Capitolo 2 Natura e struttura delle stelle 2.1. L’equilibrio delle strutture stellari La diffusa evidenza del fenomeno ”stella” testimonia che la formazione di stelle costituisce una processo spontaneo e naturale nell’evoluzione della materia nell’Universo. Ed in effetti il Sole, come tutte le altre stelle, indubbiamente altro non `e che il prodotto di una aggregazione spontanea di materia diffusa sotto l’influenza della gravitazione. La storia dell’evoluzione di una stella sar`a dunque la storia della contrazione di una massa di gas sotto l’influenza del proprio campo gravitazionale (struttura autogravitante). Per affrontare un tale argomento conviene esaminare con qualche dettaglio la struttura di tali oggetti, al fine di comprenderne e di prevederne le principali caratteristiche. Ci`o pu`o essere fatto investigando in forma quantitativa le problematiche che vengono suggerite da pur semplici evidenze osservative. La prima di queste evidenze `e che il Sole mantiene ed ha mantenuto per un lunghissimo tempo le sue dimensioni. La materia che costituisce il Sole, pur soggetta ad una intensa forza gravitazionale, non mostra di muoversi verso il centro di gravit`a con tempi scala meccanici, cio`e con i tempi tipici dei moti che si sviluppano sotto l’azione della forza gravitazionale. Per fissare le idee, possiamo valutare che alla superficie del nostro Sole, essendo massa e raggio del Sole M = 1.989 1033 gr R = 6.960 1010 cm, si ha una accelerazione di gravit`a g = GM/R2 ∼ 6.67 10−8 1.99 1033 / 4.84 1021 ∼ 2.74 104 cm/sec2 circa 30 volte superiore che alla superficie della Terra. Poich´e in un moto uniformemente accelerato S=gt2 /2, un corpo alla superficie del Sole sul quale agisse liberamente la gravit`a percorrerebbe uno spazio pari al raggio del Sole in un tempo t = (2R/g)1/2 ∼ 2 103 sec ∼ 30 minuti. Si ricava cos`i un ordine di grandezza dei tempi caratteristici sui quali opererebbe la gravit`a su scala solare. I 2 103 secondi ricavati assicurano che se sul Sole la forza di gravit`a fosse libera di operare, il Sole dovrebbe rapidamente modificarsi sotto i nostri occhi. Poich´e ci` o non avviene, dobbiamo concludere che la forza di gravit`a `e contrastata ed annullata dalle forze di pressione generate nel gas, producendo una struttura che definiremo quasi stazionaria, perch´e - come constateremo - pur se le forze di pressione annullano le forze di gravit`a la struttura `e costretta sia pur lentamente ad evolvere. E’ facile tradurre le precedenti considerazioni in una relazione quantitativa. Assumendo la simmetria sferica della struttura solare - come suggerito dall’evidenza osservativa - il 1
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Fig. 2.1. Il bilancio della forza di gravit` a Fg e delle forze di pressione Fp per un generico elemento di materia di volume dV = dS dr.
bilancio tra le forze di pressione e quelle gravitazionali (fig. 2.1) per un generico elemento di massa dm = ρdV = ρdSdr fornisce la relazione dell’equilibrio idrostatico dP (r) Mr (r)ρ(r) = −G dr dr r2
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dove P rappresenta la pressione totale operante nell’ambiente (quindi non la sola pressione del gas → A2.1 ), ρ la densit` a locale ed Mr la massa contenuta all’interno del generico raggio r. Questa equazione fornisce una prima relazione tra le tre grandezze incognite P, ρ ed Mr , assicurando che la pressione deve crescere con continuit`a muovendosi verso l’interno della stella. In realt`a una delle incognite `e solo formale, perch´e dalla definizione di Mr si ricava subito l’equazione di continuit` a dMr = 4πr2 ρdr
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Aggiunta alla precedente, l’equazione di continuit`a forma un sistema di due equazioni differenziali nelle tre indicate incognite. Dalla sola condizione di equilibrio non `e dunque possibile definire l’andamento delle variabili fisiche lungo la struttura, e ci`o non sorprende perch´e la struttura medesima dipender` a da come ρ e P sono tra loro collegate, cio`e dall’ equazione di stato che per ogni assegnata composizione della materia consister`a in una relazione del tipo P = P (ρ, T )
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E’ subito visto che l’introduzione dell’equazione di stato, se aumenta il numero delle equazioni aumenta anche il numero delle incognite, introducendo la nuova incognita ”temperatura” ( T(r) ). Come peraltro prevedibile, la distribuzione delle temperature `e quindi un ingrediente essenziale nel determinare lo stato della struttura. Sar`a di conseguenza necessario, in linea del tutto generale, ricorrere ad opportune valutazioni delle leggi fisiche che regolano la distribuzione delle temperature nella materia stellare, determinando l’andamento del gradiente di temperatura dT/dr. Notiamo che la presenza di un gradiente di temperatura implica la conseguente presenza di un flusso di energia che tende a riequilibrare lo stato energetico dei diversi strati di materia. Le interazioni particella-particella e fotone-particella tendono inevitabilmente a ridistribuire l’energia, producendo un trasporto di calore verso le zone a minor temperatura. E’ peraltro noto come i possibili meccanismi per tale trasporto siano conduzione, convezione
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ed irraggiamento. Escludendo per il momento il caso della convezione, negli altri due casi si ha - come regola generale - che il flusso di calore `e proporzionale al gradiente dT = cost · φ (4) dr relazione che pu` o essere letta come una delle tanti leggi di proporzionalit`a tra causa (dT/dr) ed effetto (il flusso φ), una sorta di legge di Ohm dove la costante rappresenta la ”resistenza” al trasporto. La materia all’interno di una stella si trova in generale nello stato gassoso, cui corrisponde (ma con importanti eccezioni) una trascurabile efficienza dei meccanismo conduttivi. In tal caso si pu` o dimostrare (→ A2.2) che tra il flusso trasportato per radiazione (dai fotoni) ed il gradiente di temperatura intercorre la relazione dT 3 κρ φ =− dr 4ac T 3
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dove a= costante del corpo nero = 7.6 10−15 cm, c= velocit`a della luce e κ opacit` a per grammo di materia `e definita dalla relazione κρ =1/λ, con λ cammino libero medio dei fotoni: minore il cammino libero medio maggiore l’opacit`a. Da tale del trasporto radiativo si ricava non solo che un gradiente di temperatura genera un flusso, ma anche che la presenza di un flusso implica un gradiente di temperatura. L’emergere di un flusso luminoso dalle strutture stellari `e quindi indicazione che la temperatura cresce dalla superficie verso l’interno, e che tale aumento deve continuare sinch´e la struttura `e percorsa da un flusso di energia uscente. Se ne trae anche la conseguenza che se nelle zone centrali di una struttura stellare non vi sono sorgenti (positive o negative) di energia, allora tali zone devono tendere ad una situazione isoterma. Un gradiente di temperatura produrrebbe infatti un flusso volto a riequilibrare le differenze di temperatura. Nell’equazione del trasporto il flusso φ locale pu`o utilmente essere espresso, per ogni r, in termini della flusso energetico totale attraverso la superficie sferica di raggio r (Lr (r)= luminosit` a) Lr = 4πr2 φ talch´e l’equazione del trasporto diventa, nel caso di trasporto radiativo 3 κρ Lr dT (6) =− dr 4ac T 3 4πr2 Abbiamo cos`i una quarta relazione, che introduce l’ulteriore incognita Lr , cos`i che in totale si hanno quattro equazioni che contengono le sei variabili r, Lr , P, T, Mr , ρ. La condizione su Lr `e peraltro subito fornita dalla conservazione dell’energia dLr = 4πr2 ρε (7) dr dove ε rappresenta la produzione di energia per grammo di materia e per secondo. La relazione precedente rappresenta il bilancio energetico, stabilendo che se l’energia totale che fluisce attraverso la struttura subisce una variazione tra r e r+dr ci`o e’ dovuto alla produzione o assorbimento di energia nella corrispondente massa dm = 4πr2 ρdr. E’ proprio questa diretta collegabilit` a al bilancio energetico che fa preferire l’uso della variabile Lr nell’equazione del trasporto. Con questa ultima relazione si raggiunge un sistema di cinque equazioni (di cui quattro differenziali) che legano i sei parametri r, Lr . P, T, Mr , ρ
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1. 2. 3. 4. 5.
dP/dr → equilibrio idrostatico dMr /dr → equazione di continuit` a dT/dr → equazione del trasporto dLr /dr → conservazione dell’energia P = P(ρ, T) → equazione di stato
sistema che, con le opportune condizioni al contorno, pu`o essere risolto, ricavando l’andamento di cinque delle precedenti variabili in funzione dell’andamento della sesta variabile assunta come variabile indipendente. Ripercorrendo le assunzioni operate concludiamo che il sistema di equazioni governa ogni sistema a simmetria sferica, autogravitante, in equilibrio idrostatico e sinch´e si resti nel campo di applicabilit` a della meccanica non relativistica (→ A2.3). Al variare della composizione chimica della materia stellare, le soluzioni si differenzieranno non per l’algoritmo delle equazioni fisico matematiche sin qui descritte, ma per il diverso comportamento fisico della materia “depositato” in tali equazioni dalle tre relazioni 1. P (ρ, T ) → equazione di stato a della materia stellare 2. κ(ρ, T ) → opacit` 3. ε(ρ, T ) → produzione di energia ove si `e esplicitamente indicato come ci si attenda che non solo la pressione ma anche l’opacit`a e la produzione di energia dipendano dalle condizioni termodinamiche della materia oltre che dalla non esplicitata composizione chimica della materia medesima.
