Astrofisica Stellare: Capitolo 10

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Capitolo 10 Le Stelle variabili. 10.1. Cenni storici e inquadramento Nella cultura occidentale la perfezione e la conseguente immutabilit`a dei cieli sono state per quasi due millenni un preciso dogma delle imperanti dottrine aristoteliche. Gli oggetti celesti erano quindi pensati come eterni ed incorruttibili, non sucettibili di variazioni o modifiche. In tale contesto l’apparizione delle comete veniva riguardata come fenomeno atmosferico, non convolgendo quindi la profondit` a del cielo. Fu quindi con non piccola sorpresa che nel 1596 il pastore luterano Fabricius annunzi` a che una stella nella costellazione della Balena (omicron Ceti) mutava regolarmente di splendore. La grabde novit`a del fenomeno giustifica il nome con cui quella stella fu battezzata e che tuttora conserva: Mira Ceti, cio`e la stella meraviglios o ”straordinaria” in Cetus. Per dare subito una chiara idea del fenomeno ”variabilit`a” riportiamo in Fig. 10.1 la curva di luce di quella stella, cio`e un grafico che registra l’andamento della magnitudine dell’oggetto in funzione del tempo: la luminosit`a varia regolarmente con il tempo, con un periodo di circa 11 mesi, passando da un massimo attorno a magnitudine 2-3 ad un minimo ben al di sotto alla magnitudine 6, soglia di visibilit`a ad occhio nudo. L’ispezione visiva del cielo mostrava dunque nella costellazione della Balena una stella che appariva e scompariva regolarmente, ad intervalli di 11 mesi. A partire da quei lontani tempi le indagini astronomiche hanno presto rivelato come la variabilit`a stellare sia un fenomeno tutt’altro che raro, portando a molte diecine di migliaia il numero di variabili sinora scoperte nella sola nostra Galassia. Sono nel contempo emerse

Fig. 10.1. Curva di luce di Mira Ceti. Il tempo `e espresso in giorni giuliani (J.D. = Julian Days → A10.1)

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sostanziali differenze nelle caratteristiche di tale variabilit` a e nei meccanismi all’origine del fenomeno. Citiamo subito, per non interessarcene ulteriormente, la presenza di variabili ottiche o ”pseudovariabili”, oggetti binari nei quali le variazioni periodiche di luminosit`a sono dovute al mutuo eclissarsi dei due oggetti orbitanti (binarie ad eclisse). Tra gli oggetti che invece presentano una reale variabilit` a possiamo definire in prima approssimazione due grandi tipologie: 1. Variabili intrinseche. Come Mira Ceti, hanno variazioni di magnitudine che si ripetono sovente con ampiezze e periodi ben determinati. Tra queste le variabili pulsanti, nelle quali l’ effetto Doppler nelle righe dello spettro mostra senza ambiguit`a che la variazione di luminosit`a `e accompaganta da corrispondenti variazioni del raggio delle strutture. 2. Variabili cataclismiche. Hanno improvvisi e in genere violenti aumenti di luminosit`a che si ripetono senza precisa periodicit` a. A tale classe vanno ascritti oggetti quali le variabili tipo U Geminorum, ma anche le stelle Novae, nelle quali `e stata pi` u volte riscontrata la ripetibilit`a del fenomeno sia pur a grande distanza di tempo (novae ricorrenti). In tutti i casi ci si trova di fronte a sistemi binari stretti con instabili`a causate da scambi di massa tra le due componenti. Nel prosieguo di questo capitolo ci interesseremo esclusivamente delle variabili pulsanti e, tra esse, a quelle strutture che mostrano andamenti strettamente periodici. Le ragioni di tale scelta risiedono nell’evidenza che solo in questo caso la variabilit`a `e un fenomeno intrinseco alle singole strutture stellari, collegabile quindi a quegli stessi parametri evolutivi - quali massa, luminosit` a o temperatura efficace - oggetto dall’indagine evolutiva. Tale pur semplice constatazione chiarisce subito la portata delle ricerche sulla variabilit`a: quando si giunga - come oggi si `e giunti - a stabilire le relazioni che collegano le caratteristiche della pulsazione a quelle delle relative strutture, le predizioni evolutive che siamo andati sin qui sviluppando si traformano anche in predizioni sulle caratteristiche pulsazionali osservate. La variabilit`a stellare viene cos`ı ad aggiungersi allo scenario evolutivo, integrandolo e perfezionandolo con nuove e indipendenti predizioni i cui riscontri osservativi forniscono preziose verifiche allo scenario evolutivo e, nel contempo, offrono la possibilt`a di approfondire l’interpretazione delle strutture stellari disseminate per nelle galassie. Aggiungiamo solamente che le variabili cataclismiche, per ora trascurate, assumeranno invece un ruolo fondamentale nel prossimo capitolo, quando tratteremo il problema dell’evoluzione nucleare della materia dell’Universo.

10.2. Pulsatori radiali La moderna ricerca astronomica ha portato alla luce un gran numero di forme di variabilit`a intrinseca presenti, con maggiore o minore evidenza, nelle strutture stellari. Quando si consideri che le ocillazioni solari sono in ultima analisi una forma di microvariabilit`a, si comprende anche come non sia facile porre un limite preciso tra strutture variabili e non variabili (statiche). Noi qui ci interesseremo solo delle forme di alcune variabilit`a macroscopica e, tra queste, di classi di pulsatori radiali che caratterizzano con la loro presenza le popolazioni stellari della nostra come di altre galassie. Al riguardo abbiamo gi` a avuto occasione di ricordare come nei Rami Orizzontali degli Ammassi Globulari esista un intervallo di temperature nel quale le stelle, se presenti, sono tutte variabili a corto periodo (minore di un giorno) di tipo RR Lyrae. Queste variabili sono invece assenti in ammassi o popolazioni stellari pi` u giovani, ove si manifestano invece variabili a pi` u lungo periodo, tra alcuni giorni e pochi mesi, che prendono il nome di Cefeidi Classiche. Ambedue queste classi prendono il nome dalla prima variabile della classe scoperta e studiata in qualche dettaglio, rispettivamente RR Lyrae e δ Cephei per le due popolazioni.

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Fig. 10.2. Distribuzione nel diagramma HR di idocrone al variare dell’et` a e per l’indicata composizione chimica iniziale. Sono indicati i bordi della striscia di instabilit` a e, a tratti, `e schematizzata la collocazione del Ramo Orizzontale popolato dalle stelle in combustione centrale di He nelle popolazioni pi` u antiche.

