2007-01-13

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LA STAMPA SABATO 13 GENNAIO 2007

TUTTOlibri

SETTIMANALE LEGGERE GUARDARE ASCOLTARE NUMERO 1546 ANNO XXXI [email protected]

FULMINI NICO ORENGO [email protected]

A MORETTI UNA COSA DI SINISTRA

Con masochismo rococò continua a Torino la bega sul Festival del Cinema. E-mail e appelli fioccano a sostegno di Rondolino, mentre Barbera ribatte e infila distinguo. L’unica cosa certa è che il candidato Nanni Moretti è sfumato. Peccato, avrebbe sicuramente portato curiosità, nervi, ossessioni, amore per il cinema alla manifestazione e anche alle pasticcerie torinesi, sempre nel mirino del suo sguardo, quando è ospite in città. Ma il rimpianto serve a poco. A lui che chiede di «dire una cosa di sinistra», una cosa di sinistra gliel’han fatta.

STORIA

Dal documento al racconto La finzione per conoscere il passato SCURATI

P. VII

LA CLASSIFICA

Harry Potter vince nel 2006 Il maghetto è il primo dei 100 più venduti GENTA

P. X

DIARIO DI LETTURA

Tra la Francia e il Manzoni L’ebreo Golder e gli sposi dell’Ottocento ELKANN

P. XI

Inedito Il sensuale carteggio fra una sconosciuta

insegnante di lettere e lo scrittore dei Tropici: «E’ vero che le donne italiane sono molto appassionate?»

GRAFFIA IN SICILIA LA TIGRE DI MILLER Il carteggio fra Henry Miller e l’insegnante Emanuela Crescione abbraccia l’epoca 1972-1975. Di Miller sono appena usciti «Il colosso di Marussi» (Feltrinelli, pp. 214, €8, trad. di Franco Salvatorelli) e «Il giudizio del cuore» (Christian Marinotti ed., pp. 238, €22, trad. di Fiorelsa Iezzi).

Sopra: illustrazione di Attilio Mussino per Pinocchio e una vignetta di Arnaldo Ferraguti, «Franti cacciato dalla scuola»

GIANPIERO CHIRICO

«Non conosco quasi nulla dei miei antenati. Credo siano tedeschi. E l'idea non mi piace». Miller: lettere a una siciliana. Un epistolario con echi sentimentali, sessuali e letterari. Un carteggio con suggestioni sensuali, commenti sulla società americana, interventi su autori italiani e stranieri. Un epistolario davvero interessante poiché tra due sconosciuti. Lui lo scrittore di cui le donne americane al ritorno dalla Francia portavano nascosti i Tropici, libri banditi per oscenità dal governo americano, sino al 1961. Lei Emanuela Crescione una sconosciuta insegnante di lettere. Nasce per caso: «Mi ha sorpreso molto ricevere la tua gentile, entusiastica lettera: non credo di averne mai ricevute da un siciliano o siciliana». Il carteggio - comprende una cinquantina di missive e abbraccia tre anni (dal 1972 al 1975) - si spiega con il forte stimolo sentito dallo scrittore statunitense nell'intrecciare una corrispondenza con una donna che sollecitava la sua scrittura e la sua curiosità sessuale: «[…] Mi piacerebbe toccarti, sfiorare la tua pelle[…]»; «[…]ho il dubbio di non poter soddisfare la tua sessualità. Tu hai bisogno di un uomo notte e giorno[…]». Ed ancora si interroga Miller: «E' vero che le donne italiane sono molto, molto appassionate, e che non riescono a essere soddisfatte anche se vengono amate spesso?». Non mancano riferimenti su scrittori italiani: si sveglia un giorno l'autore pensando a Cuore di De Amicis preferendolo al

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Continua a pagina II

Henry Miller visto da Levine

MI SONO SVEGLIATO PENSANDO A DE AMICIS Henry Miller 444 Ocampo Drive - Pacific Palisades California 90272 […]1974 Cara Emanuela, Oggi ti sto scrivendo in inglese. Questa mattina mi sono svegliato con il delizioso ricordo di un libro, che ho letto quando ero ragazzo - Cuore intitolato in inglese Il cuore di un ragazzo. Credo che tu conosca De Amicis. Insomma, questo libro mi ha impressionato molto quando l'ho letto, primo per la sua

particolare sensibilità, secondo perché riguardava il popolo italiano di quel tempo. Ho anche letto Pinocchio di un altro italiano, è stato scritto da Collodi o un nome simile. Comunque, Pinocchio non mi ha impressionato come Cuore - probabilmente perché è la storia mi è sembrata troppo irreale. Suppongo che questi libri sono ancora letti dai bambini di tutto il mondo, come Alice, nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll. Tu che ami i libri così tanto, hai letto questi con gli occhi di bambina? […]Bene, devo smettere di scrivere. Fammi avere tue notizie presto. Fammi sapere se va bene che io ti scriva in inglese. Mi sarebbe piaciuto conoscere un poco d'italiano. Baci adesso Henry Miller

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Agenda

II

Tuttolibri

SABATO 13 GENNAIO 2007 LA STAMPA

SCRIVERE A

LA POSTA DI CARLO FRUTTERO

Leopardi a memoria? Caro Fruttero, in quante buone vecchie famiglie c'erano sempre zii e zie che ripetevano «Godi fanciullo mio» e «Stagion lieta è cotesta», ignari di qualunque autorevole «Famiglie, vi odio». I bravi nipotini, diligenti scolaretti, usavano ancora ammonire «Garzoncello scherzoso....» il vecchio zio. E alla prozia: «Ecco a voi la gallina, tornata in su la via, che ripete il suo verso». Ma si

Carlo Fruttero, Tuttolibri-La Stampa, via Marenco 32, 10126 Torino [email protected]

studia ancora Leopardi a memoria, oggidì? E quanti studiosi piccini brandiscono lo scopino del cesso con la pargoletta mano, cantando «A lancia e spada il Barbarossa in campo», nel salottino di nonna Speranza? Cari saluti e auguri. Alberto Arbasino.

Sì, è ancora il caso Caro Arbasino, le sue letterine lievi e appena crepitanti scaricano poi sempre fulmini angosciosi. E' vero, si

studia ancora Leopardi a memoria nelle nostre scuole? Sono poco informato, posso solo dire che tre anni fa un mio nipotino dovette commentare minuziosamente «Ei fu siccome immobile», composizione che dopo tanto tempo mi sembrò difficilissima (e non bellissima) anche solo da capire verso per verso. Lo aiutai come potevo e lo commiserai. Mi chiesi: ma è ancora il caso? Alla fine mi sono convinto: sì, è ancora il caso. Anche «T'amo o pio bove»? Anche. «La pioggerellina di marzo»? Sissignore. E il «giallo» della cavallina storna che denuncia l'assassino con un nitrito? Assolutamente. Perché poi in verità non saprei

dire. In una intervista tv che ogni tanto fanno rivedere Italo Calvino raccomandava anche lui lo studio a memoria della poesia, quei versi, sia belli sia brutti, ti terranno compagnia in tarda età, diceva. E frattanto sono venuti Gassman e Benigni a leggere Dante da cima a fondo con gran successo. E' la scoperta del piacere della condivisione poetica? Della lingua comune? Dell'amor di Patria addirittura? Parole grosse, che gente di poca fede quali, immagino, siamo Arbasino e io non pronunceranno mai. Senza poi contare che allora anche «Deh ridatemi la speme», anche «Ma l'amore no...». CF

PROSSIMAMENTE

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na festa a sorpresa, per i 100 anni della Mondadori: 4 Meridiani dedicati al giornalismo italiano dal 1860 al 2001. I primi due, 1860-1900 e 1900-1939, in questo 2007 felicemente cruciale per la nostra massima editrice, nata nel 1907 dall’iniziativa spericolata di un quasi ragazzo che si chiamava Arnoldo Mondadori. Un secolo che sarà celebrato in vari momenti. Uno dei quali, fondamentale, è proprio in questo progetto che unisce due delle anime di Segrate, libri e giornali. L’idea, perfetta per l’occasione e di assoluta attualità, è nata e condotta in porto da Renata Colorni, protagonista della cultura italiana oltre che autorevole figura della nostra editoria. Germanista di eccellenza e traduttrice, la responsabile della collana-regina mondadoriana ce ne dà un annuncio-flashin anteprima. Affidato alle cure di Franco Contorbia, sarà un vero e proprio evento. Poiché, tutta costruita con i testi delle grandi firme che, su quotidiani e periodici, hanno testimoniato i giorni della nostra vita, questa non diventerà solo la storia del nostro giornalismo. Una volta completata l’operazione con il terzo e quarto meridiano (dal 1939 al 2001 e non è stato un caso fermarsi a questa data) si leggerà come la storia, «estremamente sfaccettata», di quasi centocinquant’anni dell’Italia e del mondo. Un grande romanzo corale. Ricco di dissonanze. L’ULTIMO PIRANDELLO

Ma la festa «non è tutta qui». Almeno due altri Meridiani sono stati pensati nell’ambito del

centenario. Il primo volume dei «Romanzi» di Thomas Mann a cura di Luca Crescenzi con I Buddenbrook e Altezza reale nelle nuove traduzioni di Silvia Bortoli e Margherita Carbonaro con un saggio di Marcel ReichRanicki, il più celebre dei critici tedeschi. La chiusura del «ciclo» pirandelliano con il IV tomo delle «Maschere nude», curatore Alessandro D’Amico: singolare per il doppio frontespizio che indicherà l’inserimento, in appendice, delle 11 pièces pirandelliane in dialetto, filologicamente accompagnate da Alberto Varvaro e con un, si preannuncia, delizioso testo di Camilleri. DIRITTI E CLASSICI

Su entrambi i fronti si è discusso ampiamente in questi giorni, con la Mondadori ancora una volta in primo piano. Attorno all’autore del Fu Mattia Pascal che Segrate ha pubblicato in esclusiva sino a fine 2006, le ultime notizie confermerebbero che, scaduti il 31 dicembre i 70 anni di copertura dei diritti sulla sua opera, i medesimi non verranno prolungati, nonostante l’istanza di alcuni tra gli eredi. «La (quasi) conferma ci viene proprio dai diretti interessati» spiega Renata Colorni che poi, per quanto riguarda la querelle sui classici (spariranno da biblioteche e cataloghi?), non si lascia coinvolgere più di tanto. Il III volume del «Teatro» di Eduardo, il primo volume dei romanzi di Saul Bellow con saggio di Guido Fink, le «Opere» di Spinoza stanno a dimostrare che la responsabile dei Meridiani resta più che mai fedele alla propria linea di lavoro. Che comprende, come sempre, new entry, talvol-

MONDADORI UN SECOLO GRANDI FIRME MIRELLA APPIOTTI

La casa di Segrate festeggia il centenario con quattro Meridiani dedicati al giornalismo italiano dal 1860 al 2001, un grande romanzo corale

Segue da pagina I

Pinocchio di Collodi, ritenendo la seconda una storia irreale. Henry Miller e la siciliana non si incontreranno mai, sebbene più volte si legge di un viaggio e del desiderio di vedersi; le avances dello scrittore spinsero però la donna a smettere di scrivere, la corrispondenza infatti si interromperà alla fine del 1974. Le lettere che in stralcio si pubblicano sono conservate dalla poetessa, mentre quelle all'autore dei Tropici probabilmente sono andate perdute. Nelle missive presentate non mancano riferimenti di Miller all'America; non la considera Patria, accorda la propria fedeltà alla Francia e scrive: «Gli Stati Uniti stanno seguendo la sorte dell'antica Roma.

Sarà finita in altri venti anni. Per come la vedo io, credo che l'America sarà il futuro del pianeta; e i cinesi condurranno il gioco». In due anni, il colloquio si fa sempre più aperto, si chiede il perché di tanto attaccamento ad una sconosciuta, che definisce nel 1974 «una specie di tigre appassionata di letteratura e amore». Il tono delle lettere sembra l'atto di un uomo che di fronte alla sua vecchiaia, vuole ancora dichiarare e vivere il suo «essere lussurioso». L'autore scrive sempre con una penna nera su fogli di carta gialli o bianchi. Vi sono missive lunghe anche otto pagine; non mancano storpiature ed errori di grammatica, che Miller commette quando usa il francese, con cui spesso inizia le missive per terminare in inglese.

E MOCCIA VA DA RIZZOLI

Medaglia d’argento del 2006 dietro Harry Potter, quasi 3 milioni di copie solo in Italia fra Tre metri sopra il cielo e Ho voglia di te, l’autore più amato dai giovanissimi, per il suo terzo romanzo, lascia Feltrinelli. Scusa ma ti chiamo amore esce il 7 febbraio da Rizzoli 24/7. Per questa storia in cui il mondo degli adolescenti si scontra con quello degli adulti, protagonisti il trentasettenne Alex e la diciassettenne Niki, «volevo cominciare anch’io una nuova avventura». Comincia bene: 300 mila copie di prima tiratura. SELLERIO SNOB

Forse non vuole, la amata signora Elvira sempre più centrale nel mondo dell’editoria, lasciarci leggere la quarta di copertina di alcuni suoi libri. Caratteri poco inchiostrati su carta marrone o verde, come nella preziosa collanina «Il divano». Buio pesto. Sorte toccata, per contrappasso, anche al piacevole Dizionario Snob del Cinema. Snob, con un pizzico di sadismo...

La tigre di Miller p

ta particolari: come il Cassola, respinto dalla critica nei Sessanta-Settanta, ora protagonista, a 20 anni dalla morte, del primo Meridiano del 2007 con i suoi «Racconti e romanzi» affidato alle cure di una bravissima Alba Andreini. Forse anche Cassola ormai non può non dirsi un «classico» come Fosco Maraini le cui «Opere scelte» frutto del lavoro di Franco Marcoaldi usciranno a ottobre. P.S. L’equivoco classici-non classici: gli è che tutto ormai succede in fretta, nell’editoria come nella fabbrica dei Santi...

