Kronstadt 30

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k ronstadt 30 © Massimo Ghimmy

periodico mensile Numero 30 Lunedì 12 Febbraio 2007

uterine arroganti provocatrici

Lettera aperta ai Residenti di via Siro Comi

La violenza sulle donne La violenza esercitata da uomini sulle donne è un problema estremamente grave e complesso tutt’oggi globalmente esteso (è la prima causa di morte per le donne nel mondo) ma purtroppo ancora sottovalutato a causa di falsi stereotipi e pregiudizi. Dunque è molto importante conoscere ed approfondire ogni aspetto del fenomeno attraverso una corretta informazione. Anzitutto la violenza sulle donne è, di fatto, ogni abuso di potere e controllo attuato mediante il sopruso fisico, sessuale, psicologico ed

economico. La violenza sulle donne è inoltre il prodotto di una cultura maschile che legittima un ruolo di potere sociale consolidato che si manifesta attraverso rapporti di potere storicamente disuguali tra i generi. Si tratta di un problema che riguarda tutti, uomini e donne di ogni età, nazionalità e classe sociale. L’elaborazione dei dati dei centri antiviolenza ha dimostrato che, al contrario di ciò che si pensa comunemente, gli uomini violenti con le donne non presentano proble...continua a pagina cinque

E così Radio Aut ha riaperto i battenti. Una chiusura durata dieci serate. La sempreverde Provincia Pavese ha titolato: “è la vittoria dei ragazzi!”. E mò che minchia dobbiamo rispondere, “abbiamo battuto i grandi”? No, dei “ragazzi” come li intende la Provincia non riescono a montare da soli un’attività -senza soldi, e senza che nessuno regali nullasolo col loro cervello e il loro lavoro non retribuito (forse in questo sono dei ragazzi, se per ragazzi si vuole intendere “fessi”), sciroppandosi una pigna di procedure burocratiche da cui tanti che hanno cercato di mettere in piedi un’onesta piccola attività sono stati bloccati. Dei ragazzi non costringono

una Giunta comunale a fare gli straordinari e far marcia indietro su un esposto firmato dal Sindaco in una manciata di giorni. Ci vogliono degli attivisti, con le idee chiare sul loro lavoro e piena coscienza dei loro diritti. E sono quindi abbastanza adulti da riconoscere e tutelare i diritti degli altri, quando ne abbiano la possibilità. Perché le tre famiglie residenti in via non hanno mai cercato coi gestori un dialogo diverso dagli esposti legali o dalla candeggina lanciata dall’alto sui giubbotti (indossati)? Dei lavoratori -non dei “ragazzi”- hanno preso via Siro Comi, un vicolo buio e angusto, e ne hanno dato un grande valore ...continua a pagina otto

Kronstadt contro la violenza di genere Nelle nostre moderne democrazie liberali da tempo sono riconosciuti e promossi i diritti civili fondamentali. La parità tra i sessi è inclusa nei princìpi generali dalla Costituzione della Repubblica Italiana e nel corso dello scorso secolo molti passi in avanti si sono fatti perché il diritto fondamentale delle donne di essere componente integrante ed attiva in ogni parte della società fosse riconosciuto nella realtà e non solo sulla carta. La riconsiderazione e l’emancipazione del ruolo della donna ha portato ad una profonda e positiva rivoluzione nella società odierna. I cambiamenti avvenuti nelle sfere del lavoro, della famiglia e dei rapporti sociali in genere non hanno però portato ad un radicale cambiamento nella sfera del sentire condiviso di larghi strati della società; in particolare nella mentalità maschile. Le statistiche e la cronaca di ogni giorno purtroppo evidenziano numerose situazioni di barbara sottomissione fisica e mentale attuata da uomini su donne. Eppure il sentire comune della maggioranza dell’opinione pubblica non accetta e non legittima questi episodi. Siamo convinti della necessità di portare avanti e completare il percorso dell’emancipazione femminile. Il completamento di questo percorso nel mondo della famiglia, del lavoro, della politica necessita di una totale rivoluzione nella mentalità maschile, affinché l’emancipazione femminile come messa in discussione del proprio ruolo in società non sia respinta con violento sciovinismo. Siamo convinti che il mezzo per il riconoscimento totale e concreto dei diritti politici e sociali dell’uomo, per evitare la trappola dello “scontro di civiltà”, per costruire una società che tragga forza dalle diversità e non sia disgregata dal pregiudizio, sia la diffusione di una mentalità di tolleranza, rispetto ed accettazione reciproca. A cominciare da un rapporto fondamentale come quello fra donna e uomo. La redazione

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periodico mensile Numero 30 Lunedì 12 Febbraio 2007

http://kronstadt.splinder.com

La Gaia scienza

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Parità e cultura dei sentimenti

La morte violenta I tribunali Statunitensi proibiscono che un detenuto venga sottoposto a punizioni che “causino sofferenza gratuita e non necessaria, tortura o agonia, e comunque non in accordo con la dignità dell’uomo”. Lo scorso Dicembre, a seguito dell’iniezione letale, il condannato a morte portoricano Angel Nieves Diaz ha vissuto circa mezz’ora di agonia, durante la quale il suo torace è andato incontro a spasmi, mentre i suoi occhi si aprivano e si chiudevano davanti alla sparuta platea di testimoni. Nel tempo l’iniezione letale ha soppiantato qualsiasi altro metodo di esecuzione a causa della pubblica percezione che tale metodo sia relativamente “umano”. Sfortunatamente a volte qualcosa va storto, ed oltre a causare la morte -consuetudine di per sé aberrante- i rappresentanti della legge procurano persino una morte violenta. L’iniezione consiste di norma nella somministrazione sequenziale di tre farmaci: un anestetico (il Sodio Pentothal), un agente paralizzante (il Pavulon) che porta al blocco della respirazione, ed infine il Cloruro di Potassio per indurre l’arresto cardiaco. Senza la somministrazione dell’anestetico, la persona condannata andrebbe incontro, attraverso spasmi raccapriccianti, ad asfissia seguita da arresto cardiaco, quindi un’anestesia adeguata è necessaria sia per mitigare la sofferenza del condannato, sia per preservare nella pubblica opinione l’idea che l’iniezione letale sia un’esperienza quasi indolore. Purtroppo, l’anestesia durante le esecuzioni non è mai stata oggetto di trials clinici, né di regolamentazione governativa, né tanto meno è un processo standardizzato; inoltre, chi si occupa della preparazione e somministrazione del cocktail di farmaci molto spesso non è personale altamente qualificato (i medici solitamente constatano solo l’avvenuto decesso), cosa che potrebbe portare

ad un “banale” errore umano. Da un paio di anni, questi aspetti sono oggetto di aspro dibattito negli USA, anche se spesso la più genuina osservazione scientifica si combina all’interesse di parte, producendo una pericolosa mescolanza di scienza e politica. L’aspetto forse più inquietante è stato sollevato nel 2005 da uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet, dove veniva sottolineato che durante le esecuzioni attraverso iniezione letale non è mai stato accertato il reale livello di perdita di conoscenza causata dall’anestetico. Semplicemente veniva somministrata una dose ritenuta sufficiente perche` “massiccia”. Secondo i dati raccolti nello studio, gli autori suggeriscono che qualcuno dei condannati potesse essere almeno parzialmente consapevole: nei casi analizzati non c’è certezza che i condannati fossero completamente privi di sensi, anche perché l’agente paralizzante impedisce comunque l’esternazione di qualsiasi sofferenza, a meno che non sia uno spasmo evidente. È ovvio, infine, che si dovrebbe almeno tener conto dello stato di salute di ciascun individuo, e valutare come una persona potrebbe rispondere ad un determinato trattamento. Ma forse per un uomo morto che cammina questo è un lusso eccessivo. A morte avvenuta, Jeb Bush ha dichiarato che “Diaz soffriva di problemi al fegato e questo ha reso necessaria un’esecuzione più lunga del solito, ma il protocollo procedurale è stato totalmente rispettato”. God bless America. Alessio Vagnoni, da Londra

