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Quindicinale - 22 febbraio 2008 - Anno 18 - Numero 4 Internet: “Ducato on line” - www.uniurb.it/giornalismo
il Ducato Periodico dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino
Il Rettore Giovanni Bogliolo illustra al Ducato problemi e prospettive dell’Università
“Un ateneo sano ma bloccato” Distribuzione gratuita Spedizione in a.p. 45% art.2 comma 20/b legge 662/ 96 - Filiale di Urbino
Bilancio in ordine, ancora debiti, assunzioni ferme. Più matricole, calano gli iscritti L’EDITORIALE
Urbino e Fermignano: l'unione fa la forza
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i diceva che Urbino ha bisogno di scegliere il suo futuro, perché appiattirsi sul servizio agli studenti si è dimostrato un fattore più negativo che positivo. Ce lo ha detto il Sindaco, ce lo conferma il Rettore, come si vedrà nelle pagine interne. Il problema nasce però proprio dalla necessità di scegliere: la cosa più ovvia sarebbe puntare su una forte integrazione tra turismo e cultura; ma il rischio è quello di imitare modelli fin troppo critici: pensiamo a città dove il delicato tessuto rinascimentale, messo a rischio dall'afflusso eccessivo, è ricamato da negozi di cianfrusaglie e da pizzerie a buon mercato. Oggi il turismo sembra dover essere per forza di massa, ma è proprio una necessità? Si potrebbe prendere lo spunto dai guasti altrui per inventare soluzioni diverse: promuovere il turismo di qualità, agendo sull'offerta, con il corollario di un forte sostegno al turismo dei giovani. Agire sull'offerta significa qualificare il prodotto cultura, che oggi ha bisogno di eventi, ma anche di una robusta infrastruttura capace di distribuire il successo delle manifestazioni di richiamo su tutto l'anno. Al di là di questo, però, è difficile andare. Immaginare Urbino che riscopra una vocazione commerciale, sembra illusorio. Artigianale sì, connessa con la proposta culturale; purché l'industria artigiana sia aiutata a uscire dal limbo della buona volontà dei singoli. Ma, posto che tutto ciò si realizzi, può restare questa città una perla isolata senza rapporti con il territorio circostante? Chi, come noi, è tornato a Fermignano di recente, ha trovato un centro che sta diventando città; che cresce e si sviluppa, che produce e attrae lavoro e ricchezza. Ma si ha la sensazione, speriamo sbagliata, che le due realtà, così vicine, così complementari, si ignorino. Non è una stranezza in questa regione; anzi è la regola. Ma sarebbe un'eresia immaginare un “tavolo” UrbinoFermignano, con l'Università come centro propulsivo della ricerca e dell'innovazione?
“La parte corrente del nostro bilancio è in salute, ma per toglierci del tutto la pesante zavorra del mutuo dovremo aspettare di vendere il Tridente”. A un anno dalla fine del suo mandato, il rettore Giovanni Bogliolo illustra i problemi e le prospettive dell’ateneo.
Ape-mania fra i ragazzi del Montefeltro
Tra le priorità, la vendita del Tridente e lo studio di un nuovo manifesto degli studi. Le risorse della statalizzazione aiutano, “ma – spiega il rettore - non rispecchiano del tutto il nostro reale fabbisogno e ci costringono a rispettare rigide regole sulle assunzioni”. Crescono gli iscritti al primo anno, il 6,11% in più rispetto all'anno scorso. Ma scende, anche se di poco, il numero totale degli studenti. Il calo si spiega con la riforma universitaria e con l'aumento dei laureati. alle pagine 12 e 13
Acqua
Su le tariffe giù i consumi Dall'1 luglio 2007, le tariffe dell'acqua sono aumentate. Così, nonostante le famiglie della provincia abbiano ridotto gli sprechi e abbiano usato in media 16 metri cubi di acqua in meno (dai 110 del 2006 ai 94 del 2007), nella bolletta non ci sono stati i risparmi attesi. La Megas, che fino a dicembre ha gestito le risorse idriche della zona, ci ha spiegato il perché. a pagina 6
arrozzerie colorate, motori truccati e mille accessori. I ragazzi di Urbino e dintorni vanno matti per le tre ruote: “E’ meglio del motorino, ci vai anche se piove o si gela e puoi metterci lo stereo”.
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Fantaurbanistica
Beni culturali
Economia
Tutte le ipotesi di una città
La Fortezza dimenticata
Cresce l’export, pericolo cinese
Un viaggio tra i progetti solo pensati o realizzati a metà che potevano cambiare il volto della città. Dagli alberi su rotaie ideati da Giancarlo De Carlo al tunnel di Renzo Piano nell’area compresa tra porta Santa Lucia, viale Gramsci e viale Di Vittorio.
La fortezza Albornoz, restaurata dieci anni fa, è chiusa al pubblico. Eppure nel '97 fu inaugurata. L’assessore Mechelli ha spiegato che servono 40 mila euro per metterla in sicurezza. A marzo il consiglio dovrà approvare il finanziamento .
Nei primi nove mesi del 2007, l’esportazioni della provincia sono cresciute più della media nazionale. Mobili, tessuti, padelle e tartufi sono gli assi del made in Urbino. Negli ultimi anni mercati più chiusi per la concorrenza cinese.
alle pagine 2 e 3
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il Ducato
Da Giancarlo De Carlo a Renzo Piano. I progetti e le idee che hanno fatto
Istantanee di una città Alberi su rotaie, studenti fuori dalle mura, tunnel e ascensori: ecco come poteva essere Urbino FILIPPO BRUNAMONTI
“L
a verità è che nell'ordine c'è la noia frustrante dell'imposizione, mentre nel disordine c'è la fantasia esaltante della partecipazione” predicava Giancarlo De Carlo. Un architetto civile. Socialmente impegnato. Uno che chiamava a raccolta la gente del posto per discutere i suoi progetti. Come fosse una riunione di condominio con amm i n i s t r a t o re. Uno che sognava l'università e i futuri studenti fuori dal bucolico idillio. Rivoluzionario per scelta, ma a fatica le sue proposte venivano accolte. E di progetti naufragati Urbino è piena. La riqualificazione di Mercatale, ad esempio, finì in qualche sottoscala ancora prima di suscitare stupore: secondo De Carlo, l'area del piazzale sarebbe stata organizzata con degli alberi su rotaie. L'architetto aveva pensato a delle casse da spostare lungo una sorta di binario ferroviario, da un carrello trainante fino a formare diverse disposizioni. Mercatale finalmente libero dalle automobili: “una soluzione che si rifà ai modi in cui il piazzale veniva allestito, in epoca barocca, in occasioni di celebrazioni, visite di illustri personaggi, eventi speciali”, si leggeva nella relazione allegata al progetto. Oggi Mercatale ha cambiato pelle ma il piano regolatore dal sapore ecologista proposto da De Carlo non ha avuto sviluppi. Dimenticato. Il nuovo modello per la città di Urbino avrà poco a che fare con l’idea di “recupero ambientale” che aveva in testa De Carlo. Il sindaco Franco Corbucci preferisce parlare di “recupero funzionale” con Santa Lucia, consorzio e fornace alla base di un’architettura che punti invece su trasporti, commercio e parcheggi. Tempo ancora qualche anno e i lavori per superare l’isolamento della città cancelleranno ogni tensione. Anche se, ammette il sindaco, “per trasformare Urbino abbiamo ri-
preso in mano proprio quei progetti di De Carlo, a lungo discriminati, investendo in strade, parcheggi e centri commerciali e rilanciando un’economia che viveva da troppo tempo sulla monocultura”. A dieci anni di distanza, anche la Data ha avuto il suo “via”. Nel 1999 le antiche stalle del duca Federico da Montefeltro sono state al centro di polemiche e prospetti ambiziosi dividendo urbanisti e amministratori. Prima di trasformare i tre piani in acciaio e vetro in un osservatorio dedicato alla memoria dell’urbe, l’ultimo dei sette progetti De Carlo aveva trovato concordi il rettore stor ico Carlo Bo e l’ex sindaco Giorgio Londei sulla volontà di conciliare antico e moderno, non convincendo invece professori come Renato Bruscaglia ed Ermanno Torrico, che volevano il solo restauro filologico. Nell’amarcord urbanistico, De Carlo non è stato l’unica mosca bianca. L’odissea dei progetti “difficili” è proseguita con Renzo Piano per la sistemazione del parcheggio di Santa Lucia. Ricordate il park sotterraneo firmato nel 1988? Un vero e proprio tunnel da scavare nell’area compresa tra Porta Santa Lucia, viale Gramsci e la circonvallazione (viale Di Vittorio). La struttura doveva svilupparsi per una lunghezza di circa 250 metri su tre livelli sotterranei, ognuno con una superficie di 4 mila 300 metri quadrati, per un totale di 402 posti auto collegati da una rampa circolare a doppio senso di marcia. Di qui l’elezione di viale Di Vittorio a luogo di scambio per il “drop-off” (la discesa dei passeggeri) degli autobus turistici e la fermata delle corriere. Un progetto del 1988 che, nell’attuale piano di Corbucci, c’è anche se con qualche variazione: il posteggio per pullman in viale Neruda. E poi, i 6 mila 700 metri quadrati di negozi e uffici all’ex consorzio per attività ricreativa e studentesca. Non solo architettura. Parlando di trasporti, quando nel ’97 sparirono i 170 miliardi di lire previsti dalla Regione per la FanoGrosseto (se li era mangiati la Finanziaria), spuntò una proposta singolare: “Perché i soldi non li tirano fuori gli automobi-
Archiviato il modello ecologista di De Carlo, si punta sulla crescita economica
Il futuro: parcheggi, negozi e svago Ateneo in secondo piano
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MERCATALE
SANTA LUCIA
DATA
L’area del piazzale sarebbe stata organizzata con degli alberi su rotaie. L’architetto Giancarlo De Carlo aveva in mente delle casse da spostare lungo un binario attraverso un carrello trainante fino a formare diverse disposizioni. Obiettivo: smaltire il caos automobilistico
Il progetto di Renzo Piano, accantonato per problemi finanziari, prevedeva 400 posti auto, un corridoio sotto la collina e una risalita in ascensore fino a S. Lucia. Oggi, dopo 20 anni, sono iniziati i lavori con qualche variazione, come il parcheggio per i pullman turistrici in viale Neruda
Il progetto più sofferto di De Carlo che, dagli anni ‘70, arrivò a quota sette piani di recupero. Nel 1998 venne approvato l’Osservatorio della Città. Oggi sono arrivati 2 milioni per trasformare le antiche stalle del duca in una sala espositiva dedicata alla memoria cittadina
listi?”, si domandava Cristina Cecchini. Un consorzio di impresa avrebbe finanziato i lavori per la realizzazione della strada per poi partecipare agli utili della concessione sull’uso dell’opera pubblica. Tutto questo, grazie a una percentuale sul pedaggio che i signori viaggiatori avrebbero pagato per quel tratto. Una statale a pagamento: sarebbe stata la prima volta in Italia. Come se camminare a Urbino fosse semplice. Basti pensare che il primo progetto della E78 risale addirittura al 1954. Anche il progetto dell’ufficio tecnico del Comune (2001) per la creazione di un camminamento aveva avuto vita dura. La storia dei marciapiedi a lato della statale 73-bis nel tratto che va dai collegi a Borgo Mercatale era iniziata nel ’96 con un progetto a valle che, partendo dai collegi, sarebbe sceso sotto il muro della Raganaccia. Ipotesi
scartata perché il camminamento sarebbe sceso giù in basso, alla base del muro, di ben cinque metri rispetto al livello della strada. La soluzione della passerella in legno è quella che ormai tutti conosciamo. Resta il problema del suo proseguimento. La “storia infinita” dei camminamenti nasce con i collegi, trent’anni fa. Quando, cioè, era un problema trovare un letto a due passi dal centro. Il plastico originale di De Carlo per il polo scientifico di Biancalana (34 alloggi a poca distanza dalle facoltà) era già pronto ma la Provincia bocciava a ripetizione le aree in cui inserire il fabbricato. De Carlo, “padre” del Prg di Urbino, continuava a ripetere che gli anni ’80 erano lontani, che se prima l’Ateneo ducale era di 1500 posti letto per 15000 studenti, alla fine degli anni '90 gli iscritti all’università erano qua-
si 23 mila. Ma il numero di posti a disposizione per loro era rimasto invariato. Nel 2008, il sindaco Corbucci non teme più la questione edilizia studentesca: i collegi ci sono, l’architetto Paolo Spada raddoppierà con il collegio di Castel Cavallino, e l’Ateneo ha trovato un certo rigore architettonico, a partire dalla sede di Palazzo Battiferri. La nuova Urbino, con i fantasmi dei suoi progettisti, “s'ha da fare”, ma ciò che l’attende è un cambio di rotta netto e deciso, che potrebbe far rimpiangere i tempi in cui l’università e l’alta formazione monopolizzavano l’economia. Se, come spiega Corbucci, Urbino sarà fondata sulla diversificazione delle attività, le piccole vittorie dei progetti impossibili potrebbero finire stipate sullo scaffale di quel centro commerciale che sorgerà dalle ceneri dell’ex-fornace.
