Ducato_5-09_xinternet

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Quindicinale - 13 marzo 2009 - Anno 18 - Numero 5 il Ducato online: www.uniurb.it/giornalismo

il Ducato Periodico dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino

Distribuzione gratuita Poste Italiane Spa-Spedizione in a.p. - 70% - DCB Pesaro

Il Comune, l’Ateneo, la Curia non più soli nella gestione del centro storico

I nuovi padroni della città Due terzi dei palazzi sono attualmente nelle mani di privati e investitori La Curia e il Comune, i proprietari storici di Urbino, oggi possiedono, insieme all’Università, un terzo dei palazzi della città. Dal dopoguerra la popolazione del centro è cambiata completamente: ormai sono solo mille gli urbinati che risiedono dentro le mura. Sono gli imprenditori immobiliari oggi ad acquistare gli edifici dai privati.

30 marzo, il gran giorno della Bretella

Incontro con Beja, rifugiato politico iraniano che vive a Fermignano da oltre vent’anni. Nonostante la laurea in Scienze politiche presa a Urbino, è costretto a fare il cameriere perchè non ha mai ottenuto la cittadinanza. Anche i suoi connazionali vivono la stessa condizione. Sono circa trenta le famiglie persiane a Fermignano. a pagina 5

Agricoltura

i siamo quasi. Il 30 marzo dovrebbe finalmente inaugurarsi la bretella. La data è ancora provvisoria: alcune autorità devono confermare la loro presenza. I lavori alla galleria e alla rotonda delle Conce sono però oramai completati, annuncia Ernesto Tedeschi, direttore dei lavori. Mancano solo piccoli interventi di rifinitura richiesti dall’Anas.

C

L’EDITORIALE

O

gni volta che tirate su una copia del “Ducato” a Urbino, a Fermignano o dove riusciamo ad arrivare nel Montefeltro, succede una cosa abbastanza bella. Trenta giovani allievi giornalisti entrano nelle vostre vite portandovi delle informazioni, ponendovi talvolta dei problemi, unendovi, gli uni agli altri. E’ un fatto un po’ speciale, ce lo possiamo anche dire. Questo giornale e questi giornalisti sono acerbi, freschi e liberi, per come sanno essere i ragazzi insieme con i loro maestri. Alle soglie del grande mondo dei media, tracimante interessi economici, politici e pubblicitari, qui intanto portano per intero il giornalismo come deve essere. Senza condizionamenti, senza ragioni diverse che non siano quelle della comunità, della città. Domani, poi si vedrà, dove il giornalismo stenta a farsi spazio, quanto sogno resterà. Ora, l’urbinate che, dentro e fuori le mura, sta con il suo giornale, la sera

La prestigiosa azienda di fucili, pistole e carabine sta subendo un grave calo della produzione. Per ora la Benelli non ha richiesto alcun tipo di cassa integrazione e si impegna a tutelare il lavoro. “Quando la necessità aguzza l’ingegno si trovano delle soluzioni incredibili”, dice il direttore commerciale dell’azienda. a pagina 7

“Resto da 30 anni un non-cittadino”

Le grandi famiglie che dal Rinascimento hanno fatto la storia di Urbino, hanno quasi tutte venduto le proprie dimore all’Università ai tempi del rettorato di Carlo Bo. Lo storico Ermanno Torrico spiega il processo iniziato negli anni ‘60.

alle pagine 2, 3, 8 e 9

Anche le armi Benelli sono in crisi

Personaggi

I costi per restauri e manutenzione sono proibitivi: gli enti faticano a curare i loro edifici e sperano in nuovi fondi statali. I piccoli proprietari si trasferiscono in periferia e affittano le vecchie case agli studenti. Acquirenti scoraggiati dai vincoli comunali e della sovrintendenza.

Quale assetto in futuro? Dopo l’invito espresso dal Ducato, filosofi, sociologi e urbanisti parlano dei futuri equilibri della città. Occorre rianimare i luoghi e creare un rapporto migliore fra studenti e abitanti. L’opinione di Paolo Ercolani, Enrico Mascilli Migliorini e Monica Mazzolani.

Economia

Prima che il canarino muoia in gabbia accende la tv. E che gli succede? Senza che se ne accorga, viene portato lontano. Le informazioni sono incanalate quasi prima che avvengano, destra-sinistra-centro, governo-opposizione, notizie-divertimento. Le inchieste in contenitori per risate e veline. Se “Parla con me” dà la parola ad Alexander Stille (che apre uno spiraglio sul giornalismo internazionale dei fatti), finisce però con Vergassola che butta tutto in ridere. Perfino i fatti più gravi non si sottraggono all’informazione schierata. 350 bambini uccisi a Gaza dovrebbero parlare al 100 per cento dei cittadini. Invece no. Perché Santoro è la tv di sinistra, consola chi è già con il cuore da una parte e non parla a tutti. Non si forma opinione pubblica. Mai.

Giorni fa Ferruccio de Bortoli ha rinunciato alla presidenza Rai per la quale pure aveva dato una disponibilità. L’ha fatto esattamente per questa stessa ragione che muove oggi noi. La mancanza di indipendenza, di conseguenza la mancanza del giornalismo. E’ possibile che nessuno muova un passo verso una tv servizio pubblico che appartenga alla comunità, ma non sia spartita dai partiti tra governo e opposizione? E in edicola le cose non sono molto diverse. De Bortoli ha cercato di conciliare i diritti dell’imprenditore, dell’editore con i doveri del giornalismo. Al momento in Italia non è possibile. Nel 2003, nella sala dell’Angelicum, a Milano, i rappresentanti del “patto di sindacato” che governava il “Corriere della Sera”, una bella

crema dei potentati economici italiani (dalla Fiat a Mediobanca, da Tronchetti Provera a Banca Intesa), abbassarono in silenzio la testa, a uno a uno, davanti a de Bortoli che chiedeva se doveva dimettersi. Contro il giornale, c’erano state pressioni da ambienti governativi e ogni centro di potere economico aveva buone ragioni per non opporsi a una volontà governativa più o meno espressa che ci fosse il cambio di direttore al “Corriere della sera”. Non solo Berlusconi dunque. In America Time Magazine scrisse allora che in Italia era morto il canarino della libertà di stampa, un segnale come l’uccellino in gabbia che i minatori si portano sottoterra per capire quando la loro vita è in pericolo. E’ esattamente per questi motivi che la Scuola di giornalismo avvia il “Progetto Einaudi-Albertini per l’indipendenza dei media” con due giornate di lavori all’Università il 16 e il 17 marzo. Per non far morire quel canarino.

Ormai sono più di 80 le biofattorie Sono tante le aziende agricole del territorio comunale che non utilizzano concimi o mangimi chimici e vendono direttamente in azienda. La "catena corta" aiuta i consumatori e salva i contadini dalla grande distribuzione. E con la crisi i clienti aumentano: i prodotti sono di maggiore qualità e costano meno. a pagina 6

Biblioteche

Molti libri pochi impiegati Seicentomila volumi che diverranno oltre 1 milione fra qualche anno. Nonostante queste cifre, una grave carenza di personale: le assunzioni all’università sono bloccate dal 2003. I direttori delle singole biblioteche però si sforzano di farsi bastare gli scarsi fondi: cifre molto più basse di quelle di strutture analoghe in altre università italiane. a pagina 13

il Ducato

Alla ricerca dei nuovi padroni di Urbino

Due terzi della città in mano ai privati CASTRACANE

Chiesa, Ateneo e Comune restano proprietari con poche risorse ALICE CASON

U

rbino città di uffici e di studenti. Gelosamente conservata nelle sue bellezze rinascimentali, rischia però di diventare un “guscio vuoto”: magnifiche facciate e stanze abbandonate la sera. Ma di chi sono i palazzi della città? Oggi nel centro storico risiedono meno di mille persone, nel dopoguerra erano 7000. Le grandi famiglie si sono estinte o trasferite. Hanno venduto le loro dimore all’Università, durante il rettorato di Carlo Bo, oppure a imprenditori che ne hanno ricavato appartamenti, per lo più nei vicoli. “La speculazione immobiliare è stata contenuta - racconta il geometra Giuseppe Vagnerini, coordinatore dei tecnici urbinati - per motivi economici: la miseria della guerra ha protetto i palazzi, perché non sono stati molti i finanzieri in grado di investire nella trasformazione”. Le ristrettezze economiche, quindi, e l’Università: “Bo ha salvato molti edifici che altrimenti sarebbero decaduti o sarebbero stati snaturati”. Da qualche anno però le iscrizioni calano, e l’Università da tempo non acquista più. Spende per conservare le proprie sedi e per adeguarle ai corsi che si moltiplicano. E spende per gli immobili che affitta, proprietà per lo più di enti religiosi. “Ogni anno paghiamo un milione di euro di affitti - spiega Enzo Fragapane, direttore amministrativo dell’Università che recuperiamo affittando i collegi. E stiamo lavorando per ridurre l’utilizzo di sedi non di

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nostra proprietà”. Del resto c’è anche chi, come Carlo Giovannini, dell’ufficio urbanistica del Comune, ritiene che “forse è un bene che l’Università non comperi più: con la Curia, è già la maggiore proprietaria di Urbino”. In effetti, stando ai rilevamenti catastali, quasi un terzo delle proprietà del centro (tra le quali gli edifici più grandi e preziosi) sono divise tra Università, Chiesa, Comune e demanio. Gli altri due terzi della città sono per lo più piccoli lotti privati, tra cui 249 negozi. Solo 9 abitazioni sono classificate come “signorili”, nella categoria A/1, la più pregiata. Le altre sono abitazioni di tipo civile o popolare. La maggior parte è affittata agli studenti, spesso da urbinati che si sono trasferiti in periferia. Ci sono però anche appartamenti sfitti: i proprietari se ne sono andati, ma preferiscono tenere la casa vuota piuttosto che rischiare di affittarla a un gruppo di ragazzi poco civili. Accanto a questa proprietà frazionata, sono comparsi nuovi soggetti che comprano palazzi per farne appartamenti da affittare: “Imprenditori come i Bruscoli - spiega Vagnerini - restaurano edifici che altrimenti rischierebbero il degrado”. E che per ora non si espongono rivelando i propri progetti per la città. “Con il calo degli iscritti all’università e la crisi economica raccontano in un’agenzia immobiliare - da quattro anni il mercato immobiliare è quasi fermo. Compra qualche famiglia, o genitori di studenti fuori sede. Per lo più imprenditori o aziende, comunque. Mancano però palazzi che rispondano alle esigenze degli imprendito-

Nelle foto: alcune sale di palazzi pubblici e privati del centro storico

PASSIONEI ri, spesso scoraggiati dai troppi vincoli edilizi”. In effetti i costi della ristrutturazione e della manutenzione non sono trascurabili. A parte i vincoli, che preservano il patrimonio architettonico, ma impongono accorgimenti particolari (e costosi), la città, spiega Vagnerini, “ha grossi problemi di umidità: a causa del cattivo stato delle fogne, della circolazione pesante e della pendenza delle strade, l’acqua risale dal sottosuolo e rovina in particolare le facciate. Sarebbe necessario che lo stato finan-

ziasse una bonifica idrogeologica del sottosuolo”. È d’accordo Mara Mandolini, del servizio progettazione del Comune: “Le difficoltà nella manutenzione nascono proprio dall’umidità di risalita, e dalla pioggia, che intacca le grondaie e i tetti: in alcuni edifici sono crollati i controsoffitti”. Ma il Comune non ha fondi per intervenire sistematicamente e deve limitarsi a piccole operazioni “di emergenza”, in attesa di nuovi contributi statali: “Cerchiamo di non far crollare i palazzi”, si lamenta la

Mandolini. Anche lo storico Carlo Inzerillo è preoccupato: “Ormai solo i grandi capitalisti comperano e mantengono gli edifici, ma li trasformano, spesso in maniera inopportuna. E Urbino nel frattempo si spopola. La crisi economica non facilita le cose. Vedremo: la situazione per ora non è tragica, ma è allarmante che ormai meno di mille urbinati vivano all’interno delle mura. Per il nostro futuro, dovremmo chiederci: che tipo di città vogliamo essere?” [email protected]