Per approfondire: http://nmrepeal.org/Documents/LancetArticle.pdf The Lancet, 2005; 366 (9491):1073-76 http://servicios.vlex.com/ archivos//1_3/im_1_3_ 19427882_in1.pdf

Digit@l point RILEGATURA TESI DI LAUREA STAMPA DIGITALE

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via S. Agostino n.4 27100 PAVIA Tel. 0382.309568 [email protected]

Riconoscere due modelli di rappresentazione della realtà, il maschile e il femminile, non significa concettualizzare in modo rigido e statico le differenze di genere. È riduttivo pensare che la dimensione biologica definisca l’essere degli uomini e l’essere delle donne. Se il sesso è una dimensione biologica, il genere è invece culturalmente costruito, e l’essere uomo e l’essere donna hanno un significato diverso a seconda della cultura a cui apparteniamo. In ognuno di noi esiste una parte maschile e una parte femminile, la scommessa è riuscire a creare un equilibrio tra le due.

ti Uniti, però, accadde un fatto che ancora oggi viene commemorato: l’8 marzo 1908 un gruppo di donne che avevano occupato uno stabilimento tessile morirono in un incendio. Nel 1910 a Copenhagen il primo Congresso Internazionale Femminile proclamò l’8 marzo Giornata Nazionale della donna. In Italia il movimento per i diritti delle donne nacque in ritardo rispetto ad altri paesi. Quando la rivoluzione industriale, alla fine del secolo scorso, cominciò ad occupare come forza lavoro anche le

Aladino Foto

Foto di laurea Sviluppo e stampa in 30 minuti Servizi matrimoniali Foto digitali in 30 minuti Corso Cavour, 16A 27100 Pavia Tel/Fax 0382/33866 Pagine di storia Da un punto di vista storico, la prima ondata di femminismo aveva unito le donne in quanto ugualmente discriminate, e proponeva un’uguaglianza sia in campo civile che in campo politico-sociale. Le donne chiedevano con forza il diritto al voto, all’istruzione, al lavoro, alla proprietà. Il movimento femminista è nato durante la rivoluzione francese, quando Olympe de Douges presentò al governo rivoluzionario una Dichiarazione dei diritti delle donne; contemporaneamente, in Inghilterra, Mary Wollstonecraft scriveva Vindication of the Rights of Woman con analogo contenuto. Nacque così il movimento delle suffraggette, molto attivo in Inghilterra, che si batteva per il diritto al voto delle donne, che fu ottenuto nel 1918. Anche negli Stati Uniti il movimento delle donne fu attivissimo e mai violento, al contrario delle suffraggette che arrivarono a dar fuoco a negozi ed edifici pubblici. Proprio negli Sta-

donne, si posero problemi quali l’orario di lavoro, da conciliare con il lavoro casalingo, e la tutela della maternità. Si formarono così dei gruppi femminili, all’inizio costituiti per lo più da donne della borghesia. In seguito si unirono a loro anche movimenti di donne socialiste. Pioniere del movimento per i diritti della donna furono, tra le altre, Anna Maria Mozzoni, Sibilla Aleramo con il suo libro autobiografico Una donna ed Anna Kuliscioff. Alcune delle tappe fondamentali del cambiamento di condizione delle donne nella società italiana furono: il diritto di voto ottenuto nel 1945, la legge 1204/71 sulla tutela delle lavoratrici madri; la legge 151/75 recante il nuovo diritto di famiglia; la legge sul divorzio del 1970 poi confermata dal referendum popolare del 1974; la legge 903/77 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro; la legge 194/78 sull’interruzione volontaria della gravidanza. È da notare che ancora oggi in

alcuni paesi, quali il Kuwait, l’Arabia Saudita, la Giordania, le donne non hanno diritto al voto. Le donne, durante questa dura lotta per l’indipendenza e il riconoscimento di una propria dignità, hanno spesso commesso l’errore di identificarsi con il modello maschile, ma in questo modo si sono aperte le prime divergenze: non tutte le donne desiderano imitare gli uomini. Inoltre, alcune donne emancipandosi hanno replicato gli stessi giochi di potere degli uomini. Pensieri di cambiamento e rivoluzione quotidiana Il nostro dovere oggi è quello di costruire una nuova alleanza tra donne, che non vuol dire opposizione al maschile, ma ricerca di dialogo, di incontro, di integrazione e di equilibrio tra la parte maschile e femminile che c’è fuori e in ognuno di noi. Non possiamo pretendere che gli uomini cambino per noi, ma dobbiamo essere noi a dar vita a questo cambiamento. Attraverso un’analisi di autocoscienza, singola e collettiva, dobbiamo liberarci dai modelli maschili, scoprire un nuovo modo di interpretare il mondo e batterci per affermare con forza la specificità dell’identità. Il principio di uguaglianza tra i sessi oggi si riveste della parola “parità”. Il suo obiettivo è che i due sessi condividano i luoghi del potere, che la loro compresenza, scolastica e culturale, sia una compresenza di potere decisionale e di responsabilità. Non è sufficiente avere il potere per essere democratici; bisogna dividere il potere. Questa è l’idea-forza che sostiene la lotta per la parità. Una parità che inizia prima di tutto fra le mura domestiche, nel rapporto tra i coniugi e nell’educazione dei figli. Personalmente credo che nella realizzazione di un progetto di tale portata un ruolo fondamentale è quello che deve essere svolto in primo luogo dalle madri, nell’indirizzare l’educazione dei figli, maschi in modo particolare, verso una cultura dei sentimenti (forse troppo femminili? “uterine”, come dicono ancora oggi in molti!) e dell’accettazione di quella parte femminile che spesso tendono a nascondere e sopprimere. Nella ricerca di un equilibrio tra maschile e femminile che permetterebbe a molti di loro di aprirsi, di accogliere e di ascoltare realmente un universo che, ancora alle soglie del terzo millenio, è poco conosciuto e genera paura. L.A.

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periodico mensile Numero 30 Lunedì 12 Febbraio 2007

Zinni si incazza Una finestra sulle gallerie d’arte - seconda parte -

Nell’articolo pubblicato sul numero precedente avevamo elencato alcuni punti importanti su come potrebbero essere e presentarsi le gallerie d’arte al giorno d’oggi e come ci si potrebbe aspettare che il pubblico reagisca. Analizziamo ora la situazione reale. Le gallerie trattano di arte antica, moderna e contemporanea. Anche se si può essere portati a pensare il contrario, quelle che si dedicano alla prima non sono molte. L’arte antica rappresenta un mercato nettamente minore, costellato da frequentissimi episodi di falsificazione. Il mercato del falso è organizzato: laboratori specializzati che dispongono di artisti e artigiani abilissimi, distribuzioni e “spaccio” con clienti mirati. Inoltre le opere non vengono necessariamente attribuite, tant’è che oltre agli autori famosi vengono scoperti interessantissimi anonimi dei secoli precedenti. Anche l’arte contemporanea è “arricchita” dai falsi, ma in maniera minore e più rischiosa: gli autori sono ancora vivi e attivi, quindi diciamo che “qualcosa possono fare” per contrastare chi lucra sul nome altrui. Ma torniamo a ricordare cosa sono le gallerie. Molti opinionisti sono d’accordo sul fatto che fino agli anni 70 (consideriamo come limite il boom del mercato dell’arte degli anni 80) aprire una galleria era una possibilità alla portata del cittadino benestante e tali attività venivano intraprese dai coraggiosi con tanta passione

