Quindicinale - 27 febbraio 2009 - Anno 1 - Numero 4 il Ducato online: www.uniurb.it/giornalismo
il Ducato Periodico dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino
Immigrati, cresce il rischio isolamento dovuto a razzismo e crisi economica
Lo spettro della segregazione Distribuzione gratuita Spedizione in a.p. 45% art.2 comma 20/b legge 662/ 96 - Filiale di Urbino
Gli imam spiegano la mancanza di dialogo. Le donne: “Non giudicate solo dal velo” Sono 1.168 gli stranieri residenti, spesso operai delle fabbriche. Il tasso di immigrazione a Urbino è del 7,5%, rispetto al 2,4 della media nazionale. Nell’intera provincia gli immigrati sono il 9,3%. Degrado sempre più evidente a Urbino2. Il rischio del ghetto.
L’EDITORIALE
La rivincita dei mercatini
Quella banlieue dietro casa
S
Parlano l’imam di Fermignano e gli immigrati di Ponte Armellina. Questioni centrali sono il razzismo e la diffidenza da parte degli italiani. Marocchini, albanesi, senegalesi, anche se vicini di casa, non riescono a comunicare. Troppi ritardi nel rilascio dei permessi di soggiorno. A scuola si parla di multiculturalità ma mancano le norme. Ricatti sui luoghi di lavoro e assistenza sanitaria difficile. Desta ancora stupore il velo delle donne mussulmane. alle pagine 2 e 3
Politica
Verso il voto di giugno Comincia il viaggio del Ducato verso le elezioni amministrative di giugno. Contro il sindaco Corbucci, che tenta di avere un secondo mandato dai cittadini, si candideranno almeno due pretendenti alla poltrona di primo cittadino. Grande incertezza sulle alleanze, l’incognita Udc pesa sulla mappa elettorale. Nel Pdl circolano i nomi di Bonelli e Fraternale. a pagina 4
abato al Monte, martedì in via Calgari, tutte le prime domeniche del mese nel cenS tro storico. Dopo la fine della vecchia fiera di Borgo Mercatale, i mercati di Urbino si spostano, sopravvivono, si espandono nelle piazze della città ducale. a pagina 7
Manager in rosa
Cultura
Università
Con loro le aziende vanno meglio
Quando Federico inventò la scienza
Decreto Mussi, ecco cosa cambia
Secondo una ricerca del Bobson College quando le aziende sono gestite da donne le cose vanno meglio perché più intuitive, dinamiche, innovative e flessibili degli uomini. Ma l’occupazione femminile nella provincia, seppur superiore alla media nazionale, non è poi così alta.
Sotto il ducato di Federico da Montefeltro, Urbino è stata la culla della tecnologia. Lo studiolo, su cui sono raffigurati gli strumenti scientifici, testimonia la passione del duca per la tecnica. Dal gabinetto di Fisica, la proposta di creare un museo della scienza.
È partito da quest’anno il decreto dell’ex ministro dell’università, Fabio Mussi. Ridotto il numero degli esami e i corsi di laurea, triennali e specialistiche. Alcuni presidi delle Facoltà di Urbino hanno espresso il loro parere. A sorpresa molti di loro si sono dimostrati favorevoli.
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cava scava, abbiamo tutti un nonno, un contadino del Montefeltro che nei primi del ‘900 ha attraversato l’oceano ed è sbarcato a Ellis Island, l’isola della quarantena. Qui ha dovuto fare una lunga anticamera prima di mettere piede sul suolo dell’America, dove sugli alberi crescevano i dollari. Volti segnati da fatica e dolore, simili a quelli che ora si riversano in Italia. Soltanto un po’ più chiari di pelle. Ma nemmeno tanto, cotti dal sole per il lavoro della terra. Se cercate in soffitta troverete un cartoncino azzurrognolo con un timbro per garantire che vostro nonno non aveva i pidocchi. A Ellis Island venivi controllato come un animale dal veterinario e lavato come un cane nella tinozza. Dovevi rovesciare sacca e tasche. Scrivevano sul registro quanti soldi avevi, da dove venivi, da chi andavi. Dopo 40 giorni uscivi con il diritto di essere un uomo. Ci chiamavano greenhorn, cornaverdi, vigliacchi ignoranti. Ma eri a New York, un inizio di dignità e soldi da mandare a casa. Rigore e civiltà, nel New England, cent’anni fa. Formula che adesso potrebbe funzionare in Italia. Qui le pieghe disordinate delle leggi sembrano un aiuto. Arrivi (se non muori nel viaggio) irregolare, clandestino, sfruttato come una bestia appena raggiungi un lavoro. Gli immigrati onesti pagano, i peggiori trovano maglie larghe. Inizia la costruzione lenta e sicura di un inedito apartheid. Ma nei nostri territori, nel Montefeltro, le condizioni sulla carta sono migliori. C’è lavoro anche per loro, imprese serie. Vuoi vedere che poco alla volta avranno una casetta dignitosa con la moglie che tiene in ordine e i bimbetti sani e sorridenti, maestre intelligenti che inseriscono i piccoli in classe; culture che si affiancano con calma e misura. Via l’infibulazione anche dai segreti delle case. Un bel Paese, con la sanità per tutti che negli Usa se la sognano. Potrebbe essere così all’ombra di Urbino la grande, dove lo spirito del Duca e l’Università battono la rozzezza dei tempi. Ma così non è. Una insipienza grave e imperdonabile toglie attenzione, non fa vedere i ghetti che crescono e le discriminazioni che mettono radici. La Città cieca nega le risorse anziché correre con il danaro comune a dare dignità ai luoghi separati. La Città pensa ad altro. E butta via il suo primato civile per ritrovarsi domattina la banlieue dietro casa.
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il Ducato
A Urbino2 ancora degrado e tensioni sociali
Immigrati, il rischio è la segregazione Isolamento e ricatti sul lavoro tra le principali cause del disagio CHIARA ZAPPALÀ
N
on ghetti statunitensi, né banlieue francesi. Non ancora. Ma, secondo le voci di chi lo vive, Urbino2 si presenta comunque come spazio di segregazione. Quartiere pensato alla fine degli anni ‘80 come residenza per universitari, è diventato nel tempo avamposto delle comunità di immigrati. Urbino e Fermignano conoscono da molto il fenomeno di flussi migratori da paesi del Maghreb, in particolare dal Marocco, slavi, soprattutto macedoni e albanesi, e dall’Europa dell’Est. Recentemente ha accolto anche popolazioni dell’Africa Nera. E i numeri spiegano in che misura il territorio si faccia carico dei nuovi arrivi: il tasso di immigrazione nel comune di Urbino è del 7,5%, valore considerevole se rapportato alla media nazionale del 2,4%. Al di là della concentrazione nelle grandi città (Roma e Milano raccolgono circa il 25% degli immigrati in Italia) sono proprio le aree non metropolitane ad attrarre gli stranieri. “Questo perché una discreta facilità di inserimento lavorativo si abbina a maggiori possibilità nel mercato dell’abitazione” spiega il professore Eduardo Barberis, docente di Politiche dell’immigrazione alla facoltà di Sociologia di Urbino. “Abbiamo un’immigrazione segmentata, in cui ad una popolazione sempre più stabile e di presenza duratura, se ne affianca una pendolare e una di recente arrivo”, continua Barberis. Evidenti le ragioni del pendolarismo: gli immigrati trovano affitti bassi nelle periferie isolate, il lavoro nelle fabbriche di mobili, metalmeccaniche, nei cantieri edilizi e, soprattutto le donne, nelle case degli italiani come collaboratrici domestiche. Lo provano le corse lente del bus tra Urbino e Pesaro: molti dei passeggeri sono immigrati, carichi di buste di spesa, fanno tragitti che li portano dalle fabbriche alle case nei centri suburbani e viceversa. Viaggiano da soli o in piccoli gruppi omogenei: si riconoscono i suoni dei dialetti arabi o delle lingue slave, nessuna lingua franca, l’italiano non ha conquistato questo ruolo. Non sono estranei casi di irregolarità: quotidianamente al porto di Ancona si intercettano persone nascoste nei container o nei camion, ed è plausibile che alcuni possano scampare ai controlli. Poi ci sono i “overstayers”, coloro che entrano regolarmente con visto turistico o con permesso stagionale e che rimangono anche dopo la scadenza del titolo. Barberis riconosce che i passi
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avanti non possono ricadere solo sul volenteroso intervento privato e pubblico spontaneo. “Serve una chiara e definita politica di integrazione di carattere nazionale che dica con chiarezza e senza demagogia cosa si vuole dagli immigrati e cosa si vuole offrire loro”. L’assessorato alle politiche sociali combatte ogni giorno con i problemi dell’integrazione: interventi intensivi sono stati pensati e messi in pratica per Urbino2. Anche enti privati e cooperative collaborano per il recupero dell’area. Ma il degrado si manifesta violentemente: sporcizia negli spazi comuni, case fatiscenti, umide e piene di muffa, riscaldamenti “improvvisati”, spesso stufe a legna in cui va a finire di tutto. “Non abbiamo strumenti normativi per intervenire sulle abitazioni e in generale a livello urbanistico”, ha ammesso l’assessore Maria Clara Muci. “Le case sono di privati. In passato abbiamo cercato di realizzare progetti di recupero con i proprietari e con fondi pubblici, ma non abbiamo ottenuto risposte”. In effetti molti fra coloro che affittano
le case agli immigrati non sono della zona, parecchi sono romagnoli che avevano acquistato le abitazioni come investimento. E, sebbene Urbino2 non registri fenomeni allarmanti come quelli di enclave marchigiane di immigrati (l’Hotel House di Porto Recanati o Lido Tre Archi nel fermano), bisogna stare attenti che non diventi una terza area chiusa e di segregazione in una regione relativamente piccola. “Dovremmo ripensare i responsabili del disagio. Per esempio poco si parla del ricatto dei datori di lavoro italiani che abbassano i salari agli immigrati e li fanno lavorare senza assicurazione sugli infortuni in cambio dell’assunzione”, afferma Cristiano Maria Bellei, docente del corso di laurea specialistica in Sociologia della multiculturalità. “E porrei l’emergenza sulle seconde generazioni”. Parla dei ragazzi cresciuti senza identità, che ricevono le stesse pressioni mediatiche degli italiani, ma non hanno accesso ai prodotti che i media vogliono vendere, che siano abiti firmati o i corpi di avvenenti signorine.
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Un’associazione di donne musulmane contro i pregiudizi
Ma non è il velo quello che conta “U
na volta ero entrata dal tabaccaio per fare una ricarica. La donna al banco era di spalle e quando si è girata le è venuto un colpo. Mi ha spiegato che le avevo fatto paura vestita in quel modo. ‘Non sono molto diversa da una suora’ ho risposto io”. A raccontare divertita questo episodio è Khadija, marocchina, presidente della neonata associazione di volontariato Mondo Migliore, per l’integrazione e la promozione della donna musulmana. Parla col sorriso incorniciato dal khimar, il velo che lascia scoperto solo l’ovale del viso. Ma se per lei l’abbigliamento è una questione di avvicinamento alla religione, per altre rappresenta anche sicurezza e protezione. Karima, 29 anni, altro membro dell’associazione, ha raggiunto il marito in Italia da appena due anni e ha messo il velo l’anno scorso. “Le mie compagne lo indossavano, e col velo mi sento più protetta” spiega. Safa, invece, in Italia da un anno, racconta di essere andaLe ta una volta in un ufficio di collocamento per cercare lavoro, ma l’impiegata le ha detto che non avrebbe trovato niente da fare perché era velata. “Che c’entra il velo – si domanda – non bisognerebbe guardare quello che uno sa fare?”. Mondo Migliore nasce proprio dall’esigenza di offrire alle donne musulmane, considerate spesso diverse
anche solo per il loro abbigliamento, l’opportunità di farsi conoscere “non per come ci vedono, ma per quello che siamo veramente” spiega Khadija, ormai in Italia da 14 anni. “ I miei figli sono nati e cresciuti qui – spiega – e l’integrazione per me è una cosa
sottomessa”. Per questo motivo Mondo Migliore organizza dei corsi settimanali di italiano, un servizio di doposcuola per i bambini stranieri, ma anche corsi di arabo e di educazione islamica. Come a dire, integrarsi senza perdere la propria identità. L’impegno dell’associazione è proiettato anche all’esterno. Dopo un progetto di formazione fatto in collaborazione con la Croce Rossa, Caritas, Comune di Urbino e il NAAA (Infanzia, Cooperazione e Sviluppo), le donne presteranno servizio di volontariato all’ospedale di Urbino. “Lo scopo è quello di assistere le persone che hanno maggiore bisogno di aiuto, come gli anziani e gli stranieri che non parlano italiano” spiega Khadija. Il tesserino di riconoscimento delle volontarie sarà quello della croce e della mezzaluna rossa, due simboli legati a mondi diversi, ma che, chiarisce Khadija, non hanno nulla a che vedere con la religione. Eppure l’avvicinamenvolontarie dell’associazione “Mondo migliore” to di due simboli, corrisponde fondamentale”. Ma per le donne che spesso forse alla volontà delle donne di Mondo Miraggiungono i mariti in Italia grazie al ricongliore di avvicinare il loro universo a quello giungimento familiare, inserirsi è molto difdella società italiana. “C’è una grande ignoficile. “Spesso – racconta – non parlano la linranza in questo paese attorno all’Islam, e gua e per questo si sentono totalmente dispesso – conclude Khadija – le persone giupendenti dal marito. Ma all’esterno la gente dicano senza conoscere”. crede soltanto che la donna musulmana sia (e.p.)