PRIMO PIANO Molte le famiglie che hanno già venduto

“E’ troppo costoso vivere nei palazzi” CLAUDIA BANCHELLI

PERUZZI

ALBANI

Stefania Renzetti: una degli ex proprietari di palazzo Albani

T L’opinione dell’esperto Ermanno Torrico

Recuperare il centro storico U

rbino è la città di chi non ci vive più. Le case del centro storico hanno smarrito i loro proprietari. Ma d’altronde si sa, ormai da tempo gli urbinati hanno scelto di vivere fuori dalle mura. L’università ha determinato la crescita economica, ma questo non ripaga gli abitanti della mancanza del senso di appartenenza alla città. Scene di vita quotidiana che sono andate perdute. Cosa manca, cosa si è perso dentro le mura del centro? Ermanno Torrico, docente a contratto di storia moderna presso la facoltà di Sociologia, ha spiegato: “Contemporaneamente allo sviluppo della nostra università, le vie del centro si sono popolate di studenti. Questo sia perché servivano spazi per le sedi delle facoltà, che per gli studenti venuti ad abitare a Urbino”. Cosa ne pensa della politica degli acquisti che l’università ha messo in atto a partire dalla metà degli anni ‘60? “Forse è stato un errore cercare tutti gli spazi all’interno delle mura, ma questa era la politica di De Carlo e di Carlo Bo. Buona parte dei palazzi storici sono stati comprati dall’università a partire dal ‘68 fino ai primi anni ‘80. La crescita dell’università ha portato benessere alle famiglie, ed è per questo che anche le Istituzioni non hanno mai cercato di frenare il processo. Urbino si distingue dalle altre città perché ha saltato il processo di industrializzazione, passando da un’economia fondata sulla mezzadria ad un sistema basato sul lavoro terziario, portato dall’incremento delle facoltà universitarie ”. Perché le famiglie hanno scelto di vendere i pa-

lazzi? “Le dimore delle antiche famiglie sono diventate sempre più costose da mantenere; basti pensare al restauro di affreschi, mobili e facciate. Inoltre oggi c’è una maggiore sensibilità da parte della soprintendenza e delle istituzioni per tutelare gli interventi, mentre trent’anni fa le famiglie trovavano maggiori difficoltà, e meno aiuti”. Di cosa ha bisogno la città? “Di recente il sindaco ha parlato di un distretto culturale, anche se l’idea è ancora in fase di studio. Creare un distretto culturale significa promuovere un ambiente, ma non solo dal punto di vista turistico. La città ha bisogno di recuperare il centro storico, ma occorrono risorse e tempo”. Cosa c’è da cambiare? “E’ necessario attivare un percorso che porti al superamento della monocultura, intendendo come unica fonte economica l’università. Le facoltà non dovrebbero indebolirsi ma fare una cura ‘dimagrante’ diminuendo nel numero e migliorando l’offerta formativa, così da attirare meno studenti che però prolungheranno la loro permanenza nella città. Questo avrà delle ripercussioni economiche per gli urbinati che vivono di rendita affittando le case del centro. E’ un discorso difficile che ha bisogno di una grande volontà politica e culturale. L’idea di Paolo Volponi era proprio quella di creare un indotto di microimpresa ad alta tecnologia collegato con gli istituti di ricerca dell’università; ma per questo ci sarebbe bisogno di più fondi destinati alla ricerca”. (c.b.)

empi duri per le residenze signorili del centro storico urbinate. Le stanze dei palazzi che appartenevano alle antiche famiglie si sono svuotate da anni. La nobiltà è decaduta e la nuova generazione è costretta a fare lavori borghesi che non permettono il mantenimento degli edifici storici. Tra gli ultimi eredi delle antiche casate, molti hanno deciso di vendere, alcuni di rimanere, in pochi di comprare. A partire dagli anni ‘80 buona parte dei palazzi che hanno contribuito al fascino incantato della città sono stati venduti all’Università: i palazzi Passionei, Petrangolini e Albani, tanto per citarne alcuni. Da quando Palazzo Albani è stato comprato dall’Università, a camminare sopra al sontuoso stemma della casata di Papa Clemente XI, non sono più soltanto i componenti della famiglia Renzetti, ma flotte di universitari . “I miei nonni comprarono Palazzo Albani nel 1929 – spiega Stefania Renzetti - ma negli anni novanta abbiamo deciso di venderlo all’università che già da tempo aveva in affitto alcuni locali della struttura”. Preservare dal tempo affreschi, stucchi, cortili interni, pavimentazione, tetti, facciate e sistemi idrici, di una struttura che ha secoli di vita, diventa una spesa sempre maggiore; per questo in molti hanno venduto. Mentre negli anni ottanta e novanta i figli di alcune casate antiche si sono affrettati a vendere, pochi invece hanno tenuto i loro palazzi. Ci sono poi famiglie, come i Peruzzi che acquistarono trenta anni fa il palazzo Pinzoni (poi diventato Peruzzi) di origine cinquecentesca, in via Raffaello. “La casa è vincolata dalla soprintendenza – dice Massimo Peruzzi – ma non è ancora arrivato il rimborso della facciata che abbiamo ristrutturato sei anni fa”. Ad andare controtendenza negli

anni novanta è stata anche la famiglia Bruscoli. Originari di Borgo Massano, i Bruscoli, proprietari della Imabgroup, azienda che produce mobili, hanno comprato ben quattro palazzi: Giusti, Bellucci,Fusti Castriotti Foschieri Veterani e Habitat Alma.“La nostra famiglia abita in due palazzi, gli altri sono stati affittati a studenti – spiega Alberto Bruscoli – e per quanto riguarda la manutenzione, da quattro anni abbiamo finito i lavori alla facciata e all’interno del palazzo Fusti Castriotti Foschieri Veterani”. Secondo il Codice dei beni culturali e del paesaggio, decreto legislativo 42 del 2002 (cosiddetto Codice Urbani) “sia i privati che gli enti pubblici hanno diritto ad un rimborso, da parte del Ministero dei Beni Culturali, per i lavori svolti all’interno di edifici tutelati dallo stesso codice”, afferma Biagio De Martinis della soprintendenza per i beni architettonici delle Marche. Gli urbinati che abitano nelle case del centro sono sempre di meno, l’era d’oro dell’università è finita, e gli studenti vanno ad abitare fuori dalle mura perché gli affitti sono più bassi “Questo è il frutto di una politica sbagliata, che ha basato l’economia della città solo sull’Università”, osserva Antonio Baldeschi, proprietario di palazzo Castracane, tra i più antichi e maestosi edifici del centro, comprato dalla sua famiglia all’inizio del ‘900. Al di là del portone gotico di palazzo Pasqualini abita ancora oggi una discendente dell’omonima famiglia, la professoressa Gabriella Morisco: “Siamo rimasti con grande fatica ad abitare qui mantenendo lo stabile in buono stato. La parte superiore è stata venduta. Le agevolazioni sulle tasse per i monumenti storici nazionali, come sgravi sull’Ici e su passaggi di proprietà, hanno permesso a molte famiglie di non vendere”. [email protected]

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il Ducato

Trasporti: da Urbino a Fermo con tre diversi mezzi pubblici

Un giorno per 162 km L’Adriabus sotto accusa risponde:“Abbiamo velocizzato e potenziato i collegamenti” ANNALICE FURFARI

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Capannone incendiato nell’azienda di Busetto: “Intimidazione”

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I

l paradosso di una città universitaria irraggiungibile. A vent’anni dalla chiusura della ferrovia, il problema dei collegamenti con Urbino non è ancora risolto. Gli studenti fuori sede sono i primi a lamentarsi. Elena Mercuri, laureata in Psicologia, racconta: “Abito a Fermignano, per tornare a casa, a Fermo, devo venire a Urbino e da qui arrivare a Pesaro, dove prendo il treno per la mia città”. Tre mezzi diversi per spostarsi nella stessa regione. Figuriamoci l’odissea dei ragazzi che abitano lontano, come quelli che arrivano da Sardegna, Calabria e Sicilia: il viaggio dura anche due giorni e si fatica a trovare le coincidenze tra i vari mezzi. Impossibile pensare di tornare a casa nel fine settimana. Giovanna Corraine, al primo anno di Tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali, spiega: “Essendo sarda, non posso tornare a casa perché la domenica il pullman Roma-Urbino non c’è”. In effetti, è questo uno dei problemi principali. Ma Vito Rampino, dirigente della Autolinee Bucci, azienda che gestisce il collegamento in questione, risponde: “La linea è in perdita per il calo dei passeggeri. Sovvenzionata solo con il costo del biglietto, rischia di essere soppressa”. Ecco perché ci sono solo due corse al giorno, a esclusione dei festivi. Tanto più che il personale deve avere il riposo settimanale. “Altrimenti bisognerebbe assumere nuovi conducenti e ciò avrebbe un costo insostenibile per l’azienda”. Non parliamo, poi, dei collegamenti inesistenti per il Nord Italia. “Le corse a lungo raggio – dice Rampino – hanno costi eccessivi, non conviene attivarle”. Già la chiusura della ferrovia era stata causata da problemi economici. L’assessore comunale ai Trasporti Donato Demeli ricorda: “La Fano-Urbino venne chiusa nel 1987 nell’ambito di un programma di taglio dei co-

Quote latte

Pullman del consorzio Adriabus parcheggiati a Borgo Mercatale siddetti rami secchi, decretato dal Ministro dei Trasporti Claudio Signorile. La linea era improduttiva. L’amministrazione comunale di allora si limitò a recepire la decisione”. Gli altri rami secchi, nel frattempo, sono stati riaperti. Quello urbinate no. “Credo che la chiusura – ammette l’assessore Demeli – sia stata un errore. Circa sei anni fa ho incaricato l’azienda Sviluppo Marche di valutare quanto sarebbe costato riattivare i treni: si sarebbe trattato di un investimento insostenibile, perché le risorse sono limitate. In ogni caso, si dovrebbe collegare la linea a Roma, attraverso Pergola, altrimenti non avrebbe senso”. Eliminati i treni, il trasporto pubblico è finito nelle mani delle compagnie private, che gestivano i collegamenti con Urbino già da tempo. La Bucci,

la più affermata, aveva ottenuto una concessione regionale. Con la chiusura della ferrovia, la Regione ha aumentato i contributi alle aziende private e la Bucci ha potenziato i collegamenti. Massimo Benedetti, direttore generale di Adriabus, spiega: “Le linee statali, che attraversano più di due regioni, non ricevono sovvenzioni, si sostentano solo con gli introiti dei biglietti. I collegamenti provinciali, invece, sono sostenuti per il 60% da contributi pubblici regionali. Diversamente, le linee poco affollate verrebbero soppresse”. Le statali lavorano a regime di concessione, ma dal 2010 vi sarà una totale liberalizzazione. Per i collegamenti provinciali, nel 2007, è stata indetta una gara europea, vinta da Adriabus, consorzio marchigiano pubblico-privato che riunisce tutti

i vettori storici del trasporto pubblico su gomma, compresa la Bucci. Adriabus ha, fino al 2013, l’esclusiva dei collegamenti provinciali. “Il punto di forza del nostro progetto – dichiara Benedetti – è aver creato un servizio di rete cadenzato, mnemonico, con le corse che si ripetono ogni giorno alla stessa ora. Fino a sei mesi fa il collegamento per Fano era sporadico. Ora esistono 14 coppie di corse giornaliere. Sino al 2003 c’erano solo 10 coppie di corse che collegavano quotidianamente Pesaro a Urbino. Oggi ne esistono 24, di cui 10 rapide con una percorrenza di 45 minuti. Abbiamo, comunque, intenzione di velocizzare ulteriormente questo collegamento”. Ma, per i fuori sede, il ritorno a casa resta un tabù. [email protected]

aveva detto un mese fa: «Sono uno che dà fastidio. Se abitassimo in una regione infestata dalla mafia, sarebbero guai». Andrea Busetto ora sospetta che sia stato un atto intimidatorio a causare un incendio in un capannone della sua azienda, che ha bruciato quasi mille quintali di paglia, per un danno di 40mila euro, forse più. Era mercoledì 4 marzo. «Ero fuori per lavoro racconta l’allevatore - alle 17.10 mi telefona molto trafelato un dipendente, stava andando a fuoco il pagliaio. Io sono certo che non sia stato un incidente. Non ne ho le prove, ma penso che si tratti di qualche scheggia impazzita a livello dei Cobas». L’unico dubbio è che l’incendio è scoppiato di giorno. Di solito, un atto mafioso lo si compie di notte. Però «c’è un collegamento temporale troppo sospetto - prosegue Busetto - dato che venerdì ho parlato a “Zapping”, lunedì al Tg1 delle 13, martedì è uscita una mia intervista su la Repubblica, e mercoledì è andato a fuoco il pagliaio». L’allevatore aveva detto la sua sul decreto del Ministro all’agricoltura Zaia. Secondo Busetto, il decreto «premia gli allevatori che hanno sempre sforato le quote latte, dandogliene altre. Si premiano quei personaggi che hanno contribuito a generare multe allo Stato per un miliardo e 600 milioni di euro, e il decreto non vincola l’assegnazione delle nuove quote al pagamento delle multe pregresse». Indaga la Digos. (d.f.)

BUONA SANITA’ La famiglia di Giuseppe Ruggeri, scomparso dopo due anni di dolorosa malattia, desidera ringraziare il primario e l’équipe del reparto Dialisi dell’ospedale che, con umanità e affetto, hanno assistito il loro congiunto.

