Giornale Di Brescia Libri 2007-08-11 Pagina 34

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Data e Ora: 11/08/07

34

13.37 - Pag: 34 - Pubb: 11/08/2007 - Composite

LIBRI

SABATO 11 AGOSTO 2007

Giornale di Brescia

L’AMORE, LA LETTERATURA, LA VITA NELLA CORRISPONDENZA DELLA SCRITTRICE CON IL GERMANISTA

«Caro Bul»: lettere di Cristina Campo a Leone Traverso Un epistolario. Quasi sempre racconto di una vita, o meglio, di una tranche de vie; possibilità per il lettore di ripercorrere i più segreti movimenti dello spirito di chi scrive. E questo epistolario di Cristina Campo (1923-1977) «Caro Bul» che Adelphi pubblica a trent’anni dalla morte dell’autrice - a cura e con nota di Margherita Pieracci Harwell - ne è la prova. Ossia offre davvero l’occasione di conoscere 14 anni importanti della sua vita (1953-1967) attraverso 120 missive inedite (lettere e cartoline) indirizzate a Leone Traverso - confidenzialmente da lei chiamato Bul - germanista e grecista di chiara fama.

La scrittrice Cristina Campo (1923-1977)

La Campo (Vittoria Guerrini all’anagrafe) fu un’«imperdonabile», nel senso che lei stessa dava a quel termine in un suo saggio dall’omonimo titolo: aveva cioè la passione della perfezione, anzi, come ha detto di lei Ceronetti, era addirittura «una trappista della perfezione». Ad accrescere in lei quel sentire fu l’incontro con Leone Traverso, la cui amicizia amorosa, basata sulla condivisione, per lei fondamentale, del leggere e dello scrivere, la avvicinerà alla cerchia dei traduttori/poeti fiorentini del dopoguerra. «La letteratura - scriveva a Bul nell’ottobre 1962 - non è un fine per me, non uno scopo, ma solo un mezzo, uno

dei modi (infiniti) di vivere con libertà e solitudine. Aiutami a conservare il mio incognito, a scrivere ancora con piacere; aiutami a rimanere nel silenzio e nella pace che sono la sola libertà a cui io tenga». E lui, affascinante compagno e maestro dalla cultura vasta e profonda, amico di Macrì, Landolfi, Luzi, «poeta in proprio» che ha fatto della traduzione la sua prima forma d’espressione, l’aveva aiutata nell’esplorazione del «mondo dietro quello vero». Schiva, umbratile, estranea al proprio tempo, la Campo - sorprendentemente giocosa e a tratti perfino mali-

ziosa in queste lettere - dà voce ad una calda e forte amicizia che sopravviverà all’estinguersi di quell’amore che aveva segnato la sua vita fin dall’adolescenza. Bul e Vie, alias Leone e Cristina, furono una coppia perfetta fino al 1952, momento in cui il legame rivela un’incrinatura, irrimediabile quattro anni dopo, quando lei non riuscì più a tollerare quella «mollezza veneta» così contraria al suo «ardente protendersi» al suo «rigor di spada». Da quel momento in poi le lettere si faranno meno frequenti e il tono di minor abbandono: ma la loro intesa non morirà; continuerà la fiducia assoluta nella condivisione del giudizio su scritti e scrittori.

Secondo giallo dello spagnolo Pablo Tusset: in un mattatoio si scopre il corpo a pezzi d’una donna

Quei delitti nel nome del porco Un paese meschino, un poliziotto psicopatico Enrico Mirani Una donna viene trovata a pezzi nel mattatoio di San Juan del Horlà, un paesino sperduto sulle montagne della provincia spagnola. Macellata come lì dentro fanno con i maiali. In bocca le hanno messo un foglietto con una frase misteriosa ed inquietante: «Nel nome del porco». Per indagare arrivare direttamente dalla questura centrale della capitale il commissario capo Pujol, uomo tranquillo, investigatore esperto ed attento ai particolari, prossimo alla pensione da godere con l’amata moglie Mercedes nella casetta sul mare. Sul caso - senza cavare un ragno dal buco - lavorano anche il commissario locale, il medico legale, un ispettore della omicidi. L’intuizione che può dare una svolta alle indagini viene a Pujol, alambiccando su una poesia del Proprietario, il padrone del mattatoio oltreché sindaco di San Juan del Horlà, parente di tutte le persone che contano nella zona. Un potente con l’ambizione del poeta. Pujol, con la collaborazione di uno scrittore (capitato per caso in centrale, alla ricerca di spunti per un nuovo romanzo), scioglie l’enigma di quelle quattro parole sul foglietto nella bocca della vittima. Ma un