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PRIMO PIANO
discutere per anni urbanisti e amministratori
Nel mirino i centri commerciali
Modello Corbucci critiche e dubbi
mai esistita
THALASSA VONA
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a cosa mi diceva sempre Pier Leoni, storico intarsiatore della città? ‘Io morirò senza lasciare una bottega’. Non so se è ancora a Urbino, ma di sicuro i centri commerciali non aiutano lo sviluppo dell’artigianato di qualità. Lo scriva pure: sono desolato. Il difetto è che manca uno studio socioeconomico nel modello di sviluppo proposto”. Non vive a Urbino, ma dimostra davvero di conoscerla molto bene. Vittorio Emiliani, uomo di cultura e per cinque anni consigliere comunale, assieme con altri intellettuali e politici dice la sua sulle ricette che il sindaco, Franco Corbucci, (nello scorso numero del Ducato) ha elencato per risolvere la questione della “monocultura” urbinate. Se ex amministratori e politici sembrano appoggiare i progetti della funicolare o del parcheggio di Santa Lucia, oltre ad Emiliani, ci pensano Monica Mazzolani e Piero Leon a bocciare l’idea della costruzione di centri commerciali attorno alla città per ridare vita anche al centro storico. Si chiede Emiliani: “Che fine ha fatto l’idea di fare di Urbino una piccola Oxford? Negli anni ‘50 ‘60 la città doveva essere ‘residenziale’ per ospitare gli studenti, non per niente era detta città-campus. La strada per farla rinascere deve partire proprio dall’ateneo. Bisogna elevare l’offerta formativa, non può rassegnarsi a diventare un esamificio: deve puntare sui master post laurea con corsi in architettura, beni culturali, storia del paesaggio o dare maggiore impulso all’industria tipografica. Non è cambiato nulla. Ai miei tempi c’era la mania dei centri direzionali, neanche fossimo ad Hong Kong e, ora, puntano sui
centri commerciali. Per fare una cosa seria bisogna rivitalizzare l’impresa artigianale. Quella dei centri commerciali è un’idea vecchia e superata”. A condividere questa tesi è anche il professore Paolo Leon, ordinario di Economia Pubblica a Roma e amministratore delegato del CLES, istituto di ricerca economica e sociale: “Costruire centri commerciali fuori dalle mura del centro svuoterebbe il piccolo commercio. La vostra città dovrebbe sfruttare di più il fatto di essere un centro culturale, accentrando attività di servizio di grado elevato, incentivando la presenza di imprese di restauro, moda, editoria. Solo una volta riqualificato il centro storico, eventualmente, si potranno costruire centri commerciali”. “Urbino è come un pianoforte al quale si accorda un tasto. Poi si deve lavorare su tutto il resto”. Questa la tesi di Monica Mazzolani, architetto dello studio associato Giancarlo De Carlo di Milano. “De Carlo la immaginava come una città che cresce in maniera organica. Ha lavorato su tutta la città senza privilegiare un aspetto rispetto ad un altro. Per questo il commercio deve avere una sua logica in relazione al tutto: all’università, all’artigianato di qualità”. Soddisfatto per i nuovi progetti l’ex sindaco Massimo Galuzzi, 11 anni primo cittadino: “Sono molto contento che vadano avanti le idee per le quali abbiamo lavorato negli anni precedenti: erano gli obiettivi del piano regolatore di De Carlo ”. E l’opposizione in comune? Per Lucia Ciampi, consigliere comunale dell’UDC: “Noi abbiamo sempre sollecitato queste opere. Ma gli amministratori hanno perso troppo tempo e non abbiamo nessuna certezza che questi progetti determinino lo sviluppo vero di Urbino”.
Gli esperti dicono: “Artigianato e cultura meglio di negozi e posti auto”
In alto, La città ideale dell’Anonimo Fiorentino Di fianco, il plastico dei collegi secondo De Carlo
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il Ducato
Nel Montefeltro l’Ape è uno dei mezzi più amati. In particolare dai giovani
Una passione su tre ruote Carrozzerie colorate e accessori curiosi per avere il modello più originale. E quasi tutti truccano il motore
Nella foto grande un’Ape super-accessoriata Sopra l’interno di un abitacolo Sotto, le Api di alcuni studenti all’uscita dell’istituto tecnico Mattei
NICOLÒ CERBONCINI
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lettone aerodinamico, fari alogeni montati sul tetto, gomme Michelin , motore modificato e assetto da gara. Non stiamo parlando dell’ultimo modello di auto sportiva presentato al motorshow di Bologna, nè tantomeno di una macchina da rally. Questo gioiellino, che ha le portiere decorate da fiamme azzurre e nell’abitacolo un impianto stereo da far invidia a una discoteca, è una vecchia Ape 50. A rimetterla a nuovo e riempirla di accessori è stato Enea, 15 anni, uno dei tanti ragazzi di Urbino con una grande passione per le tre ruote. Nella città ducale e in tutto il Montefeltro l’Ape è da tempo uno dei mezzi più amati. Ma se in passato ad apprezzarla era soprattutto chi la usava per lavorare (in campagna o nell’edilizia), da qualche anno l’Ape è diffusissima anche tra i più giovani, che spesso la preferiscono allo scooter. “E’ mille volte meglio. La puoi usare sempre e comunque: pioggia, vento e gelo. E poi ci puoi fare molte più cose, a
partire dalla musica”. Andrea, 16 anni, parla dal finestrino della sua “apetta” rosso fiammante all’uscita dell’istituto tecnico Mattei. Nel parcheggio della scuola ci sono una decina di Api e un solo motorino: una vittoria schiacciante. “Qua è p ra t i c a m e n t e u n o s t a t u s symbol, avere una bella Ape è un segno di distinzione”. Gabriele Cecchini fa il bidello nell’istituto e ormai si è fatto una certa cultura in materia: “Da queste parti è preferita agli scooter perché fa freddo. Poi ognuno la personalizza nei modi più strani, a partire dal c o l o re d e l l a carrozzeria. E, soprattutto, le truccano: motore, carburatore, marmitta. Cambiano tutto”. Eh sì, perché l’unico difetto dell’Ape, dicono i ragazzi, è che va piano: “E’ un chiodo. Con il motore originale non arriva ai 45 all’ora”. Quasi tutti però risolvono in fretta il problema. “A Urbino non ce n’è una che non sia truccata, neanche quelle dei vecchietti”, assicurano. “Io ci ho messo un 120, carburatore a 18, frizione rinforzata, campana a denti storti e ho cambiato la marmitta”. Con queste modifiche Carlo raggiunge i 70 km/h ma ce c’è
“E’ meglio del motorino: ci vai anche se piove e ci si può mettere la musica”
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chi, dice, arriva a superare i cento . Un altro vantaggio, spiegano ancora i ragazzi, è che sull’Ape si va anche in due (anche se non si potrebbe), con i vigili che sono più tolleranti rispetto ai motorini. “Altro che in due – interviene Cecchini – con la bella stagione saltano sul retro e di qua li vedo partire in quattro o cinque”. Le amatissime tre ruote non sono però così stabili, e quasi tutti ammettono di essersi ribaltati almeno una volta. “Anche perché – dice Stefano, indicando le fiancate sporche di fango – per divertirci andiamo a fare i rally nei campi”. A parte le modifiche al motore quello che distingue un’Ape dall’altra sono gli accessori: luci colorate, adesivi, decorazione dell’interno. Quella tra i ragazzi è una sfida continua per decretare chi possiede il mezzo
più originale. “Ora voglio mettere le portiere che si aprono ad angelo, verso l’alto” spiega Enea, che nel frattempo ha rivestito l’interno dell’abitacolo con una moquette zebrata (stessa scelta fatta dal suo amico Amir). Tra gli adesivi vanno molto i numeri stile moto da corsa, gettonatissimo il 46 di Valentino Rossi. A fare la differenza poi, è la qualità e la potenza degli impianti stereo che installano quasi tutti. “Io ho montato due casse da 350 watt più sub-woofer e ho anche i neon che vanno a ritmo di musica”, dice Andrea. C’è chi ha installato addirittura il riscaldamento e, oltre al clacson, una tromba da tir. A vincere la disfida delle Api però, ammettono gli urbinati, sono i ragazzi di Gallo. Sarebbe lì la capitale marchigiana delle tre ruote: “Ce n’è di più e le curano meglio. Anche Urbania comun-
que si difende”. Per un’Ape nuova i ragazzi spendono anche 4.500 euro, mentre quelle usate si aggirano sui 1000 . Soldi ben spesi, dicono, perchè l’Ape avrebbe una marcia in più anche in un altro campo: “Funziona pure con le ragazze - sostiene Andrea - è tutta un'altra cosa andarle a prendere con un mezzo con cui non si prende freddo e si può anche mettere della musica”. Le sue compagne di scuola non sono però troppo d’accordo: “Non conta l’Ape, conta chi c’è sopra. Se uno è bello va bene anche se guida il triciclo”. La passione per l’Ape coinvolge soprattutto i maschi, ma non mancano le eccezioni. “All’istituto d’arte – racconta ancora Andrea – c’è una ragazza che ha un’Ape rosa molto bella. Sarebbe da sposare solo per quello”.
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CITTÀ
Al via tra i problemi uno sportello per l’assistenza
Malati d’azzardo? Il Sert ci prova Il progetto è ancora in stand-by per mancanza di finanziamenti Le slot machine sono fra i giochi più diffusi nel Montefeltro
Una ricerca del Servizio dipendenze afferma che il gioco patologico è diffuso
“Il servizio di fatto è partito – spiega Roberto Sailis – e per il momento ci sono due pazienti che hanno iniziato regolarmente le sessioni di psicoterapia. Abbiamo anche ricevuto altri contatti telefonici, soprattutto da familiari di persone che hanno dei problemi. Ma ci sono molte difficoltà, tra cui il fatto che gli utenti devono pagare il ticket per poter usufruire del servizio”. Il motivo lo spiega il dottor Roberto Reale: “Mancano i finanziamenti da parte dell’Asur. Si pensava di avere il personale e
le risorse economiche per avviare un progetto ben strutturato, ma invece non è così. Diciamo che per il momento siamo in una situazione di standby: non possiamo permetterci di garantire un certo tipo di servizio, ma allo stesso tempo dobbiamo cercare di far fronte alle esigenze delle persone”. E così, anche il progetto-San Marino ha subìto uno stop, nonostante sia stato avviato. All’interno della sala sono stati installati monitor, con messaggi che compaiono in video e che dovrebbero essere dei de-
terrenti verso comportamenti che portano a una devianza dal gioco ritenuto “sociale” a quello compulsivo. C’è anche il contatto di un centro psicologico a cui si può rivolgere chiunque ne sentisse il bisogno. Ma il Sert non partecipa più direttamente all’iniziativa. Perché non ci sono i fondi della regione, “nonostante – ricorda Roberto Reale - siano previsti dalla legge per il riordino del servizio sanitario regionale”. Nel loro piccolo, però, i progetti vanno avanti. Perché, fin dove si può, volere è potere.
Inutilizzabili per 15 anni le terre bruciate nel 2007
Al via il catasto anti-incendi CLARA ATTENE na mappa per combattere gli incendi. È la soluzione adottata dal consiglio comunale di Urbino che da una settimana ha approvato l’istituzione del catasto dei terreni colpiti dal fuoco. Dopo la scorsa estate – una stagione rovente in tutte le Marche, con 103 incendi, 40 solo nella provincia di Pesaro Urbino – il Comune ha adottato questo strumento per scoraggiare chi appicca roghi dolosi con l’obiettivo di speculare sui terreni utilizzandoli per uno scopo diverso da quello originario: in genere, trovare nuovi spazi dove poter costruire. Nel 2007 a Urbino ci sono stati quattro incendi, concentrati tra la metà di giugno e la fine di luglio, che hanno colpito prima il costone sotto Borgo Mercatale, quindi le Cesane, via della Stazione e, infine, la zona di Casalini, in direzione di Pieve di Cagna, annerendo quasi quindici ettari di terra, prevalentemente occupati da boschi. Secondo la legge che istituisce il catasto, la n. 353/2000, questo tipo di terreni e i pascoli non
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possono cambiare destinazione d’uso per quindici anni dopo il passaggio del fuoco. Inoltre, per dieci anni non può essere costruito nessun edificio e sono proibiti la caccia e il pascolo. Per cinque anni, infine, sono vietate anche le attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale, a meno che non siano necessari interventi urgenti per contrastare il dissesto idrogeologico o salvaguardare il paesaggio. C’è da chiedersi come mai il Comune di Urbino abbia adottato il provvedimento solo adesso. “Gli incendi – spiega Roberto Imperato, responsabile del settore urbanistica e assetto del territorio del Comune – non sono mai stati un problema rilevante in questa zona, così ci siamo adeguati alle decisioni della Regione che ha creato solo l’anno scorso una banca dati centralizzata, da cui provengono le informazioni del Corpo forestale sui terreni bruciati. A noi spetta individuarli sulle nostre mappe catastali”. Per il momento, la prima mappatura ha riguardato solo i terreni andati in fumo nel 2007: la prossima tappa sarà l’aggiornamento del catasto a ritroso, fino a coprire gli ultimi cinque anni, come prevede la legge.
