Poesie Inedite

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POESIE INEDITE DI ALFREDO ROMANO

EPITAFFIO (Trovato sulla copertina dell’assemblato manuale di spartiti. Scritto chissà quando.)

Alfredo Romano nato a Collemeto di Galatina tre marzo millenovecentoquarantanove 6 dichiarato causa neve forza nove leccese emigrato in quel di Civita Castellana giugno millenovecentosessantacinque esercitando anzi il tabaccaro poscia bibliotecario per invano civitonici istruir morir di fama anziché con queste eterne canzon (dis)annoiava se stesso (dis)accorava gli amici mentre a udir si prestavano canzoni sue non sue alfin soltanto sue tale il modo l’inventar l’atteggiar modular strumentar che facea moroso della voce amena e il sorprendere il sedurre sì che le donne in specie profferivan: Colei beata che il respir ne coglie e l’amor: a noi sol le note ne prescrisse il fato Civita Castellana, 1979?

PASSI T’ATTENDONO SEMPRE Passi t’attendono sempre ai bruniti lampioni di sera sfavillan gli occhioni tuoi belli che sole non fece due lune piuttosto lontane strali mai visti d’amore 1994

NEL GIARDINO DI PAPÀ A mia madre Nel giardino di papà sogno dei copiosi frutti il tuo amor ritrovato che rimpianto mamma parole ci insegnasti più grandi di te gesti e pensieri donare senza pretese soffrire senza mai dire domani fra le tue albe svegli di già le belle tue albe che più non sanno di cupi tramonti Collemeto, 10/10/1994 (tre giorni dopo, per il ricordino funebre)

LA MONETA ROMANA (In regalo a Loredana in sposa a James di Londra) Ti porta voci la moneta romana umori di tua terra feconda rumori di secoli tepori di ataviche mani lavorate di Storia Ti porta l’amore sazio la moneta romana nello scambio del pane Costantino diarca d’appuntarsi felice ora sul tuo bel corpo di donna in fuoco di passioni gioie dai tempi remoti fortuna al di là dei confini il Re che cercavi da sempre 28/5/1996

BALLATA DEL TEMPO CHE CANTAVO

Cantavo un tempo sui sagrati delle chiese lunghe veglie di pace rivoluzione un sol paese l’ira sfidando forse invidia dell’Io che m’alzo presto bigotte per non dire bempensanti non s’intona il Credo Tantum ergo col Sol dell’Avvenire Cantavo non gradito fin dentro le caserme avanti il gran partito ci piacciono le bande i Tupa delle Ande giocare con la guerra su questa bella terra lasciatemi gridare è proprio una viltà un compagno non ci sta Cantavo più accorato sulle spiagge innamorato di notte al chiar di luna lambito dalla schiuma dell’onda di battigia le fiamme d’un falò girotondo perché no di pazze belle donne di quelle del ti amo sono certa ma non so

Cantavo per serate intonate all’allegria le feste degli amici parenti e chicchessia giullare aedo e festaiolo a richiesta nel ruolo di Cupido per la coppia che all’angolo tubava dài buffone un’ultima canzone bevi c’è del vino fallo per l’amore Or più spesso canto ormai per passi d’una donna che mi s’affaccenda accanto un motivo la solita canzone lo spartito sempre più sdrucito la chitarra senza più gazzarra quand’ecco all’improvviso il mare s’accorda con re sesta fa sol con amara terra mia in mezzo al blu la casa di Maria... Un brivido mi corre per la schiena leggera una breve commozione un caro finalmente dolce pianto e tutto senza un grammo di finzione per grazia che all’uso delle quinte davvero non mi serve far l’attore Itaca, luglio 1996

Cantavo delle voglie accese in una sera gli sguardi un po’ coglioni nei lampi dei tizzoni botti strambotti e ritornelli cantavo il grande amore come in tele d’acquerelli ritmi pizziche e tamburi danzavo alle tarante come in certi giorni scuri

L’ALBA Mi hai sorpreso all’alba in fremiti di mani poi il brusco risveglio in un frastuono di uccelli il canto dell’usignuolo il grido dell’upupa nella notte sono ricordi lontani. Oggi m’attende il sole più caldo i baci mi stanano il cuore uno cento mille la tua bocca ha sapore di pesca. Canterò tutta la notte voglio gli uccelli sul tetto tutti come farei senza l’upupa triste? Sei la notte sei il giorno ti ho nel sangue da sempre. Peloponneso, 1997

RISTORANTE MALVASIA Al ristorante Malvasia uno chef un po’ distratto m’allunga tutti i giorni s’un piatto bianco ovale un’amante non c’è male. In posa da odalisca i seni in bella vista mi lancia un tal sorriso sì raro sì esplosivo che in sella ad una scheggia dico: se questa non è reggia! Sogno oppur son desto hai degli occhi mia regina d’una sclera così bianca che ti splende la pupilla con un fare da bambina. Trepida la mia mano s’accosta sul tuo viso a sfiorar due labbra rosse di che porta paradiso mosse schiuse nella brama. Ben cotta la tua pelle rosata quanto basta odora di che femmina profuma che è uno schianto.