conto sono le congetture, un altro le prove. Ed allora... Allora entra in scena un secondo poliziotto in gamba, Tomás. Quasi un figlio per Pujol, un 43enne dalla doppia personalità. «Nel nome del porco» è il secondo romanzo di Pablo Tusset, 42enne informatico di Barcellona. Il primo, «Il meglio che possa capitare ad una brioche», era uscito nel 2002 sempre da Feltrinelli. Anche quella - riuscitissima - prova d’esordio era un giallo. Una storia esilarante e stralunata in una Barcellona schioppettante. Stavolta si tratta di un romanzo duro, angosciante. Niente ironia, niente battute e parodie. Un racconto in cui la violenza - fisica contro gli altri, morale contro se stessi - sembra poter scattare in ogni momento. La figura centrale è Tomás, fuggito dai suoi tormenti interiori dalla Spagna a New York, dove incontra una ragazza della quale si innamora. Di lei o del suo viso, così somigliante a quello della Vergine nel dipinto di Giovanni Bellini «Madonna con bambino»? Tomás porta dentro di sé fin da bambino l’immagine di quel quadro, visto tante volte nella sala d’attesa di un orfanotrofio. Torna in questo romanzo l’eterna doppiezza degli uomini, lacerati fra mister Hyde e

dottor Jekyll. Perché Tomás è capace di grandi slanci d’amore, ma anche di nefandezze. Tornato in servizio viene incaricato di infiltrarsi a San Juan del Horlà per scoprire il colpevole del delitto. Sono le pagine più belle del romanzo, che dipinge una comunità chiusa, violenta, morta. Dove Tomás conosce l’inferno. Pablo Tusset nel libro si serve di una seconda metafora tratta dall’arte, Il Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch, con la nascita dell’uomo (il paradiso), la dissoluzione (la terra), la caduta (l’inferno). Che nel romanzo sono l’amore di Tomás per Suzanne a New York, la quotidianità della vita, il paese sulla montagna e i suoi abitanti, chiusi e meschini. Non è un giallo classico. Ci sono indagini e indiziati, e alla fine un colpevole c’è. Ma è quello giusto? Oppure - ancora una volta - il conflitto fra Hyde e Jekyll, fra il bene il male, la volontà di potenza e l’amore, ha prodotto una verità apparente? Da leggere.

Una chitarra elettrica piantata in un prato verde come una croce. La dice lunga la copertina del romanzo «Il giorno in cui il rock è

morto», di Chuck Klosterman, giornalista e critico musicale del famoso «Spin Magazine». Klosterman è tormentato da un chiodo fisso: trovare il legame tra una morte tragica e il raggiungi-

MARINA CORRADI

«Innanzitutto uomini»: storia di preti della Fraternità sacerdotale di S. Carlo Nel 1985 don Massimo Camisasca e altri sei preti di «Comunione e Liberazione» fondano un seminario per giovani disponibili a vivere il sacerdozio, portando in tutto il mondo il carisma di don Luigi Giussani: è l’inizio della «Fraternità Sacerdotale di San Carlo Borromeo», che Papa Giovanni Paolo II riconoscerà ufficialmente nel 1999. A oggi, di essa fanno parte centocinque membri, sparsi in ventitrè case diffuse in quattro continenti, mentre una trentina di giovani stanno percorrendo il cammino di formazione. Marina Corradi, una delle firme più note e brillanti di «Avvenire», ha raccolto le storie di quindici giovani preti appartenenti alla Fraternità, dando vita ad un libro molto suggestivo e coinvolgente. Al termine di questi incontri, la giornalista si è accorta di avere avuto davanti a sé innanzitutto degli uomini che avevano attraversato le esperienze

più diverse e si erano confrontati con la vita in tutte le sue espressioni. Dunque, i quindici preti che ci presenta la Corradi non appaiono figure sbiadite e incolori, bensì persone che la scelta cristiana non ha impoverito oppure estraniato dal mondo, ma ha reso capaci di farsi carico di tutto ciò che è autenticamente umano, secondo quanto ha costantemente insegnato monsignor Luigi Giussani, apostolo di un cristianesimo pieno di coraggio e di fiducia. Da Trieste a San Pietroburgo, da Lisbona a Nairobi, dalla Siberia a Taiwan, da Boston a Santiago del Cile questi giovani sacerdoti annunciano un cristianesimo vivo e vitale, pronto ad affrontare le sfide del terzo millennio. Maurizio Schoepflin