Il problema della variabilit` a stellare `e suscettibile di un approccio moderno e generalizzato. Le teorie evolutive ci hanno infatti insegnato come una popolazione stellare al variare dell’et`a porti le stelle a percorrere progressivamente vaste ma ben determinate porzioni del diagramma HR. A titolo di esempio, la Fig. 10.2 riporta lo sviluppo in tale diagramma delle isocrone di una popolazione con Z=0.008 e al variare dell’et`a tra 50 Myr e 4 Gyr. Per diverse composizioni chimiche varieranno i dettagli delle singole isocrone, lasciando peraltro inalterata il quadro topologico generale. Le strutture teoriche con cui `e popolato il diagramma sono per imposte condizioni matematiche ”strutture di equilibrio”. Nulla peraltro ci assicura che questo equilibrio sia stabile o meno. Le procedure fisico-matematiche per investigare la stabilit`a di una struttura stellare, quale quelle fornite dai calcoli evolutivi, sono concettualmente semplici: abbandonare la condizione di equilibrio scrivendo le equazioni del moto per gli elementi del fluido stellare e perturbare la struttura, indagando se la perturbazione tende a smorzarsi (stabilit`a) o, al contrario, ad esaltarsi (instabilit` a). Su tale falsariga si sono andati sviluppando nel tempo calcoli sempre pi` u precisi e perfezionati. Dai primi approcci di piccole perturbazioni in approssimazione lineare, non in grado quindi di seguire il completo sviluppo del fenomeno, si `e passati a formulazioni non lineari progressivamente sempre pi` u adeguate a rappresentare la fenomenologia della pulsazione. Conseguentemente, in letteratura si trovano ancora risultati di varia affidabilit`a. A titolo orientativo ricordiamo che le valutazioni teoriche sui periodi risultano in ogni caso largamente affidabili, mentre le valutazioni sui bordi dell’instabilit`a e l’ampiezza della pulsazione dipendono criticamente dalla adeguatezza dello scenario teorico adottato. Quel che qui interessa `e che sin dalle prime e approssimate valutazione `e emerso che esiste nel diagramma HR una striscia di instabilit` a, schematizzata in Fig. 10.2, all’inerno della quale tutte le strutture risultano instabili per pulsazioni radiali, cio`e per ripetitive e periodiche variazioni di raggio accompagnate da corrispondenti variaziono di luminosit`a. Risulta innanzitutto che la pulsazione `e un fenomeno che coinvolge essenzialmente solo gli strati pi` u esterni di una struttura. Si comprende cos`ı la correlazione tra pulsazione e diagrama HR: la modellistica stellare ci assicura infatti che per ogni assunta composizione

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chimica originaria un punto del diagramma HR determina completamente la struttura degli strati atmosferici e subatmosferici. L’origine dell’instabilit` a risiede principalmente nelle zone di ionizzazione dell’idrogeno e dell’elio. Ci`o rende anche qualitativamente ragione dell’esistenza di una ”instability strip”: per temperature efficaci minori del limite rosso della strip la ionizzazione ha luogo in una regione densa e adiabatica che non sostiene le pulsazioni. Per temperature maggiori del limite blu, la ionizzazione diviene invece troppo superficiale, coinvolgendo una frazione troppo piccola di massa. La pulsazione si instaura cio`e quando le zone di ionizzazione si vengono a trovare abbastanza, ma non troppo, al di sotto dell’atmosfera stellare. I meccanismi fisici che producono e sostengono l’instabilit` a risiedono principalmente nella risposta dell’opacit`a radiativa (meccanismo K) e dell’esponente adiabatico (meccanismo Γ) a fluttuazioni delle condizioni locali. Poich`e il meccanismo della pulsazione `e in ogni caso sotto il controllo della gravit`a, `e infine facile prevedere che all’aumentare della gravit`a debbano diminuire i periodi. Possiamo trasferire questa constatazione in termini di parametri stellari ricordando che R ∝ L/T4e e quindi, a parit`a di massa, aumentando L o diminuendo Te diminuisce la gravit`a. Ne concludiamo, ancor prima di un qualunque calcolo dettagliato, che ci attendiamo P ↑

quando

M ↓ L ↑ Te ↓

I dati in Fig. 10.2 rendono spontaneamente ragione per lo scenario osservativo in precedenza delineato. Si vede infatti come nel caso di popolazioni giovani, trascurando la rapida fase di attraversamento del diagramma al termine della combustione centrale di H, la strip possa essere popolata solo da quelle stelle sufficientemente massicce il cui ”loop” in fase di combustione centrale di He penetri nella strip. Nelle popolazioni pi` u antiche, quali quelle degli ammassi globulari, tali strutture vengono ovviamente a mancare, mentre la strip di instabilit`a pu`o essere popolata sola da strutture di Ramo Orizzontale, a molto minore luminosit`a. E’ immediato identificare i due casi con le classi, rispettivamente, di Cefeidi e RR Lyrae, comprendendo nel contempo che la differenza tra le due classi discende dalla diversa et`a e non dalla diversa composizione chimica. E comprendendo anche che il minor periodo delle RR Lyrae discende essenzialmente dalla maggior gravit`a superficiale.

10.3. RR Lyrae La Fig. 10.3 mostra la curva di luce nella banda V della variabile RR Lyrae, prototipo della omonima classe, il cui periodo P risulta P = 0.56683735d Si noti che l’estrema precisione con cui `e noto il periodo, inferiore al centesimo di secondo, `e conseguenza di osservazioni ripetute ad intervalli di tempo molto maggiori del periodo stesso. Nell’occasione notiamo come i periodi delle variabili rappresentino una grandezza astrofisica non solo misurabile con precisione sconosciuta a tutte le altre grandezze sinora incontrate nella problematica stellare, ma che anche non dipende n´e dalla distanza n´e da eventuali arrossamenti degli oggetti. Un dato sperimentale quindi di agevole misura ed estrema affidabilit`a che si inserisce in un quadro osservativo per molti versi affetto da molte pi` u incertezze. Un ulteriore parametro caratterizzante la pulsazione `e fornito dall’ampiezza della curva di luce, intesa come differenza delle magnitudini al massimo e al minimo della curva stessa. Poich`e alla variazione di luminosit` a corrispondono anche variazioni di temperatura efficace, l’ampiezza dipende dalla banda di osservazione e, tipicamente, risulta massima nella banda B che, per tale motivo, `e la pi` u utilizzata sia per la ricerca di variabili che per definirne

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Fig. 10.3. Curva di luce nella banda V della variabile RR Lyrae.

Fig. 10.4. Pannello superiore: Diagramma di Bayley per un campione di RR Lyrae nell’Ammasso Globulare NGC5904=M5. Pannello inferiore: La collocazione nel diagramma CM del campione di cui al pannello superiore.

l’ampiezza. In qualunque banda, l’ampiezza della curva di luce `e peraltro, anch’essa, indipendente da distanza ed arrossamento, cos`i che ogni variabile osservata fornisce due parametri esenti da incertezze sperimentali. Le RR Lyrae sono tipiche variabili di Popolazione II e, in quanto tali, presenti sia come stelle sparse nell’alone galattico sia concentrate in alcuni Ammassi Globulari. Le RR Lyrae degli Ammassi Globulari sono state storicamente e restano tuttora di estrema importanza: si `e in presenza di campioni ricchi anche di qualche centinaio di variabili, tutte alla stessa distanza, tutte con la stessa et` a e tutte provenienti da stelle con la medesima composizione chimica. Campioni quindi ottimali per indagare le propriet`a intrinseche della variabilit`a e il loro collegamento con i parametri evolutivi. Una prima ed important propriet` a di tali variabili emerge mappando in un piano (Diagramma di Bayley) i due parametri pulsazionali periodo e ampiezza. Come mostrato nell’esempio riportato nel pannello superiore di Fig. 10.4, i pulsatori si dispongono in due

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Fig. 10.5. Topologia della striscia teorica di instabilit` a per stelle povere di metalli e massa 0.75 M . Sono indicate le tre zone discusse nel testo e i vari limiti di instabilit` a: FBE (Fundamental Blue Edge), FRE (Fundamental Red Edge), FOBE (First Overtone Blue Edge), FORE (First Overtone Red Edge).