PRIMO PIANO
Nuovi e vecchi stranieri raccontano l’Italia come terra promessa
L’America qui non c’è Sempre più cassintegrati e disoccupati. C’è già chi sceglie di fare ritorno a casa ERNESTO PAGANO
“I
Sopra, una casa a Ponte Armellina. Nella pagina a fianco, Ahmed el Raidouni, imam di Fermignano
IMMIGRATI A URBINO
1.168 Cittadini extracomunitari residenti (dati del comune di Urbino, aprile 2008)
7,5% Tasso di immigrazione a Urbino; la media nazionale è 2,4% (dati del comune di Urbino, aprile 2008)
9,3% Cittadini stranieri sul totale dei residenti (dati della Cgil di Pesaro, dicembre 2007)
4.640 Studenti immigrati nelle scuole della provincia di Pesaro-Urbino (dati del Cnel, 2006)
n questo quartiere siamo internazionali”, dice con una grassa risata Muhammad, un corpulento marocchino di Ponte Armellina, meglio nota come Urbino2. La sala d’attesa dell’ufficio immigrazione del quartiere somiglia a un luogo di ritrovo, con gli uomini che si incontrano scambiandosi confidenze e strette di mano. Si parla dei problemi che affliggono la comunità: il lavoro che manca, gli affitti da pagare, il permesso di soggiorno che non arriva. Memeti Younis, macedone di etnia albanese, ricorda che nel ’95 c’era anche qualche studente, “poi sono andati tutti via”. Urbino2 l’ha vista trasformarsi nel ghetto degli stranieri, in prevalenza musulmani. Di questi, molti hanno trovato nella moschea un luogo di aggregazione e di rappresentanza. Memeti è il presidente della comunità islamica di Pesaro e Urbino, aderente all’UCOII (Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche italiane). Lavora in una fabbrica di plastica e fa il mediatore culturale per conto del comune. Rappresenta, in sostanza, l’interfaccia tra la comunità islamica di Urbino2. “La separazione razziale nelle scuole è il problema principale che mi trovo ad affrontare – dice Memeti – perché c’è la tendenza a separare gli stranieri dagli italiani, ma è proprio nel contatto coi bambini italiani che i nostri figli possono riuscire a integrarsi”. Si sente il razzismo, quindi? “Il razzismo non è una novità – afferma con voce pacata – il cambiamento c’è stato dopo l’11 settembre del 2001. I media hanno cominciato a parlare soltanto male di noi musulmani. E chi non conosce, non si fida”. Attorno a lui, gli altri annuiscono. Poi, quando gli si domanda se hanno amici italiani, c’è chi guarda altrove e chi fa spallucce. Ma il problema del lavoro, le battaglie contro la lentezza della burocrazia, le case fatiscenti, fanno dimenticare anche la solitudine. Karim, operaio marocchino, lavora solo 4 ore al giorno e ha appena fatto arrivare la moglie dal Marocco. Da un anno vanno in giro con la ricevuta di richiesta del permesso di soggiorno, ma del permesso ancora nessuna traccia. La moglie non è stata accettata in azienda perché con la sola ricevuta non si assume. “Ad agosto mio padre è morto”, dice Karim, e non sono neanche rientrato per il funerale, perché rischiavo di non tornare più indietro”. Ma nonostante tutto si ritiene fortunato, “perché almeno vivo a Gallo e non qui a Ponte Armellina”. Muhammad, di Marrakesh è d’accordo con lui: “Qui d’inverno le case sono freddissime e d’estate si schiatta di caldo. È come stare sotto una tenda. Sono andato a fare le prove allergiche – si lamenta – perché tra le muffe dell’umidità e i gatti randagi ho prurito ovunque”. “Pensavano di
trovare l’America qui. Hanno trovato solo la merda”, dice un altro Muhammad, suo connazionale. Poi se ne va brontolando: “appena posso me ne torno al mio paese”. Ma con la crisi c’è chi ha già cominciato a fare ritorno a casa. Parola di Ahmed el Raiduni, imam di Fermignano. Marocchino, operaio metalmeccanico con due figlie piccole, Ahmed ha deciso di farsi portavoce e punto di riferimento per la sua comunità, “perché ce n’era un forte bisogno – spiega – e spesso il co-
mune ci chiama per chiederci aiuto su molte questioni, come gli affitti non pagati da parte dagli stranieri: un problema che sta aumentando, perché sempre più gente perde il lavoro”. Tuttavia, “da quando è nato il centro di cultura islamica sei anni fa – continua Ahmed – alcune cose sono migliorate, perché anche noi aiutiamo a controllare la nostra comunità”. I rapporti con le istituzioni sono buoni, ma il comune non dà nessun aiuto economico al centro. “L’anno scorso – racconta Ah-
med – abbiamo organizzato la festa del Ramadan al Palazzetto dello Sport. C’era gente da tutta la provincia, ma era tutto a nostre spese”. Anche per Ahmed, comunicare con gli italiani oltre i rapporti formali, rimane un problema. “Una volta uno, indicando il mio vestito, mi chiese perché noi musulmani portiamo la gonna. ‘Anche Cristo la portava’, ho risposto io. Poi mi ha guardato e mi ha detto che non ci aveva mai pensato”.
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Ministero assente, integrazione improvvisata
Nelle scuole tanti colori C
ontano in tutte le lingue del mondo i bambini dell’Istituto comprensivo Giovanni Pascoli. Così hanno scritto su un cartellone nel corridoio della sede centrale a Santa Lucia. Ma dalle urla e dalle risate non si riconoscono accenti stranieri, solo il tono di spensieratezza. La presenza di bambini stranieri cresce e in alcune classi di Trasanni e Gallo il numero degli immigrati supera quello degli italiani. La scuola non può considerare l’integrazione un valore aggiunto, ma il perno sul quale organizzare l’offerta formativa. Parla di “contenitore di mediazione” la dirigente scolastica del Pascoli, Daniela Tittarelli. Spiega che spesso i bambini arrivano nelle classi senza conoscere l’italiano. A volte frequentano per qualche mese e poi tornano nei paesi di provenienza. Ora è preoccupata dall’arrivo di un bambino marocchino sordomuto che non ha mai usato il linguaggio dei segni italiano. “La figura di mediatore interculturale non è definita e riconosciuta dal Ministero dell’istruzione”, spiega l’educatrice Paola Massaro, “contiamo sugli assistenti linguistici”. Come Sufian. È arrivato dal Marocco quando aveva tre anni e ora a venticinque, dopo una laurea in
lingue, insegna l’italiano ai bambini immigrati. Il bilinguismo di Sufian è un caso isolato in Urbino. Un’anomalia positiva che le scuole cercano di potenziare, dato che gli altri assistenti sono italiani. Oltre l’ora settimanale di italiano, le scuole si servono di due mediatori, uno referente per le lingue slave e uno per l’arabo. Ruolo centrale è quello degli insegnanti che seguono gli aggiornamenti sulle metodologie pedagogiche a riguardo. “Manca la visione articolata perché finora si è risposto a un’emergenza”, dice Paola Massaro. Ora il fenomeno è stabile: educatori e Comune ne sono consapevoli e intervengono con programmazioni organiche. Partono i primi corsi universitari, soprattutto nelle facoltà di psicologia, sociologia e scienze della formazione. Però, non si è ancora auto-definita la figura del mediatore culturale, come è successo in regioni come l’Emilia Romagna e il Lazio. E si aspetta che i Ministero si pronunci. Malgrado il vuoto istituzionale, si può comunque parlare di integrazione nelle classi. I bambini immigrati vedono in Sufian uno di loro, “uno che ce l’ha fatta”. Ma bisogna fare dell’eccezione una regola. (c.z.)
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il Ducato
Comincia il viaggio del Ducato verso le elezioni amministrative del 6-7 giugno
Parte la danza delle alleanze Almeno 2 candidati contro Corbucci. Udc e Rifondazione corteggiano il Pd. Il Pdl fra Bonelli e Fraternale GIORGIO BERNARDINI
L’
occhiolino, il dialogo, l’alleanza. Il dissapore, lo scontro, la separazione. Il vocabolario della politica urbinate si aggiorna e si colora in vista della competizione di giugno. I partiti lustrano le armi, senza esibirle. Appare chiaro sin da ora che i contendenti di Franco Corbucci saranno almeno due. Il sindaco punta infatti alla seconda legislatura e la sua candidatura è l’unico dato certo a tre mesi dalle elezioni. Intorno a lui confusione e trambusto. Il Ducato comincia un viaggio verso le elezioni. Il quadro degli assetti politici cittadini è un mosaico di difficile composizione. Giocano un ruolo importante le convivenze complicate dell’ultima legislatura e le metamorfosi dei partiti a livello nazionale. Alle ultime elezioni aveva stravinto la coalizione di centrosinistra. Da Rifondazione all’Udeur, la squadra guidata da Corbucci aveva sfiorato il 70 % dei consensi. Ma la quiete è durata poco, lasciando spazio ad una tempesta che ha scompigliato le carte. Così il Pd si è trovato ad attraversare la strada, guardando bene a destra e a sinistra. “Siamo pronti a dialogare con tutti i possibili interlocutori - ha spiegato il coordinatore del Pd Lorenzo Ceccarini – l’importante è rapportarsi con chi è radicato nel territorio. Sarebbe interessante valutare alleanze diverse”. Il condizionale è d’obbligo, anche per il Pd. L’unico sodalizio che pare certo è quello stretto con l’Italia dei valori. Una novità per Urbino, dove il partito dipietrista è nato qualche mese fa ed ha subito mostrato intesa con la fazione democratica. Sono in molti a chiedersi che cosa farà il Pd, visto che la sua volontà di allearsi sia con Rifondazione che con l’Udc cozza con il veto incrociato dei due partiti. “Con noi o con loro” dicono da sinistra e dal centro. “Oramai sono superati i periodi della contrapposizione ideologica – ha spiegato il coordinatore locale dell’Udc Domenico Campogiani – e facciamo appello al Pd affinché si possa dar vita ad un’alleanza di governo della città”. L’asse riformista Udc-Pd sembra essere la prospettiva più probabile. Se non altro per la grande frattura interna al Partito della Rifondazione comunista, divisa in due anime numericamente speculari sulla continuazione del rapporto con la maggiornaza. E se a decidere sarà l’assemblea degli iscritti nelle prossime ore, i cugini del Pdci hanno già intrapreso una strada autonoma, sentenziando ufficialmente di non voler appoggiare Corbucci. E’ possibile che i due partiti comunisti si ritrovino sotto le insegne di falce e martello, ed assieme alla Sinistra
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democratica e ai Socialisti presentino una lista unica della sinistra. Per la candidatura a sindaco circolano tra gli altri i nomi della consigliera comunale Claudia Pandolfi e dell’ex assessore esautorato Antonio Santini. Con tutta probabilità nella tornata elettorale di giugno non si presenteranno liste civiche. Compatto il Pdl, indeciso sul nome da candidare nella battaglia per la conquista di via Pucinotti. “Il problema di Urbino è quello del risveglio delle coscienze – ha spiegato il coordinatore azzurro Wilmer Zanghirati - lavoriamo da mesi per dare un messaggio alle nuove generazioni. Non ci dispiacerebbe – ha aggiunto – dialogare con l’Udc: siamo in attesa da mesi di un accordo regionale”. Nel partito di destra c’è fermento: per la poltrona di sindaco circolano con insistenza i nomi di Leonardo Fraternale ed Alfredo Bonelli, oltre a quello dello stesso Zanghirati. Non si presenterà alle prossime elezioni il professor Augusto Calzini, protagonista significativo dell’opposizione nel corso degli ultimi 5 anni.
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La mappa del Consiglio comunale Liste Voti % Seggi Con i giovani per il domani
355
3,69
0
Verdi
435
4,52
1
Socialisti Democr. Italiani
513
5,34
1
3.663
38,10
9
Rifondazione comunista
751
7,81
2
Forza Italia
881
9,16
1
Margherita
1.416
14,73
3
Urbino che cambia - S.D.
297
3,09
0
U.D.C
486
5,06
1
Comunisti italiani
202
2,10
0
Alleanza nazionale
495
5,15
1
U.D.E.U.R.
120
1,25
0
9.614
=
19*
Democratici di sinistra
TOTALE VOTI VALIDI
* Oltre a un seggio assegnato al candidato sindaco non eletto Augusto Calzini
A Canavaccio 12 nuovi alloggi. I residenti: “Chi ci andrà?”