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orrei, ma non posso: tra tutte le frasi fatte è quella che meglio sintetizza l’aria che si respira al Sert, il servizio per le dipendenze patologiche di Urbino. La partita è appena iniziata, ed è l’apertura di uno sportello per l’assistenza psicologica ai giocatori d’azzardo dipendenti. Di mezzo ci sono i soldi, che mancano, e che impediscono di far decollare quello che Roberto Reale, responsabile del dipartimento, ha definito un “progetto corposo che purtroppo è dovuto rientrare”. Pe r capirci qualcosa bisogna partire dalla genesi del progetto, ovvero una ricerca realizzata proprio dal Servizio dipendenze dell’Asur n° 2 di Urbino, lo scorso anno. Sono stati distribuiti un migliaio di questionari, nei bar, circoli, centri culturali, sale da gioco e ricevitorie nella zona territoriale di competenza, composta da circa 30 comuni, che vanno da Carpegna a Cantiano, da Mercatello Sul Metauro a Petriano, da Sant’Angelo in Vado a Fermignano. I risultati, che devono comunque essere presi con le molle in quanto sono solo di carattere esplorativo, hanno fatto suonare il campanello d’allarme: il gioco “compulsivo”, ovvero quell’inesorabile incapacità di porre resi-
stenza agli impulsi che spingono a giocare, è molto diffuso tra la popolazione del Montefeltro. Lo studio è stato poi esteso a San Marino e alla sua nota sala Keno (che l’ha finanziato), una sorta di lotto elettronico, replicato su centinaia di macchinette, con puntate che si ripetono ossessivamente ogni 30 secondi, dentro a tre sale pervase da un silenzio liturgico. Anche lì, i questionari sono stati appositamente studiati, sia per i dipendenti che per la clientela. Da tutto ciò, sono nati i due progetti, coordinati dal dirigente psicologo Roberto Sailis: uno specifico sportello all’interno del Sert di Urbino per l’assistenza psicologica ai malati da gioco e una sorta di “cooperazione” con la sala Keno della Repubblica del Titano per fare informazione preventiva contro le problematiche derivanti da un eccesso di giocate e, anche lì, l’apertura di uno sportello per l’assistenza psicologica. Lo sportello a Urbino è stato aperto nelle settimane passate: due ore ogni lunedì, dedicate esclusivamente agli utenti che hanno problemi con il gioco d’azzardo. Sono stati stampati i volantini, ma l’unico manifesto che pubblicizza il servizio è affisso nei corridoi del Sert. Nessuna pubblicità, nessuna reclame nei bar o nei circoli della città ducale per dare il via all’iniziativa. Perché, in realtà, non ci sono le forze.
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EMILIANO POZZONI
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il Ducato
Viggiani, ex direttore Megas: “Ma i nostri costi di gestione sono rimasti invariati”
L’aumento c’è ma non si vede Da luglio le tariffe sono cresciute più del 20%. In bolletta la stangata compensata dal calo dei consumi ROBERTA DI MATTEO
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uoi per una spiccata sensibilità ai problemi ambientali, vuoi per la crisi delle risorse idriche, nel 2007 gli urbinati hanno ridotto il consumo di acqua. Prendiamo la famiglia media della provincia, composta da tre persone e mezzo: se nel 2006 ha consumato 110 metri cubi di acqua, nel 2007 si è fermata a 94. Vale a dire, 16 in meno. Ma, se c’era da aspettarsi in cambio un discreto risparmio sulla bolletta, le speranze sono rimaste deluse. Nell’ultimo semestre di gestione di Megas (da gennaio 2008 confluita insieme ad Aspes in Marche Multiservizi, che si occuperà di acqua, gas e rifiuti), le tariffe di tutte e quattro le fasce di consumi sono state ritoccate al rialzo: si va dal più 28,86 per cento dell’agevolata al 12,74 per cento della seconda eccedenza. E non solo: le stesse fasce sono state riviste. Così, sempre a partire dall’1 luglio 2007, la tariffa agevolata si applica entro i primi 60 metri cubi di consumo, mentre in precedenza arrivava fino ai primi 72, e quella base da 61 a 96, contro i 106 precedenti. Di qui in poi scattano le due eccedenze: fino a 132 la prima e di lì a seguire la seconda. Visto che, in parallelo ai rincari, c’è stata una riduzione dei consumi, in complesso la spesa del 2007 per le famiglie si avvicina a quella del 2006. “All’inizio di ogni anno, o comunque ogni volta che cambiavano le tariffe – racconta Errigo Bernini, l’urbinate che ci ha segnalato gli aumenti anomali riscontrati nell’ultima bolletta – la Megas ci inviava a casa un foglio informativo.
Questa volta, invece, io non ho ricevuto niente e mi sono accorto degli aumenti solo osservando con cura la bolletta”. Allora Bernini è andato a fare i conti: “Ho verificato che, dall’1 marzo 2001, quando la Megas ha preso in gestione il servizio idrico, le bollette sono più che raddoppiate, nonostante io continui a consumare più o meno lo stesso quantitativo di acqua. Se nel 2000 pagavo 294.000 lire l’anno, oggi arrivo a sfiorare i trecento euro. Un e s e m p i o degli aumenti? Si guardi la quota fissa annuale, introdotta nel 2001: erano 2,32 euro, adesso sono 21, una cifra stabile da due anni visto che è il massimo che concede l’Autorità di ambito territoriale ottimale (Aato, che controlla i servizi idrici e tutela dei consumatori)”. L’assessore comunale al bilancio, alla programmazione e al personale Alceo Serafini preferisce non entrare nel merito dei numeri, ma spiega che, sul lungo periodo “gli aumenti rientrano nel graduale percorso di adeguamento alla nuova legislazione, sancita dal metodo tariffario normalizzato del 1996”. Antonio Viggiani, ex-direttore di Megas e oggi dirigente di Marche Multiservizi, conferma invece i ritocchi alle tariffe. Li definisce però “un lieve aumento”, specificando che, essendo diminuito il consumo medio delle famiglie, la bolletta non sarà più salata. “La riarticolazione delle fasce tariffarie si è basata su una delibera dell’Aato e, sempre nei limiti tracciati dall’autorità di controllo, abbiamo mantenuto invariata a 1,48 euro la tariffa media ponderata, che si ottiene dividendo per i metri cubi di acqua fatturata la somma dei costi di gestione del servizio
Nel 2007 in provincia consumati in media 16 metri cubi di acqua in meno
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Megas, tutti gli aumenti dell’acqua FASCIA DI CONSUMO Tariffa agevolata Tariffa base Tariffa P1 Tariffa P2 Fogna Depurazione Quota fissa annuale
idrico e degli investimenti”, spiega Viggiani. Come si giustificano allora gli aumenti tariffari in tutte le fasce, a cominciare da quella agevolata (passata da 0,49 a 0,62 euro al metro cubo)? Risponde ancora l’exdirettore di Megas: “Abbiamo venduto, e quindi fatturato, circa un milione di metri cubi di acqua in meno: una vittoria nella battaglia contro gli sprechi. I costi di gestione, però, non sono cambiati, anzi: tra 2004 e 2006 c’è stato ad esempio un incremento del 35-40%
GENNAIO 2007 0,485 cent/mc 0,814 1,227 1,569 0,130 0,350 21,00
dei costi di trasporto, a cui vanno aggiunti quelli dell’energia elettrica. Secondo la proporzione che spiegavo prima, per mantenere la media di 1,48, abbiamo dovuto ritoccare le tariffe. Ma, ripeto, la famiglia con consumi che rientrano nella media non risentirà degli aumenti”. In poche parole, quella stessa famiglia, che ha ridotto di circa 16 metri cubi il consumo di acqua lo scorso anno, non risparmierà altrettanto. In più vanno considerate la quota fissa, le fogne e la depurazione.
LUGLIO 2007 0,625 (+29%) 0,985 (+21%) 1,558 (+27%) 1,769 (+13%) 0,137 (+5%) 0,367 (+5%) 21,00
“Non ci è arrivata nessuna segnalazione di aumenti dell’acqua”, dice Massimo Tirabasso, responsabile della Federconsumatori di Urbino. “Ora che vedo questi numeri e se le cose stanno effettivamente così, è evidente che ci troviamo di fronte ad aumenti inaccettabili e allarmanti. A questo punto viene da chiedersi su cosa vigili l’Aato: dobbiamo invocare Mister Prezzi? L’acqua non rientra nelle sue competenze, ma se si andrà avanti così è a lui che ci rivolgeremo”.
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ECONOMIA
Le esportazioni crescono più della media italiana
Padelle e tartufi made in Urbino Tir alla Tvs, a destra elaborazione Confindustria su dati Istat
MARIANGELA MODAFFERI
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ell’Europa centrale è il profumo del tartufo. In Svizzera è il fondo antiaderente delle padelle. In Russia è la solidità dei mobili in legno e la qualità dei tessuti. In giro per l’Europa il made in Urbino spazia dall’arredamento alle tipicità alimentari e scavalca la media italiana e quella regionale. Gli ultimi dati pubblicati dall’Istat, relativi alle esportazioni del terzo trimestre dell’anno scorso (quelli complessivi del 2007 si avranno solo a marzo) parlano, infatti, di un incremento nazionale pari all’11,5% e regionale del 14,1%. La provincia di Pesaro Urbino, con un aumento del 18,4%, ha dimostrato di correre più veloce. Ma non è ancora abbastanza. “Possiamo rendere l’export ancora più efficiente – afferma Roberto Forni, della sede provinciale di Confindustria – per questo abbiamo avuto l’idea del Club dell’internazionalizzazione: un gruppo aperto a tutte le aziende e alle istituzioni, pubbliche e private. Vogliamo far dialogare le imprese e creare uno scambio costruttivo di esperienze”. Agli imprenditori sarà chiesto di compilare un questionario per raccogliere le proposte e capire dubbi e problematiche; in base alle informazioni raccolte, un gruppo pilota costruirà un piano di intervento triennale. “L’Italia all’estero è ancora considerata poco affidabile. Io credo che, se riuscissimo ad analizzare meglio le nostre possibilità all’interno, potremmo essere più forti e sicuri all’estero”. Il settore trainante nella pro-
vincia, stando agli ultimi dati elaborati da Confindustria, è quello della meccanica, seguono il settore del mobile, della nautica e dei tessuti. Il distretto di Urbino e Fermignano si distingue per l’esportazione di prodotti in legno, destinati all’arredamento, di tessuti, di pentole e padelle e del tartufo. “Noi dedichiamo alla vendita all’estero l’80% della produzione”. Giuseppe Bertozzini, direttore commerciale della Tvs di Fermignano, specializzata nella produzione di pentole antiaderenti, racconta che l’export è sempre stato una prerogativa dell’azienda. “L’Italia è il maggiore produttore europeo di pentole e padelle, perciò qui il mercato è saturo. Oggi, 40 anni dopo la nascita della Tvs, i nostri prodotti sono venduti in 60 Paesi, in Svizzera copriamo il 70% del mercato”. Fra i maggiori partner commerciali, ci sono la Francia, la Spagna, la Svezia, la Germania, gli Stati Uniti e la Russia, in ognuno di questi mercati l’azienda sviluppa un fatturato di almeno due milioni di euro. “Da una decina d’anni, con l’arrivo dei prodotti cinesi, la concorrenza si è fatta più pesante. Noi ci difendiamo garantendo qualità e puntualità, inoltre, stiamo sperimentando nuove aperture verso i paesi dell’est europeo”. Un settore in crescita, nel capitolo delle esportazioni, è quello alimentare. Lo scorso 11 febbraio una delegazione della provincia è partita per Mosca, per la XV edizione della fiera agroalimentare Prodexpo. Immancabile protagonista dell’evento è stato il tartufo. “Il nostro è considerato un bene di lusso e, in quanto tale, ha sempre avuto una grande eco all’e-
Gli imprenditori: “Con qualità e puntualità battiamo i cinesi” stero” commenta Cristina Bernardini della T&C. Il fatturato della sua azienda è per il 30% ricavato dalle esportazioni che, oltre l’Europa centrale, interessano anche Stati Uniti, Canada e Giappone. Fa ancora meglio la ditta Acqualagna Tartufi: “Noi vendiamo il 60% dei nostri prodotti all’estero – spiega il titolare Piergiorgio Marini – avevamo già un partner in Russia e abbiamo partecipato alla fiera di Mosca per allargare i contatti agli altri Paesi dell’est, ma quest’anno lo stand italiano è stato relegato a un padiglione esterno e le visite sono state poche”.