gruppi ben distinti: un gruppo (RR di tipo ab = RRab) a maggiori periodi e ampiezze varie, decrescenti col periodo, e un gruppo (RRc) con piccole ampiezze e corti periodi. Il diagramma CM riportato nel pannello inferiore della stessa figura mostra come i pulsatori di tipo ”ab” o ”c” si dispongano rispettivamente alle minori o alle maggiori temperature efficaci. Semplici considerazioni di ordine fisico hanno da molto tempo suggerito che una tale dicotomia delle propriet` a pulsazionali sia una manifestazione di diversi ”modi” della pulsazione, nel modo fondamentale le RRab e nel primo sopratono le RRc. Tale previsione `e risultata pienamente confermata daile moderne valutazioni teoriche che mostrano come nella strip di instabilit`a si distinguano tre regioni con diverse caratterisiche pulsazionali: alle maggiori temperature efficaci una zona FO (= First Overtone) ove `e instabile solo il primo sopratono, alle minori temperature una zona F (=Fundamental) ove le stelle possono pulsare solo nel modo fondamentale e una zona intermedia (zona OR) dove sono instabili tutti e due i modi e le stelle possono pulsare indifferentemente pulsare nel fondamentale o nel primo sopratono. La Fig. 10.5 riporta la topologia della striscia teorica di instabilit`a per stelle povere di metalli e massa 0.75 M . La precisa collocazione dei bordi delle zone di instabilit`a dipende infatti dalla massa stellare e dalla composizione chimica degli inviluppi. Aggiungiamo che lo sviluppo della convezione giuoca un ruolo determinante nell’inibire la pulsazione alle minori temperature efficaci. Non sorprendentemente, l’esatta collocazione del FRE viene anche a dipendere dalle assunzioni sulla mixing length. La teoria fornisce inoltre precise predizioni sui periodi. Per il modo fondamentale risulta logPF = 11.242 + 0.841 logL − 0.679 logM − 3.410 logTe + 0.007 logZ dove L e M sono in unit` a solari e il periodo P `e in giorni. Per il primo sopratono vale una formula analoga, che con ottima approssimaziome pu`o essere ridotta alla relazione logPF O = logF − 0.13 cio`e il primo sopratono si colloca a periodi pari a circa il 74% dei corripondenti periodi fondamentali. Queste relazioni consentono di associare ad ogni isocrona, eventualmente popolata tramite procedure di ammasso sintetico, una puntuale predizione della presenza di variabili

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Fig. 10.6. La strip di instabilit ` a nel piano logP, Mv. Le frecce sull’ascissa indicano un intervallo di periodi osservato e le linee a tratti mostrano il metodo per ricavare la magnitudine assoluta dei pulsatori.

RR Lyrae e dei loro periodi. Si aprono cos`ı inumerevoli canali di indagine che consentono di utilizzare le propriet` a osservative di questi pulsatori come elemento a conferma o integrazione delle indagini puramente evolutive. Senza entrare in una casistica talvolta complessa e delicata, notiamo qui soltanto che per ogni assunta composizione chimica, le teorie evolutive forniscono una precisa predizione per la luminosit`a del Ramo Orizzontale e per le masse che popolano la strip di instabili`a. Ne segue anche una precisa predizione sui periodi delle RR Lyrae e, in particolare, sui periodi minimi e massimi come realizzati rispettivamente al bordo blu e al bordo rosso della strip. Il confronto con le osservazioni consente quindi di validare lo scenario evolutivo o, eventualmente, di acquisire informazioni sulle necessarie modifiche. Cos`ı, ad esempio, un quadro teorico che fornisse Rami Orizzontali troppo luminosi verrebbe rivelato da periodi minimo/massimo pi` u lunghi di quelli osservati. La Fig. 10.6 mostra una utile forma applicativa di tale metodo. Riandando alla Fig. 10.5 `e facile verificare che per ogni assunta luminosit`a restano determinati i periodi ai due limiti dalla strip, lungo cio`e il FOBE e il FRE. Ci`o consente di mappare la striscia di instabilit` a in un piano logP, log L o anche logP, Mv. Come esemplificato in Fig. 10.6, ove si possa trascurare la dispersione in luminosit`a dei pulsatori, ad ogni osservato intervallo di periodi corrisponde un ed un sol valore della magnitudine assoluta V, da cui la luminosit `a del Ramo e il modulo di distanza dell’Ammasso. Aggiungiamo che, a livello operativo, molte procedure di indagine risultano semplificate dall’utile artifizio di introdurre i periodi fondamentalizzati. Di fatto l’analisi dei dati osservativi viene esguita trasformano gli osservati periodi delle RRc nei corrispondenti periodi fondamentali tramite la precedente relazione, ricavando il periodo che quelle stelle mostrerebbero se pulsassero nel fondamentale. Si evitano cos`i le complicazioni presentate dalla presenza dei due modi di pulsazione ottenendo un campione sperimentale legato da una univoca relazione ai parametri evolutivi. Altro artifizio talora utilizzato `e quello dei periodi ridotti, ottenuti riducendo i periodi osservati ad una comune luminosit`a tramite l’utilizzo della relazione dei periodi trasportata nel piano osservativo per ottenere logP in funzione, ad esempio, di V, B-V e massa del pulsatore. E’ facile infine prevedere, come di fatto si verifica, che in alcuni Ammassi Globulari debbano esistere anche variabili a periodi nettamente pi` u lunghi di quelli tipici delle RR Lyrae. Stelle di Ramo Orizzontale che originano da collocazioni di ZAHB a temperatura efficace maggiore di quella della strip (quindi stelle di Ramo Orizzontale con masse minori di quelle delle RR Lyrae) al termine della combustione centrale di He attraverseranno il diagramma per raggiungere le loro collocazione di AGB, attraversando quindi la strip di

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Fig. 10.7. Diagramma teorico logP, Mv per quattro valori della massa (5, 7, 9 e 11 M ) e per le tre composizioni chimiche indicate.

instabilit`a a luminosit` a sensibilmente maggiori di quelle del Ramo. Avendo anche massa minore pulseranno con periodi notevolment pi` u lumghi di quelli tipici delle RR. Queste (rare) variabili sono sovente indicate il letteratura come Cefeidi di Popolazione II, nomenclatura che trae origine dai lunghi periodi ma che risulta peraltro ingannevole perch`e il comportamento e le caratteristiche di tali variabili sono ben lontani da quelli delle cefeidi classiche che discuteremo nel seguito. Basti qui osservare che in queste variabili luminose di Pop.II le strutture menomassicce sono anche le pi` u luminose (cfr., ad esempio, Fig. 7.12), mentre il contrario avviene nelle Cefeidi classiche. Per tale motivo `e stata recentemente proposta la denominazione di ”Cefeidi di Ramo Orizzontale” (HB Cepheids).

10.4. Cefeidi classiche Lo studio delle Cefeidi classiche ha avuto grande importanza a partire dal lontano 1912, quando miss Henrietta Leavitt, studiando ad Harward le Cefeidi nella Piccola Nube di Magellano (quindi oggetti tutti alla stessa distanza) scopr`ı l’esistenza di una relazione periodo-luminosit`a. Con l’attuale senno del poi, l’esistenza di una tale relazione non stupisce: basta riandare alla Fig. 10.2 per prevedere che se osserviamo un campo celeste con popolazioni stellari di varia et` a la strip risulter` a popolata da una sequenza di strutture di varia luminosit`a, tanto pi` u luminose quanto pi` u giovani e quindi pi` u massicce. Poich`e in termini di gravit`a la variazione di luminosit` a predomina sulla variazione di massa, ci attendiamo che Cefeidi pi` u luminose abbiano periodi pi` u lumghi, come di fatto osservato. Questo richiamo storico ci aiuta a comprendere le diverse filosofie che sovraintendono alle indagini su RR Lyrae o Cefeidi. Per loro natura, le RR Lyrae sono stelle di luminosit`a, et`a e massa pressoch`e costanti, con distribuzione di periodi largamente regolata dalle differenze di temperatura attraverso la strip. L’indagine si rivolge principalmente ai ricchi campioni di variabili degli Ammassi Globulari, in larga parte al fine di determinare la magnitudine dei Rami Orizzontali e i moduli di distanza dei cluster. Al contrario, i campioni di Cefeidi in cluster sono in generale molto scarsi, e l’indagime si rivolge a campi con popolazioni di et`a, massa e luminosit‘a variabili, al fine essenzialmente di calibrare una relazione periodo-luminosit`a che consenta di usare le Cefeidi, molto pi` u luminose delle RR Lyrae, come ”candele standard” per calibrare la distanza di galassie anche lontane, ricavando la magnitudine assoluta dagli osservati periodi.