Edilizia popolare, è polemica comunale approvi i nuovi punteggi che non dovrebbero stravolgere la situazione. Con la legge 36 del 2005, che viene recepita in questi giorni da Urbino, la Regione ha concesso maggiore libertà ai Comuni. Per partecipare al bando biennale per l’accesso alle case popolari, la famiglie devono rientrare in categorie di requisiti soggettivi, che riguardano la persona e la famiglia (reddito, presenza
i quali risiedono da più tempo nel territorio”. Tuttavia, Urbino 2 - complesso pensato e costruito da privati che intendevano vendere o affittare miniappartan nuovo complesso di case popomenti agli studenti - comprende ben 200 lari per dodici famiglie nella fraalloggi. A Urbino, si è sempre programzione di Canavaccio. È il progetto, mato distribuendo le case popolari a in attesa delle necessarie verifiche tecnimacchia di leopardo. Questi gli ultimi inche, presentato per Urbino a dicembre terventi: sei alloggi costruiti a Schieti nel dall’Erap, l’istituto case popolari, pro1988; cinque a Pieve di Cagna nel 1991 e prio mentre si discutono in Consiglio coquattro in centro storico nello munale le nuove graduatorie stesso anno. E ora, rientrato orper l’accesso agli appartamenmai un maxi-progetto che preti. Se passeranno l’esame dei vedeva case per 52 famiglie a tecnici, le case popolari sorgeVilla Maria a causa dei costi ecranno su un terreno di propriecessivi, forse arriveranno gli altà del Comune destinato già dal tri dodici alloggi dell’Erap. 2005 come peep (piano per in“Si credeva che una decina di sediamento per alloggi di ediliappartamenti in una frazione a zia popolare) dal piano regolagrande sviluppo potessero avetore. Adesso, in fila ad aspettare re una giustificazione” si è difeun tetto ci sono quarantuno faso il sindaco di Urbino Franco miglie, solo dieci delle quali itaCorbucci. E ha poi rilanciato: liane. “Pensiamo a una Canavaccio “Canavaccio è una scelta sbadinamica legata alla zona indugliata - sostiene Massimo Spastriale e artigianale”. Canavaclacci, assessore ai Servizi Educio conta più di mille abitanti. È cativi di Urbino e residente nelin una posizione strategica, tra la frazione - così si comprometUrbino, Fermignano e Fossomte l’integrazione creando un Il complesso limitrofo all’area indicata dal Comune brone. Per la frazione sono già ghetto di extracomunitari”. Ma di portatori di handicap, anzianità) e ogstate approvate una nuova scuola materi numeri ridimensionano questa preocgettivi, relativi cioè all’alloggio in cui si na e una nuova strada. Ma gli abitanti cupazione. Infatti, accanto all’area preabita (per esempio anti-igienico o inadechiedono un confronto con il sindaco scelta c’è già un edificio di edilizia popoguato al numero di familiari). Stabilire i Corbucci: “Non vogliamo le case popolalare costruito nel 1985, che ospita diciotrequisiti è rimasto di competenza della ri perché si riempirebbero di extracomuto famiglie: dodici italiane e sei straniere. Regione, ma i Comuni possono ora assonitari”, protesta un’abitante. Ma c’è anSecondo i conteggi effettuati con le graciare alle categorie di requisiti i punteggi che chi la pensa diversamente, come il duatorie attuali andrebbero ad abitare che ritengono più adatti alla propria tabaccaio di via Nazionale, a pochi passi nel nuovo complesso tre famiglie italiarealtà sociale e territoriale. dall’area in cui potrebbe vedere la luce il ne sulle dodici complessive. Quindi, Lucia Ciampi (Pdl), dice di temere una complesso: “Se viene costruito si vede sommando vecchio ed eventuale nuovo, nuova Urbino 2 e specifica: “Servono due che qualcuno ne ha bisogno”. la presenza tra italiani e stranieri sarebgraduatorie differenti per favorire coloro
[email protected] be bilanciata, in attesa che il Consiglio
LORENZO ALLEGRINI
U
CITTÀ
Al canile di Ca’ Lucio 360 arrivi nel 2008. Legambiente: “Serve maggiore prevenzione”
Ogni giorno un randagio in più Le adozioni non bastano. Allo studio un servizio per controllare l’uso del microchip che identifica il cane SIMONE CELLI
U
n cane al giorno. I casi di abbandono nei ventin ov e c o m u n i convenzionati con il canile multizonale “Ca’ Lucio” sono in netta crescita. Nonostante l’impegno di animalisti e ambientalisti. E nonostante le nuove norme varate per arginare la piaga del randagismo. Solo nel 2008, il rifugio gestito da Legambiente per conto della Comunità montana dell’alto e medio Metauro ha registrato l’arrivo di 360 nuovi esemplari. Un cane al giorno, appunto. Ottantasei in più rispetto all’anno precedente. E il 2009 non promette meglio: a oggi, gli ingressi sono già 43. Ma per spiegare il fenomeno si deve considerare più la qualità che la quantità dei cani accolti: setter, pointer, bretton, segugi. Tutte razze solitamente adibite alla caccia o alla ricerca del tartufo. I cani da appartamento? Uno su cento, a detta di chi il canile lo gestisce sin dal 2001, anno del trasferimento a Ca’ Lucio. Nella zona non preoccupa l’abbandono estivo, ma quello “da lavoro”. I cani vengono messi alla porta perché non più adatti allo svolgimento delle funzioni a cui i loro proprietari li avevano destinati. Alcuni arrivano in condizioni disperate. Bianchina è un setter di otto anni. Qualcuno ha
pensato di farla fuori con un colpo di fucile diretto al muso, a distanza ravvicinata. Ma in qualche modo è scappata, e alla fine è stata soccorsa. Ora ha perso metà di quel muso. E’ viva, ma nessuno la vuole. Lo stesso vale per Trudy, meticcio di un anno e mezzo, che in seguito a un incidente ha subito un intervento che lo ha lasciato con una strana inclinazione del collo. Liuba ha passato il suo stesso calvario ma ora, quando cammina, tende a girare su se stessa. Cani in cerca di una casa, ma ostacolati dalla loro diversità. Come Brodo, che a Ca’ Lucio c’è arrivato tre anni fa con un orecchio tranciato: il suo tatuaggio di riconoscimento era proprio lì. Eppure le norme in vigore sarebbero state pensate per troncare il problema alla radice. L’ultima risale all’agosto scorso, quando il ministero della Salute ha emesso un’ordinanza che uniforma la legislazione in materia, rendendo effettivamente obbligatoria la registrazione dei cani mediante l’applicazione di un microchip sottocutaneo. Uno strumento che permette di associare l’animale al suo padrone, e che dovrebbe rendere impossibile l’ipotesi di abbandono. Perché in caso di ritrovamento il cane verrebbe riconsegnato al mittente, costringendo il proprietario a pagare una multa. Ma molti dei quadrupedi che arrivano a Ca’ Lucio sono “figli di nessuno”, perché sprovvisti
Sopra, tre ospiti del canile di Ca’ Lucio. A lato, il canile visto dall’esterno. Dall’inizio del 2009, nella struttura sono arrivati 43 nuovi cani
del chip. Per Alessandro Bolognini, presidente di Legambiente Urbino, “ci si sente autorizzati ad abbandonare perché non si ha il timore di essere controllati”. Manca un piano operativo di prevenzione e di controllo capillare del territorio, soprattutto nelle aree di campagna. L’impegno delle guardie zoofile volontarie e la politica dell’intervento “a chiamata” non possono bastare. Lo dimostrano i numeri di Ca’ Lucio, che oltre ai tanti ingressi registra anche il risultato positivo delle partenze: ben 44 adozioni dall’inizio dell’anno. Ma con i suoi
290 inquilini, il canile è pur sempre al completo, nonostante i nuovi spazi conquistati con i lavori di ampliamento dello scorso anno. E febbraio è proprio uno dei mesi più critici: con la fine della stagione venatoria, molti cacciatori fanno i loro conti, lasciando al loro destino i cani disobbedienti e quelli che sono ormai fuori dai giochi. Secondo Andrea Gresta di Legambiente, in questa fase arrivano quattro o cinque esemplari al giorno, contro la media di un paio alla settimana che si riscontra nel resto dell’anno. Allora che fare? Secondo Le-
gambiente, una migliore prevenzione farebbe risparmiare anche i Comuni, che per legge devono provvedere al mantenimento di ogni cane trovato sul proprio territorio. Fino all’eventuale adozione, di fatto tutt’altro che facile. Buone notizie arrivano dalla Polizia Locale Associata "Alto e Medio Metauro". Il vicecomandante Carlo Brizio ha annunciato che è allo studio un servizio di controllo a tappeto del territorio che potrebbe essere attivato entro l’estate. E chissà che il passaparola non faccia il resto.
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il Ducato
Voglia di settimana bianca: gli appassionati non rinunciano a una sciata
L’inverno non gela il turismo Catria, Nerone e Carpegna le montagne frequentate dagli urbinati. Ma c’è chi preferisce mete più lontane BRUNELLA DI MARTINO
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empo di crisi. Non per gli impianti sciistici della provincia di Pesaro-Urbino però. Gli appassionati dello sci non rinunciano infatti ad un weekend bianco sulle piste dell’Appennino marchigiano. Ma dove vanno a sciare gli urbinati? Per quelli che non amano grossi spostamenti e preferiscono restare in zona, le mete preferite sono Monte Catria, Monte Nerone e l’Eremo di Monte Carpegna, tutte distanti una trentina di km dalla città ducale. Monte Catria, la montagna resa sacra da Dante Alighieri nel XXI canto del Paradiso della Divina Commedia e sulla cui vetta il poeta fu esule-ospite per qualche tempo, ha riaperto i propri impianti solo un mese fa, dopo un periodo di inattività durato quasi 20 anni. “La ricostruzione della cestovia – spiega Francesco Cangiotti ,responsabile degli impianti sciistici - ha reso agibili queste piste in disuso ormai da troppo tempo. Siamo molto soddisfatti: in media a settimana ci sono sempre circa un centinaio di persone, mentre nel weekend gli sciatori sono circa 1.500”. Gioisce anche Fabrizia Luchetti, responsabile degli impianti sciistici di Monte Nerone. “C’è più gente dell’anno scorso. Non possiamo lamentarci”. E dello stesso parere sono anche i responsabili degli impianti di Monte Carpegna. Giorgio Parlanti, istruttore di sci da oltre 30 anni, è più che mai entusiasta per il gran numero di appassionati che continuano a frequentare la sua scuola. “Abbiamo avuto una stagione favolosa con molta più neve rispetto allo scorso anno e il doppio di presenze: abbiamo registrato picchi di oltre 4.000 persone in un giorno. Siamo positivamente sorpresi. La crisi? Fortunatamente non l’abbiamo avvertita. La gente, che non ha la stessa disponibilità economica del passato, cerca magari di limitare le proprie spese per le attrezzature”. L’ottima efficienza degli im-
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pianti sciistici locali è sicuramente una delle ragioni per cui i turisti, locali e stranieri, continuano a scegliere le vette marchigiane. Ma quanti di questi sciatori sono urbinati? “Dagli skipass – aggiunge il maestro di sci - deduciamo che pochi sono di Urbino: la maggior parte arrivano da Fano e da Pesaro”. Gli urbinati dunque sono poco sciatori? Chi ha tempo e soldi spesso sceglie mete più lontane, come Trentino e Val d’Aosta. Le agenzie di viaggio confermano questa tendenza. Per quelli a cui non pesa fare un po’ più di strada, rimanendo tuttavia nelle Marche, ci sono anche i Monti Sibillini, a circa 100 km da Urbino. Ma quanto costa una giornata sugli sci? In media il prezzo di uno skipass giornaliero è di circa 20 euro per un adulto e 15 euro per un bambino. Costo che diminuisce proporzionalmente all’aumentare dei giorni di permanenza. Cifre tutto sommato sostenibili per chi non può fare a meno dell’ebbrezza di scendere a gran velocità tra l’aria pura delle vette appenniniche, senza allontanarsi troppo da casa.
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Nonostante la crisi economica gli urbinati non hanno rinunciato a qualche giorno sulla neve
Da aprile le detrazioni sulle bollette per le famiglie più povere
Ora sconti anche sull’elettricità FEDERICO DELL’AQUILA
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no sconto sulla bolletta dell’energia elettrica. È uno dei modi in cui il comune di Urbino cerca di aiutare i cittadini più bisognosi. Per la verità questa iniziativa dà attuazione al decreto del ministero dello Sviluppo economico del 28 dicembre 2007. Disposizione che prevede un aiuto per le famiglie più povere con ISEE (indicatore che tiene conto di reddito, patrimonio, mobiliare e immobiliare, e delle caratteristiche di un nucleo familiare) inferiore a 7.500 euro e per quelle che hanno in casa un malato che richieda l’uso di apparecchiature terapeutiche ad energia elettrica necessarie per l’ali-
mentazione ed il mantenimento in vita. L’ammontare del contributo varia a seconda del numero dei componenti del nucleo familiare: spetteranno 60 euro alle famiglie composte da una o due persone, 78 per quelle di tre o quattro, 135 per quelle composte da più di quattro persone. Il contributo è invece fisso, di 150 euro, per le famiglie che hanno un malato in casa. Entro il 31 marzo 2009 si potrà fare richiesta all’ufficio Servizi Sociali del comune per usufruire delle compensazioni relative all’anno 2008 che saranno detratte dalle bollette che arriveranno dal primo aprile 2009 in poi. Compensazioni sono previste anche per il 2009. Ma dal 2010 nemmeno il comune
sa cosa succederà. “Non sappiamo nulla” ha detto l’assistente sociale Francesca Accardi dell’ufficio Servizi Sociali del comune. E poi, chi pagherà le compensazioni di cui usufruiranno i cittadini all’azienda fornitrice dell’energia elettrica? Neanche su questo, finora, “il comune ha ricevuto comunicazioni” ha continuato la Accardi che non ha saputo fare una stima delle famiglie urbinati che potranno usufruire di questo sconto. “Ma – ha detto - penso che saranno parecchie visto che sono già tantissime quelle che rientrano nelle agevolazioni sui trasporti pubblici per gli studenti non universitari per le quali il tetto ISEE è fissato a 5.600 euro”.
