A se stesso Juan Sebastian Anlachi
Ritorno a casa E al fine lungi dalle native sponde, all’achea natia terra ritornata l’anima, la dove forgiata d’antico nacque dall’onde, ritrovo d’antichi la pace del verso, la gloria degli atti e i fulgidi canti che l’epoca nuova con gelidi manti ricopre di tetro e di terso. E dei paterni popoli l’antica fama, di gloriose guerre la lucente lama che le imprese e le gesta rifulge. Ed io, piccolo in tanta grandezza, rivesto il cuore d’amarezza nel ricordo del tempo che fugge. Ad un morto Morto: l’ignoto sangue bagna la casa immacolata, mentre freddo il corpo langue attonito d’improvvisa coscienza, e la madre piange accanto; per il cielo sorge un canto. “Perché?” , va per la città il grido stolto di popolo. “Perché?”, quando scorre viltà nelle vene, e non “Quando?”. Quando la pace anche a noi? Quando il regno dei tuoi?
Immagini E d’improvviso giacque fra le silenti ore e le immote acque, la mente, e tacque. E orizzonti immensi e antiche albe fra cieli densi e taciti silenzi. L’alba di un’era seduto sul manto del cielo assisto, viandante rivisto, con il silente canto del futuro ch’era. A Dio Dove sei quando ti cerco? - Sono sempre di fronte a te, E quando piango? - Asciugo le tue lagrime, Ti guardo e non ti trovo. - Lo sguardo è fisso nei tuoi occhi. Aspetto il giorno - Il giorno è già venuto, Quando di piena pace - E dopo la dura lotta Mi ricoprirai d’eterno - Tutto fu eterno. Desiderio D’un desiderio seducente L’animo si macchia, e il cuore gracchia, e sogna la mente i ricordi d’un tempo passato, che sperare era permesso, costruire era concesso un futuro ormai cancellato
Notturno S’assopiscono i ruscelli, si stendono fra i monti stellati neri velli, fra Dio e l’uomo ponti. Si spengono le luci, dormon già i bambini, son vuoti già i gradini, sol ombre fra gli incroci. Ed ecco, dorme l’uomo, placido fra i sogni. Muore così d’ogni casa ed ogni Duomo il lume che scalda i corpi, fuoco che accende i cuori. Satira Parla la saggia, Sproloquia, “La fatica dà gioia, la felicità dal merito”, e intanto ciancia, non lavora né insegna, e fa proprio quello che essa stessa disdegna: ozia! 5 Maggio Piange il figlio al capezzale, bacia la madre, stringe la mano, ma attonito il viso, silente, l’occhio sbarrato guarda lontano; morta, non torna al richiamo. D’un grido si spezza il cuore Mentre nell’animo il viso muore. Tanta vita hai passato soffrendo,
piangendo il figlio, la famiglia, o nonna, e hai corso la speranza d’un sogno; l’hai visto rapito da una donna, il cui viso era ignoto a te, ma che a lui suscitò tanto amore che al ricordo ti si spezza il cuore. E come te gli altri avi soffrirono, patirono, piansero e risero, videro in noi la loro speranza mentre correvano della vita il misero corso. E giunse per loro il giorno nero di morte, il grido di vendetta alla sorte. Vecchio malato Un vecchio malato sta in fondo; lo sguardo basso, a terra, mentre la gente di questo mondo è ignara della sua intima guerra. E’ stanco; ormai sta per cedere. E il vicino ride, scherza, gioisce. E’ ignaro di quanto può ledere col suo riso l’animo che perisce. E così il vecchio muore Lento fra le strette mura, e abbandona questa terra di gioie, altrui, forse; né muore con lui la sua vita dura, ma il mondo sempre è dolore e noie. Pianto Pianti di sabbia in viso -Dov’è Dio?Il silenzio tace il sorriso Il sogno mio Si spegne nel nero D’una notte Senza stelle dilaniata Da luci rotte E ogni parola bagnata
Dalla liquida Aria monca rimane Nel cuore vivida Senza speranza permane. Samuele Samuele, per te primo sorge il sole -Chissà poi quanto dura?mentre gemendo richiedi la materna mano, che silente ti protegge. Ma mentre chiudi gli occhi e riposi sempre a mente ti sian le mie parole: non vedrai mai la felice sposa senza lontano un rombo di guerra, né il dolore di una madre sul corpo del figlio senza il vincitore che ora riposa. E riposa anche tu, dormi. Sei piccolo. Forse questi Sono i pensieri di un uomo che vorrebbe essere più piccolo di te che non hai vita che da un giorno. Vita mesta Spariranno anche Questi sogni D’un giorno Fra i mali Di sempre Petali di spine Fra gambi di gioie Recise di netto E tutto il mio corso Non sarà che una Notte Apatia di vita.
