono ad ogni individuo numerose occasioni di esercitare il libero arbitrio. Infine, dovrebbe essere evidente che uno dei maggiori contributi portati da Darwin risulta proprio l’aver pensato in termini di popolazione, per cui tutti i raggruppamenti di organismi viventi (tra cui l’uomo) sono popolazioni costituite da individui tutti diversi tra loro. Ciò porterebbe ad un rifiuto degli aspetti tipologici del razzismo: non è più consentito fare affermazioni basate su gruppi di popolazioni umane (bianchi, neri, asiatici) perché ciascun individuo è diverso dall’altro. Chiaramente l’eredità di Darwin non è stata ancora pienamente adottata dalla nostra cultura. Alessio Vagnoni

Milano, 14 gennaio 2006. Foto di Esther_G. http://www.flickr.com/photos/bellyar/87022856/in/7-alt72057594048690040/

Pensare da sé Il problema delle minoranze e la contraddittorietà dello stato-nazione Il problema delle minoranze nasce nel periodo tra le due guerre mondiali, quando si tenta di risolvere la questione delle nazionalità dell’Europa orientale e meridionale (rimaste senza stato in seguito alla dissoluzione degli imperi austro-ungarico e zarista) con la creazione di stati nazionali. Nacquero nuovi stati laddove mancavano le condizioni necessarie: “l’omogeneità di popolazione e il radicamento alla terra”[1]. Fu naturale, una volta raggruppati più popoli in uno stesso stato, affidare il governo a uno di essi, “promosso al rango di popolo statale”, e formare, altrettanto arbitrariamente, un gruppo di nazionalità definite “minoranze” sotto la protezione di norme internazionali. Il problema dell’autodeterminazione e dell’indipendenza dei popoli dell’est non fu quindi risolto, dal momento che la maggioranza degli abitanti di questi nuovi stati costituiva “delle eccezioni ufficialmente riconosciute e protette da speciali trattati”. L’importanza di questi trattati consiste nell’essere garantiti da un organismo internazionale: per la prima volta si costituisce “la minoranza come istituzio-

ne”. La novità risulta quindi dal “riconoscimento che milioni di persone vivevano fuori della normale protezione giuridica e avevano bisogno per i loro diritti elementari di un’ulteriore garanzia da un organismo esterno”. I trattati sulle minoranze mettevano in luce ciò che fino allora era rimasto implicito nel sistema degli stati nazionali, cioè che “soltanto l’appartenenza alla nazione dominante dava veramente diritto alla cittadinanza e alla protezione giuridica”: i gruppi allogeni dovevano sottostare a leggi eccezionali in attesa di una completa assimilazione. Dalla corrispondenza di fatto tra il possesso della cittadinanza e il “diritto ad avere diritti” emerge la contraddizione, intrinseca al concetto di stato-nazione, tra i suoi due elementi costitutivi: lo Stato, struttura universalistica volta a garantire i diritti di tutti, e la nazione, costruita sull’idea di omogeneità etnica, quindi sul presupposto di una comunità escludente. Silvia Patrizio 1: Questa e le seguenti citazioni sono tratte da Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, ed Einaudi, Torino, 2004, cap XII.

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kronstadt è utile anche per asciugare le vostre ultime gocce... Noisetier, Septidi, 27 Pluviôse, An CCXIV

Ma chi ci crede più alle storie strappa lacrime? Siamo profondamente segnati dal mito di Pretty Woman, dall’idea che le storie d’amore finiscano sempre a buon fine… Ma la realtà è sempre troppo diversa. Quanti hanno incontrato la persona della loro vita, se ne sono innamorati in maniera travolgente per poi essere ricambiati? Personalmente, le storie d’amore le ho dovute costruire faticosamente giorno dopo giorno e, a volte ho persino dovuto maledire tutto il tempo sprecato. Sin da piccoli siamo inondati da storie d’amore improbabili… Basti pensare

terza pagina Secs in de Cronstad

Ma chi l’ha detto che le storie d’amore sono romantiche? ai cartoni animati! Cresciamo così col mito della storia romantica che ci stravolge la vita, che ci cambia l’esistenza, che interrompe la monotonia dei calendari tutti uguali e ci trasporta verso un’isola che non c’è. In realtà è vero che quando siamo innamorati siamo, di fatto, colti da una sorta di raptus: il cielo