che ritenevano di avere intùito e preparazione e amavano trattare con artisti e altri operatori. Nel giro di pochi anni molti fattori hanno relegato tale attività a gente più o meno facoltosa. Uno dei motivi principali può essere la febbricitante lievitazione dei prezzi delle opere degli artisti affermati: il gallerista, come tutte le persone all’interno dei meccanismi, è stato portato, più o meno lentamente, ad ambire al mercato dei prezzi alti. Ricordiamoci che un buon modo di far mercato è quello di piazzare il minor numero di articoli al maggior prezzo possibile. Oltre alla rete di contatti, si è quindi fatta difficile la possibilità di aver in mano la “merce che vale”. Al tempo stesso viene meno il desiderio eroico e filantropico, ritenuto addirittura autolesionista da alcuni, di trattare gli artisti giovani o, peggio, i “nessuno”. Quello economico diventa l’unico discorso. La macchina inizia a muoversi per mezzo del denaro. E tutti, nessuno escluso, vogliono salirci. Le attività culturali, gli spazi improvvisati, gli allestimenti in luoghi alternativi non vengono presi

in considerazione dalla critica, dalla stampa ecc... ma non per questo tali esposizioni e performance sono da meno! Allora perché tale distinzione? Un modo per rispondere potrebbe essere questo: la necessità di creare uno o più insiemi per decidere chi è dentro o fuori è forse presente in tutti i settori e in tutte le situazioni lavorative o sociali. Ma gli agenti artefici della creazione di tali limiti sono, tanto o poco, meritocratici. Dobbiamo davvero riconoscere che per “essere accettato”, anziché la preparazione e il valore dei contenuti della proposta, l’artista debba prendere in considerazione solo e unicamente l’entità dei finanziamenti e il rilievo sociale di cui può disporre? Chi vi scrive è Nicola Zinni, giovane pittore, e vi ricorda che chi vinse scrisse la storia; chi la compra vi entra, ma con un po’ di necessaria ironia vi dice anche che per vedere le mutande alle ragazze prima bisognava alzare loro la gonna, ora bisogna aprire loro le chiappe. Come appare chiaro, negli ultimi anni i fenomeni negativi non sono gli unici riscontrati! www.zinni.it www.zinnisiincazza. splinder.com

L’era del diritto & il delitto della vita Nelle scorse settimane è balzato alle cronache l’argomento noto come “caso Welby”. Convinto che ogni lettore sia mediamente informato, senza dilungarmi in un inutile preludio, passo al dunque. Dunque: ciò che mi ha infastidito non è stato il solito tamtam politico religioso che si è scatenato, ma piuttosto la strumentalizzazione becera e fuorviante che si è creata di riflesso. Ciò che avrei desiderato leggere e ascoltare sarebbe stata una seria e approfondita discussione circa il limite giuridicamente e ragionevolmente imponibile alla medicina e al corpo dei medici medicei, ogni qualvolta si vorrebbe strappare una vita al corso degli eventi. Sorrido infatti quando sento dichiarare al prelato di turno che la vita è un dono di Dio e che l’uomo non ha il diritto di esprimersi. Alla necessità di queste

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Lupus infibula...

cariche di far corrispondere la natura delle cose alla volontà divina, vorrei tanto rispondere che ogni qual volta ci sottoponiamo ad una cura più o meno radicale stiamo ragionevolmente influendo sulla natura delle cose e quindi, chiudendo il cerchio, sulla volontà divina. Bisognerebbe negare la cristianità della medicina stessa. E rido. Piango invece quando noto per l’ennesima volta un vuoto culturale e politico aberrante, rappresentato da personaggi illustri, soliti schierarsi da una o dall’altra parte della barricata. Una politica sterile che si è esprime in relazione all’opinione scontata del popolo, senza avere opinioni in grado di influire realmente sul popolo. Per contro rido di gusto nell’impressione che la medicina, complice la tecnologia, cominci a considerarsi a sua volta soprannaturale, onnipotente e

infallibile, a tal punto da voler a tutti i costi salvare una vita, senza garantirne una vera, nella volontà di affermarsi come salvifica. Ricordo che nel caso in questione il malato si era da tempo espresso chiaramente e razionalmente, anche in conseguenza dei danni emotivi, sociali ed economici che da troppo tempo riversava sulle persone che lo accudivano: una compagna fedele e pronta al sacrificio che ha rinunciato ad una vita libera per il vero amore. Non si è trattato di eutanasia in questo caso. Bensì di accanimento terapeutico. Quello che si è perpetuato nei giorni, nei mesi e negli anni è stato uno dei tanti duplici, se non plurimi, delitti giuridicamente accettati e tutelati. Punto, a capo, lettera maiuscola. Onore ai Caduti perché di Essi è il Regno della Ragione. Matteo Bertani

FGM: una pratica perpetrata in nome delle tradizioni In questi ultimi anni molteplici sono stati gli sforzi internazionali per combattere e sradicare la mutilazione genitale femminile (FGM o infibulazione) e importanti sono stati i risultati concreti raggiunti. Si pensi alla Legge italiana 09/01/2006 n.7 recante “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile” e al progetto finanziato dal Ministero degli Esteri attraverso la Cooperazione italiana, che vede in prima fila l’UNICEF insieme a Non c’è Pace Senza Giustizia, AIDOS, Tostan ed altre organizzazioni in un’azione destinata all’Africa Subsahariana. Il più importante successo arriva con la ratifica del Protocollo di Maputo, entrato in vigore il 29 novembre 2005 e approvato da ben 16 paesi del continente africano. Nell’art.5 il Protocollo condanna ogni forma di mutilazione sessuale e ne vieta la pratica. La sua convalida rappresenta senza dubbio un passo decisivo contro le discriminazioni di genere. Joan Scott in Gender and the politics of history scrive che il genere è il primo stadio in cui si manifesta il potere, ha dunque da sempre rappresentato la struttura gerarchica in cui la donna è in condizione subalterna. Per molti paesi africani e non solo la posizione degli organi genitali femminili, all’interno del corpo, individua l’inferiorità della donna rispetto all’uomo, giudicata un “errore naturale”. La mutilazione viene dunque ritenuta un efficace metodo di controllo dell’uomo sulla donna, in quanto la priva della propria sessualità e quindi anche della propria femminilità. Gli organi femminili vengono visti come qualcosa di impuro e, quindi, da mutilare. Le ragioni di questa barbaria sono dunque molteplici: sessuali, culturali, estetiche e religiose. È importante ricordare che l’infibulazione non si identifica come un aspetto della tradizione islamica. Si tratta infatti di una pratica trasmessa anche tra popolazioni cristiane, animiste, ebraiche e falasha (ebrei etiopi). È una pratica antichissima, rituale, diffusa in 28 paesi africani e in Estremo Oriente. Ogni giorno 6 mila bambine subiscono l’infibulazione (ol-

tre ai 130-132 milioni di donne che le hanno già subite). L’età delle vittime dipende da vari fattori come il paese di origine o il gruppo etnico di appartenenza. Nella maggior parte dei casi l’età è compresa tra i quattro e gli otto anni ma per esempio in Tigrai l’amputazione è praticata solo sette giorni dopo la nascita. L’Organizzazione Mondiale della Sanità distingue quattro tipi di mutilazioni genitali femminili: -la clitoridectomia o circoncisione in cui viene tolta tutta o parte della clitoride; -l’escissione che prevede l’asportazione della clitoride e delle piccole labbra; -l’infibulazione o circoncisione faraonica che è la forma più devastante e altamente pericolosa, in cui viene eseguita la clitoridectomia, l’escissione e il raschiamento delle grandi labbra poi ricucite così che ricoprano quasi completamente l’apertura della vagina; -pratiche atte a manipolare gli organi genitali femminili. Come si può immaginare queste operazioni comportano moltissimi rischi per la salute delle donne, operazioni che spesso vengono effettuate da persone incompetenti e senza alcuna misura igienica. Inoltre gli “strumenti da lavoro” sono quasi sempre oggetti pericolosi e dolorosi: per la mutilazione vengono usati vetri rotti, coperchi di lattine e rasoi; mentre per favorire la cicatrizzazione viene applicata una pasta a base di erbe, latte, uova, cenere e sterco. Infezioni, emorragie, rapporti sessuali dolorosi sono le conseguenze fisiche più diffuse di queste tradizioni tribali radicate. Per non parlare delle conseguenze psicologiche, danni permanenti per queste donne per sempre private della propria sessualità. Sara Faggiano Per approfondire l’argomento: www.stopfgm.org www.dirittiumani.donne. aidos.it