Una lettera autografa di Henry Miller

DICO ADDIO AI TROPICI Ocampo Drive - Pacific Palisades, California 90272 18 gennaio 1973 Cara Emanuela Mi dispiace rispondere così tardi alla tua gentile lettera del cinque dicembre. Non sono andato in ospedale, ma ho avuto l'influenza e molte cose da fare (incisioni all'acquaforte e litografie) per la mia raccolta di arte

giapponese. Tutto quello che dici della tua vita e dei libri mi tocca profondamente. Penso sempre alla Sicilia come un posto molto austero, soprattutto per le donne. Quando ero in Italia, ho avuto paura di venire in Sicilia, pensavo che fosse ostile verso gli stranieri, soprattutto americani. So che è una bellissima parte del mondo, nella quale il sole gioca un ruolo fondamentale, e pure la Tradizione. Certamente, gli antichi greci l'hanno apprezzata. Al momento il mio desiderio più forte è quello di visitare - prima di morire - l'Oriente: Cina, Giappo-

ne, India, Bali... (...). La mia fedeltà va sempre alla Francia e non all'America. Gli Stati Uniti stanno seguendo la sorte dell'antica Roma. Sarà finita in altri venti anni. Per come la vedo io, credo che l'America sarà il futuro del pianeta; e i cinesi condurranno il gioco. Io non sono comunista, non sono fascista e neppure democratico. La politica non mi interessa. Ho solo il senso della Storia, della storia contemporanea. Mi ha commosso profondamente il tuo desiderio che io viva ancora a lungo: il modo in cui lo hai espresso. Accidentalmente, ho notato che il tuo francese è quasi perfetto rispetto al mio. Accludo qualche cartolina e riproduzioni dei miei acquarelli che piaceranno molto da vedere ai tuoi figli. La mia foto è di quando avevo 3 anni e mezzo ed è autentica. Sembro un piccolo lord Famtleroy, ma quello è come la borghesia di Brooklyn vestiva i propri figli alla fine dell'Ottocento ( 189-'). Adesso devo smettere di scri-

LA RUPE TARPEA LUCIO CALPURNIO BESTIA

GINSBORG LA BANALE DEMOCRAZIA Quando Leo Longanesi commissionava articoli a Indro Montanelli, quest'ultimo si imbufaliva e obiettava: «Me l'hai spiegato, me l'hai riassunto, me l'hai dettagliato: scrivitelo tu». E Longanesi: «No, perché una banalità del genere può firmarla soltanto un imbecille come te». Resta da stabilire chi abbia commissionato allo storico Paul Ginsborg (nato a Londra, ma italiano d'adozione) il saggetto appena uscito per Einaudi: «La democrazia che non c'è» (pp. 152, €8). E' tuttavia probabile che Ginsborg se lo sia commissionato da sé, e che non trovi squalificante né l'idea né l'estensione della medesima. L'idea (scontatuccia) è che le democrazie liberali siano paradossalmente in crisi dal giorno della loro conclamata vittoria, nel 1989, alla caduta del Muro di Berlino. Che lo siano perché la classe politica - in una democrazia rappresentativa - tende a trasformarsi in una élite. Che la classe politica sia elitaria perché il popolo trascura i doveri di partecipazione e controllo da che ha giudicato prioritario il suo benessere e trastullo quotidiano. Che il popolo sia così ripiegato sul proprio ombelico per una serie di fattori fra i quali occupa una posizione predominante - e qui serve la citazione testuale - «la televisione e, in special modo, la televisione commerciale». La televisione commerciale, infatti, non considera gli spettatori cittadini ma membri del mercato. Il mercato, poi, soprattutto nel caso delle multinazionali, è in grado di «decidere del destino di intere comunità». Dunque, che fare? Secondo Ginsborg, serve che la società civile si affini, si ingrossi, si organizzi e sia tramite continuo fra la politica e il popolo, di modo che il popolo riacquisti consapevolezza. Ma forse tutto questo Longanesi non lo commissionerebbe nemmeno al vostro Calpurnio.

vere; sono le due di mattina. I migliori auguri per il nuovo anno (...) Henry Miller 18 maggio 1974 Cara Emanuela, (...).Adesso ho 82 anni. La mia salute è buona, la mia mente viva e lucida, ma sono inabilitato da una gamba malata, dall'artrite al fianco, da un occhio non vedo, sono sordo in un orecchio. Non sono più l'uomo dei «Tropici». Naturalmente, ne sono molto lusingato. Mi farebbe molto piacere. Ma ho qualche esitazione a consigliartelo. Mi capisci? Trascorro molto tempo a letto, fantasticandoci. E' difficile per me convivere con la mia condizione, sebbene l'accetti. Vado in bici, gioco a ping-pong ogni giorno, nuoto, etc. Sto aspettando ancora una tua foto e altre tue poche parole. (...). Ti abbraccio Henry Miller (traduzione e trascrizione di Gianpiero Chirico)

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Il personaggio

Tuttolibri

SABATO 13 GENNAIO 2007 LA STAMPA

lo fanno uno scrittore da Delitto e castigo, più che un giallista. Allora gli domando: «Quando appare per la prima volta la parola furto, ci si emoziona. Sembra che si sia scoperto un tesoro...» «Il furto è una grande avventura. La prima volta che mi è capitato di essere vittima di un furto, è stato in orfanotrofio. Avevo un piccolo armadio con la chiusura. Un bambino era riuscito ad aprirlo, e mi aveva rubato le caramelle. Per me non era concepibile. Non era immaginabile che qualcuno potesse rubare una cosa che mi apparteneva. Quella era una cosa mia! Poi, in seguito, alla scuola militare, qualcheduno mi ha insegnato a rubare. Allora quella è stata un'emozione». Jean Genet quando parla di ladri e furti è morboso, ne fa una gabbia estetica. Lei, invece, niente.

L’ultima intervista Il crime-writer

scomparso nel 2005, di truffa in rapina

BUNKER: UN FURTO DI CARAMELLE MI HA FATTO COSI’ AURELIO PICCA

L'ultima volta che Edward Bunker è venuto in Italia mi sono armato di penna e taccuino e con il mio amico Ago ci siamo portati dietro cavalletto e digitale. L'ho incontrato in un albergo di Roma in un'estate torrida. E' alto un metro e ottanta, indossa un abito di lino, una T-shirt azzurrina come gli occhi e in testa ha un cappellaccio di paglia. E' nato a Los Angeles alla vigilia del Capodanno del 1933. Quando entrò la prima volta nel carcere di San Quintino era il detenuto più giovane. Trenta secondi fa gli avevo chiesto:

«Dalla sua autobiografia (Educazione di una canaglia, Einaudi Stile libero) sembra che lei sia vissuto in un asilo infantile». Ha accennato un sorriso. E mi ha detto: «Certo, è stata una bella scuola. E ho dei ricordi straordinari. Metà della mia vita l'ho passata a raccoglierli. L'altra metà, a scriverli». Il crime-writer celebrato in America, tradotto in Italia con i romanzi Come una bestia feroce e Cane mangia cane, l'organizzatore di truffe e rapine incluso dall'Fbi nella lista dei dieci criminali più ricercati, l'attore e la comparsa in una trentina di film possiede di sicuro un serbatoio di fatti e volti e storie che

Sì. «Sì» sta a significare che Bunker non spartisce niente con romanticismi, decadentismi, compiacimenti letterari. Bunk racconta con la grammatica forgiata sulla strada. Non le sembra che Los Angeles, oltre a essere una metropoli spirituale, è anche una immensa tendopoli indiana?

«E' vero. Sono i messicani che lo dicono. Dicono: è un barrio, cioè un villaggio. Un grande villaggio indiano delle tribù di quella zona. Del Sud-Ovest».

Quando in «Educazione di una canaglia» ricorda la morte della sua cagnetta, si legge che ha provato un grande dolore. Signor Bunker, preferisce più gli uomini, o gli animali?

«Un cane non ti tradirà mai. Io mi sono rivoltato contro tutti, perché me l'avevano ammazzata. I miei genitori li ho odiati. Non li ho mai perdonati. E ho cercato di fare a loro lo stesso male che avevano fatto a me». La sua prima ragazza è stata italiana. Un amico di cui fidarsi: italiano. Nei penitenziari mangiava spaghetti. Che idea ha del nostro Paese?

«So un po' della vostra storia: Mussolini. E so di un re che ha unificato l'Italia insieme a un altro signore. E poi ho studiato che avete una storia lunghissima che neppure voi conoscete. Fatta di battaglie... E nel vostro Paese si mangia bene!». Ma è vero che lei non si considera uno scrittore noir?

Eddie storce la bocca, dice: «No, non lo sono. Qualcuno lo pensa, ma io no. Gli scrittori noir non sanno niente del crimine. Non sanno niente della realtà vera. Scrivono buone storie. Qualcuno mi piace. Li leggo. Ma non tutti. Sono troppo realista per essere considerato uno scrittore noir. Il noir si ispira al fantastico, al bizzarro, al lato oscuro». Bunker fuma una Camel dietro l'altra e si diverte.

III

THE END

Lei è stato tanto attratto dal caos, forse perché nato nel giorno del terremoto?

«Sono stato concepito nel giorno del terremoto. E sono nato in un giorno di tempesta. Comunque, funziono meglio nel caos. Nel caos so reagire. Quando gli altri vanno in tilt, io sono determinato. Negli incidenti d'auto: quando gli altri sono a pezzi, io vado e li tiro fuori». Mentre gli parlo mi viene in mente un passo della sua autobiografia. Quando ricorda che è stato per cinque giorni rinchiuso in una cella d'acciaio di tre metri quadri.

EDWARD BUNKER

Stark

EINAUDI trad. Cristiana Mennella pp. VI-180, €13

Edward Bunker Nella collana Stile Libero, l’ultima storia di Bunker. «Stark»: ovvero crudo, aspro, duro. La storia di un piccolo delinquente nella California del Sud, primi anni Sessanta, a prova di ogni redenzione. Corredano il libro due scritti: di James Ellroy («... un po’ Mickey Spillane un po’ esistenzialismo francese») e Jennifer Steele.

Anche quando tratta la più estrema delle solitudini lei è misurato. Non spende pagine in pianti...

«Non si può essere più soli di così. Come sono stato io in quella cella a quindici anni. Ero un topo in gabbia. E anche cattivo come un topo di fogna. Ecco: ero un topo di fogna».

Un mio amico scrittore che di notte fa il vigilante dice che la giustizia non funziona perché i giudici sono individui che non si cambiano i calzini. Sono persone che trascurano la biancheria intima...

LA VITA UNA CANAGLIA CLASSE 1933

«Di storie sui giudici ne ho sentite tante. Di alcuni raccontano che sotto la toga non portano niente. Che vanno in giro nudi per le aule dei tribunali. Ma questa sui calzini non l'ho mai sentita. Io non so che cosa è la giustizia. E molta gente non lo sa come me».

Edward Bunker, nato a Hollywood il 31 dicembre 1933, è scomparso a Los Angeles il 19 luglio 2005. Ha sposato Jennifer Steele, da cui ha avuto un figlio. In Einaudi Stile libero Bunker ha pubblicato «Cane mangia cane» (1999), «Come una bestia feroce» (2001), l'autobiografia «Educazione di una canaglia» (2002), «Little boy blue» (2003) e «Animal Factory» (2004), tutti piú volte ristampati.

Senta, Bunk, prima di spegnere la luce e mettersi a dormire, a che cosa pensa?

Speravo mi rispondesse: penso alla morte. Uno scrittore che racconta di crimini e di piani feroci alla fine, la morte, non può farla scomparire così. In fondo speravo che mi rispondesse come Scorsese in una lontana intervista a Playboy. Invece la sua risposta è stata: «Penso se riuscirò ad addormentarmi».

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IL GAMBERO ROZZO 2007 Guida alle osterie e trattorie d’Italia Più che una questione d’etichetta è una questione di forchetta

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«La rozza sintesi potrebbe essere: è la guida che mancava. E il suo

Una raccolta di 531 ricette regalate ai “gamberoniani rozzi“ golo-

autore, sempre rozzamente parlando, si potrebbe definire il “giustiziere della tavola“.»

si da tanti cuochi e cuoche, osti e ristoratori presenti nella prima e nella seconda edizione del Gam-

la Repubblica «L’hanno soprannominato il Dan Brown della panzanella – e lui ne va fierissimo. Il “Codice“ di Carlo

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Cambi si chiama Il Gambero Rozzo e vuole essere una contro-guida

bero Rozzo. Ricette del cuore, della tradizione, delle mamme e delle nonne, che si possono gustare ai tavoli di quelle trattorie o cucinare in casa per i propri amici.

alle trattorie d’Italia.» Corriere della Sera

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IV

Narrativa italiana Cesare Pavese E’ uscita da Rizzoli la biografia «Quell’antico ragazzo» scritta da Lorenzo Mondo

Su Whitman Nella tesi di laurea

il ritratto dello scrittore da giovane

LA PRIMA FOGLIA DI PAVESE

p p p p p p

Cesare Pavese INTERPRETAZIONE DELLA POESIA DI WALT WHITMAN a cura di Valerio Magrelli EINAUDI, pp. 158, s.i.p. TESI DI LAUREA

LORENZO MONDO

Pavese laureando, Pavese laureato. Un profilo del giovane e ancora incognito scrittore ci viene proposto attraverso la sua tesi di laurea, pubblicata per la prima volta da Einaudi in una edizione (per il momento) non venale, a cura di Valerio Magrelli. Si intitola Interpretazione della poesia di Walt Whitman, e rappresenta il punto d’arrivo di una precoce ammirazione per il poeta delle Foglie d’erba, e insieme il punto di partenza della sua carriera

di americanista. Molto si è discusso, senza arrivare a precise conclusioni, sul fatto che il titolare della cattedra di letteratura inglese, Federico Olivero, quella mattina del 20 giugno 1930 non si sia presentato alla seduta di laurea, sicché fu sostituito dal francesista Ferdinando Neri. Qualcuno sostenne che Olivero fosse disturbato dagli influssi della critica crociana riscontrabili nella tesi, altri dalla non meno evidente polemica contro la boria nazionalistica del regime fascista. Forse si trattò semplicemente di tiepido interesse per Whitman o di qualche banale impedimento. Forse, come opina Magrelli, fu sconcertato da quelle pagine in cui «emerge un brio, una sicurezza, una sicumera, che sconfinano apertamente nell’arroganza». Pavese fu comunque promosso con il punteggio di 108 su 110, un riconoscimento che non rende del tutto merito ad un testo che, tenuto conto dei ventun’anni dell’autore, appare straordinario. Ed è inutile dire che proprio nella giovanile baldanza, nella prepotente intromissione dell’io sta l’interesse della sua scrittura. Pavese si propone, niente di meno, che di liberare Whitman dalle incomprensioni dei suoi interpreti, anche dei più titolati. Le disquisizioni sulla biografia e sulla metrica adottata dal «magnifi-