CITTÀ Personaggi/Beja, iraniano di Fermignano

“Con la laurea faccio il cameriere” ERNESTO PAGANO

Q

Beja vive da trent’anni in Italia. E’ membro dei Mujahidin del Popolo Iraniano, un’organizzazione che si batte per rendere il suo paese democratico e libero dal fondamentalismo.

uando il primo febbraio 1979 l’ayatollah Khomeini sbarcò da un volo di linea Parigi-Teheran e si mise a capo della rivoluzione islamica, Beja aveva 19 anni, abbastanza per capire che era arrivato il momento di lasciare l’Iran. Adesso, a trent’anni di distanza, racconta quei giorni come fosse ieri. Parla con passione, e in un italiano ricercato, del suo impegno politico con l’Organizzazione dei Mujahidin del Popolo Iraniano (PMOI) mentre sorseggia un cappuccino in un bar di Fermignano, dove abita da oltre 20 anni. “Ho fatto quattro volte domanda per avere la nazionalità italiana, ma me l’hanno sempre negata. Così resto un rifugiato politico. Quando ho lasciato l’Iran ero diretto in America, l’Italia era solo una tappa di passaggio. Poi, sempre nel ’79, un gruppo di studenti entrò nell’ambasciata americana di Teheran sequestrando 50 ostaggi e gli Stati Uniti bloccarono il rilascio dei visti a tutti gli iraniani. Ho iniziato a studiare italiano all’università per stranieri di

Verso le amministrative di giugno. Prosegue la danza dei partiti

Una lista civica sfida Corbucci LORENZO ALLEGRINI

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er ora, due contendenti. C’è un primo sfidante di Franco Corbucci alla poltrona di sindaco di Urbino: è Alfredo Bonelli, un indipendente, che sta cercando di costruire una lista civica “fuori dalle tradizionali logiche di partito, per risollevare la città dal suo torpore”. In mezzo l’Udc, che ammicca al Partito Democratico e gli chiede di abbandonare la sinistra per una “nuova fase” della politica urbinate. Corbucci e il Pd mirano a una continuità delle alleanze e dei programmi, e puntano sulle opere già in cantiere, come il parcheggio di Santa Lucia e la zona dell’ex consorzio. Ma Rifondazione Comunista e Pdci sembrano sempre più avviati verso una lista unica e un candidato autonomo in antitesi al Pd, accusato di amministrare in maniera “autoreferenziale e senza una precisa programmazione”. La politica a Urbino continua il suo frenetico balletto per le amministrative del 6 e 7 giugno, quando i cittadini saranno contemporaneamente chiamati a scegliere per la Provincia e per le elezioni europee. Niente è finora chiaro. Alfredo Bonelli - il nuovo candidato ex dirigente pubblico di Megas in pensione - è un punto di riferimento per il centrodestra. “Il Pdl è disposto a rinunciare al suo simbolo per confluire nella lista guidata da Bonelli se servisse per il bene di Urbino” ha detto il coordinatore Wilmer Zanghirati. Sacrificando il simbolo, la scommessa sarebbe quella di attrarre scontenti del centrosinistra che non voterebbero mai a destra. L’Udc si è mosso. Domenico Campogiani, referente del partito, ha invitato Corbucci a

un’alleanza riformista per il governo della città. E ha presentato un programma nelle mani del Pd. Con una richiesta precisa: se l’Udc sarà il secondo partito gli dovrà spettare il vicesindaco. Naturalmente, Campogiani non vuole sul suo carro Verdi e comunisti, “ideologici e contrari allo sviluppo”. Il Prc è spaccato in due. Da una parte chi vorrebbe proseguire insieme al Pd. Dall’altra il direttivo che si è espresso per una lista autonoma insieme al Pdci, e che attende il consenso degli iscritti. A quel punto il candidato sindaco potrebbe essere Antonio Santini, l’assessore licenziato da Corbucci a legislatura in corso, uscito dai Verdi e ora in Sinistra Democratica. “Il Pd vuole proseguire così, ma ci guardiamo intorno” spiega il coordinatore Lorenzo Ceccarini. Tradotto: aspettiamo la sinistra, ma non chiudiamo all’Udc. Sempre, però, “sulla base del programma”. L’ammi-

nistrazione Corbucci si fa forte dei cantieri avviati. In primo luogo il parcheggio di Santa Lucia, che prevede locali per attività commerciali. Costerà 22 milioni di euro, 7 dei quali del Comune: un mutuo da saldare con i parcheggi a pagamento. Il centrodestra, che pure ha votato a favore con la sola eccezione di Forza Italia che si è astenuta, ritiene che non ci siano le garanzie di bilancio. Per il Pd, Santa Lucia migliorerà la viabilità, favorendo la chiusura del centro storico che diventerebbe “centro commerciale naturale”. Ma per i democratici c’è la tegola Maurizio Gambini. L’uomo di punta del Pd, dimessosi da consigliere in polemica con l’amministrazione, ha assicurato: “Sono di sinistra e non andrò mai con il centrodestra. Ma l’alleanza con l’Udc sarebbe controproducente per il Pd”. [email protected]

Perugia, poi mi sono iscritto a Urbino, a Scienze Politiche, e mi sono laureato nel 1988. A Fermignano noi iraniani eravamo i primi stranieri, poi con gli anni ’90 è cominciata l’immigrazione di massa. Adesso siamo una trentina e abbiamo messo su famiglia quasi tutti quanti. Io ho due figlie, una di 19 anni e l’altra di 12. La più grande finirà le superiori quest’anno e dopo farà medicina. Loro sono nate in Italia e si sentono italiane, ma anche mia moglie ed io abbiamo passato i due terzi della nostra vita in questo paese. Frequentiamo i nostri connazionali ma abbiamo anche molti amici di qui; insomma, ci sentiamo totalmente integrati. Noi e gli altri iraniani di Fermignano, ci siamo quasi tutti laureati all’università di Urbino, ma nessuno di noi è riuscito a fare un mestiere col proprio titolo di studio. Non ce n’è stata la possibilità. Per un concorso pubblico ci vuole la nazionalità, e nel privato ci vogliono le conoscenze. Io faccio il cameriere in un ristorante, un mestiere onesto per carità, ma avrei voluto la possibilità di mettermi alla prova. “Quello di cui vado fiero però, è che siamo venuti in questo paese con l’orgoglio di resistere al regime degli ayatollah. Mio padre aveva un albergo a Kermanshah, la mia città natale, e all’inizio venivano a minacciarlo per il fatto che, dall’estero, militavo contro il regime di Khomeini. In verità i Mujahidin del Popolo combattevano già prima della rivoluzione, contro il regime dello scià. Noi lottiamo per la democrazia e per un Islam di pace e tolleranza. L’Islam dei talebani e quello del regime iraniano, invece, è uguale al cristianesimo di mille anni fa, quello dei crociati che ammazzavano gli arabi in nome di Dio. “Ma dopo l’11 settembre, il PMOI era stato inserito nelle lista nera delle organizzazioni terroristiche, e la nostra presidente Maryan Rajavi venne arrestata. Anche se la rilasciarono dopo una decina di giorni, ci siamo dovuti battere diversi anni per ottenere la cancellazione da quella lista. Abbiamo girato l’Europa, raccolto firme, denunciato questo sopruso alla Corte Internazionale e alla fine, nel 2008, ci hanno dato ragione. Ma non ce l’avremmo mai fatta senza il sostegno del mondo politico italiano ed europeo. Anche il sindaco di Fermignano e quello di Urbino ci hanno sostenuto firmando la nostra petizione. Mostra un opuscolo a colori dove c’è una donna in chador, la presidente Rajavi, che stringe la mano a Fini. Poi lo richiude e dice: “Dell’Iran mi manca la lingua, mi manca sentirla quando esco per strada e magari prendo un caffè. Se cadesse il regime degli ayatollah in Iran ci tornerei anche domani. A giugno ci sono le elezioni presidenziali, ma, a prescindere da chi vincerà, alla fine non cambierà niente”. [email protected]

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il Ducato

Nel 2007 le fattorie erano 84. Producono ortaggi, farina, pane, carne, salumi

Terra fertile per il biologico Con la recessione più vendite dirette in azienda: per i consumatori maggiore qualità a prezzi più bassi VERONICA ULIVIERI

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ane, latte, ortaggi, carne, salumi. Tutto biologico. A Urbino, produrre e consumare in sintonia con la natura si può. Nell’ultimo periodo, con la crisi economica che avanza, è aumentato il numero di coloro che comprano direttamente nelle numerose fattorie del territorio comunale: erano 84 nel 2007 le aziende agricole biologiche registrate negli elenchi della Regione. Quelle cioè che hanno richiesto il marchio biologico: una garanzia di qualità, certo, ma anche una spesa, perché la certificazione dell’ente deve essere pagata dall’azienda. Luigia Minnetti gestisce insieme al marito Carlo Comandini la fattoria“Cal Bianchino”: la sua è una filiera chiusa che va dal maiale ai salumi. “Ho deciso di mantenere il marchio solo sulla produzione vegetale - spiega - per eliminare costi e burocrazia”. Luca Albergati ha un’azienda e una fattoria didattica alle Cesane. Produce ortaggi che vende direttamente in azienda e ai mercati rionali di Urbino. Per lui il marchio è importantissimo: “Le persone vogliono sapere chi certifica i prodotti che comprano”. Dal 1992 la Comunità europea ha istituito aiuti economici per i produttori biologici: rispetto agli agricoltori tradizionali che utilizzano concimi e mangimi chimici, hanno maggiori spese e produzioni meno abbondanti. Stefano Saporiti, un ragazzone di 30 anni innamorato della campagna, gestisce i 15 ettari di noccioli biologici all’agriturismo “Le fontane”. Per lui gli incentivi sono fondamentali: “solo con il raccolto non si riuscirebbe ad andare avanti”. Gli aiuti comunitari, andando in base all’estensione del terreno, “finiscono - spiega Roberto Podgornik della “Fattoria dei cantori” - per aiutare i grandi proprietari”. Il signor Podgornik gestisce l’azienda con la moglie e le figlie e riceve continuamente visite alla sua fattoria didattica. Produce farina, pane,

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Nella foto grande: mucche e oche mangiano insieme nella fattoria di Cal Bianchino; in quella piccola: una varietà rara di pomodori nell’orto di Luca Albergati miele, ortaggi e vende direttamente in azienda. A motivare i bioagricoltori urbinati non sembrano tanto gli aiuti economici. Molti di loro vengono dalla terra e hanno per la campagna un grande rispetto. Questo amore per la natura si traduce anche nella conservazione della biodiversità: nell’orto di Luca Albergati ci sono solo varietà di verdure impossibili da trovare nei supermercati; lo stesso accade nel frutteto e nei campi del signor Podgornik: mele dai nomi misteriosi (Abbondanza, Parmena dorata), e un tipo di grano, il Gentilrosso, coltivato nelle Marche più di un secolo fa. Alla base delle aziende biologiche c’è spesso un’idea di autosufficienza: a “Cal Bianchino”, così come alla “Fattoria dei cantori”, si cerca di produrre il più possibile in autonomia, com-

presi mobili, canestri, strumenti per il lavoro. Per i contadini urbinati conta molto anche il rapporto umano con i clienti. Tutti vendono direttamente in azienda e chiedono alle persone di andare a vedere come si alleva un maiale, come si prepara il pane, come si prende il miele dalle arnie. Al di là degli organismi di certificazione, vogliono che i primi a dar loro fiducia siano i consumatori. E i clienti apprezzano: possono comprare prodotti di maggiore qualità rispetto a quelli del supermercato e risparmiare. “Il contadino oggi per sopravvivere - dice Roberto Podgronik - deve riuscire a crearsi un mercato da solo”: la catena corta, il rapporto diretto produttore-consumatore può essere oggi la salvezza degli agricoltori biologici. [email protected]

MERCATINI E PREZZI A proposito dell’articolo “Il mercatino muore? No è vivo e rilancia” pubblicato sul Ducato del 27/02/09, Egidio Cecchini, segretario della Confcommercio di Urbino, osserva che: “Vengono riportate le affermazioni di un ambulante ortofrutticolo che comunica che i nostri prodotti sono buoni e che i prezzi sono inferiori del 30% rispetto a quelli dei negozi di ortofrutta. Affermazione che ritengo assolutamente fuori della realtà. Infatti per poter davvero vendere al consumatore finale con prezzi inferiori del 30% sulla stessa tipologia e qualità di prodotto, l’ambulante dovrebbe avere un ricarico sulla merce almeno cinque volte inferiore rispetto a quello mediamente praticato dagli altri negozi al dettaglio. Cosa assolutamente fuori linea rispetto a tutti i parametri economici relativi al settore del dettaglio di frutta e verdura”. Nello stesso articolo Mario Pellegrini è definito “responsabile dell’ufficio della polizia amministrativa”. Nel sito del comune, invece, è indicato come responsabile del servizio Roberto Matassoni.

ECONOMIA

Brusca frenata della produzione: calo del 30%

La crisi inceppa le armi della Benelli La catena di montaggio Benelli negli ultimi mesi va a rilento

DANIELE FERRO

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l leone imbalsamato che accoglie il visitatore in cima alle scale, prima di entrare nella saletta riunioni, è maestoso ma innocuo. La crisi economica, invece, morde la Benelli Armi, eccome: «Stiamo lavorando con un calo di oltre il 30 per cento - dice Lucio Porreca, direttore commerciale dell’azienda - la produzione è cresciuta negli anni scorsi, ma ha subito una brusca frenata negli ultimi sei mesi del 2008 e nei primi due del 2009». Anche i cacciatori e i fan del tiro a segno tirano la cinghia, in questo caso pure quella dei fucili. La Benelli è un buon esempio per comprendere la globalizzazione della crisi: il mercato mondiale delle armi è secondo solo a quello della droga, ed è all’estero che l’azienda affaccia la sua produzione di fucili, pistole e carabine, per una quota complessiva dell’80 per cento, mentre solo il 20 per cento è diretta al mercato italiano. «Noi esportiamo in 76 Paesi del mondo - prosegue Porreca - in pratica in tutti quelli in cui è lecito esportare secondo le autorizzazioni della questura». Il primo cliente in assoluto sono gli Stati Uniti, verso cui si dirige oltre la metà della produzione della Benelli, sia nel settore “civile” (armi per uso venatorio e sportivo) che della “difesa” (armi destinate ai corpi di polizia ed esercito). Il mercato statunitense è così importante che la Benelli ha una filiale di vendita diretta a 100 chilometri da Washington. Oltreoceano, con i suoi 16 milioni di cacciatori, il mercato è enorme. Ma ci sono anche i soldati: ai Marines arriva una produzione di eccellenza della Benelli, il fucile M4. Il direttore commerciale precisa: «Noi non produciamo materiale d’armamento: le nostre non sono armi militari, non abbiamo niente che sia al di fuori della normativa civile. Se i Marines scelgono per alcuni scopi di adottare non il fucile d’assalto ma un fucile come l’M4, che non ha la potenzialità di un’arma letale, comunque l’arma rimane non militare». Sul significato di “letale” è tuttavia legittimo porsi delle domande: un documento dell’Assemblea Generale dell’ONU, adottato l’8 dicembre 2005, definisce arma leggera e di piccolo calibro «ogni arma letale portatile che espelle o lancia […] un colpo, pallottola o proiettile per effetto dell’azione di un esplosivo». La produzione ad uso “difensi-

vo” della Benelli riguarda solo il 10 per cento del totale. Nei Paesi caratterizzati da instabilità politica e sociale, però, la criminalità recupera attraverso il traffico illegale le armi ad uso “civile”. Negli ultimi tempi i narcotrafficanti messicani si stanno distinguendo alla frontiera con gli Usa per le uccisioni massicce di poliziotti. Il Messico è uno dei Paesi verso i quali, seppur in minima parte, la Benelli esporta armi. Un altro Paese che non può far vanto della tutela dei diritti