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Fig. 10.8. Strip di instabilit` a nel piano logP, Mv per Z=0.004 confrontata con la collocazione di un campione di Cefeidi della Piccola Nube di Magellano (Small Magellanic Cloud= SMC). I quadrati pieni riportano la collocazione dei corrspondenti modelli teroco do Fig. 10.7

Per indagare il previsto comportamento delle Cefeidi dovremo ricavare dalle teorie evolutive la relazione massa-luminosit` a per le stelle che in fase di combustione centrale di elio penetrano nella strip di instabilit` a. Essendo le Cefeidi stelle massicce e, quindi, relativamente giovani, per la Galassia potremo orientativamente assumere una metallicit`a solare, Z∼0.02. Ma la problematica delle Cefeidi si estende spontaneamente al di l`a della nostra Galassia, e l’evidenza osservativa indica peraltro che le Cefeidi della Grande Nube di Magellano hanno, almeno in media, metallicit` a minori, Z∼0.008, e ancora minori (Z∼0.004) quelle della Piccola Nube. Sar`a quindi necessario esplorare l’influenza della metallicit`a sul comportamento di tali variabili. Possiamo peraltro operare subito una importante previsione. Le teorie evolutive ci indicano che l’estensione dei loop che caratterizzano la combustione centrale di elio aumenta al diminuire della metallicit` a. Ci si deve quindi attendere che al diminuire di Z entrino nella strip stelle progressivamente sempre meno massicce e, conseguentemente, meno luminose. Da qui la previsione che popolazioni giovani ma povere di metalli dovrebbero essere segnalate dall’esistenza di Cefeidi con periodi anormalmente brevi. Tale previsione `e di fatto puntualmente verificata non solo nelle Nubi di Magellano ma anche in alcune galassie nane del Gruppo Locale. In letteratura queste Cefeidi a corto periodo e povere di metalli sono state per lungo tempo indicate come Cefeidi Anomale, nomenclatura che peraltro risente della mancata comprensione della naturale estensione del fenomeno Cefeidi alle basse metallicit`a. La Fig.10.7 riporta i risultati di una esplorazione teorica della variabilit`a di strutture massicce di 5, 7, 8 e 11 M per le tre indicate assunzioni sulla composizione chimica originaria delle strutture medesime. Sulla falsariga di procedure che abbiamo gi`a discusso, tale indagine `e stata eseguita, per ogni assunto valore della massa stellare, esplorando il diagramma HR al variare della temperatura efficace e al livello di luminosit`a che compete alla fase di combustione di elio delle singole masse. Dai risultati di tale esplorazione si ricava infine il diagramma logP, logL e da questo diagrammi logP,magnitudini quale quello riportato in figure. Dai dati nella figura si ricavano alcune interessanti evidenze. Innanzitutto, come atteso, per ogni assunta composizione chimica l’esistenza di una striscia di instabilit`a nel diagramma HR si traduce necessariamente in una corripondente striscia di instabilit`a nel diagramma logP,Mv. Tale striscia, non marcata in figura, si ricava facilmente collegando tra loro i periodi minimo e i periodi massimi della pulsazione per le varie masse ad ogni fissata composizione chimica. La Fig. 10.8 riporta ad esempio la strip di instabilit`a per il caso Z=0.004. Come mostrato nella stessa figura, il best fitting con i dati osservativi si ottiene richiedendo le variabili all’interno della strip teorica, ricavandone cos`ı un modulo di distanza.

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Fig. 10.9. Il campione di Cafeidi della Grande Nube di Magellano raccolto dall’esperimento OGLE.

Contrariamente a quanto talora ritenuto, non esiste quindi una relazione periodoluminosit` a (PL) ma esistono solo relazioni periodo-luminosit`a- temperatura assieme alle conseguenti periodo-luminosit` a-colore (PLC). Si potr`a al pi` u parlare di una relazione periodoluminosit`a media, quale quella rappresentata dalle curve teoriche riportate nella precedente Fig. 10.7. Relazione peraltro non priva di rischi, applicabile solo quando si abbia la garanzia che il campione osservativo sia non solo abbondante, ma anche uniformemente distribuito a ricoprire l’intera strip. Le predizioni teoriche indicano che la collocazione della strip dovrebbe dipendere leggermente dalla metallicit` a, spostandosi verso il rosso all’aumentare di questa. Ne segue lo shif di periodi evidente in Fig. 10.7. Ne segue che a parit`a di periodo Cefeidi pi` u metalliche dovrebbero avere luminosit` a medie minori. Questa appare come una ferma predizione teorica, anche se i riscontri sperimentali sono ancora dibattuti. Anche le relazioni tra periodo e parametri strutturali dipendono leggermente dalla metallicit`a. Nel caso Z=0.008 (LMC) si ha ad esempio logPF = 10.557 + 0.932 logL − 0.795 logM − 3.279logT e che in realt`a non si discosta molto da quanto avevamo a suo tempo trovato per le RR Lyrae. Anche nella strip delle Cefeidi si hanno le tre zone FO, OR e F, con i pulsatori nella prima armonica che hanno periodi pi` u corti del rispettivo fondamentali di ∆logP ∼ 0.14-0.15. Come per le RR Lyrae, la dipendenza dal colore diminuisce notevolmente utilizzando sia magnitudini infrarosse che gli indici ”reddening free” di Wesenheit. La Fig. 10.9 mostra ad esempio il bel campione di circa 1500 Cefeidi nella LMC ricavato dall’esperimento OGLE (Optical Gravitational Lensing Experiment). L’utilizzazione dell’indice di Wesenheit W(V,I) ha non solo eliminato la dispersione osservativa legata agli arrossamenti differenziali, ma ha anche fortemente ridotto la dipendenza dal colore, portando in bella evidenza le due sequenze dei pulsatori fondamentali e nella prima armonica. Si noti tra l’altro come i dati in questa figura si accordino almeno quaitativamente con le previsioni teoriche di Fig. 10.7, secondo le quali l’instabilit`a FO dovrebbe essere presente solo alle minori luminosit`a (cio`e nelle masse minori). Il collegamento tra propriet` a pulsazionali e strutture evolutive stabilito dalla relazione dei periodi `e suscettibile di innumerevolie svariate applicazioni. Qui vogliamo solo come esempio notare che se di una Cefeide si conosce la distanza, misurarne luminosit`a e temperatura significa ricavarne la massa. Le pulsazioni danno quindi accesso a tale elusivo parametro

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Fig. 10.10. A destra: Best fit della curva di luce di U Comae per gli indicati parametri strutturali. A sinistra: variazione della curva di luce teorica per incrementi della temperatura effica di 50 K

fondamentale, risultando di vitale importanza in problemi evolutivi quali l’efficienza della perdita di massa e/o l’efficienza di meccanismi di overshooting invasivo.