grigio diventa azzurrino, la gente monotona in fin dei conti diventa simpatica, il vuoto si colma. In realtà non è ciò che ci circonda a cambiare, siamo noi. Ma poi, qualcuno me lo vuole spiegare se quella gran baldracca di puffetta uno straccio di tesserino blu se l’è preso? Credo che non l’abbia mollata

neanche lei… Non ci potevano insegnare che la vita è “leggermente” più complicata, che i malintesi sono all’ordine del giorno e che i baci alla Anita Ekberg ormai non li sa dare più nessuno? Infine, quando mai si è visto che dopo un litigio è sempre l’altra persona a rincorrerci e/o supplicarci con uno sguardo

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languido? Siamo così gravemente affetti dalla “Sindrome di Amélie” da guardare le storie altrui come migliori e da precluderci un amore per il timore di confrontarlo con quello altrui… Allora sapete che vi dico? Sarebbe stato meglio se Julia Roberts avesse continuto a fare la battona e se Gibran non avesse mai detto: “se guardi il cielo e fissi una stella, se senti dei brividi sotto la pelle, non coprirti, non cercare calore, non è freddo ma è solo amore”… Saremmo tutti al caldo, più felici e compiaciuti della realtà. [email protected]

Milano 35 Anno 2025 cronache dalla fu Pavia

[...] Proponiamo, dopo “la masa” un’altra celebre lirica di Cesar Vallejo, poeta peruviano la cui influenza in Sudamerica è stata anche maggiore di quella di Neruda. Nato a Santiago de Chuco nel 1892 e morto a Parigi nel 1938, la sua vita fu segnata da infiniti travagli e avversità, e conobbe anche il vagabondaggio e gli stenti. Los heraldos negros, del 1918, è il suo primo libro, da cui traduciamo la poesia che dà il nome alla raccolta.

Hanno chiuso il Sottovento. Di nuovo. Era dai tempi del golpe che la pubblica autorità non focalizzava la propria attenzione sulla storica e oramai famigerata osteria. Secondo l’agenzia ANSIA battuta in questi giorni, causa della chiusura è stata “l’aver dato ristoro e alloggio a malfattori, prostitute, spacciatori di droga, integralisti comunisti, terroristi, neo brigatisti, ex brigadieri, radicali latitanti, radicali liberi, Satana e Gianni Minà”. Come di consueto si è assistito alla solita sommossa popolare guidata dal nucleo nazional-insurrezionalista del Bar-A-Tool il quale, nell’ultimo volantino, ha promesso di mettere la città a fuoco e fiamme nel nome “della libertà, della birra, del Che e di Dax” (sic).

In risposta, gli abitanti di via Sirocomi, ribattezzati dall’opinione pubblica “lo zoccolo duro della resistenza contro l’invasore becero e zozzettaro”, hanno annunciato la costituzione di un fondo comune per la costruzione di un campo minato sito nelle adiacenze del locale. “Avremo mine anticarro di ultima generazione, mine antiuomo a scoppio immediato, mine anticomuniste che se pestate cantano faccetta nera” queste le dichiarazioni del portavoce del gruppo di cittadini. Inutile dire come la cosa abbia avuto ripercussioni su tutta la popolazione autoctona che, nel deliquio generale, ha preteso la costruzione di un mausoleo alla memoria dei sopracitati partigiani del buon costume “affinchè possano ricordare con chiarezza chi sono e da dove vengono (alla faccia dell’Alzheimer)”. L’amministrazione locale ga-

L’araldo nero traduzione di Teodoro Carrera e Simone Mattoli

Los heraldos negros di Cesar Vallejo

Ahi, sferzate nella vita, così forti... Io non so! Sferzate, come nate dall’odio di Dio, quasi davanti a loro la risacca di tutto il sofferto facesse pozza nell’anima... Io non so!

Hay golpes en la vida, tan fuertes... ¡Yo no sé! Golpe como de l’odio de Dios; como si ante ellos, la resaca de todo lo sufrido se empozara en el alma... ¡Yo no sé!