I dati della provincia nel 2007
1.732 Il fatturato complessivo in milioni di euro delle esportazioni di Pesaro-Urbino tra gennaio e settembre 2007
96,7% L’aumento dell’export verso il Regno Unito nei primi 9 mesi del 2007 rispetto allo stesso periodo del 2006
85,9% L’incremento delle vendite di mobili in Kazakistan. Quasi il doppio rispetto a quello registrato in Cina
I vacanzieri preferiscono i Bed and Breakfast
Turismo, Pasqua preoccupa LAURA PONZIANI
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umentano i turisti nel Montefeltro ma la Pasqua è ancora un'incognita. Le annuali statistiche dell'ufficio turismo della regione Marche fotografano un 2007 con presenze e arrivi in crescita in tutta la provincia. Oltre quattro milioni di persone hanno soggiornato in alberghi e agriturismi, e più di 600 mila sono passate per una breve visita. “La gente cerca posti non molto affollati in cui si sta bene - spiega Lella Mazzoli, assessore al turismo e alla cultura della città ducale – qui trovano tranquillità e cose uniche, impossibili da trovare altrove”. Un aumento di presenze e arrivi dello 0,6 per cento rispetto al 2006, che per l'assessore è un successo annunciato. “Abbiamo attivato una buona campagna di promozione su tutti i media italiani e stranieri”. In linea con la tendenza nazionale, anche nel Montefeltro da alcuni anni il turismo è “mordi e fuggi”. I vacanzieri, in cerca di ripo-
so e di cultura, scelgono soggiorni brevi, di massimo due notti, nei Bed and Breakfast e negli agriturismi della zona. I dati registrano un calo dei pernottamenti negli hotel in tutta la provincia (meno 64.044 nel 2007 rispetto al 2006) contro un aumento di presenze nelle strutture alternative (più 90.122). “È la congiuntura economica negativa – dice preoccupato Alessandro Marcucci Pinoli, titolare di una catena di Hotel della città ducale – per Pasqua non abbiamo ancora prenotazioni”. Daniela Salerno, direttrice dell'hotel Mamiani, è ottimista: “Abbiamo avuto cinque mila ospiti in più, ma per Pasqua è ancora presto. Ultimamente c'è la tendenza a muoversi all’ultimo minuto”. Anche Marika Crucini, dell'hotel Fontespino, spera nelle prossime festività: “Per noi è il primo anno di gestione, ma di solito la Pasqua non delude mai”. Giuliano Vici, responsabile dell'hotel Piero della Francesca spiega: “I soggiorni sono sempre più brevi, molti, qui da noi, sono professori universitari e studenti”.
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il Ducato
Restaurata dieci anni fa ma poi abbandonata
La rocca Albornoz è inespugnabile Il Comune assicura che l’apertura è in programma per il 2008 LISA BARACCHI
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a le chiavi sono andate perdute? Nessuno sembra averle e la fortezza Albornoz è chiusa da dieci anni, quasi dimenticata. I suoi bastioni svettano sopra Urbino, il parco della Resistenza ospita molte manifestazione cittadine, dai tornei cavallereschi della festa del Duca alle esibizioni di gruppi musicali, ma il portone resta sprangato. “Non per molto – ha assicurato Lino Mechelli, assessore ai lavori pubblici del Comune - la sua apertura è in programma per il 2008. Servono 40 mila euro per la messa in sicurezza della struttura, il finanziamento deve essere approvato dal consiglio ai primi di marzo. All’interno della fortezza sono stati fatti degli scavi e ancora i camminamenti interni devono essere sistemati, servono delle ringhiere: la rocca così com’è non può essere proprio visitata”. Il manufatto di interesse storico-artistico, secondo la tradizione, fu costruito per volere di Gil Alvarez Carrillo de Albornoz, chiamato anche Egidio Albornoz, che era cardinale e condottiero e apparteneva alla famiglia degli Aragona. Nel 1353 ricevette l’incarico da papa Innocenzo IV di riconquistare i territori dello Stato pontificio, compreso il Ducato dei Montefeltro. La costruzione della rocca risale a quel periodo ma fu danneggiata molte volte nel corso dei secoli: durante l’invasione del Ducato da parte di Cesare Borgia, il Valentino, ma anche per ordine di uno dei Montefeltro, Guidobaldo II nel 1573 quando il duca dovette far fronte alla ribellione degli urbinati oppressi dalle tasse. La fortezza servì nel Seicento ai padri carmelitani. Nell’Ottocento era un orfanotrofio femminile ed è diventata proprietà dello Stato nel 1965. Il Ministero per i beni culturali e ambientali si è preso cura della fortezza Albornoz nei primi anni ’80. “I lavori di restauro – spiega Biagio De Martinis della So-
printentenza per i beni ambientali e architettonici delle Marche, che era responsabile del cantiere – sono iniziati a metà degli anni ’80 e sono continuati fino alla metà degli anni ’90. Nel terrapieno è stata scoperta una seconda cinta muraria più interna e sono venuti alla luce molti reperti archeologici”. Gli scavi sono stati seguiti da Mario Luni e Anna Lia Ermeti, professori dell’Istituto di archeologia dell’Università di Urbino: “Dopo i lavori - ha raccontato Ermeti – è stata allestita una piccola mostra in una stanza sulla destra, subito dopo l’entrata. Erano esposti tutti i reperti ritrovati, poi sono stati riposti in delle casse. Sono ancora là, credo, insieme agli scorpioni. La pubblicazione degli scavi non è stata fatta, la colpa è della burocrazia”. I materiali ritrovati sono maioliche arcaiche, ceramiche invetriate e metalli di epoca romana o rinascimentale: tegami, boccali, finimenti per cavalli e lucerne. L’inaugurazione della fortezza restaurata è stata il 25 novembre1997. Lucia Ciampi, consigliere comunale dell’Udc, ha seguito per qualche tempo da vicino le vicende della rocca. Ha raccontato che nel maggio 2000 De Martinis consegnò le chiavi all’ufficio del territorio che amministra i beni demaniali e dopo pochi giorni l’ufficio scrisse al sindaco per dare in consegna l’immobile al Comune. Chiese di stipulare un contratto di locazione ma non ebbe risposta. Nel dicembre del 2002 Ciampi p re s e n t ò u n a prima interrogazione, nel settembre 2003 una seconda: “Il sindaco rispose che avrebbe preso provvedimenti, ma altri anni sono passati senza che si facesse nulla. Parliamo di un monumento che potrebbe essere un fiore all’occhiello di Urbino”. Il contratto di locazione, cioè la convenzione per la concessione in uso della fortezza Albornoz, è stato firmato nel luglio 2005. Sono di un anno dopo invece le delibere per i lavori di risistemazione e l’affidamento della struttura all’Ami Servizi, così come la custodia e la manutenzione del parco della Re-
Servono 40 mila euro per mettere in sicurezza il monumento e aprirlo al pubblico
I lavori sono a carico del Comune la gestione sarà affidata poi all’Ami Servizi
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sistenza. Giorgio Ubaldi, presidente dell’Ami Servizi, non ha ancora avuto in consegna la struttura. Attende i lavori di risistemazione che deve fare il Comune. Nella delibera si legge che “la copertura finanziaria è stata assicurata in sede di bilancio 2006 con i proventi derivanti dalla vendita del Consorzio”. Il responsabile del “procedimento”, è scritto ancora nella delibera, è Michele Felici, dirigente dell’ufficio tecnico che però non ha le chiavi per aprire la fortezza. Dovrebbe averle l’Ami. Impossibile insomma entrare nella rocca per vedere come si presenta. Racconta Valter che abita vicino alla rocca: “Ci andavo a giocare da piccolo dentro la fortezza. C’era un prato e un pozzo, mia madre si raccomandava sempre di starci lontano. C’era un rettagolo di ghiaia dove una volta ci doveva stare una catapulta. Ora ci sono solo fossati, è tutto in abbandono. È una vergogna. E poi vorrei sapere come mai, se a Urbino l’erba cresce anche sull’asfalto, nel parco della Resistenza invece manca. E ci sono i giochi dei bambini che sono troppo vecchi con dei chiodi arrugginiti lunghi così”.
Cagli ospita la mostra dell’artista siciliano
“Le ipotesi” di Fiume GIUSEPPE FERRANTE
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n ritorno ideale di Salvatore Fiume. L’artista fra il 1983 e il 1987 dedicò alla città di Urbino una serie di dipinti, “le Ipotesi”, che dal 15 marzo al 4 maggio saranno in mostra al Palazzo Felici di Cagli. Fiume, siciliano di Comiso, studiò infatti all’Istituto d’Arte urbinate, e le riproduzioni di capolavori rinascimentali esposte sono un tributo alla città che vide l’artista muovere i primi passi nel mondo della pittura. I paesaggi dello spirito di Salvatore Fiume si palesano nel susseguirsi di dipinti, sculture, bozzetti e materiale fotografico. Il poliedrico artista ha realizzato opere che si trovano in alcuni dei più importanti musei del mondo, quali i Musei Vaticani, il Moma di New York, la galleria d’Arte Moderna di Milano. All’interno della mostra sarà possibile assistere alla visione del documentario autobio-
grafico sulla figura di Fiume e i suoi percorsi creativi. Inoltre una sezione dell’esposizione sarà dedicata alla presentazione di bozzetti e materiali vari che costituiscono gli studi che l’artista ha effettuato per poi realizzare il ciclo di dipinti delle Ipotesi. Fiume dipinse e fu architetto. Ma c’è una curiosità sulla sua vita. Sebbene intendesse affermarsi come pittore, ottenne il primo successo con un’opera letteraria, “Viva la Gioconda”. Solo nel 1949 rinsaldò la sua passione per il pennello con una mostra alla Galleria Borromini a Milano. Poi l’ascesa. Nel 1950 espose alla Biennale di Venezia, e proprio quelle opere in mostra gli valsero la copertina di Life. La visione del siciliano impressionò molto i giornalisti statunitensi: le pareti delle sale riunioni di Life e di Time portano gli affreschi di Fiume. La personalità di questo artista fu comunque influenzata dagli studi urbinati, e ora seppur tramite l’opera torna nelle Marche.
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CULTURA Sempre meno giovani si avvicinano a queste professioni
Il muro di cinta della Fortezza e sotto il particolare del portone chiuso da dieci anni In basso a sinistra “Incontro al vertice” di Salvatore Fiume
Mancano gli artigiani: addio o arrivederci? ELISA ASSINI
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rtigianato: addio o arrivederci? Falegnami, fabbri, sarte e calzolaii, per citare sono alcuni tra i mestieri più antichi e diffusi in passato, sembrano piano piano scomparire dalla nostra società. Colpa di nuove leggi, del lavoro che non c’è, dei costi troppo alti della manodopera e della poca voglia dei giovani “di sporcarsi le mani” e imparare un mestiere. Ma anche di un nuovo tipo di società che sembra aver perso di vista il valore della manualità. “Negli ultimi due decenni – afferma Francesco Ramella, presidente del corso di laurea in sociologia all’Università di Urbino – abbiamo assistito a una svalorizzazione simbolica del lavoro manuale e quindi anche dell’artigianato. Il fenomeno si è diffuso prevalentemente in Toscana, Emilia, Marche, ma anche in Veneto, dove questo tipo di produzione era maggiormente diffusa. Mentre, ad esempio, nel nord Italia, con la presenza di grandi distretti industriali si può parlare di svalorizzazione di lavoro operaio”. Il risultato però non cambia. “In entrambi i casi si è arrivati ad un allontanamento dei giovani da questo tipo di mestieri – continua Ramella – perché si tratta di lavori usuranti, che non hanno orari e portano ad inserirsi non solo nella vita individuale di chi li pratica, ma
Carlo Galante, fabbro, al lavoro nella sua officina anche e soprattutto in quella familiare. Provocano stress e tensioni che molto spesso si ripercuotono nel contesto domestico degli stessi individui e nelle loro relazioni sociali. È per questo che sono le stesse famiglie artigiane a spingere i figli verso altre attività, come lo studio, considerate più redditizie”. Ne sa qualcosa Carlo Galante, classe 1961, professione fabbro. Tanto lavoro, ma nessuno disposto ad aiutarlo. “Non ci sono giovani che vogliano avvicinarsi a questo mestiere. Perché è pesante, ci si sporca in continuazione e fa freddo. Alcuni anni fa ho provato a insegnare a ragazzi che frequentavano la scuola professionale. Ma bastavano poche ore e già dicevano di voler
Il ‘68, quarant’anni fa: ricordi di una piccola rivoluzione culturale
“Eravamo l’ombelico del mondo” MAURIZIO MOLINARI
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bolite tutte le materie del Corso di laurea in filosofia. Istituiti due filoni: uno teorico, in cui si insegnava Marx, e uno pratico in cui si faceva una specie di rivoluzione culturale in piccolo, nelle campagne, per creare una coscienza di classe fra i contadini. È stato anche questo il ’68 a Urbino. Sono passati quarant’anni da quel 15 febbraio: l’assemblea dell’aula VI aveva deciso per l’occupazione dell’università. Dall’autunno del ’67 erano mesi che si discuteva sulla scuola italiana, sui contenuti educativi, sulla situazione delle donne, sul concetto di autorità, sui baroni e sulle lotte studentesche. Era giunto il momento di passare all’azione. L’occupazione del palazzo dei Montefeltro durò solo 3 giorni, ma non si esaurì lì il ’68 urbinate. “Il movimento era eterogeneo e andava dagli universitari agli studenti delle scuole superiori, dai marxisti ai riformisti fino ai situazionisti e ai libertari”, racconta Renzo Savelli, attuale assessore all’Istruzione della Provincia. “Ricordo che c’era un radicale che si rifiutava addirittura di parlare al microfono perché lo considerava uno strumento della tecnologia capitalista”. Anche il romanziere e poeta Umberto Piersanti, leader dell’ala riformista della
sezione universitaria Ho Chi Minh del Pci, ha partecipato all’occupazione: “Non mi ritengo né un pentito né un apologeta del ‘68, però occupare l’università è stata una festa. Poi anche qui da noi a volte la situazione è degenerata: negli anni settanta, qualcuno del movimento ha dato fuoco a quattro fascisti che per fortuna si sono salvati. Però, in generale, a Urbino il ’68 non è stato violento. Ricordo, tuttavia, un episodio di cui io stesso fui vittima: nel ’70 presentavo un mio film (L’età breve, n.d.r.) alla mostra del cinema di Pesaro. Il protagonista, in una riunione politica, sosteneva che l’arte dovesse essere al di sopra della lotta di classe. Per un’affermazione simile, che ora è condivisa da tutti, sono stato oggetto di pesanti invettive”. Contro l’occupazione era invece Gabriele Limido, leader dei giovani universitari di destra: “Eravamo tutti figli di operai e lavoratori per lo più meridionali e non volevamo che si interrompesse l’attività didattica. Non potevamo permetterci di perdere tempo. Rappresentavamo una minoranza ma ci siamo sempre difesi bene e i nostri avversari ci temevano e ci rispettavano”. La città ducale non ha avuto un ruolo marginale nella lotta studentesca italiana. “Urbino è stata più importante di quello che si pensa – sostiene Piersanti – perché
non c’erano al tempo tante università nel centro italia. Andavamo a promuovere le contestazioni a Pescara, Arezzo e Rimini. Andammo anche a San Benedetto, in occasione di un convegno, e lottammo perché gli studenti delle superiori potessero partecipare ad assemblee e riunioni senza i genitori. Pubblicammo anche un quaderno della rivista “Ad libitum” con ricerche e riflessioni legate alle istanze del ‘68”. Il ruolo centrale di Urbino è confermato anche da Giorgio Baratta, allora assistente di filosofia teoretica: “Ci sentivamo l’ombelico del mondo, soprattutto noi di filosofia, perché dal nostro istituto era partita tutta la rivolta. Per circa due anni, fino al 1970, siamo riusciti ad abolire le materie nella nostra facoltà e a creare un corso unico, teorico e pratico, in cui giravamo nei paesini vicini per portare l’università nel territorio e affrontare l’arretratezza del ceto contadino. Combattevamo l’idea di Urbino come piccola Oxford. L’università nel sottosviluppo (così l’avevamo chiamata) fu un’esperienza autentica, anche se con dei tratti senza dubbio mitologici”. Un sessantotto relativamente pacifico, quello urbinate: “nonostante qualche scontro – conclude Baratta - siamo stati fra le poche università in italia in cui il Rettore ha dialogato con gli studenti e non ha fatto intervenire la polizia”.