Spina «I confini dell’ombra» tra era coloniale e decolonizzazioni

ITALIANI BRAVA GENTE, UNA FUGA CHE NON HA FINE p p p p

Alessandro Spina I CONFINI DELL'OMBRA MORCELLIANA pp. 1268, €49

Tuttolibri

SABATO 13 GENNAIO 2007 LA STAMPA

co fannullone» vengono seccamente respinte da chi si lascia guidare dal solo criterio di poesia e non poesia. Il motivo conduttore del saggio, al di là dell’analisi sui singoli componimenti, consiste nella scoperta che Whitman «non fece il poema primitivo che sognava, ma il poema di questo suo sogno», che «fece poesia di fare poesia». Il prendere a modello i grandi poemi nazionali della letteratura universale rivelerebbe la sua natura letteratissima; l’aspirazione a immergersi, fuor da ogni costrizione, nella natura panica e nell’universale «comradeship», ne farebbe, paradossalmente e senza ingiuria, un modernissimo «arcade». Spetta all’anglista giudicare la pertinenza delle sue osservazioni in termini generali e puntuali. Quello che a noi interessa è il partito che ne seppe trarre lo scrittore Pavese. Il mito, certo, di una natura sottratta alla pura resa naturalistica, la tensione volontaristica a costruirsi una immagine di poetapioniere proteso a una continua scoperta. E, nonostante la qui proclamata avversione a trattare di scienza metrica, l’influsso whitmaniano sui versi distesi e assonanzatidei Mari del Sud. Anche in alcuni tratti laterali e digressivi si possono cogliere indizi significativi. Ad esempio, dove Cesare ravvisa la presenza di uno «sfogo idillico» o utopistico, rispetto alla vita artificiosa delle metropoli, nell’Anderson di Riso nero. Anderson ricondotto in qualche misura alla famiglia di Whitman, come lo stesso Melville: «La “Balena” passa per una truce saga del mare e basta. Ora io credo che tra le sue pagine migliori siano proprio, oltre la continua atmosfera di terribilità puritana del mare, la navigazione trasognata di Ismaele nel Pacifico e

Un testo, tenuto conto dei 21 anni dell’autore, straordinario: unica guida il criterio di poesia e non poesia gli accenni episodici alle isole del corallo...». Si tratta, con evidenza, di una interpretazione riduttiva di Moby Dick, che Pavese, di lì a poco traduttore del gran libro, non mancherà di rettificare. Il lettore - conclude Magrelli - «non potrà che restare ammirato e insieme commosso dallo slancio con cui questo ventunenne delle Basse Langhe faceva il suo tonitruante ingresso nella Letteratura». E lo faceva con uno scritto vicario che, vergato in lode di un poeta amatissimo, forniva in controluce - tra feconde e ancora malcerte intuizioni - un seducente, autobiografico ritratto di artista da giovane.

GIOVANNI TESIO

Cinquant'anni di lavoro per Alessandro Spina, nom de plume, maschera pseudonima che suggerisce un volto consacrato alla vocazione del rifugio e del riparo. Undici titoli tra romanzi e racconti divisi in tre segmenti che corrispondono ai tre tempi di un ampio ciclo nordafricano dal titolo sfuggente e complessivo, I confini dell’ombra, ora interamente raccolto in un grosso volume di quasi milletrecento pagine pubblicato dalla Morcelliana di Brescia. Tre campate (la conquista coloniale, l'età coloniale, la decolonizzazione) di una «vasta cathédrale», come elegantemente suggerisce Pietro Gibellini nell'Introduzione. Dal primo titolo (Il giovane maronita) all'ultimo (La riva della vita minore), non un percorso rigorosamente cronologico ma un condensato esemplare di momenti cruciali («è la somma che crea la diacronia»). Altrettanti nodi di un movimento polare che si gioca sulle due

PAROLE IN CORSO GIANLUIGI BECCARIA

DIALETTO CHE BRIGANTE

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apita spesso di trovare mantenuti in vita nei dialetti d’Italia nomi propri di personaggi dimenticati diventati localmente popolari. In Abruzzo per esempio marchesciarre viene detto di un “prepotente”: era il nome di un bandito, Marco Sciarra, che combatté per Venezia contro gli Uscocchi. Invece nel Lazio un cascbarrone si dice di un uomo crudele, dal nome del famoso brigante Antonio Gasparone da Sonnino, celebre per le sue scorrerie nella campagna romana. Carla Marcato e Manlio Cortelazzo, benemeriti autori di un prezioso dizionario etimologico dialettale, ci ricordano che l’eco dell’imprese efferate di Mastrilli superò l’ambito regionale, tanto che il detto al n’à fat piò che Mastréll è vivo in emiliano, a Modena, ed è testimoniato anche nella fascia lagunare, da Chioggia a Venezia.. Ma nei dialetti non si ricordano soltanto banditi. Tra il popolo erano in passato largamente diffuse le leggende del ciclo bretone o carolingio, e i cantari cavallereschi. In Piemonte falabrách “rozzo, sciocco” riprende il nome di Fier-à-Bras (Fortebraccio); Gano di Maganza compare nel foggiano maganzese "falso, infido"; in Umbria (a Terni) marguttu indica la persona poco raccomandabile, oppure uno sciocco, dal nome del celebre gigante, l’aiutante di Morgante. Al Nord troviamo marfisa, dal personaggio dell’Orlando Furioso, nel senso di “persona molesta”, in Romagna “donna astutamente contegnosa”. Dal nome proprio Drusiana, del Bovo d’Antona e dei Reali di Francia, arriva il tosc. drusiana, trusiana “vecchia arcigna, o sciatta”; a Chioggia drusiana (e drosana nel Polesine) indicava un ammasso di nuvole “arruffate”, che portano pioggia (dicono) se nere, vento se bianche.

sponde di un'attualità fortemente inattuale. Come definire altrimenti un' impresa che contrasta con tutti i canoni della velocità e del consumo, della moda e dell'omologo cui oggi si officia con invadente dimestichezza? Ma anche: come ignorare l'insipienza di un paese come il nostro che i veri conti con il suo colonialismo non li ha mai voluti fare, preferendo la favola degli italiani brava gente, onesti filantropi in terra d'Africa? Un'infelice vicenda che del resto s'accompagna ad interpretazioni sciaguratamente illustri: D'Annunzio, Pascoli, il Croce della Storia d'Italia, cui non sono bastati i meritevoli volumi di Angelo Del Boca ad opporre la più fiera resistenza. Una bella sfida, insomma, quella che lo stesso Spina definisce nel saggio autobiografico finale, La posterità dell’ombra, in cui traccia con malizia e precisione le coordinate del disegno che lo ha impegnato così a lungo. Non senza disdegno per le lo-

Ragazzini Tra Anni 80 e 90,

primi squilibri ormonali, primi amori

NEANCHE UN MOSTRO PER FEDERICO

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Francesco Taccone GLI IMPIETRITI PEQUOD pp. 158, €14.00

PIERSANDRO PALLAVICINI

Federico ha una decina d'anni, fa la quinta elementare. Nel suo mondo senza data non ci sono cellulari, dvd, Internet e astucci firmati. Un computer fa solo da comparsa nella stanza di un fratello maggiore, e allo stesso tempo resiste, nascosto nelle cantine, qualche pacco di giornali porno. Siamo a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta, viene da pensare, in questa storia di ragazzini dove Federico è l'io narrante. E in questa già lontanissima epoca si crede che la narrazione corra via fino a che, verso la fine, il lettore segue Federico lamentarsi del costo in euro di una piccola spesa. Ma è giusto così, ha senso così: quello di Federico è un mondo a misura di bambino. Un mondo italiano e provinciale, piccolo, esentato dalle trame e dagli sfasci del Mondo con la emme maiuscola. Per Federico niente telegiornali, dunque, niente politica nemmeno sullo sfondo, niente ultime tendenze, niente grandi catastrofi e niente paure. Salvo quelle, non grandi ma enormi, della bolla in cui è rinchiuso un bambino che diventa ragazzino, e sperimenta

giche anche troppo perscrutabili di una odierna e sconfortante sordità editoriale. L'intero ciclo può essere letto come un movimento a più livelli: da un lato la consapevolezza che la conquista italiana della Libia sia - ben più a fondo che un atto di violenza storica - un'ambigua metafora della condizione umana, dall'altro la più specifica idea che tale condizione non si possa dire se non per via allusiva, attraverso un sottile gioco di rifrazioni, riflessi, rimandi, sottintesi, dialoghi intelligenti. Un mondo in continua metamorfosi che viene colto in tutta la sua ottusità. Un' umanità in cima alla sua hybris, ma attaccata nello stesso tempo al filo forte del doppio che l'accompagna come uno smarrimento, come una profezia. Quasi più fantasmi che corpi saldi, spoglie e maschere di un'umanità defilata. Personaggi «ideofori», che interpretano le scene di una disseminata forza del destino. Romanzi e racconti concepiti come testi teatrali, almeno nel

i primi squilibri ormonali e i primi innamoramenti senza che nessuno gli spieghi quel che gli succede. L'autore, Francesco Taccone, viene da esperienze di narrativa per ragazzi e da fumetti per teenager disincantati (la bella serie Hollywood Bau, disegnata da Mauro Marchesi), e in questo suo primo romanzo se ne giova, poiché ribalta la prospettiva - raccontando una storia di bambini per la lettura di un pubblico adulto - facendo palpitare la narrazione delle tenerezze, dei batticuore e delle illuminazioni che riguardano un bambino molto sveglio che si infila nel labirinto della pubertà. Federico ha un talento innato per combinare guai, naturalmente senza farlo apposta, e questo basta per mandare avanti la trama. Insomma, non succede niente di che: non ci sono mostri in agguato, non ci sono genitori psicopatici o cadaveri misteriosi ritrovati nel campo giochi. C'è solo Federico che si oppone a Piergiorgio, figlio di papà; c'è Maddalena che di Federi-

«Gli impietriti» di Francesco Taccone: un piccolo dramma accade come in qualsiasi piccola esistenza co si innamora così che ci scappano i primi baci e anche qualcosa di più; c'è Federico che manda per sbaglio all'ospedale Piergiorgio e che poi all'ospedale, sempre per sbaglio, ci finisce pure lui. Ci sono eventi minimi, irrilevanti per un adulto e fondamentali per un bambino, ma talmente freschi e toccanti - così come escono, storti e goffi, dalla bocca di un bambino irrequieto ma non irriverente - che il libro regala lo stesso una lettura mozzafiato che porta, felicemente in crescendo, fino al finale. Dove un piccolo dramma accade con naturalezza e misura, come in qualsiasi piccola vita.

senso che sono frequenti i richiami al linguaggio del teatro (attore, scena, dramma, tragedia, commedia, agnizione, melodramma, gag), frequenti i dialoghi a due, a tre, a più personaggi, non meno frequenti i monologhi. Tutto è concepito come uno spazio scenico in cui si muove l'onnipresente figura del doppio, dell'estraneo, dello straniero, del diverso, del sosia, dell'altro, del magico, dell'irrazionale, del «fantoccio» (l'automa, il replicante), del mostro, della metà (l'altra faccia del doppio). Pur non venendo meno al suo valore di denuncia, la questione coloniale tocca qui il più alto grado del suo valore di metafora, di emblema della condizione umana. Entro uno spazio solidamente ancorato alla storia, non altro che un modo per interpretare il singolare e specialmente traumatico gioco della deriva e della «fuga senza fine». Umanità che si perde nei suoi giorni ultimi, smarrita e prigioniera nel reticolo delle sue tragicomiche illusioni.

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Il caso letterario

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SABATO 13 GENNAIO 2007 LA STAMPA

Eugenio Montale nacque a Genova nel 1896 e morì a Milano nel 1981. Fu insignito del premio Nobel nel 1975

Versi e lettere Una scia di inediti di cui veramente

non urgeva la necessità, il rapporto con la sorella Marianna ancor più oscurato, un gossip da settimanale patinato

CARO MONTALE, MA QUANTE OCCASIONI PERSE GIUSEPPE MARCENARO

È avvenuto. Eppure lo aveva raccomandato lui stesso: «Non aumentate le dose». Tant'è. Che poi Montale abbia voluto informarci d'essere vissuto al cinque per cento è una delle sue brontolate boutade. Contraddicendosi con una bella scia di «inediti» a cominciare dal controverso fuoco artificiale con botto - a miccia lunga - da lui medesimo predisposto per il proprio centenario e conosciuto come Diario postumo; per arrivare al recente (estremo?) La casa di Olgiate e altre poesie, edito più a giubi-

lo dei curatori che per aggiungere altri «misteri montaliani» al mondo. D'altra parte è per chiunque un' occasione ghiotta poter mettere le grinfie su una silloge inedita del maggior poeta. E potervi aggiungere, per buon peso, tutta un'acribia di note, che comunque lasciano il tempo che trovano, e il cui sovrano merito è semmai quello d'offrire al lettore (o agli esegeti) esercizi da ragionieri al trapezio eseguiti con surrealistico fervore. Un esempio? Pagina 93, nota alla poesia Simon Boccanegra: «Manoscritta in inchiostro (stilografica?) blu; la direzione della scrittura presuppone una rotazione del

quaderno di 180˚». Formidabile. E come la mettiamo con i critici da me depistati? Col dubbio veramente amletico che i sacri versi siano stati vergati a stilografica o con altro instrumento? Sarebbe cambiato qualcosa? Naturalmente tutto, visto che dall'eruditissima informazione si apprende che i versi Simon Boccanegra furono composti nel senso contrario del normale verso del quaderno, e cioè passabilmente a testa in giù. La schizzinoseria dei commenti dà comunque il senso di quanta attenzione - dovutissima - sia stata rivolta all'Eusebio nazionale e a questi manoscritti in particolare, gelosa-

mente conservati da Gina Tiossi, la quale, come fece Celeste Albaret con Marcel Proust, del suo accudito ha salvaguardato giustissimamente fin le note della spesa, per poi generosamente passarle al suo destino naturale: il Fondo Manoscritti dell' Università di Pavia. Al di là della «nuova» silloge di cui veramente non urgeva la necessità e che non aumenta certo la conclamata intensità dell'opera di Montale, e che non svela altri reconditi percorsi di una poesia somma, l'uscita del volumetto pone invece una questione. Se sia lecito ai posteri rendere pubblici, di un letterato, testi che egli ha probabilmente scartato perché nel suo giudizio non perfettamente riusciti anche se, come in questo caso, assolutamente con l'inconfondibile imprint. Anche con la mano sinistra e la testa da un'altra parte la genialità di uno come Montale schizza comunque fuori. Opportuno invece è rendere noti semmai dei correlati, come lettere e diari che possano chiarire, ve ne fosse bisogno, l'avventura di una creatività, per aiutare a leggerla e maggiormente comprenderla nelle pieghe più nascoste. E allora sì che l'opera di un curatore diventa essenziale. Lavoro di alta dedizione contraddetto fragorosamente proprio con un altro volume montaliano, Lettere da casa Montale (1908-1938), uscito anch'esso di recente. Gli astri in questi ultimi tempi non devono aver guardato con particolare fervore il grande Eusebio. Se il libro di versi - La casa di Olgiate - sgronda di un apparato da partita doppia con postille da accademismo visionario, un cui pallido esempio si è citato, l'altro, quello delle lettere, che di note avrebbe avuto assoluta necessità, non ne ha neppure una, condizionato come è in una forma tipo excursus familiar-biografico d'antan. Invece di contribuire a maggiormente chiarire il rapporto di Eusebio con la propria famiglia, specialmente all'insorgere della creatività poetica, soprattutto la confidenza affettuosa e con la intellettualmente stupenda sorella Marianna, il risultato è di una disarmante sfocatura. Peccato. Un'occasione perduta, dovuta, con l'attenuante di un giudizio opinabilissimo, alla curatrice, Zaira Zuffetti Pavesi, di Lodi, la quale se di montaliano ha qualcosa è il nome: sembra mediato da un personaggio di Farfalla di Dinard, specie quando, esibendo le proprie qualità, si presenta come «saggista e già docente di Lettere presso i Licei». È evidente come questo grosso tomo abbia tuttavia a che fare con Montale soltanto di sponda. Nella Nota in apertura di volume, per ammissione della stessa curatrice «Non è infatti di Eugenio che qui si vuole parlare, anche se, di riflesso, l’infanzia e l’adolescenza del poeta emergono con limpida definizione, ma della vita di una straordinaria figura di donna [la sorella Marianna] che aveva come sogno e come vocazione quella di scrivere…». «Prima musa