2.2. La convezione ed il criterio di Schwarzschild. Overshooting. Le equazioni dell’equilibrio di una struttura stellare discusse nel punto precedente sono state ricavate sotto la condizione di assenza di trasporto convettivo. L’evidenza osservativa mostra peraltro che moti convettivi sono presenti alla superficie di molte stelle e, in particolare, alla superficie del Sole. La trattazione dovr` a quindi essere estesa per tener conto anche di una tale evenienza. Conviene trattare tale problema in due passi successivi: questa sezione sar`a dedicata alla identificazione delle regioni di una struttura stellare che risultano instabili per moti convettivi. Nella prossima sezione discuteremo il problema del trasporto convettivo al fine di ricavare le condizioni sul gradiente di temperatura richieste dalle le equazioni di equilibrio. L’identificazioni delle regioni convettive riposa sul Criterio di Schwarzschild, che in sostanza risulta una applicazione dell’antico principio di Archimede per il quale un corpo immerso in un fluido riceve una spinta verso l’alto pari al peso del fluido spostato. Per giungere alla formulazione di tale principio ricordiamo innanzitutto che in assenza di moti convettivi il gradiente di temperatura resta determinato dal gi`a discusso gradiente radiativo (dT/dr)rad . Alla formulazione di tale gradiente sin qui adottata preferiremo nel seguito la parallela definizione (dT/dP)rad , subito ricavabile coniugando la prima con l’equazione dell’equilibrio idrostatico (dT/dP= dT/dr dr/dP). La ragione di tale preferenza `e duplice. Innanzitutto dT/dP `e una relazione tra grandezze termodinamiche, utilmente confrontabile con le grandezze termodinamiche proprie del gas stellare. L’assunzione di dT/dP libera inoltre la discussione dalla fastidiosa occorrenza di un dT/dR per definizione negativo (la temperatura cresce verso l’interno) che complicherebbe formalmente la discussione. Partendo dunque dall’evidenza che in assenza di convenzione il gradiente di temperatura locale deve essere pari a quello radiativo, possiamo domandarci se in tali condizioni la zona risulta o meno stabile rispetto alla convezione. A tale scopo dobbiamo domandarci se piccole fluttuazioni “δR” nella posizione di un elemento di materia inneschino o meno un moto convettivo. A seguito dello spostamento l’elemento varier`a la propria pressione adeguandola
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Fig. 2.2. In un ambiente a gradiente radiativo, se tale gradiente risulta maggiore di quello adiabatico (1) un elemento di materia che si sposti adiabaticamente dalla posizione iniziale si trova pi` u caldo dell’ambiente a minori pressioni (spostamento verso l’alto) o pi` u freddo a pressioni maggiori (spostamento verso l’interno). In tutti e due i casi l’elemento e’ stimolato a proseguire il moto innescando una instabilit` a convettiva. Nel caso in cui il gradiente radiativo risulti minore di quello adiabatico (2) si manifesta invece una forza di richiamo che rende l’ambiente stabile.
a quella dell’ambiente con tempi scala meccanici. Gli scambi di calore avvengono invece sui pi` u lunghi tempi scala termodinamici, talch´e potremo assumere che l’espansione (se assumiamo uno spostamento verso l’alto, a pressione minore) o la compressione risultino adiabatiche. Dalla figura 2.2 si ricava immediatamente che se il gradiente locale (assunto come radiativo) `e minore del gradiente adiabatico dT/dP, per uno spostamento verso l’alto l’elemento risulta pi` u freddo dell’ambiente, quindi pi` u denso e soggetto ad una forza di richiamo verso la posizione originale. Analoghe considerazioni valgono per uno spostamento verso il basso. Se ne conclude che in tali condizioni la zona `e stabile. Ripetendo il ragionamento nel caso di un gradiente radiativo maggiore di quello adiabatico si giunge invece alla conclusione che in tal caso la zona `e instabile, talch´e si giunge alla formulazione del Criterio di Schwarzschild che stabilisce che in una struttura stellare sono instabili per convezione tutti quegli strati per i quali risulta (
dT dT )rad > ( )ad dP dP
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A tale formulazione viene talora preferita la forma logaritmica ∇rad > ∇ad
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dove ∇ = P/T dT/dP = dlogT/dlogP e ∇ad = 0.4 per un gas perfetto monoatomico (→ A2.4). Si deve peraltro notare che, a rigor di termini, il criterio di Schwarzschild identifica le zone in cui l’instabilt` a convettiva `e stimolata ed all’interno delle quali sono attivi moti convettivi con velocit` a che saranno determinate da complessi meccanismi legati anche agli scambi termici ed alla viscosit` a del mezzo. E’ cos`i evidente che il frenamento di tali moti deve avvenire nella zona formalmente stabile per convezione, laddove si manifesta una forza di richiamo. Ne segue che oltre i limiti definiti dal criterio di Schwarzschild deve esistere una zona di penetrazione degli elementi convettivi, indicata come zona di overshooting (fig. 2.3).
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Fig. 2.3. Nella regione in cui `e violato il criterio di stabilit` a di Schwarzschild un elemento di convezione `e soggetto a forze che ne favoriscono il moto. Il frenamento di tali elementi dovr` a quindi avvenire nelle zone di stabilit` a al bordo della zona precedente, producendo un rimescolamento di materia che si estende al di l` a dei limiti formali di stabilit` a (overshooting).
Le dimensioni di tale zona sono un problema astrofisico ancora aperto. L’approccio ”canonico” assume come trascurabili tali dimensioni, ma sull’argomento esiste un ampio dibattito e alcune valutazioni evolutive assumono tali dimensioni come un parametro libero da determinare attraverso il confronto con le osservazioni. Notiamo infine che la formulazione del gradiente radiativo, unita al criterio di Schwarzschild, consente di operare alcune previsioni generali sullo sviluppo della convezione nelle strutture stellari. Il valore del gradiente radiativo risulta infatti proporzionale all’opacit`a ed al flusso di energia e se ne pu` o dedurre che alti valori di uno di questi due parametri possano condurre il gradiente radiativo a superare quello adiabatico. L’opacit`a sale a valori estremamente elevati negli strati in cui l’idrogeno `e in stato di ionizzazione parziale, per il semplice motivo che i fotoni vengono facilmente catturati, ad esempio, per effetto fotoelettrico da elettroni che sono gi` a in gran parte su stati eccitati (→ 3.3). Ne segue l’interessante previsione secondo la quale tutte le stelle con temperatura superficiale sufficientemente minore della temperatura di ionizzazione dell’idrogeno debbano necessariamente sviluppare regioni convettive nelle zone pi` u esterne (inviluppi convettivi), che devono contemporaneamente essere assenti nelle stella a pi` u alta temperatura superficiale. La transizione si pone attorno a temperature effettive Te ∼ 10 000 K. A fianco di tale ”convezione da opacit` a” si potr`a avere una ”convezione da flusso” che dipender`a da quanto i meccanismi di produzione di energia dipendono dalla temperatura. E’ infatti subito visto che al crescere di tale dipendenza la produzione di energia si concentra sempre pi` u verso il centro della struttura, facendo crescere i flussi. Nel caso quindi di combustioni nucleari con forte dipendenza dalla temperatura ci attendiamo la presenza di nuclei convettivi. Anticipiamo qui che ad esclusione della catena pp (∝ T 4 ) tutte le altre combustioni nucleari hanno dipendenze estremamente elevate (CNO ∝ T 14 ; 3α ∝ T 22 con conseguente presenza di nuclei convettivi.
2.3. Trasporto radiativo e trasporto convettivo Stabilito sotto quali condizioni ci si attende la presenza di moti convettivi, resta da stabilirne l’efficienza e, in particolare, il gradiente di temperatura che si realizza nelle regioni sedi di tali moti. E’ innanzitutto da rilevare come la convezione trasporti energia tramite il moto ciclico di materia che assorbe energia nelle zone inferiori, pi` u calde, per ricederla nelle zone superiori. Per ricavare un utile quadro di riferimento, possiamo semplificare il fenomeno assumendo che un elemento di convezione inizialmente in equilibrio con l’ambiente alla base
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Fig. 2.4. Un elemento di convezione che si innalzi adiabaticamente nell’ambiente per un tragitto l al termine del tragitto si porter` a ad una temperatura T1 = T0 + (dT /dP )ad ∆P , circondato da un ambiente a temperatura T2 = T0 + (dT /dP )amb ∆P .
della zona convettiva si innalzi adiabaticamente per un tragitto “l” cedendo qui il calore in eccesso. Come ordine di grandezza di “l” possiamo assumere l’altezza di scala di pressione HP =
1 dP P dr
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definita come il tragitto che vede diminuire la pressione di un fattore 1/e, assunto come il tipico tragitto lungo il quale un elemento di convezione (in necessaria espansione) possa mantenere una propria individualit` a. E’ subito visto che, pur nell’ipotesi adiabatica che `e la pi` u favorevole al trasporto, la convezione pu`o trasportare calore solo se il gradiente ambientale sia maggiore di quello adiabatico (superadiabatico). Solo in tal caso al termine del tragitto l’elemento risulter`a pi` u caldo dell’ambiente circostante, in grado di cedere calore e di contribuire al trasporto dell’energia. Tali semplici considerazioni mostrano che in una zona convettiva, dove - per definizione - il gradiente radiativo `e maggiore di quello adiabatico, il gradiente effettivo `e limitato dall’essere necessariamente maggiore del gradente adiabatico ma anche minore del gradiente radiativo perch´e, per definizione di gradiente radiativo, l’esistenza di un tale gradiente implica il trasporto radiativo dell’intero flusso energetico. Il problema `e pertanto quello di valutare il grado di superadiabaticit`a del gradiente locale. Per far ci`o ricorriamo ancora al precedente modello di convezione per notare che l’energia ceduta da un elemento di convezione sar` a pari a δQ = CδT
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ove C rappresenta la capacit` a termica dell’elemento e δT la differenza di temperatura tra l’elemento e l’ambiente a fine tragitto. Quest’ultima grandezza `e subito ricavabile come Z dT dT δT = [( )ad − ( )amb ]dP (12) dP dP l ove l’integrando `e appunto il valore della superadiabaticit`a del gradiente ambientale. La capacit`a termica del gas all’interno di una stella `e peraltro cos`i elevata che, ove si assuma che una sostanziale frazione della materia concorra al trasporto, per trasportare i flussi stellari si richiede di fatto una superadiabaticit`a microscopica (∼ 10−5 ), talch´e a tutti
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gli effetti pratici `e in genere lecito assumere direttamente un gradiente ambientale pari a quello adiabatico. Ci`o non `e pi` u vero solo nelle zone pi` u esterne della struttura ove la marcata diminuzione della capacit`a termica, conseguente alla diminuita densit` a della materia, genera un non pi` u trascurabile fabbisogno di superadiabaticit` a. In tal caso (convezione subatmosferica) manchiamo ancora di una teoria soddisfacente della convezione, ed `e d’uso ricorrere ad un algoritmo approssimato noto come (Teoria della ”Mixing Length” → A2.5). E’ da notare che se il trasporto radiativo pu` o o meno essere attivo, il trasporto radiativo - in accordo alla (6) - in presenza di un gradiente di temperatura `e sempre efficiente. La convezione pu`o quindi essere intesa come un meccanismo di troppo pieno che scatta quando le richieste di gradiente per il trasporto radiativo superano la soglia del gradiente adiabatico, attivando un ulteriore canale di trasporto. E, in tale visione, il criterio di Schwarzschild stabilisce che in presenza di meccanismi di trasporto concorrenti si stabilisce il processo che minimizza le richieste di gradiente. In caso di convezione, l’efficienza relativa dei due canali di trasporto resta collegata al rapporto tra i gradienti. In particolare si ricava banalmente che: ∇rad >> ∇amb ∼ ∇ad → la zona `e instabile per convezione ed il trasporto `e essenzialmente convettivo. ∇rad ∼ ∇amb > ∇ad → la zona `e instabile per convezione ma il trasporto `e essenzialmente radiativo.