Parla il direttore commerciale: la tutela del lavoro innanzitutto umani è la Russia, che «è un grosso mercato - sostiene Porreca - in prospettiva forse avrà le dimensioni di quello americano». Benelli ha fatturato nell’ultimo anno poco meno di 100 milioni di euro, ed occupa tra le 250 e le 260 persone. Per colpa della crisi, come racconta Luca Pierucci, della Rappresentanza Sindacale Unitaria Cgil, «a dicembre una ventina di lavoratori con contratto a tempo determinato, mandati dall’Adecco, non sono stati con-

fermati». Comunque «l’azienda si sta muovendo in maniera positiva - prosegue Pierucci ad esempio ha dimezzato le consulenze». «È nostro fermo impegno cercare di preservare l’occupazione a tutti i livelli», sostiene Lucio Porreca. Come? «Recuperando tutte le aree di inefficienza, puntando sulla qualità, svolgendo internamente quelle funzioni che prima appaltavamo all’esterno. Ora stiamo più attenti ai mercati che offrono maggiore contribuzione». Quanto la crisi

stringerà nella morsa la Benelli lo si scoprirà solo a fine anno, quando le cifre della bilancia commerciale indicheranno se gli sforzi dell’azienda saranno andati a buon fine. Intanto, i lavori per ampliare il settore in cui si svolgono i test dei fucili iniziati due anni fa - non si fermano. Di giorno, dai piedi del colle su cui si erge il borgo ducale, s’alza il rimbombo degli spari. La crisi economica, laggiù, morde, ma per ora i botti possono continuare. [email protected]

Viaggio tra le botteghe di restauratori e artigiani del libro

Legatore, mestiere senza tempo GIULIA AGOSTINELLI

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assetti pieni di caratteri mobili, bottiglie di inchiostro, taglierine, presse e rotoli di carta: tra i vicoli di Urbino c’è ancora chi svolge l’antico mestiere di legatore. Un’attività che ha radici che risalgono al I secolo d.C e che oggi, nonostante le nuove tecniche usate per la rilegatura dei libri, non risente della crisi economica generale. A mantenere in vita questo vecchio mestiere sono sia i lavori di rilegatura dei libri commissionati dalle biblioteche e da qualche privato, sia la sistemazione degli atti conservati negli archivi degli uffici pubblici. Tra i maggiori clienti delle legatorie di Urbino ci sono, però, anche molti studenti universitari che preferiscono far rilegare a mano le loro tesi e che sono disposti a pagare tra i trenta e i quaranta euro a copia in cambio di un lavoro un po’ più accurato, realizzato seguendo le tecniche di una volta. Al numero 16 di via Santa Margherita c’è la legatoria più antica della città. Il signor Paolo Mariotti fa questo mestiere da quarantacinque anni, come Paolo Mariotti testimoniano i vecchi macchinari utilizzati per la stampa, i numerosi ritagli di carta accumulati negli anni e i tanti libri che hanno invaso ogni spazio del suo laboratorio. “Ho imparato questo mestiere in una bottega che stava in via Mazzini. A quel tempo – racconta Mariotti - lavoravamo solo con gli atti degli uffici e poi dal 1970 abbiamo iniziato a rilegare le prime tesi

degli studenti che si laureavano qui all’università. Durante questi anni mi sono capitati episodi particolari. Mi ricordo quando ho dovuto rilegare completamente a mano una tesi di una ragazza per evitare che si schiacciassero sotto la pressa i cereali veri che erano stati incollati tra le pagine. Qualche anno fa, invece, un notaio mi ha commissionato la sistemazione di un testamento che era stato scritto in punto di morte sulla carta igienica. Non è mancato neanche chi mi

al lavoro con la taglierina d’epoca nella ha chiesto di rilegare degli album fotografici, dei quaderni di quando era bambino e delle lettere d’amore cui era particolarmente affezionato”. Quando il signor Mariotti ha iniziato a fare questo mestiere, a Urbino c’era solo un rilegatore. Oggi se ne contano una quindicina e negli anni diverse legatorie hanno aperto anche fuori dalle mura cittadi-

ne. Ce ne sono alcune a Pallino, Mazzaferro e Piantata e, a differenza di quelle presenti nel centro storico di Urbino, hanno un’attività legata soprattutto al restauro dei libri provenienti dagli archivi di stato, da gallerie e da archivi privati. All’attività di legatore si affianca, quindi, anche quella del restauro dei libri, come ha spiegato Massimiliano Berretta che ha aperto la sua attività da poco più di un anno. “Le spese sono tante, però il lavoro c’è e non mi lamento. Mi capita di prendere anche qualche tesi, ma lavoro sopratutto con il restauro di volumi e libri del novecento e dell’ottocento, le riviste, gli atti civili che mi commissionano l’accademia di Raffaello, la biblioteca, la curia arcivescovile e il tribunale di Urbino”. Gli studenti si trovano spesso a frequentare queste botteghe e alcuni di loro restano affascinati dal lavoro del legatore, il quale richiede tanta pratica, una buona dose di pazienza e un po’ d’ingegno. È quanto è accaduto a Simonetta e Francesca Buratti, che dodici anni fa hanno rilevato la vecchia legatoria di via Bramante. “Ci siamo appassionate per caso a questo mestiere. Passavo lungo la via – Simonetta – e mi sua legatoria spiega fermavo a guardare il lavoro che faceva qui un signore. Quando lui ha messo in vendita l’attività ho convinto mia sorella a prenderla. Siamo state un anno con lui per imparare il mestiere, per acquisire sicurezza e farci l’occhio. Lavoriamo molto con le tesi che ci portano i ragazzi e la crisi per fortuna non la sentiamo; finché ci sono gli studenti va tutto bene!”. [email protected]

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il Ducato

Ripensare la città per non lasciarla morire

Il Ducato chiama il filosofo risponde Opinioni e ricordi di Paolo Ercolani ed Enrico Mascilli Migliorini SILVIA SACCOMANNO

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ensare una cosa significa un po’crearla. Con questo spirito, il direttore del Ducato, aveva invitato i filosofi a ripensare Urbino perché immaginare una città e i suoi spazi, le possibili destinazioni, vuol dire credere di poter cambiare la situazione. “Ho letto l’editoriale di Raffaele Fiengo sul vostro giornale e credo che Urbino potrebbe rappresentare davvero un ideale se solo si fosse disposti a compiere certe trasformazioni. Per ora la città si sta suicidando perché è immobile. Dieci anni fa vivere di rendita poteva anche fruttare, ma oggi non è più così. Se ne accorgono gli abitanti che rimangono con le case vuote, i commercianti che chiudono, l’università che è in crisi”. Paolo Ercolani, docente di filosofia alla facoltà di Scienze della Formazione, si ferma per un attimo davanti alla realtà e poi prova a descrivere la foto che ha in mente, l’immagine di come le cose dovrebbero essere. Ripensare una città è come disegnare idealmente luoghi che conosciamo, ma che vorremmo sentire più nostri, più vivi. “Urbino è una città con un potenziale enorme in termini di ricchezze, ma c’è poca consapevolezza e poca integrazione tra realtà diverse. I cittadini percepiscono l’Università come un corpo estraneo e alle 5 del pomeriggio si chiudono in casa “perché sembra che gli studenti siano dei lupi mannari”. Il risultato è una realtà frammentata in compartimenti stagni che non comunicano. “L’Università è solo sfruttata, così come lo sono gli studenti, costretti in spazi angusti venduti spesso e volentieri a prezzi esorbitanti e in condizioni igieniche assolutamente non adeguate”. Bisogna modificare l’offerta. Un campus all’interno dell’università potrebbe essere una soluzione come già avviene in altre realtà. La piccola città di Bamberg in Germania ne è un esempio. Edifici preesistenti sono stati riadattati a residenze universitarie permettendo agli studenti di partecipare in pieno alla vita cittadina. “Urbino ha bisogno di creare più comunità. Per ora dalle 8 della mattina alle 6 della sera è degli urbinati che in genere sono pochi, vecchiotti e conservatori; dall’ora degli aperitivi diventa la città degli studenti che a volte fanno casino, a volte sporcano, fanno rumori. Se si riuscisse a fare di Urbino un campus dove chi studia e chi vive la città sono la stessa cosa, ci sarebbe da guadagnare. Nel quartiere san Lorenzo di Ro-

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ma funziona così”. Secondo Ercolani il paradosso è che con un patrimonio culturale come quello di Urbino, se oggi si spostasse l’università in qualsiasi altro posto, non cambierebbe nulla. Non c’è sinergia tra territorio e ricchezze. “Urbino andrebbe rivitalizzata sotto tutti i punti di vista. Forse mancano anche le grandi figure di una volta”. Ercolani pensa a Italo Mancini, docente, filosofo del diritto che girava per le strade di Urbino circondato da venti, trenta studenti con cui finiva in qualche bar a parlare. “Ripensare la città significa coinvolgerci tutti perché non è più come una volta che si avevano le cose pronte. Oggi tocca inventarsi tutto. Se non si capisce questo, sono i cittadini a rimetterci. Se Urbino muore agli studenti importa poco. Loro sono di passaggio”. Continuare a pensare per compartimenti stagni significa perdere ricchezza. La stessa logica esclusiva vale per gli immigrati che vengono emarginati senza capire quanto si potrebbe guadagnare dall’integrazione. “Oggi bisogna essere filosoficamante inclusivi. Possiamo anche rifiutare la multiculturalità, però c’è”. Gli anni settanta erano diversi. Enrico Mascilli Migliorini, ex preside della facoltà di Sociologia, lo racconta bene. Urbino era l’unico polo universitario e c’era sinergia tra gli attori della vita cittadina. I divertimenti erano pochi, si poteva solo studiare e

lasciarsi affascinare dalla cultura. Gli studenti erano pienamente integrati. I college predisposti da De Carlo facevano di Urbino un campus all’avanguardia preso a modello in tutta Europa. “Sapere che oggi Urbino non riesce più a trattenere studenti e professori mi avvilisce e addolora perché una volta era diverso” spiega Migliorini. Gli studiosi si riunivano al Circolo Cittadino sotto i portici per discutere e potevi veder passeggiare per strada personaggi illustri. I caffè erano pieni di gente, c’era il mercato a Porta Santa Lucia e la piazza la domenica era un forum in cui si incontravano tutti. “Ho preparato più tesi di laurea per la strada che altrove. La realtà oggi è che la gente non si fida più del prossimo e non è più aperta al confronto e all’incontro. Ma questo è un problema generale. La città ha sofferto anche per il decentramento delle sedi che l’ ha spopolata. Io ricordo la città di Urbino ai tempi di Bo, quando il rettore ricevette la telefonata di Andreotti che gli proponeva di fare il ministro dell’Istruzione. Era il 1976 e lui, sprofondato nella sua poltrona come il re del Montenegro, rispose di si, ma a una condizione. Che la sede del ministero fosse a Urbino. Erano altri tempi e oggi le cose sono molto diverse. Forse è anche per questo che non torno nei posti in cui sono stato felice ”. [email protected]

Gli urbanisti: rianimare luoghi e comunicare con gli abitanti

“Il segreto è rispettare gli equilibri” Architettura partecipativa. Progettare una città e immaginarla con la gente, discuterla, provare a viverla sulla pelle destinandola a persone concrete, realmente immerse nel tessuto urbano. Giancarlo De Carlo ha lasciato questa eredità a Urbino. Del famoso architetto, scomparso nel 2005, parla Monica Mazzolani che dal 2000 fa parte dello studio De Carlo Associati. “Con i suoi due piani regolatori e i numerosi interventi è stato un padre per la città ducale. Il 1964 era un periodo di grandi ideali e l’architetto, in sinergia con sindaco e rettore ha impostato linee guida precise per la ricostruzione, rispettando il patrimonio naturalistico e culturale e coinvolgendo le persone”. Poi il secondo piano nel 1994 con la città in espansione. I concetti erano gli stessi, ma questa volta lo slogan era “guardare con un cannocchiale rovesciato”. Se prima bisognava preservare l’integrità e la ricchezza del centro storico, in seguito l’obiettivo è stato quello di rinvigorire la corrispondenza fra cit-

tà e territorio progettando anche l’ambiente, la cornice. “Urbino è stato un modello e De Carlo è riuscito a dare risposte generali a problemi particolari. Le sue idee però non erano di facile lettura, né immediatamente traducibili”. Il piano regolatore è uno strumento arretrato per pensare una città perché pone solo vincoli. Quello che serve è l’intesa con l’amministrazione per realizzare i progetti. Molte idee sono rimaste chiuse nei cassetti. “Per ripensare Urbino oggi bisogna capire le dinamiche e i processi che determinano le costruzioni” spiega l’architetto Mazzolani. “Il concetto è quello di urbanistica negoziata con gli abitanti, il territorio e gli attori locali. Serve procedere per gradi e non con interventi dall’alto.”. L’architettura deve cercare di favorire l’integrazione e la comunicazione. Se le piazze oggi non sono più un punto di ritrovo occorre inventare altro. Biblioteche, caffè, spazi per mettere in pratica quello che si studia, mercati. “L’importante è trovare luoghi in

cui far cortocircuitare le differenze”. La Mazzolani ha lavorato dall’88 con De Carlo e ora si sta occupando del restauro della Data, le vecchie stalle del duca Federico da Montefeltro. “Sarà un esempio di partecipazione, un punto di ritrovo e una vetrina culturale, un laboratorio per promuovere il territorio con iniziative, mostre, eventi. Non si tratta solo di recuperare la forma, ma di rivitalizzare il contenuto adattandolo a nuove esigenze”. De Carlo era convinto che bisognasse conoscere il codice genetico degli edifici e del territorio per dialogarci in modo efficace senza agire mai contro, ma seguendo le linee guida. Dello stesso parere è l’architetto Leonardo Benevolo, incaricato nel 1982 di redigere un piano regolatore per Urbino. “Il segreto è dosare vecchio e nuovo. Urbino è una città illustre con equilibri interni da rispettare”. Non servono forti rotture, ma la consapevolezza e la valorizzazione delle peculiarità. (s.s.)