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EUGENIO MONTALE

La casa di Olgiate e altre poesie a cura di R.Cremante e G. Lavezzi, MONDADORI, pp.104, € 9,40

ZAIRA ZANETTI (a cura di)

Lettere da casa Montale L'ANCORA p p. 748, € 30,00

di Eugenio» la definisce Roberto Vignolo - nipote di Luigi Vignolo che in seconde nozze sposò Marianna Montale - aprendo il volume con la prefazione «della famiglia», la cui visibile presenza si giustifica anche nella diffusa genealogia dei Montale e dei Vignolo - resa nota da pag. XIX a XXI - con presenti tutti gli aventi diritto, nei vari gradi, con personali vite, morte e «miracoli», in una immaginaria fotografia di gruppo, a far da corona e a esistere grazie alla luce riflessa emanata dal parente premio Nobel. Per buon peso a completare la padellata delle recenti montalerie, già annunciato come portatore di rivoluzionari scoop, un altro volume, vient de paraître, dovuto a un «montalista di lungo corso» che svela un ulteriore personaggio, femminile manco a dirsi, dell'ingarbugliata «avventura sentimentale» di Eusebio. Celata in un Mottetto e affiorata dal pack poetico fa capolino una nuova «musa»: Maria Rosa Solari. Una misteriosa «pantera peruviana» che al suo tempo sembra avesse già fatto ingelosire Clizia [IRMA BRANDEIS]la quale, volitiva com'era, desiderava vampiristicamente tutto il fantasma poetico dei Mottetti tagliato e cucito addosso a sé (Cfr. Lettere a Clizia, Mondadori, 2006). Gli svelamenti, ci mancherebbe, sono più che legittimi. Talvolta però il dissanguamento dei misteri contribuisce purtroppo a traghettare la poesia verso il gossip da settimanale patinato, trasformando, come in questo caso, l'aura dei versi di Montale in sciarade e logogrifi da smontare a godimento di un narcisistico esercizio da accademia, per nulla letterario, assimilando così la più alta poesia italiana del Novecento a un numero della «Settimana enigmistica».

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Narrativa straniera

manzo La ballata di Iza scritto negli Anni Sessanta, ed ora proposto da Einaudi nell'impeccabile traduzione di Bruno Ventavoli, Magda Szabó, la scrittrice ungherese quasi novantenne (è nata nel 1917, l'anno dopo la morte di Francesco Giuseppe) costruisce una fascinosa geometria degli affetti che si dissolve in disperante solitudine. Come già nel romanzo La porta, premio Mondello 2005, il disagio di un'intera epoca prende corpo in complessi destini individuali, in figure femminili a contrasto, e infine in una sorta di drammatica epopea della terza età. Come là era l'anima balzana, imprevedibile, misteriosa della domestica Emerenc Szeredás a tenere banco, qui è Etelka che sfugge alla severa disciplina della figlia, in un gioco di senili velleità, di dialoghi elusi, di tenerezze disattese. Magda Szabó è artista insuperabile nel conferire alla quo-

tidianità quasi una dimensione epica, i cui personaggi sono sentimenti e sensazioni, fantasmi inconsci, rovelli. Ma soprattutto un bisogno di autenticità e di partecipazione che paradossalmente proprio l'amore filiale preclude. Perché Iza che ha deciso di portare con sé a Pest la propria madre organizzandole la vita fin nei più minuti dettagli non si avvede che le sue attenzioni scavano un baratro sotto i piedi della vecchia Etelka. Strappata al suo mondo, l'anziana donna di campagna non si raccapezza più e lo spaesamento diventa lenta, inarrestabile fuga in un passato di ombre, con un tragico raptus finale in cui la Szabó dà il meglio di se stessa come scrittrice. Ma il romanzo non è solo il mancato dialogo fra madre e figlia. E' un testo corale, intessuto di molte voci e prospettive, di ragioni individuali e di storiche verità. Iza, vittima della sua stessa generosità, troppo controllata ed efficiente, razionale al punto da rimuovere ogni parvenza di sentimento, ha dietro di sé un matrimonio fallito con il collega Antal, che ormai, «le è più lontano del cielo». Quel loro problematico legame attraversa, fra mille interrogativi, l'intero romanzo e sigla, ancora una volta, nell'ottica fra uomo e donna, la storia di un cuore arido per troppa ritrosia. E ad Antal si aggiunge il nuovo compagno di Iza, lo scrittore Domokos: anch' egli un tassello di un futuro senza speranza. In quest'atmosfera plumbea solo la figura di Lidia, l'infermiera che ha assistito Vince fino all'ultimo, e di cui Antal è ora innamorato, sembra adombrare una possibile forma di riscatto. Lidia dà voce al proprio sentimento, non si nasconde agli altri, ne interpreta i bisogni. Semplice e naturale, come Iza ha scordato di essere fin dai tempi della giovinezza. Ma dietro la complessa trama di prospettive che rendono cangianti e mutevoli i protagonisti, resta la sensazione di una profonda disarmonia, di un assetto del mondo traballante come le varie fasi della storia ungherese. E sullo sfondo la consapevolezza di un vuoto immenso, in cui, alla fine, solo Iza si rispecchia: sradicata e abbandonata e forse allora, per la prima volta, capace di articolare il proprio dolore senza che nessuno, e meno che mai i genitori morti, possano ascoltare la sua voce dispersa nel vento.

rie, una femminile e una maschile, che convergono in un punto sospeso. I protagonisti provengono da continenti diversi, l'America Latina e l'Europa, si incontrano nel nuovo mondo australiano, a cui sono approdati alla ricerca di un rinnovamento. Stranieri tutti e due al quinto continente, ne avvertono la misteriosa prossimità alla perduta condizione paradisiaca. Che sia l'artista aborigeno con cui la donna brasiliana, Alma, vive una settimana intensa di passione e distanza, perché le è inavvicinabile la profondità di rapporto col tempo che lui possiede e non può comunicare; o la dimensione di creatura angelica di cui lei si traveste per una articolata messa in scena nella città di Perth durante il festival degli scrittori, lì dove l'altro protagonista la incontra; in ogni caso sono la ricerca e l'esperienza di un altrove a muovere le fila delle vite dei protagonisti. Per Alma la ragione della fuga da San Paolo è stata la

violenza di uno stupro, per lui, intellettuale di mezza età, di tante esperienze e sulla china discendente di una vecchiaia più mentale che fisica, il bisogno di trovare uno stimolo nuovo, una improvvisa nuova volontà. Le due trame, spartite in una parte prima e seconda e in questa seconda infine congiunte nell'incontro casuale dei due e nel loro successivo ritrovarsi, stanno in una cornice: l'autore su un aereo diretto a Berlino osserva una giovane donna scartare un pacchetto con un libro, la segue all'arrivo a Tempelhof e la vede allontanarsi in auto con un uomo. Alla fine del romanzo l'autore la reincontra alla stazione di Berlino con lo stesso libro e questa volta il dialogo tra i due si apre intorno all'opera che la donna ha con sé, Il Paradiso perduto di Milton. Tra premessa e conclusione, questa soprattutto giocata sul tema della scrittura come creazione e sulla nostalgia del creatore che prende congedo dalla creatura, si dispiega il ro-

Magda Szabó, quasi novantenne: è nata nel 1917, l'anno dopo la morte di Francesco Giuseppe

Szabó «La ballata di Iza», della scrittrice ungherese,

che infine sarà una drammatica epopea della terza età

CUORE ARIDO DI BUDAPEST LUIGI FORTE

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Magda Szabó LA BALLATA DI IZA trad. di Bruno Ventavoli Einaudi, pp. 304, €18.00 ROMANZO

Tutti vorrebbero avere una figlia come Iza: premurosa, intelligente, attiva. Anche professionalmente una persona di prim'ordine: a Pest, dove lavora come medico, gode della stima generale. E molti la ricordano ancora con affetto quand'era alla clinica della cittadina termale di Dorosz non lontano dal suo paese natio. Ed elogiano la devozione che ha sempre avuto verso i genitori: il padre, Vince Szocs, magistrato incorruttibile destituito nel 1923 per non aver seguito le direttive del regime e avere assolto alcuni scioperanti. La madre Etelka, che dopo la morte di Vince, è oggetto di premure e di ansie e quasi si sente soffocare nell'abbraccio amorevole della figlia, che rischia di cancellare la sua identità e il suo mondo. Anche stavolta, con il ro-

Nooteboom Alla ricerca di una vita nuova, da Europa e America Latina

SE IL PARADISO E’ IN AUSTRALIA MARTA MORAZZONI

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Cees Nooteboom PERDUTO IL PARADISO trad. e postfazione di Fulvio Ferrari IPERBOREA, pp. 163, €13.00

Dice Fulvio Ferrari, traduttore del nuovo romanzo di Nooteboom, che è il tentativo di coniugare e ordinare il rapporto tra realtà e immaginazione a determinare le trame dello scrittore olandese, che nello sforzo di raggiungere la meta questa volta fa ricorso agli angeli, creature di un al di là che ci è lontanamente appartenuto e sembrano rappresentare l'incarnazione della nostalgia. Il paradiso perduto di miltoniana memoria fa da parola guida nel percorso romanzesco di due sto-

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SABATO 13 GENNAIO 2007 LA STAMPA

Acqua Chuya, vedova a otto anni,

poi relegata in un asilo per vedove

BENVENUTI SUL ROGO INDUISTA

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Bapsi Sidhwa ACQUA trad. di Valeria Giacobbo NERI POZZA pp. 206, €15 ROMANZO

ALESSANDRO MONTI

Nell'India tradizionale la sorte delle vedove brahmine era crudele: se non bruciavano sul rogo insieme al marito morto, facevano le serve per la famiglia estesa della suocera, oppure erano rinchiuse in squallidi asili a loro riservati. Portavano i capelli rasati, avevano come unico indumento una sari bianca, non portavano gioielli, mangiavano avanzi o riso scondito, a loro erano proibiti dolci e tè. Poteva capitare che una bimba di cinque o sei anni fosse sposata a un coetaneo o a un uomo fatto, consuetudine non rara, benché il «child marriage» fosse proibito dagli inglesi, che di fatto se ne lavavano le mani. Capitava così che il marito morisse prima ancora che la sposabambina raggiungesse la pubertà, e potesse lasciare la dimora paterna e consumare il matrimonio. Ancora oggi l'induismo tradizionale considera la donna un essere per natura impuro e pericoloso, da domare con il matrimonio, in cui è destinata a procreare figli maschi. Vedova, una donna è come morta insieme al marito, è un oggetto di ri-

manzo che intrattiene due trame parallele, la fuga di Alma, esperta di arte e affascinata dal tema degli angeli nella pittura gotica e rinascimentale, la fuga di Erik Zondag dall' Olanda e da una usurata storia personale e sentimentale. Ci sono in questo romanzo breve alcuni colpi d'ala e la ben nota qualità di riflessione di Nooteboom, ci sono affondi e fluttuazioni a pelo di memoria che la qualità di scrittura dell'olandese mette in campo, alternando gli uni alle altre in un intarsio ricercato. Troviamo anche ripetizioni del suo percorso di autore da lui volute, e nondimeno tali da rallentare il cammino di questo piccolo romanzo, forse perché accendono nel lettore la nostalgia di altre cose amate della sua produzione. Penso a Mokousei, un racconto di straordinaria potenza, che qui ritroviamo chiamato in causa da Erik che ricorda la storia dell'amico fotografo e del suo distruttivo amore per una modella giapponese. Ne riconosciamo le tracce nell'

brezzo oppure d'uso. Tale è il destino del piccolo topolino, questo è il significato del nome Chuya, sposa a sei anni a un uomo di 44 anni, e vedova a otto anni. È una bimba di campagna, tutta giochi e innocenza, figlia di un brahmino osservante che la lascia in un tetro asilo per vedove di Benares. Benvenuti nell'inferno induista: siamo attorno al 1938, ma in realtà nell'India senza tempo, dove il rito e i doveri «dharma», bloccano l'individuo in una dimensione statica e senza speranze. Tratto dalla sceneggiatura del film «Water», il romanzo Acqua di Bapsi Sidhwa è come un pugno nello stomaco per lo spettatore occidentale, e fa il paio con il film, e il romanzo, Phanyamma o la giovane vedova, che parla di un tema analogo, in modo però elogiativo per i sacrifici a cui è tenuta una vedova. In Acqua non vi sono tuttavia percorsi verso la santità, o verso liberazioni più terrene affidate all'amore, come potrebbe avvenire per la giovane vedova costretta a prostituirsi, anche se la bimba riuscirà a fug-

Una storia di Bapsi Sidhwa ambientata nel 1938 (ma in realtà nell’India senza tempo) tratta dal film «Water» gire e avere un futuro diverso. Si potrà obiettare che la storia riguarda il passato. Forse non è così, se si considera il film «Mathrubhoomi - Una terra senza donne», dedicato alla pratica dell' infanticidio femminile. È la doppia velocità dell'India di oggi, sviluppo frenetico e immobilismo ritualistico. Ottima la versione di Valeria Giacobbo, e delicata la narrativa di Bapsi Sidhwa, di cui vorrei ricordare i capitoli iniziali, originali rispetto alla sceneggiatura, con un tocco leggero che mi ricorda i classici della narrativa bengalese come Il lamento del sentiero o Devdas.

uguale straniamento che Alma (nome non casuale della protagonista) vive con l'artista aborigeno, che le viene «prestato» per una settimana dal gallerista e con cui vive la percezione fisica del mistero. Quello che in Mokousei era il profondo stupore della scoperta qui si ripete in una tonalità più intellettuale che sensuale, sicché lo sgomento dell'erotismo totale quale quello raccontato nella storia giapponese qui è dominato dalla razionalità di un narratore che percorre a occhi ben aperti una strada già sperimentata. A chi leggerà questo romanzo dai tanti pregi stilistici e dalle tante riflessioni, non ultime quelle sulla pacatezza, così come i pittori si sono sempre ingegnati a dimostrare, con cui madonne in quieta attesa accolgono gli angeli, creature così altre e remote da noi! suggerirei di dare un'occhiata e riflettere sull'altra faccia dell'Annunciazione, quella di Recanati del Lotto.