tornare a casa perché non reggevano la fatica”. Non parliamo poi dei costi. “Per poter tenere un apprendista in bottega – prosegue Carlo – dovrei addirittura frequentare dei corsi di specializzazione, per l’antinfortunistica. Sarebbero quindi così tante le spese che poi non riuscirei quasi a pagarli, questi giovani”. Antonio Venerucci, invece, la sua vita l’ha dedicata al legno. “Ho iniziato il mestiere di falegname nel 1959. Mi ha insegnato mio padre. E anche ora che sono in pensione da quattro, cinque anni continuo a svolgere il mestiere per passione”. Ma anche lui è ben consapevole che manca un reale ricambio generazionale. “I costi sono diventati davvero troppo alti. È impossibile riuscire a reggere la concorrenza di imprese specializzate del settore che producono in serie”. E anche spostandosi in un settore tipicamente femminile, quello della sarta, si scopre che i problemi sono gli stessi. Anna Cangiotti ha 69 anni e cuce da quando ne aveva appena 12. “Più che altro per la famiglia, precisiamolo. Però so benissimo che questo lavoro non garantisce un guadagno sicuro. Anche 5 euro per un orlo sembrano eccessive. Quindi, perché le ragazze dovrebbero andare ad imparare per molti anni, come ho fatto io, gratis, e poi non avere entrate sicure?”. La pensa così anche Giacomo Bronchini, 70 anni, professione calzolaio. “Faccio questo mestiere da quando avevo 13 anni e continuo ancora oggi per passione. Ma ai giovani non conviene iniziare. Dovrebbero mettere in conto anni di sacrifici senza alcun guadagno. Solo chi già sa fare può vivere discretamente e ottenere buoni guadagni. Un vero peccato perché è un mestiere bellissimo che garantisce grandi soddisfazioni”. Non tutto però sembra perduto: “ Se da un lato i giovani si allontanano da questi mestieri, precisa il professor Ramella dall’altro si assiste ad una reinterpretazione di questi lavori in maniera creativa. Chi ha voglia di svolgere una professione autonoma, indipendente, tende ad avvicinarsi a queste professioni”.
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I due attori di scena il 26 febbraio al Sanzio
I miracoli intonati di Haber e Papaleo Debutto teatrale per Giovanni Veronesi. Sua la regia dello show GIAMMARCO SICURO
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no spettacolo atipico, dove musica e cabaret si mischiano, dando vita a uno show che è una sorta di work in progress. “E’ tempo di miracoli e canzoni”, il nuovo spettacolo teatrale con Alessandro Haber e Rocco Papaleo arriva al Sanzio di Urbino. Il Ducato ne ha parlato con Haber, felice di tornare nelle Marche e in particolare nella città ducale che ricorda per i tanti giovani, la bellezza del centro storico e il vino dal sapore unico. Possiamo definire “E’tempo di miracoli e canzoni” uno spettacolo atipico? Sì, possiamo dire che si tratta di uno spettacolo fuori dai canoni. Il motivo principale è che io e Rocco Papaleo abbiamo due personalità diverse, ognuno con la propria storia. Entrambi però abbiamo, in qualche modo, toccato le stesse cose: nel teatro, nel cinema, con la musica; insomma abbiamo fatto lo stesso percorso. Poi, fra l’altro, siamo anche molto amici. Com’è stato tornare a lavorare con Giovanni Veronesi (regista dello spettacolo)? Anche con Giovanni sono molto amico: in passato ho lavorato parecchio con lui. Abbiamo fatto molti film insieme, posso citare “Per amore solo per amore”. Quindi c’è molta complicità, c’è sintonia. Forse è questo il motivo di tanto successo per questo spettacolo: si tratta di un work in progress dove io e Rocco Papaleo ci giochiamo le carte della musica. Insomma, per tornare alla sua prima domanda: sì, è unospettacoloatipicogiocatomolto sulla complicità e sull'ironia. Haber, dove si trova in questo momento?
La locandina dello spettacolo A Napoli: stasera siamo di scena al teatro Diana. Pensi che ieri un signore per strada mi ha fermato e mi ha detto: “Si n’artista esaggerato”. Un artista esagerato: qua a Napoli hanno delle espressioni incredibili. Lo spettacolo si apre con uno schermo gigante che mostra lei e Rocco Papaleo mentre vi prendete a schiaffi. Qual è il significato di questa prima scena e come si sviluppa lo show? Sì, quello è un pezzo estrapolato dal film di Pieraccioni “Il paradiso all’improvviso”. E’ una scena molto forte che possiamo definire come un gioco. Devo dire che lo spettacolo è molto divertente, poi ci sono dei sottotesti che parlano della famiglia, delle donne... E la musica? L’orchestra vi accompagna per tutto lo show. Ci sono cinque musicisti molto bravi. Io canto alcuni pezzi: tutti fatti, naturalmente, a modo mio. Ho avuto un riscontro di pubblico incredibile. Non lo dico da solo che c’ho una voce curiosa: molti critici
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hanno detto che ci sono tanti altri cantanti che invidierebbero il mio modo di cantare. Non so che farci: io canto in maniera molto passionale, molto istintiva. È una cosa che ho nel Dna. Possiamo dire che è la musica la sua vera passione? La mia passione è dare emozioni, sia con il cinema, sia con il teatro. Da qualche anno anche con la musica. Il mio sogno è quello di fare un concerto da solo come interprete, magari a teatro. Solo musica: prima o poi capiterà. Sto preparando un altro disco di cover riproposte a modo mio. Non so ancora come sarà il titolo ma vorremmo inciderlo da aprile. Lo spettacolo arriva a Urbino.Che rapporto ha con la città ducale? Urbino è una delle più belle città d’Italia. Vengo spesso nelle Marche: una regione fantastica dove vado a mangiare e dove si trovano vini incredibili. Infatti a volte vengo lì e me li porto a Roma. Urbino è un gioiellino: città universitaria, ci vengo spesso e volentieri, peccato che resterò soltanto un giorno. Rimarrà a Urbino soltanto il 26 febbraio, data dello spettacolo? Eh, sì. Non è che posso rimanere: la tourneè continua. Potrei perdere la testa per una di Urbino e rimanere. Qualche altro progetto in cantiere? Ho fatto qualche film: uno con Rocco Papaleo, si intitola “L’amore non basta”. Un altro invece è un’opera prima, si chiama “Quell’estate” ed è di Guendalina Zampagni. Poi ho dei progetti, tutte cose interessanti ma non ho ancora firmato niente. A proposito di teatro posso annunciare il mio ritorno al classico: farò Platonov, opera di Anton Cechov. Magari tornerò ad Urbino, per due o tre giorni questa volta.
Cinema 30 GIORNI DI BUIO Cinema Nuova Luce feriali 21.15, festivi 17.15/21.15 fino al 27 febbraio Ogni anno, quando l'oscurità avvolge per un mese la città di Barrow, in Alaska, gli abitanti devono combattere contro insaziabili vampiri assetati di sangue che seminano morte e distruzione.
SWEENEY TODD Cinema Ducale, sala 1 feriali 20.00/22.00 festivi 16.00/18.00/20.00 22.00 fino al 28 febbraio Il barbiere Sweeney Todd ovvero Benjamin Barker torna a Londra dopo essere stato ingiustamente imprigionato. Sotto la sua vecchia bottega ha aperto un negozio di pasticci di carne Mrs. Lovett, segretamente innamorata
LA SCHEDA DELLO SHOW
L’inedito ruolo di due “cantattori” Lo spettacolo si apre con uno schermo gigante che mostra Haber e Papaleo mentre si prendono a schiaffi: un omaggio al mondo del cinema dal quale provengono, ma anche una metafora di quello che avverrà nel corso dello show. I due cantattori, infatti, si rincorrono e si prendono in giro mostrando complicità e affinità collaudate. Colonna portante dello spettacolo una band di cinque musicisti che accompagna le performance vocali della coppia, alle prese con classici di grandi autori della canzone italiana (Cocciante, Conte, Fossati, De Gregori) e inedite composizioni cariche di ironia e dissacrante comicità.
di lui. Todd ha un unico pensiero: vendicarsi del giudice Turpin, che ha sentenziato la sua condanna di reclusione. PARLAMI D’AMORE Cinema Ducale, sala 2 feriali 20.30/22.30 festivi 16/18/20/22.30 fino al 27 febbraio Dall'omonimo libro di Silvio Muccino e Carla Vangelista, il film racconta la storia di una diciottenne
che affronta un viaggio nella spiritualità e nella sessualità. Sasha e Nicole sono due ragazzi che si riconoscono subito ma che devono compiere tutto il tragitto che la vita ha ideato per ognuno di loro prima di accettare i propri sentimenti, di incontrarsi alla pari, di avere il coraggio di specchiarsi nell'altro. Prima di arrendersi.
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SPETTACOLI Presto l’album della cantautrice di Cagli
Chiara, la popstar che incanta Praga KATIA ANCONA
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Rocco Papaleo e Alessandro Haber in una scena di “È tempo di miracoli e canzoni” In basso la band dei Marlene Kuntz
La rock band di Cuneo presenta l’ultimo album
Tour teatrale per i Marlene A
Cagli l’anteprima di uno degli eventi musicali dell’anno. Il tour “Uno”, dall’omonimo disco dei Marlene Kuntz, verrà presentato da Cristiano Godano e i suoi il 29 febbraio nel teatro comunale della città marchigiana. Uno scenario intimo e senz’altro adatto alle note di questo album con il quale la band di Cuneo ha sicuramente imposto una virata allo stile artistico dei Marlene. Poco spazio allora alle sonorità rock-noise questa volta. Per quanto riguarda “Uno” la cosa che ha colpito i fan è stata la svolta cantautoriale delle trac-
Teatro TERZO FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA TRISTEZZA San Costanzo (Pu) Teatro della Concordia 22 e 23 febbraio Corsi di flauto, tecniche di meditazione, balli di gruppo. L’uomo di oggi le tenta tutte per sfuggire all’angoscia che l’attanaglia. I comici del San Costanzo Show, consapevoli della gravità del problema, dedicano alla Tristezza un intero festival, per affrontare la questione per sempre.