CULTURA

Dalla Francia uno studio su Urbino

“Persa l’identità, cercare l’Europa” ALBERTO ORSINI

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Nella foto grande, alcune zone ripensate da De Carlo: la Data, le facoltà di Economia e di Giurisprudenza e il Magistero. Nella foto laterale, la stanza “La città e il desiderio” del Museo della città in cui sono esposti alcuni progetti su Urbino mai realizzati. In basso, la Città ideale del Walters Art Gallery di Baltimora. In alto a destra il progetto francese per S. Chiara

popolata, isolata e senza più un’identità: è Urbino vista dalla Francia, in particolare da un’équipe di studenti di tre facoltà di Architettura transalpine che da cinque anni monitorano la città sul piano urbanistico e architettonico ma anche economico e sociale. A coordinare il gruppo Patrice Ceccarini, docente alla Scuola nazionale superiore di architettura (Ensa) di Lille e originario proprio del Montefeltro. Il quadro che emerge è quello di una città che dal dopoguerra a oggi ha perso la sua anima e la sua popolazione: se qualche anno fa gli abitanti non erano molti di meno rispetto a Pesaro, oggi il centro si è svuotato. Quanto alle strategie per uscirne, i francesi sono chiari: Urbino deve darsi una dimensione europea. “Questa città - commenta Ceccarini - è un piccolo esempio locale dei problemi urbanistici, economici e sociali italiani. Sono certo che se si fosse trovata in Francia avrebbe avuto uno sviluppo diverso. Nel dopoguerra aveva un alto potenziale, con un numero di abitanti non lontano da quello di Pesaro, ma poi ha avuto un decremento spiegabile solo con una mancanza di lungimiranza triste e pericolosa dei governanti, che ha portato alla speculazione edilizia per affittare le case agli studenti. Il centro si è svuotato e gli urbinati si sono trasferiti nei comuni vicini, causando una perdita di identità”. Sincero ma spietato, il quadro è venuto fuori dagli studi che i ragazzi francesi guidati da Ceccarini fanno due volte ogni anno sul territorio. Questa trasferta è diventata sempre più popolare tra gli aspiranti architetti d’Oltralpe: se nel 2005 furono in cinque a scendere nel Montefeletro, alla fine dello scorso febbraio quaranta ragazzi sono venuti a studiare Urbino dalle facoltà di Parigi, Lille e Nantes; e l’anno prossimo il gruppo potrebbe ampliarsi accogliendo altre nazionalità, con l’aggiunta di ragazzi tedeschi (di Aquisgrana) e belgi (di Gand). Lo scopo di questi studi non consiste solo nel puntare l’indice sui problemi dell’urbinate, ma anche nello studiare soluzioni urbanistiche per uscire dalla stasi. Tra un anno, a conclusione del progetto, le elaborazioni verranno proposte al Comune in un rapporto finale dettagliato, attualmente in preparazione. Cec-

carini comunque ha già chiaro quale dovrebbe essere la strategia generale. “Si deve far diventare Urbino - spiega convinto una città “leggibile” a livello internazionale: l’Italia se ne frega perché ha tante belle città e quella ducale non costituisce un caso originalissimo, perciò bisogna puntare all’estero. Deve caratterizzarsi certo come città del Rinascimento, intesa però non solo come città dei pittori, ma anche degli scienziati e perché no, dei militari. Urbino era una città-fortezza in cui ci si occupava di scienze sperimentali belliche: in fondo, fu questo a rendere possibile Raffaello”. Per recuperare l’identità di città fortificata in concreto “andrebbero tolti tutti gli alberi e il verde davanti alle mura, ricostituendo la forma di fortezza che Urbino ha avuto fino agli anni Venti. Mettere le piante in quella posizione - continua - è stato un errore storico, perché non c’erano mai state prima. Va sconfitta questa “mitologia” del verde a tutti i costi: sarebbe semmai preferibile puntare a valorizzare il verde interno alle mura, visto che Urbino è anche una cittàgiardino”. Lo studio evidenzia anche qualche errore nella destinazione d’uso degli edifici storici del centro. “Qualche struttura edilizia - propone ancora il docente - dovrebbe cambiare funzione: l’Ateneo occupa troppi spazi dentro palazzi che non sono adatti a un uso scolastico ma vanno considerati contenitori strategici per il turismo. Un esempio di questo è palazzo Gherardi, un vero e proprio “balcone” della città, che invece ospita un archivio. Oppure le aule: perché non recuperare i collegi, utilizzandoli come strutture abitative ma anche come spazi di insegnamento?”. Tra le proposte più importanti, anche quella di dare un nuovo, grande valore alla zona della vecchia ferrovia. “Un’area importante - spiega Ceccarini - che potrebbe costituire l’ingresso della città moderna. Ha capacità enormi di realizzazione di parcheggi e attività commerciali. Creare per esempio duemila posti auto e il bus terminal lì consentirebbe di liberare piazza Mercatale dalla funzione di parcheggio, facendola diventare un luogo di grande prestigio e visibilità internazionale. Senza dimenticare la vicinanza con la Data”. [email protected]

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il Ducato

S. AGOSTINO

S. MARIA DELLA TORRE

ORATORIO DELLA MORTE

S. ANDREA APOSTOLO

Esplorando i luoghi di culto dimenticati dalla città

Con i portoni serrati Molte le chiese dentro le mura che il clero non riesce a mantenere aperte FRANCESCO CIARAFFO

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ontano dalla facciata del Duomo c’è un’altra Urbino religiosa. Chiese piccole che gli urbinati hanno dimenticato, che rimangono a testimoniare una religiosità antica ma autentica. Contarle è difficile. Molte sono state demolite, altre soppresse. Quelle di cui rimane ancora traccia visibile sono 40, forse di più. Senza calcolare quelle inglobate nel tessuto cittadino e che oggi sono bar, sedi universitarie o laboratori di restauro. Nessun cartello indica questi edifici ai turisti e, anche se si avesse la curiosità di cercarli, si troverebbero solo portoni serrati. Così, mentre le prime scolaresche, come ogni primavera, arrivano in città ad affollare le scalinate del Duomo, questi luoghi rimangono avvolti nel silenzio. Lungo via Saffi, sulla sinistra, si incontra la chiesa di Sant’Agostino. Fondata dai padri Agostiniani nel 1258, oggi è un deposito che raccoglie opere d’arti provenienti dalle altre chiese chiuse. Attraversando il centro cittadino alle spalle di palazzo Corboli, si incontra un altro portone con un arco annerito a fargli da contorno. E’ l’ingresso di Santa Maria della Torre, non più di proprietà del-

la Curia ma del Comune. Qui il portone è semichiuso. A curare l’apertura è una signora anziana, lo fa gratuitamente dal 1995. Quando i turisti affollano la città, qualcuno passa anche di qui, si ferma, entra, dà un’occhiata. La signora fa un po’ da guida. “Ma quando i turisti sono tanti io mi allontano”, e così dicendo sparisce nella porticina che conduce a quella che un tempo era la canonica. Qualche passo più in là, sulla sinistra, comincia una discesa. La vista del campanile annuncia la chiesa di San Bartolomeo, che tutti chiamano San Bartolo. Alla sinistra del portone resta una solitaria statuetta del santo. Girando a sinistra e costeggiando le mura si sbuca in via Battisti. Adiacente agli archi di una delle tante porte, quella di Lavagine, c’è un altro tempietto: santa Maria degli Angeli. Fino a pochi anni fa apriva nel giorno di sant’Anna per una Messa a cui partecipavano le donne incinte, di cui la santa è protettrice. Oggi rimane solo la scritta latina a far da cornice. Risalendo verso piazza della Repubblica, sulla destra, c’è via di sant’Andrea. Fatti pochi passi si vede la chiesa che dà il nome alla strada. Molti urbinati non la ricordano nemmeno, altri invece non l’hanno mai conosciuta. Da qui, salendo le scalette di Santo Spirito e attraversando via Bra-

car te llo ne 10

Cinema LA MATASSA di Ficarra e Picone. Cinema Ducale dal 13 al 19 marzo Feriali: 20.00/22.00 Festivi 16.00/18.00 20.00/22.00 Terza prova cinematografica per il duo palermitano di Ficarra e Picone. Stavolta i comici sono due cugini che si riavvicineranno dopo essersi ritrovati ad un funerale. Continuano a provocare le

mante, si sbuca su via Raffaello. Raggiunta la “vetta” e svoltando a sinistra ci si trova davanti alla chiesa dei Carmelitani Scalzi. Fino a pochi giorni fa arrivava quassù don Marsilio Galli per celebrare la messa. Venivano tutte le vecchine di via dei Maceri e di Giro del Cassero. Dopo la scomparsa di don Marsilio, avvenuta di recente, probabilmente anche il portone di questa chiesa, fondata nel 1389, rimarrà chiuso. Per il clero urbinate curare tutte le chiese tra le mura è impossibile. I sacerdoti sono quattro e riescono a gestire come parrocchie solo il Duomo e San Domenico. Più San Francesco curata dai francescani. Molte altre vengono aperte solo per la celebrazione eucaristica. Urbino è anche città di oratori. Ce ne sono decine e vengono gestiti dalle confraternite. Come quello della Morte, dietro via Vittorio Veneto. All’interno è conservata una magnifica crocifissione dipinta dal Barocci tra il 1597 e il 1603. In vicolo del Rifugio, c’è il piccolo oratorio delle Cinque Piaghe, frutto di devozione popolare. Da qualche anno, su iniziativa di Giuseppe Cucco e Giuliano Santini, si cerca di far conoscere questi luoghi di arte e di culto anche ai turisti rendendoli visitabili su prenotazione. [email protected]

risate del pubblico e si lasciano andare a una denuncia contro la mafia. THE WRESTLER di Darren Aronofsky Cinema Ducale dal 13 al 19 marzo Feriali: 20.30/22.30 Festivi: 16.30/18.30/ 20.30/22.30 Dopo un attacco cardiaco, un lottatore di wrestling di successo deve ritirarsi dai combattimenti. Cercherà di costruire una

La chiesa degli Scalzi rischia di aggiungersi alle altre chiese chiuse dopo la morte di don Marsilio Galli,il sacerdote che vi celebrava la Messa

GLI ORATORI Gli oratori urbinati sempre visitabili sono due, quello di San Giovanni e di San Giuseppe. Grazie all’iniziativa di Giuseppe Cucco e Giuliano Santini è possibile visitarne su prenotazione altri cinque: la chiesa del Corpus Domini, l’oratorio della Morte, di sant’Andrea Avellino, delle Cinque Piaghe, della Santa Croce. Gli organizzatori si avvalgono delle collaborazione degli studenti di restauro.

nuova vita recuperando il rappor to perso da anni con il figlio. In parallelo, por ta avanti una relazione sentimentale con una spoglierellista, anche lei alla ricerca di una strada diversa. DUE PARTITE di Enzo Monteleone. Cinema Nuova Luce dal 13 al 17 marzo Feriali 21.30 Festivi 17.30/21.30

Scritto da Cristina Comencini e interpretato da otto fra le migliori attrici italiane, è un film in cui gli uomini, pure argomento centrale dei dialoghi, non compaiono nè esistono mai in campo. Per la rassegna cinematografica, il Cinema Nuova Luce propone il 18 e il 19 marzo alle 21,30 il film Il giardino dei limoni, del regista israeliano Eran Riklis, che racconta la storia di una donna che difende dalla politica i propri alberi di limoni.