2.4. Le atmosfere stellari e la trattazione degli strati atmosferici Si `e gi`a indicato come l’analisi spettroscopica delle sorgenti stellari riveli nella grande maggioranza dei casi una distribuzione energetica largamente assimilabile ad uno spettro di corpo nero deformato dalla presenza di righe o bande di assorbimento.Ci`o mostra come nell’interno di una struttura stellare i meccanismi di interazione particella-particella e particella-fotone siano cos`i efficienti da mantenere l’equilibrio termodinamico, cos`i che si possa definire una comune temperatura per particelle e radiazione. Ovviamente ci`o implica che le particelle seguano una distribuzione di Maxwell-Boltzmann e i fotoni quella di corpo nero, assunzione quest’ultima sulla quale riposa la formulazione del gradiente radiativo discussa nelle precedenti sezioni. Caratteristica necessaria della radiazione di corpo nero `e di essere isotropa. L’esistenza in una stella di un flusso uscente contraddice solo apparentemente tale condizione: l’anisotropia necessaria per rendere conto del flusso uscente risulta essere solo una trascurabile frazione dell’energia contenuta sotto forma di fotoni, talch´e l’equilibrio termodinamico pu`o considerarsi pienamente realizzato. E’ evidente per` o che tale condizione viene a cadere negli strati pi` u esterni della struttura, dove per la bassa densit`a della materia diminuiscono le interazioni e il flusso `e di fatto un flusso netto uscente. Dunque l’equazione del trasporto radiativo non pu` o essere utilizzata e ci` o limita la validit` a dell’intero sistema di equazioni ai soli strati interni di una struttura, di cui gli strati pi` u esterni rappresentano una sorta di condizione al contorno. Per definire pi` u propriamente il ruolo di tali inviluppi stellari introduciamo la grandezza τ = prof ondita0 ottica, definita come la probabilit`a che ha un fotone di subire un’interazione prima di lasciare la stella. E’ subito compreso che τ `e in linea di principio correlabile alla profondit`a geometrica dei vari strati dell’inviluppo stellare, risultando τ = 0 al limite esterno della struttura, crescendo poi al crescere della profondit`a degli strati. Possiamo definire atmosfera di una stella la zona di inviluppo per la quale τ ≤ 1. Con tale definizione l’atmosfera di una stella e’ quella zona oltre la quale ”non possiamo vedere”, ovvero - con
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espressione pi` u corretta - oltre la quale non `e possibile che ci giungano informazioni dirette trasportate dai fotoni che, per definizione, subiranno almeno una interazione prima di emergere dalla struttura. La nozione di atmosfera `e quindi collegata a meccanismi di opacit`a, e si pu`o definire τ attraverso la relazione dτ = −
dr = −κρdr λ
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ove, per la gi`a data definizione di κ, κρ rappresenta l’inverso del cammino libero medio del fotone e dunque la probabilit` adi interazione per unit`a di percorso. Le caratteristiche spettrali della radiazione osservata mostrano che una radiazione di corpo nero proveniente dalla base dell’atmosfera (τ = 1), viene ”filtrata” nel passaggio attraverso l’atmosfera, ove meccanismi selettivi di assorbimento o diffusione da parte degli atomi dell’atmosfera stessa estraggono fotoni dal fascio uscente, isotropizzandoli, in corrispondenza delle frequenze proprie delle possibili transizioni elettroniche. La valutazione delle strutture atmosferiche `e operazione estremamente complessa, per la quale `e necessario valutare nel dettaglio il trasporto radiativo nelle locali condizioni di anisotropia, tenendo conto della presenza di milioni di righe di assorbimento. Nella pratica dei calcoli di strutture stellari si preferisce ricavare da tali calcoli dettagliati la relazione funzionale T = T (τ, Te )
(14)
che con buona approssimazione risulta una funzione della sola temperatura efficace Te . Adottando tale funzione `e possibile chiudere semplicemente il sistema di equazioni della struttura atmosferica. Poich`e dalla definizione di τ si trae ρ dr = - d τ / κ, la relazione dell’equilibrio idrostatico pu` o essere portata nella forma dP = −G
Mρ g dr = dτ r2 κ
(15)
dove κ = κ (ρ, T) oltre che della composizione chimica dell’atmosfera e g=GM/R2 rappresenta l’accelerazione di gravit` a alla superficie della stella. Poich´e massa e dimensioni dell’atmosfera sono in ogni caso trascurabili rispetto a massa (M) e raggio (R) della stella `e lecito assumere Mr =M e r=R. Gli strati atmosferici sono quindi descritti dalle tre relazioni dP g = dτ κ(ρ, T )
(16)
T = T (τ, Te )
(17)
P = P (ρ, T )
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che regolano la distribuzione di P, ρ, T nell’atmosfera stellare al variare di τ (→ A2.4). L’integrazione di tali relazioni da τ = 0 sino alla base dell’atmosfera τ = 1 fornisce il valore di P in tale punto, T `e dato dalla (17), ρ dall’equazione di stato e R, M, L sono i valori di raggio, massa e luminosit` a della stella, costanti lungo tutta l’atmosfera.
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2.5. Le variabili naturali del sistema A partire dalla base dell’atmosfera inizia il dominio di validit`a del sistema delle 5 equazioni che descrivono il comportamento fisico di una struttura stellare e che collegano tra loro le 6 grandezze r, Lr , P, T, Mr , ρ. Notiamo peraltro che l’equazione di stato fornisce una relazione diretta tra P, T, ρ, diminuendo di uno i gradi di libert`a del sistema. Il nucleo del sistema `e cos`i costituito dalle 4 equazioni differenziali dove considereremo come incognite P e T, ρ restando noto dall’equazione di stato non appena note P e T. Il sistema di 4 equazioni `e quindi in grado, con le opportune condizioni al contorno, di fornire quattro di queste grandezze in funzione della quinta assunta come variabile indipendente. Nella formulazione sin qui adottata abbiamo assunto la variabile indipendente ”r”. Tale assunzioni, che ha radici ”antropocentriche” non `e fisicamente tra le pi` u felici. Avviene infatti che talora ”r” non si presenti come una variabile naturale del sistema, nel senso che le grandezze fisiche in gioco hanno campi di escursione non significativamente collegati alla corrispondente escursione della coordinata radiale. Al di la’ di questo, la coordinata radiale non `e lagrangiana, nel senso che - al modificarsi della struttura - un fissato valore della coordinata radiale non corrisponde ad un determinato elemento di materia. Ci`o non avviene ove si scelga per variabile indipendente Mr che risulta lagrangiana proprio nel senso che risulta collegata a determinati elementi di materia, indipendentemente da variazioni (espansioni o contrazioni) nella geometria della struttura, almeno sinch´e non siano presenti movimenti di materia (quali la convezione) all’interno della struttura stessa. Per tale motivo all’interno della struttura `e d’uso utilizzare come variabile indipendente Mr . E’ peraltro da notare che, causa la bassa densit`a delle regioni pi` u esterne, nelle zone immediatamente al di sotto dell’atmosfera la variabile Mr tende a saturare, raggiungendo asintoticamente il suo valore M = massa totale della struttura. Grandi variazioni della pressione restano perci` o contenute in variazioni percentualmente minime di Mr , che potrebbero diventare confrontabili con gli errori di arrotondamento delle cifre introdotti dai calcolatori. La grande precisione dei moderni calcolatori consente in genere di superare tale difficolt`a. Tuttavia alcuni programmi evolutivi preferiscono ancora prevenire tale pericolo adottando per una breve regione al di sotto dell’atmosfera (ad esempio sino a Mr /M =0.97) la variabile indipendente P. Riassumendo, l’intera struttura stellare risulta cos`i matematicamente divisa in tre regioni di integrazione 1. Le zone atmosferiche (0 ≤ τ ≤ 1 : r = R, Mr = M, Lr = L): sistema di tre equazioni con variabile indipendente τ . 2. Eventuali zone subatmosferiche (1 ≥ Mr /M ≥ 0.97): sistema completo delle 5 equazioni, variabile indipendente P. 3. Le zone interne (0.97 ≥ Mr /m ≥ 0): sistema completo delle 5 equazioni, variabile indipendente Mr .