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ECONOMIA
Non mancano i clienti al Monte e in via Calgari
Il mercatino muore? No, è vivo e rilancia Il mercato che si tiene ogni martedi in via Calgari
LUCA ROSSI u p a l t i Ma u r i z i o, funghi e tartufi. Il cartello davanti al banchetto di piazza delle Erbe si staglia nella foschia mattutina. Dietro, un signore di 52 anni, proprietario di un’azienda agricola di Urbania, sconsolato. “Non si lavora più. Io sono tra i più giovani a svolgere quest’attività, ma fra poco non ci sarà più nessuno”. A pochi metri da lui, sulla sinistra, un anziano signore di Schieti, Nefando Annibali, da anni produttore di miele. “Sono in pensione ma vado avanti”. Il più ottimista è Francesco Maria Lazzari, 49 anni, in tuta da macellaio, una vita tra i mercati del Montefeltro a vendere porchetta: “Il problema di questo mercato di Urbino è la sua collocazione. Ci hanno messo sotto le logge da quando hanno rifatto piazza delle Erbe e la gente non si accorge più di noi”. È da più di due anni che i produttori agricoli di Urbino e dintorni non se la passano bene. La crisi sta ulteriormente peggiorando la situazione, rendendo quasi automatica l’esclusione dei prodotti di qualità dal listino della spesa. Nonostante il fatto che i prezzi, pur superiori rispetto alla grande distribuzione, siano in linea con quelli dei negozi di prodotti tipici. “Il mercato a Urbino – ha dichiarato Mario Pellegrini, responsabile dell’ufficio della polizia amministrativa di Urbino – tiene benissimo. Ci sono alcuni problemi con i produttori agricoli, ma la colpa non è del Comune: nel 2007 abbiamo finanziato, grazie alla regione Marche e alla Cia (Confederazione italiana agricoltori), il progetto di un mercato di giovedì mattina in piazza delle Erbe dedicato esclusivamente ai produttori agricoli. Purtroppo il modello, basato sull’idea di un rapporto diretto tra produttore e consumatore, non ha avuto successo”. I mercati generalisti, che oltre a frutta, verdura, carne e pesce vendono accessori per la casa e abbigliamento, sembra invece che continuino a funzionare. “Sia il mercato del sabato al Monte, che quello di martedì in via Calgari - continua Pellegrini - sono frequentatissimi e vi sono parecchi venditori in attesa che si presentano per approfittare dell’eventuale assenza di un collega ambulante”. Gli stessi mercatini di antiquariato, modernariato e artigianato (che riprendono domenica prossima, e si svolgono tutte le prime domeniche del mese nel centro storico), hanno buoni risultati.
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In via Calgari, vicino al campo sportivo, il mercato del martedì è piuttosto affollato. Alimentari, abbigliamento e fiori in una stradina piena di fango e terra. “Stamane – esclama Daniela Serafini, titolare di un banco di frutta e verdura - abbiamo chiamato i vigili. E’ sempre un pantano qui. Ma gli affari non vanno male, la gente si accorge che i nostri prodotti sono buoni e che i prezzi sono inferiori del 30% rispetto a quelli dei negozi di ortofrutta”. “Scrivono solo
Ma i produttori agricoli fanno fatica: “Non siamo tutelati” quel che gli par” afferma un signore che, dopo qualche rimprovero, si ferma a conversare con altra gente. Le persone si fermano, osservano e parlano, gli ambulanti (la maggioranza lavora anche sabato al mercato del Monte) sono abbastanza soddisfatti degli affari: in via Calgari sembra che un vero mercato ci sia. “I mercati- afferma Yuri Kazepov, docente di politiche sociali comparate all’Università di Urbino - sono ancora possibili,
sia nelle città che nei centri più piccoli. Ci sono molti segnali di movimenti contrari alla grande distribuzione. E si nota la crescita di una classe di consumatori maturi”. La fiera quotidiana di merci e bestiame che fino alla fine degli anni sessanta riempiva Borgo Mercatale non esiste più. Ma sopravvivono in angoli e piazze della città i residui di un mercato rumoroso e vitale, interessato allo scambio tanto quanto all’acquisto.
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PRECISAZIONE Nello scorso numero del Ducato si è nominato il responsabile del progetto CAmbieRESti. Il nome esatto è Jacopo Cherchi. Per contattare il Gruppo di Acquisto contattare Francesco Serafini. Mail:
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Si fa spazio il lavoro femminile, ma comandano gli uomini
Con le donne cresce il profitto SILVIA SACCOMANNO
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scire dalla crisi economica trascinati dal gentil sesso. Forse un’utopia, ma secondo i ricercatori americani del Bobson College le donne sono più intuitive, dinamiche, innovative e flessibili. Forte di queste convinzioni, si sta diffondendo sempre più il termine “Womenomics”, una nuova corrente economica che considera il lavoro femminile la vera differenza per le dinamiche di sviluppo di un paese. A questo proposito, già nel 1999, uno studio della Goldman Sachs prevedeva una crescita annua del Pil dello 0,3 % nel caso in cui l’occupazione delle donne fosse arrivato al 70 %. Le manager sono migliori dei colleghi uomini. Il problema è che sono una minoranza, soprattutto in Italia. La nota positiva per la Provincia di Pesaro Urbino è che la partecipazione delle donne nel mondo del lavoro è aumentata sia rispetto alla media nazionale che alla regione Marche. Va subito precisato, però, che si tratta in prevalenza di lavoro flessibile e a tempo determinato. Inoltre, nonostante il tasso Istat 2007 di disoccupazione femminile sia al 4,1 % rispetto alla media italiana (8%), c’è comunque divario rispetto al tasso maschile che è del 2,6. Il problema non si pone solo in termini quantitativi. Oltre al tasso occupazionale a tutto vantaggio degli uomini (58%), le donne, quando lavorano, ricoprono mansioni più umili e la loro presenza si concentra nei livelli bassi. Anche alla politica manca il tocco femminile. Nella provincia nessuna donna ha mai ricoperto il ruolo di Presidente, né quello di sindaco di Urbino. Ad oggi, su sette assessori comunali, cinque sono uomini. L’ultimo studio della Cgil di Pesaro rivela dati poco confortanti sulla condizione lavorativa femminile. Analizzando 41 aziende della Provincia, le operaie rappresentano il 52,2 %, le impiegate il 46, le donne con qualifica di quadro lo 0,9 e le dirigenti solo lo 0,1.
Inoltre le lavoratrici con un contratto part time sono il 36,6 % del totale rispetto al 2,8 degli uomini e percepiscono in media 9.147 euro all’anno in meno dei colleghi. Viene da chiedersi come mai ci sia questa disparità.Le donne sono quasi il doppio degli uomini ai corsi di formazione. Studiano, si aggiornano, prendono voti migliori, ma alla fine non riescono a ricoprire ruoli da dirigente. Il famoso “soffitto di cristallo” che impedisce l’ascesa, l’ostacolo più grande alla scalata del gentil sesso è proprio la permanenza nel mondo del lavoro. L’impossibilità di conciliare i tempi e le esigenze personali e professionali merita attenzione. A questo proposito la Provincia ha
istituito dei programmi per agevolare il reinserimento lavorativo, migliorare le condizioni di vita, sperimentare nuovi servizi e modelli di organizzazione flessibile, offrire risposte concrete per una migliore gestione dei tempi, incoraggiare corsi di formazione e orientamento per le immigrate, bandire borse di tirocinio per far emergere e sostenere talenti, diffondere informazioni sul mondo del lavoro femminile. L’inserimento, però, deve garantire stabilità. Secondo i dati del Servizio formazione e politiche per l’occupazione della Provincia, le donne, a Urbino, trovano lavoro meglio e più degli uomini. Nel 2008 su 1.491 assunzioni, 908 sono state di
donne e 583 di uomini. In particolare nei settori alberghiero, della ristorazione, dei servizi alle imprese e informatica e dell’istruzione. Tutto vero, peccato che si tratta di numeri che potrebbero indicare sia una maggior apertura alla collaborazione femminile che una crescente precarizzazione. I dati forniti, infatti, non rappresentano persone, ma il numero di avviamenti al lavoro. Così, se una donna viene licenziata e assunta per due volte conta doppio: nelle statistiche risultano due posti in più. Dato maggiormente significativo è quello degli iscritti alle liste di mobilità. Su 114 gli uomini sono 66 mentre le donne 48. Situazione traballante per i lavoratori, ma le imprese (1.616), in questo periodo di crisi, sembrano cavarsela bene. I dati relativi al 31 dicembre 2008 sono sufficientemente confortanti con un saldo positivo rispetto all’anno precedente di 24 imprese in più. Aumentano le iniziative al femminile. La “valanga rosa” ha travolto anche le Marche piazzandole al secondo posto dopo il Lazio con un 2,01 % di crescita. Pesaro Urbino la provincia trainante. Nella Regione sono 38.612 le imprese guidate da donne, pari al 24 % del totale e secondo rilevazioni di Unioncamere lo sviluppo non è solo nelle attività più tradizionalmente femminili, ma anche in settori maschili come le costruzioni e i trasporti. Da non sottovalutare il contributo delle immigrate. Sono 1.426 le imprese extracomunitarie “rosa” nelle Marche. Donne come risorsa per uscire dalla crisi e potenziale da sfruttare. La Regione ha stanziato 900.000 euro nel 2008 per un progetto che preveda tipologie di azioni in grado di favorire il lavoro femminile. L’Italia deve ancora imparare molto. Gli altri Paesi industrializzati si stanno adeguando o lo hanno già fatto. Lo spirito con cui lanciano azioni positive è molto lontano da quello delle quote rosa italiane. L’obiettivo è solo quello di migliorare i risultati perché se comandano le donne si fanno più profitti.
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il Ducato
Parla Roberto Mantovani, ricercatore del gabinetto di Fisica
“Così vi racconto la scienza del Duca” Un progetto per riunire gli strumenti dell’epoca in un grande museo della tecnica MANUELA BALDI
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a tecnologia è nata a Urbino. Un’affermazione all’apparenza audace, ma che viene da uno studioso che per vent’anni si è dedicato interamente alla scienza nella città ducale. Roberto Mantovani è ricercatore e docente alla facoltà di Farmacia dell’università di Urbino, e curatore del museo del Gabinetto di fisica. Il suo sogno è quello di creare una galleria della scienza e della tecnica che raccolga la strumentazione che dall’Ottocento va a ritroso fino alla metà del XV secolo, epoca in cui visse Federico da Montefeltro. “Urbino è famosa per Raffaello, per la letteratura e per tante altre cose – dice - ma della scienza nessuno sa nulla. E invece essa è una parte fondante della cultura di questa città. E sono convinto che se riuscissimo a sviluppare un progetto serio, se qualcuno ci desse un sostegno, potremmo realizzare un’esposizione utilizzando unicamente la strumentazione della città ducale nei diversi secoli. Una cosa unica in Italia.”Il punto di partenza è proprio Federico, da lui nasce tutto: i primi strumenti scientifici che la storia di Urbino abbia mai registrato sono quelli raffigurati nelle tarsie dello studiolo, a palazzo ducale. La loro collocazione fra le arti liberali è il segno dell’interesse del duca per la tecnica, ma non solo. Nell’iconografia generale dello studiolo, Federico pone un’attenzione nettamente maggiore alle arti del quadrivio (aritmetica, geometria, musica e astronomia), a discapito di quelle del trivio (grammatica, retorica e dialettica). Erano queste le sette discipline ritenute fondamentali nel basso Medioevo. Gli artigiani che si imbrattavano le mani, gli uomini adibiti alla costruzione di semplici meccanismi, al tempo erano sottovalutati. Federico invece introduce nelle tarsie dello studiolo l’orologio meccanico a pesi usato per svegliare i monaci di notte per la preghiera, un semplice oggetto di uso comune, che non aveva il supporto della cultura del tempo. Federico lo mette in un ambiente altamente simbolico, accanto alle sette muse delle arti liberali. Il suo interesse per la scienza è anche testimoniato dal fatto che la sua biblioteca, la più importante del periodo insieme a quella di Oxford, era ricchissima di testi tecnologici e scientifici. Senza considerare
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che in quel periodo la cultura classica riesplode, e vengono rivalutati tutti i grandi trattati scientifici dell’antichità. “Federico – dice Mantovani – amava circondarsi delle menti più evolute del tempo, aveva scelto un famosissimo architetto dalmata, il Laurana, e quando questi andò via da Urbino venne chiamato il miglior tecnico dell’epoca, Francesco di Giorgio Martini.” Nel 1477 l’ingegnere comincia a lavorare per il ducato apportando una qualità tecnologica all’avanguardia, che si esprime soprattutto nel ramo militare. La soprintendenza ai beni culturali conferma la passione del duca verso la tecnica: essere un grande condottiero lo induce a esigere che le macchine da guerra siano le più efficaci possibile. Molte di queste sono progettate da Francesco di Giorgio Martini, che esprime il suo genio anche nel palazzo: è lui a predisporne l’impianto idraulico, uno dei più avanzati del secolo. La sua esperienza infatti comincia a Siena, dove per due secoli si scavò sotto terra per portare l’acqua alla città.