10.5. Validazione della teoria. Progressione di Hertzsprung. Lo scenario teorico sin qui esaminato fa essenzialmente uso della valutazione dei periodi e della definizione dei bordi dell’instabilit` a pulsazionale. I moderni modelli pulsazionali non lineari e con adeguato trattamento temporale del’accoppiamento tra la pulsazione e la convezione superadiabatica offrono peraltro una informazione molto pi` u dettagliata, essendo, in linea di principio, in grado di seguire l’andamento temporale della struttura lungo tutto il ciclo pulsazionale, fornendo previsioni dettagliate su rilevanti osservabili quali le curve di luce e quelle di velocit` a. Tali previsioni, al di l` a della quantificazione in termini di periodo e ampiezza della pulsazione, prese nella loro interezza offrono un formidabile strumento per indagare l’adeguatezza dello scenario teorico adottato. Si deve infatti richiedere che lo scenario teorico appaia in grado di riprodurre l’evoluzione temporale della curva di luce per ragionevoli condizioni sui parametri strutturali. L’approccio a tale forma di validazione pu` o seguire varie traiettorie di indagine. La Fig. 10.10 riporta ad esempio nel pannello di sinistra la curva di luce di una RRc di campo, U Comae, di metallicit` a intermedia e con periodo P=0.29? d. Trattandosi di una stella di HB possiamo ragionevolmente assumere una massa nell’intervallo M∼0.6-0.8 M . Assunto un valore della massa, per ogni assunto valore della luminosit`a esiste uno e un sol valore di temperatura efficace che soddisfi la fondamentale condizione di riprodurre il periodo osservato. Occorre dunque verificare se tra queste ∞1 coppie logL, logTe ne esista almeno una in grado di riprodurre la curva di luce sperimentale. Ove non si trovi una soluzione soddisfacente occorrer`a modificare entro limiti ragionevoli le condizioni sulla massa ed esplorare le nuove ∞1 coppie logL, logTe. L’insuccesso finale di tale procedura fornirebbe la prova dell’inadeguatezza del quadro teorico adottato. Il successo, purtroppo, non `e prova assoluta di adeguatezza, ma pu`o essere riguardato come un confortante supporto alla teoria, rappresentando in ogni caso una forma di validazione che dovrebbe affiancare ogni valutazione teorica. La stesso pannello della Fig. 10.10 mostra come un ragionevole accordo tra teoria e osservazione venga raggiunto quando si ponga M= 0.6 M , logL= 1.607 logTe= 3.851 , parametri che appaiono in generale accordo con le previsioni delle teorie evolutive. Il pannello di destra della stessa figura mostra la grande sensibilit`a delle curve di luce ai parametri di struttura, riportando i risultati di simulazioni teoriche per il modello M= 0.6 M al variare della temperatura in intervalli di soli 50 K. Si noti la contemporanea variazione di luminosit`a, imposta dalla condizione di mantenere il periodo al valora assegnato. Analoghe forme di validazione possono essere applicate al caso delle Cefeidi. Il pannello di sinistra della Fig. 10.11 mostra al riguardo

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Fig. 10.11. Best fit teorico delle due Cefeidi nella Grande Nube di Magellano, come ottenuto per gli indicati parametri strutturali.

la curva di luce di una Cefeide della Grande Nube di Magellano. Il caso delle Cefeidi `e peraltro diverso da quello delle RRLyrae, richiedendo procedure leggermente modificate. Ricordiamo infatti come lo scenario pulsazionale per le Cefeidi richieda che si fornisca per le strutture una relazione massa-luminosit` a. Per ogni prefissata luminosit`a si ha cos`i una massa e quindi anche una e una sola temperatura per ogni prefissato periodo. La semplificazione `e peraltro puramente apparente: se si applica alle giganti in combustione di He la relazione massa luminosit`a in assenza di perdite di massa, le curve di luce teoriche differiscono dalla osservata per ogni assunto valore della luminosit`a. Come mostrato nello stesso pannello si trova invece che l’accordo pu` o essere raggiunto, quando si modifichi la relazione massaluminosit`a imponendo che a fissata luminosit` a la massa sia minore della massa originale o, il che `e equivalente, che una prefissata massa della gigante si trovi a luminosit`a pi` u alte di quelle previste dall’evoluzione a massa costante. Il parametro libero di partenza non `e pi` u la massa, come nel caso dele RR Lyrae, ma la relazione massa luminosit` a. Ed il risultato evidenzia la potenza dell’approccio pulsazionale che pone inequivocabilmente in luce fenomeni dei quali avevamo evidenze indirette, ma che rimanevano mal riconoscibili nel cammino evolutivo delle strutture. La relazione massaluminosit`a richiesta dalle curve di luce `e infatti l’attesa conseguenza dei fenomeni di perdita di massa, cui si possono eventualmente aggiungere effetti di overshooting invasivo. Nel caso in esame la validazione pu` o essere ulteriormente perfezionata osservando che le Cefeidi della Grande Nube sono tutte alla stessa distanza, e quindi se lo scenario teorico `e affidabile dovr`a essere in grado di riprodurre anche altri pulsatori sotto la condizione di un medesimo modulo di distanza e quindi di luminosit`a che stanno tra loro nel rapporto desumibile dalle osservate differenze di magnitudine. Il successo di tale procedura `e mostrato nel pannello di destra della Fig. 10.11, a ulteriore conforto delle attuali possibilit`a operative della teoria dei pulsatori radiali. Va peraltro avvisato che le procedure contemplano anche una calibrazione della mixing length, dal cui valore dipende non tanto la forma ma l’ampiezza della curva di luce. Le due curve di luce riportate nella Fig. 10.11 consentono infine di illustrare una caratteritica osservativa che prende il nome di Progressione di Hertzsprung. Come indicato nella figura, tale progressione consiste nella apparizione di un ”bump” che si sposta regolarmente lungo la curva di luce al variare del periodo. L’origine di tale bump `e stata oggetto di molte e contrastanti discussioni. Qui ci interessa solo di segnalare che presenza e collocazione del bump emergono spontaneamente da appropriati calcoli pulsazionali. Per completezza, notiamo peraltro che, per motivi ancora ignoti, la teoria ha difficolt`a a riprodurre la curva di luce delle RRab in prossimit`a del FRE.

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Fig. 10.12. Curve di luce nella bande U, B, V della variabile RR Lyrae. In basso ´e mostrato l’andamento temporale dell’indice di colore B-V.

Approfondimenti A10.1. Il giorno giuliano Nelle indagini sulla variabilit` a stellare, il dato osservativo di base `e ovviamente fornito dalla acquisizione e registrazione dell’evoluzione temporale della luminosit` a delle singole strutture. Per poter collegare tra loro osservazioni di un oggetto fatte in diversi osservatori anche a notevole distanza di tempo `e necessario peraltro disporre di una scala dei tempi universale. cui riferire le varie osservazioni. A tal fine viene utilizzata una scala di giorni e frazioni di girono, intendendo come giorno il tempo trascorso tra due successivi passaggi del Sole al meridiano di Greenwhich. Un Julian Day inizia dunque al mezzogiorno di Greenwich e termina al successivo mezzogiorno. Tale scala dei tempi non contempla anni, ma solo una sequenza di giorni con le loro frazioni. Il termine di ”Giorno Giuliano” prende origine dalla definizione del punto zero della scala, che assumendo un calendario giuliano - viene fissato al 1 Gennaio del 4713 a. C. Si noti che questo `e solo un artifizio per fissare un determinato giorno prima del presente, e nulla ha a che vedere n´e con il percorso annuale del Sole n´e tantomeno con il ciclo delle stagioni. Per determinare un giorno giuliano non occorre peraltro risalire al punto zero, ma basta conoscere il J.D. di una qualunque data prossima al presente. Cos`i, ad esempio, al mezzogiorno di Greenwich del 31 Dicembre 2000 corriponde 31.12.2000 → 2451910.00 J.D.