Ricordo di cinque anni Ti ricordi quel primo giorno che ci siamo visti nella nostra classe? Arcidiacono, Borzì, Cantone… Abbiamo visto alcuni fermarsi, abbiamo visto alcuni fermati, Castro, Condorelli, Conti… Ci siamo uniti nelle nostre speranze, divisi in inutili sciocchezze, Cuffari, Dileo, Fichera… Tremavamo se s’apriva il registro, ridevamo se usciva il professore, Francipelli, Guglielmino, Lando… E ora piangiamo per lo stesso motivo, ci abbracciamo, giuriamo ricordo, Licciardello, Messina, Palumbo… È finita la nostra avventura, ci scambiamo un gelido bacio, Parisi, Ragusa, Sciacca… Mentre già il tuo ricordo svanisce Qui io mendico un po’ di memoria, Tallarico, Tirenna, Tomasello, Tortomasi. A Sirio Osserva là sopra, Sirio ci guarda e nell’espera sera, lontano ricorda. Rimembra d’antico, di tempi passati, e il silenzio, suo amico, ci coglie sdraiati. Sogni il futuro… Speranza ti bussa… Ma crolla il tuo muro,
quella fede indiscussa. Guarda là sopra, la luna ci osserva; lascia che copra la tua vita torva. E ora sorridi, godi la vita, che gli occhi tuoi madidi, copran mie dita. Silenzio sia attorno. Tempo Passeranno anche quest’ore Schiave di mille passioni. Questi giorni di rami d’assenzio Forse saranno fugace ricordo, E l’oppio dell’ebro mio cuore Represso nel sogno, già sua dimora. Moneta Addio, mio sogno del sud, Immerso fra campi assolati, Su libri di studio sbiaditi, Tra gli echi di voci di donne. Settimana Vennero giù le torri, Con le loro gioie e i dolori, Con mille speranze ed orrori, E i ricordi del fresco albeggiare. Vennero giù le torri, Ma non i loro nonsensi, Non le urla e le recriminazioni, Non le vendette e i consensi. Vennero giù le torri, E abbatterono l’essenziale, Cancellarono un sogno d’amore, E il ricordo di quel fresco albeggiare.
Preghiera Dona la pace a chi s’è perso, A chi non scorge più il suo sole, A chi ha perso la sua luna, A chi non ha conosciuto ciò che tu doni. Dona il perdono a chi odia, A chi non ode più il tuo richiamo, A chi ha paura di perdere tutto, A chi non vede più che lo ami. Gioiello Gioiello incastonato fra dolori, Or che da te io parto, ricorda: Colui che dona senza prendere, Colui che ama senza chiedere, Salpa per un ultimo viaggio; Meta o ritorno, non scorgo, E ciò che è stato e passato, Ciò che non fu, se non desiderio, Tutto oblia in sbiadito ricordo. Edainemir Una sera, come questa, di pioggia Portasti via il mio cuore ferito; Gocce scioglievano il trucco in viso, Lagrime coprivano l’orgoglio deluso. Una sera, proprio questa, di pioggia, Ora rendi il mio cuore ferito; Le mie lagrime bagnano il viso, Lampi inondano l’orgoglio deluso. Non dissi parole illuse, Non strinsi teneri abbracci, Osservai solo occhi da amare. Ora sento solo parole e scuse, M’allungo fra gelidi abbracci, Nel ricordo di quegli occhi da amare.