CULTURA E SPETTACOLI

L’opera della Ginzburg il 18 marzo al Sanzio

Il restauro della statua danneggiata

Intervista spettro

La nuova mano di Celestino V

L’attrice Maria Paiato delusa: “Dal 1975 ci governa la televisione”

FABIO GOBBI

Ginzburg che, nel 1988, aveva già intuito tutto questo processo di degenerazione. Da quest’opera traspare la concezione che la Ginzburg aveva dell’uomo, una visione un po’ catastrofica della vita. I tre personaggi de “L’intervista” sembrano non aver mai pienamente sotto controllo la propria esistenza. Ilaria è completamente isolata nella sua stanza dove non sente nulla, né il campanello della porta né il telefono. Non fa nulla dalla mattina alla sera e dimostra di essere completamente astratta dal mon-

Altro aspetto interessante è la concezione che la Ginzburg ha del tempo, che vola e che appaltima delle nove rentemente non apporta soopere teatrali stanziali mutamenti. Fra estascritte da Natate, stagione in cui Marco e Ilal i a Gi n z b u rg , ria si vedono la prima volta, inl’Intervista anverno e primavera, ambientanovera tra i suoi zioni dei successivi incontri, più importanti allestimenti sembra non cambiare nulla. La quello di Luchino Visconti e di casa è sempre uguale così coLaurence Olivier. Il 18 marzo, il me la vita sciatta di Ilaria e di regista e attore Valerio Binasco Stella. Cambia però la saggezza la porterà al teatro Sanzio di di Marco che afferma: “con la Urbino. vecchiaia si vede tutto più chiaCon un’intervista “fantasma” ramente”. mai compiuta, la Ginzburg racMa il senso dell’opera sembra conta anche un essere tutto nelpezzo di storia del l’ultima battuta nostro Paese. Sodi Ilaria, quanno due i livelli di do, rivolgendosi lettura dell’opea Marco dice: ra: uno “privato”, “Non lo sapevi che riguarda le che le cose sucstorie dei persocedono sempre naggi, e uno quando non le “pubblico”, che vogliamo più?”. allude a dieci imQuesta frase per portanti anni della Paiato è “la la storia italiana. morale dell’opeL’opera è infatti ra ed è anch’essa ambientata fra il molto cechovia1978, anno dell'ona. Passiamo la micidio Moro, e il vita ad amare chi 1988, anno prima non ci ama e ad della caduta del essere amati da Muro di Berlino. chi non amiamo. Maria Paiato, coÈ il senso della protagonista vita, ma al tempo dello spettacolo stesso il suo monel ruolo di Ilatore: non essere ria, dice al Ducamai al passo con to: “Il personagquello che accagio di Gianni Tide e desiderare raboschi ci coninvece cose che segna questa Itaprobabilmente Valerio Binasco, Azzurra Antonacci e Maria Paiato lia dove i politici non accadranno do, quando dice di non capire sono visti tutti come personagmai. Ma il desiderio è il grande nulla di politica e delle cose di gi che predicano bene ma razmotore del mondo. Perciò quecui parla il suo compagno zolano malissimo. Non ci si sta affermazione da un lato è Gianni. Né Ilaria né Stella si sente più rappresentati da nultriste, dall’altro no”. Rimane preoccupano di fare la spesa e la”. La Paiato si sbilancia quanuna visione caduca della vita, di tenere in ordine la casa. La do parla di un vero e proprio sempre priva di soddisfazioni. Paiato vede un’influenza ce“disegno di abbassamento culPeggio, quando queste arrivachoviana sulla caratterizzazioturale voluto da parte di chi geno non sono più tali per colui ne dei personaggi che “sono instisce la cultura che si è attuato che le aveva tanto bramate e concludenti, sbagliano e non e che è oggi ai minimi storici. che intanto si è stufato di insecolgono le opportunità giuste” Dal ‘75, dall’avvento delle tv guirle. come spesso accade nella vita private, ci governa la televisioreale. ne”. Poi, una nota di merito alla [email protected]

FEDERICO DELL’AQUILA

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Teatro L’INTERVISTA Teatro Sanzio 18 marzo Ore 21,00 Ultima delle nove opere scritte da Natalia Ginzburg per il teatro, l’Intervista comunica in pieno la visione negativa che l’autrice aveva della vita. Un racconto in tre atti che mette in luce la debolezza, la fragilità e l’insicurezza dell’uomo. Un uomo che sembra non poter mai dominare la propria vita e

che solo quando cresce e diventa più saggio scopre che i sogni molto spesso non si realizzano. LE REGOLE DEL SAPER VIVERE NELLA SOCIETÀ Teatro Sanzio 24 marzo Ore 21,00 Il galateo non è più adeguato ai tempi. E allora eccone uno nuovo e dissacrante. Perchè nascere non è complicato, e anche morire è molto semplice. Vivere perciò non è necessariamente impos-

sibile. Morto prematuramente nel 1995, a soli 38 anni, Lagarce è tra gli autori francesi contemporanei il più rappresentato, nonchè tradotto in molti paesi.

Mostre ARNORLO CIARROCCHI Acquarelli degli anni Sessanta Casa natale di Raffaello dal 4 al 28 marzo Dal lunedì al sabato

La statua del Pontefice dopo il restauro: la mano destra era stata distrutta tre anni fa da alcuni vandali a largo Clemente XI la statua del “Papa del gran rifiuto” saluta di nuovo gli urbinati, i turisti e gli studenti. Tre anni fa la scultura raffigurante Papa Celestino V ha subito atti vandalici e la mano destra era andata perduta. I lavori di restauro diretti dall’artista urbinate, Arnaldo Balsamini, hanno restituito integrità all’opera scolpita da Bartolomeo Pincellotti nel 1793: “Ho studiato a lungo il calco della mano sinistra per ricostruire la destra. In base alla posizione del braccio, la mano è stata rifatta in una posizione non benedicente ma di saluto”. All’inaugurazione della statua ristrutturata è intervenuto anche il sindaco di Urbino, Franco Corbucci, e il presidente della provincia di Pesaro e Urbino, Palmiro Ucchielli. Davanti alla scolaresca dell’istituto comprensivo Giovanni Pascoli hanno entrambi sottolineato l’importanza della tutela del patrimonio artistico cittadino. “Il rispetto della storia e del passato è importantissimo.

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E quello di Urbino è un glorioso passato. Se questa mano reggerà sarà un buon segnale per la città" ha commentato Corbucci. Per Ucchielli “Non si tratta solo di educazione civica ma anche di evitare lo spreco di risorse pubbliche. E poi questa città è un gioiellino e i gioiellini non vanno sciupati”. Celestino V, patrono di Urbino (insieme a San Crescentino), fu il 192esimo Papa della Chiesa Cattolica. Fu eletto Pontefice a Perugia il 5 luglio 1294 in virtù della sua fama di santo. Fu consacrato il 29 agosto 1294 all’Aquila. Troppo anziano e incapace di liberarsi dalle continue richieste di favori da parte dei suoi monaci e di Carlo II d'Angiò (che lo indusse a nominare vari cardinali francesi), dopo soli cinque mesi di pontificato abdicò. Il fatto di essere il primo ed unico Papa a rinunciare alla guida della Chiesa gli valse la citazione di Dante Alighieri nella Divina Commedia come "colui che fece per viltà il gran rifiuto". [email protected]

ore 9-13/15-19. Domenica ore 10-13

LA NUOVA ICONA Palazzo Ducale, sale del Castellare dal 21 marzo Dalle ore 16,00 alle 19,00.

L’Accademia Raffaello, in collaborazione con l’Università di Ferrara, propone una mostra con alcuni degli acquarelli più famosi di Arnaldo Ciarrocchi. L’artista, che ha compiuto gli studi all’Istituto d’arte di Urbino, è considerato uno dei migliori incisori contemporanei. “E’ luce adriatica quella che scorre liquida negli acquarelli e nelle incisioni del Ciarrocchi”, scrive il giornalista Valerio Volpini, sottolineando la componente luminosa del suo segno grafico.

A cura di Bruno Bandini, la mostra raccoglie opere di artisti come Basile, Cascella, Cavina, Colognose, Donzelli, Lodola, Montesano, Ontani, Petrosillo, Salvo e Santoli. Bandini è docente all’ISIA di Urbino, dove insegna Storia delle comunicazioni visive.

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il Ducato

Nuovo rettore, finora sono ufficializzate le candidature di Magnani e Pivato

Elezioni, forse scontro a due Per il dopo Bogliolo alle urne il 20 e 21 maggio. C’è tempo fino al 20 aprile per presentarsi. Dibattito acceso GIOVANNI PASIMENI

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fida a due nella corsa per la nomina a nuovo Rettore della “Carlo Bo”. Almeno per il momento. I candidati ufficiali sono Mauro Magnani, prorettore vicario dal 2001 e Stefano Pivato, preside della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dal 2000. Entrambi si sono laureati all’Università di Urbino: Magnani, 55 anni, in Scienze Biologiche nel 1976; Pivato, 58 anni, in Materie Letterarie nel 1973. Franca Perusino, decano dell’ateneo urbinate, con il decreto firmato il 6 marzo ha ufficializzato la campagna elettorale per l’elezione del Rettore. “Il termine per candidarsi - avverte la Perusino - è il 20 aprile, data entro la quale le candidature dovranno essere presentate in forma scritta, corredate da un sintetico documento programmatico”. Numerosi gli aspetti che i due candidati affrontano nei rispettivi documenti, frutto di un lavoro di squadra. “In questi giorni - puntualizza Magnani - stiamo rifinendo il programma. Tutte le attività che impianteremo nell’ateneo saranno basate sulla qualità, parametro sulla base del quale prendere decisioni, fare valutazioni e attraverso il quale attivare una politica che riguardi il reclutamento, la scelta dei corsi di studio, l’organizzazione dei dipartimenti, le attività di ricerca. Stiamo sistematizzando i contenuti del programma e, appena finito, li renderemo pubblici attraverso un blog. È probabile che l’apriremo in settimana”. “Stiamo costruendo il programma - spiega Pivato - con la massima partecipazione. È quello che sto facendo con il blog «Cambio di passo», aperto una decina di giorni fa. Insistiamo sull’internazionalizzazione e sulla comunicazione. Concetti come quelli di spirito d’appartenenza e identità sono vuoti se non si ripristinano due fattori: la fiducia e la trasparenza. Vogliamo infondere uno spirito più collettivo e partecipativo a questa università. Credo molto alla figura dello studente-cittadino, più integrato nel tessuto locale”. Ampio e acceso è il dibattito sulle elezioni del Rettore. Indiscrezioni lasciavano pensare a una possibile candidatura di Guido Maggioni, professore ordinario di Sociologia del diritto alla Facoltà di Sociologia e prorettore alla didattica. Ma sono state smentite al Ducato dal diretto interessato. Giancarlo Scoditti, professore ordinario di Etnologia, che a sua volta ha smentito, preferisce fornire idee al futuro Rettore: “La trama su cui si dovrebbe articolare la fisionomia dell’Università dovrebbe distinguerla dalle altre tre università delle Marche. Credo che sia corretto focalizzare l’attenzione su una struttura-cellula, inserita nel più ampio contesto europeo e

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internazionale”. Il nuovo statuto prevede che il successore di Giovanni Bogliolo assuma l’incarico tre mesi dopo la nomina da parte del Ministro e che resti in carica fino al terzo anno accademico successivo. A scegliere il Rettore saranno i professori di ruolo, il personale tecnico-amministrativo, i ricercatori e gli studenti. Il metodo di votazione prevede il “voto pesato”: a ogni categoria è assegnata una percentuale con la quale influirà sul risultato finale (48% professori; 24% ricercatori e assistenti; 18% personale tecnico-amministrativo; 10% Consiglio degli studenti). Nel caso in cui i votanti di una componente dovessero essere meno della metà degli aventi diritto, il peso corrispondente sarà dimezzato e distribuito in proporzione alle altre componenti. Le prime votazioni si terranno il 20 e 21 maggio. [email protected]

STUDENTI AL VOTO Il 25 e 26 marzo gli studenti avranno 6 schede per votare i rappresentanti di facoltà, i consiglieri di amministrazione di università ed Ersu, i delegati del comitato per le pari opportunità, i rappresentanti al senato e al Cus. I rappresentanti da eleggere sono passati da 27 a 34. I principali gruppi studenteschi sono: Le Formiche, Azione Universitaria, Confederazione degli Studenti, Student Office. (l.f) Mauro Magnani

Stefano Pivato

Più iscritti a Pesaro e Fano. Forte il legame con il territorio

Il decentramento funziona professione di commercialista. Ma a parte le eccezioni, non si può dire che le sedi distaccate non piacciano ai giovani. Forse per una questione geografica e logistica, data la vicinanza alla Romagna e i vantaggi che una grande città comporta. Una posizione strategica non da poco, se si pensa ai perenni problemi di collegamento che penalizzano Urbino. Il maggiore punto di forza sta nel legame

spondere a una domanda di mercato attraverso un percorso formativo ad hoc. Come il master sulla nautica (“Home, building and marine automation”) che si e sedi distaccate fanno bene all’atetiene a Fano, città di mare dove la cantieneo. E’ unanime il coro di coordinaristica navale ha da sempre un ruolo pritori e addetti ai lavori secondo i mario. “Con la crisi mondiale – afferma quali i centri universitari di Pesaro e Fal’assessore ai rapporti con l’università no non rappresentano un limite ma un Gianluca Lomartire - le cose sono un po’ valore aggiunto. precipitate, ma fino a oggi il progetto ha Lo dicono loro e lo dice il numero degli sempre funzionato bene”. iscritti. Pesaro Studi, l’associazione nata Il rettore uscente Giovanni nell’aprile del ’97 per fare da Bogliolo ricorda che “si tramite tra l’università dutratta di corsi che prima cale e la città da cui prende non esistevano e che a Uril nome, registra la presenza bino non sarebbero potuti di circa 1300 studenti sudnascere”. Corsi diversi da divisi tra cinque corsi di lauquelli della sede centrale. rea (tre per Urbino e due per “Niente doppioni – precisa Ancona). Trecento in più riBoccia Artieri – ma è solo spetto a quattro anni fa. E questione di concreto lavoben 850 ragazzi sono lì in ro. Il decentramento non viale Trieste per seguire i ha fatto altro che potenziapercorsi di studio proposti re l’offerta formativa dell’adall’università montefeltriteneo sulla base di precise na. Molti più della metà. specificità, senza orientare Anche Fano fa la sua parte. Il gli studenti verso l’una o corso di laurea triennale in l’altra sede”. biotecnologie e la specialiSulle sedi distaccate Bostica in biotecnologie indugliolo fa un bilancio più che striali contano 144 studenpositivo, ma chiarisce che ti. Più del doppio, se si pennon è l’inizio di espansioni sa ai 71 di tre anni fa. E’ coulteriori. “L’importante è stante, invece, il numero garantire i servizi. E i servidelle immatricolazioni: 46, zi, così come il marchio, soesattamente come lo scorso no quelli di Urbino”. anno. Meno entusiasmo per Le cose funzionano ma con le discipline economiche. Il qualche neo. Marzia Bianprofessor Massimo CiamL’ingresso della nuova sede distaccata di Fano chi, presidente del corso di botti, responsabile della setra didattica e territorio. Giovanni Boclaurea in biotecnologie, nota che a volte il de fanese di economia, parla di una parcia Artieri, presidente del corso di laurea distaccamento è causa di lievi ritardi. “A tecipazione non superiore alla quindiciin Scienze della comunicazione, spiega Fano c’è una segreteria per le esigenze imna di studenti l’anno per il curriculum in che quando si lavora per dare ascolto a mediate, ma gli uffici centrali, così come internazionalizzazione delle imprese. “vocazioni territoriali” si arriva a un proquelli dell’Ersu, hanno sede a Urbino. AnProprio in questi giorni, si sta valutando dotto condiviso. E, possibilmente, a uno che se alla fine non è mai stato un limite per l’ipotesi di sostituire questo corso con sbocco occupazionale. L’obiettivo è i nostri studenti”. uno potenzialmente più appetibile, valicreare professionisti che possano [email protected] do per l’abilitazione all’esercizio della