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nb: la statuina sta bene, ma non abbiamo ancora visto il riscatto...

cronache

Untura moderna E finalmente un’intervista per la mia rubrica Il termine Casalinga di Voghera “è un’espressione popolare, assai comune nel giornalismo, che vuole rappresentare quella fascia della popolazione italiana dal basso livello di istruzione e che possiede un lavoro generalmente molto semplice o umile, tuttavia “rispettabile” per il suo senso pratico di stampo tradizionale. Di rado viene utilizzata in senso dispregiativo, altre volte è usata come sinonimo di saggezza popolare” (fonte Wikipedia). Dal 1996 esiste una Associazione, recentemente premiata dalla RAI con una statua dedicata, con sede a Voghera, che le rappresenta; attualmente conta circa 60 iscritte, anche se in passato ha superato il centinaio di aderenti. Nel tentativo di scoprire qualcosa in più su questa Associazione, ho intervistato la signora Paola Zanin che attualmente ricopre la carica di presidentessa. Come è nata l’idea di creare l’Associazione “Le Casalinghe di Voghera”? Una decina di anni fa, io ed un gruppo di amiche, abbiamo partecipato a diverse trasmissioni televisive (Target e Maurizio Costanzo Show, n.d.r.) durante le quali ci veniva spesso suggerito di riunirci in una Associazione al fine di dare voce alla nostra categoria, e così… Di preciso, quali sono gli scopi della vostra Associazione? Il nostro scopo principale è quello di liberare la casalinga dalla quotidianità, evitando che si isoli e favorendo il confronto con gli altri. Per questo motivo abbiamo organizzato una serie di incontri con degli esperti per parlare di salute, di risparmio energetico, di nutrizione, di dermatologia… E poi, quando capita, ci ritroviamo al bar per bere un caffè e parlare di quello che succede. A proposito di libertà che cosa pensa delle donne musulmane che sono costrette a portare il burqa? Il problema principale non è tanto il burqa in sé, ma la totale sottomissione all’uomo. È questo che noi non condividiamo. E poi negli anni sessanta ricordo che mia mamma andava in giro con il foulard, eppure non le ha mai detto niente nessuno. Che cosa pensa del Manifesto spagnolo in appoggio alla Legge contro la Violenza di Genere? A dire il vero non ne conoscevo l’esistenza, ma non pos-

so che appoggiarlo; credo che oggi noi donne siamo molto più libere di quanto lo fossimo cinquant’anni fa, ma bisogna fare ancora molto, perché gli episodi di violenza contro le donne sono ancora troppi. Parlando di casalinghe, cosa è stato fatto per voi dalle Istituzioni? Allora, negli ultimi anni è stata istituita una assicurazione che avrebbe coperto gli infortuni domestici che causavano una disabilità superiore al 33% (legge del 3 dicembre 1999 n.493, n.d.r.); nonostante il limite ci sembrasse ridicolo perché disponeva il risarcimento solo in caso di infortuni molto gravi (la perdita totale del pollice crea una disabilità del 28%, n.d.r.) abbiamo aderito tutte perché, essendo il primo passo, era necessario incoraggiarlo. Ora credo sarebbe utile rivederla ed estendere l’indennizzo anche per infortuni più lievi. Un altro grande passo è stato fatto recentemente (Sentenza della Corte di Cassazione n. 18092 del 12 settembre 2005, n.d.r.) decidendo che, in caso di morte di una casalinga, i parenti hanno diritto ad un risarcimento per la perdita delle prestazioni attinenti alla cura ed assistenza. E invece, che cosa dovrebbero fare? Dovrebbero venire più incontro alle donne che lavorano e che hanno i figli che vanno a scuola. Non si può leggere sui giornali che una mamma, alla quale era stata ridotta la pausa pranzo da 90 a 60 minuti, si è lamentata di non avere il tempo per mangiare e andare a prendere il figlio a scuola. Se i datori di lavoro fanno finta di non capire quante difficoltà hanno queste donne, deve intervenire lo Stato. E poi si dovrebbe pensare al futuro di tutte le casalinghe, a quando saranno anziane, realizzando qualche struttura assistenziale in più. Infine, si è mai pentita di aver scelto di fare la casalinga? Cosa vuoi che ti risponda, assolutamente no. Una volta facevo l’impiegata, poi sono stata messa in cassa integrazione ed infine licenziata. Così ho deciso che mi sarei dedicata interamente alla famiglia. Ora, dopo qualche anno, posso dire di sentirmi molto più libera e serena anche se, purtroppo, l’unico rammarico che ho è quello di non percepire uno stipendio. Ma questa è un’altra battaglia. Ciop

periodico mensile Numero 30 Lunedì 12 Febbraio 2007

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... o vi dobbiamo spedire il suo mignolo???

cronache Inchiesta La violenza sulle donne una metodologia comunemente approvata e consolidata fondata sull’accoglienza protetta e sul rispetto della libertà di scelta della donna. Sono almeno 100 le donne che ogni anno si rivolgono alla Cooperativa per chiedere aiuto ( 228 tra il 2005 e il 2006 ). La maggior parte di queste donne ha figli e non lavora. L’autore delle violenze è nel 66% dei casi il partner, nel 14% è l’ex partner e nel 2% la violenza avviene fuori dalla rete familiare e amicale. Sono inoltre in aumento le donne straniere che vivono situazioni di violenza familiare a causa dell’allontanamento dalla cultura di appartenenza. La Cooperativa LiberaMente sostiene il riconoscimento dei diritti della donna, la riattivazione delle risorse spesso annullate dal maltrattamento e il processo di separazione, sia fisico che relazionale, dal compagno violento. Data la complessità del problema è necessario creare una rete di cooperazione con le istituzioni (servizi sociali, pronto soccorso, medici di base) e le forze dell’ordine che riconosca il fenomeno della violenza di

...continua da pagina uno mi particolari: abuso di alcool, droghe e disturbi psichici. La società , spesso giustifica la disparità dei ruoli all’interno della relazione legittimando così l’atteggiamento violento dell’uomo. Invece è importante affermare che la violenza non è mai giustificabile e che non esiste atteggiamento o provocazione da parte delle donne che renda lecito un comportamento violento o aggressivo da parte degli uomini. A Pavia e nel territorio circostante, come in tante altre città, le donne, in autonomia, hanno costruito reti di sostegno e assistenza per le donne vittime di violenze. Infatti ogni anno si segnalano molti casi di maltrattamento sulle donne soprattutto in ambito familiare. La Cooperativa “LiberaMente – Percorsi di donne contro la violenza” da molti anni è la realtà territoriale più funzionale, attiva e competente nel fornire ascolto, sostegno e informazioni alle donne in difficoltà. La Cooperativa opera all’interno di una rete regionale e nazionale di centri antiviolenza che agiscono secondo

genere in maniera specifica e che attui interventi articolati e adeguati. Recentemente è stato istituito un servizio telefonico su scala nazionale (1522) che segnala alle donne in difficoltà il centro antiviolenza più vicino a loro. Per le donne vittime di violenza sessuale è attivo presso la Clinica Mangiagalli di Milano il servizio “SVS – soccorso violenza sessuale”, tel. 02 57992489. La violenza sulle donne non è un problema solo delle donne. Si tratta di un problema soprattutto maschile ed è tempo che gli uomini si assumano le proprie responsabilità. Ma non basta. Istituzioni, scuole, partiti politici, tutti devono agire per produrre un concreto cambiamento che renda le donne libere dalla violenza e libere di scegliere. E soprattutto libere di vivere la propria diversità di genere. Kavida Foiadelli & Alice Tassan Si ringrazia la Cooperativa LiberaMente Percorsi di donne contro la violenza. Per info [email protected]