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Idee

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SABATO 13 GENNAIO 2007 LA STAMPA

In «Rinascimento privato» Maria Bellonci si immedesima in Isabella d’Este (a destra la biblioteca della duchessa), raggiungendo il suo vertice letterario

Dal documento al racconto Tra Manzoni e Bellonci, la finzione

come strumento per acquistare conoscenza e padronanza del passato

COSI’ L’INVENZIONE ACCENDE LA STORIA ANTONIO SCURATI

E se il romanzo storico non fosse nella tradizione letteraria italiana un «genere per lo più marginale» (secondo quanto scrisse Geno Pampaloni nel necrologio di Maria Bellonci)? E se Berchet avesse avuto ragione e Manzoni torto? E se quel tal Aristotele avesse avuto anche lui una qualche ragione quando sostenne che la finzione poetica sarebbe più vera del vero? Questi interrogativi li solleva, direttamente o indirettamente, Narrare la storia. Dal documento al racconto (Mondadori 2006), un volume da poco pubblicato che raccoglie i risultati di una ammirevole iniziativa promossa dalla Fondazione Bellonci nel 2002 quando, tramite un bando diffuso nelle università italiane e straniere, si assegnarono a ventidue giovani studiosi borse di studio perché svolgessero un anno di ricerche sul tema del rapporto tra creazione artistico-letteraria e narrazione della storia. La prima «scoperta» dovuta a questo libro prezioso riguarda proprio la centralità eccentrica del romanzo storico nella produzione letteraria italiana del '900: i nomi di Banti, Pirandello, De Roberto, Sciascia, Vittorini, Bellonci, Bassani, Striano, Vassalli, Eco (per limitarci ai primi Anni 80) testimoniano non solo di quantità e qualità ma, forse, addirittura di una funzione precipua svolta dal romanzo storico all'interno del sistema dei generi, soprattutto nelle sue recenti e attuali muta-

zioni. Come suggerisce nell'introduzione Nadia Fusini, pare proprio che il romanzo storico, in virtù della sua relazione d'origine con le questioni capitali della memoria, della coscienza storica, della finitudine umana e, dunque, della nostra intimità con la morte in quanto animali simbolici, conservi un rapporto privilegiato con gli strati antropologici profondi toccati dall'invenzione letteraria e, più in generale, dalla finzione fabulatrice. In un'epoca di dilagante paraletteratura, nell'occhio ciclonico della babele dei linguaggi, scatenatasi dopo il crollo delle poetiche, il romanzo storico si farebbe, insomma, custode dei valori, ma dovrei dire dei poteri specificamente letterari entro la più ampia impresa della mitopoiesi contemporanea. I due cardini attorno ai quali ruota questa riflessione a più voci sono, giustamente, la riscrittura inventiva del risorgimento in funzione di critica della contemporaneità condotta da Luciano Bianciardi negli Anni 60 e l'invenzione testuale di un «rinascimento privato» prodotta da Maria Bellonci nell'arco di una carriera letteraria compresa tra la prima edizione di Lucrezia Borgia (1939) e il suo ultimo libro, intitolato appunto Rinascimento privato, apparso nel 1985, poco prima della morte dell'autrice. Mi soffermo su quest'ultimo perché il quadro del passaggio dagli esordi della biografia romanzata di Lucrezia alla piena maturità artistica del romanzo biografico/autobiografico su e di Isabella d'Este/Maria Bellonci, dipinto nei due saggi di Faleschini Lerner e di Antonelli, mi pare raffi-

IL LIBRO

Narrare la storia. Dal documento al racconto MONDADORI presentazione di Tullio De Mauro introduzione di Nadia Fusini pp. 520, €19

La prima «scoperta» dovuta a questo libro è la centralità eccentrica del romanzo storico nella produzione letteraria italiana del '900: Banti, Pirandello, De Roberto, Sciascia, Vittorini, Bellonci, Bassani, Striano, Vassalli, Eco

BELLONCI SIGNORA RINASCIMENTO Le «Opere» di Maria Bellonci sono raccolte in due Meridiani Mondadori, pp. CLVIII-3018, €110. A cura di Ernesto Ferrero. Con un saggio di Valeria Della Valle. Introduzione di Massimo Onofri.

guri non solo il cammino di una scrittrice verso il proprio capolavoro testamentario ma anche un'immagine esemplare di ciò a cui può ardire la potenza letteraria nei «componimenti misti di storia e d'invenzione» (come li definì Manzoni), non solo quindi la personale impresa della Bellonci ma un emblema del romanzo storico in quanto tale. Ai suoi esordi, nella biografia di Lucrezia, pur essendo la figlia di papa Alessandro VI uno dei personaggi più romanzeschi e romanzati della storia, la Bellonci s'identifica non con lei ma con gli informatori che popolano le corti cinquecentesche, si proibisce ogni «mostruosa ipotesi da romanzo», procede per mimesi linguistica ricercando l'effetto anticato, assume la posizione distaccata del detective che scova, scopre, studia fino a fornire alla ricostruzione storica apporti inediti che rivaleggiano con il lavoro degli storici professionisti. Quarantacinque anni più tardi, nella sua narrazione inventiva della propria e altrui vita, il cui pretesto le è fornito dall'esistenza storica di Isabella d'Este, la Bellonci, dopo un minuzioso lavoro di documentazione, fa saltare tutti i filtri, non ricostruisce più fatti ma la vita immaginata e immaginale di uomini e donne dinanzi ai fatti, accoglie cioè l'immaginazione come l'habitus più autentico dello scrittore storico, passa dall'empatia all' immedesimazione, al mesmerismo intellettuale, rifrange la propria voce autoriale secondo angoli diversi, compie sistematiche rotazioni del punto di vista, si spinge audacemente oltre il dato documentario rifor-

mulandolo liberamente nella diegesi, innesta elementi di pura finzione, si fonde, infine, con il personaggio romanzesco da lei creato ed entra così in risonanza con il personaggio storico cui è improntato. «Mi trasferisco in Isabella», aveva annunciato la Bellonci, e lo fa. Divenendo storica in quanto scrittrice, cedendo alla tentazione autobiografica, abbandonandosi a un vero romanzo, inscrivendo il cerchio maggiore della storia ufficiale-monumentale nel cerchio minore della storia privata, inventando un luogo esclusivamente testuale dove incontrare il proprio alter ego (la stanza degli orologi nella quale Isabella si ritirerebbe a scrivere le proprie memorie) la Bellonci crea uno spazio metatestuale e sovrastorico dove poter attingere a una memoria dell'immaginario, a una corrente profonda d'immagini archetipiche che fluiscono e rifluiscono secondo il moto circolare e rivolutivo del mito. In punto di morte, la Bellonci si apre, insomma, alla divinazione letteraria. E' trascorsa letteralmente una vita dall'esordio del '39. Ma non è trascorsa in vano. Né la sua né quella di Isabella, con la

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quale ora è profondamente identificata, poiché entrambe, pur segnate nella storia da "amare sconfitte", trovano il proprio riscatto nel luogo della finzione, dove le due donne, strette in una sorellanza assoluta, solitaria, notturna e finale, si reinventano, si ritrovano, cioè, nella comunicazione tra i vivi e i morti. Scendono assieme nell' abgrund del mito, l'underworld sottostante tutte le storie narrate da che mondo è mondo: «Il mio segreto è una memoria che agisce per terribilità. Isolata, immobile, sul punto di scattare, sto al centro di correnti vorticose che girano a spirali in questa stanza dove i miei cento orologi sgranano battiti diversi in diversi timbri (…) Fin quando viviamo esiste un solo tempo, il presente». La Bellonci sceglie, insomma, il Manzoni autore de I promessi sposi contro il teorico senile che li ripudiava perché giudicava intrinsecamente contraddittorio l'assunto del genere misto, inteso a mischiare verità storica e invenzione letteraria. Si dimostra, così, ancora una volta, che aveva ragione Berchet, nella lettera Agli amici d'Italia quando, nel 1829, esortava il «poeta civile» che volesse scrivere né per i «parigini» né per gli «ottentotti», ma per il popolo, a trascurare «il fatto storico quale precisamente fu», mirando invece a risvegliare nel lettore per mezzo d'immagini stratigrafiche una consentaneità con gli affetti che altri uomini provarono o proverebbero davanti a quei fatti. Da questa fiducia nella facoltà poetica come fondamentale facoltà umana, e nell'efficacia retorica dell' arte popolare, scaturì, in fondo, la Nazione italiana, che fu dapprima un'invenzione letteraria risorgimentale, successivamente scaduta a realtà. I padri e le madri delle patrie lettere ci insegnano, insomma, come la finzione, trionfando dialetticamente sulla mera fattualità, sia uno strumento indispensabile per acquistare conoscenza e padronanza del passato. Ma anche del presente. Oggi, infatti, di fronte ai tanti venditori di carabattole che smerciano il loro prodotto dandoti in garanzia la promessa che si tratterebbe di a true story! (sai che emozione!), di fronte ai mistificatori del neorealismo finto-ingenuo, secondo i quali basterebbe tenere una telecamera accesa sul mondo perché la realtà si racconti da se stessa, non è inutile ricordare che l'ars poetica occidentale si fonda su una vecchia idea di Aristotele (chi era costui?): l'idea secondo la quale il contrario della falsità non sarebbe la realtà ma la finzione.

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Storie

Tuttolibri

SABATO 13 GENNAIO 2007 LA STAMPA

Il processo a Galileo, supremo inquisitore il cardinal Bellarmino

Libri proibiti Dalla Controriforma a Paolo VI, che abolì il «tribunale»

ALL’INDICE ANCHE CHI INQUISI’ GALILEO ALESSANDRO BARBERO

p Hubert Wolf p STORIA DELL'INDICE

Il Vaticano e i libri proibiti

p DONZELLI p pp. 278, €27

Nella storia della Chiesa cattolica è capitato più di una volta che il papato investisse grandi energie nel mantenimento di divieti giudicati anacronistici dall'opinione pubblica e ignorati di fatto dalla massa dei credenti, fino al punto in cui quei divieti, ormai tramutati più che altro in fonte d'imbarazzo, venivano silenziosamente lasciati cadere. E' il caso dell'Indice dei libri proibiti, che venne abolito da Paolo VI nel 1965, con tanta discrezione che nessuno se ne accorse: il Papa infatti si limitò a riorganizzare l'ex Sant'Uffizio subordinandolo alla Segreteria di Stato, e nell'elencarne le funzioni non parlò più di «proibire» i libri pericolosi, ma semplice-

Gian Carlo Fusco Un ritratto

di Angelo Roncalli in punta di stile

E PAPA GIOVANNI FECE UN BRINDISI CON L’ERRANTE p p p p

Gian Carlo Fusco PAPA GIOVANNI SELLERIO pp. 156, €10

mente di «riprovarli». Ci vollero parecchi mesi perché il settimanale Gente pubblicasse un'intervista al cardinale Ottaviani in cui si ammetteva che a partire da quel momento l'Indice non aveva più valore giuridico e non sarebbe più stato aggiornato; anche allora, però, la notizia cadde nel disinteresse generale, finché il Vaticano, fors'anche seccato da quella mancanza di attenzione, pubblicò una circolare (stavolta ripresa con grande enfasi dalla stampa di tutto il mondo) in cui si ribadiva che l'Indice aveva perduto la sua autorità ed era decaduta anche la scomunica per chi leggesse le opere proibite. Il fatto che l'abolizione sia passata inosservata, fino a quando i rotocalchi non decisero di farne uno scoop estivo, la dice lunga sull'indifferenza che il mondo cattolico provava da un pezzo per l'Indice e per le sue sanzioni. Lo stesso cardinale Ottaviani dichiarò che l'Indice era diventato inutile perché proibiva solo libri dei secoli passati, che tanto nessuno leggeva: una dichiarazione (se fatta in buona fede) di spettacolare ignoranza, giacché gli ultimi aggiornamenti si preoccupavano invece di vietare le opere di Sartre e i romanzi di Moravia. E' vero, piuttosto, che la selezione dei testi da condannare era sempre stata parziale e arbitraria, non per cattiva volontà, ma per l'oggettiva impossibilità di tenere in piedi un simile meccanismo di controllo, di fronte allo straripare della stampa. Le commissioni facevano quel che potevano, ma riuscivano a esaminare solo una minima parte di ciò che veniva pubblicato: capitava così che fossero messi all'Indice Balzac, Flaubert, e perfino il Dizionario Larousse, ma non Darwin, e nemmeno il Mein Kampf. Più che una storia dell'Indice, come dichiara il titolo, il libro di Wolf, professore di storia della Chiesa a Münster, è un'analisi di come operava concretamente la Congregazione dell'Indice nel XIX secolo, a partire dalla denuncia che di solito metteva in moto il giudizio, fino alla condanna o, molto spesso, all'assoluzione del libro incriminato. Il limite cronologico è obbligato, perché soltanto per l'Ottocento disponiamo di un'abbondante documentazione, resa disponibile, nel 1998, dall'apertura degli archivi della Congregazione. Sappiamo invece poco, purtroppo, delle modalità con cui vennero compilati i primi Indici, nell'età della Controriforma, anche se è chiaro che già allora qualcosa non funzionava: tant'è che papa Paolo IV preferì insabbiare nel 1557 la pubblicazione del primo Indice romano, avendo scoperto

che era stata inclusa anche una delle sue opere, pubblicata quando era ancora il cardinal Carafa. Non è un caso isolato, giacché finirono all'Indice anche opere del cardinale Bellarmino, il supremo Inquisitore che processò Galileo; e del resto, nello sforzo disperato di arginare la Riforma protestante, venne messa all'Indice e vietata anche la Bibbia, non solo nelle traduzioni in volgare (giacché la posizione ufficiale della Chiesa era che i laici, per il loro stesso bene, la Bibbia non dovevano leggerla), ma in qualunque edizione pubblicata da tipografi protestanti. Nel XIX secolo l'Indice aveva perduto molta della sua terribilità: tant'è che il Gregorovius, il famoso storico di Roma, quando vide affisso all'ingresso di San Pietro il decreto che vietava la sua opera, fece salti di gioia («adesso il Papa le fa pubblicità»). Eppure è proprio in quest' epoca che gli archivi traboccano di fascicoli, con le lettere di denuncia che di solito davano il via al processo, le relazioni dei periti e i verbali delle sedute in cui i prelati della Congregazione prendevano le loro decisioni. Per il lettore italiano, è un peccato che Wolf abbia scelto di studiare quasi esclusivamente i casi di autori tedeschi, poco o nulla conosciuti da noi: che il popolarissimo autore di romanzi per ragazzi, Karl May, abbia rischiato di essere messo all'Indice nel 1910 per la denuncia di un devoto cattolico renano, è interessan-