Cuore Dimentica le rime dei poeti, Dei consigli dei saggi non curarti, Solo sopporta, stupido cuore, E mansueto riposa Fra cuscini chiodati. Orgoglio Ho tentato a lungo e duramente, Mi sono spinto fin oltre i miei limiti, Ma tutto è stato inutile, E nulla conta niente. Dovrò cadere, dovrò perdere tutto, Ma nulla conta realmente, Come dicono, Se non il mio orgoglio scomparso. Amore cristiano Vivendo fra i vermi Imparo a strisciare. Vivendo fra i falsi Imparo a mentire. Vivendo fra gli ipocriti, Imparo a scusarti. Bene. Falso fra i falsi, Verme fra i vermi, Ipocrita fra gli ipocriti. Rendere il subito, Vendicare le menzogne, E sorridere fingendo innocenza: Questo ora voglio. E poi dopo, forse, Pentimento e perdono. Maggio Fra i canti d’alpini, fra luci, Fra penne e cappelli, Frae strade e croci
Di chiese nascoste nel buio, Sbiadisce ogni cosa, E il tempo si ferma, Per attimi, forse, infiniti. Tutto scompare alla vista D’un mare placido e assorto: Dei dolori, degli amori, Degli odii e delle rabbie, Nulla rimane sulle creste dell’onde, Mentre il porto s’illumina Di rade luci di maggio. Banchine pullulano di oblii, Ricordi sfuggonno alla vista Di Sirio alta e splendente, E di essi solo un tenue lamento, Fra pensieri che corrono altrove. La luna nascosta fra nubi Di ingenui temporali di maggio Appare lontana alla vista, Mentre immoti viaggiatori riposano Su panche bagnate di vino, E lagrime, forse. Ma tutto scorre fra le onde D’un mare placido e assorto Fra i giorni d’uno stupido maggio. Il mimo L’anima tinta di mille colori Narra antichi racconti, duri a morire. Ali di farfalle battono in cerca D’un vento fragile e silenzioso. Volare, fra nubi d’oriente, Fra cieli tersi, firmamenti di stelle. Dentro, il soffio di vita, Muto riposa e osserva. Il cuore non batte, ascolta solo. Le maschere cadono al soffio D’uccelli e di foglie nascenti. Tutto crolla in terra, Ma il sorriso non cede. Lo spettacolo continua. “Se il gioco v’è piaciuto, Date il vostro plauso”.
Dedica a due amici Lungo le vie, lungo le strade, Come fari di macchine veloci, Comparse riempiono di attimi La vita che lenta scorre. Frana la terra sotto i piedi; Ciò che sembra infrangibile Improvviso come vetro si spezza, e tutto sembra perdersi Fra parole gelide e impensate. Perché? Dove mi sono perso? In quale traversa non ti ho vista piu? Per le vie, come strade, Come fari di bus pieni di miseria, Le vite si perdono in attimi, In corsi paralleli, senza incroci. Ma tutto non può franare, Dalla terra qualcosa deve pur nascere, Dal fuoco bianche scintille, Forse daranno nuovo calore A parole perse fra i pensieri. Uomini Parlano spesso, ometti, Ma spesso non odono Quello che dicono, o mentono. Promettono, omucci, E come parassiti ti succhiano Via l’anima e il cuore. E recriminano, omini, Irridono, lesti come iene, Insignificanti come mosche. E come mosche ronzano Su merde, su scarti altrui. Ma le mosche si schiacciano, E non si chiede perdono
Se non a chi non ne ha bisogno. Aredhel MelHerudin Fui Faramir, ma più non sono. Mi chiamasti Aredhel, Mia cara Nimelen, Quando altrove volsi lo sguardo. Fui Faramir, ma quel nome Ora tace nel tempo trascorso, E il mio cuore rivive Fra templi perduti, Fra pensieri bagnati di pioggia. Aredhel MelHerudin, Che perdono non conosce E del passato è immemore, Sono io. Considerazioni Per chi ho sprecato i miei giorni? A chi ho donato i miei pensieri? Ad uno sguardo senza ricordo, Ad un viso senza alcun animo. Maschere un tempo coprivano D’attori senz’occhi gli sguardi: Oggi vesti ricoprono il corpo Di maschere fattesi donne. Non più spirito, non più cuore Nascondono in impeto tragico, Ma solo il vuoto, e nel tempo, Nient’altro che carne morente. Domanda Sotto un cielo afoso, Fra genti sconosciute, Nel fracasso di note aliene, Un pensiero mi sbrana: Sto sprecando la mia vita? O la vita è uno spreco?