SIMONE CELLI

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UNIVERSITÀ

Personale al minimo, assunzioni bloccate

E nelle biblioteche non si sa più dove mettere i libri

La biblioteca di Economia e Sociologia a palazzo Battiferri

MATTEO FINCO

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uando entro nel suo ufficio, al secondo piano della biblioteca centrale umanistica di via Saffi, il dottor Marangoni è al computer. La sua scrivania è piena di libri disposti uno sull’altro. Altri libri sono sui tavoli e sulle sedie. Dopo qualche attimo di perplessità, mi fa accomodare. Peccato che, una volta seduto, faccia fatica a vederlo. I libri lasciano poco spazio: sono le nuove acquisizioni che il dirigente dell’Area Umanistica del sistema bibliotecario d’Ateneo sta catalogando. “Però io questo lavoro non dovrei neanche farlo. Ci vorrebbe una persona che si occupasse solamente della catalogazione, ma non c’è!”. E’ questo il problema più grave delle biblioteche a Urbino: il personale. Nel giro di cinque anni si è passati da 48 a 38 unità. Oltre ai pensionamenti, qualche trasferimento e un paio di decessi. Chi se ne è andato non è stato sostituito. Anche perché le assunzioni sono bloccate dal 2003 per il piano di rientro post-statalizzazione. Eppure il patrimonio complessivo delle biblioteche universitarie è di quasi 600.000 titoli. Un tesoro non indifferente, che crescerà fino alla cifra di un milione di volumi, grazie alla convenzione stipulata nel 2001 con la provincia, che permetterà di catalogare l’intera raccolta libraria provinciale. E invece si va avanti come si può, alla meno peggio. “Siamo al livello minimale, ma ancora la situazione non è tale da causare disservizi”, dice Stefano Miccoli, che dirige la biblioteca di Giurisprudenza e

Scienze Politiche. “Il problema del personale però c’è: pochi come siamo, le sostituzioni sono un problema”. E’ quanto è accaduto alla biblioteca di Scienze Motorie. L’anno scorso il personale è sceso da tre a due persone. Quando una di queste è andata in aspettativa sindacale, spesso la biblioteca è rimasta chiusa di pomeriggio. Ancora più eclatante il caso dell’Emeroteca, dove si possono consultare quotidiani e riviste, in un archivio ricco di decenni di pubblicazioni. Da anni rimane aperta solo la mattina. Altro problema, gli spazi, soprattutto nel centro storico. Non si sa più dove depositare i nuovi titoli.

“L’edilizia bibliotecaria non è più gestita da anni” dice Marangoni. “Si era pensato di unificare l’intera sezione umanistica, ma è difficile.” La conseguenza è la frammentazione. Varie sezioni sono nei singoli istituti, come quello di Filosofia. Nella sede ristrutturata di Palazzo Albani, un signore è intento ad esaminare un vecchio volume: “Sono solo un volontario”. La sua presenza è ciononostante fondamentale, visto che l’istituto è aperto una manciata di ore alla settimana. La sezione umanistica soffre di un altro handicap. La gestione del pregresso è ferma. I libri fino agli anni ’50 non sono registrati nell’Opac, il registro in-

formatico che si può consultare dal sito dell’ateneo. Per la catalogazione occorre infatti personale specializzato. Secondo Tiziano Mancini, direttore della biblioteca di Economia-Sociologia, gli investimenti non sono mai abbastanza. L’anno scorso in totale i fondi destinati alle biblioteche, che servono anche agli acquisti dei nuovi volumi, sono stati per un totale di 1.115.000 euro. Per far fronte alle necessità, la dirigente della sezione scientifica, Marcella Peruzzi, ha deciso di puntare sugli abbonamenti alle banche dati e alle riviste online, anche perché “i prezzi dell’editoria scientifica crescono in media dell’8% all’anno”.

Però la voglia di fare non manca, fra i bibliotecari. “Nonostante tutte le difficoltà siamo riusciti a portare a termine molti progetti” dice la Peruzzi. “Siamo sottodimensionati, ma si riesce anche a fare cose interessanti”, conferma Miccoli. E mostra olympus, frutto della collaborazione con Inail e Regione: una banca dati totalmente open, che raccoglie tutti i documenti sulla sicurezza nel lavoro. A dimostrazione che la qualità c’è. E che l’arte di arrangiarsi colma le lacune di una scarsa sensibilità che si incontra in chi è responsabile di gestire il sapere. [email protected]

Continuano i disagi. Gli universitari del campus protestano

Sogesta, bocciati bus e mensa LUCA FABBRI

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iaggiando per la strada Rossa, è facile incrociare alcuni autostoppisti; in genere si tratta di studenti della Sogesta, il campus scientifico dell’ateneo di Urbino. Da anni questa struttura è al centro di una serie di polemiche su trasporti e servizio mensa. Polemiche che non accennano a placarsi. Lo scorso aprile il Ducato pubblicava un articolo che dava voce alle lamentele degli studenti e dei loro rappresentanti; undici mesi dopo, poco o niente è cambiato. Il campus, un tempo centro di ricerca dell’Eni, dista 4 km da borgo Mercatale: si scende lungo una serie di tornanti da percorrere a marce basse, di sera completamente al buio. “L’autostop - fa notare Maria Luisa, foggiana iscritta al corso

di biologia cellulare molecolare - è all’ordine del giorno. Grossomodo c’è un bus all’ora, ma spesso perdi le coincidenze con le partenze da borgo Mercatale”. Nel weekend le corse diminuiscono: “L’ultima è all’una di notte. Se non c’è qualche amico che mi porta, o resto qua o il taxi mi spilla 8-10 euro”. La fermata dell’autobus è all’incrocio tra la strada Rossa e la deviazione per san Battista in Crocicchia. “Finite le lezioni - racconta Sara, iscritta a scienze biologiche - spesso non si riesce a salire sul bus perché si riempie subito”. Non solo: senza una pensilina, d’inverno i ragazzi si prendono pioggia e neve. Mattia Fadda, presidente del Consiglio degli studenti, ridacchia amaramente: “Abbiamo mandato una lettera all’Ami e ai comuni di Urbino e Fermignano. Un anno fa il sindaco Corbucci e un dirigente dell’Ami ci hanno detto che avrebbero montato la pensilina di lì

a pochi giorni. Lei l’ha vista?”. I ragazzi del campus sono scontenti anche di quello che mangiano. “La pasta - si rassegna Sara - è sempre scotta e le vivande sono trasportate in contenitori termici dalle mense del Tridente e del Duca, dove si paga come alla Sogesta”. Luigina Valdarchi, responsabile della mensa, si difende: “Al momento la cucina della Sogesta non è a norma, e c’è carenza di organico per realizzare una mensa vera e propria; il servizio è nato solo come distribuzione pasti”. Invariato anche il sistema delle prenotazioni: si ordina pranzo e cena con una carta prepagata dell’Ersu, da cui è subito scalato l’importo del pasto. “Il problema spiega Sara - è che se entro le 11 non si raggiungono almeno 10 prenotazioni, la mensa rimane chiusa la sera; e allora o mangi in centro, o ti tieni la fame”. [email protected]

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il Ducato

In maglia gialla, i giocatori del Futsal prima dell’incontro con la Numana Calcetto vinto per 4 a 1

Calcio a cinque, dopo la vittoria con la Numana i playoff sono più vicini

Il Futsal Makkia sogna la B Parla il presidente Giovanni Pagnoni: “Per noi questa disciplina ha soprattutto un compito di natura sociale” ANDREA TEMPESTINI

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rogetto Ambizioso. O Pagnoni Amaranti, i cognomi dei fondatori: questi i due significati del P.A. che precede il nome Futsal Makkia Urbino. Lo svela Giovanni Pagnoni, il presidente-ragazzo che con Marco Amaranti fondò la società. Giovanni al 2-0 dei suoi interrompe la chiacchierata ed esulta come Inzaghi sotto la curva sud, la faccia paonazza. Poi si risiede e dice “Scusa, sai...”. Ci m a n c h e re b b e : ora il progetto è ambizioso veramente. “Il Futsal nasce nel 2001 per hobby, quasi per scherzo”, racconta Giovanni, e subito ottiene la promozione nella serie C2 di calcio a cinque: “Vincere il campionato al primo tentativo è stato forse il momento più bello di questi otto anni”. Nel 2006, un anno dopo aver perso il campionato all’ul-

tima giornata, il salto il C1 grazie a un ripescaggio. Il 2007 è durissimo: salvezza grazie alla Vigor Fabriano che non retrocede dalla B. Lo scorso anno ancora salvi all’ultimo secondo. Ora, con la vittoria contro il Numana di lunedì, la terza consecutiva, la squadra sfiora la zona playoff per la serie B: “E’ bellissimo e un po’ inaspettato, anche perché quest’anno la stagione è iniziata con cinque sconfitte consecutive”, a fine partita è sudato e felice il capitano Filippo Pieri. L’anno scorso Filippo giocava in B, all’Alma Juventus. Ci racconta che “L’impegno era totale, mi allenavo tutti i giorni: in quel campionato o giochi o lavori”. Ma se arrivasse la promozione? “Inutile dire che lo spero ugualmente, l’appetito vien mangiando. Chissà, se non avessimo avuto tutti quegli infortuni a inizio stagione…”. E allora quando la serie B, signor presidente? “Ci stiamo pensan-

Il capitano: “Promozione in serie B? Lo spero, l’appetito vien mangiando”

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do, non nascondo che in qualche anno la vorremmo raggiungere”. Dalla fila dietro, quella dei tifosi veraci che stanno ascoltando, gridano: “Questo non lo scrivere, per piacere! Noi ci tocchiamo!”. Giovanni sorride e continua: “In C1 o B che sia, il problema sono gli utili che non ci sono e gli sponsor che latitano: a dicembre ne sono saltati due. Per fortuna – continua – grazie al mio lavoro, per ora riesco a trovare nuovi finanziatori”. Il Progetto Ambizioso non è solo C1. Fra staff e giocatori under 21, juniores e squadra femminile coinvolge un centinaio di persone. Bisogna pagare divise, attrezzature, assicurazioni, visite mediche e il rimborso spese per chi viene da più lontano: molte pedine della prima squadra sono di Fano e Cagli. E soprattutto c’è da pagare l’affitto del palazzetto. Qualche soldo arriva da Tele 2000 che trasmette tutte le partite casalinghe. Si cerca anche di risparmiare un po’ scoprendo i giocatori, senza

comprarli altrove. Da quattro anni la società organizza un torneo estivo e dalla scorsa settimana è iniziato il progetto “Futsal che passione”: se ne occupa Ludovico Giosuè, allenatore della squadra under, che cerca di avvicinare al calcetto i ragazzi delle terze classi dell’Itis Enrico Mattei. “Ma il nostro è principalmente un compito sociale, per avvicinare i ragazzi al mondo dello sport – spiega Pagnoni – e tenerli lontani dalla playstation. L’anno prossimo cercheremo di coinvolgere altre scuole e altre classi”. Ma ora mancano due minuti al termine dell’incontro di C1. Il bomber Giommi segna in mezza rovesciata il 4-1 che mette in ghiacciaia il match con il Numana, quarto in classifica. Il Futsal Makkia vola alto. Il presidente sussura: “Questa può essere la svolta”. Il Progetto è Ambizioso. [email protected]

“Futsal che passione”: un progetto per avvicinare i giovani allo sport

LA CLASSIFICA

Ducali verso gli spareggi Squadra

Punti

Acli Montegranarese* Acli S. Giuseppe Calcetto Numana Nuova Morrovalle Sporting Lucrezia Futsal Urbino Real Monturano* Leopardi Falconara San Severino Castelbellino Ca5 Bocastrum United Futsal Fano H.R. Recanati* Ca5 Corinaldo* Porto S. Giorgio *Una partita in meno La prima promossa direttamente in Serie B. Playoff dal 2° al 5° posto

59 49 44 40 38 38 37 35 31 28 26 26 26 24 23 21

SPORT

L’università stanzierà circa 120mila euro per rinnovare l’impianto della Vela

Ritornano i campi da tennis Si parla di una nuova struttura polifunzionale gestita dal Cus pronta a ospitare anche il calcetto CHIARA BATTAGLIA