Nel 1853 si sfidarono sullo «Zio Tom» un domenicano (accusa) e un francescano (difesa): il libro venne assolto te per chi conosce la saga di Winnetou, ma per noi sarebbe molto più succoso sapere se ci fu mai un processo contro Salgari. Tuttavia, il capitolo sul processo contro La capanna dello zio Tom, denunciato nel 1853 dall'Inquisitore di Perugia che l'aveva sequestrato insieme a un carico di libri stranieri introdotti di contrabbando nello Stato Pontificio, vale da solo un intero libro. Il tugurio dello zio Tom, così s'intitolava quella prima traduzione fiorentina, venne alla fine assolto, dopo un durissimo braccio di ferro fra l'Inquisitore domenicano, che insisteva sulla pericolosità d'un libro traboccante di «demagogia», e il francescano che si assunse la difesa: perfino in quegli ultimi anni del Papa Re la Chiesa, evidentemente, era meno monolitica al suo interno di quanto non si sforzasse di apparire agli occhi del mondo.

LONTANO E VICINO ENZO BIANCHI

I SECOLI BUI FAN LUCE SU DIO Le Goff: il Medioevo ha saputo rischiarare non solo l’immagine della divinità cui i cristiani prestano la loro fede, ma anche il volto dell’uomo che ne discende

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e venissimo interrogati sull'immagine che di Dio si fanno i nostri contemporanei, probabilmente ce la caveremmo con qualche generico luogo comune, oppure diremmo che la tematica è troppo complessa per essere liquidata in poche parole. Se poi l'interlocutore passasse a chiederci una panoramica dei punti di vista su Dio che hanno avuto gli europei negli ultimi cinquecento anni, finiremmo per sorridere, adducendo l'impossibilità di raccogliere anche solo in un libro un tale ventaglio di prospettive. Eppure ci sono studiosi dotati di una tale capacità di sintesi e una tale chiarezza di divulgazione da riuscire a tratteggiare con serietà ed esaurientemente - in sole cento pagine di un agile tascabile - quale fosse il volto di Dio nei paesi del Sacro Romano Impero su un arco di tempo di quasi mille anni. Uno di questi rari personaggi è Jacques Le Goff, tra i più insigni storici del Medioevo, che ha curato intere collane di storia e specifiche monografie sulla tarda antichità e che ha saputo distillare il frutto dei suoi studi in quattro capitoletti di un'opera recentemente pubblicata da Laterza (Il Dio del medioevo, pp. 108, €12,00). Il dato che forse sorprende maggiormente il lettore di questo affascinante excursus - corredato anche da 6 piccole tavole a colori fuori testo - è che «le immagini di Dio cambiano» con il mutare dei tempi. Potremmo usare anche in questo ambito della teologia e della

comprensione comune di Dio quello che papa Giovanni XXIII diceva a quanti lo accusavano più o meno velatamente di «cambiare il Vangelo»: «Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che lo comprendiamo meglio». Così, l'antropomorfizzazione di Dio, l'articolarsi delle persone della Trinità, l'accentuazione della figura di Maria hanno attraversato quei secoli che alcuni insistono a chiamare bui e che invece hanno saputo gettare una luce nuova non solo sull'immagine della divinità cui i cristiani prestano la loro fede, ma anche sul volto dell'uomo che ne discende. Non a caso, il libro si chiude su due dati che esprimono simbolicamente il passaggio da un' epoca all'altra: da un lato, in una stagione in cui «l'immagine del Cristo assume un rilievo sempre maggiore, si assiste a un avvenimento inaudito: (con Francesco d'Assisi) per la prima volta un uomo riceve le stimmate»; d'altro lato, «alla fine del Medioevo l'umanesimo sarà connotato da un tema sempre più pervasivo: l'imitazione di Cristo». La sequela di Gesù Cristo si è venuta connotando come adesione alla sua vicenda umana, fino a fare del santo un «somigliantissimo» al Figlio dell'uomo e aprendo quindi a ogni battezzato la possibilità di riscoprire l'immagine di Dio deposta in lui attraverso una sempre più fedele «imitazione» del pensare, del sentire e dell'agire del Dio fattosi uomo in Gesù di Nazaret. Ce n'è abbastanza per riprendere ancora oggi la domanda posta da Gesù ai suoi discepoli: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo? ... E voi, chi dite che io sia?».

Cordialmente, francamente, brindando con il vino da lui stesso servito («Al mio paese, è sempre il padrone di casa che serve il vino agli ospiti»), Sua Eminenza giunse a ringraziare Fusco: «Anche se il suo articolo era piuttosto duro.... Sono venuto a conoscenza del comportamento poco edificante di quei miei carissimi frati, e ho avuto così la possibilità di richiamarli paternamente all’ordine». A sua volta, Gian Carlo Fu-

sco ringrazierà Roncalli ritraendolo con speciale, ispirata sensibilità, dalle umili origini in terra bergamasca alle nunziature (Sofia, Istanbul, Parigi), dagli studi al soglio pontificio, dal Concilio al commiato, nel 1963. Un incontro ideale, fra un carattere e un cronista, il cronista che esige di vedere, non di turibolare, il carattere che tiene in gran dispitto gli arabeschi, incardinato com’è nella «fatica di vivere». Un Papato raro, quello giovanneo, rara la sapienza del cuore che lo improntò. Non a caso Arturo Carlo Jemolo comporrà nel tempo di Roncalli successore di Pietro una pagina luminosa, trasfigurata, quasi un’ode: «Sul fresco cielo di giugno, appena lavato dalla pioggia, ti ergi chiara dinanzi ai miei occhi, cupola di San Pietro. Non c’è linea che più non riesca attraverso i sensi a giungermi al cuore di quella che ti circoscrive, e che pare realizzare l’antica aspirazione dell’uomo, il ponte gettato tra lui ed il cielo».

BRUNO QUARANTA

Imprevedibile, Gian Carlo Fusco, affabulatore mirabile (quel capo d’opera che è Le rose del Ventennio), a suo agio, stilisticamente, inventivamente, nella taverna come al casino, nonché in sacrestia. Via via, casa Sellerio estrae dallo stipatissimo baule che il Gran Bizzarro confezionò a futura memoria, o forse no, dissipatore com’era, com’è ogni vero talento, una pepita. Ecco (chi l’avrebbe detto) un ritratto di Papa Giovanni, se possibile inedito, un Roncalli a sé, rispetto ai mille tomi fioriti dattorno al suo passaggio nell’aldiquà. Perché vi sono più cose in cielo e in terra... Già Emilio Cecchi lo aveva rammentato in un pesce rosso. Dove suppone «che capiti al buon Dio di sentirsi vuoto e seccato, lassù in cima agli altari e in cima agli articoli spiritualisti. E che verso sera, qualche volta, ronzi in incognito a ritemprarsi» fra quanti non sono

proprio un modello di virtù, distinguendo fra errore e errante. Sarà andata così, nell’agosto del 1956. Uno speciale inviato al Festival Cinematografico, Gian Carlo Fusco, ricevette un inaspettato e sorprendente invito. Alle otto lo attendeva, nel Palazzo Patriarcale, il cardinal Roncalli. Lo aveva incuriosito un articolo dell’«incantatore», in particolare un flash su certi frati cappuccini assidui nella zona più scollacciata del Lido.

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Percorsi

Tuttolibri

SABATO 13 GENNAIO 2007 LA STAMPA

«Bolidi», come in tre lustri il mondo cambiò velocità

Bolidi Primo Novecento, quando il progresso correva ai 45 all’ora

QUATTRO RUOTE D’EUROPA

p Giorgio Boatti p BOLIDI

Quando gli italiani incontrarono le prime automobili p MONDADORI pp.295, €18

ROBERTO DUIZ

Un'ansia di velocità artiglia l'Europa di fine Ottocento e spinge tutti a percorrerne le strade il più rapidamente possibile. Una smania, anche simbolica, di dare una decisa accelerata al progresso, già tangibile dopo mezzo secolo di Rivoluzione Industriale, in un'epoca di euforia, ancora ignara degli sconvolgimenti in agguato nel secolo che sta arrivando e totalmente avulsa da dubbi inerenti la sostenibilità dell'indiscrimina-

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nostri bambini guardano la tv per due-tre ore (con picchi di 5-6) tutti i giorni nell' arco di dieci anni. In particolare il «settore ragazzi» in Italia si rivolge a un'utenza di più di sei milioni di minori. Il 55% del campione di una ricerca Eurispes guarderebbe la tv nella propria stanza. Se rispetto al cinema possiamo proteggerli da Mel Gibson, chi li protegge dall'impiccaggione di Saddam e dalle altre mille schifezze che circolano in video? Quali sono gli effetti di un simile bombardamento audiovisivo? Catastrofici per alcuni (individualismo, isolamento con il crollo delle relazioni sociali, impoverimento culturale, eccesso di emotività), positivi per altri (nuove opportunità conoscitive, moltiplicazione dei rapporti con i coetanei e apertura di inediti canali di comunicazione con gli adulti sulla base della condivisione delle stesse immagini e delle stesse emozioni). La questione è stata affronta-

tamente invocato sviluppo. Un' epoca in qualche misura «innocente» nel suo sogno di una modernità ancora da scoprire, sperimentare, elaborare. Letteralmente «lanciata» nell'inseguimento di quel sogno. Giorgio Boatti, studioso di storia contemporanea, giornalista e scrittore, in Bolidi, circoscrive all'interno di tre lustri il grande, definitivo cambiamento che scompiglia, esalta, rivoluziona, fagocita, subordina ogni cosa e si impone sbarazzandosi facilmente di ogni dubbio (per non parlare di improponibile resistenza) sul suo baldanzoso, scoppiettante incedere. E rinchiude il tutto tra due significative immagini epocali che se isolate sono storie a sé e se messe in relazione, unite dal filo di mani anarchiche omicide, raccontano uno sbalzo epocale irreversibile, forse irripetibile in un così breve lasso di tempo. CADE UMBERTO I

Cade, colpito a morte sulla carrozza trainata dai suoi amati cavalli il re d'Italia Umberto I, in un torrido luglio del 1900. Cade alla stessa maniera, 14 anni dopo, Francesco Ferdinando d'Asburgo, ma a bordo di un'autovettura scoperta sulla quale sfila per le vie di Sarajevo. Tre lustri appena, appunto. Boatti,

ta dai pedagogisti della torinese Facoltà di Scienze della Formazione (in un progetto di ricerca guidato da Cristina Coggi) che hanno condotto un'inchiesta su una trasmissione per ragazzi (la Melavisione di Rai Tre) sfociata ora in un libro in grado di ripercorrere efficacemente tutti gli ambiti che sono chiamati in causa: le reazioni del bambino fruitore, il ruolo degli educatori e della famiglia, le finalità dei produttori televisivi. Non si tratta solo di rinvigorire una rete di controlli istituzionali di per sé già pletorica. Alberto Parola e Roberto Trinchero (Vedere, guardare, osservare la TV, Franco Angeli, 2006, pp.1-255, €19) prendono atto realisticamente che il mercato e lo strapotere dell'audience mettono continuamente a rischio qualsiasi istanza pedagogica. La soluzione del problema non sta nel fare «una televisione per i ragazzi»: la tv dei bambini è quella che guardano e non quella fatta apposta per loro. Non solo. Oggi la televisione intercetta solo un seg-

con la tenacia del ricercatore e la brillantezza del narratore storico che blandisce il costume, racconta quanto più è possibile, curioso, sensato, indicativo, tutto ciò che sta in mezzo a quei due fatti. Ovvero, l'irresistibile progresso verso l'affermazione dell'automobile, punto di non ritorno e apertura di scenari inediti. Già il treno a vapore aveva fatto la sua comparsa, mostro d'acciaio spargente nubi di fumo su valli e colline d'Italia fino a lì incontaminate, quasi irridente le carrozze a cavalli dei viaggiatori ottocenteschi. Ma è la bicicletta l'oggetto «scandaloso» che apre la via ai «bolidi» lanciati a 40-45 all'ora, velocità stupefacente a quell' epoca. E dal giungere dell'automobile, constata l'autore, «conseguiranno, spesso inavvertiti o sottovalutati dai diretti testimoni, vertiginosi mutamenti. Quelli più significativi non riguardano tanto il mondo dei trasporti e della produzione industriale, quanto, invece, il radicale rimodellamento di città e paesi, l'abbandono di assetti urbanistici plurisecolari e il riplasmarsi del territorio in ogni suo aspetto, dal panorama sonoro a quello visivo a quello ambientale», senza sottovalutare le modificazioni che intervengono nella vita dei singoli, delle comunità e nel rapporto fra strati sociali e diverse generazioni, nonché la spinta propulsiva a dare al Regno d'Italia, ancora frammentato in «località», un sistema di comunicazioni in grado di unificarlo davvero.

Möbius Una tra le figure più

straordinarie del mondo matematico

COM’E’ MAGICO IL NASTRO Un disegno di Mauritius Cornelius Escher «Anello di Möbius II», 1963

UN’ALTRA ITALIA

Veicoli elettrici e a vapore sono alternative che all'inizio lusingano. Ma è il motore a scoppio, alla fine, ad ottenere supremazia assoluta. Nobili, più o meno eccentrici, e imprenditori illuminati e lungimiranti sono i pionieri. Un lungo elenco di nomi arcinoti figura nell'avventura dall'esito felice. Il Touring Club Italiano si assume il compito della regia. Si organizzano gare lungo itinerari che fanno scoprire un'altra Italia. Nascono circuiti sui quali si confrontano marche e piloti, avanguardie dello star system automobilistico. La velocità infiamma l'immaginazione degli artisti. Cubisti, per un verso, e futuristi per un altro l'esaltano. Nel Manifesto futurista del 1909 Marinetti l'inneggia. Ma intanto, già due anni prima, Luigi Barzini aveva viaggiato da Pechino a Parigi sulla mitica Itala, guidata dal principe Scipione Borghese, raccontando l'avventura in La metà del mondo vista da un'automobile. E' il motore a scattare in fuga, la poesia arranca, gregaria.