A10.2. Curve di luce e curve di velocit` a. La Fig. 10.12 riporta le curve di luce sperimentali per la variabile RR Lyrae nelle bande U, B e V di Johnson. E’ facile riconoscere come l’ampiezza della curva di luce dipenda dala banda, raggiungendo

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Fig. 10.13. Curva di luce e andamento delle velocit` a radiali tipiche di pulsatori radiali, quali RR Lyrae e Cefeidi. un massimo per la bamda B. La ragione di tale comportamento `e subito compresa quando si esamini l’andamento temporale dell’indice di colore B-V. Si vede come al minimo in luminosit` a corrisponda un massimo del colore (B-V∼0.4) e quindi un minimo della temoperatura. Analogamente, al massimo di luminosit` a corrisponde il minimo di B-V e un massimo della temperatura. Alla variazione della luminosit` a bolometrica (= totale) della struttura si sovrappone quindi un effetto di temperatura che aggiunge radiazione nella banda B in prossimit` a del massimo e toglie radiazione, spostandola a maggiori lunghezze d’onda, in prossimit` a del minimo. Se ne conclude che l’aumento di emissivit` a collegato all’aumento di temperatura efficace giuca un ruolo importante nella curva di luce. Ulteriori ed importanti informazioni sono fornite dalla curva di velocit` a radiale, ricavabile dall’effetto Doppler sulle righe spettrali. La Fig. 10.13 mostra come tutti i pulsatori radiali presentino curve di velocit` a caratteristicamente speculari rispetto alla curva di luce. Le velocit` a misurate V risultano dalla combinazione della velocit` a della pulsazione Vr alla velocit` a radiale V0 intrinseca all’oggetto pulsante. Quest’ultima `e peraltro ricavabile dalla ovvia condizione che l’integrale rispetto al tempo della velocit` a radiale propria della pulsazione , che rappresenta in ogni istante lo spazio in km di cui si `e spostata la fotosfera stellare, debba annullarsi quando esteso ad un ciclo

Z (V − V0 ) dt = 0 Si ottiene cos`ı agevolmente il valore di V0 , rappresentato in Fig. 10.13 dalla linea che divide la curva delle velocit` a in due porzioni che, per definizione, sottendono eguali aree. Dai dati nella stessa figura `e ora facile verificare che il massimo di luminosit` a cade in un punto intermedio della fase di pansione, in corrispondenza del massimo in temperatura efficace. Il successivo aumento di raggio `e controbilanciato dalla diminuzione di temperatura che porta, in totale, ad una diminuzione della lumonosit` a. Quando si voglia risalire dalle velocit` a radiali osservate alla cinematica della pulsazione occorre tener presente che il dato osservativo fa riferimento alla media sull’emisfero stellare visibile della componente della velocit` a nella direzione dell’osservatore, componente che `e in genere minore della reale velocit` a radiale, ed uguale ad essa solo nel punto centrale dell’emisfero osservato. La misura sperimentale fornisce quindi un valore inferiore del vero valore della velocit` a radiale. Con semplice calcolo si trova per altro che sussiste la proporzionalit` a Vr (misurata) = 2/3Vr (reale) Dalle curve di luce nelle varie bande si ottengono infine le corrispondenti magnitudini medie come integrali sull’intero ciclo del segnale raccolto. Al riguardo sono peraltro utilizzate in letteratura due alternative opzioni, consistenti in

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Fig. 10.14. Confronto tra colori B-V in magnitudine o in intensit` a per un campione di RR Lyrae nell’Ammasso Globulare M5, senza o con correzione al colore statico. 1. Medie in magnitudine: (U), (B), (V) ... → ricavate per ogni banda come media temporale delle magnitudini istantanee 2. Medie in intensit` a: hUi, hBi, hVi ... → ricavate dal logaritmo della media temporale dei flussi energetici. Poich`e la media del logaritmo non `e il logaritmo della media le due grandezza differiscono, anche se non di molto, tra loro. Dalle singole magnitudini medie si ricavano cos`ı i colori medi in magnitudine (B-V) o in intensit` a hB-Vi. In letteratura `e stato a lungo dibattuto il problema di quale tra questi due colori approssimi meglio il colore della struttura statica. In realt` a `e stato infine mostrato che ambedue questi colori osservativi tendono a discostarsi dal colore della struttura statica quanto pi` u la curva di luce risulta asimmetrica. Esistono al riguardo opportune correzioni che consentono di risalire dai colori medi osservati ai colori statici, passaggio obbligato quando si vogliano inserire i risultati osservativi per le variabili nel contesto delle teorie evolutive e dei loro colori statici. La Fig. 10.14 mostra come esempio il confronto tra colori B-V in magnitudine o in intensit` a per un campione di RR Lyrae nell’Ammasso Globulare M5, senza o con correzione per colore statico.

A10.3. Relazioni Periodo-Mk. Indici di Wesenheit L’osservazione infrarossa di campioni di RR Lyrae in Ammassi Globulari galattici ha portato alla luce una serie di interessanti caratteristiche che hanno stimolato un crescente uso delle magnitudini nella banda K, che copre l’intervallo di lunghezze d’onda 2.0-2.5 micron. Nel seguito faremo riferimento a tale problematica, avvisando peraltro che quanto andremo esponendo trova del tutto analoghe applicazioni anche nel campo delle variabili Cefeidi. Una prima caratteristica `e che in tale banda l’ampiezza delle curve di luce risulta estremamente ridotta, e le magnitudini medie corrispondono senza ambiguit` a alle magnitudini statiche. Molto pi` u importante `e l’osservazione che in tale banda si manifesta una relazione Periodo-Magnitudine che, osservativamente, pare non dipendere dalla metallicit` a degli ammassi e, quindi, dal preciso livello di luminosit` a del Ramo Orizzontale. La teoria predice infatti che tale luminosit` a debba leggermente decrescere al crescere della metallicit` a, diminuendo di circa ∆logL ∼ 0.07 (∆ M ∼ 0.17 mag) passando da Z=0.0001 a Z=0.001. L’indagine teorica d` a ragione di un tale accadimento, fornendone una semplice chiave interpretativa. Per illustrare il differente comportamento nelle varie bande la Fig. 10.15 riporta nel pannello superiore l’attesa distribuzione di periodi per strutture distribuite lungo la strip a tre assunte diversi livelli di uminosit` a. Come atteso, le magnitudini visuali seguono i livelli di luminosit` a, con solo leggere variazioni collegate anche a piccole variazioni della correzione bolometrica e alla differenza tra magnitudini medie e magnitudini statiche. Questo perch`e la quantit` a di radiazione raccolta dalla