Son pochi, ma sono... aprono fauci oscure nel più feroce dei volti e nei più robusti torsi li diresti di un’orda di barbarico attila; o gli araldi neri che la Morte ci invia.

Son pocos; però son... Abren zanjas obscuras en el rostro más fiero e nel lomo más fuerte. Serán talvez los potros de bárbaros atilas; o los heraldos negros que nos manda la Muerte.

Son le alte cadute dei Cristi dell’anima di alcunché di adorabile che il Destino bestemmia quelle sferze sanguinanti son le crepitazioni di qualche pane che a bruciarsi in forno ci si nega.

Son las caidas hondas de los Cristos del alma de alguna fe adorable que el Destino blasfema. Esos golpes sangrientos son las crepitaciones de algún pan que en la puerta del horno se nos quema.

E l’uomo... povero... povero! Lui gira gli occhi intorno, come quando sopra le spalle una mano ci chiama. Gira gli occhi pazzi e tutto il vissuto diventa una pozza stagnante, una discarica di colpa [per tutto lo sguardo.

Y el hombre... Pobre... Pobre! Vuelve los ojos, como cuando por sobre el hombro nos llama una palmada; vuelve los ojos locos, y todo lo vivido se empoza, como charco de culpa, en la mirada.

Ci sono dure sferzate nella vita... Io non so!

Hay golpes en la vida, tan fuertes... ¡Yo no sé!

ribaldinamente ha risposto “Obbedisco”. Da rilevare inoltre la piena solidarietà dell’Arci, il quale in segno di protesta ha proclamato l’apertura mattutina e pomeridiana, il ribasso del prezzo del caffè espresso, l’omaggio di un cuba libre ogni due, birra a fiumi, montagne di salatini, l’elisir dell’eterna giovinezza e una notte di fuoco con Mercedes Bresso per ogni venti euro di consumazione. Il gestore, intervistato sulla vicenda, ha commentato tra l’ilarità generale: “Ci dispiace davvero per la chiusura del Sotto, ma noi resisteremo anche per loro”. L’onda lunga della notizia è addirittura arrivata fino a Milano1 dove il governatore Bettino Berlusconi ha proposto, come via di risoluzione della controversia, un referendum dal titolo “Dario o Barabba?”. E intanto è scesa la nebbia. Il Piccolo Esteta

Reg. Trib. PV n°594 - Stampa: Cooperativa Sociale “Il Giovane Artigiano”, Pavia - Chiuso in Redazione 7-2-2006 - Tiratura 2000 copie - 2006, Alcuni diritti riservati (Attribuzione–NonCommerciale–Condividi allo stesso modo)

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sottovento? no, sotto inchiesta

cronache Non di solo terziario

nepotista, miope, arrembante, pusillanime e priva di etica che, a fronte delle difficoltà presenti in tutta Europa, ha preferito capitalizzare con la finanza sottotassata e delocalizzare dove la manodopera è più debole e quindi sottopagata e sfruttata. E i risultati si sono visti: capitali sottratti alla ricerca, perdita di capacità innovativa, dismissione persino di attività funzionanti, in attivo, come è avvenuto anche a Pavia, senza preoccupazione alcuna per la responsabilità sociale dell’impresa, quelle centinaia di posti

di lavoro volati via. Non è facile dire cosa accadrà, chi dovrebbe intervenire e chi lo può fare realisticamente. Ciò che è certo è che la competizione non può essere fatta sul terreno dell’abbassamento dei diritti dei lavoratori, alla rincorsa di paesi dall’economia selvaggia senza legge e senza dignità come la Cina e l’India. Noi in Europa conosciamo già quella fase del capitalismo, la fase dell’ascesa forsennata che si alimenta dello sfruttamento indiscriminato della manodopera. La conosciamo già, l’abbiamo già passata e

riequilibrata con una battaglia sociale durissima che non può essere dimenticata. No, non è quella la strada da seguire, ma è quella contraria. E’ la strada dell’allargamento dei diritti su scala planetaria, anche con il ricatto se necessario, facendo pesare sul bisogno di investimenti di questi paesi la richiesta di maggiori tutele salariali e di condizioni di lavoro. Perché sia chiaro che l’industria non è solo impresa fatta per il profitto di pochi, ma anche strumento attraverso cui si costruisce civiltà. Matteo Canevari