DATI SULLA VIOLENZA DI GENERE 2005/2006

i dati sono stati elaborati dall’attivita’ della Cooperativa Liberamente – percorsi di donne contro la violenza DATI RELATIVI ALLE DONNE RESIDENZA NP PAVIA PAESI LIMITROFI LOMELLINA OLTREPO FUORI PROVINCIA 23 Totale

totale 14 75 40 32 44 10% 228

NAZIONALITÀ ITALIANA U.E. EXTRA U.E. con permesso EXTRA U.E. senza permesso Totale

totale percentuale 166 73% 7 3%

3 228

1% 100%

ETA’ non registrato < 18 18 - 27 28 - 37 38 - 47 48 - 57 58 - 67 > 67 Totale

totale 40 3 33 55 54 30 10 3 228

percentuale 19% 1% 14% 25% 23% 13% 4% 1% 100%

SCOLARITÀ NON REGISTRATO NESSUN TITOLO ELEMENTARE MEDIA INFERIORE CORSO PROFESS. MEDIA SUPERIORE LAUREA Totale

totale 81 4 14 41 17 46 25 228

percentuale 36% 2% 6% 18% 7% 20% 11% 100%

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percentuale 6% 33% 18% 14% 19% 100%

23%

DATI RELATIVI AL MALTRATTAMENTO TIPO DI MALTRATTAMENTO NON REGISTRATO FISICO VIOLENZA SESSUALE PSICOLOGICO ECONOMICO ANCHE SUI FIGLI ANCHE SU ALTRI VIOLENZA SESSUALE ABUSO INCESTUOSO VIOLENZA DA PARTNER VIOLENZA DA DATORE DI LAVORO VIOLENZA DA CONOSCIUTO VIOLENZA DA SCONOSCIUTO MOLESTIE SESSUALI NON REGISTRATO OGGETTO DEL MALTRATTAMENTO NON REGISTRATO LA PARTNER MADRE FIGLI/FIGLIE ALTRI/E PARENTI ESTRANEI al nucleo familiare DURATA DEL MALTRATTAMENTO NON REGISTRATO DA MENO DI UN ANNO DA PIU’ ANNI ­

totale 0 124 26 153 59 41 3

percentuale 0% 31% 6% 39% 15% 9% 0%

totale percentuale 1 1% 10 11% 0

0%

6

6%

4 3 69

4% 3% 75%

totale 0 189 2 41 12

percentuale 0 71,3% 0,5% 15,6% 2,9%

7

4,10%

totale 8 44 176

percentuale 4% 19% 77%

DATI RELATIVI AI MALTRATTANTI CHI È NON REGISTRATO MARITO CONVIVENTE FIDANZATO EX MARITO EX CONVIVENTE EX FIDANZATO PADRE MADRE FIGLIO/FIGLIA FRATELLO/SORELLA AMICO DI FAMIGLIA /PARENTE PARTNER GENITORE DATORE DI LAVORO COLLEGA CONOSCENTE SCONOSCIUTO

totale 0 108 49 6 29 4 7 3 2 3 2

percentuale 0% 50% 15% 1% 12% 1% 1% 1% 1% 1% 1%

3 0 0 0 8 4

1% 0% 0% 0% 3% 2%

NAZIONALITÀ NON REGISTRATA ITALIANA U.E. EXTRA U.E. con permesso EXTRA U.E. senza permesso

totale 9 166 3

percentuale 4% 73% 1%

6

20%

4

2%

PROBLEMI totale NON REGISTRATO TOSSICODIPENDENZA ALCOLISMO DISTURBO PSICHIATRICO PRECEDENTE PENALE FAVOREGGIAMENTO PROSTITUZIONE GIOCO NESSUNO

percentuale 89 38% 18 8% 36 16% 8 12

3% 5%

2 6 59

1% 3% 26%

6 Violenza di genere: campagna associativa LiberaMente L’ultima indagine OMS stima che una percentuale compresa tra il 20% e il 70% della popolazione femminile nel mondo abbia subito nel corso della vita una qualche forma di violenza. L’ISTAT stima che siano 250 le donne che quotidianamente subiscono aggressioni da parte di un membro della famiglia. Nel 70% dei casi di donne uccise, la morte è avvenuta per mano del partner o ex partner. Nell’arco della vita il 51% delle donne subisce molestie sessuali. La violenza domestica per le donne di età compresa tra i 16 e 44 anni è la prima causa di morte e invalidità. Prima del cancro, degli incidenti stradali e della guerra. Ogni minuto nel mondo le donne subiscono abusi, sono umiliate,aggredite, picchiate, violentate, sfruttate, uccise, soprattutto dagli uomini che sono loro vicini e, tutto ciò da millenni. In una società civile se la dignità di un soggetto viene negata si sminuisce la propria cultura e civiltà. Nel settembre 2002 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa raccomanda agli Stati Membri di adottare misure di prevenzione, di formazione, di elaborazione di Piani d’Azione Nazionali per contrastare il fenomeno della violenza di genere. Evidenzia quindi come sia un problema di politica sociale correlato alla condizione di svantaggio e discriminazione in cui la donna ancora si trova. La legge spagnola del 2004 prende le mosse da questa indicazione riconoscendo la violenza di genere, finanziando i Centri Antiviolenza, promuovendo la creazione di una Rete interministeriale (Pari Opportunità, Giustizia, Salute, Interno, Pubblica Istruzione) e Centri Antiviolenza. In Italia invece nel corso dell’ultimo anno ciò che attiene alle politiche di genere è stato oggetto delle cronache: dai nuovi e reiterati attacchi alla Legge 194 sull’interruzione di gravidanza, al funzionamento dei consultori, all’approvazione della legge sull’affido condiviso, passata nel silenzio soprattutto per le conseguenze rispetto alle donne vittime di violenza domestica. Le leggi che hanno riguardato la violenza contro le donne sono insieme punitive ed assistenziali, considerando così le donne soggetti deboli. Ma le donne che scelgono di uscire dalla violenza non sono deboli e non sono sole. Esistono in Italia i centri Antiviolenza, circa 100, di cui 40 con Case protette, dove le donne in autonomia hanno costrui-

periodico mensile Numero 30 Lunedì 12 Febbraio 2007

Kronstadt: l’avete mai provato con le pere?

to conoscenze, pratiche, reti sociali, azioni capaci di sostenere le donne. La Rete attualmente sta lavorando con il Governo per ottenere il riconoscimento della specificità e professionalità dei Centri Antiviolenza, per il finanziamento pubblico ai Centri stessi e per la creazione di un Piano d’Azione nazionale, come strumento di lavoro interministeriale. In occasione del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza alle donne, è iniziata la campagna associativa che non vuole essere semplicemente una condivisone simbolica al nostro quotidiano lavoro: deve diventare un’affermazione della volontà dei soci di essere parte attiva della lotta contro la violenza. È l’agire quotidiano di ognuno

che deve portare ad un cambiamento della cultura, la violenza è dalla società ancora troppo spesso tollerata e giustificata, minimizzata, lasciata alla solitudine, al silenzio di chi la subisce; e il silenzio diventa collusione. È stato costruito un muro simbolo del silenzio che relega alla sfera domestica la violenza: ognuno è chiamato a dare la propria voce a quel muro scrivendo il proprio nome. Rompere il silenzio è il primo passo per uscire dalla violenza, tessere reti tra uomini donne e istituzioni, è la trama su cui costruire il cambiamento, su cui costruire nuove relazioni, nuovi patti. Cambiare muro, per trasformarlo, da muro di silenzio e omertà, a muro che denuncia e respinge, con voci differenti, la violenza. Un muro che tutela e protegge le donne. Per contattare la Cooperativa: Corso Garibaldi 37/b tel/fax 0382321361 Orari di aperture della sede: lunedì-venerdì, dalle 9 alle 12 Tessera associativa socio sostenitore: da 10 euro