Lavorando ai cunicoli sotterranei, lui acquisisce una conoscenza tale dell’idraulica, che quando arriva a Urbino trasforma la città e la fa diventare la più moderna da quel punto di vista. “Prima di Federico c’è il vuoto - dice il ricercatore - e dopo di lui una leggera flessione”. Insomma il ‘400 urbinate non è solo pittura, e c’è qualcuno che vorrebbe farlo sapere a tutti. Anche le scuole della città hanno un patrimonio scientifico importante, una vasta strumentazione che sarebbe bene condividere con la comunità. Al liceo Laurana la professoressa Maria Simondi ricorda che a via Raffaello, nella sede del liceo pedagogico, c’è tutta una serie di strumenti ottocenteschi che non vengono valorizzati. Lasciati in una stanza quasi sempre serrata, che dovrebbe essere una “sala espositiva”, invecchiano nell’umidità. Se un giorno si coniugasse il lavoro e il patrimonio del gabinetto di fisica con quello delle scuole, si otterrebbe un museo da far invidia in Europa.
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Ma le idee non trovano spazi EMILIANA PONTECORVO
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u questa la casa dei Barocci che nel secolo XVI diede Federico celebre pittore Gio.Battista Gio.Maria e Simone artefici inventori di macchine e strumenti matematici”. L’iscrizione sulla lapide affissa al numero 18 di via Barocci parla chiaro: è questo l’indirizzo dove nasce l’antica storia degli strumenti scientifici di Urbino. In una delle stradine che si diramano dal centro della città, nella casa dove nacque Simone Barocci, fondatore, nella prima metà del 1500, dell’Officina degli strumenti scientifici. Questa lunga tradizione, in cui si fondono conoscenze matematiche e abilità artigianali, è stata minuziosamente ricostruita dai ricercatori del Gabinetto di Fisica dell’università di Urbino, guidati da Roberto Mantovani. A partire dal 1986, i fisici dell’università ducale hanno catalogato e raccolto in un museo oltre seicento strumenti scientifici, databili tra la seconda metà del XVIII e i primi anni del XX secolo. I pezzi, tra cui alcuni esemplari unici, saranno esposti in una nuova sala del collegio Raffaello, che sarà inaugurata tra due mesi. Per il momento, a causa della carenza di spazi e finanziamenti, il Gabinetto di fisica ha dovuto rinunciare al suo ambizioso progetto: la creazione di un unico grande museo della tecnica e della scienza che raccolga la strumentazione scientifica di Urbino, dal ‘400 all’ 800. Non è la prima volta che l’équipe di Mantovani, nonostante le numerose ricerche e i riconoscimenti internazionali ottenuti, è costretta ad abbandonare i propri proget ti. Ultimo fra tutti, la realizzazione della prima ri-
costruzione virtuale, multimediale e interattiva dello studiolo di Federico da Montefeltro. Per il momento, infatti, è possibile ammirare solo il video relativo al progetto, proiettato a ciclo continuo all’ingresso della mostra dedicata al duca Federico da Montefeltro, in corso presso il collegio Raffaello, fino al prossimo 15 marzo. L’esposizione propone anche la fedele ricostruzione materiale degli strumenti scientifici raffigurati nelle tarsie dello studiolo del Duca: l’orologio meccanico a pesi, l’astrolabio, il mazzocchio e la sfera armillare. Tutti gli oggetti sono stati costruiti da abili artigiani, in base alle indicazioni dei ricercatori del Gabinetto di fisica. “La ricostruzione più complicata – spiega Mantovani - è stata quella dell’orologio meccanico. Io e il costruttore abbiamo impiegato un anno per riprodurre il dispositivo meccanico della suoneria”. L’astrolabio, invece, è stato creato sulla base di un modello custodito in un museo francese e rubato nell’estate del 1977. La mostra propone anche un ricostruzione tridimensionale in cera di Federico da Montefeltro e dell’armatura sfoggiata dal Duca nel dipinto della Pala di Brera. Tra le ambizioni di Mantovani e dei suoi collaboratori, vi è anche quella di insegnare la fisica nelle scuole superiori utilizzando gli antichi strumenti scientifici di cui è dotata l’università. “Se si storicizza una formula matematica – spiega Mantovani - dimostrando che è frutto di un pluriennale dibattito scientifico, di cui gli strumenti tecnici sono una parte fondamentale, si compie un lavoro culturale di enorme spessore: riportare a galla il travaglio da cui la scienza produce le sue leggi”.
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CULTURA Novità dalla mostra
Resurrezione: il Brasile non la molla MICHELE MASTRANGELO
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Al centro, un primo piano della riproduzione in cera del duca Federico da Montefeltro. A sinistra, Roberto Mantovani mostra alcuni pezzi storici del Gabinetto di fisica. A destra, i dettagli degli strumenti raffigurati nelle tarsie dello studiolo e la loro ricostruzione: dall'alto, l'astrolabio, il mazzocchio, l'orologio meccanico e la sfera armillare.
a Resurrezione di Cristo potrebbe restare a casa, in Brasile. Sembra che ci siano poche possibilità infatti di inserire il quadro, attribuito a Raffaello Sanzio, alla mostra dedicata al pittore urbinate. La stessa curatrice dell’evento, Lorenza Mochi Onori, ammette che sono scarse le speranze di poter ammirare l’opera a Palazzo Ducale: il quadro probabilmente resterà dov’è, esposto al museo d’arte di San Paolo, in Brasile. Nell’incertezza La Resurrezione di Cristo non è stata mai inclusa tra le opere presenti in catalogo. Questa accortezza potrebbe far pensare ad una resa: ma il lavoro diplomatico è stato tanto, e si spera non invano. Le difficoltà di trasporto hanno spinto i brasiliani a dire no alla mostra di Urbino: il lungo viaggio per riportare il dipinto in Italia potrebbe danneggiare gravemente l’opera. Anche il nostro ministero degli Esteri è così intervenuto nella negoziazione tra il museo di San Paolo e gli organizzatori della mostra. Eppure non ci sono notizie certe. E, a giudizio della Mochi, ci sarà da aspettarle fino all’ultimo. Peccato, perché il quadro è interessante per sviluppare la tesi centrale della mostra, cioè il rapporto stretto tra Raffaello e la sua città natale. Sono molte le attinenze tra La Resurrezione di Cristo e la Cappella Tiranni di Cagli, l’ultima opera di Giovanni Santi, padre e primo maestro di Raffaello. Sarebbe questa la prova del passaggio tra la cultura di Santi e quella di suo figlio: del resto è il giovane Sanzio ad ereditare la bottega del Santi, nei primi del ‘500. La mostra mira a ricostruire nelle opere gli anni giovanili di Raffello, anni troppo spesso trascurati dalla storiografia classica. A cominciare dalla mostra allestita a Londra nel 2004 sull’infanzia del pittore, l’importanza di Urbino per la formazione di Raffello è sempre più all’attenzione degli studiosi. “Stiamo facendo un grande lavoro per la mostra”, ha dichiarato la curatrice Lorenza Mochi: “Spero che la città ci appoggi e si stringa di fronte a questa manifestazione, aiutandoci a portarla avanti al meglio, al di là di qualsiasi polemica”. Tornando al quadro, l’opera è stata inizialmente venduta al museo brasiliano e attribuita a Mariano di Ser Austerio, pittore allievo del Perugino. Ma da parecchi anni i critici si sono convinti che dietro La Resurrezione di Cristo si celi l’ingegno del pittore ducale. La mostra Raffello ed Urbino si terrà nel Salone del Trono e nelle sale dell’appartamento della Duchessa, dal 4 aprile fino a metà luglio. Il tempo stringe: tra i venti dipinti accreditati fin d’ora difficilmente ci sarà il quadro brasiliano.
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il Ducato
La Trilogia della villeggiatura sul palco del Sanzio
Il Goldoni di Servillo Una commedia settecentesca sulla malinconia dei borghesi in vacanza che se rappresentò Le smanie per la villeggiatura, Le avventure della villeggiatura e Il ritorno e smanie, le dalla villeggiatura in tre avventure e la momenti diversi, affermalinconia di mò che ciascuna delle tre quattro giovapoteva essere messa in ni borghesi scena da sola ma allo salgono sul stesso tempo unirsi perpalcoscenico del teatro fettamente in un’unica Sanzio. opera. A raccontarle è l’attore e Sotto la conduzione di regista Toni Servillo con Servillo si ha un’analisi la commedia goldoniana dei personaggi e del loro “Trilogia della villeggiamondo e viene conservatura” che sarà in scena il 3 ta, come ha affermato lo e 4 marzo a Urbino dopo stesso regista, “la musiaver ricevuto il Premio calità della lingua non Ubu, l’oscar del teatro, tradotta in un orrido lincome miglior spettacolo guaggio televisivo”. del 2008. È attraverso questo imUno spettacolo che è in pianto che si svolge la tournee in Italia e in Eustoria di alcuni borghesi ropa da novembre scorso che nel settecento lo e che arriva nella città urstesso Goldoni definiva binate dopo essere stato come “un rango civile, per tredici serate sul palnon nobile e non ricco” coscenico del teatro Cache si dimostra ridicolo rignano di Torino e che il in quanto ha l’ambizione prossimo luglio finirà il di rivaleggiare con la vita suo tour al Lincoln Cenagiata e sfarzosa condotter Festival di New York. ta dai nobili. Toni Servillo, dopo i sucA vestire i panni della cessi ottenuti lo scorso borghesia settecentesca anno sul grande schermo in questa commedia golcon i film Il Divo di Paolo doniana di Servillo ci soSorrentino e Gomorra di no giovani interpreti al Matteo Garrone, torna loro primo debutto insiesul palcoscenico e lo fa, me ad attori di teatro e per la prima volta nella del grande schermo. E’ Toni Servillo in una scena della commedia goldoniana sua carriera teatrale, con così che a Paolo Graziosi un opera scritta nel 1761 e a Gigio Morra, che hanIn alto a destra, Lynne Arriale al pianoforte dal drammaturgo e scritno già lavorato con Toni 1954 al piccolo di Milano riscuotentore veneziano Carlo Goldoni. Il regiServillo rispettivamente ne Il Divo e do un grande successo, Toni Servillo sta ha detto che lo ha conquistato in Gomorra, il regista affida il ruolo ha deciso di riunire in un unico spetl’assoluta orignalità e architettura dei due uomini più anziani: quello di tacolo le tre commedie che componteatrale di questa opera. Filippo, il cittadino vecchio e cordiagono questa trilogia goldoniana e servillo, partendo dall’adattamento le, e di Fulgenzio, l’attempato amico che parlano dei frenetici preparativi che Giorgio Strehler fece di questo di Filippo. Toni Servillo, invece, riveper la vacanza, delle avventure che spettacolo, e lavorando con gli attoste il ruolo di Ferdinando, un persovivono i personaggi durante la loro ri della compagnia dei Teatri Uniti e naggio che vive alle spalle dei villegvilleggiatura e poi del dolore che doin collaborazione del teatro Piccolo gianti, “una specie di cozza che racvranno affrontare di fronte alle condi Milano, dà vita a uno spettacolo in coglie tutto ciò che c’è di inquinante seguenze di ciò che è accaduto e delcui si intrecciano le attese, le deluintorno”come lo definisce lo stesso la malinconia per il ritorno dalle vasioni, le speranze, i conflitti e l’infeliregista e attore napoletano o di canze. cità di quattro giovani borghesi. “scrocco” per dirla alla maniera di Un’unità già intravista dall’autore Così come fece Strehler, che portò in Carlo Goldoni. originario delle tre opere il quale, anscena questo stesso spettacolo nel
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GIULIA AGOSTINELLI
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Cinema IAGO Cinema Ducale dal 27 febraio al 5 marzo Feriali: 20.00/22.00 Festivi 16.00/18.00 20.00/22.00 Liberamente ispirato all'"Otello" di Shakespeare. Il personaggio di Iago (Nicolas Vaporidis) diventa il vero protagonista di una storia ambientata nella Facoltà di Architettura di Venezia ai
nostri giorni. Iago è un laureando di grande talento ma di umili natali, circondato da aristocratici, tra cui spicca Otello, figlio di un architetto di fama mondiale, e amico del Rettore. Tra i due nascerà una rivalità. L’ONDA Cinema Ducale dal 27 febbraio al 5 marzo feriali 20.30/22.30 festivi 16.30/18.30/20.30/22.30
Intervista alla jazzista Arriale
“La musica per me è amore”
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o iniziato a studiare jazz a 25 anni, dopo una strana esperienza. Stavo camminando per strada, ricordo che era una giornata serena, quando a un certo punto ho sentito dentro di me questa frase: dovresti iniziare a studiare la musica jazz”. È cominciata così la passione di Lynne Arriale, artista americana nata nella città di Milwaukee nel Wisconsin, per questo genere musicale che l’ha resa famosa negli Stati Uniti e che sabato 14 febbraio l’ha fatta salire sul palco del teatro Sanzio in occasione della rassegna “Jazz in provincia”. Della sua bravura ha parlato anche il New York Times che l’ha definita “una dei migliori artisti jazz sulla scena mondiale” grazie alla sua “brillante abilità di musicista e ai suoi istinti da palcoscenico”. “Quando avevo tre anni, mi piaceva ascoltare alla radio i musical, come My Fair Lady e Camelot, e volevo suonare quelle canzoni con il pianoforte di plastica che avevamo a casa”. La passione di Lynne Arriale per la musica è iniziata come un gioco. Prima si è iscritta al conservatorio, dove ha studiato musica classica, e poi, come ha raccontato lei stessa, si è avvicinata al jazz grazie a una suggestione improvvisa. Nel 1993 Lynne Arriale ha vinto un’importante competizione internazionale di musica jazz in Florida. I partecipanti avevano venti minuti per preparare un’esibizione con altri jazzisti che non avevano mai incontrato prima: “Dovevamo creare in pochissimo tempo una sintonia di gruppo che coinvolgesse il pubblico”. Da due anni questa artista insegna all’università di Jacksonville in Florida e ha affermato di aver imparato molto da questa esperienza: “Ho capito quanto sia importante e utile ripetere più volte un esercizio anche nella musica jazz che si basa sull’improvvisazione”. “Il jazz è qualcosa che cambia sempre. Tutto può essere modificato e hai molta più libertà che nella musica classica,dove ti è consentito variare solo il tempo e l’aspressione. In questo sta la bellezza del jazz: possiamo decidere quanto veloce andare e la tonalità in cui suonare. Ho capito che le direzioni verso cui possiamo dirigerci con la nostra musica sono illimitate e che a delimitarle è solo la nostra immaginazione”. (g.a.)