2.6. Metodi di calcolo L’andamento delle variabili fisiche all’interno di una struttura stellare `e dunque retto da un sistema di quattro equazioni differenziali che, integrato con l’equazione di stato, consente di ricavare l’andamento di cinque delle variabili in funzione di una sesta assunta come variabile indipendente per ogni prefissato valore della massa M della struttura e per ogni prefissata distribuzione della composizione della materia all’ interno della struttura medesima. Notiamo subito che l’esistenza di quattro equazioni differenziali del primo ordine richieder`a l’individuazione di quattro opportune condizioni al contorno. Stante la complessit`a del sistema non esistono in generale soluzioni analitiche e la soluzione `e ottenuta sulla base di
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tecniche di calcolo numeriche basate su metodi a differenze finite, ove cio`e i differenziali sono approssimati con incrementi piccoli ma finiti, cos`i che le relazioni differenziali vengono trasformate in equazioni algebriche. Prima di illustrare i due diversi metodi in uso per la soluzione di tali equazioni discuteremo l’integrazione degli strati atmosferici, in quanto ingrediente di base che entra nell’architettura di tutti e due i metodi cui abbiamo fatto riferimento. 2.6.1 Integrazione degli strati atmosferici Ricordiamo che per gli strati atmosferici abbiamo stabilito la relazione differenziale (2.13) che, in termini di differenze finite pu` o essere scritta come Pj+1 − Pj =
g (τj+1 − τj ) κ
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ove, in accordo con il metodo delle differenze finite, l’intervallo di integrazione 0 ≥ τ ≥ 1 `e stato opportunamente suddiviso prefissando N valori τj della variabile indipendente (N mesh) per j che va da 1 a N. Pj `e il valore, da determinare, della variabile nel generico punto ”j”. Accanto a questa relazione differenziale abbiamo le due ulteriori relazioni, qui ripetute per comodit`a T = T ( τ , Te ) P = P ( ρ, T ) Tali relazioni consentono di ricavare l’andamento delle variabili P, ρ, T in un atmosfera stellare per ogni prefissato valore della massa stellare M, quando siano assegnati due tra i tre parametri R, L e Te il terzo restando determinato dalla relazione L = 4 π R2 σ T4e . Assegnando ad esempio, come d’uso, M, L e Te restano fissati g = G M/R2 e Te . Sotto tali condizioni, note le grandezze nel generico punto j la (19) fornisce il valore della pressione nel punto j+1 Pj+1 = Pj +
g (τj+1 − τj ) κ
(20)
la temperatura nello stesso punto j+1 `e fornita dalla T(τ ,Te ), dall’equazione di stato si ricava allora la densit` a e, con essa, il valore di κ(ρ, T). Basta quindi fornire i valori per τ = 0 (N = 1) (→ A2.6) per ricavare per ricorrenza l’andamento di P, ρ, T su tutto l’intervallo considerato. Tale integrazione per tangenti (cfr. fig.2.5) risulter`a tanto pi` u accurata quanto pi` u piccoli gli intervalli (passi ) della variabile indipendente. Nella pratica, tali passi possono essere collegati alla condizione che la variabile dipendente lungo un passo non vari pi` u di una prefissata percentuale, e la bont` a dell’integrazione pu`o essere controllata verificando, ad esempio, che un ulteriore dimezzamento dei passi non vari il risultato entro la richiesta precisione. Sulla base di tale schema sono costruiti algoritmi di calcolo numerico (ad es. il metodo di Runge-Kutta) che, con l’introduzione di opportuni coefficienti di correzione basati sull’andamento della funzione gi` a integrata consentono di minimizzare il numero di passi per ogni prefissata precisione. 2.6.2 Il metodo del fitting Per ogni prefissato valore della massa totale M e per ogni scelta dei due parametri L e Te si possono quindi ricavare i valori di P e T (e quindi ρ) alla base dell’atmosfera, ove sono quindi disponibili i valori di tutte e sei le variabili r=R, Lr =L, P, T, ρ, Mr =M
12
Fig. 2.5. Nell’integrazione per tangenti, noto il valore della derivata della generica variabile Y(X) nel mesh Xj si pone Yj+1 = (dY/dX)j (Xj+1 - Xj ), valutando cos`i la variazione lungo la tangente definita dalla derivata in Xj , con un errore che diminuisce al diminuire dell’assunto ∆X.
che compaiono nel sistema di equazioni per l’equilibrio stellare. Supponendo di utilizzare subito come variabile indipendente Mr , possiamo riscrivere le equazioni di equilibrio in funzioni della variazioni di tale variabile. Ponendo dr =dMr /4 πr2 ρ e passando nuovamente allo schema di differenze finite si ottiene Pj+1 − Pj = −G
rj+1 − rj =
Mr,j (Mr,j+1 − Mr,j ) 4πrj4
Mr,j+1 − Mr,j 4πrj2 ρ
Tj+1 − Tj = −
3κLr,j 1 (Mr,j+1 − Mr,j ) 64acπ 2 r4 T 3
(21)
(22)
(23)
se (dT/dP)rad ≤ (dT/dP)ad , altrimenti Tj+1 − Tj = −G
Mr,j dT ( )ad (Mr,j+1 − Mr,j ) 4πr4 dP
Lr,j+1 − Lr,j = ε
(24) (25)
Analogamente a quanto gi` a discusso per l’integrazione atmosferica, se nel mesh Mr,j sono noti i valori delle variabili r, Lr , P, T, ρ (dall’equazione di stato), κ(ρ, T ) e ε(ρ, T ) sono noti i valori di tutti i coefficienti a secondo membro delle relazioni precedenti, e per ogni assunto ∆Mr = Mr,j+1 − Mr,j le relazioni forniscono il valore delle variabili nel mesh j+1. Partendo dal primo mesh, alla base dell’atmosfera, l’iterazione di tale procedura consente di spingere l’integrazione lungo tutta la struttura. Perch´e il risultato possa rappresentare una stella occorre e basta che per Mr = 0 (centro della struttura) risulti r = 0 e Lr = 0. In linea di principio si potrebbe pensare di identificare la soluzione variando opportunamente i valori di L e Te di partenza, sino a soddisfare le citate condizioni centrali. Nella pratica ci` o non `e consentito dalla eccessiva sensibilit`a delle soluzioni a Mr = 0 dalle condizioni superficiali. Il metodo del ”fitting” (cio`e del raccordo) supera questa difficolt` a procedendo ad una integrazione dall’ esterno a partire una coppia di valori di prova L e Te , spingendo l’integrazione sino ad un prefissato valore della massa Mr = MF ( massa di fitting) ottenendo in tale punto una quadrupletta di valori re , Ler , Pe , Te , ove l’indice ”e” sta ad indicare che tali valori sono il risultato dell’integrazione esterna.
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L, Te → re (L, Te ), Le (L, Te ), Pe (L, Te ), Te (L, Te ) ove si `e evidenziata la ovvia dipendenza dei valori della quadrupletta dai due assunti valori di prova L e Te . Si procede poi ad una integrazione dal centro imponendo in tale punto r = Lr = 0 e assumendo due valori di prova Pc e Tc ricavando nello stesso punto di fitting un’altra quadrupletta di valori ri , Lir , Pi , Ti , Pc , Tc → ri (Pc , Tc ), Lir (Pc , Tc ), Pi (Pc , Tc ), Ti (Pc , Tc ) e l’integrazione sar` a corretta solo quando le due quadruplette vengano a coincidere. In generale, le integrazioni basate sui parametri di prova forniranno al fitting valori non concordanti, e porremo per tali discrepanze r e − r i = εr Ler − Lir = εL P e − P i = εP T e − T i = εT Tenuto presente che i valori delle due quadruplette dipenderanno dai valori di prova assunti, rispettivamente, per L, Te e Pc , Tc , il metodo del fitting consiste nel valutare quali le variazioni da apportare ai 4 valori di prova per annullare le discrepanze tra le due quadruplette, o - nella pratica - perch`e le discrepanze (Pi - Pe )/Pi e simili scendano al di sotto di una soglia di precisione tipicamente non maggiore di 10−4 . In approssimazione lineare, la variazione dei valori delle quadruplette pu`o essere espressa in funzione delle derivate parziali dei valori medesimi rispetto ai relativi valori di prova. Cos`i, ad esempio ∆P e = (∂P e /∂L)T e=cost ∆L + (∂P e /∂Te )L=cost ∆Te e, corrispondentemente, ∆P i = (∂P i /∂Pc )T c=cost ∆Pc + (∂P i /∂Tc )Pc =cost ∆Tc Sulla base di simili relazioni, per la variazione delle discrepanze si ottiene ∆(re − ri ) = (
∂re ∂ri ∂ri ∂re )T e ∆L + ( )L ∆Te + ( )T c ∆Pc + ( )P ∆Tc ∂L ∂Te ∂Pc ∂Tc c
(26)
∆(Ler − Lir ) = (
∂Ler ∂Le ∂Li ∂Li )T e ∆L + ( r )L ∆Te + ( r )T c ∆Pc + ( r )Pc ∆Tc ∂L ∂Te ∂Pc ∂Tc
(27)
∆(P e − P i ) = (
∂P e ∂P e ∂P i ∂P i )T e ∆L + ( )L ∆Te + ( )T c ∆Pc + ( )P ∆Tc ∂L ∂Te ∂Pc ∂Tc c
(28)
∆(T e − T i ) = (
∂T e ∂T e ∂T i ∂T i )T e ∆L + ( )L ∆Te + ( )T c ∆Pc + ( )P ∆Tc ∂L ∂Te ∂Pc ∂Tc c
(29)
Imponendo che tali variazioni siano eguali ma di segno contrario alle discrepanze εi (i = 1, 4), cos`i da annullare le differenze delle due quadruplette al fitting, ove siano noti i valori delle derivate si ottiene un sistema lineare di quattro equazioni nelle quattro incognite ∆L, ∆Te . ∆Pc . ∆Tc e con termini noti -εi (i=1,4).