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Clifford A. Pickover IL NASTRO DI MÖBIUS APOGEO pp. 248, €15

FEDERICO PEIRETTI

Una strisciolina di carta, larga qualche centimetro, incollata agli estremi, dopo averne dato un mezzo giro di torsione, è una delle figure più straordinarie e sorprendenti del mondo matematico. Si chiama «nastro di Möbius» e la sua popolarità è arrivata ben oltre l'ambiente dei matematici. A raccontarci la storia di questa figura è Clifford A. Pickover, scrittore di fantascienza e di divulgazione, nel suo nuovo libro, Il nastro

L’OCCHIO E L’ORECCHIO GIOVANNI DE LUNA

A SCUOLA DI TELEVISIONE Il mercato e lo strapotere dell'audience mettono a rischio qualsiasi istanza pedagogica: insegnare ai ragazzi a sollevare il coperchio per riconoscere che cosa c'è dentro

di Möbius. Pickover è un personaggio molto originale, come il suo sito al quale raccomandiamo di fare una visita: http://sprott.physics.wisc.edu/ PICKOVER/home.htm. E' sufficiente, muniti di colla e forbici, avere la pazienza di costruire uno di questi nastri per restare sconcertati di fronte alle sue caratteristiche. Se proviamo a percorrere con un dito la superficie del nastro, scopriamo che ritorniamo al punto di partenza senza mai staccare il dito. Questo significa che il nastro di Möbius ha una sola superficie, cioè non ha due facce, una inferiore e una superiore, come un normale anello di carta. Se una formica percorresse tutto il nastro, alla fine si ritroverebbe al punto di partenza, senza «salti» o «stacchi». Proviamo a tagliarlo a metà. Contrariamente a quanto ci potremmo aspettare non avremo due nastri, ma uno solo più lungo. Tagliamo ancora a metà la striscia così ottenuta e, sorpresa, otteniamo due strisce legate fra loro. Il lettore curioso proseguirà per conto suo questa ricerca e scoprirà che tagliando il nastro all'altezza di un terzo dal bordo otterrà due strisce, una è ancora un nastro di Möbius, l'altra è una striscia

mento del flusso audiovisivo in cui sono immersi, bombardati dal computer, da Internet, dai videogiochi, dai cellulari ad elevata interattività. Di qui la priorità educativa che mi pare la parte più stimolante della loro proposta, rivolta essenzialmente alla scuola e agli insegnanti: il nemico da combattere si annida in una ricezione passiva e subalterna delle immagini. Gli antidoti possono trovarsi in due direzioni. Anzitutto nel riuscire a trasformare una trasmissione televisiva in un oggetto di studio. Analizzare i personaggi del «Grande Fratello», ad esempio, mettendoli in relazione con quelli della tradizione della commedia dell'arte, favorisce un'opera di distanziamento, oltre a rivelarsi una fonte preziosa per riflettere sull'antropologia degli italiani di oggi. L'altro percorso, ancora più innovativo, si lega alla proposta di imparare a scuola a «fare la televisione»; entrare nei meccanismi della produzione vuol dire essere in grado di scomporre una

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con una torsione di 360˚. Se invece di una sola torsione di 180˚ diamo al nastro due, tre o più torsioni, otterremo ancora dei risultati inaspettati. Alla fine il lettore avrà il tavolo pieno di nastri più o meno contorti e sarà anche logico che si chieda quale senso possono avere. Oltre ai maghi, che li utilizzano per i loro giochi di prestigio, e agli artisti, affascinati da queste forme, fra i primi ad occuparsene ci sono stati diversi grandi matematici. Carl Friedrich Gauss, ad esempio, incuriosito dalla strana figura ne avrebbe suggerito lo studio a due suoi allievi, August Ferdinand Möbius e Johann Benedict Listing. La paternità dell' oggetto spetterebbe a Listing, il primo che abbia pubblicato un articolo sull'argomento. TOPOLOGIA

«Nastro di Möbius» oppure «Nastro di Listing»: decisamente preferiamo il primo nome che evoca subito qualcosa di magico. Möbius in ogni caso è il matematico che ne ha approfondito lo studio. A Listing va il merito di aver coniato il termine «topologia», per indicare quella vasta branca della matematica chiamata anche «geometria del foglio di gomma», poiché studia le proprietà di una figura che restano inalterate quando questa venga sottoposta a una deformazione. La topologia è parte importante della matematica moderna e il nastro di Möbius è modo migliore per avviarne lo studio. Nel suo libro Pickover ci fa scoprire i tanti aspetti imprevedibili di un nastro che ha portato a gioielli, musiche, case, racconti e rompicapi insoliti. C'è persino un brevetto cinese per un trenino che viaggia su bina-

Ha portato a gioielli, musiche, case, racconti e rompicapi insoliti: c'è persino un brevetto cinese per un trenino ri Möbius. Max Bill, il celebre artista svizzero, ha scritto a proposito dei nastri di Möbius: «Sono convinto che la loro efficacia stia in parte nel loro valore simbolico; essi sono modelli per la riflessione e la contemplazione». Quali sorprese riserva un semplice nastro di carta! L'ovvio, diceva Voltaire, esiste solo per l'idiota. Anche l'oggetto all'apparenza più banale, com'è appunto un nastro di carta, può riservare molte sorprese e portare a interessanti scoperte chi lo sa osservare con attenzione.

trasmissione nelle sue varie componenti, esaminarne analiticamente le intenzioni degli autori, le modalità della messa in scena, spezzare il filo che lega il mondo reale a quello virtuale. Come scrive Parola, «occorre insegnare ai ragazzi a sollevare il coperchio al fine di curiosare e riconoscere che cosa c'è dentro». E' un'operazione di disvelamento il cui obiettivo è l'acquisizione di una robusta consapevolezza critica. Siamo all'interno di un filone di media education che in Italia sta decollando con ottimi risultati. Si tratta di vincere molti ostacoli anche di natura economica. Per costruire un piccolo ma efficace laboratorio scolastico di produzione di filmati digitali occorrono soldi che le scuole non hanno. E questo è un settore sul quale il mercato e i privati non investiranno mai. Restano gli Enti pubblici e i vari assessorati alla Cultura e all'istruzione che possono cogliere una buona occasione per impiegare utilmente i soldi pubblici di cui dispongono.

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La classifica AI PUNTI LUCIANO GENTA

È HARRY IL 1˚ DEI 100 PIÙ VENDUTI

Tuttolibri

SABATO 13 GENNAIO 2007 LA STAMPA

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l maghetto ha rifatto boom: è lui, Harry Potter, con la sua sesta avventura alle prese col principe mezzosangue, il più venduto in libreria nel corso del 2006, secondo le rilevazioni Demoskopea. Non gli succedeva dal 2001 (con La pietra filosofale), poi era stata la volta di Fallaci, Camilleri e per due anni di seguito, 2004 e 2005, di Dan Brown. Così, per una volta, emerge la tabella dei «ragazzi», per altro povera: solo altri 4 titoli fra i primi 100 (Lewis con Narnia, Saint Exupéry e un doppio Paolini con Eragon). Numericamente, prevalgono i romanzi stranieri (36 su 100, primo Il cacciatore di Hosseini) seguiti dai romanzi italiani

(32: in testa Moccia con Ho voglia di te, Saviano, la vera sorpresa dell’anno, poi i più prevedibili Camilleri e Faletti). I titoli di saggistica sono 18 (qui Terzani precede Augias, Pansa e Rampini) e nella varia 9 (con l’exploit della Littizzetto). Considerando i tascabili (20 su 100) vince Zafòn (e sommando l’edizione rilegata diventerebbe 9˚ assoluto). Nella classifica dei gruppi editoriali prevale ancora una volta Segrate, con 50 titoli su 100: 37 Mondadori, 7 Einaudi, 4 Sperling, 2 Piemme. Secondo Rizzoli con 22 titoli: 7 della casa madre quanti quelli di Bompiani, più 5 Adelphi, 2 Fabbri, 1 Sonzogno. Terzo l’arcipelago Mauri Spagnol, 8 titoli (ma tra questi il

primo e il quinto assoluti, Rowling e Terzani): in dettaglio, 4 Longanesi, 1 Guanda, 1 Salani, 1 Garzanti, 1 Tea. A chiudere il conto, 8 Feltrinelli, 5 Sellerio, 2 Baldini Castoldi Dalai e 1 rispettivamente per la Libreria ed. Vaticana, Neri Pozza, Castelvecchi, Fandango e Mandragora. I 100 punti di Harry Potter, nel campione, equivalgono a circa 350 mila copie: la casa editrice ne ha dichiarate oltre 800 mila, ma, come si sa, qui le rilevazioni riguardano solo le librerie, ne è esclusa la grande distribuzione. Dunque, come sempre, va ricordato che «la mappa non è il territorio». Ma per orientarsi, meglio una mappa trasparente, anche se «parziale».

I PRIMI DIECI

1

Harry Potter e il principe mezzosangue ROWLING SALANI

6

2

100

Il cacciatore di aquiloni

7

MOCCIA FELTRINELLI

8

48

Fuori da un evidente destino

CAMILLERI SELLERIO

4

71

Ho voglia di te

HOSSEINI PIEMME

52

La vampa d’agosto

3

83

Inchiesta su Gesù

FALETTI BALDINI CASTOLDI DALAI

La fine è il mio inizio. Un padre...

SAVIANO MONDADORI

TERZANI LONGANESI

10

42

Rivergination

42

Le ali della sfinge

LITTIZZETTO MONDADORI

AUGIAS, PESCE MONDADORI

56

Gomorra. Viaggio nell’impero...

9

46

5

69

CAMILLERI SELLERIO

E GLI ALTRI NOVANTA 11. Un posto nel mondo Volo

37

15,00 MONDADORI

12. La pensione Eva Camilleri

35

35

33

33

33

32

29

18,00 EINAUDI

26

26

24

22

21

21

15,00 MONDADORI

20

16

40. Le mille balle blu Gomez, Travaglio 41. Olive comprese Vitali

15

44. Predatore Cornwell 45. I segreti di Roma. Storie... Augias 46. Stagioni Rigoni Stern 47. Rosso corallo Casati Modignani

20

48. Suite francese Némirovsky

15

15,50 RIZZOLI

49. Parlami d’amore Muccino; Vangelista 50. Deus caritas est Benedetto XVI 1,50 LIBRERIA EDITRICE VATICANA

55. Istanbul Pamuk

75. Il codice da Vinci Brown

56. Ti prendo e ti porto via Ammaniti 57. Memorie di una geisha Golden

60. Angeli e demoni Brown 61. Shantaram Roberts

10

76. La traccia Cornwell

12

77. I fantasmi di pietra Corona

10

10

79. I segreti di Roma. Storie... Augias 80. Lo strano caso del cane... Haddon 9,80 EINAUDI

11

9

9

85. Esco a fare due passi Volo

62. Questa storia Baricco

15

63. Il diavolo veste Prada Weisberger

86. Angeli e demoni Brown 87. Cargo Simenon

9

9

94. Niente di vero tranne gli occhi 9 Faletti 95. Il sentiero dei nidi di ragno Calvino

8

96. Guinness World Records 2007 8 Autori vari 97. L’alchimista Coelho

8

16,00 BOMPIANI

88. Quella sera dorata Cameron

9

98. Se questo è un uomo Levi

8

9,80 BOMPIANI

89. Il broker Grisham

9

99. Fate la nanna. Il semplice... Estivill; De Béjar

8

8,00 MANDRAGORA

90. Le mie montagne. Gli anni... Bocca 14,00 FELTRINELLI

9

100. Memoria delle mie puttane... 8 García Márquez 5,00 MONDADORI

1

I signori bestsellers

11

1. Joanne Kathleen Rowling, nata il 31 luglio 1965 a Yate, Gran Bretagna, l’artefice di Harry Potter. 2. Khaled Hosseini, afghano-americano,autore di «Il cacciatore di aquiloni». 3. Federico Moccia, in cima alle classifiche con «Ho voglia di te»