In Germania, durante la settimana delle esercitazioni, l'insegnante Rainer Wenger (Jürgen Vogel) propone un esperimento per mostrare ai suoi studenti come funziona un governo totalitario. Inizia così un gioco di ruolo dalle tragiche conseguenze. Nel giro di poche settimane, quella che era cominciata come un'innocua illustrazione di concetti come disciplina e comunità, si trasforma in un vero e proprio "movimento".
GIULIA NON ESCE DI SERA Cinema Nuova Luce dal 27 febbraio al 3 marzo feriali 21.30 f e s t i v i 17.30/21.30 Guido, uno scrittore di successo, è tra i finalisti di un prestigioso premio letterario. Inizia a frequentare una piscina. Lì incontra Giulia, una donna molto affascinante. Tra i due nasce una relazione, che nasconde delle zone d’ombra.
SPETTACOLI
I Malamonroe posano sul palco dell’Ariston Da sinistra, Sergio, Simone, Eleonora, Nicola e Stefano
Sfumata l’esibizione a Sanremo, fra i finalisti online ha cantato solo la vincitrice
Malamonroe, festival virtuale Il gruppo era in concorso con “Principe”, fiaba moderna di una Cenerentola che si innamora in autogrill ALICE CASON
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n breve ritorno a casa dopo la girandola di Sanremo, e poi già a Milano, per lavorare alle nuove canzoni. I Malamonroe lasciano il festival con un po’ di amarezza. Il gruppo, nato nel 2003, è quasi interamente marchigiano: Eleonora Fiorani, la cantante, è di Acqualagna, il chitarrista Simone Cardinetti di Fano, Nicola Sbrozzi, bassista, di Orciano, il tastierista Sergio Dini di Fermignano e solo il batterista Stefano Naldi, recente acquisto, è di Ferrara. Dopo aver conquistato un posto tra i dieci finalisti della competizione online tra giovani emergenti Sanremofestival.59, non sono stati i più votati dal pubblico del web.
Così sabato sera non hanno potuto cantare “Principe”, la loro canzone, a fianco dei big. Il privilegio è toccato ad Ania, la vincitrice. Sergio Dini, il tastierista, è un po’ deluso. Due serate sul palco dell’Ariston senza poter cantare: è stata un’esperienza “a metà”? In effetti speravamo ci fosse maggiore visibilità per i dieci finalisti rispetto agli altri 80 artisti eliminati nelle fasi precedenti. Invece poi ha cantato solo Ania, e noi non abbiamo neanche potuto fare due battute di intervista, non c’è stato tempo. I microfoni che ci avevano dato a inizio serata sono rimasti spenti. Ovviamente a livello promozionale è stata un’enorme opportunità, abbiamo dato il nostro cd a tutte le radio presenti e partecipato a molte dirette. L’amarezza co-
munque riguarda più che altro la farsa del televoto. La polemica è nata da un’intervista di Striscia la notizia alla responsabile di un call center di Rimini, che ha svelato di aver ricevuto denaro per votare alcuni artisti, specie tra i partecipanti del concorso online. Una gara truccata? Hanno fatto un gran pasticcio, specie nella nostra categoria. La classifica dei 10 finalisti negli ultimi giorni è stata criptata, così non sappiamo quanti voti ciascuno di noi ha ricevuto, né come siamo arrivati. Probabilmente terzi, o quarti. Nelle prime fasi della votazione noi e gli Studio3 primeggiavamo. Ania era tra il ventesimo e il venticinquesimo posto. Nell’ultima fase è balzata al secondo posto, poi al primo. Un salto di venti posizioni non lo fai con il voto popolare. E noi contavamo proprio sui nostri amici, parenti, fan: le persone che ci hanno seguito e conosciuto nei tanti live gratuiti che abbiamo fatto in giro per l’Italia, per promuoverci. E poi scopriamo che i call center ammettono di essersi proposti agli artisti per
vendere loro masse di voti. A parte l’amarezza, che cosa vi ha dato quest’esperienza? Vivere le serate da ospiti è una cosa, suonare sarebbe stato completamente diverso. Però Sanremo ti dà comunque l’opportunità di accedere al circuito radiofonico e poi, chissà, anche a quello televisivo, se ci sarà un buon riscontro. È più difficile arrivare alle tv, ma noi ci eravamo già riusciti con “Margherita non lo sa”, la cover della canzone di Dori Grezzi che due anni fa è piaciuta a Fiorello e ha permesso tutto quello che è venuto dopo. Allora il videoclip era passato su All music, magari questa è la volta di Mtv? Vedremo. Ora dobbiamo concentrarci sulla promozione di “Principe”, e continuare a lavorare per ampliare il nostro repertorio inedito. Voi siete nati come cover band,
e tuttora rivisitate successi di altri artisti. Il rischio è forse di non riuscire a esprimere l’originalità del gruppo, e in un secondo momento di non essere in grado di svincolarsi da un repertorio di classici ingombranti. La nostra scommessa infatti è sempre stata non snaturarci e fare cover originali, cioè suonare canzoni molto conosciute esattamente come se suonassimo i nostr i pezzi. Così la gente si abitua al nostro stile, un misto di rock, punk ed elettronica. Oggi inseriamo inediti nei concerti e il pubblico non si accorge, per cui la scelta funziona. Del resto, per suonare a Milano, un palcoscenico molto professionale, ti devi prima fare un nome con le cover. E nel frattempo cominciare a lavorare sui tuoi pezzi.
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delle vicende che li travolgono sul luogo della villeggiatura e infine al loro ritorno in città. Arriva a Urbino il vincitore del premio Ubu per il miglior spettacolo teatrale del 2008.
La compagnia Naturalis Labor immerge il pubblico nelle atmosfere sensuali e torbide dei barrios argentini.
L’Accademia Raffaello, in collaborazione con l’Università di Ferrara, propone una mostra con alcuni degli acquarelli più famosi di Arnaldo Ciarrocchi. L’artista, che ha compiuto gli studi all’Istituto d’arte di Urbino, è considerato uno dei migliori incisori contemporanei. “E’ luce adriatica quella che scorre liquida negli acquarelli e nelle incisioni del Ciarrocchi”, scrive il giornalista Valerio Volpini, sottolineando la componente luminosa del suo segno grafico. Ciarrocchi è morto a Civitanova Marche nell’ottobre 2004.
LA NUOVA ICONA Palazzo Ducale , sale del Castellare dall’ 8 al 28 marzo dalle ore 16.00 alle 19.00.
Classifica, è polemica: “Alcuni artisti hanno comprato voti falsi ai call center”
Teatro TRILOGIA DELLA VILLEGGIATURA Teatro Sanzio 3 e 4 marzo Ore 21.00 Una sorta di miniserie del Settecento per raccontare la triste educazione sentimentale di quattro giovani. Toni Servillo, regista e interprete delle tre famose commedie di Carlo Goldoni. I protagonisti sono raccontati durante i folli preparativi per le vacanze, poi nell’insieme
ALMA DE TANGO Teatro Sanzio 12 marzo Le mani si stringono. I fianchi si toccano. Le gambe si incrociano con precisione. I piedi si muovono all’unisono. I protagonisti diventano, quasi incosapevolmente, una cosa sola.
Mostre ARNORLO CIARROCCHI Acquarelli degli anni Sessanta Casa natale di Raffaello dal 4 al 28 marzo dal lunedì al sabato ore 9-13/15-19. Domenica ore 10-13
“La kermesse permette agli emergenti di arrivare alle radio e magari anche alle tv”
A cura di Bruno Bandini, la mostra raccoglie opere di artisti come Basile, Cascella, Cavina, Colognose, Donzelli, Lodola, Montesano, Ontani, Petrosillo, Salvo e Santoli. Bandini è docente all’ISIA di Urbino, dove insegna Storia delle comunicazioni visive.
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il Ducato
Il 25 e il 26 marzo al via le elezioni universitarie, le prime del dopo Onda
Cittadini prima che studenti Le associazioni di sinistra si coalizzano. Ma Confederazione rilancia: “Noi siamo pronti da tre anni” GIORGIO MOTTOLA onsigliere comunale degli studenti. Cartellino da timbrare per i professori. Ristrutturazione integrale dei collegi. E pullman gratis per tutti. All’Università di Urbino tra qualche settimana si vota. Non è ancora campagna elettorale, ma programmi e alleanze sono praticamente chiuse. Alle prime elezioni del dopo statalizzazione le associazioni studentesche puntano al sodo. Poca ideologia e tanto pragmatismo postideologico. Con un po’ di fortuna, scegliendo l’ora giusta, in C1, l’aula storica della sinistra universitaria urbinate, ci si può imbattere in scene retrodatabili a dieci o vent’anni fa. Si può incontrare, ad esempio, un studente spagnolo di semiotica che, affondato in un divano sdrucito, parla di Fidel e del sionismo di Ben Gurion con due suoi coetanei italiani. Insomma, tutto come un tempo, nulla è cambiato, si pensa entrando in C1. E invece no. Basta parlare con Rafael Campagnolo, attivista di “Studenti in movimento”, associazione della sinistra universitaria movimentista e altermondista. L’aula ad esempio. “Autogestita, non occupata”, specifica Rafael. E che differenza c’è? ”Ci è stata concessa dal rettore. Noi siamo poco inclini alle occupazioni”. “Studenti in movimento”si presenterà alle elezioni studentesche in coalizione con altre due associazioni: “Agorà”, che rappresenta gli studenti della sinistra moderata, e Panta rei che lavora da anni sui diritti degli studenti disabili. È molto probabile che nella coalizione confluiscano anche “Fuoricorso” (che riunisce i giovani del Pd, della Sinistra Democratica, dell’Italia dei valori e qualche vendoliano) e “Università riformista”. Alleanze larghe, fondate su una comune cultura del fare e non sull’identità ideologica:”Abbiamo messo insieme – dice Mauro Vecchieti, consigliere di facoltà uscente di “Agorà – le liste che sono state realmente operative nella realtà universitaria”. Punteranno la loro campagna elettorale su un tema preciso: cittadinanza studentesca. “Gli studenti non sono solo clienti, sono una risorsa e devono sentirsi cittadini di Urbino”, sostiene Mauro. Occorre, a loro avviso, ridurre la distanza tra popolazione studentesca e residenti. “Se questa città non te la senti tua - ragiona Rafael – è ovvio che poi pisci davanti ai portoni delle case e spacchi bottiglie in piazza”. Qualcosa cambierebbe, invece, se gli studenti potessero partecipare alle decisioni della politica locale. Per questo, le loro associazioni presenteranno la proposta di un consigliere comunale aggiunto. “Un consigliere eletto dagli studenti dell’Università, che nel consiglio comunale di Urbino abbia una funzione consultiva, portando le opinioni e le proposte degli universitari, pur senza diritto di voto”, scandiscono al-
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l’unisono Mauro e Rafael. Il furore ideologico non infiamma nemmeno Azione Universitaria, l’associazione legata alle giovanili di Alleanza nazionale. Salvatore Scalia, dottorando di giurisprudenza e dirigente nazionale della lista di destra, precisa sin dal principio:”Per risollevare le sorti dell’Università di Urbino siamo dispoti a collaborare con chiunque. non siamo anticomunisti”. E sia chiaro, non si tratta solo di parole. Due anni fa, Azione universitaria formò una maggioranza in Consiglio degli studenti insieme alla lista di sinistra “Impronte studentesche”. Ora, l’associazione di destra chiede che venga interrotto il “corporativismo baronale” (così lo definisce Scalia). Già pronta la strategia, un po’ in stile Brunet-
ta:”I professori dovrebbero timbrare il cartellino prima e dopo lezioni e i ricevimenti. Così si garantisce davvero il diritto allo studio degli studenti”, dice con accento siciliano Salvatore Scalia. Sebbene la sua lista sia stata sconfitta alle ultime elezioni, ostenta sicurezza Roberto Puorro, presidente di “Confederazione degli studenti”, gruppo vicino ai Verdi, ma politicamente eterogeneo nella sua comp osizone:”Sono pronto per queste elezioni da tre anni. Ho quaranta uomini da far eleggere nei vari organi”. Sua intenzione è portare nei grandi consigli le battaglie su mensa, trasporti e alloggi universitari, sostenute negli ultimi anni sui giornali e tra gli studenti.