Specchio Specchio, specchio, Splendido inganno di luce, Menti alle mie parole: Chi è colui che rifletti? Di chi sono quegli occhi spenti? Il mare Il mare rimbomba di schiuma, S’immola di sabbia il suo flutto. Lontano sull’orizzonte, Un gabbiano vola leggero. Di fronte ad una candida luna Smetto gli abiti del lutto; Muore nel cuore silente, Si perde, s’oblia, il pensiero. Un cielo magico e assorto Copre il mio volto stracciato, Lo veste di pallide stelle. L’odio, l’amore; come un morto Su uno scoglio da luce bagnato: D’infinito s’agghinda la pelle. Odi Un verme dinnanzi, cosa dire, Lo conoscevo per tale, Non so più mentire. Ma di chi cantai odi? Per chi provai affetto? Per chi non conosce che lodi, Per chi non conosce rispetto. Per chi cantai odi? Per una che non vive Che falsa amicizia. Ma basta finzioni: Basta con finti sorrisi E coltelli ficcati nella schiena. Per chi cantasti odi?
La risposta è una sola: Per una che merita Soltanto che l’odi. Cipriota L’acqua risplende Al sole d’estate; Onde s’abbattono Come arieti su scogli. Il mare di Cipro, Il mare di Venere, Ove d’antico si pose Lo sguardo di dei. Sei mai stato, perso, Fra pascoli assolati, Sotto antichi giorni? Hai mai visto albe Rosate, dipinte, Su mari verdi, bagnati Di gemme, smeraldi? Eppure, io, solo, E nulla di diverso sotto Il sole cocente, sotto Stelle d’oriente sbiadite. Il cuore non cambia, Non smette la maschera Il viso arrossato; Solo, tutto passa, E nella mente, di Fugace ricordo S’empie l’orlo D’un vaso. Saffo Hai trovato la morte per un ardore Non vissuto, se non nel sogno. Hai cantato le gioie d’ogni amore, Hai riempito di parole il segno Di penne e fogli millenari, Di poeti e d’amanti perduti.
Mentre alla gelida luna levavi I tuoi ultimi e splendidi versi, tenuti A ricordo - e quale! - e urlo di dolore, Verso chi, ebro e cieco d’orgoglio E di gelida, irriconoscente impudenza, Non vedeva in te d’Eros l’arciere, Non vedeva anzi te, e non voglio Non so tacere immonda prudenza, Ricordavi quando, dolce giovinezza, Sognavi il futuro sperando nel cielo, E bramavi d’abbraccio dolcezza, E la mente andava al nuziale velo. Ma non uno dei sogni s’avverò, Non una speranza si fece reale, Solo, il tuo cuore stanco urlò Rabbia, e colse il suo fiore del male. Sotto la croce Sulla terra di quell’ermo colle, Spicca tra l’altre una croce nuda, Nella notte di nubi senza stelle, E d’ una luna lontana e muta. Chiede un bimbo avanti alla morte: “Padre, di chi quel corpo fra veli?” Mentre una madre, di lagrime rotte Affoga il figlio, un uomo morto su teli. “Figlio, egli fu detto re dei Giudei, Egli che visse d’amore e preghiera. Ora giace il suo corpo fra i rei, Ora scompare la speranza d’un era.” E’ muto il bimbo, lo sguardo tenente Alla croce che fra tutte svettava; Bagnata da una pioggia cadente Come vinta da terrore lagrimava. Si chiedeva chi egli fosse davvero, Folle, solo un uomo o figlio di Dio; Ma sempre terrò il cuore nel vero A chiamarti piangendo Signore mio.