LE INTELLETTUALI DI MOLIÈRE Urbania Teatro Bramante 29 febbraio ore 16.30 Tutto inizia dalle nozze di Enrichetta, membro di una strampalata famiglia nobile seicentesca, dove dominano le ipocrisie di ciascun componente e la pedanteria del sapere accademico e tradizionale, fatto solo di forma.
ce proposte, che per il tour teatrale verranno ancora più smussate. Il settimo lavoro di uno dei gruppi più influenti degli ultimi anni si ascolta da seduti quindi. I Marlene Kuntz non hanno bisogno di grandi presentazioni. Fin dall’ormai lontano 1994, anno di pubblicazione del primo album, Catartica, i sonici Marlene raggiunsero una popolarità, soprattutto nelle giovani generazioni, definibile come “mitica”. A quattordici anni di distanza la band di Godano si è fatta più pacata, quello di Cagli è un certamente un concerto da non perdere. (g.fe)
Convegni ANCHE I GENI HANNO COMINCIATO DA PICCOLI Conferenza su Donato Bramante, Fermignano, Sala del Consiglio Comunale, 22 febbraio 15.00, 23 febbraio 10.00 Presieduta da due massimi esperti bramantologi: il Prof. Arnaldo Bruschi ed il Prof. Christoph Luitpold Frommel, entrambi docenti all'Università "La Sapienza"di Roma. In facoltà di moderatore, ci sarà
ella Repubblica Ceca e in Slovacchia è una star. A Cagli, dove vive con mamma e papà, Chiara Grilli, classe 1979 è una maestra elementare. Due lauree, una in Scienze dell’Educazione e una in Scienze della Formazione primaria ad Urbino e un album che sta per uscire nei paesi dell’est. “Tra marzo e aprile prossimi il mio disco ‘Innamorata di chi’ sbarcherà nella Repubblica Ceca e in Slovacchia” spiega, felice per questo momento di celebrità. Una carriera iniziata da tempo la sua: “Sono una cantautrice da sempre”. Ha iniziato a cantare nel coro parrocchiale e a suonare chitarra e pianoforte da bambina, anche se la vera e propria consacrazione davanti ad un pubblico è avvenuta a Chiara 15 anni. E non è la prima, nella sua famiglia, ad avere un feeling particolare con la musica: “Mio nonno suonava nella banda militare e durante la guerra, questa sua passione, gli ha consentito di salvare la pelle”. Come mai il successo è arrivato proprio nei paesi dell’est? “Nel 2003 ho scoperto per caso che un produttore ceco, Michael David stava cercando una cantante per un progetto: un disco pop dance in lingua italiana distribuito dalla Sony music. Ho mandato un video clip con una mia canzone che si chiama ‘Voglia di cambiare’ e le cose sono cambiate davvero, perchè sono stata scelta per realizzare il progetto”.
un illustre rappresentante della Soprintendenza di Urbino. L'obiettivo principale è mostrare le doti artistiche e architettoniche del Bramante, simbolo di un intelletto acuto e rigoroso. Sarà anche l'occasione per aprire nuovi percorsi di riflessione sulla sua figura.
Eventi APERITIVO RADIOSONICO Urbino, Circolo Acli 1 marzo, dalle 18.30 Ripartono gli aperitivi radio-
“Damichi”, questo il nome dell’album che prende spunto dalle iniziali dei cantanti, si è guadagnato da subito i primi posti in classifica superando le cento mila copie vendute. Al primo album ne sono seguiti altri: “Damichi 2, 3, 4” e “Damichi the best” complessivamente cinque dischi che hanno ricevuto il riconoscimento di altrettanti dischi di platino. “Gli album raccolgono una serie di cover come ‘Non voglio mica la luna’ di Fiordaliso oppure ‘Mamma Maria’ dei Ricchi e Poveri, reinterpretate in chiave dance”. Ora, però, Chiara punta ad una carriera da solista: “Sto registrando il mio d i s c o, u n d i c i canzoni scritte da me lo scorso anno, uscirà prima nei luoghi i cui sono diventata famosa anche se è in Italia che vorrei cantare”. Nel 2005 è stata selezionaGrilli ta tra le 12 nuove proposte del Festival Show di Castelfranco Veneto. “Mi ritengo fortunata di quanto ottenuto ma è nel mio Paese, dove tutti potrebbero capire i testi, che vorrei cantare, mi sto organizzando ma per il momento non ho progetti precisi”. Cosa amano di lei nella Repubblica Ceca? “Credo si innamorino del personaggio, ricevo spesso e-mail di stima”. Intanto Chiara spera, con ‘Innamorata di chi’, di potersi dedicare anima e corpo a questo lavoro: “Fare la maestra mi piace – dice – ma vorrei vivere della mia voce, fino a questo momento la musica mi ha dato fama ma non soldi, questo disco è la mia scommessa”.
fonici di Radio Urca, la web radio degli studenti di Urbino. In programma musica e arte. Tre gruppi (Keine, Nootropil, ed Electronic Sheep), due dj (VIC e Vommy Tee, del collettivo Mukakke), expo d’arte (con i lavori prodotti durante i laboratori Acli), videoproiezioni e digital art. Tutta la serata sarà trasmessa in diretta sul web, grazie alla collaborazione dell’ UWIC. Per ascoltarla basterà andare sul sito di Radio Urca, www.radio-campus.it
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il Ducato
In un’intervista al Ducato, il Rettore Bogliolo parla di risultati e difficoltà
Vendere i collegi per ripartire “Il bilancio è in salute, ma i soldi della statalizzazione non bastano e impongono regole rigide sulle assunzioni” CHIARA ROMANELLO
I
nnovare, riformare, costruire. Ma con un occhio sempre attento ai conti. Il Rettore dell’università di Urbino, Giovanni Bogliolo fa il punto della situazione e analizza le prospettive per il nuovo anno in un incontro con gli studenti della scuola di giornalismo. L’ateneo programma il suo futuro razionalizzando l’offerta formativa ed elaborando un nuovo statuto, ma non ha possibilità di fare nuove assunzioni. Motivo: le rigide regole del finanziamento ottenuto con la statalizzazione, “che ci permettono di utilizzare solo il 35% delle risorse liberate dal turn over – spiega il Rettore – per cui ogni dipendente che va in pensione non libera un posto, ma solo un terzo di un posto”. In più, i soldi della statalizzazione hanno permesso all’ateneo di tirare il fiato, ma non hanno certamente consentito di ripianare i debiti contratti molti anni fa da Carlo Bo. Quella è un’altra storia, che sembra avere una sola soluzione: prima la vendita del collegio Tridente e poi, forse, la cessione di tutte le altre residenze universitarie. “La parte corrente del nostro bilancio è pienamente in salute, ma con la vendita del Tridente riusciremmo a sistemare quasi totalmente il mutuo contratto negli anni passati, togliendoci di dosso una pesante zavorra”, assicura il Rettore. Un intento noto già da diverso tempo, a cui è seguita una trattativa interminabile, ricca di dichiarazioni ma con pochi fatti concreti. I collegi. Il valore del Tridente, le diverse stime fatte nel corso del tempo, le dichiarazioni ai giornali di Giancarlo Sacchi, presidente dell’Ersu. Nessuno di questi punti ha la priorità per il Rettore Bogliolo. Prima bisog n a p re c i s a re quali sono gli interlocutori autorizzati a fare delle offerte: “L’università, che è un ente autonomo, ha preso la decisione di vendere una sua proprietà alla Regione Marche, che è un altro ente autonomo – chiarisce il Rettore - ora l’Ersu rivendica la capacità di acquistarla in proprio. Mi va tutto bene, ma si tratta della volontà di un organo strumentale, quindi la prenderò in considerazione solo quando la Regione metterà un timbro a questa of-
ferta”. Nessun riconoscimento dunque per l’ente diretto da Sacchi, che da più di anno non solo vuole acquistare il Tridente ma anche riaggiustare all’ingiù il prezzo di vendita. I termini della contrattazione sono ormai ben noti: l’Ersu ha elaborato una stima (pari a 12 milioni di euro) che terrebbe conto dei lavori di ristrutturazione, a cui l’università ha sempre risposto picche. “La nostra valutazione, 23 milioni di euro, è stata fatta regolarmente dall’agenzia del Territorio e tiene già conto di tutti i lavori di adeguamento alle nuove normative – risponde Bogliolo – ora noi abbiamo chiesto all’Agenzia di fare una nuova stima che tenga conto del degrado subito a partire dal 2001, ma anche dell’incremento del valore degli immobili e sono certo che sarà poco più bassa della cifra che già abbiamo”. Una volta ottenuto il nuovo prezzo, che dovrebbe arrivare tra una decina di giorni, l’università si adopererà per concludere la vendita entro giugno pur non avendo ancora un compratore c e r t o. A q u e l punto per gli studenti cambierà qualcosa? “Assolutamente nulla” assicura Bogliolo. Poi cominceranno subito nuove trattative per la cessione degli altri collegi? Non è dato saperlo. Certo, liberarsi di un’intera proprietà “che non rispecchia più gli obiettivi dell’università”, permetterebbe finalmente di chiudere con le magagne del passato, per investire su tutte le opere che sono bloccate da anni: la costruzione di nuovi laboratori, l’adeguamento dell’ex carcere (che l’ateneo ha in comodato gratuito da anni). Tutte congetture al momento. “Il presidente Sacchi ha fatto alcune proposte di acquisto di tutti i collegi, che però io ho letto solo sui giornali – dice Bogliolo – mi pare tutto ancora abbastanza fantasioso al momento, ma se ne può discutere”. Urbino ha bisogno di nuovi collegi? Un tasto delicato, certo. Una questione che si dipana da anni, come molte altre di questa città. Recuperare il centro storico lasciando agli studenti la campagna di Cavallino o di Biancalana o ancora di Montesoffio e Torre S. Tommaso. E in questo caso il rettore non nasconde il suo scetticismo: “E’ un progetto già lanciato, probabilmente inarrestabile, che ha avuto un primo finanziamento, ma servo-
“Valuterò le proposte dell’Ersu sul Tridente solo quando le approverà la Regione”
Nuovi collegi? “Non siamo coinvolti e io rimango scettico anche sulla collocazione”
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no altre risorse per metterlo in piedi. Io comunque rimango scettico soprattutto per la collocazione e del resto non mi sento coinvolto perché sono nella condizione in cui devo estinguere dei mutui e non farne degli altri. Voglio chiudere il mio mandato nel 2009 lasciando il bilancio in buone condizioni, una volta per tutte”. Un nuovo manifesto di studi. Dopo due riforme degli studi che hanno avuto l’effetto di dilatare e poi restringere l’offerta formativa di molti atenei italiani, l’università cerca la sua via per ammodernare gli indirizzi di studio e attrarre nuovi studenti. Così, dopo l’approvazione del Cun – il comitato nazionale universitario – già ad aprile potrebbe essere pronta una bozza del nuovo manifesto di studi: “Abbiamo razionalizzato l’offerta senza rinunciare a nessuno degli indirizzi in cui credevamo – sottolinea il Rettore – ma abbiamo dovuto fare qualche sacrificio, come ad esempio il corso di psicologia del lavoro che andrà ad esaurimento. Anche se aveva circa 200 iscritti all’anno non potevamo più garantirgli il numero di professori necessari”. Con la statalizzazione poi, si è resa necessaria anche una modifica dello statuto: una riforma dei meccanismi di elezione del Rettore, della composizione dei consigli di facoltà, del senato accademico e del consi-
Il Rettore della “Carlo Bo” Giovanni Bogliolo
glio di amministrazione. Una bozza è al vaglio del consiglio di amministrazione. La sinergia con la città. “Da tre anni circa ho creato un tavolo con i rappresentanti di tutti gli enti e le associazioni interessati o coinvolti nelle politiche dell’università”. Un mezzo per dialogare, in una città che negli anni non è ancora riuscita a creare una rete reale di collaborazione tra le diverse istanze, per muoversi come un’unica entità. Si tratta però di un foro che riguarda esclusiva-
mente i problemi dell’ateneo. Eppure il sindaco Franco Corbucci vede nell’università “un punto di riferimento per lo sviluppo e la promozione di tutto il centro storico attraverso corsi di qualità e di alta formazione”. Per un ruolo del genere un tavolo sull’ateneo non può bastare: “Siamo già impegnati nell’alta formazione – risponde Giovanni Bogliolo – se ci sono altri progetti in cui la città sente che possiamo essere coinvolti, allora aspettiamo solo di essere chiamati”.