L’Inchiesta

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S.N.I.A.

lo scopo di effettuare dei trasporti oceanici. Prima di questa data, a Pavia, era già attiva una fabbrica chiamata “Viscosa Pavia” che produceva seta artificiale. Il cambiamento di nome della SNIA in “Società di navigazione industria e commercio” e l’ingresso in società di Alberto Fassini, principale imprenditore della viscosa in Italia, hanno determinato un’inversione di rotta: nel 1920 la fabbrica pavese venne acquisita e cambiò il suo nome in “SNIA Viscosa”. Pochi sanno che Gualino era socio fondatore anche della FIAT di Agnelli. Questo sodalizio, partito da una forte amicizia, ha determinato la nascita dei due gruppi che, più di tutti, hanno tolto i contadini dalle campagne, per chiuderli nelle fabbriche. Rastrellando persone da tutta la provincia, incrementando la popolazione cittadina, la SNIA ha dato ricchezza economica, chiudendo in fabbrica dalla

mattina alla sera i lavoratori che d’inverno non vedevano neanche la luce del sole. Di fatto quella era una cittadina a tutti gli effetti, con case per i dipendenti, asili dove mettere i bambini e tutto il resto. La progressiva crisi della società torinese, con la conseguente diminuzione degli affari (dovuta anche al fatto che sia Agnelli, sia Gualino hanno lasciato la società), ha provocato una vera catastrofe, licenziando un gran numero di persone. Ma c’è un’altra faccia della medaglia: le sostanza usate per la produzione della viscosa erano di origine chimica e contaminavano l’ambiente e le persone. Queste sostanze penetravano nella falda acquifera, dando all’acqua pavese quell’odore sulfureo che ancora oggi presente (tuttavia studi universitari dimostrano che l’acqua è potabile). La diffusione nell’aria di sostanze artificiali, provocava quello strano fenomeno chiamato

“Neve Chimica”: nei giorni di pioggia, a causa degli acidi di cui era satura l’aria nell’area della SNIA, le goccioline si trasformavano in vera e propria neve, anche a temperature non vicine allo zero. Si può facilmente comprendere come la SNIA non fosse l’ambiente più sano dove vivere. Molto probabilmente, tuttora, gli immigrati che la occupano, dividendosi un materasso con topi e insetti, sono esposti anche ai residui di sostanze all’epoca usate per la creazione della seta artificiale. Attualmente la SNIA è una delle aree più studiate e controllate di Pavia; sono molte le fotografie scattate ed i filmati girati più o meno legalmente all’interno dell’ex fabbrica. Tanti sono i progetti che attendono di essere approvati per il recupero delle parti ancora dismesse. Non dovrebbe essere lontana la bonifica di tutta la struttura, anche se non si sa con certezza cosa diventerà la vecchia SNIA Viscosa. Matteo Pellegrinuzzi

Noisetier, Septidi, 27 Pluviôse, An CCXIV

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Risvegli d’inverno

Allucinazioni poetiche dalla stanza della Leda Risvegli d’inverno: questo il titolo della raccolta poetica che presentiamo. Scriveva Sandro Penna che “la vita è…ricordarsi di un risveglio”, ma cos’è un risveglio? Mah, forse banalmente la mattina, la primavera, un nuovo sole, una partenza? Ma esistono anche risvegli diversi, senza tempo né spazio, risvegli freddi, di una nebbia che disorienta e paralizza; lì “la melodia d’esordio stride col sottofondo di suoni sconnessi che ci accompagna; e non possiamo che interrogarci sul come e sul quando”: questi i risvegli d’inverno del giovane Simone Aliprandi, puntuali cornici emotive del suo progetto letterario. Un poeta che qui si sperimenta attore e spettatore delle proprie allucinazioni poetiche, che inscenano, ora in veste di improvvisate recite, ora di deliranti visioni, l’eterno e mai sanato conflitto tra intelletto e potenza dei sensi. Così, la manifestazione del risveglio, come a teatro, si esplica e si dispiega in più atti. Come ovattato da un ragionevole sonno, il poeta prende inizialmente coscienza di sé, si scruta, quasi da lontano, e comprende la propria dimensione di uomo relegato entro confini stretti, frustrato dall’impossibilità di valicarli. Si risvegliano sensazioni accantonate, e formicola sotto pelle ciò che Aliprandi definisce “substrato emozionale”. Proprio emozioni “effimere, ma irrinunciabili”, alcune più in superficie nate da poco, altre da tempo depositatesi a fondo, pongono al poeta un’alternativa “al freddo abbandonarsi al ciclo del sonno”. Lui non solo vi si abbandona, ma ne viene completamente travolto, fino a cedere all’impeto dei sensi contro cui la ragione nulla può più. Il poeta dunque, dando sfogo ai suoi inverni più reconditi e dolorosi, compie un iter emozionale culminante nelle tredici poesie Cristalli di neve per bionde creature. Qui dimen-