INNANZITUTTO UOMINI AUTORE EDITORE PAGINE EURO

Marina Corradi S. Paolo 168 10

AUTORE EDITORE PAGINE EURO

I TASCABILI

Cristina Campo Adelphi 214 19

di Alberto Ottaviano

Da Aleykhem a Skármeta olli in rivolta contro il rito ebraico di espiazione di cui P sono vittime, tacchini ingrassati

re le loro feste, non vedono le sofferenze dei primi, dimenticando così il precetto talmudico che chiede pietà per tutti gli esseri viventi. * Il cileno Antonio Skármeta ha ottenuto notorietà internazionale soprattutto per il suo Il postino di Neruda, il romanzo da cui nel 1994 è stato tratto l'ultimo film di Massimo Troisi (Il postino, con la nota musica di Luis Bacalov). Lo scrittore è però autore anche di traduzioni, saggi e altre opere narrative meno note: Sognai che la neve bruciava, Match ball, Non è successo niente, Le nozze del poeta. La Garzanti ripropone ora, nella collana Gli Elefanti, La bambina e il trombone, romanzo già uscito la prima volta in Italia nel 2002. Si tratta della singolare storia, narrata in prima persona, di una donna, giunta dall'Europa in Cile a due anni al seguito di un misterioso musicista e del suo trombone. La vicenda si dipana sullo sfondo dell'appassionante periodo di storia sudamericana che culmina con l'ascesa di Salvador Allende alla presidenza del Cile (traduzione di Irina Bajini, 9 euro).

NEL NOME DEL PORCO AUTORE EDITORE PAGINE EURO

Pablo Tusset Feltrinelli 325 16

PUNTOGIALLO La copertina del romanzo dello spagnolo Pablo Tusset

Quando il rock è morto: viaggio nelletragedie dellamusica

Giovanna Panzerini

CARO BUL

per la festa e poi freddamente sgozzati, un docile cane in fuga dalla ferocia dei suoi simili e degli uomini, un ronzino stremato da una vita di fatiche e bastonate... Sono alcuni dei protagonisti dei singolari racconti di Sholem Aleykhem raccolti nel volumetto Storie di uomini e animali, pubblicato nella elegante veste della Piccola Biblioteca della Adelphi (a cura di Anna Linda Callow, 9 euro). Sholem Aleykhem (o Shalom Aleichem secondo un'altra versione grafica), nato in Ucraina nel 1859 e morto a New York nel 1916, è uno dei fondatori e massimi rappresentanti della moderna letteratura jiddish, cioè nella lingua parlata dagli ebrei emigrati nell'Europa orientale. Aleykhem (pseudonimo di Sholem Rabinovitch) è scrittore prolifico, autore di innumerevoli racconti ma anche di vaste narrazioni. Nelle storie qui raccolte ambientate nelle campagne dell'Europa orientale sullo sfondo delle feste rituali ebraiche accanto agli animali ci sono gli uomini che, nell'ansia di celebra-

Perchè i divi scomparsi tragicamente diventano immortali? Inchiesta-romanzo del giornalista americano Chuck Klosterman

Gli occhiali di John Lennon ad un’asta. L’artista fu ucciso l’8 dicembre 1980

Nel dicembre 1962, ad esempio, gli scrive «Conosci Djuna Barnes (The Antiphon)? È certo la più pura artista della parola che viva su questa terra». Una comunione insomma che vivrà per sempre alimentata nel culto dello stile che, per entrambi, significava passione per la perfezione nel proprio mestiere e fedeltà alla letteratura più profonda. Rita Piccitto

mento dell’immortalità nel cuore dei fan. Già, perché questo in effetti è il destino che hanno avuto tutte, o quasi tutte, le rock star degli ultimi 50 anni. Dalla scomparsa di Elvis Presley all’omicidio di John Lennon, lo scrittore si sposta attraverso l’America per visitare i luoghi in cui sono avvenute le più celebri tragedie della storia del rock n’roll. Partendo dalla stanza numero 100 del Chelsea Hotel di New York, dove è stata assassinata la compagna di Sid Vicious, noto bassista dei Sex Pistols, Klosterman percorre diecimila chilometri a bordo della sua Ford Taurus spostandosi dalla Grande Mela a Seattle per giungere sino a Minneapolis e alla Georgia. Un romanzo che ha certamente tutto il fascino della narrativa on the road e che l’autore rende ancor più interessante parlando