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Donne & Barattolo: Parlando al femminile Ogni mercoledì sera, al C.S.A. Barattolo, da qualche mese si riunisce un nuovo gruppo… formato solo da donne! È un gruppo che nasce sull’onda di un entusiasmo respirato questo autunno, nella prima riunione che ha segnato un percorso verso una maggiore apertura e partecipazione nella gestione e un rinnovamento delle attività del centro sociale. In questa occasione, tra le tante realtà e associazioni presenti, ci siamo scoperte in molte a condividere l’esigenza e la voglia di creare un momento di confronto e riflessione al femminile.Le motivazioni personali sono state molteplici, ma tutte riconducibili allo sperimentare soggettivamente nel quotidiano l’esistenza di differenze di genere, che non si fermano alla banale differenza biologica, ma investono i rapporti tra uomo e donna in senso più profondo, in tutti i tipi di relazione con se stessi e gli altri, in ogni campo. Alcune di noi fanno parte di collettivi, associazioni, gruppi in cui vengono normalmente sperimentate dinamiche “miste” e questo non interferisce con l’efficacia dell’azione che ognuno di essi si prefigge. Tuttavia anche in questi casi, si-

curamente lontani da esempi di maschilismo o discriminazione, a volte dinamiche propriamente maschili sembrano prendere il sopravvento, tralasciando problematiche sentite come rilevanti solo da una parte (quasi sempre inferiore di numero nei gruppi politici,

purtroppo!) o comunque limita n d o n e l’espressio ne, creando un vuoto nelle relazioni di dialogo e riflessione. Fin dai nostri primi incontri, invece, si è voluta creare una situazione in cui tutte

si potessero esprimere senza limitazioni date dalla troppa “femminilità” dei propri discorsi: la nostra volontà è quella di recuperare momenti in cui il confronto e la discussione non siano influenzati da differenze di genere. Per questo abbiamo scelto di cominciare come gruppo strettamente femminile. La principale caratteristica che vogliamo dare agli incontri è la libertà nei contenuti rispetto ai desideri di ognuna, senza restringere il campo a tematiche di genere o femminili, ma con la consapevolezza che qualsiasi discorso sarà affrontato sotto una diversa prospettiva proprio perché nato all’interno di un gruppo di sole donne.Questo non deve essere inteso come un segnale di chiusura, anzi, come un tentativo di elaborare pensieri ed idee in uno spazio libero e accogliente, da cui partire con una maggiore consapevolezza. Con lo scopo di aprirci, raccontarci, esprimerci e confrontarci con il mondo esterno. Gruppo Donne Barattolo

Le Colonne dell’accesso LiberaMente. Donne contro la violenza “LiberaMente – Percorsi di Donne contro la Violenza” è una Cooperativa sociale Onlus di recente costituzione, che opera concretamente sul territorio pavese per aiutare e sostenere le donne vittime di maltrattamenti, violenze e abusi. La Cooperativa vanta di un’esperienza consolidata e una conoscenza unica sul territorio rispetto al drammatico problema del maltrattamento sulle donne in quanto è figlia dell’Associazione “Donne contro la Violenza”, attiva in città e provincia dal 1988. Tutte le socie fondatrici della Cooperativa provengono dall’Associazione. La cooperativa LiberaMente dispone di: un centralino telefonico e un centro accoglienza; nei quattro anni di attività della casa rifugio sono state ospitate 40 persone

tra donne e minori che, dopo un percorso di qualche mese, sono riuscite a separarsi e raggiungere una discreta autonomia economica, lavorativa e abitativa. La Cooperativa si avvale dell’aiuto di operatrici appositamente formate che garantiscono ascolto e anonimato, esperte nelle tecniche di relazione di aiuto, che sostengono ed elaborano con le donne interventi e percorsi specifici. Alle donne in difficoltà a causa di maltrattamenti la cooperativa offre: consulenza ed assistenza legale da parte di avvocate specializzate, consulenza e percorsi psicologici, inserimento in gruppi di auto-aiuto, assistenza nella ricerca di casa e lavoro, accompagnamento sul territorio, mediazione con i servizi.

La cooperativa si propone di realizzare progetti di intervento con i minori vittime di violenza, interventi di prevenzione nelle scuole per cambiare la cultura che discrimina il genere femminile, corsi di informazione e formazione per operatori sociali, formazione continua per le operatrici che si avvicinano alla Cooperativa, creazione di uno spazio specifico per donne straniere, promozione di iniziative culturali volte alla sensibilizzazione della popolazione. LiberaMente ricorda a tutti che la violenza contro le donne è un crimine, ma le donne non sono deboli e non sono sole. Senza il riconoscimento della libertà e della dignità delle donne nessuna convivenza è possibile. Alice&Kavida

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periodico mensile Numero 30 Lunedì 12 Febbraio 2007

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Dove osano i clamidosauri!

[...]

JULIAN COPE

Zayde

The Serpentine Traveller - parte 1

La gelosia porta Alphonse ad indagare costantemente sul passato dell’amata Belasir, chiedendole chi erano i pretendenti alla sua mano. Ella gli racconta del conte di Lare, ormai morto. L’irragionevole gelosia di Alphonse lo porterà a vivere in un desert (nome che nel 1630 designa una casa di campagna, ma forse ha già un duplice senso) e la povera Belazir si ritirerà in convento. Questa è una storia secondaria, contenuta nel romanzo di Mme de Lafayette Zayde, costellato da numerose storie di squisita complessità. La forza di Mme de Lafayette viene proiettata in Belasir, nella sua visione dell’amore e della dignità. La filosofia illuminista, che propugnava la parità dei sessi e il divorzio, permea il romanzo con un linguaggio eroico e barocco allo stesso tempo. Traduzione a cura di Marta Vecchi Alphonse, vous me donnez un déplaisir mortel, de me faire connaitre le déreglement de votre esprit;je vois bien que c’est un mal incurable; et qu’il faudrait qu’en me résolvant à vous épouser, je me résolusse en meme temps,à etre la plus malheureuse personne du monde. Je vous aime assuremént beaucoup; mais non pas assez pour vous acheter à ce prix: les jalousies des amants ne sont que facheuses; ma celle des maris sont facheuses et offensantes. Vous me faites voir se clairement tout ce que j’aurais à suffirir, si je vous avais épousé, que je ne crois pas que je vous épouse jamais: je vous aime trop pour n’etre pas sensiblement touchée de voir que je ne passerai pas ma vie avec vous, comme je l’avais espéré:laissez moi seule je vous en conjure; vos paroles et votre vue ne feraient qu’augmenter ma doleur. Alphonse, voi mi date un dispiacere mortale facendomi scoprire il disturbo che c’è nella vostra mente. È un male incurabile, lo vedo bene, e se io decidessi di sposarvi mi condannerei inesorabilmente, e nel medesimo tempo, ad essere la persona più infelice della terra. Io vi amo sicuramente molto; ma non posso, per voi, accettare questo prezzo: le gelosie degli amanti non sono che seccanti; ma quelle dei mariti, sono seccanti e offensive. È così chiaro quello che avrei da soffrire, se vi sposassi, che non credo che mai vi sposerò; e vi amo troppo perché non strazi i miei sensi il fatto che non passerò mai la mia vita con voi, come avevo sperato: lasciatemi sola, ve ne scongiuro. Le vostre parole, la vostra vista, non faranno che aumentare il mio dolore.