Tesi di laurea. Il lavoro di Cristian Guerreschi
Uncorto di“cinegrafica” ELISA STRAINI
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osa succede quando cinema e grafica si fondono? Cristian Guerreschi l’ha sperimentato con “Type (e) motion”, il cortometraggio che presenterà, in questi giorni, come lavoro finale dei suoi studi all’Isia, l’Istituto superiore per le industrie artistiche di Urbino. Undici minuti in cui racconta la storia di una ragazza dalla vita molto normale, di cui solo alla fine si scopre il nome. La giovane, protagonista del corto, è circondata da un’atmosfera malinconica e intorno a lei parlano e si muovono le altre persone. La comunicazione è però fredda e diCristian stante. Per esprimerla sono state utilizzate solo le parole scritte. Le strade e i portici di Bologna fanno da sfondo. Tutto è in bianco e nero. “Ho provato a togliere la voce al cinema – spiega Cristian – e con la grafica ho dato espressione ai dialoghi”. Nulla a che vedere, però, con i film muti. Nelle pellicole di Griffith o di Ejzenstein dei primi decenni del ‘900, la voce è sostituita da ‘cartelloni di testo’ tra una scena e l’altra, ben separati dalle immagini. Nel corto di Cristian le frasi scritte sono parte in-
tegrante del video, prendono forma e si muovono in esso. Negli esterni, per strada ad esempio, le parole si sovrappongono, creando ‘rumore’ indistinto. In una scena in cui la protagonista viene ‘travolta’ da una telefonata inattesa, invece, le frasi escono dal ricevitore, circondandola e muovendosi per la stanza, fino a quando lei pone fine alla confus i o n e, c h i e d e n d o ‘C O ME?’(scritto grande e maiuscolo). Tutti parlano in ‘Helvetica’, lo stile di Word piatto e uniforme, scelto per sottolineare comportamenti un po’ standardizzati e la distanza tra la ragazza e il mondo che le sta attorno. L’unico a distinguersi è un graffitaro. Solo lui saprà comportarsi con lei in modo autentico e ‘parlerà’ con simGuerreschi boli fuori dalla norma, con una calligrafia sua. “Type (e) motion”, spiega Cristian, è a metà tra il videoclip musicale e il cortometraggio. “Ha il ritmo del corto, ma è senza le voci e come il videoclip, è accompagnato dall’inizio alla fine, da una musica di sottofondo. Le note esprimono sensazioni”. La colonna sonora è stata scelta fra la musica di due dj bolognesi, Panum e Antani ed è composta da musica elettronica “Per la sua ripetitività si presta bene ad essere spezzettata nel montaggio”.
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UNIVERSITÀ
I numeri della “Carlo Bo” Facoltà
Immatricolazioni triennali * 2008 2007
Iscritti specialistiche * 2008 2007
Iscritti totali * 2008 2007
Economia
212
172
119
98
1.387
1.403
Farmacia
201
189
---
---
1.289
1.245
Giurisprudenza
204
223
39
33
1.743
1.896
Lettere e filosofia
121
103
98
98
1.059
1.090
Lingue e letterature straniere
239
218
30
20
1.200
1.233
Scienze della formazione
550
424
159
170
3.675
3.541
Scienze e tecnologie
160
125
211
195
1.294
1.220
Scienze motorie
242
270
164
138
1.435
1.389
43
57
40
22
452
561
260
304
192
175
2.307
2.462
93
106
---
---
445
475
2.325
2.191
1.052
16.286
16.515
Scienze politiche Sociologia Corsi interfacoltà Totale
949
* I dati del 2008 sono aggiornati all’11 febbraio e non conteggiano la totalità degli studenti fuoricorso che potranno regolarizzare l’iscrizione anche più tardi I dati del 2007 sono definitivi e aggiornati al 31 luglio Gli iscritti totali indicano la somma degli studenti dei tre anni della laurea triennale e dei due anni della specialistica Fonte: Rettorato dell’Università “Carlo Bo”
Secondo i dati provvisori, i nuovi ingressi sono cresciuti del 6,11 per cento
Più matricole, meno studenti Il Rettore: “Il calo del numero degli iscritti dovuto agli effetti della riforma universitaria. Aumentano i laureati” ELISA ANZOLIN
A
umentano le immatricolazioni ma calano gli studenti. I primi dati, non ancora definitivi, sulla popolazione studentesca dell’ateneo urbinate nell’anno accademico 2007/2008 sono solo in apparenza contrastanti. Continua il calo degli iscritti (-1,39%) all’università, che in sei anni ha perso oltre seimila unità, ma quest’anno la spiegazione potrebbe essere virtuosa: gli studenti sono di meno perché i laureati sono di più. La causa è da cercare nella riforma universitaria che, come spiega lo stesso rettore G i ov a n n i B o gliolo, “riducendo la durata del corso di laurea a tre anni, ha portato a un consistente aumento delle lauree”. Il numero totale degli iscritti passa quindi dai 16.515 dell’anno scorso (dati definitivi del 31 luglio 2007), ai 16.286 di quest’anno (rilevazione dell’11 febbraio 2008). Il calo è quindi dell’1,39 %. “Un dato – commenta Bogliolo - poco rilevante perché, mentre gli stu-
denti in corso hanno delle scadenze precise per pagare le tasse entro dicembre, i fuori corso tendono a farlo all’ultimo minuto, quando hanno un esame pronto e decidono di darlo”. Secondo il rettore, gli iscritti potrebbero quindi ancora aumentare nei prossimi mesi e i dati definitivi, che sarranno resi noti solo a luglio, potrebbero essere leggermente diversi. Conseguenza dell’introduzione delle lauree triennali è anche il lieve aumento degli studenti in corso, cresciuti dello 0,4%. “Un dato importante spiega Bogliolo - perché Urbino ha sempre avuto un alto numero di studenti fuori corso rispetto alle altre università, ma ora la situazione sta cambiando. Ce ne sono ancora 6.000, sempre tanti, ma non tantissimi rispetto alla media nazionale”. La riforma universitaria non spiega invece l’aumento delle immatricolazioni. Per il secondo anno consecutivo dal 2003 le matricole sono cresciute. Quest’anno sono 2.325 (+6,11%), mentre l’anno scorso erano 2.191. In generale sono aumentati del 5,75% anche i nuovi ingressi (persone che non vengono direttamente
Gli studenti fuori corso sono più di seimila Un numero in calo ma ancora alto
dalla maturità e che possono aver chiesto il trasferimento da altri atenei). I dati sui nuovi iscritti alle lauree triennali variano ampiamente da facoltà a facoltà. Trend positivo per le immatricolazioni a Economia, Farmacia, Lettere e Filosofia, Lingue e Letterature Straniere, Scienze e tecnologie e soprattutto a Scienze della Formazione, con 126 matricole in più rispetto al
2006/2007. Perdono attrattiva invece la facoltà di Scienze Politiche, di Scienze motorie e quella di Sociologia. Andamento positivo anche per le lauree specialistiche. Tra iscritti e preiscritti, l’aumento è del 10,85%: quest’anno i nuovi iscritti sono 1.052, contro i 949 dell’anno precedente. I dati resi noti dall’Università non mettono però in evidenza gli andamenti dei singoli corsi.
Per avere qualche informazione in più bisogna cercare nel sito del Miur, il ministero dell’Università e della Ricerca. Nell’anno accademico 2006/2007, alcuni corsi dell’università di Urbino avevano pochissimi iscritti. La laurea specialistica in Filologia e tradizione classica, ad esempio, aveva solo sei iscritti, e quest’anno non sembra andare meglio. Ma il corso non chiuderà.
SOGESTA
SCIENZE E TECNOLOGIE
Riapre il bar del campus
La banca dati sulla fauna
Il campus universitario della Sogesta ha di nuovo il suo bar. L’esercizio era stato chiuso alcuni giorni fa, quando la ditta di gestione, la Saar, aveva ricevuto dall’Ersu la revoca della licenza. La Saar non aveva mai rispettato gli orari previsti dal bando e di recente aveva creato problemi, soprattutto perchè non pagava gli stipendi. L’Ersu è ricorsa a un piano d’emergenza e gestirà il bar per un breve periodo, pur di non interrompere un servizio prezioso per gli studenti della Sogesta. Entro giugno verrà indetto il nuovo bando. (a.d.)
Sarà la facoltà di Scienze e tecnologie dell’Università “Carlo Bo” a svolgere il censimento del patrimonio faunistico della regione Marche, uno dei più ricchi e differenziati d’Italia. Lo studio, commissionato dall’Upi, l’Unione delle Province italiane, dalla Provincia di Pesaro e Urbino e dagli altri soggetti coinvolti nel progetto, prevede la creazione di una banca dati che sarà consegnata alla Regione entro la fine di maggio. La facoltà di Scienze e tecnologie collaborerà con l’Osservatorio faunistico regionale. (a.d.)
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il Ducato
Definito il percorso nel centro storico. L’arrivo davanti agli scalini del Duomo
Cronoducale, pronti a partire Gli organizzatori: dopo la tappa del Giro puntiamo sul ciclo-turismo. Colbordolo-Urbino strada delle bici ANDREA FRANCESCHI
L
a strada che da Colbordolo porta a Urbino diventerà una pista ciclabile. È questa l’idea del presidente della Provincia Palmiro Ucchielli e degli organizzatori locali della tappa del Giro d’Italia. L’obiettivo è chiaro: sfruttare la popolarità che Urbino guadagnerà con la tappa del Giro d’Italia del 20 maggio per fare della provincia una meta per i ciclo-turisti. “Già adesso molti appassionati e sportivi vengono a Urbino per affrontare quella che noi chiamiamo la strada dei Duchi - dice Gianfranco Fedrigucci, presidente della commissione sport del Comune – e dopo che gli occhi di tutto il mondo saranno puntati sulla nostra città con la cronometro Pesaro-Urbino del 20 maggio, ci auguriamo che i ciclo-turisti aumentino”. Un binomio, quello tra la città e la bicicletta che, dalla prima edizione della “Straducale” del 2000 (la gara ciclistica della città), è cresciuto negli anni e ha raggiunto il top quest’anno con la cronometro del giro d’Italia. Proprio in questi giorni si stanno definendo i dettagli organizzativi e logistici dell’appuntamento che metterà la città sotto i riflettori il 19 e il 20 maggio. A partire dal percorso nel centro storico. Il traguardo sarà davanti alla scalinata del duomo. I ciclisti arriveranno da Piazza Mercatale, dove sarà allestito il villaggio sponsor, saliranno per via Mazzini per poi girare in Piazza della Repubblica per lo scatto finale. Non è ancora definito invece il percorso completo della gara, che partirà da Pesaro. Rispetto a quello anticipato nel Ducato di dicembre, ci saranno alcune variazioni, ma non si sa ancora quali. “Una cosa è certa comunque - dice Fedrigucci – vogliamo dare spazio alle località di maggior interesse artistico nella nostra provincia. La visibilità garantita dalla cronome-
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A sinistra, il percorso nel centro storico e l’allestimento della città per l’arrivo della cronometro Pesaro-Urbino In basso Danilo Di Luca, maglia rosa 2007 (foto da Gazzetta.it)
tro è un’occasione irripetibile per far conoscere a giornalisti e media di tutto il mondo la ricchezza culturale della nostra provincia”. Definitiva poi la scelta della sede del quartiere tappa. Gli uffici dello staff del giro e la sala stampa saranno al Collegio Raffaello. Qui 17 sale saranno allestite per l’occasione. “Vorremmo coinvolgere aziende della zona per questo lavoro. In questo modo il Comune potrebbe risparmiare e l’azienda avrebbe una buona pubblicità” spiega il presidente della commissione sport. E poi la cena di gala, per giornalisti e addetti ai lavori, che si terrà il 19 maggio al Palazzo Ducale. Comune e organizzatori, stanno mettendo a punto un piano per risolvere gli inevitabili problemi di viabilità e parcheggio che
la città avrà nei due giorni del giro. C’è fibrillazione tra gli addetti ai lavori. I mesi che mancano alla tappa saranno molto intensi. “Ci sarà da pedalare” commenta Gianfranco Fedrigucci. L’occasione della cronometro a Urbino non capita molto spesso. La gara fa gola a molti. “Angelo Zomegnan, direttore del Giro d’Italia ci ha detto che se avesse dovuto tenere conto di tutte le richieste che gli erano arrivate, avrebbero dovuto fare 18 cronometro invece che quattro” confida. La gara è indubbiamente tra le più seguite della kermesse. “Gli organizzatori non hanno avuto dubbi sula tappa di Urbino. Forse perchè sanno che anche il Giro avrebbe un bel ritorno d’immagine passando dalla nostra città”.