della sua vita, delle donne, della famiglia, di alcol, di automobili ma soprattutto di musica. Lo fa in maniera estremamente piacevole e interessante, ricordando episodi tragici che hanno cambiato il mondo della musica. Dal suicidio di Kurt Cobain alla drammatica morte dei cento spettatori bruciati vivi ad un concerto dei Great White, Klosterman sente il forte desiderio di capire dove, come, quando e perché è morto il rock: ma soprattutto vuole conoscere il segreto che rende immortali i suoi dei. Il romanzo offre un’analisi vivace ed interessante che non tralascia nessun grande della musica, ma spazia dai Kiss ai Radiohead trasportando il lettore in una dimensione così affascinante

da dover accendere lo stereo per rivivere la magia di quelle tanto celebri quanto maledette note. Il viaggio alla ricerca di quei luoghi, diventati meta di pellegrinaggio, si rivela fonte di riflessione non solo sulla musica ma anche sulla vita e sull’amore. Klosterman riesce con ironia e semplicità a renderci partecipi del suo viaggio, dandoci la netta sensazione che forse le star sono semplicemente un qualcosa in cui la gente ha estremo bisogno di credere.

IL GIORNO IN CUI IL ROCK È MORTO. VIAGGIO NEL MONDO DELLE GRANDI TRAGEDIE DELLA MUSICA AUTORE EDITORE PAGINE EURO

Chuck Klosterman Mondadori (Strade Blu) 250 15

Pagina a cura di:

MAURIZIO BERNARDELLI CURUZ e ENRICO MIRANI

di Marco Bertoldi

Reichs, Arruga, Jo Nesbo partita come epigona di Patricia Cornwell e della sua È Kay Scarpetta, ma con la sua

Temperance «Tempe» Brennan ha finito per scavalcare la rivale in fatto di qualità e interesse. Parlo di Kathy Reichs, antropologa forense di vaglia, scrittrice affermata e addirittura ispiratrice, curatrice e protagonista (con il suo alter ego letterario) del serial tv «Bones». Di lei ora Rizzoli pubblica Skeleton (pagine 394, euro 19), decima indagine in cui nello scheletro di una ragazzina morta molti anni prima crede di individuare l’amica del cuore che aveva da bambina e che è sparita nel nulla assieme alla sorellina. Fra abbondanza di procedure tecniche e piccoli casi secondari, un thriller al femminile teso e ricco di umanità. Rinomato musicologo e temuto critico musicale, Lorenzo Arruga ha così amato i gialli da arrivare a scriverli. Dopo l’esordio con la vittoria del Premio Tedeschi sul Giallo Mondadori e «Il teatro degli enigmi», passa ora a Rizzoli con O dolce o strana morte (pagine 215, euro 17). Un mystery «semiserio», come afferma l’autore, legato ad una sequenza numerica e ad alcuni versi del madrigalista cin-

quecentesco Gesualdo da Venosa che ispirano ad una giovane il folle disegno di «Estrarre l’armonia della musica e inserirla in tante altre realtà», giovane che d’improvviso scompare… Da segnalare la leggerezza gradevole e colta e la sottile ironia della scrittura di Arruga che si diverte anche citare, con tic veri e nomi fittizi, personaggi reali. In Norvegia c’è un altro musicista-giallista: Jo Nesbo, chitarrista e compositore rock rivelatosi con l’ottimo «Il pettirosso» dove mostra abilità di introspezione e impegno civile in una vicenda di vendetta con radici nel passato. Di lui sempre Piemme pubblica Nemesi (pagine 494, euro 18,90), ancora sul tema della vendetta e in cui torna il commissario Harry Hole, sospettato però di aver assassinato la pittrice con cui aveva avuto una burrascosa relazione e a casa della quale si è recato, ma che non ricorda nulla per eccesso di libagioni. Si svolge invece in Svezia con un killer che viene dagli Usa La linea del male di Arne Dahl (Marsilio, pagine 350, euro 17), felice esordio di una serie innovativa dedicata ad una speciale unità di polizia che si occupa di crimini violenti internazionali.