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na sedia d’arbitro arrugginita, sterpaglie e sedie rotte intorno agli spogliatoi, muschio sui campetti: così si presentano oggi i campi da tennis vicino ai collegi della Vela. Se tutto va bene, però, riapriranno alla fine dell’estate. A dirlo è il direttore amministrativo dell’università di Urbino Enzo Fragapane. Tra fine marzo e metà aprile dovrebbe essere indetto il bando che inviterà a presentare i progetti di ristrutturazione. Poi se ne sceglierà uno e i lavori potranno cominciare. I campi sono di proprietà dell'Università, che ne aveva affidato la gestione al Centro universitario sportivo (Cus) fin dalla loro apertura. Alla fine degli anni novanta sono caduti in disuso e più volte gli studenti ne avevano sollecitato la riapertura. Ma nel 2008 qualcosa ha cominciato a muoversi: il Cus e il Comitato per lo sport hanno presentato all'università la proposta di rinnovare i campi; proposta che il consiglio d'amministrazione ha approvato lo scorso settembre, dando così il suo benestare all'assegnazione dei lavori. L’inverno, poi, è stato un freno per procedere all’assegnazione: “Sarebbe stato complicato compiere la ristrutturazione con freddo e neve; con la bella stagione invece - spiega Vilberto Stocchi, presidente del Comitato per lo sport - tutto andrà più speditamente”. “I lavori non dovrebbero durare molto - dice il dottor Fragapane - ma naturalmente dipenderà dal progetto". Tra le ipotesi in cantiere c'è anche quella di non limitarsi a rinnovare i campetti, ma di trasformarli in un centro polifunzionale in cui sarà possibile giocare anche a calcetto. In questo caso sarebbe necessario ampliare gli spogliatoi: se nei due campi si dovesse praticare anche il calcio a cinque servirebbero delle docce in più. Per la ristrutturazione verranno messi a disposizione circa 120 mila euro. Nelle casse dell'università ci sono infatti 160 mila euro da destinare esclusivamente alle strutture sportive per gli studenti, ma 35 mila di questi verranno sicuramente usati per rimettere in sesto le tensostrutture della facoltà di scienze motorie, padiglioni climatizzati ormai in pessime condizioni. Si tratta di finanziamenti che il Cus aveva ricevuto dal ministero alla fine degli anni ottanta, quando l'ateneo non era ancora una "università statale". "Per anni - spiega il presidente del Comitato per lo sport, Vilberto Stocchi - tutti i fondi sono rimasti congelati per via delle difficoltà finanziarie che gravavano sull'università di

Urbino". Quest’anno invece, con la vendita dei collegi alla regione Marche, l’ateneo ha quasi ottenuto il pareggio del bilancio. E la situazione sembra finalmente sbloccata. Lo scorso Febbraio, tra l’altro, è stata rinnovata la convenzione fra Cus e università, una sorta di accordo quadro a scadenza quinquennale per l’amministrazione degli impianti sportivi: “Se i campi verranno finalmente rinnovati – dice il presidente del Cus Gaetano Partipilo – saremo dunque già pronti ad affrontarne la gestione”. “Il Cus avrebbe ogni interesse a che i campi si riaprissero - spiega il presidente Partipilo. E anche gli studenti. Circa due mesi fa il consiglio degli studenti aveva deliberato proprio a favore della ristrutturazione dei campi da tennis della Vela. "Aspettiamo con ansia che qualcosa si muova in questa direzione" afferma Mattia Fadda, il presidente del consiglio degli studenti. E adesso pare che la macchina burocratica si sia finalmente messa in moto. [email protected]

I campi da tennis in disuso, vicino ai collegi della Vela, di proprietà dell’università di Urbino

Le attività della Ciclo Ducale, tra gare, scalate e convegni

I tanti ciclisti della domenica le 5000 persone, di cui 3000 concorrenti. Già 200 camere d’albergo sono state prenotate, e vi saranno molte attività ricreative che renderanno la gara un evento più completo e appetibile”. Musica dal vivo, esibizioni di bike trial, un’osteria all’aperto in piazza delle Erbe, aree espositive di prodotti tipici e sportivi e un trek-

ma del 18%. Ma la Ciclo Ducale non si occupa soltanto di attività sportive: in collaborazione con il comune di Urbino e la facoltà di ella sonnolenta domenica urbiscienze motorie, organizza seminari e nate percorrono le strade di Urbiincontri. Il 28 marzo al collegio Raffaello no, Fano, Pesaro, le campagne del si terrà un convegno su sport e salute che Montefeltro, i borghi medievali di cotto affronterà il tema del rapporto tra diaberosso che popolano il territorio marchite e ciclismo, mettendo in luce giano. Sono i ciclisti dell’ assocome la bici sia salutare sia come ciazione A.S.D. Ciclo Ducale, prevenzione che come guarigionata nel 1999 nell’ambito del ne di questa malattia. L’associaciclismo amatoriale da un’idea zione Onlus Ciclismo e Diabete di Eugenio Carlotti e Gianfranparteciperà all’incontro, evidenco Fedrigucci, con l’intento di ziando come molti ciclisti amacondividere la passione del citoriali diabetici siano ottimi atleclismo e la voglia di valorizzare ti, al pari degli altri ciclisti amala propria terra. toriali. L’associazione conta trentotto Membri della Ciclo Ducale sono tesserati e si è distinta negli angli innamorati del ciclismo, ma ni per l’organizzazione di due anche della buona cucina, come eventi: la Straducale e la cronospiega Lidiano Balducci: “Nonscalata “I Muri di Urbino”. La ostante i mille chilometri percorStraducale è una granfondo si la settimana scorsa, io e i miei (una gara impegnativa da 130 – compagni siamo ingrassati in 150 chilometri) internazionale media di 2 kg”. In partenza per un che da quest’anno fa parte del giro della Sicilia in bici, il signor circuito europeo “Prestigio”, Balducci parla della sua storia che annovera al suo interno le sportiva: “La bici fa parte della migliori nove granfondo d’Europa. Apprezzata dagli esperti La Straducale in via Cesare Battisti, nell’edizione 2008 mia vita. Correvo da amatore fin da giovane. Poi sono diventato il per la bellezza paesaggistica e la king urbano per le vie di Urbino saranno presidente della cicloamatori di Urbino qualità tecnica del percorso, la Straducail corredo urbano che l’associazione sta dal 1982 al ’90. Ed ora sono un membro le, nata nel 2001, quest’anno partirà il 26 organizzando a partire dal 23 luglio. stabile della Ciclo Ducale”. E aggiunge: luglio. La gara si snoderà sulle salite del“I Muri di Urbino” è una cronoscalata in“Sono contrario a un ciclismo esasperala tappa appenninica che probabilmendividuale che parte dal piazzale dell’ex to, dove anche il singolo amatore dispote sarà inserita nell’ultima settimana del stazione ferroviaria di Urbino e termina ne di un preparatore atletico. Sono legaGiro d’Italia 2009 (toccando i monti Nevicino al monumento di Raffaello, in to alla vecchia idea della bici, ad un ciclirone, Catria e Petrano), portando con sé piazzale Roma. Primo evento organizzasmo che sappia godere della vita, a un nuovi asfalti e lavori a prova di professioto dall’associazione nel 1999, la scalata, agonismo che non rinunci mai a un buon nista. “Puntiamo a far arrivare Urbino – riproposta ogni estate, è lunga tre chilopiatto di pasta”. ha dichiarato Alessandro Gualazzi, premetri e mezzo e ha una pendenza [email protected] sidente della Ciclo Ducale - tra le 4000 e

LUCA ROSSI

N

15

il Ducato

MASS MEDIA

Assetti proprietari, opinione pubblica e ruolo dei giornalisti: l’analisi di Alberto Papuzzi

L’orizzonte dell’indipendenza Il 16 e il 17 marzo parte il progetto “Einaudi-Albertini”, incontro-dibattito organizzato da Ifg e Università GIORGIO BERNARDINI

L’

informazione italiana non è indipendente. E’ percezione condivisa, parere degli addetti ai lavori e sentenza dei lettori. Che comprano sempre meno quotidiani. Gli assetti delle proprietà, il ruolo dell’opinione pubblica e il comportamento dei giornalisti sono le variabili necessarie per capire se e come sia possibile scavalcare gli ostacoli che conducono all’indipendenza e comprendere gli orizzonti del giornalismo italiano. Il progetto “Einaudi-Albertini per l’indipendenza dei media” raccoglie anche questa sfida, quella di far luce - attraverso esperienze e dibattiti - sulle condizioni di salute del giornalismo, sulle possibilità di un’autonomia che appare ancora lontana. Si comincia lunedì con una serie di appuntamenti che si terranno al Nuovo Magistero dell’ateneo urbinate. “I giornali - spiega il professor Alberto Papuzzi - continuano ad appartenere a gruppi industriali e banche”. E questo pare essere il primo serio problema. Se il modello italiano assegna la proprietà dei gruppi editoriali ad un patto di sindacato formato da banche ed industriali è più probabile che tali gruppi si occupino di vendere pubblicità agli inserzionisti piuttosto che notizie ai lettori. L’influenza degli interessi economici degli assetti proprietari ha un peso eccessivo sull’elaborazione del giornale come sulla scelta del direttore. Il professor Papuzzi è giornalista e autore di uno tra i libri di testo più utilizzati negli atenei italiani: “Professione giornalista”. Il suo è lo sguardo dello storico che non può fare a meno di osservare che nel nostro Paese non esiste quel vallo che le redazioni anglosassoni riescono a mettere fra sé e la proprietà. Non c’è insomma l’indispensabile barriera che dovrebbe separare la newsroom, la fabbrica delle notizie, dall’editore, o comunque da chi mette il denaro. “Da questo punto di vista chiarisce Papuzzi - ci sono diversi modelli a cui tendere per evitare la contaminazione tra proprietà e giornalisti. L’esempio più suggestivo è senza dubbio quello della cooperativa adottato a Le Monde. Si tratta di una realtà che presenta alcune problematiche di carattere economico,

ma senza dubbio resta l’ipotesi più affascinante dal punto di vista dell’indipendenza di chi scrive”. Del resto i numeri indicano una forte sfiducia nell’informazione da parte dei cittadini, soprattutto nel settore della carta stampata che continua a perdere lettori. L’impressione che l’opinione pubblica non riesca a formarsi è solo la conseguenza di un clima di generale distacco che non dipende unicamente dalle ingerenze delle varie proprietà nei giornali. I primi a soccombere sono infatti i quotidiani di partito: “La fine dell’idea di appartenenza nella politica è la causa della crisi di questi giornali, che sono diventati per primi l’anello debole del sistema editoriale”. Dal dopoguerra ad oggi ci sono stati fenomeni che hanno mutato diverse volte il quadro delle proprietà. Dalla politica agli industriali sino al mondo della finanza. “Il periodo più felice per l’indipendenza dei giornalisti è sostanzialmente coinciso con i cicli di espansione dei giornali. In una fase di contrazione, come quella odierna, è più difficile che i giornalisti affermino il proprio ruolo”. Anche le nuove tecnologie, secondo Papuzzi, giocano a sfavore dell’indipendenza, perché “non sono ancora padroneggiate” dalla maggior parte dei redattori. Quella della proprietà non è comunque l’unica variabile da tenere in considerazione: “Nel giornalismo anglo-americano c’è una grande tradizione di autonomia che proviene proprio da parte della stessa categoria dei giornalisti. La chiave è proprio questa: deve essere il giornalista a difendere la sua indipendenza. In Italia siamo chiaramente molto lontani da questa prospettiva”. Papuzzi opera una sorta di rivoluzione copernicana della problematica, ribaltando di fatto il ruolo del giornalista: da oggetto che subisce l’azione della proprietà a soggetto che propone la linea: “La capacità dei giornali di fare informazione secondo la logica dell’articolo 21 va riportata alla volontà del singolo giornalista di non tradire il suo ruolo e la sua missione. Questo rimane anche l’aspetto più affascinante del mestiere. Ciò che conta è la capacità del giornalista di essere fedele alla sua missione e di saper creare competizione fra le pubbliche opinioni”. [email protected]

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Il programma del convegno organizzato dall’Ifg di Urbino in collaborazione con l’Università

ASSOCIAZIONE PER LA FORMAZIONE AL GIORNALISMO, fondata da Carlo Bo. Presidente: GIOVANNI BOGLIOLO, Rettore dell'Università di Urbino "Carlo Bo". Vice: GIANNETTO SABBATINI ROSSETTI, Presidente dell'Ordine dei Giornalisti delle Marche. Consiglieri: per l'Università: BRUNO BRUSCIOTTI, LELLA MAZZOLI, GIUSEPPE PAIONI; per l'Ordine: STEFANO FABRIZI, DARIO GATTAFONI, CLAUDIO SARGENTI; per la Regione Marche: SIMONE SOCIONOVO, LEONARDO FRATERNALE; per la Fnsi: GIOVANNI GIACOMINI, GIANCARLO TARTAGLIA. ISTITUTO PER LA FORMAZIONE AL GIORNALISMO: Direttore: LELLA MAZZOLI, Direttore emerito: ENRICO MASCILLI MIGLIORINI. SCUOLA DI GIORNALISMO: Direttore: RAFFAELE FIENGO IL DUCATO Periodico dell'Ifg di Urbino Via della Stazione, 61029 - Urbino - 0722350581 - fax 0722328336 www.uniurb.it/giornalismo; e-mail: [email protected] Direttore responsabile: RAFFAELE FIENGO Stampa: Arti Grafiche Editoriali Srl - Urbino - 0722328733 Registrazione Tribunale Urbino n. 154 del 31 gennaio 1991 16

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