L’uomo che soffia C’è un uomo qua sotto, cammina; Cammina in cortile: vestito D’un alto cappello nero di notte. I capelli bianchi si spandono Sotto le falde, giù deboli e lisci, Sulla fronte pallida e larga. Gli occhi incavati, due borse Scure di notti senza sonno. Un sorriso flebile e stanco S’allarga fra le labbra bianche, Nelle urla della città, silente; Nei dolori della gente, lento Si muove, e improvviso soffia. È come un alito di vita, È come il soffio della morte: Quiete cala, una luce s’accende, Il respiro rallenta, la calma Ritorna sui visi; né più dolori, Ma solo pace. E poi lui Respira, e la luce lo penetra; Come una fitta lo prende, Come una coltellata, ogni volta. Ma il sorriso rimane nel dolore, Il sorriso rimane fra le urla. È sempre più vicina la morte, Ogni volta, e sempre più le croci Che porta, come figli in grembo. Ma anche la nera signora Gli è amica, né lui la teme. Solo la guarda, lento e gentile, Mentre sotto labbra pallide Uno stanco sorriso si stende. Chissà se… Che mai quella volta, quando Solo non dissi le giuste parole? Che mai quella volta, solamente Se avessi stretto fra le braccia? Se avessi le risposte? Solo rimane la paura di sapere.
Non so più Non so più scrivere, e questo Mi inquieta, e l’animo, ansioso, Di spasmi ribolle cercando parole, Rime e versi, pensando immagini E scrutando qualcosa da dire. Ma nulla, non so più scrivere, Non ho più nulla da dire, nulla Da dare. Come finito, che fare? E intanto il cuore s’angoscia In questo vuoto di pensieri e sensi, Nel nulla di sentimenti che non Sono più, né voglio riaccendere O ricordare. Non so più scrivere, Non so più parlare, non ho più Nulla da dare, e nella mia morte Del cuore attendo quando, forse, Sarà migliore il mio tempo, e Chissà, migliore sarò anch’io, Invece di perdermi nell’acque Delle mie paure e del mio, tacito E ipocrita, falso e nascosto a me Stesso, egoismo di ometto che Oramai non sa più cosa dire. Quello che ho e quello che sono Ad urlare gli anni son corsi, Imprecare, piangere e strillare, Come un bimbo che squilla, La mia rabbia sempre accesa. Ho gridato forte, ho accusato, Per quello che non ho il Dio Che alto muto ascoltava., Sempre pretendendo qualcosa In più, Di più sempre convinto Di valere. Solo oggi – lo merito?Mi chiedo, O forse non Ho niente perché nulla valgo? Come disse qualcuno su più alto Uomo, ai posteri l’ardua sentenza.
Uomo Sei terra e vento sugli scogli, Sei eroe, di tempra d’acciaio E di vetro sottile, sì fragile E forte ad un tempo, sì grande E debole in un giorno, Ciò Che tu sei, non fu né scelta, Lo sai, né piacere, e pur lo sei. Ricorda solo che sei uomo, Gli occhi volti al cielo, la mano Lo sfiora, il cuore fisso a terra, Incatenato a fango e sabbia. Ricorda che sei uomo, di vento, Fuoco divino in te pur brucia, In un corpo di cenere e terra. Scherzo ma non troppo Va via, va via, Vuole il viso vispo, Va via, visto in volti Vuoti; Vesti di viole, Nello sviolinare viaggia, Di verbi vuoti e avulsi. Vano vanto vola Via vanesio, Vinto in volo, Vuoto: Voler di vino, Di velli e vapori Vespri, Voglie di valli verdi E ville, E vili voli, Vaganti vortici Di vento. Vel vaneggiare vostro Di vanità vantate, Vanità vetuste e Viventi: Vel vostro volgerle