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Fig. 10.15. Pnnello superiore: La distribuzine nel piano logP-Mv di strutture di HB distribuite lungo la strip ai tre indicati livelli di luminosit` a . Pannello inferiore: Come nel pannello superiore ma per il piano logP-Mk

banda V dipende solo debolmente dalla temperatura delle strutture, temperatura che -per ogni prefissato livello di luminosit` a- va decrescendo dai periodi minori (FOBE) verso il massimo periodo, raggiunto al FRE. Il pannello inferiore della stessa figura mostra la distribuzione delle medesime strutture nella banda K. Facendo riferimento ad un qualunque livello di luminosit` a, ora si nota che al diminuire della temperatura aumenta sensibilmente la radiazione raccolta dalla banda K e. conseguentemente, per ogni prefissato livello di luminosit` a si genera una relazione Periodo-Magnitudine K. Inoltre, l’esistenza di una tale relazione fa anche s´ı che all’aumentare del livello di luminosit` a, il corrispondente aumento del periodo riporta il punto del piano logP-Mk verso la relazione caratteristica delle minori luminosit` a. La conseguenza `e che nel piano logP-Mv, un’incertezza ± 0.1 in logL, per ogni prefissato periodo si traduce in un incertezza di ∼ 0.25 mag in Mv. Dal pannello inferiore della Fig. 10.15 si ricava che nel piano logP-Mk la stessa incertezza sul livello di luminosit` a bolometrica delle strutture pulsanti si tradice in un incertezza di∼0.07 mag su Mk. Se ne trae che anche accettando un’incertezza ∆logL = 0.1 sulle valutazioni teoriche della luminosit` a dei Rami Orizzontali, quindi ben superiore a quanto oggi si ritenga (∆ logL∼ ± 0.03), l’osservazione in banda K delle RR Lyrae consente di fissare il modulo di distanza di un ammasso entro ± 0.07 mag. Per ci` o che riguarda l’effetto di metallicit` a `e immediato ricavare che una variazione di ∆logL = 0.07 si traduce nel piano logP-Mk in una dispersione delle magnitudini K pari a ±0.025 mag, confortando di fatto la pratica indipendenza dalla metallicit` a. L’adozione della banda K agisce quindi nel senso di rompere la degenerazione tra periodi e magnitudini, associando ad ogni periodo solo un ristretto intervallo di magnitudini. Analogo effetto ha, peraltro per tutt’altri motivi, l’adozione degli indici ”reddening free” definiti a suo tempo da Wesenheit come utili parametri osservativi indipendenti dall’arrossamento interstellare. Ricordando, ad esempio, che per l’estinzione nella banda V sussiste la relazione AV = 3.10E(B − V ) si riconosce che per la funzione di Wesenheit W (B, V ) = V − 3.1(B − V ) = V0 − 3.10(B − V )0

17 E’ infatti V − 3.10(B − V ) = V0 + Av − 3.10(B − V )0 − 3.10E(B − V ) da cui si ha subito il precedente enunciato. Indici di Wesenheit possono essere definiti per qualunque coppia di bande fotometriche e, ad esempio, per le bande V,I si ha W (V, I) = V − 2.54E(V − I) Questa volta la degenerazione viene rotta perch`e per una popolazione di pulsatori che riempia la strip a V∼ cost W decresce al crescere di (B-V) dal FOBE al FRE, creando una relazione logP(W). Si hanno in definitva risultati del tutto analoghi a quelli discussi per la banda K, con quindi analoghe applicazioni osservative.

A10.4. La dicotomia di Oosterhoff Non tutti gli Ammassi Globulari galattici hanno RR Lyrae. La maggioranza anzi ne ha pochissime o nessuna, per avere i Rami Orizzontali o troppo blu o troppo rossi. Resta per` o un congruo numero di ammassi, circa una trentina, che contengono almeno 20 RR Lyrae, con NGC5272=M3 nel quale ne sono state scoperte oltre 200. Nel lontano 1939 l’astronomo olandese Pieter Oosterhoof port` o alla luce una curiosa caratteristica delle popolazioni di RR Lyrae di tali ammassi: valutando il periodo medio dei pulsatori fondamentali (RRab) si trova che tali periodi si separano in due gruppi (Gruppi di Oosterhoff), con periodi medi rispettivamente inferiori o superiori di 0.6 d. A tale evidenza fu dato il nome di Dicotomia di Oosterhoff. Con il tempo divenne chiaro che tale dicotomia `e correlata con la metallicit` a degli ammassi stessi: ammassi relativamente pi` u metallici (ad es. M3) hanno periodi medi delle ab pi` u corti di 0.6 d (I Gruppo di Oosterhoff) mentre gli ammassi meno metallici (ad es. M15) con periodi pi` u lunghi appartengono al II Gruppo. Attualmente le caratteristiche osservative dei due gruppi possono essere cos`ı sintetizzate: 1. Oo.I: Periodi medi minori di 0.6d, relativamente a maggiore metallicit` a con minor percentuale di primi sopratoni (RRc). 2. Oo.II: Periodi medi maggiori di 0.6d, relativamente a minore metallicit` a con maggior percentuale di primi sopratoni. Le ricerche sulle origini di una tale dicotomia sono state per lungo tempo al centro di numerose indagini. Tra le varie ipotesi avanzate se ne segnalano essenzialmente due, alternative, che possono essere cosı riassunte: 1. La dicotomia di Oosterhoff `e essenzialmente un effetto di luminosit` a: gli ammassi Oo.II hanno periodi medi pi` u lunghi semplicemente perch`e hanno stelle di HB pi` u luminose. 2. La dicotomia di Oosterhoff `e essenzialmente un effetto del popolamento della zona OR: nel gruppo Oo.I la zona OR `e popolata da pulsatori fodamentali mentre negli Oo.II da FO. Gli ammassi OO.II hanno periofi pi` u lunghi semplicemente perch`e mancano delle ab a minor periodo. La seconda ipotesi `e nota com Ipotesi dell’isteresi perch`e in genere collegata, ma non necessariamente, all’efficienza di un meccanismo di isteresi secondo il quale nella zona OR le stelle conserverebbero il tipo di pulsazione con cui vi sono entrate. Senza entrare in analisi troppo dettagliate, qui ci interessa solo mostrare come i periodi fondamentalizzati forniscano un semplice approccio per dirimere la questione. Se si fondamentalizzano i periodi delle RRc e si esegue la media dell’intero campione di RR Lyrae, nell’ipotesi di isteresi tale media deve restare costante tra i due gruppi di Oosterhoff, perch`e tutti i pulsatori sono presenti con egual peso. Al contrario, nel caso di effetto di luminosit` a il periodo medio fondamentalizzato degli Oo.II dovrebbe restare pi` u alto di quello degli Oo.I. La Fig. 10.16 riporta la situazione osservativa. Nella parte superiore del pannello di sinistra sono riportati i periodi medi della ab in funzione della metallicit` a dei cluster: si nota la chiara presenza della dicotomia di Oosterhoff che si presenta attorno ad una metallicit` a [Fe/H]∼ -1.6. Nella parte inferiore dello stesso pannello `e

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Fig. 10.16. Panello di sinistra: periodi medi delle RRab (sopra) e periodi medi fodamentalizzati (sotto) in funzione della metallicit` a dei cluster. Pannello di destra: istogramma dei periodi fondamentalizzati per gli ammassi M15 (Oo.II) e M3 (Oo.I. In nero il contributo delle RRc

riportato l’andamento dei periodi medi fondamentalizzati: la discontinuit` a scompare, confortando pienamente l’ipotesi di isteresi. Nel pannello di destra della stessa figura sono riportati gli istogrammi delle distribuzioni dei periodi fondamentalizzati nei due ammassi pi` u rappresentativi rispettivamente dei gruppi Oo.I (M3) e Oo.II (M15). Se ne trae l’evidenza di distribuzioni analoghe, ma con la trasformazione delle RRab a corto periodo presenti in M3 in corrispondenti RRc in M15.