tica per un momento i freddi paesaggi della propria anima, anzi li trasforma in cristalli, in gioielli per la sua giovane musa la cui chioma è dorata come il sole, come il grano. Con lei scopre territori lontani e assapora profumi esotici, con lei “audace e curiosa creatura” intreccia il più pericoloso dei giochi, quello dei sensi; l’incosciente fanciulla è una piccola strega che ammalia il poeta fino a renderlo “inerme e tremante a subire i suoi intenti”. E sebbene consapevole della sconfitta che li attende entrambi, non può più fare a meno degli incantesimi e delle pozioni di lei, divenuta ormai “sua inevitabile droga sintetica”. Le poesie di Simone Aliprandi ci coinvolgono, poiché rivisitano con forza visionaria i drammi, i desideri e le contraddizioni dell’uomo di oggi, che come quello di ieri, ha paura di sé, delle proprie fragilità, dei propri sentimenti, ma al contempo anela all’infinito, all’eterno, perché vorrebbe diventare Dio. Arricchito dalle pregevoli illustrazioni di Pier Antonio Manca, Risvegli d’inverno è un dono prezioso per coloro che non smettono mai di interrogarsi sulla vita e che coraggiosamente scelgono talvolta di perdersi in se stessi, pur rischiando di risvegliarsi in una realtà che fa ancora più paura di prima. Risvegli d’inverno è anche un’ottima occasione di riflessione per tutti i “giovani illusi” come il protagonista delle poesie; egli è sì in balia di sé e dell’incerto, ma non dispera, sa che il letargo contemplativo o il risveglio terrificante non saranno mai le eterne prigioni della sua anima, poiché esiste un rifugio, una via di salvezza nei suoi sogni abbaglianti, in quel brillare di occhi che ancora una volta lo inducono “a seguire quella goccia di linfa sgorgata dal solito ramo di spine.” Sara Pozzoni

I disegni in questo numero sono di Angelo Rindone - Hacker Art www.inventati.org/hackeralbum La vignetta in questo numero è di Matteo Amighetti Le foto di seconda pagina sono state scaricate da Flickr - http://www.flickr.com - foto di Esther G e da http://www.ceha-madeira.net Le foto di quarta pagina sono di M.S./A.F.A.&G.

Sottovento sotto la bufera Giovedì 2 febbraio ha avuto luogo una conferenza stampa indetta dal locale Sottovento con collaborazione del Circolo Arci di via Siro Comi. Tema, il processo da celebrare il 14 febbraio con da una parte i gestori del Sottovento e dall’altra alcuni cittadini oppostisi, con ricorso al TAR, al

tentativo dei gestori di risolvere non per vie legali la controversia sull’inquinamento acustico prodotto dai ragazzi uscenti dal locale la sera. I gestori dichiarano di aver sempre cercato il dialogo per tutelare la quiete dei vicini, progettando nuovi lavori per insonorizzare le pareti e invitando

i clienti a non sostare davanti al locale. Chiedono un punto di incontro con le istituzioni per tutelare le attività dei giovani, sottolineando che questi posti sono occasione di incontro e di cultura, e non devono essere allontanati dal centro di una città che vive per gli studenti.

ronstadt periodico bimensile Numero 21 www.kronstadt.it [email protected]

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