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I valori delle derivate parziali sono ricavati eseguendo quattro integrazioni, due dall’ esterno e due dall’interno, a partire dai valori al contorno L + δL, Te L, Te + δTe Pc , Tc + δTc Pc + δPc , Tc e ponendo per la generica variabile Xij (j=1, 4), Xej (j=1,4) ∂Xje Xje (L + δL, Te ) − Xje (L, Te ) ∼ ∂L δL
(30)
e simili per le derivate rispetto alle altre tre condizioni al contorno. La soluzione del sistema di quattro equazioni lineari fornisce le quattro correzioni alle condizioni al contorno sulla base delle quali operare una nuova coppia di integrazione esterno-interno. Poich´e la linearit`a del sistema delle correzioni e’ solo una approssimazione al primo ordine, la soluzione viene in genere raggiunta attraverso una serie di iterazioni, sempre che le iniziali condizioni al contorno non siano troppo distanti da quelle finali, risultando all’interno di quella che viene definita l’area di convergenza. 2.6.3 Il metodo di Henyey Un approccio alternativo alla soluzione del problema consiste nel adottare una soluzione di prova, cio`e assegnare in ogni punto un valore delle funzioni r(Mr ), Lr (Mr ), P(Mr ), T(Mr ), ed applicare un metodo che consente di correggere tali valori. Possiamo riscrivere le equazioni dell’equilibrio sotto forma di differenze finite e portando tutti i termini a primo membro, ottenendo -ponendoci ad esempio nel caso di equilibrio radiativo, le quattro relazioni algebriche (Pj+1 − Pj )/(rj+1 − rj ) − GMr,j ρj /rj2 = 0 (Mr,j+1 − Mr,j )/(rj+1 − rj ) − 4πrj2 ρ = 0 (Tj+1 − Tj )/(rj+1 − rj ) − (3/4ac)(κρj /Tj3 )Lr,j /4πrj2 = 0 (Lr,j+1 − Lr,j )/(rj+1 − rj ) − 4πrj2 ε = 0 Poich´e la soluzione di prova non soddisfa le equazioni di equilibrio, le quattro eguaglianze a zero non saranno verificate, ed ognuna delle quattro relazioni dar`a, per ogni coppia degli N mesh, una discrepanze δi,j
i = 1, 4; j = 1, N − 1
Occorre dunque operare sui valori di prova assegnati negli N singoli mesh in cui `e stata divisa la struttura al fine di azzerare i 4N-4 δi,j cos`i che le relazioni di equilibrio risultino soddisfatte lungo tutta la struttura. Notiamo al proposito che, avendo scelto come variabile indipendente Mr ed avendo dunque prefissato il valore di Mr in opportuni mesh spaziati lungo la struttura, il generico δi,j resta una funzione algebrica dei valori delle quattro variabili nei mesh j e j+1 δi,j = f (rj , Lr,j , Pj , Tj , rj+1 , Lr,j+1 , Pj+1 , Tj+1 ) di cui `e possibile ricavare algebricamente i valori delle derivate parziali rispetto alle otto variabili. Per la dipendenza del generico δi,j dalle funzioni di prova potremo dunque scrivere per ogni coppia di mesh e per ognuna delle 4 equazioni dell’equilibrio una relazione che lega le discrepanze al valore variabili
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∆δi,j =
∂δi,j ∂rj ∆rj
+
∂δi,j ∂Lr,j ∆Lr,j
∂δi,j ∂δi,j ∂Tj ∆Tj + ∂rj+1 ∆rj+1 ∂δi,j ∂δi,j ∂Pj+1 ∆Pj+1 + ∂rj+1 ∆Tj+1
+
∂δi,j ∂Pj ∆Pj
+
+
∂δi,j ∂Lr,j+1 ∆Lr,j+1
+
imponendo che per ogni coppia e per ogni equazione δi, j subisca una variazione eguale e di segno contrario alla discrepanza trovata, si ottiene in definitiva un sistema di 4N-4 equazioni nelle 4N incognite ∆rj , ∆Lr, j, ∆Pj , ∆Tj (j=1,N) Il bilancio tra numero di incognite e numero di equazioni mostra - come dovevamo attenderci - che la soluzione richiede l’intervento di quattro condizioni al contorno. Due di queste si ricavano immediatamente osservando che al centro della struttura deve risultare e rimanere r = Lr = 0, e quindi ∆r1 = 0, ∆Lr,1 = 0 Restano dunque 4n-2 incognite. Le altre due condizioni risultano dall’imporre che l’ultimo mesh (N) debba essere alla base dell’ atmosfera. Sappiamo infatti che le variabili fisiche alla base dell’atmosfera sono note non appena sia assegnata una coppia di valori L e Te . Per l’ultimo mesh devono valere dunque le ulteriori condizioni rN = f1 (L, Te ) Lr,N = f2 (L, Te ) PN = f3 (L, Te ) TN = f4 (L, Te ) che aggiungono alle precedenti 4 nuove equazioni e due incognite (L e Te ). In totale abbiamo dunque un sistema di 4N equazioni in 4N incognite, che viene in genere risolto per sostituzioni successive (→ A2.8), fornendo i valori delle correzioni da apportare in ogni mesh alle funzioni di prova per verificare le equazioni dell’equilibrio. Avendo nuovamente linearizzato il problema, la soluzione sar` a in genere raggiunta tramite una serie di iterazioni, sempre che le funzioni di prova siano assegnate all’interno di un’area di convergenza.
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Approfondimenti A2.1. Energia interna, pressione della radiazione e pressione del gas perfetto. Si `e gi` a indicato (→ A1.1) come all’interno di una struttura stellare materia e radiazione siano ambedue da considerarsi termalizzate alla temperatura locale T In tali condizioni la densit` a e la distribuzione in frequenza dei fotoni restano regolate dalle leggi del corpo nero, la densit` a di energia risultando in particolare pari a U = aT 4 . In tali condizioni `e anche facile ricavare il valore della pressione di radiazione, collegata -come nel caso delle particelle- al momento trasportato dai fotoni. Se immaginiamo la radiazione intrappolata all’interno di un cubetto di volume unitario a superfici interne perfettamente riflettenti. Un generico fotone di energia E = hν e momento p = hν/c avr` a una direzione di moto definita dai tre coseni direttori cx cy cz , , c c c degli angoli formati dal vettore velocit` a c con i tre assi delle coordinate. Nell’unit` a di tempo si avranno cx urti contro le due pareti perpendicolari all’asse x (Figura 2.6) ed in ogni urto verr` a scambiata una quantit` a di moto pari in modulo a 2(hν/c)cx /c. La somma (in modulo) dei momenti scambiati dal fotone con le 6 pareti del cubetto nell’unit` a di tempo risulta hν cx hν cy hν cz hν +2 +2 = 2 2 (c2x + c2y + c2z ) = 2hν = 2E c c c c c c c Se ne conclude che il gas di fotoni isotropi scambia nell’unit` a di tempo con ognuna delle pareti del cubetto una quantit` a di moto pari a 2
∆p = E/3 dove E `e la somma delle energie dei singoli fotoni. Poich`e ∆p = F ∆t si ricava che il gas di fotoni opera sulla superficie unitaria una forza (la pressione) pari a Pr = E/3 Per una distribuzione di corpo nero si ricava cos`i il valore della pressione di radiazione 1 a U = T4 3 3 Con considerazioni del tutto analoghe si ricava per un gas perfetto non relativistico Pr =
1 2 Σmi vi2 = W 3 3 dove W = Σ 21 mi vi2 rappresenta la densit` a di energia cinetica. Poich`e l’energia cinetica media per molecola `e pari a 23 kT, Σ 12 mi vi2 = nkT dove n rappresenta il numero di particelle per unit` a di volume. Si ritrova cos`i l’equazione di stato del gas perfetto Pg =
Pg = nkT Per un gas perfetto monoatomico W=U=3/2 kT. Nel caso pi` u generale U=N/2 kT, dove N `e il numero di gradi di libert` a delle particelle, e si ricava facilmente 2 U N che, in analogia di quanto gi` a visto per la radiazione, pone in relazione la pressione con l’energia interna per unit` a di volume. Pg =
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Fig. 2.6. Nell’urto elastico contro la parete un fotone di impulso hν/c inverte la componente x cx cedendo un impulso pari a 2 hν cosθ = 2 hν . c c c
A2.2. Gradiente di temperatura e gradiente radiativo. Conduzione elettronica. Se nel plasma stellare esiste un gradiente di temperatura (Fig. 2.7) la densit` a di fotoni cresce con la temperatura e si produrr` a un flusso netto di fotoni dalle maggiori verso le minori temperature. E’ possibile porre in relazione il gradiente di temperatura con tale flusso, osservando che le interazioni con la materia tendono ad isotropizzare i fotoni del flusso, estraendoli dal ”fascio” direzionale e che, in tal modo, i fotoni devono cedere momento alla materia. Il numero di interazioni subite da uno di questi fotoni in un tragitto dr `e dato da dr/λ, dove λ rappresenta il libero cammino medio del fotone. Se N `e il numero di fotoni che attraversano nell’unit` a di tempo l’unit` a di superficie, il momento trasferito nell’unit` a di tempo dai fotoni alle particelle sar` a dr hν Φ = dr λ c λc Poich´e la pressione di radiazione altro non `e che il momento trasportato per unit` a di superficie e di tempo, dp = dPr , e quindi dp = N
Φ dr = dPr λc Ove, come nel caso degli interni stellari, si possa assumere l’equilibrio termodinamico locale, Pr = a/3T 4 e si ottiene cos`i dPr 4a dT = λc T 3 dr 3 dr Poich´e il cammino libero medio dei fotoni dipende dalla frequenza, ponendo λ = 1/κρ, dove κ rappresenta una opportuna media (media di Rosseland) sulla distribuzione energetica dei fotoni: 1/κρ rappresenta la probabilit` a media di interazione per unit` a di percorso e κ prende il nome di opacit` a per grammo di materia. Si ha cos`infine Φ = λc
Φ=
4acT 3 dT 3κρ dr
che mostra come in condizioni di equilibrio termodinamico sussiste una necessaria proporzionalit` a tra gradiente di temperatura e flusso di energia trasportato dai fotoni. In assenza di convezione, poich´e in un gas il trasporto per conduzione `e in genere molto poco efficiente, la precedente relazione si trasforma in una relazione tra gradiente di temperatura e flusso totale di energia. Ci` o per` o non `e pi` u vero nel caso di degenerazione elettronica, allorquando per motivi quantistici gli elettroni manifestano un comportamento collettivo (→ A3.2). In tal caso,
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Fig. 2.7. I fotoni che compongono il flusso di energia fluente tra due temperature T1 e T2 (T1 > T2 ) subiscono interazioni che li isotropizzano cedendo qunatit` a di moto alla materia come avviene nei metalli, un gas di elettroni mal sopporta gradienti energetici, e la conduzione elettronica diviene un meccanismo di grande efficienza. Per il flusso di energia Φc trasportato dalla conduzione si pu` o ancora porre dT dr dove il valore di C resta definito per le varie condizioni fisiche del mezzo dalla teoria di un gas elettronicamente degenere. In presenza di conduzione elettronica `e d’uso generalizzare, con semplice artificio, la precedente formula del gradiente radiativo. Basta infatti definire una opacit` a conduttiva κc attraverso la relazione Φc = C