Riproposto il libro di Piero Jahier apparso nel 1915: un capolavoro di amara ironia sull’amministrazione pubblica

Ecco il burocrate «ideale», creato dal genio italiano Maria Pia Forte È il «sicuro guadagno scarso» la somma astuzia ideata dallo Stato per plasmare il perfetto «uomo amministrativo italico». Ossia colui che è preposto a fare in modo che sia «più facile aver risposta sensata dal muro, e giustizia dal ciuco gravido, che non agli sportelli della pubblica amministrazione». Sapeva di cosa parlava, Piero Jahier, quando scrisse - in questo stile icastico, tutto uno sferzante contrasto fra parole inventate o insolite e tergiversante burocratese - il suo libro d’esordio «Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi». Un’opera dettatagli «dalla pietà cosmica per tutti i funzionari, burattini comandati dalle esigenze della civiltà moderna e dall’infelicità contemporanea». Egli stesso, infatti, era un impiegato statale: era entrato nelle Ferrovie appena nazionalizzate nel 1905, ventunenne, per aiutare la numerosa famiglia in difficoltà dopo il suicidio del padre.

Figlio di un pastore valdese piemontese, fu a Firenze che questo giovanotto dalla fronte alta, la folta capigliatura e lo sguardo profondo, già studente di teologia, entrò in contatto nel 1909 con la Voce, l’innovatrice rivista di Prezzolini e Papini della quale divenne collaboratore con lo pseudonimo di Gino Bianchi: un’opportunità per assaporare, nei ritagli di tempo lasciatigli dall’asfissiante ufficio, qualche boccone di «vita vera». In seguito riuscì a laurearsi in legge. Ma rimase alle Ferrovie; così come conservò sempre la forte tensione morale assorbita in famiglia fin dalla sua dolorosa adolescenza. Un imperativo etico che si ritrova in tutta la sua produzione, sia nelle poesie, sia negli scritti in prosa. Anche la sua «beffa», come Jahier definì le Resultanze, è animata da una sprezzante condanna degli egoismi, pigrizie, viltà e ipocrisie che egli vedeva allignare fra i suoi colleghi. Il libro fu pubblicato nei Quaderni della Voce nel 1915, e poi ristampato da Vallecchi nel

1966, vivo ancora l’autore, il quale vi aggiunse un’«Ultima intervista col Comm. Bianchi», esilarante diatriba sulle onorificenze che apre l’attuale nuova edizione (con introduzione del critico Angelo Piero Cappello). Si ride molto, leggendo questo ritratto dell’esistenza sotto naftalina del Geom. Bianchi Comm. Gino, «uomo medio normale», personaggio irrimediabilmente eterno; e vi si ritrovano diverse esperienze personali, fatte frequentando afasici e intimidatori sportelli di pubblici uffici, dove ci sentiamo sudditi e non cittadini, impotenti di fronte al muro di gomma opposto dall’« uomo amministrativo-spersonalizzato, disumanizzato». Una «creazione autoctona del genio latino», che risponde pienamente a un «paese dove tutti sono intelligenti dove tutti san troppo bene parlare per aver bisogno di saper leggere dove tutti, portando legge di misura nella propria coscienza, si ridono del rigoroso comando esteriore», per cui «l’Amministrazione pubblica non poteva che aver ca-

rattere di ostacolo alla troppo felice intraprendenza individuale». Per ottenere questo burocrate ideale lo Stato si serve di una serie di machiavellici accorgimenti: dalla moltiplicazione dei funzionari alla parcellizzazione dei compiti all’ubicazione degli uffici in «casamenticimiteri» al soffocamento di ogni spirito d’iniziativa e all’introduzione di labirintiche leggi, tali da burocratizzare perfino la burocratizzazione. Ma niente eguaglia in scaltrezza, come si diceva all’inizio, il «sicuro guadagno scarso», capace con la sua scarsezza di estirpare alla radice dalla testa dei dipendenti ogni pericolosa velleità, come quelle, che so, di comprare un libro o fare un viaggio; ma che al contempo evita troppo acuti stenti, nemici della «quiete burocratica».

GINO BIANCHI. RESULTANZE IN MERITO ALLA VITA E AL CARATTERE AUTORE EDITORE PAGINE EURO

Piero Jahier Vallecchi 152 12

Burocrazia: in coda agli sportelli

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