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Studenti in piazza della Repubblica, gli iscritti all’università di Urbino, al 20 gennaio di quest’anno, sono 15.280
Lo Statuto impegna l’ateneo contro le barriere architettoniche
Disabili, c’è ancora molto da fare
Scale impossibili al Magistero. Sopra,la pedana in via S.Maria che deve essere tolta ogni sera
GIULIA TORBIDONI
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ove è la differenza tra disabilità e handicap? Disabilità è una limitazione della capacità di agire dovuta ad una menomazione. Handicap è lo svantaggio sociale vissuto da una persona con disabilità. Se la prima condizione esiste in natura, la seconda è creata dalla società che, con barriere architettoniche, chiude gli ambienti ai diversamente abili e ne amplifica la disabilità. Il 2 dicembre scorso è stato approvato lo Statuto di Autonomia dell’ateneo urbinate. L’articolo 4 dice che l’Università “promuove e favorisce tutte le condizioni necessarie a realizzare la piena integrazione degli studenti disabili dell’Ateneo, la loro formazione culturale, la loro mobilità e il loro inserimento nel mondo del lavoro, cercando di rimuovere gli ostacoli…”. Il primo passo è stato fatto con la “Convenzione per il servizio di trasporto agevolato ad uso degli studenti dell’ateneo di Urbino e degli altri aventi diritto” stipulata tra Ersu, Università, comune di Urbino e di Fermignano e Adriabus.
La Convenzione prevede un servizio a chiamata di corse per i diversamente abili. L’orario delle tratte è dalle 7.30 alle 13 e dalle 15.30 alle 19.30 e accompagnano gli studenti in tutto il centro abitato, non solo in facoltà. Secondo Alda Lamce, presidente dell’associazione Panta rei, la Convenzione rappresenta un “primo passo, ma il servizio, che doveva attivarsi il 1 gennaio 2009, non è ancora partito”. Inoltre gli studenti hanno riferito che alcuni autisti, che effettuano ancora il servizio secondo la precedente Convenzione, parlano al cellulare mentre guidano e fanno scarsa attenzione alla velocità. Nei casi più gravi non sono stati messi i ganci alle sedie a rotelle causando la caduta di alcuni ragazzi. Il Direttore amministrativo dell’Università Fragapane ha dichiarato che l’ateneo ha già firmato la convenzione e che per i primi di marzo è prevista una riunione con tutti gli attori dell’accordo per fare il punto della situazione. La questione, però, non si esaurisce con il trasporto: è ancora difficile, per i diversamente abili, accedere alle facoltà dell’ateneo. Secondo molti studenti la struttura migliore è il Magistero
dove ci sono gli ascensori, ma le rampe sono insufficienti e i bagni stretti per permettere agli assistenti di lavorare bene. Fragapane sostiene che l’ateneo si sta impegnando: la biblioteca dell’area umanistica è stata da poco dotata di una rampa, ma c’è bisogno di tempo. Non si deve dimenticare che le strutture dell’ateneo sono palazzi storici e che Urbino è patrimonio dell’Unesco: non si può modificare la facciata degli edifici e bisogna trovare soluzioni alternative. Ancora una volta si può guardare all’estero. L’università di Helsinki, in Finlandia, prevede due figure per la pianificazione dei servizi ai disabili. Inoltre organizza sessioni di esami in cui è più facile l’accesso alla struttura per le sedie a rotelle. La città, inoltre, rimuove gli ostacoli quotidiani: autobus, scuole, biblioteche, treni e locali sono dotati di rampe e bagni per disabili. “L’essenziale è invisibile agli occhi” dice la volpe al piccolo principe. Dipende da quali occhi si tratta. È più facile vedere l’handicap di qualcuno che la scalinata che lo crea.
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UNIVERSITÀ
A sei mesi dall’applicazione delle norme
Cosa ha cambiato il decreto Mussi Presidi favorevoli alla riduzione degli esami: “E’ più facile studiare” ANDREA TEMPESTINI
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n principio fu la riforma Zecchino, nel 1999: un’università di stampo anglosassone con cicli triennali e specialistici. Si passò poi, nel 2003, alla riforma dell’intero sistema scolastico firmata Letizia Moratti; quindi il Decreto Ministeriale 270 dell’anno successivo che istituì le lauree magistrali. Nel 2007 Fabio Mussi aggiunge l’ultimo anello alla catena evolutiva universitaria: i provvedimenti principali sono il tetto alnumero massimo di esami e crediti, e l’abbandono delle lauree specialistiche entro il 2011. Già oggi si vocifera di ulteriori manovre del ministro Gelmini: si vedrà. Ma con le modifiche di Mussi, a che punto è Urbino? La legge, imponendo un massimo di 20 esami e 180 crediti per i corsi triennali e di 12 esami per 120 crediti alle magistrali, porta ad aggregare i moduli di studio e a una minore frammentazione didattica; la conseguenza è che alcuni corsi sono stati o saranno tagliati. Lingue e Letterature Straniere e Scienze della Formazione sono già inquadrati secondo le direttive di Mussi, che hanno portato alla chiusura di due corsi triennali in entrambe le facoltà. Economia deve ancora regolamentare le triennali, una delle quali si prevede sparirà il prossimo anno accademico; a Sociologia sono due le triennali in meno e il prossimo anno le specialistiche diverranno magistrali. Marco Cangiotti, preside della facoltà di Scienze Politiche, assicura che entro il 2011 “Con piccole variazioni saremo perfettamente dentro al nuovo sistema”. Due triennali e una specialistica in meno e qualche corso da trasformare anche per
Scienze e Tecnologie. I presidi delle facoltà concordano nel giudicare positivamente il raggruppamento dei moduli già avviato dalla legge 270 del 2004 - e il tetto agli esami. Stefano Pivato, preside della facoltà di Lingue e Letterature Straniere, spiega che “meno esami rendono più facile riflettere per lo studente” e che in un’università che è meno “esamificio” si ha più tempo per “metabolizzare quello che si studia”. L’Università di Urbino, ha approvato un mini-
mo di 4 crediti per corso. “Non ci sono più esami da 3 Cfu – sembra esserne soddisfatto il Prorettore alla didattica Guido Maggioni – sono diminuite anche le prove d’esame, ma non necessariamente il numero effettivo di verifiche: le prove intermedie, auspicate dagli studenti per gli esami più impegnativi, rimangono infatti perfettamente regolari”. Altre note di merito a Mussi vengono da Stefano Papa, preside di Scienze e Tecnologie, che elogia l’adozione dei requisiti minimi
per le strutture – “ora non possono stare in piedi corsi che non hanno spazi e strumenti adeguati” – e da Bernardo Valli, preside di Sociologia: “Il limite al riconoscimento dei crediti per le esperienze professionali è una cosa egregia”. Le critiche invece piovono per i finanziamenti che non arrivano, “Quello di Mussi era un provvedimento a costo zero”, afferma ancora Papa, e per non aver fatto chiarezza sul ruolo dei ricercatori. Per Valli “I concorsi sono sempre troppo pochi”,
mentre Cangiotti si chiede se i ricercatori siano o non siano l’effettiva terza fascia di docenza. Il ministro Maria Stella Gelmini, è voce degli ultimi giorni, sembra intenzionata ad intervenire sul sistema universitario; i presidi, prima di una valutazione, vogliono vedere in che termini. Però non sono pochi quelli che, come Cangiotti, si chiedono “come possa funzionare al meglio una struttura costretta a cambiare di continuo”.
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Più debiti e più precari. Così l’università rischia il collasso
Ricercatori: il futuro che non c’è FEDERICO MASELLI
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na vita difficile, quella del ricercatore. Vorrebbe spendere il suo tempo tra le sudate carte, invece si ritrova a ricoprire e “coprire” molto spesso le assenze dei docenti ordinari, senza alcun riconoscimento. Anzi, non solo si deve guardare le spalle dagli aspiranti ricercatori che potrebbero soffiargli il posto, ma deve essere attento a ogni passo che muove all’interno dell’università: una faida, come la hanno definita le associazioni studentesche. Sopravvivere, allora, diventa il primo comandamento, riconoscimento dei propri diritti, il secondo. Qualcuno si piega a ogni volontà, perché non ha un contratto. Peggio: è precario. Sa che deve lottare ogni singolo giorno per sperare di vedersi rinnovare la fiducia. I fondi per gli atenei sono scarsi, la spesa impazza e i concorsi sono bloccati. All’università di Urbino non vi è un concorso per ricercatore di ruolo dal 2005. Non ci sono i fondi per nuove as-
sunzioni. La spesa dell’ateneo marchigiano impazza: la recente riforma Gelmini distribuirà fondi alle sole università virtuose, ovvero a quelle che conterranno la spesa per il personale entro il 90% delle spese complessive. Urbino ne è esclusa: è a quota 103% secondo il rappresentante dei ricercatori, Stefano Azzarà. “L’impossibilità di nuove assunzioni e passaggi di carriera – sottolinea Azzarà – porterà presto alla chiusura di numerosi corsi di laurea perché i professori che andranno in pensione non verranno sostituiti”. Per uscire da questo vicolo cieco l’università di Urbino ha deciso di correre ai ripari assumendo ricercatori a tempo determinato. “In carica all’incirca per tre anni – ha spiegato il rappresentante dei ricercatori – questa nuova figura professionale non pesa sul 90% di spesa massima dell’ateneo”. Ad aumentare, di conseguenza, è il processo di precarizzazione delle università, incentivate ad assumere personale, più o meno qualificato, per la ricerca e l’insegnamento a costi bassi. Infatti, co-
me avverte il segretario nazionale CgilFlc, Marco Broccati, “lo sviluppo sconsiderato dei docenti a contratto genera molti problemi, primo fra tutti la stipulazione di un accordo non sempre per merito”. Il problema deriva dal carattere privatistico di queste assunzioni. Uscire da questa crisi è possibile. Broccati spiega la sua ricetta: “Bisogna costruire un nuovo meccanismo di reclutamento. Per chi vuole proseguire la carriera universitaria, si dovrebbe bandire un concorso triennale alla fine del quale valutare i meriti del ricercatore. Questo comporterà: certezza dei tempi, certezza delle regole, certezza delle prospettive”. Il decreto Mussi aveva mosso i primi passi verso questa direzione stanziando fondi aggiuntivi per il reclutamento straordinario di personale universitario. Il segretario Flc teme un collasso a breve del sistema universitario italiano: “Gli atenei sono in forte crisi ed entro il 2010 chiuderanno la maggior parte dei corsi”. E l’aumento del numero dei ricercatori che fuggono all’estero sarà inevitabile.
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il Ducato
Volley, la Sea punta al riscatto dopo tre stop
Tornare a vincere per sognare l’A1 Il tecnico Pistola ritrova le schiacciatrici Artmenko e Sanchez GIOVANNI PASIMENI
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play off l’obiettivo minimo, la serie A1 il sogno nel cassetto. Ma restano sei partite al termine della stagione e la Sea Urbino, la squadra di pallavolo femminile di A2, nelle ultime settimane ha ottenuto tre risultati negativi consecutivi. Gianluca Merendoni, direttore sportivo della Sea, precisa che “non siamo in un periodo ottimale, ma abbiamo le qualità e le caratteristiche per centrare i play off. Sogniamo il salto di categoria: non sarà facile, ma non è fuori dalla nostra portata”. Trentuno sono i punti conquistati dalla formazione urbinate, settima in classifica a pari merito con quella di Cremona. La squadra allenata da Andrea Pistola nell’ultima gara ha perso in trasferta per tre set a zero con la formazione di Piacenza (prima con 48 punti), lanciata verso la massima serie. “Abbiamo giocato puntualizza Merendoni - senza le due attaccanti principali: infortunate l’ucraina Artmenko e l’ultimo acquisto, la cubana Sanchez”. Cruciale sarà il risultato delle ultime sei partite di campionato e molto dipenderà dal pieno recupero delle due attaccanti: le squadre classificate tra il secondo e il nono posto infatti si contenderanno la promozione in A1 con i play off. “Abbiamo cambiato la palleggiatrice - prosegue Merendoni - contestualmente all’infortunio della Artmenko: Stefania D’Agostino, penultimo acquisto, non ha mai giocato con il nostro attaccante più forte”. D’Agostino, 22 anni, presa dalla Carnaghi di Villa Cortese per far fronte alla defezione improvvisa della Luraschi, osserva: “Le ra-
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gazze sono state davvero brave a permettermi di entrare nel gruppo in modo molto semplice, cosa non facile ovunque”. Con la trasferta ad Aprilia per Merendoni “non si può prescindere dal fare punti altrimenti è inutile sognare”. In campo potrebbero tornare Tatiana Shaposhnikov Artmenko, 33 anni, da poco operata al menisco, e Martha Sanchez Salfran, 36 anni, campionessa del mondo che ha militato nella Romanelli Firenze e nel Murcia, arrivata in Urbino un mese fa per rimpiazzare la Artmenko, ma infortunatasi all’adduttore in allenamento. Le due giocatrici sono recuperate la Sanchez si sente “molto meglio” e in squadra si trova “molto bene con tutti” - e sono pronte per essere impiegate, ma il tecnico Pistola avverte che “non sono ancora al top della forma fisica: valuteremo le loro condizioni”. In vista dei play off la società e il coach, oltre che sulla Artmenko, puntano molto sui nuovi acquisti. “Dalla Sanchez - precisa Pistola - mi aspetto un apporto in termini di esperienza e di personalità che in questo momento alla squadra manca. La D’Agostino ha già dimostrato di essere un’atleta valida. Speriamo che riesca a trovare più affiatamento con le compagne e a darci un ulteriore garanzia di qualità”. Il regolamento sportivo impone l’utilizzo di al massimo due straniere. Ma tre sono le schiacciatrici in lizza per il posto da titolare: a disposizione del tecnico, oltre alla Artmenko e alla Sanchez, c’è la bulgara Germanova. “Ci aspetta - conclude l’allenatore - un rush finale molto intenso. Speriamo di disputare gli ultimi 40 giorni di campionato in maniera serena, con l’organico al completo”.