C=
4acT 3 3κc ρ
per ottenere Φ r + Φc = −
4acT 3 1 1 dT ( + ) 3ρ κr κc dr
Definendo come opacit` a totale 1/κT = 1/κr + 1/κc si ottiene la forma generalizzata 4acT 3 dT 3κT ρ dr che collega la totalit` a del flusso ”non convettivo” al gradiente locale di temperatura. Φ=
A2.3. L’equazione di Oppenheimer-Volkoff. Il raggio di Schwarzschild. La formulazione newtoniana della gravitazione, cos`ı come inserita nella relazione dell’equilibrio idrostatico, non pu` o essere mantenuta per campi gravitazionali estremi, quando l’energia gravitazionale delle particelle diventa non trascurabile a confronto dell’energia di massa E = mc2 . Occorre in tal caso ricorrere al formalismo della relativit` a generale. Adottando la metrica di Schwarzschild, che governa il campo gravitazionale a simmetria sferica generato da una massa ”m” ds2 = −(1 −
rg 1 ) d(ct)2 + dr2 + r2 (dθ2 + sin2 θdΦ2 ) r 1 − rg /r
dove 2Gm c2 si giunge a riscrivere l’equazione dell’equilibrio idrostatico e quella della conservazione della massa nella forma generalizzata relativistica rg =
dP GMr P 4πr3 P 2GMr −1 = − 2 ρ (1 + 2 ) (1 + ) (1 − ) dr r ρc Mr c2 rc2
19
Fig. 2.8. La relazione massa densit` a centrale per le strutture di stelle di neutroni, La curva A indica la soluzione per un gas di neutroni liberi mentre le altre curve portano esempi di equazioni di stato pi` u elaborate.
dMr = 4πr2 ρ dr dove Mr , massa contenuta all’interno del raggio ”r”. contiene il contributo non solo della massa a riposo delle particelle ma anche quello della loro energia. Le strutture in cui si rende necessaria l’applicazione di un tale formalismo si collocano in qualche maniera ai due estremi delle normali strutture stellari: stelle supermassive e stelle di neutroni. Per ci` o che riguarda gli oggetti supermassivi (M ∼ 105 − 108 M ) `e da notare che per i normali oggetti stellari esiste un limite superiore, a poco pi` u di 100 M , per la formazione di strutture stabili. Ci` o perch`e al crescere della massa il crescente contributo della pressione di radiazione finisce col destabilizzare la stella. Al livello di supermassivit` a indicato intervengono per` o due nuovi fattori che consentono, almeno in linea di principio, strutture gravitazionalmente legate. Infatti il campo gravitazionale efficace `e enormemente accresciuto dall’equivalente in massa dell’energia e, nel contempo, i fotoni perdono energia nel propagarsi contro il campo gravitazionale, riducendo di molto gli effetti della pressione di radiazione. Oggetti supermassivi sono stati nel passato invocati per giustificare l’emissione luminosa da nuclei galattici, radiosorgenti e quasars. Per quanto tale ipotesi sia stata ormai abbandonata, `e da notare che da una struttura di 105 M nelle fasi iniziali di combustione di idrogeno si attendono ∼ 1043 erg/sec, con temperature efficaci (→ 1.7.1)Te ∼ 6 104 K. Il confronto con la luminosit` a del Sole (∼ 1033 erg/sec) rivela come in tali oggetti supermassivi il rapporto luminosit` a/massa risulti dell’ordine di ∼ 105 volte di quello solare. A causa delle elevatissime densit` a, anche stelle di neutroni che eventualmente si producano nell’esplosione di Supernovae sono caratterizzate da campi gravitazionali estremamente intensi, e necessitano quindi di un trattamento relativistico. Se si assume che i neutroni si comportino come un gas di fermioni liberi (→ A3.2) per essi vale un equazione di stato del tipo P = P (ρ) ∼ 41019 ρ5/3 che, unita alle due precedenti relazioni, consente di definire la struttura dell’oggetto (caso politropico→ A5.1). Se ne ottiene una relazione massa-densit` a centrale che raggiunge un massimo per M = 0.7M (Fig.2.8). E’ subito visto che strutture al di sopra di tale limite non sono stabili: una fluttuazione della densit` a centrale porterebbe la stella fuori dall’equilibrio, innescando una contrazione e,di qui, un processo di collasso reazionato positivamente.
20 L’approssimazione di un gas di fermioni appare peraltro inadeguata, perch`e a densit` a che raggiungono e superano quelle nucleari interverranno certamente interazioni a molti corpi tra le particelle. Equazioni di stato pi` u realistiche appaiono spostare il precedente limite sino a 2-3 M ( Fig. 2.8. Al di sopra di queste masse non si trovano meccanismi in grado di fermare il collasso della struttura, che dovrebbe quindi procedere indefinitamente. Al riguardo `e facile verificare come l’equazione dell’equilibrio presenti una singolarit` a per r=
2GM c2
E’ questo il cosiddetto raggio di Schwarzschild. Anche nell’approssimazione non relativistica si verifica facilmente che, per ogni massa, a tale raggio corrisponde una velocit` a di fuga pari alla velocit` a della luce. In generale si trova quando il collasso raggiunge il raggio di Schwarzschild i fotoni non sono ulteriormente in grado di sfuggire dall’oggetto collassante, che quindi cessa di avere un tale canale di comunicazione elettromagnetica con il resto dell’Universo (diventando una buca nera).
A2.4. Termodinamica della materia in condizioni stellari. Il gradiente adiabatico ed il criterio di stabilit` a Dalla usuale formulazione del primo principio della termodinamica, indicando con δQ il calore fornito ad un generico sistema termodinamico, si ha δQ = dU + pdV ove appare la variabile estensiva V = volume occupato dal sistema. Osservando che il volume occupato da 1 grammo di materia `e pari a 1/ρ, si risale immediatamente ad una pi` u appropriata formulazione riguardante il bilancio termico per grammo di materia 1 P δQ = dU + pd( ) = dU − 2 dρ ρ ρ ove l’energia interna U e’ ora da intendersi come riferita al grammo di materia e immediatamente ricavabile dividendo per ρ le gi` a citate espressioni riguardanti l’energia interna per unit` a di volume. Lo stato termodinamico resta cos`i definito dalle tre variabili intensive T, P e ρ, fornendo una rappresentazione adeguata anche ad un generico fluido termodinamico non soggetto ad artificiali delimitazioni. Si noti che in tutte le precedenti relazioni la pressione P va intesa come pressione totale, somma dunque delle pressioni parziali di gas e radiazione. La termodinamica ci assicura anche che per trasformazioni reversibili, cio´e per trasformazioni che si sviluppano lungo stati di equilibrio e nelle quali restano quindi definite istante per istante le variabili di stato, il calore assorbito o ceduto resta collegato alla funzione di stato S (entropia) dalla relazione δQ = T δS. Poich´e questo `e ovviamente il caso per le trasformazioni subite dal plasma stellare nel corso dell’evoluzione di strutture stellari in equilibrio, potremo in generale porre il primo principio della termodinamica nella forma P dρ ρ2 Poich´e S `e funzione di stato, assumendo P e T come variabili indipendenti, il bilancio energetico deve potersi portare nella forma δQ = T δS = dU −
T ds = T [(
∂S ∂S )P + ( )T ] = CP dT − ET dP ∂T ∂P
con CP = T (dS/dT )P = (δQ/dT )P = calore specifico a pressione costante ET = T (dS/dP )T = (δQ/dT )P = calore specifico scambiato in una compressione isoterma. Nel caso generale la valutazione di questi due coefficienti riposa su opportune e complesse valutazioni sullo stato energetico del sistema, che tengano nel dovuto conto non solo il grado di ionizzazione, ma anche la distribuzione degli elettroni nei vari livelli eccitati, la presenza di eventuali
21 legami molecolari etc. Stante la complessit` a dei relativi calcoli, questi dati vengono in genere forniti al programma assieme all’equazione di stato (→ A3.2) ed ai coefficienti di opacit` a (→ A3.3) sotto forma tabulare, per ogni assunta composizione della materia stellare e per una opportuna griglia di valori delle variabili di stato ρ e T . Nel caso di una miscela di gas perfetto e radiazione, basta peraltro esplicitare la dipendenza dell’energia interna U dai parametri di stato e fare uso dell’equazione di stato per ricavare analiticamente i valori di CP e ET . Scegliendo come parametri di stato P e T , il primo principio della termodinamica fornisce T dS = (
∂U ∂U P ∂ρ ∂ρ )T dP + ( )P dT − 2 [( )T dP + [( )P dT ] ∂P ∂T ρ ∂P ∂T
e quindi CP = (
P ∂ρ ∂U )P + 2 [( )P ] ∂T ρ ∂T
EP = −(
∂U P ∂ρ )T + 2 [( )T ] ∂P ρ ∂P
Poich`e (→ 3.2) P = Pg + P r =
k a ρT + T 4 µH 3
U = Ug + Ur =
1 N ( Pg + 3Pr ) ρ 2
si ottiene, ad esempio, per ET N 1 ∂ρ 1 ∂ N P ∂ρ Pg + 3Pr ) 2 ( )T − [ ( Pg + 3Pr )T ] + 2 ( )T 2 ρ ∂P ρ ∂P 2 ρ ∂P Osservando che per T = cost, dPr = 0 e dP = dPg si ha ET = (
(
∂ρ ∂ρ µH ρ )T = ( )T = = ∂P ∂Pg kT Pg
si ottiene infine ET =
1 N Pr N P 1 Pr ( +3 − + ) = (4 + 1) ρ 2 Pg 2 Pg ρ Pg
Analogamente si ricava CP =
1 N +2 P2 ( Pg + 20Pr + 16 r ) ρT 2 Pg
Si noti che T dS = 0 definisce una trasformazione adiabatica. Ne segue che per una tale trasformazione (
dT ET )ad = dP CP
o anche
∇ad =
dlogT P ET = dlogP T CP
Se Pr << Pg , ∇ad = 2/(N + 2), pari quindi a 0.4 nel caso di un gas perfetto monoatomico (N=3) e a 0.3 nel caso di molecole biatomica (N=5). Pi` u in generale, `e facile comprendere che un gas perfetto monoatomico realizza il massimo possibile gradiente adiabatico. In tal caso infatti, e solo in tal caso, tutto il lavoro assorbito in una compressione adiabatica va in energia cinetica delle particelle e nel corrispondente innalzamento della temperatura. Ove esistano gradi di libert` a interni (quali molecole, ionizzazioni, eccitazioni elettroniche) parte del lavoro sar` a ripartito tra questi, con conseguente minor innalzamento della temperatura. Si noti infine che per Pr >> Pg , come tende ad avvenire in strutture stellari di massa molto grande, ∇ad → 0.25. La radiazione tende quindi a diminuire il gradiente adiabatico, favorendo la convezione. La radiazione dunque si comporta come un gas con 6 gradi di libert` a, ed in effetti tale
22
Fig. 2.9. Andamento dei gradienti (scala di destra) e del peso molecolare µ(scala di sinistra) in funzione della pressione P negli strati esterni di una stella di Popolazione II, 1.5 M in Sequenza Principale, log Te = 3.91. Il gradiente radiativo raggiunge il valore massimo 45. In superficie il peso molecolare segnala la presenza di molecole di idrogeno.