“Il cantante rock spesso è incarnazione di Odino, in tutte e tre le vesti di Od, Ode, o Oder. Odin era l’Uno, il Singolare, il Precursore, il Padre di ogni cosa; ma era anche l’Oscuro, l’Od, il Poeta, il Superiore, ‘On’, l’Anticonvenzionale. Dato che non cavalcano la sua Musa vertiginosa, i critici rock lo studiano da un punto di vista classico e meridionale. Ma il rock’n’roll maschile è un ritmo martellante che incorpora il Violento così come l’Effeminato e il Poetico, e non nega nulla con la sua furia di Paganesimo da grandi figli di puttana” (da Head On/ Repossessed, ed. Lain/Fazi). Al tempo stesso ricaviamo come l’asta del microfono simboleggi il frassino Yggdrasill, le arene rock i nuovi templi spirituali, la chitarra il martello Miollnir; ergo per associazione mitologica il performer rock puro (in quanto contestatore, guerriero) ascende anche nei riguardi di Thor. Julian Cope è indubbiamente una delle sorprese più affascinanti capitate al rock degli ultimi vent’anni, vuoi per il costante coraggio dimostrato nella sperimentazione sonora (sin dagli albori post punk psichedelici con i Teardrop Explodes), vuoi per il messaggio e la costruzione simbolica, rituale, medianica, concessa al suo universo espressivo. Druido maudit quindi, incomprensibile se ci si ostina a considerare arte e vita quali entità distinte. Sono circa due anni che l’interesse nei suoi riguardi ha rintracciato nuove motivazioni discografiche, quindi tenteremo, negli spazi fruibili, di riportarvi all’attenzione di una triade intimamente collegata alla sensibilità pagana e integerrima del nostro. Corpo del reato fu specialmente quel Citizen Cain’d (Lain/Goodfellas) targa-

to 2005, manifesto corrosivo e feroce che attaccò senza mezze misure la logica imperialista e da terza guerra mondiale (World War Pigs) messa in atto dalla politica del cosiddetto ‘asse del bene’, con le inevitabili conseguenze psicologiche instillate nella popolazione mondiale, specialmente in un occidente privo di unità spirituale e ormai votato alla plastica (I Will Be Absorbed, The Living Dead). Opera divisa in due parti marchiata, nella sua prima, dal fuoco selvaggio della Detroit anni ‘70 (omaggio agli Stooges, quelli sporchi e iconoclasti di Raw Power) e cullata nel suo epilogo da un folk resosi più che mai visionario, lisergico, psicotico (vedi Syd Barrett), esoterico, sebbene incline alla desolante interpretazione di un Ragnarok imminente (con i dovuti distinguo si possono percepire gli echi di complotto globale teorizzati nelle opere di Welles, Orwell e Huxley). Sito online: www.headheritage.co.uk (nel quale potete acquistare la seconda parte di Citizen Cain’d intitolata Dark Orgasm). Stefano Morelli

Storiella da Febbre numero 21 “Scendi, dai!”, disse lui, e le aprì la porta della macchina sforzandosi di sorridere. Lei lo guardò: era alto, i denti rifatti, lo sguardo crucciato. Parlava poco, in quel periodo; e parlava veloce. Sembrava teso verso qualcosa di misterioso, una meta o un sogno, qualcosa d’invisibile. Negli anni s’era un po’ stempiato. Aveva sorriso sempre di meno. C’era stata anche la rissa, tra l’altro, la rissa dove gli avevano cambiato i connotati. Due operazioni, il dentista pagato una fortuna, il processo ancora in corso. “Che aspetti, che aspetti? Siamo in ritardo”, la esortava; e lei non l’amava (sapeva con certezza di non amarlo). Con altrettanta certezza sapeva anche

di non poter fare a meno di lui. Nemmeno riusciva a concepirla, una vita senza quell’uomo. Del resto non era abituata a pensare, non era una persona razionale,: finiva sempre per vivere le situazioni come se ce l’avessero calata dall’alto. Lui le aveva comprato il bel vestito con le paillettes e gliel’aveva fatto indossare quella sera (l’unico regalo da quando l’aveva conosciuto). Era un vestito incredibilmente corto, che lasciava cosce e spalle scoperte. S’era guardata allo specchio per un po’, prima di uscire. Dimostrava dieci anni di meno. Ancora bella, coi fianchi sodi. Alle superiori aveva vinto diverse gare di atletica. Le pareva d’essere una rus-

sa, slanciata, col rossetto scuro provocante e il fondotinta a nascondere i difetti della pelle. “Scendi,” insisté lui con una gentilezza strana “ci stanno aspettando.” Erano in mezzo alla grande città, dove lei non era mai stata. Non in centro, però: i palazzi attorno erano enormi monoliti di cemento sporco. La strada a quattro corsie non era fatta per camminarci, e le aiuole spoglie servivano solo a dividere le corsie, non a rallegrare la vista. “Dove siamo?” Lui si tolse la giacca e gliela pose sulle spalle. Disse: “Sta salendo il freddo”. Nessuno in giro, in quel posto

e a quell’ora. S’infilarono in un intrico di vicoli dove non c’era spazio nemmeno per i bidoni della spazzatura, e la gente ammucchiava i sacchetti neri accanto alle porte. Una vecchia li guardava da un balcone con la ringhiera scurita di ruggine. Arrivarono di fronte ad un locale con le insegne al neon. Due buttafuori di colore erano immobili davanti all’ingresso. Puzzavano di spezie e cipolla. Lei si rifiutò di entrare: “Dimmi almeno dove mi porti!” Lui sbuffò, rabbrividì e disse: “Andiamo. Ti faccio conoscere delle persone.” “Ma...” “Non farmi fare brutte figure. C’è da fare dei bei soldi. Abbia-

mo bisogni di soldi, no?” “Cosa devo fare...?” “Fai quello che ti dico. Non farmi fare brutte figure.” “Ma chi incontriamo?” “Un amico. Un algerino. Non lo conosci...” il suo sguardo si fece gelido “sarà ora che fai qualcosa anche tu, no? Mica posso guadagnare sempre io.” “Non capisco...” “Non devi capire un cazzo. Fammi fare bella figura e non rovinare tutto. Guarda che se rovini tutto non ti perdono, chiaro? Se rovini tutto ti lascio in mezzo alla strada. E se resti da sola con lui, fa quello che ti dice. Tutto quello che ti dice. Non fare la schizzinosa.” Enrico Bacciardi www.enricobacciardi.it

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periodico mensile Numero 30 Lunedì 12 Febbraio 2007

Feed your heeeead!!!

visioni

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Reg. Trib. PV n°594 - Stampa: Industria Grafica Pavese sas, Pavia - Chiuso in Redazione 8-2-2007 - Tiratura 2000 copie - 2006, Alcuni diritti riservati (Rilasciato sotto licenza Creative Commons 2.0 by-nc-sh)