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L’allenamento al Palazzetto Mondolce della Sea Urbino Ecology che mira ai play off da conquistare nelle ultime sei partite della stagione
Mencarelli è coach della nazionale juniores
Il domani comincia qui FRANCESCO CIARAFFO
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l futuro della pallavolo abita ad Urbino. Si chiama Marco Mencarelli, 43 anni compiuti lunedì scorso. Fisico asciutto di chi pratica sport da una vita, apre la porta di casa a “Le Cesane” con la tuta blu del Club Italia. Mencarelli è il direttore tecnico delle squadre nazionali giovanili di pallavolo e allenatore della squadra azzurra juniores femminile con cui ha vinto due europei nel 2006 e 2008. Dalla sua posizione tiene il polso al movimento pallavolistico: "In Italia questo sport è in crescita, soprattutto tra le ragazze.” Alle ultime Olimpiadi le donne sono arrivate quinte e gli uomini quarti. "Zero medaglie. Ma il movimento non è in crisi. E’ alla ricerca di una nuova identità e di un ricambio generazionale, soprattutto quello maschile". Il coach rassicura i tifosi per il futuro: “I progetti in atto sono la garanzia che non usciremo dal giro delle migliori scuole del mondo.” Si intravede già nel vivaio qualche ragazza che sicuramente farà strada? “Le atlete della na-
zionale seniores hanno ancora molto da dare. Il grosso avvicendamento avverrà dopo le Olimpiadi di Londra nel 2012, fino ad allora i mutamenti saranno marginali. Il coinvolgimento delle più giovani avverrà nelle competizioni secondarie”. Cosa cambia allenare una professionista affermata e una ragazza di 18 anni? “E' diversa la componente tecnica. Le più giovani hanno bisogno di molto lavoro su aspetti specifici. Inoltre per loro la fase d'allenamento riveste un ruolo fondamentale: è durante le ore in palestra che costruiscono le proprie certezze, le professioniste trovano convinzione durante la partita”. Cambia anche la gestione dei momenti cruciali di un incontro? “L'allenatore cerca di farconcentrare la ragazza su un punto di forza, sulla propria caratteristica di gioco migliore”. Il prossimo europeo non è stato ancora programmato, ma se sarà ancora l’allenatore, coach Mencarelli ha le idee chiare: “Raramente sono sceso in campo senza credere nella possibilità di vincere”.
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SPORT
Il 22 marzo primo round della nuova edizione del campionato Racing Centro
I Cardellini volano sui quad Il team premiato lo scorso anno torna in pista. In squadra sono presenti due piloti della zona di Urbino LUCA FABBRI
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quad tornano a correre in mezzo al fango: tra meno di un mese riparte il trofeo Racing del centro Italia. Ai nastri di partenza vogliono esserci anche i piloti della zona di Urbino, che hanno sbancato l’edizione 2008, facendo incetta di medaglie in quasi tutte le categorie. “Se non hai resistenza - rivela l’urbinate Lorenzo Truffelli, vincitore del campionato promozionale 2008 per quad monomarcia - è dura stare sul mezzo: al primo giro tra scossoni e sportellate ti si induriscono braccia e gambe. E allora o ti fermi o rischi di ribaltarti”. Il pilota siede sul quadriciclo senza essere protetto dal parabrezza, impugnando con forza il manubrio. Per questo l’esercizio fisico è determinante: “Io mi alleno quattro volte alla settimana. E faccio molta palestra”. Truffelli fa parte del team Cardellini di Pesaro, che parteciperà al trofeo Centro; si inizia il 22 marzo con la gara a Certaldo, in provincia di Firenze. La squadra, che un anno fa ha trionfato sui quad con e senza marce, è capitanata dal “guru” di Petriano, Omar Cardellini, 32 enne vincitore del campionato per esperti a marce. Con lui tornano anche le due rivelazioni premiate con l’oro nel 2008: “il baby” di Fano Andrea Pagliari (14 anni) per la categoria mini a marce e, appunto, Truffelli, metalmeccanico di 29 anni che lavora alla Benelli di Urbino e corre per la monomarcia expert. “Tutto è iniziato - racconta Omar Cardellini - nel 2001 quando ho messo su un negozio di vendita e riparazioni quad. Poi, la passione mi ha spinto a partecipare alle competizioni”. Truffelli spera di replicare il successo del 2008: “Io ho iniziato nel 2004, a livello locale dopo cinque anni di gokart”. La svolta per Truffelli è arrivata la scorsa stagione. “Mi sono iscritto al trofeo Centro e sono riuscito a vincerlo: una soddisfazione, perché ci vuole impe-
gno. Se non sei appassionato vai poco in là”. Il campionato Racing quad Centro è diretto dalla società Fun off Road che opera nell’ambito dell’Associazione Italiana Cultura Sport (Aics, ente di promozione sportiva riconosciuto dal Coni).”Negli Stati Uniti - spiega Cardellini - il quad aveva sfondato già 20anni fa. In Italia invece è una specialità recente”. Lo prova il fatto che non esiste un’unica federazione ma diverse associazioni (Aics, Uisp e Fmi) che organizzano le proprie gare e campionati. E’uno sport che sta conoscendo il successo, destinato a chi non ha paura di farsi male. “Spero che questo campionato vada a finire come lo scorso anno: al di là del trionfo, sono stato fortunato a portare a casa le ossa”, conclude Truffelli.
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Lorenzo Truffelli seduto sul suo quad monomarcia con cui ha trionfato un anno fa
Calcio/Fa discutere la proposta di un cartellino intermedio
Tra giallo e rosso spunta l’arancio A
mmonito. Espulso. Oppure? Come sarà definito il calciatore punito col cartellino arancio? Il designatore degli arbitri italiani Pierluigi Collina ha anticipato uno dei temi in discussione sabato all’International Board. L’organismo che esamina le modifiche al regolamento del calcio, si confronterà sull’introduzione di una punizione intermedia, a metà strada tra il cartellino giallo e rosso. Si tratta appunto del cartellino arancione, un’espulsione a tempo, come avviene già nell’hockey e nella pallanuoto. La proposta fatta dalla federazione nordirlandese non trova l’entusiasmo dei tecnici delle squadre locali. Si dimostra tradizionalista l’allenatore della Fermignanese Roberto Bruscolini: “Non sono contrario, ma molto scettico” dice. Anche il mister dell’Urbino, Filippo Giovagnoli, non si mostra convinto: “E’ una situazione che andrebbe interpretata dall’arbitro aumentando la sua discrezionalità. Basterebbe utilizzare meglio i cartellini esistenti”. E cosa ne pensano direttori di gara? An-
drea Schirinzi arbitra le partite giovanili: “non è una cattiva idea – dice - esistono situazioni di gioco in cui il giallo è poco e il rosso troppo”. Non ha paura che aumentando la vostra discrezionalità nel giudicare situazioni di gioco, aumenti anche la possibilità di dare origine a polemiche? “Il nostro lavoro è anche questo e se non ci sono contestazioni, non c’è l’arbitro”. Ma, semmai verrà introdotto, il cartellino arancione non sarà una novità assoluta. Il Csi - Centro Sportivo Italiano- utilizza un terzo cartellino da ormai dieci anni. Durante le partite dei campionati organizzati dall’associazione di promozione sportiva, gli arbitri sventolano anche un cartellino blu. La funzione è uguale a quella dell’arancione e prevede un allontanamento dal campo di cinque minuti. Serve più per educare che per reprimere, infatti viene utilizzato in situazioni come l’uso di linguaggio blasfemo o insulti razzisti. Pensare subito all’errore fatto per non commetterlo più. (f.c.)
QUANDO L’ETÀ FA CULTURA
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il Ducato
MASS MEDIA
Medici senza Frontiere propone ai media di “adottare” una crisi dimenticata
Se la guerra non fa notizia Nei tg sempre meno spazi per conflitti minori ed emergenze umanitarie. Parlano Riotta, Papuzzi e Candido
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ilioni di morti non fanno notizia nei nostri media. Le tante persone coinvolte in crisi umanitarie, sanitarie e geopolitiche rientrano difficilmente nei mezzi d'informazione perché non costituiscono una novità. Gli esempi non mancano: i 2 milioni di persone uccisi annualmente dall' Aids, i 5 milioni di bambini che muoiono ogni anno per la malnutrizione e la media di un morto ogni 3 secondi per malaria sono poco "notiziabili"; per non parlare dei 3 milioni di persone in fuga dallo Zimbawe o della guerra che da 25 anni imperversa in Sri Lanka. E così via. In questi giorni la sezione italiana di Medici senza Frontiere (MSF) sta promuovendo l'iniziativa "Adotta una crisi dimenticata", chiedendo a giornali, radio, tv e testate online di impegnarsi, per il 2009, a parlare di una o più crisi dimenticate. Secondo il rapporto annuale "Le crisi dimenticate dai media" pubblicato da MSF Italia, nel 2007 i tg monitorati (cioè quelli di Rai e Mediaset) hanno dedicato l'8% delle notizie a conflitti e crisi umanitarie, contro il 10% dell'anno precedente. "È ovvio - dice il direttore del Tg1 Gianni Riotta - che le crisi sono tutte brutte e io ho grande ammirazione per Medici senza frontiere però si adotta un cagnolino abbandonato, non una crisi". A suo parere la politica internazionale non può assolutamente essere considerata un punto debole del suo Tg, anzi l'approccio del Tg1 in materia sarebbe nettamente superiore a quello della BBC; "Non è presunzione, è esaminare i fatti. Noi abbiamo parlato di Congo e aviaria come forse nessun altro ha fatto e abbiamo anche mandato un inviato in Darfur. Fra l'altro ben due rubriche, Tv7 e Ventunesimo Secolo, sono dedicate a questi aspetti". Già, perché sempre più spesso sono le rubriche d'approfondimento, magari in seconda serata, ad ospitare le notizie che non fanno più notizia. Ma perché certe notizie non fanno più notizia? In primo luogo, spiega il giornalista della Stampa e docente universitario Alberto Papuzzi, va considerata la sostanziale differenza fra la società degli anni '50, reduce dal secondo
conflitto mondiale, e la nostra. "In passato si imponevano dei fatti in mezzo al silenzio, il mondo era molto meno conosciuto e frequentato per cui la denuncia di situazioni difficili in Asia o in Africa acquistava una rilevanza enorme; oggi questi fatti non hanno più la rilevanza trascinante del passato perché si confondono con un insieme travolgente di dati, perché noi ormai questo mondo lo conosciamo". In secondo luogo poi, come ricorda un altro giornalista della Stampa e rappresentante italiano di Reporters sans Frontières Mimmo Candido, bisogna tener conto dell’influsso della televisione, del "consumo sempre più rapido della conoscenza, della perdita di disponibilità a seguire con attenzione i processi badando al loro contenuto piuttosto che ai dati emozionali" e del fatto che gradualmente si crei una sorta di abitudine alla violenza. "Se le crisi umanitarie vengono seguite sempre meno con continuità - sostiene Candido certamente c’è un dato di fondo genetico, cioè che il giornalismo cerca sempre novità, ma vi è anche un dato nuovo di cui va tenuto conto, ovvero quello di un linguaggio sempre più dominato dalle immagini". Certo la questione non è nuova, e non riguarda soltanto i media italiani: da una parte il pubblico, con il suo diritto a essere informato ma sempre assetato di novità; dall’altra chi l’informazione la produce, che deve sempre considerare la “vendibilità” del prodotto informativo.Anche quando si dedica spazio a qualche crisi umanitaria - si legge ancora nel rapporto di MSF pubblicato l'anno scorso - "il focus dell'attenzione risulta generalmente poco orientato verso lo stato o il grado di emergenza, ma tende a concentrarsi su eventi o argomenti a più forte notiziabilità (per esempio per il coinvolgimento dell'Italia, di italiani e di persone note, o per la capacità di creare conseguenze che ci riguardano)". L'aspetto più rilevante della questione comunque ce lo suggerisce uno studioso di comunicazione: “La gente scriveva Eugene Shaw nel 1979 - tende a includere o escludere dalle proprie conoscenze ciò che i media includono o escludono dal proprio contenuto". Per questo il rischio di dare poco spazio a determinate notizie è che il pubblico sia portato a dedicarvi scarsa attenzione.
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CHIARA BATTAGLIA
Un gruppo di guerriglieri in Darfur
Non raccontare la sofferenza di milioni di profughi, di bambini che muoiono di fame, di feriti e mutilati, di donne violentate, equivale a dire che non esistono.
QUANDO LA NOTIZIA DIVENTA PRODOTTO
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Il caso emblematico del Myanmar
In Myannmar, Birmania fino al 1989, il generale Than Shwe ha instaurato nel 1992 una dittatura sanguinaria che dura tutt’oggi. Secondo le stime Onu 20 mila persone all'anno muoiono di Aids in questo paese, che Medici senza frontiere ha inserito nella top ten delle crisi dimenticate del 2007. Ma con una peculiarità: i notiziari italiani hanno “scoperto” il Myanmar (fino ad allora del tutto ignorato) solo a settembre e ottobre 2007, dopo la rivolta dei monaci contro i militari. "Si è trattato di un evento rapido e imprevedibile perciò adeguato a diventare prodotto-notizia. A fine anno - si legge nel rapporto di MSF - l'interesse mediatico per il Myanmar è tornato ad essere basso se non assente".
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