comportamento corrisponde alle due direzioni di polarizzazione per ognuna delle tre direzioni di propagazione del fotone. Da questa osservazione `e facile giungere ad un criterio termodinamico per la stabilit` a di una struttura stellare. Per il teorema del viriale (→ 4.1) tale stabilit` a richiede 2T + Ω = 0 dove T `e l’energia cinetica totale posseduta dalle particelle che compongono la struttura e Ω `e l’energia di legame. La stabilit` a richiede quindi che met` a dell’energia guadagnata in una contrazione sia trasferita all’ energia cinetica delle particelle : dT = −dΩ/2. In un gas monoatomico, quindi con 3 gradi di libert` a, tutta l’energia guadagnata dal gas va in energia cinetica, e resta quindi altrettanta energia (dΩ/2) per sopperire alle perdite per radiazione. In un gas con 6 gradi di libert` a se met` a dell’energia va in energia cinetica, altrettanta energia deve andare negli altri gradi di libert` a del sistema. Non resterebbe quindi energia disponibile per sopperire alle perdite per radiazione, e questo `e chiaramente incompatibile con la stabilit` a della struttura. Il predominare della pressione di radiazione porta quindi la struttura verso l’instabilit` a. Tale criterio `e sovente espresso in letteratura tramite γ = CP /CV = d(logP/dlogρ)ad = 1/(1 − ∇ad ) = 1 + 2/N , con N gradi di libert` a delle particelle. Per un gas perfetto monoatomico risulta γ = 5/3, per la radiazione γ = 4/3 e la stabilit` a richiede γ > 4/3.
A2.5. La teoria della mixing-length Assumiamo che la convezione sia descrivibile come lo spostamento di elementi di convezione (”bolle”) che, iniziando il loro moto in equilibrio con l’ambiente, percorrano adiabaticamente un tragitto ”l” per cedere infine l’eccesso di energia termica all’ambiente circostante. Il tragitto ”l” prende il nome di lunghezza di rimescolamento o mixing length. Se dT /dR `e il gradiente dell’ambiente in cui si muove la bolla, la differenza di temperatura tra bolla ed ambiente sar` a a fine tragitto ∆T = [(dT /dr)ad − (dT /dr)]l = [(dT /dP )ad − (dT /dP )](dP/dr)l . Poich`e dP/dr `e negativo, si riconosce immediatamente che vi sar` a trasporto di energia (la bolla sar` a pi`calda) solo quando la zona `e instabile per convezione, cio`e dT /dP > (dT /dP )ad (Criterio di Schwarzschild → 2.2)
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Fig. 2.10. Come in figura 2.9, ma per una stella di 1.25 M , log Te = 3.83. Al diminuire della temperatura efficace affonda la zona convettiva e nelle regioni pi´ u interne ( pi´ u dense) il gradiente locale tende al gradiente adiabatico. Poich´e lo scambio di calore avviene a pressione costante, il calore scambiato al termine del tragitto sar` a M CP ∆T , ove M `e la massa della materia a maggior temperatura. Ponendo che met` a della materia partecipi al moto ascendente, si ricava per il flusso trasportato dalla convezione 1 dT dT CP ρv[( )ad − ( )]l 2 dr dr L’esistenza di un gradiente di temperatura implica peraltro anche un trasporto radiativo (→ A2.2) Fc =
T 3 4ac dT κrho 3 dr cos`ı che per il flusso totale in regime di convezione si ricava Fr = −
F = Fc + Fr =
1 dT 1 T 3 4ac dT )( ) CP ρv( )ad − ( CP ρv − κrho 3 dr 2 dr 2
da cui ) F − 12 CP ρv( dT dT dr ad = T 3 4ac 1 dr − CP ρv κρ
3
2
Si riconosce facilmente che per convezione inefficiente (CP ρv → 0) dT /dr → (dT /dr)rad mentre per convezione dominante (CP ρv → ∞)) dT /dr → (dT /dr)ad . Per valutare le velocit` a degli elementi di convezione possiamo osservare che per il principio di Archimede la forza agente sull’elemento sar` a F = g∆ρV dove g `e la gravit` a locale, V il volume delle elemento e ∆ρ `e la differenza di densit` a tra l’ambiente e la bolla di convezione. Assumendo un gas perfetto (trascurando quindi variazioni del grado di ionizzazione) ∆ρ/ρ = ∆T /T , dove per ogni tragitto parziale x (0 ≤ x ≤ l)∆T = [(dT /dr)ad − (dT /dr)amb ]x. Applicando il teorema delle forze vive (lavoro = variazione di energia cinetica) si ottiene cos`i al termine del tragitto 1 mv 2 = 2 da cui
Z
l
Z g∆ρV dx =
0
l
gρV 0
∆/T xdx T
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Fig. 2.11. Andamento della temperatura in funzione della pressione per il modello di figura 2.10 per due diverse assunzioni sulla lunghezza di rimescolamento. All’aumentare di l aumenta l’efficienza della convezione e diminuisce il gradiente di temperatura. In ogni caso le diverse soluzioni convergono verso una comune soluzione interna.
v(l)2 1 dT dT ' g [( )ad − ( )amb ] 2 T dr dr
Z
l
xdx = 0
g dT dT l2 [( )ad − ( )amb ] T dr dr 2
Introducendo come valori medi lungo la traiettoria v = v(l)/2 e ∆T (l) = ∆T /2, osservando che per l’equilibrio idrostatico si ha che dT dT dP dT = =− gρ dr dP dr dP si ricava infine Hµ (∇ − ∇ad )]1/2 8kT che unita alla precedente relazione per il gradiente ambientale fornisce un sistema di equazioni che, per ogni assunto valore della mixing length consentono la determinazione di v e ∇amb . Quest’ultimo, in particolare, fornisce il valore del gradiente di temperatura locale in presenza di convezione e, in quanto tale, viene sovente indicato come ∇conv Non pu` o sfuggire l’estrema semplificazione del modello adottato, ove -ad esempio - viene trascurata la viscosit` a del mezzo e vengono trascurati gli scambi di energia lungo il tragitto degli elementi di convezione. Ancor pi` u pesante `e l’assunzione di una convezione per ”bolle” a fronte dell’evidenza osservativa (nel Sole) di una convezione per colonne, e quindi ”non locale”. La teoria della mixing length `e nondimeno utilizzata come un formalismo che conduce ad una ragionevole correlazione tra le varie quantit` a fisiche in gioco, fornendo relazioni che finiscono col dipendere dal parametro l che, di fatto, viene a regolare l’efficienza del trasporto convettivo. In tal senso l viene riguardato come un parametro libero il cui valore va determinato non tanto con ulteriori valutazioni teoriche, quanto sulla base di un riscontro dei risultati ai risultati osservativo sperimentali. In questo quadro la versione semplificata della teoria, qui presentata come proposta da Demarque e Geisler, `e non meno valida della pi` u sofisticata versione originalmente proposta da Erika Bohm-Vitense, nella quale veniva ulteriormente elaborato il problema del tragitto non-adiabatico dell’elemento di convezione. Nella pratica dei calcoli evolutivi `e invalso l’uso di assumere una mixing length proporzionale all’altezza di scala di pressione, HP v = gl[
l = αHP dove HP = dlogP/dr = (1/P )dP/dr e α `e scelto tra 0.5 e 2 in base alla considerazione che difficilmente un elemento di convezione pu` o conservare la propria individualit` a per tragitti molto
25 superiori a quello per cui la pressione si riduce di un e-mo. In analogia con la precedente formulazione, la mixing length pu` o essere anche riferita a l’altezza di scala di temperatura o a quella di densit` a. Quest’ultima in particolare ha in passato goduto di una certa popolarit` a, perch`e elimina le inversioni di pressione che talora si manifestano con l’uso HP . Le Figure 2.9 e 2.10 riportano a titolo di esempio l’andamento dei vari gradienti nelle zone subatmosferiche di stelle di sequenza principale di varia massa. Al diminuire della massa stellare aumenta la densit` a degli strati subatmosferici, aumenta quindi la capacit` a termica della materie e, come mostrato nelle figure, il gradiente convettivo tende sempre pi` u verso il gradiente adiabatico. E’ importante notare come l’incertezza sull’efficienza della convezione superadiabatica si trasferisca in genere in un incertezza sui raggi stellari, ma non sulle rispettive luminosit` a. In particolare si pu` o mostrare che per inviluppi convettivi non troppo profondi le soluzioni per diversi valori di l finiscono per convergere ad un unica soluzione interna (Fig. 2.11), Si pu` o calibrare α richiedendo, ad esempio, che un modello solare riproduca il raggio (e la temperatura efficace) osservato. Si ricava cos`i l ' 1.8. Nulla assicura peraltro che una tale calibrazione possa essere estesa a stelle con diversa massa e/o diversa composizione chimica. Ed in effetti giganti rosse di Pop.II richiedono diversi α. Notiamo infine come la teoria della mixing length, nei limiti in cui si accettino le predizioni sulla velocit` a, possa fornire anche indicazioni sulla consistenza dell’overshooting. Il tragitto degli elementi nella zona radiativa `e infatti ricavabile dall’applicazione del teorema delle forze vive alle forze di frenamento che in tale zona si vengono a creare.