11

64. Io amo l’Italia. Ma gli italiani... 11 Allam 65. In nome della madre De Luca

9

27,00 MONDADORI

17,00 MONDADORI

15

93. La differenza cristiana Bianchi

7,40 MONDADORI

13,50 PIEMME

15

9

5,00 MONDADORI

9

92. Dio ci salvi dagli inglesi... o no!? 9 Caprarica

5,00 BALDINI CASTOLDI DALAI

19,00 ADELPHI

5,00 MONDADORI

12

84. La sorella Márai

18,00 ADELPHI

9

9

8,00 EINAUDI

12,00 MONDADORI

9,50 RIZZOLI

12

9

8,40 MONDADORI

17,00 MONDADORI

78. Lettera a un insegnante Andreoli

83. Ricordi di un vicolo cieco Yoshimoto

16,50 ADELPHI

10

91. L’amore o quasi Dunne

18,00 SPERLING & KUPFER

11,00 FELTRINELLI

5,00 MONDADORI

58. Come diventare bella, ricca... 12 Giacobbe 59. L’ombra del vento Ruiz Zafon

10

12,00 MONDADORI

12

9

18,90 FABBRI

5,00 FELTRINELLI

12

82. Eragon. L’eredità. Vol. 1 Paolini

15,00 FANDANGO

11

7,50 FELTRINELLI

15

66. Eragon Paolini

11

2

3

6,00 FABBRI

14

67. Mare delle verità De Carlo

11

16,00 BOMPIANI

13

68. Un indovino mi disse Terzani

11

8,60 TEA

13

16,00 RIZZOLI

19

74. L’amico ritrovato Uhlman

9

15,50 GUANDA

22,00 NERI POZZA

19,00 ADELPHI

19

12

18,60 MONDADORI

42. Quello che non si doveva dire 15 Biagi; Mazzetti 43. La classe fa la ola mentre... Beer (cur.)

54. E’una vita che ti aspetto Volo

10

15,00 MONDADORI

18,00 MONDADORI

17,50 SPERLING & KUPFER

20,00 MONDADORI

15,00 ADELPHI

39. Io & Marley Grogan

73. Ti amerò per sempre Angela

12,00 MONDADORI

10,80 EINAUDI

5,00 MONDADORI

30. La vedova scalza Niffoi

16

18,50 MONDADORI

26. L’impero di Cindia. Cina... 20 Rampini

29. Ascolta la mia voce Tamaro

38. Sono come il fiume... Coelho

53. La ballata delle prugne secche 13 Pulsatilla

81. L’infinito viaggiare Magris 17,00 MONDADORI

7,80 MONDADORI

18,60 LONGANESI

19,00 MONDADORI

17,50 BOMPIANI

28. Le cronache di Narnia Lewis

16

10,00 RIZZOLI

17,00 FELTRINELLI

27. La verità del ghiaccio Brown

37. A passo di gambero Eco

72. 1984 Orwell

8,40 MONDADORI

18,00 RIZZOLI

11,80 EINAUDI

25. Caos calmo Veronesi

17

16,00 GARZANTI

19,00 MONDADORI

24. Inés dell’anima mia Allende

36. Testimone inconsapevole Carofiglio

13

18,50 EINAUDI

11,50 BUR RIZZOLI

18,60 MONDADORI

23. Il mio nome è rosso Pamuk

17

14,50 SPERLING & KUPFER

10,00 FELTRINELLI

22. Come Dio comanda Ammaniti

35. Un altro giro di giostra Terzani

52. Il profumo Süskind

11

19,00 SONZOGNO

7,80 MONDADORI

16,00 BOMPIANI

19. La ragazza del secolo scorso 28 Rossanda

21. Il codice da Vinci Brown

17

17,50 BOMPIANI

16,50 MONDADORI

20. Tre metri sopra il cielo Moccia

34. La verità del ghiaccio Brown

71. La luna fredda Deaver

10,00 CASTELVECCHI

11,00 SELLERIO

18,00 SPERLING & KUPFER

18. Donne informate sui fatti Fruttero

17

18,60 LONGANESI

12,00 MONDADORI

17. La grande bugia Pansa

33. Il piccolo principe Saint-Exupéry

13

17,60 LONGANESI

18,60 MONDADORI

13,00 FELTRINELLI

16. L’ombra del vento Ruiz Zafon

17

7,00 BOMPIANI

12 SELLERIO

15. Tutto il Grillo che conta Grillo

32. Innocente. Una storia vera Grisham

51. Ad occhi chiusi Carofiglio 10,00 SELLERIO

18,60 MONDADORI

18,60 MONDADORI

14. Ragionevoli dubbi Carofiglio

18

16,00 RIZZOLI

14,00 MONDADORI

13. Crypto Brown

31. La scoperta dell’alba Veltroni

69. L’Italia spezzata. Un paese... Vespa

11

18,00 MONDADORI - RAI ERI

13

70. Undici minuti Coelho

11

6,00 BOMPIANI

LA CLASSIFICA DI TUTTOLIBRI È REALIZZATA DALL’ISTITUTO DEMOSKOPEA DI MILANO, ANALIZZANDO I DATI DELLE COPIE VENDUTE OGNI SETTIMANA, RACCOLTI IN UN CAMPIONE DI 120 LIBRERIE A ROTAZIONE, DI CUI 80 EFFETTIVE. SI ASSEGNANO I 100 PUNTI AL TITOLO PIÙ VENDUTO TRA LE NOVITÀ. TUTTI GLI ALTRI SONO CALCOLATI IN PROPORZIONE.

W

Diario di lettura Alain Elkann

Tuttolibri

SABATO 13 GENNAIO 2007 LA STAMPA

Vita Alain Elkann è nato a New York nel 1950. Giornalista e scrittore. Collabora a «La Stampa», «Lo Specchio», «Nuovi Argomenti», «Panta». Una lunga consuetudine lo ha legato ad Alberto Moravia, di cui ha scritto la «Vita» per Bompiani, tradotta in più di quindici lingue.

Opere Alain Elkann esordì come narratore con «Piazza Carignano» (nei Tascabili Bompiani). Sempre nel catalogo Bompiani, tra gli altri titoli, «Essere ebreo» (con Elio Toaff), «Il padre francese», «John Star», «Una lunga estate», «Mitzvà», «Giorno dopo giorno».

LE SUE SCELTE

f

IRENE NEMIROVSKY

David Golder

traduzione di Margherita Belardetti ADELPHI, PP. 180, €16

Parigi 1938, al caffè: nella capitale francese è ambientato il romanzo di Irène Némirovsky «David Golder»

IN FRANCIA CON L’UOM O D’AFFARI EBREO ALAIN ELKANN

Gli ultimi giorni di dicembre, le prime settimane di gennaio e il Ferragosto sono per me i momenti migliori da dedicare alla lettura. Non parlo di letture obbligatorie, di libri che ricevo per il mio programma televisivo «Due minuti e un libro» (La7) o di libri che mi inviano per cortesia o per amicizia autori ed editori, ma di libri che mi compero io. Sono libri che mi attraggono, che sto aspettando, che magari non sono tradotti e allora li compro quando viaggio o li ordino attraverso Internet. Come nasce il desiderio di leggere un libro è secondo me un capriccio, una voglia irrazionale spesso improvvisa. Puoi scoprirlo per caso in libreria o sulla bancarella o puoi essere attratto da una recensione o da quello che senti dire da qualcuno. Proprio durante il periodo natalizio mi è venuto il desiderio di rileggere i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Rileggerlo come ho riletto per esempio Guerra e Pace di Tolstoj due agosti fa o L’idiota di Dostoevskij lo scorso agosto. Voglio ascoltare la lettura dei Promessi Sposi al di fuori da un contesto scolastico o da ogni retorica. Per fare questo ho comprato il romanzo in edizione tascabile e ho cominciato a rileggerlo con grande gusto. Rileggere è bellissimo perché anche se si conoscono già la trama e i personaggi si scoprono cose che erano sfuggite in una prima lettura e che ci appaiono improvvisamente straordinarie. Succede poi che, anche se

L’INVIDIA ALLA RICERCA DELL’ARTISTA «L’invidia» è, in ordine di tempo, l’ultimo lavoro di Alain Elkann, per i tipi di Bompiani (pp. 132, €10). Ne è protagonista uno scrittore-giornalista, travolto da una curiosità sempre più ossessiva per un famoso artista: Julian Sax. Recensendo il romanzo su Tuttolibri, Lorenzo Mondo osserva: «L’invidia diventa infine la storia di un’idea di romanzo che, liberandosi da pratiche, pretestuose finalità (la guarigione dell’autore) valga soltanto per se stesso, per l’autonoma capacità di esprimere le contraddittorie passioni dell’animo umano. Un romanzo aperto e tutto da scrivere».

uno ha molti libri messi ben in vista sul tavolo che ha davanti, ci si alza e capita di guardare la biblioteca e si viene attratti da un libro che magari è lì da tempo. Il giorno di Capodanno ho preso in mano il volume 493 della Biblioteca Adelphi, copertina rossa un romanzo di Irène Némirovsky, l’autrice di Suite Francese, libro che avevo già letto con grande gusto. Il titolo del romanzo è David Golder. E’ una storia ambientata nella Francia tra le due guerre e Golder è un personaggio che potrebbe benissimo trovare il suo posto in una commedia di Bernstein o in un film

in bianco e nero interpretato da Von Stroheim o meglio ancora da Peter Lorre. E’ la storia un po’ tragica di un uomo d’affari ebreo che si lascia trascinare in un gioco pericoloso di speculazioni per procurarsi il denaro ed il lusso, che gli danno l’illusione di poter comperare i sentimenti, almeno di riconoscenza, di sua moglie Gloria e di quella che lui crede essere sua figlia Joyce, ma che in realtà è la figlia naturale di uno spregiudicato giocatore e cicisbeo che da anni è l’amante di sua moglie. David Golder è la storia dell’angoscia di un uomo che soffre di una angina pectoris che lo condurrà alla morte, ma è anche la descrizione perfetta di un mondo decadente, cinico e orribile dove il denaro è la sola cosa che conta per poter continuare a vivere fuori dal mondo in un lusso grottesco e malinconico che ha odore di cipria e di lacrime. A Parigi in dicembre avevo comperato due libri curiosi Avec Camus di Jean Daniel (Gallimard) e Cahiers de Guerre di Marguerite Duras (I.O.L.). Jean Daniel ritorna in un libro di memorie sulle tracce del suo maestro di vita e di giornalismo Albert Camus l’autore dello Straniero, ma anche l’intellettuale impegnato, il direttore di «Combat» mitico quotidiano a cui collaboravano i grandi scrittori e intellettuali esistenzialisti e quindi editorialista dell’«Express» il settimanale a cui collaborarono Françoise Giroud, André Mauriac, Pierre Mendès-France... C’è poi una lunga parte del saggio dedicata a Camus e la guerra di Algeria e anche alla sua rottura con Sartre.

TUTTOlibri RESPONSABILE: NICO ORENGO. IN REDAZIONE: LUCIANO GENTA, BRUNO QUARANTA.

XI

«David Golder» è un romanzo della scrittrice Irene Némirovsky, che ha legato il suo nome a «Suite francese». «E’ una storia - riepiloga Alain Elkann - ambientata nella Francia tra le due guerre. Golder è un personaggio che potrebbe trovare il suo posto in una commedia di Bernstein o in un film in bianco e nero interpretato da Von Stroheim o meglio ancora da Peter Lory. Golder è un uomo d’affari ebreo che si lascia trascinare in un gioco pericoloso di speculazioni per procurarsi il denaro ed il lusso».

f

ALESSANDRO MANZONI

I promessi sposi Introduzione e note di Vittorio Spinazzola GARZANTI PP: XXXIV-522, €8,50

«Voglio ascoltare la lettura dei “Promessi Sposi” al di fuori da un contesto scolastico o da ogni retorica. Per fare questo ho comprato il romanzo in edizione tascabile e ho cominciato a rileggerlo con grande gusto. Rileggere è bellissimo perché anche se si conoscono già la trama e i personaggi si scoprono cose che erano sfuggite in una prima lettura e che ci appaiono improvvisamente straordinarie».

f

CONSTANT WAIRY

Il valletto di Napoleone a cura di Patrizia Varetto SELLERIO, PP. 341, €12

«In un pomeriggio - spiega Alain Elkann - ho anche letto per caso “Il valletto di Napoleone”. Da quando Ernesto Ferrero ha scritto il suo romanzo N. (Einaudi) che parla di un Napoleone ormai vinto all’isola d’Elba, ho cominciato a leggere libri su Napoleone e devo dire che sono belle le pagine in cui il valletto Constant, che vive sempre accanto all’Imperatore lo descrive nella gloria, in guerra, nella vittoria e nella sconfitta fino appunto all’esilio all’isola d’Elba».

Nei suoi Cahiers de Guerre la Duras parla degli anni della guerra in cui vive in Indonesia e capisce bene che da questi scritti trarrà ispirazione per alcuni suoi famosi romanzi compreso L’Amante (Feltrinelli), che fu un grandissimo best seller. In questo libro è anche curiosa la descrizione nel primo dopoguerra di un’estate al mare vicino a Bocche di Magra in cui Giulio Einaudi, Dionigi Masceolo e soprattutto Elio e Ginetta Vittorini vengono descritti sulla spiaggia nei piccoli gesti della vacanza. Le donne si abbronzano tra di loro, gli uomini giocano a palla, i corpi sono giovani e sensuali. Sembra di vedere un film di Antonioni o di Visconti. In un pomeriggio ho anche letto per caso Il Valletto di Napoleone (Sellerio) da quando Ernesto Ferrero ha scritto il suo romanzo N. (Einaudi) che parla di un Napoleone ormai vinto all’isola d’Elba, ho cominciato a leggere libri su Napoleone e devo dire che sono belle le pagine in cui il valletto Constant, che vive sempre accanto all’Imperatore lo descrive nella gloria, in guerra, nella vittoria e nella sconfitta fino appunto all’esilio all’isola d’Elba. Avevo chiesto a un libraio romano se aveva le poesie di Sandro Penna. Mi ha risposto no, ho solo Prose e foglietti sparsi scritti tra il ’39 e il ’41 (Gli Elefanti di Garzanti). Ho comprato il libro, l’ho letto. Il racconto Un po’ di febbre da cui prende il titolo il libro mi ha fatto tornare in mente una poesia del grande poeta greco alessandrino Kavafis «Passata la mezzanotte». L’omosessualità è descritta con eleganza e con passione. Ho anche ripensato a un libro che vorrei rileggere di Giorgio Bassani Gli occhiali d’oro (Mondadori) forse il suo libro più bello sul tema della discriminazione. Adesso ho ancora due libri che aspettano di essere letti. Devo dire che li ho già sfogliati, ho già letto qualche pagina. Sì, mi piace anche annusare i libri. Tenerli con me, metterli in valigia, posarli sul comodino la notte, aprirli e poi a un certo punto cominciare a leggere. Uno è l’autobiografia di Gianni Vattimo scritta con Piergiorgio Paterlini Non essere Dio (Aliberti Editore), l’altro è un romanzo di un giovane narratore francese Philippe Forest Per tutta la notte a cura di Domenico Scarpa pubblicato da Alet. L’autobiografia a quattro mani di Vattimo mi interessa perché conosco bene il filosofo e mi piacciono molto i libri intervista, perché credo che riescano ad esprimere bene pensieri magari complessi in modo più semplice. Philippe Forest l’ho conosciuto a Palermo durante un dibattito del Premio Mondello e ho capito che si tratta di uno scrittore giovane e molto interessante. Ci sono adesso tre nuovi libri che ronzano nei miei pensieri dopo aver letto un elzeviro di Franco Cordelli sull’opera di Isaak Babel e in particolare sul meridiano Tutte le opere (Mondadori) in cui lo scrittore descrive la prosa poetica del grande narratore ebreo desidero per lo meno comperare quel volume. Poi sono curioso di leggere il saggio di Maurizio Molinari Gli Ebrei di New York (Laterza) e infine aspetto anche il nuovo romanzo di Mario Fortunato (Bompiani) di cui sono molto curioso. Il lettore si domanderà se nelle mie letture c’è un filo rosso, un nesso. Confesso che le mie letture nascono da impulsi e capricci, considero un grande lusso e un grande divertimento lasciarmi sedurre dai libri.

E-MAIL: [email protected] SITO INTERNET: www.lastampa.it/tuttolibri/

SABATO 13 GENNAIO 2007 LA STAMPA XII

W

LUCIANA LITTIZZETTO IL NUOVO LIBRO.

www.librimondadori.it

IE P O C E 0 T 0 DU 0 . 0 EN 6 4 V

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