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SPORT
Il bilancio del poligono mai in attivo
Al campo di tiro si fa fuoco solo di domenica Poche iscrizioni, spese a carico dei soci Mancano acqua, servizi e strutture per poter ospitare un torneo federale
Un appassionato di armi si allena nella cava delle Cesane DANIELE CIMÒ
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n gioco di tecnica, non di arma. Più di tanto, però, non si scherza, le pallottole sono vere e si capisce dai colpi che rimbombano tra i boschi e le colline delle Cesane. I due ettari di terreno del campo di tiro del “Free Shooting Club” sono circondati da pareti di roccia, dalla vegetazione e da un recinto di filo spinato. La cava attutisce i rumori degli spari, ma chi abita o passa nelle vicinanze li sente bene. Di solito il silenzio di quello spicchio di campagna era turbato da colpi di pistole e fucili più volte alla settimana, ma ora non è più così, i silenzi prevalgono. Gli amanti delle armi possono sfogarsi con il tiro normale e il tiro dinamico ( le due discipline praticate al Free Shooting Club) solo la domenica mattina. Questo a causa della diminuzione degli iscritti che ha costretto i responsabili a limitare i giorni di apertura, come spiega il cartello appeso sul cancello d’ingresso del campo. Il martedì e il giovedì si può entrare nel campo solo su prenotazione. Pistola, fondina, caricatori, cuffie e occhiali, tutti ordinati in una valigetta: questo il kit con cui gli appassionati, ogni domenica, si immergono nel bosco per andare a caccia di sagome di cartone. Il poligono non è riuscito a crescere ed è rimasto un posto esclusivo per loro, amanti delle armi e della natura. Vengono dalle colline del Montefeltro, ma anche da Pesaro e da Rimini. Fino a qualche anno fa al Free Shooting Club di Ca’ Dondo si esercitava la Polizia Penitenziaria e i gestori speravano di ospitare prima o poi qualche torneo nazionale riconosciuto dalla Federazione italiana. Ora la speranza non c’è più e il bilancio di fine anno non è mai attivo. Il motivo è semplice: mancano i servizi, manca l’acqua, il bagno è una piccola baracca di metallo. “Abbiamo fatto tutto noi soci – racconta Renato Boschi – fondatore del campo di tiro e socio principale – il recinto, i camion di ghiaia e le sagome. L’amministrazione si è rifiutata di darci una mano. All’inizio mandava due camion di ghiaia all’anno, ora
neanche quello. È strano che accada ciò in una città in cui non c’è quasi niente. La gente che veniva qui, come gli agenti di polizia penitenziaria, riempivano i ristoranti e visitavano Urbino. Valorizzare questo centro sarebbe convenuto al Comune, ai commercianti e agli abitanti della città ducale, non solo a noi”. Il Free Shooting Club nacque nel lontano 1994. Fu fondato da Renato Foschi insieme a pochi amici con la passione di uno sport ai tempi quasi sco-
nosciuto in Italia. Foschi ricorda di aver pensato a quella cava come possibile sede di un campo di tiro guardandola dall’alto, durante un volo in deltaplano. Aveva scoperto questo sport qualche anno prima, nel 1989, poi era diventato istruttore di tiro e range office (un tutore che ha il compito di garantire la sicurezza durante gare o esercitazioni) in America. Gli ordini ai suoi allievi, anche oggi, li impartisce in inglese. “Load and make ready”: il primo grido con cui dà il via ad un
esercitazione; “Unload and show clear”: l’ordine finale che chiude ufficialmente la prova. Nel piccolo ufficio di legno è appesa in bella vista una spada di samurai, ha il portachiavi decorato da pallottole svuotate di calibro diverso e nel suo archivio personale sono conservate le foto di Franky Garcia, il campione del mondo che tanti anni fa ha tenuto un corso formativo di tre giornate nel campo di tiro di Ca’ Dondo. Per fare pratica nella cava delle Cesane serve il porto d’armi o
bisogna seguire un corso di maneggio armi. Chi ha fatto il militare e come se avesse già seguito il corso. E’ il caso di Vito, cliente abituale del poligono con un suo amico di Pesaro: “Chi non conosce questo sport pensa che siamo come Rambo – racconta una domenica mattina mentre, tra un colpo e un altro, esercita la sua mira- in realtà è un passatempo. Venire qui è un piacere, ci sono altri campi nella provincia, anche più attrezzati, ma questo, circondato dalla natura, è il più bello”.
Lo sport brasiliano arriva alla Tortorina e alla scuola Pascoli
Capoeira, lotta a ritmo di danza GIULIA FLORIS
È
nata tra gli africani deportati nelle piantagioni del Brasile e, secondo la leggenda, era un modo per gli schiavi di allenarsi nel combattimento, mascherando la lotta con la danza. Col tempo è diventata uno sport che unisce danza acrobatica e arti marziali, è praticato in oltre 50 paesi e ora si può fare anche a Urbino. E’cominciato infatti alla palestra Tortorina un nuovo corso di Capoeira, tenuto dall’associazione Ginga Rio. Il gruppo, nato a Rio de Janeiro nel 1999, è attivo in Italia dal 2002, quando Lobinho, uno dei fondatori, si è trasferito in Italia, a Senigallia, e ha cominciato a insegnare questo sport nel nostro paese. Lobinho è in realtà il soprannome da capoerista di Andrè Luiz Emi Santos: l’usanza di darsi un “apelido” (un soprannome appunto) quando si fa Capoeira è nata in Brasile alla fine dell’800, quando questa forma di lotta era fuori legge, e si è conservata nel tempo, anche dopo che la Capoeira, nel 1974, è diventata lo sport nazionale del Brasile. Un Per Lobinho, che ha 33 anni e la pratica da quando ne aveva 11, “La Capoeira è uno sport che possono fare tutti, va bene dai 7 ai 100 anni”. Dopo aver visto le sua acrobazie è un po’ difficile credergli, ma lui rassicura: “L’importante è capire che ci sono vari livelli e non scoraggiarsi subito, col tempo si prende
fiducia e si impara a fare cose che non si sarebbe mai pensato di poter fare”. C’è speranza anche per i più imbranati dunque? “C’è speranza per tutti. Certo la coordinazione e l’equilibrio aiutano, ma se non si hanno la Capoeira può essere proprio una strada per acquisirli”. I livelli, come spiega Lobinho, sono in effetti tan-
Capoeira è faticosa, come tutti gli sport di potenza, ma ne vale la pena perché è fantastica”. Si cimenta da quattro anni in questa disciplina anche Paola, brasiliana che però è arrivata alla Capoeira in Italia: “In Brasile tutti i miei amici la facevano, ma a me non interessava, qui invece mi è venuta voglia di provare”. Ha scoperto la Capoeria con i Ginga Rio anche Fabio Bevilacqua, studente di Scienze Motorie che alla Palaferrosportlife, presso la palestra della scuola Pascoli, propone una versione “personalizzata” di questo sport e tiene un corso di Capoeira-Fitness. “Non si tratta di vera e propria Capoeira, anche perché non ho la qualifica per insegnarla. Ma siccome in questo sport c’è un’alta percentuale di abbandono, ho cercato di darne una versione più leggera, meno faticosa, mirata a fare gruppo e al divertimento. Diciamo che questo potrebbe essere un corso propedeutico alla Capoeira, rivolto a chi vuole muoversi e divertirsi facendo qualcosa di diverso dalla solita aerobica, con momento dell’allenamento del gruppo Ginga Rio l’aggiunta di passi di arti ti e ogni scuola ha il suo sistema di gram a r z i a l i e m u s i c a b r a s i l i a n a”. duazione: “Noi ne abbiamo 15 e al grado Proprio la musica è un ingrediente fonpiù alto, quello di ‘Mestre’, neanch’io sodamentale della Capoeira, anche se speno ancora arrivato”. E per quanto riguarso nelle palestre il suono degli strumenti da la fatica? Erica, che ha cominciato tradizionali, come il berimbau (uno struquattro anni fa, dice che anche questo mento a corda) o i tamburelli, è sostituinon è un ostacolo insormontabile: “La to dalle musiche registrate sui cd.
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il Ducato
MASS MEDIA
Il Comic Journalist utilizza il disegno come una foto e le interviste come testo
La cronaca diventa fumetto Boccia Artieri: “Il limite è la credibilità: la gente si fida meno del racconto illustrato rispetto a un quotidiano”
Dalle colonne del Guardian ai molti libri-inchiesta spopola il giornalismo disegnato
“I
n un mondo dove Photoshop ha svelato che il fotografo è un bugiardo, all’artista è consentito di ritornare alla sua funzione originale: quella di reporter”. Sono le parole di Art Spiegelman, l’uomo che nel 1973 decise di raccontare la storia di suo padre, un ebreo polacco sopravvissuto ai campi di concentramento, attraverso parole e immagini. Nacque così Maus, una biografia a fumetti, o fumetto della realtà, dove nulla è frutto dell’immaginazione e tutto è vero, vissuto. Al punto da aver vinto un premio Pulitzer nel 1992. Spiegelman avvicina il disegno alla cronaca dei fatti e, pur trasformando i nazisti in topi e gli ebrei in gatti, narra fedelmente la storia della Shoa. Un’ intuizione che 10 anni fa il giornalista britannico Joe Sacco, inviato di guerra per il quotidiano Guardian, fece propria e applicò al lavoro di reporter, dando i natali a nuova figura nel campo dell’informazione: quella del Comic Journalist. Era il 1996 quando Sacco decise di trasformare in fumetto le inchieste condotte nel 1991 in un viaggio di due mesi tra Israele e i territori occupati. Il risultato è un libro, Palestina, 312 pagine in bianco nero nel quale i disegni prendono il posto delle foto, la cronaca o le interviste quello dei testi. Una idea, il Comic Journalism, che ha avuto molta presa sul pubblico e che ha trovato subito seguaci, all’estero come in Italia. Oggi sono molti gli autori che scelgono il fumetto per una inchiesta o un reportage. Tra i titoli stranieri più conosciuti c’è 9/11, racconto illustrato delle indagini compiute dalla commissione americana sull’11 settembre. In Italia, invece, hanno avuto un discreto successo Ilaria Alpi, il prezzo della verità scritto da Marco Rizzo e disegnato da Francesco Ripoli, e Chernobyl o di cosa sono fatte le nuvole di Paolo Parisi. Nel 2005 poi sono nati a Treviso la casa editrice Becco giallo, specializzata proprio in reportage e inchieste a fumetti, e a Ravenna
il festival Komikazen. Che il giornalista lavori in collaborazione con una fumettista o che sia lui stesso a disegnare, l’imperativo è lo stesso: attenersi rigorosamente ai fatti e disegnare persone reali. . “Un comic journalist– racconta Gianluca Costantini dell’associazione Mirada, che organizza la rassegna ravennate e disegnatore - agisce come un qualsiasi altro giornalista. Arriva sul posto, intervista i testimoni e chiede informazioni. La differenza è che si esprime con le immagini oltre che con le parole”. Un escamotage che rende il racconto più accattivante e fruibile per il lettore. E che attira tutte le fasce di età “Questo tipo di prodotto si rivolge a un pubblico trasversale – aggiunge Costantini – che va dai 18 ai 70 anni. Ho notato però che non abbiamo ancora fatto presa sui giovanissimi, quelli cioè che normalmente comprano i fumetti. Il ‘comic’ per loro è pura evasione, quando si accorgono che non è così, non lo comprano”. In ogni caso, il vero problema di un comic journalist, comunque, non è tanto quello di conquistare i giovanissimi, ma quello di guadagnare credibilità agli occhi del pubblico, che non lo considera ancora alla stregua di un giornalista tradizionale. “Cambiando il medium cambia anche il tipo di percezione da parte del lettore – spiega Giovanni Boccia Artieri, professore di Sociologia della comunicazione all’Università degli studi di Urbino – che è abituato a considerare il fumetto come intrattenimento. Il fatto però che le strisce di Sacco siano pubblicate da quotidiano autorevole come il Guardian, o che case editrici serie come la Mondatori decidano di stampare un’inchiesta a fumetti, aiuta il lettore a fidarsi della qualità di ciò che legge. Per quando mi riguarda ritengo il medium del fumetto perfettamente spendibile come forma di giornalismo”. Un medium che, per la sua comunicazione più elastica e diretta, attira molti giovani tra i 18 e i 30 e che, se usato diligentemente, potrebbe riavvicinare ai quotidiani una fetta di pubblico ormai conquistata da altri media.
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ROBERTA CIFRA
Una striscia tratta dal libero Palestina, reportage sulla guerra israelo-palestinese di Joe Sacco
Mi comporto da cronista: prendo appunti, scatto foto, faccio interviste, raccolgo informazioni. Una volta tornato a casa traduco tutto in fumetto
LA SCHEDA
Joe Sacco, comic reporter
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Nato a Malta nel 1960, Joe Sacco è il primo e più illustre esempio di Comic Journalist. Nato come cronista, Sacco già negli anni '80 si stancò del giornalismo classico e si dedicò a tempo pieno ai comics, lavorando come disegnatore satirico. Il primo reportage a fumetti è Yahoo, racconto dei suoi viaggi attraverso l'Europa. Seguono Palestina, vincitore dell'American Book Award nel 1996, Gorazade. Area protetta, reportage sulla guerra in Bosnia tra il '92 e il '95 e il recente Neven. Una storia da Sarajevo, il raccontodi un fixer che aiuta i giornalisti a scoprire storie e fatti. Le sue strisce sono pubblicate periodicamente sul Guardian.
ASSOCIAZIONE PER LA FORMAZIONE AL GIORNALISMO, fondata da Carlo Bo. Presidente: GIOVANNI BOGLIOLO, Rettore dell'Università di Urbino "Carlo Bo". Vice: GIANNETTO SABBATINI ROSSETTI, Presidente dell'Ordine dei Giornalisti delle Marche. Consiglieri: per l'Università: BRUNO BRUSCIOTTI, LELLA MAZZOLI, GIUSEPPE PAIONI; per l'Ordine: STEFANO FABRIZI, DARIO GATTAFONI, CLAUDIO SARGENTI; per la Regione Marche: PAOLA DE CRESCENTINI, SAURO BRANDONI; per la Fnsi: GIOVANNI GIACOMINI, GIANCARLO TARTAGLIA. ISTITUTO PER LA FORMAZIONE AL GIORNALISMO: Direttore: LELLA MAZZOLI, Direttore emerito: ENRICO MASCILLI MIGLIORINI. SCUOLA DI GIORNALISMO: Direttore: GIOVANNI MANTOVANI Coordinatori: VITTORIO ROIDI, GIANNETTO SABBATINI ROSSETTI IL DUCATO Periodico dell'Ifg di Urbino Via della Stazione, 61029 - Urbino - 0722350581 - fax 0722328336 www.uniurb.it/giornalismo; e-mail:
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