Il bimbo nuvola Il bimbo nuvola venne al mondo in una scoreggia inguinale umida delle cosce grasse della grassa madre massaia sudata ed unticcia di sudore di parto imminente in una clinica di parto bianca per madri partorienti. La madre, dolente, non lo vide né di fatto s’avvide affatto di questo bimbo nuvola che le scappava via dalle membra smembrate dalle

doglie: era troppo impegnata a impegnare l’anima al diavolaccio con tredici variazioni sul tema di bestemmie dell’apriticielo; e neppure l’illuminare aiutò il luminare, il quale ravanava assorto le membra della paziente che aveva perso la pazienza sessanta decibel d’urla fa. Solo il babbo coi baffi marròn e le dita gialle di nicotina e d’attesa e il monociglio imperlato d’apprensione notò lo sbuffolo di accadueò allo stato brado, come dire, aereiforme, che fischiava un la da teiera abbandonando la carne madida della neopuerpera; e se non fosse stato per lui, il babbo coi baffi marròn e le dita gialle di nicotina e d’attesa e il mono-

ciglio imperlato d’apprensione dico, il bimbo nuvola si sarebbe spento giusto avuto il tempo di accendersi all’esistenza vitale (sarebbe crepato insomma) lasciando tutt’al più una macchia d’umido di muffa verde sui muri bianchi della clinica di parto bianca dell’uminare. Ma volle il caso che quella mattina un fabbro ungherese, a ottocentomila chilometri di distanza, avesse acceso un cero alla Madonna facendo istanza di grazia, Madonnina mia, di averci un miracolo piccino, così per ridere. Fatto sta comunque che la Madonna o chi per lei

evidentemente disguidò, e il miracolo arrivò al babbo del bimbo nuvola (con grande incazzatura del fabbro ungherese, che tra le altre cose ci aveva smenato i soldi del cero). Con una gradazione di fosbury da sotomayor ai tempi d’oro dunque il babbo miracolando imbottigliò il bimbo nuvola in una bottiglia che sembrava messa lì all’uopo, e tosto l’occluse col grosso pollice da babbo. Il bimbo nuvola aleggiava piano dentro la bottiglia, e come tutti i neonati appena nati piangeva lagrime di condensa sulle pareti vitree della bottiglia di vetro. Non venne schiaffeg-

giato perché nessuno capì come fare. Qualche dì dopo i confusi coniugi firmarono le carte dell’incartamento nascite dell’ufficio nascite e se lo portarono a casa, un tappo di sughero della mutua sulla bottiglia di vetro a ostare la dispersione nell’etere del bimbo nuvola. NKB

Giorgio e il travione Giorgio è lì, seduto sulla sponda del letto, nudo come una betulla nuda e crudo come tre etti di prosciutto sandaniele, mentre al lato dell’etto dorme beato uno spondo dell’altra sponda, biondo/a/um di capelli di parrucca e con le labbra rosso peperone rosso che macchiano di sangue di smalto rosso le coperte rosso sangue sfatte di sesso e d’amore comprato. Dorme e bea, ronfa e borbotta frasi sconnesse e connesse con esse lascia la scia, di guancia sul guanciale, al gusto di sperma tabacco e brutte speranze un rivolo vivo di bava beccaris cannonando dodipetto col petto di uomo, il cuore di donna, le tette di silicio o giù di lì. Giorgio lo/a/um guarda, negli occhi lo iodio di un ma-

re di un odio di un frocio che odia chi lo fa frociare, la moglie cornuta i figli che dormono tre nei lettini il cane la casa il mutuo il lavoro il cazzo barzotto di orgasmo infranto, pensieri di sale di vino e di treni, le mani trenanti di morta morale adunche protese sul collo gallino del bìmbo la bìmba il bìmbum dormiente tradito da un corpo nato sbagliato, giusto una ipsilon di troppo, pendulo e putrescente, marcito da dentro, che puzza la puzza dei mali del mondo del bene e del male che ammorba i sogni di chi vuol sognare. Giorgio l’afferra, il coccolo trans, gli stringe il collo, gli tappa il cervelletto coll’unghie gialle dei pollici, le dita a strozzare la gola di basso. Sogna il travione, e in sogno

sogna di sognare d’annegare nel mare di merda in cui è nato e vissuto, trainato dal masso dell’enorme budello di notti di letti di cazzi succhiati inculate e schiaffi taci puttana. Si sveglia dal sogno, si sveglia dal sogno, e sogna ch’è un sogno morire asfissiato dalle mani d’acciaio di un povero cristo di Giorgio che ha dato il culo alla vita invece di prenderla di dodipetto, e annaspa nell’aria di acqua le braccia scomposte e afferra fantasmi di spettri di vuoto. Giorgio intanto gli/le/? è a cavalcioni, l’ingroppa sgroppa gli pone un pene turgido di voglia e di omicidio preterintenzionale, galoppa il travy che muore due volte, una volta annegato e una volta di nuovo e di nuovo aperto in due da una libido che

Lettera aperta ai Residenti di via Siro Comi ...continua da pagina uno di aggregazione sociale, svolgendo un servizio inestimabile e unico in centro città. Ora hanno accettato, nel dialogo con le Istituzioni, di svolgere un lavoro non di loro competenza, preservare la privacy delle tre famiglie vicine, infastidite dai rumori sulla strada, non all’interno del locale. Sia ben chiaro, è un servizio ulteriore che danno alla cit-

tà, non un riparo dei “danni” che loro stessi causano. E costa loro soldi e fatica. Il Sindaco, dopo una prima mossa che ha instillato in chi l’ha votata dei dubbi sulla sua conoscenza reale delle dinamiche e necessità cittadine, sembra essersi riappropriata ora di quel ruolo intermediario e gestionale che le compete. È Il dialogo coi residenti che non è arrivato. E RadioAut l’aspetta

con serenità, un qualsiasi dialogo che non sia “mors tua vita mea”. E lavora -è vero, da poco, da quando ne ha avuto la possibilità economica, perché nessuno regala nulla- alla difesa ambientale della via in cui sono collocati. Si può finalmente parlare, tra chi lavora a pari titolo in fasce orarie diverse, o si sa solo sbraitare? Simone Mattoli

Per commenti, domande, contributi: - Domenico Santoro, direttore, [email protected]; -Simone Leddi, fotografie, [email protected]; -Davide Iemmola, impaginazione e grafica, [email protected]; La Kredazione è a vostra disposizione al blog: http://kronstadt.splinder.com

magari si sarebbe anche evitato, ecco. Piange il travy come un vitello, piange e s’avvinghia nel grave budello mentre Giorgio se la spassa. Muore e rimuore di culo e di boccapolmoni, Giorgio coita e lo riempie di schifo scaduto da anni di finto perbenismo e di partite domenicane di golf col capo, accidenti signore veramente un bel tiro. Muore e rimuore, il viso riverso verso il cuscino sbavato di bava, sudata lumaca imbrigliata nei lenzuoli di un rosso che fa male a guardarlo. Soluzione a pagina 46 (Trova l’inganno) Il dott. Gonzi si chiede perché il Comune di Pavia abbia ripetutamente ostacolato l’esercizio dei locali “Sottovento” e “Radio Aut”, accogliendo le proteste dei residenti di via Siro Comi ma, allo stesso tempo, intralciando la libera iniziativa locale e ignorando le esigenze dei numerosi frequentatori. Dopo aver intervistato il sindaco Capitelli, egli perviene a due possibili conclusioni: 1° causa (più probabile): ella ha fatto “la furba”, perché ha agito secondo un mero calcolo politico. Si sa infatti che la

Muore e rimuore, la faccia a pallone, blu come il grandepuffo, blu come un cielo generozo d’ozono, blu come il mare dipinto a pastello su un foglio del sacchetto del pane da un bambino grassoccio col naso che cola e le mani unticce di cera. E intanto Giorgio sburra come un idrante nei meandri del tranz col cuore di donna fermo già da mò, eiacula e viene e si svuota e viene di nuovo, finché di lui non resta che una pellicola di pelle con un cazzo barzotto attaccato. NKB stragrande maggioranza della clientela dei locali di Pavia è composta da studenti forestieri (e il motivo di ciò è ovvio: i giovani pavesi sempre più spesso scappano da questa città mestamente povera di luoghi di svago). Ora, questi studenti, non avendo la residenza a Pavia, non hanno diritto di voto, ed è per questo che le loro esigenze sono tenute in minor conto rispetto a quelle dei residenti di via Siro Comi. 2° causa: il sindaco Capitelli semplicemente odia la libera iniziativa in quanto tale. Perciò è “una fascista” (o una stalinista, per il dott. Gonzi sono la stessa cosa…)

I disegni in questo numero sono di Elena Balduzzi Le vignette in questo numero sono di Matteo Amighetti Le foto sono di Simone Leddi. ronstadt periodico mensile Numero 30 www.kronstadt.it

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