Vortesi in vacuo Vaneggio, Vittoria vetusta E vana. Anacreontea Non mi cerca mai l’alato pargolo, E se lo fa, ha con sé un solo strale: Mai ne ha due, e per me e per te, Ma sempre con mordace riso, saetta E colpisce come crede: la sua vista È cieca, se tenta di guardare al mio Sguardo perso oltre. Se potessi lo legherei a grave sasso E nel profondo getterei di marini Abissi: che a scegliere le sue vittime Lì impari, o almeno faccia per bene Il suo mestiere, e due volte colpisca Nello stesso giorno, che di me e di te Faccia preda del suo arco. Fuggevoli tempi Nei fuggevoli tempi Dei tristi sogni e mesti, Di vesti di lino, e lesti Sguardi pronti a mutarsi In buio, vispi a fugarsi In cesti di mele e serpi, Vedesti volti di sguardi Spenti, di neri occhi Lucenti un tempo di balocchi E speme. Non più stanze Risuonano, non più danze: D’amara angoscia t’ardi. Cantano poeti intonando In coro rorida luce D’estatiche visioni, e truce La realtà scompare, fine Trova il suo corso, confine
Del suo regno incontrando. Eppur un dubbio, sospetto: Al placido volo del nibbio Del vero si scioglie il giaciglio; Della speranza mille universi, Gli eterei voli, e i tersi Cieli scompaiono a cospetto Di ciò ch’è stato e passato, Di ciò che è nel vero: E’ingannevole il sogno, mero Oppio dei vinti popoli E di limpidi animi deboli D’uomo dal tempo scavato. Come una foglia di mare Viso sconosciuto incorniciato Da fili sottili e belli di castani E scuri crini, verrà tempo forse Che anch’io volgerò al tuo nome Parole mai dette, e uditele tu Donerai frasi mai da me ricevute. Ma forse no: forse mai sarà Quel giorno che in vano attendo, O forse l’ho perso, assieme All’ultima corsa del bus. Ma ti saluto, viso sconosciuto E dai mille nomi, e ti rimpiango, Ché già so che mai avrò quel Coraggio, che mai sarà come Voglio. Sempre fallito e debole, Attenderò la corrente inerme, Come una foglia di mare. Il mio tempo Il mio tempo si squaglia e sprofonda E si porta con sé le infanzie i sogni, E la passione, e di tutto rimane solo L’occhio indiscreto che scruta, a volte
Interessato, poco, più spesso nel tedio E nel disinteresse, nell’idea vaga che, In fondo, anche questa passerà Si sbaglia. Nel silenzio della stanza Sento il tintinnio della pioggia Fuori, il crepitare delle foglie In piazza al passaggio delle genti. Le ore scorrono lente come fiumi In calma, Le notti, conforto Di sonno e quiete, o guerra Di risvegli. Non ho mai tanto temuto il freddo Dei silenzi. Non ho mai tanto desiderato La sobria dolcezza d’un calice compagno. Non ho mai tanto desiderato come ora Il colloquio e la compagnia di amici Fidati. Più mi conosco Più temo lo scrosciante vuoto dell’otium. Tempo che scorre inesorabile Lo spreco, non riesco a seguirlo Le liti, la vita I giorni, le persone Le ore a scrivere Tutto corre. Qualcuno mi segua Perché in queste ore Mi sento inesorabilmente solo. Di notte, sono le tre Scrivo per non piangere Scrivo perché mi odio Scrivo perché vi odio tutti Scrivo perché vi amo d'amore Profondo, immutabile Vi voglio fra le mie braccia Voglio qualcuno che ascolti
Le mie urla silenziose. Domani forse nevicherà Ma dentro piove da mesi E il suo silenzio è la miapioggia. Per strada gli occhi mi evitano E non ho qui nessuno con cui ridere Di me e delle mie poesie Mentre la casa è lontana Gli affetti mi ascoltano di giorno In giorno fingere allegrie. Qui mi sembra un inferno di uomini: A ragione mi odierebbe Chi ha vissuto l'inferno della morte. Ma nelle pene degli uomini Delle chiacchiere inutili Delle parole sprecate Del fiato al vento Quando altro sarebbe da dire Altre le parole E nei silenzi dell'anima le giornate Volano, Allora ribolle la carne; E ribolle il cuore. Frammenti di parole Strappo mozziconi di dialoghi, Briciole di parole, Senza poterle gustare Che troppa è la voglia Il desiderio L’istinto divoratore. Ed i silenzi mi rodono Come ratti nelle tane murate Nel legno grigio cupo Di giornate di pioggia.