A2.6. Integrazione degli strati atmosferici Si `e gi` a indicato come l’integrazione degli strati atmosferici riposi sull’equazione dell’equilibrio idrostatico e sulla diponibilt` a di una relazione che fornisca l’andamento della temperatura al variare della profondit` a ottica τ . Tale relazione, nel caso pi` u generale, si ottiene come risultato di complessi modelli di atmosfera, basati sull’integrazione dell’equazione del trasporto che collega, per ogni assegnata direzione l’intensit` a della radiazione all’opacit` a ed alla emissivit` a della materia, giungendo cos`i a fornire predizioni sulla struttura dell’atmosfera e sulle caratteristiche dello spettro della radiazione emergente. Per ci` o che riguarda la temperatura, si ottiene una soluzione semplice nell’approssimazione di atmosfera grigia, ove si assume che l’opacit` a sia indipendente dalla frequenza della radiazione. In tal caso si ricava: 3 1 4 Te (1 + τ ) 2 2 quindi una T (τ, Te ) che per τ = 32 fornisce T = Te . In generale le relazioni esatte non si discostano sensibilmente dalla relazione di atmosfera grigia, che fornisce cos`i un utile punto di riferimento. Nella pratica dei calcoli evolutivi vengono di frequente usate correzioni semiempiriche alla distribuzione di temperature dell’atmosfera grigia. Tale, ad esempio, la relazione di Krishna-Swami. E’ peraltro da notare che una tale trattazione (approssimazione di Eddington) assume implicitamente una atmosfera in equilibrio radiativo. Ci` o e’ in genere ben verificato perch´e nell’atmosfera ρ → 0 e, con ρ tende a zero il gradiente radiativo. Solo in strutture di piccolissima massa (pochi decimi di massa solare) le atmosfere risultano sede di estesi moti convettivi e, in tal caso, la relazione T (τ ) deve essere solo ricavata da acconci modelli di atmosfera. E’ anche da notare che l’equazione dell’equilibrio idrostatico T4 =
dP g = dτ κ regola l’andamento della pressione totale P = Pg + Pr . Si ha dunque dPg g dPr = − dτ κ dτ Ma (→ A2.2) dPr Φ σTe4 = = dτ c c
26 e ponendo gr = (κσTe4 )/c, si puo’ scrivere dPg 1 = (g − gr ) = gef f /κ dτ κ dove gef f = g − gr assume il ruolo di gravit` a efficace. Nella pratica dei calcoli, l’integrazione non pu` o partire da τ = 0, ove l’equazione presenta una singolarit` a, implicando Pg = 0 e κ = 0. Per ogni assunto Te le condizioni iniziali vengono imposte tramite un’iterazione che conduce ad una tripletta di valori Pg , T e τ tra loro compatibili. Assumendo un valore piccolo ma finito di Pg , si adotta inizialmente T = T (τ = 0) e, ricavando dalla coppia Pg e T un valore di ρ, si ricava quindi τ da P/τ = gef f /κ(ρ, T ) Adottando tale τ si ottiene una nuova temperatura e quindi un nuovo ρ , un nuovo κ e, infine, un nuovo τ . Il processo viene iterato sino ad ottenere la convergenza.
A2.7. Algoritmi risolutivi del metodo di Henyey Si `e gi` a mostrato come il metodo di integrazione di modelli stellari noto come metodo di Henyey conduca ad un sistema di 4N equazioni in 4N incognite, essendo N il numero di mesh in cui `e stata suddivisa la struttura interna della stella. Ricordiamo qui alcuni tra i vari accorgimenti di calcolo in genere adottati nel raggiungere la soluzione. E’ d’uso innanzitutto raffinare il sistema di equazioni definendo le variabili fisiche nel generico intermesh j+1/2 ponendo Pj+1/2 = (Pj+1 − Pj )/2 e simili, e scrivendo le equazioni di equilibrio nella forma Mj+1/2 ρj+1/2 Pj+1 − Pj =G 2 rj+1 − rj rj+1/2 Si noti come in tale forma venga automaticamente eliminata l’apparente singolarit` a centrale. E’ inoltre d’uso portare le equazioni in forma logaritmica, cos`i da rendere pi` u maneggevole il calcolo delle derivate. Lo soluzione del sistema di equazioni pu` o essere agevolmente raggiunta attraverso un metodo di sostituzioni ricorrenti. Si consideri, ad esempio, la prima quadrupletta di equazioni che fanno riferimento al mesh centrale (j=1) ed a quello adiacente (j=2). Si `e gi` a notato trattarsi di 4 equazioni in 6 incognite, dovendo risultare per due delle correzioni ∆L1 = ∆r1 = 0. E’ dunque possibile risolvere per sostituzione il sistema ricavando ∆r2 , ∆L2 , ∆P2 e ∆T2 in funzione di ∆P1 e ∆T1 . Riportando questi 4 valori delle correzioni nella seconda quadrupletta `e ora possibile ricavare le 4 correzioni nel mesh 3 sempre in funzione di ∆P1 e ∆T1 , e cos`ı di seguito sino a ricavare tutte le correzioni in funzione delle due incognite correzioni centrali. Tali due gradi di libert` a del problema si eliminano imponendo che r, L, P e T nell’ultimo mesh N (= base della subatmosfera) debbano corrispondere a soluzioni dell’integrazione compiuta dall’esterno al variare delle condizioni iniziali L e Te . Per far ci` o, si esegue una preventiva serie di integrazioni dall’esterno variando opportunamente le condizioni iniziali L e Te , cos`i da ricavare rN , LN , PN e TN come funzioni lineari di L e Te . Imponendo la coincidenza dei valori esterni ed interni nel mesh N si ottengono infine 4 equazioni nelle 4 incognite ∆P1 , ∆T1 , L e Te e, da ∆P1 e ∆T1 le correzioni da apportare alle variabili fisiche in tutti gli altri mesh. Poich´e ci siamo mossi nell’ambito di un trattamento linearizzato al primo ordine, la soluzione finale sar` a raggiunta dopo un certo numero di iterazioni, sempre che la soluzione di prova sia fornita all’interno della relativa area di convergenza. Il vantaggio essenziale del metodo del fitting `e di richiedere solo le 4 condizioni al contorno, senza il bisogno di fornire valutazioni preventive dell’andamento delle variabili fisiche lungo tutta la struttura. Il metodo di Henyey si fa peraltro preferire perch´e il trattamento ”locale” della soluzione consente di affrontare strutture complesse, con discontinuit´fisiche o chimiche quali si incontrano nelle fasi avanzate dell’evoluzione stellare. Vedremo nel seguito come il metodo del fitting sia utilizzato come ”innesco” del metodo di Henyey nella valutazione delle sequenze evolutive. Ricordiamo ancora una volta come il risultato del metodo di Henyey NON dipenda dalla ´ bontdelle derivate delle discrepanze. Ci` o nella pratica consente alcune semplificazioni delle procedure di calcolo evitando la valutazione di derivate troppo numericamente onerose. Pi` u in generale,
27 se ne conclude anche che, in assenza di errori formali nella stesura delle equazioni dell’equilibrio, i risultati dell’integrazione di un modello non dipendono dal particolare codice utilizzato ma solo dalla bont` a delle relazioni e/o assunzioni fisiche dal modello stesso utilizzate.
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Origine delle Figure Fig.2.1 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, Zanichelli Fig.2.2 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, Zanichelli Fig.2.3 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, Zanichelli Fig.2.4 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, Zanichelli Fig.2.5 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, Zanichelli Fig.2.6 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, Zanichelli Fig.2.7 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, Zanichelli Fig.2.8 Gratton L. 1978, ”Introduzione all’Astrofisica”, Zanichelli Fig.2.9 Castellani V., Renzini A. 1969, Astr.Space Sci. 3, 283 Fig.2.10 Castellani V., Renzini A. 1969, Astr.Space Sci. 3, 283 Fig.2.11 Castellani V., Renzini A. 1969, Astr.Space Sci. 3, 283