Lo sguardo corre al pube oh rosa nel bicchiere! pudìca la tua mano nasconde qual mistero l’amore si fa dolce l’amore si fa piano. La mia bocca sui tuoi lobi è l’inizio di una danza di sussurri e di parole di gemiti e sospiri di note del profondo chissà di quale mondo. Si vena la tua gota di giubilo e languore or pallida t’infiammi felice t’abbandoni la chioma ti scomponi. Umida sei tutta pazza pazza eccolo! urlo approdo di animale scagliati in un mare di turgore... ma io son qui che piango non piango che d’amore. Peloponneso, 1997

ELENA S’attarda la luna stasera levarsi sul mare di Grecia lento incamminarmi su ciottoli che a riva sull’onda scagliati i miei gemiti increspano d’amore. E t’invoco, Elena, tristi ho presagi nel cuore e grido e t’imploro ché m’oda lassù per dirupi la cara mia bella Afrodite corri Elena! Elena! Io un mazzetto ho da porti di macchia d’iperico dai bei fiori gialli unguento per malanni d’amore a Cìpride d’olezzo graditi dea che dispensa la brama... Coglila! E’ meglio d’ambrosia e salta sul primo naviglio furtiva avanti il chiaro di luna. Elena ti chiami da sposo fuggiasca regale di stirpe audace guerriero ma t’inseguono figli passerotti lo so... Non ho artigli ben io a difesa d’un nido? E son buffo e ti canto sarà festa ogni sera e ti salto e ti danzo e ti mangio e ti bevo e bottiglie ti stappo per un’unica cena allorché t’amo t’amo mia gioia mia pena. Dopo Sparta, in riva all'Egeo, luglio 1997

IL TUO SGUARDO NELL’AMORE Il tuo sguardo nell’amore è l’affresco mai trovato di una pizia posseduta già descritto in vecchie carte nascosto in un giardino d’una villa dei misteri Il tuo sguardo nell’amore è la mappa di un tesoro che da secoli per mari rotola sull’onde in vista d’un veliero un pirata ormai alla fine l’affidò dalla Tortuga a un piacere di bottiglia una volta di gran rhum Il tuo sguardo nell’amore l’ho scoperto a notte alta confuso tra le note di cento e più spartiti due occhi come crome mi danzavano davanti tutta l’anima a rapirmi e i sensi tutti quanti Il tuo sguardo nell’amore... io che cerco il bello ovunque non mi viene un paragone col tuo sguardo il tuo sguardo nell’amore Mare Itaca, luglio 1997

ASPETTA A Dante, amico mio e poeta, che il 30 gennaio 2000 ha voluto dare il suo addio alla vita e neanche un saluto un saluto almeno Aspetta, t'ho visto salire sul carro della notte briciole di sogni avevo in serbo per te per tracciarti, amico, la via del ritorno il tuo sguardo… volta il tuo sguardo bagliori mai visti fendono il tramonto oh sì, ti valeva per bearti d'immenso tu che sapevi imbrigliare la luce e regalarla a tutti in un pugno di versi. Aspetta, ti sei svegliato sul ciglio del burrone la linea d'ombra, ecco, volevi misurarti… ma ora la mano, tendimi la mano scuoti la terra in grida accorate urla al vento il tuo bisogno d'amore piangevano, sì, anche gli eroi Ulisse perfino la donna implorando su rive lontane in lai disperati. Aspetta, ci attendono ancora passi a far notte tra i verdi filari del nostro tabacco d'amori a ragionar, di vino e poeti di belle canzoni che cambiavano il mondo di terre infeconde che fiaccavan la schiena del sudore dei padri che assolava le facce di olio e di sale su un pezzo di pane che bastava, magari, per capire la vita. Alfredo Romano Civita Castellana, 14 febbraio 2000

PRIMAVERA

Attendo nella notte attendo dileguarsi nell’orrido il verso dell’ultima civetta presagio di morte non più da quando primavera in bagliori rosa si svela dal bel monte oraziano nell’aria di fresca rugiada. M’avvio sul presto mattino nel via vai d’ignari passanti tra fasci di dardi in raggiera tra gemme di lento germoglio e mi prende ogni volta tremulo quell’inquieto moto dell’anima per la donna dagli occhi lucenti che m’agita il sonno e la veglia in desideri di strette e di baci tenerezze in carezze di carne in amplessi di gemiti e sospiri. Sono incauti flutti di sangue queste gemme d’amore sul corpo. Non s’ingemma la quercia secolare? Non insegue il rondone la compagna? Mi viene nel dolce abbandono rapirla da miei foschi pirati prigioniera sulla nave all’attracco e spinti sull’oceano al largo invocherò la clemente Afrodite che m’indusse caparbia nella brama. 15 aprile 2005

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