A10.5. Coefficienti di Fourier. Ampiezze pulsazionali. L’andamento temporale del flusso energetico e delle velocit` a radiali (curve di luce e curva di velocit` a) rappresentano insieme il dato osservativo che contiene il massimo di informazioni sul fenomeno pulsazionale. Conseguentemente il pi` u esauriente approccio teorico consisterebbe, in linea di principio, nella riproduzione teorica sempre e ovunque di tali osservabili. Abbiamo visto peraltro come dalle sole curve di luce sia lecito estrarre due parametri, periodo ed ampiezza, che pur rappresentando un contenuto minimale di informazione, risultano di grande utilit` a nel discutere ed interpretare il comportamento pulsazionale delle variabili. Utilizzando ampiezza e periodo si perde naturalmente ogni informazione su una caratteristica osservativa cos`i rilevante quale `e la forma della curva di luce. Esiste peraltro in letteraura un filone di indagine che tenta di non trascurare questo elemento, parametrizzando la forma della curva di luce attraverso i coefficienti del suo sviluppo in serie di Fourier. Si `e ritenuto cos`i di poter mettere in relazione il coefficiente Φ31 , differenza di fase tra prima e terza componente, con la metallicit` a dei pulsatori. L’ipotesi, in linea di pricipio altamente suggestiva, `e peraltro ancora ampiamente dibattuta. Restando nell’ambito dei due parametri tradizionali, si noter` a come l’ampiezza abbia giuocato un ruolo importante nella classificazione delle RR Lyrae tramite il diagramma di Bayley, restando peraltro esclusa da gran parte delle elaborazioni interpretative. Ci ` o `e in gran parte dovuto al fatto che solo in tempi relativamente recenti i calcoli non lineari hanno consentito di ottenere valutazioni teoriche su tale parametro. Da tali risultati si ricava che le ampiezze assumono particolare importanza nel caso delle RR Lyrae, ove `e possibile stabilire relazioni univoche con i parametri strutturali. La Fig. 10.17 riporta un esempio delle predizioni teoriche riguardanti il diagramma di Bayley per una stella di massa M= per prefissati valori della luminosi` a L. Si riconosce come in particolare per le RRab esista, per ogni luminosit` a una relazione approssimativamente lineare Ampiezza-Periodo. A titolo di esercizio possiamo usare i dati in figura per trarne alcune interessanti deduzioni. Si pu` o ad esempio notare che per un ampiezza costante il periodo aumenta con L, risultando ∆logP∼0.08

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Fig. 10.17. Predizioni teoriche sull’ampiezza bolometrica di pulsatori RR Lyrae fondamentali (F) e primisopratoni (FO)per le indicate assunzioni sulla massa e luminosit` a. per ∆logL=0.1. La variazione di periodo `e dunque con buona approssimazione quella prodotta dalla sola variazione di luminosit` a. Basta questo per evidenziare che con altrettanto buona approssimazione, per una massa fissata, l’ampiezza deve risultare funzione della sola temperatura efficace. Poich`e questa regola conserva valore anche al variare della massa, possiamo facilmente prevedere l’effetto di una variazione di tale parametro: all’aumentare della massa la relazione AmpiezzaPeriodo deve traslare versi periodi minori, di una quantit` a che con buona approssimazione `e fornita dalla relazione che lega periodo a massa del pulsatore. Queste relazioni ci consentono di guardare al diagramma di Bayley non come a qualcosa di occasionale, ma come un diagramma in cui sono registrate massa e luminosit` a dei pulsatori, e che si viene ad aggiungere alle altre relazioni gi` a discusse per creare l’insieme delle condizioni teoriche sulle quali impostare validazioni e indagini interpretative.

A10.6. Classificazione delle variabili La classificazione delle stelle variabili ha subito nel tempo una continua evoluzione, collegata al continuo accrescersi delle evidenze osservative. Oggi si possono distinguere almeno sei categorie di variabili, ognuna con vari sottotipi di cui riportiamo alcuni esempi tra parentesi: 1. Eruttive: causate da brillamenti (flares) o eiezione di shell (T Tauri, R Coronae Borealis, S Doradus), 2. Pulsanti: con pulsazioni radiali o non radiali ( vedi infra), 3. Ruotanti: causate da spot, magnetisno, variazioni di forma (Pulsar, variabili magnetiche, binarie a riflessione) 4. Cataclismiche: esplosioni da accrescimento di materia (U Gem, AM Her, Novae) 5. Binarie ad eclisse: variabilit` a solo apparente (Algol, β Lyrae, W Ursae Majoris), 6. Variabili X: con variabilit` a dell’emissione X, (stelle di neutroni, buche nere). Qui di seguito riassumiamo e integriamo le informazioni sulle variabili pulsanti riportate nel testo, adottando le nomenclature normalmente pi` u utilizzate. 1. RRLyrae: indicate talora in passato anche com ”Cefeidi di ammasso” sono stelle di piccola massa sul Ramo Orizzontale. Appartengono quindi a popolazioni antiche e, nella Galassia, alla Pop.II, antica e povera di metalli. Periodi minori di un giorno. Luminosit` a ∼ 40-50 L , MV ∼ 0.5-0.7, leggermente dipendente dalla metallicit` a. 2. Cefeidi di Pop.II: denominazione equivoca che nasconde il fatto che si tratta di stelle blu di Ramo Orizzontale che, spesso accompagnando le RR Lyrae, attraversano la strip ad alta luminosit` a. Stelle di piccola massa, popolazioni antiche. Periodi da 1 giorno a 1 mese. Si distinguono in BL Her (P < 8 d) e W Virginis (P> 8 d) .

20 3. Cefeidi Classiche: Masse intermedie e grandi masse in fase di combustione centrale di elio. Popolazioni giovani; nella Galassia Pop.I. Luminosit` a da centinaia a migliaia di luminosit` a solari. Mv da -2 a -6.5. Periodi da 1 a 100 giorni. 4. Cefeidi Anomale: Cefeidi classiche ma di masse inferiori. Presenti solo nelle popolazioni giovani povere di metalli. Extragalattiche. A queste quattro classi gi` a dicusse, si aggiungono altre di cui ricordiamo qui le principali: 5. δ Scuti, SX Phoenicis: strutture di sequenza principale che intercettano la stessa striscia di instabilit` a di Cefeidi e RR lyrae. Hanno (di conseguenza) periodi estremamente brevi, minori o dell’ordine dell’ora. Di Pop.I (δ Scu) o Pop.II (SX Phoe). 6. Lungo Periodo o tipo ”Mira”: Giganti Rosse con periodo da 80 a 1000 giorni.Ampiezze da 2.5 a pi` u di 11 mag. 7. Semiregolari: Giganti Rosse con irregolare periodicit` a. Ampiezze sino a 3 mag e periodi da 20 giorni ad alcuni anni, 8. β Cephei: Stelle ad alta luminosit` a e alta temperatura. Periodi 0.1 -0.7 d e ampiezze 0.1 -0.3 mag. 9. RV Tauri: Supergiganti da gialle a rosse, con minimi di luce primari e secondari che si alternano. Ampiezze sino a 4 mag e periodi da 30 a 150 d. 10. ZZ Ceti: Nane Bianche con pulsazioni non radiali. Periodi minori di 30 min e ampiezze minori di 0.2 mag.

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Origine delle Figure Fig.10.1 www.aavso.org/ images/lcmira.gif Fig.10.2 Castellani V., Degl’Innocenti S., Prada Moroni P.G., Tordiglione V. 2002, MNRAS 334, 193 Fig.10.3 Castellani V. 2000, XIII Rencontre de Blois, ”Frontiers of the Universe”. Fig.10.4 Caputo F., Castellani V., Marconi M., Ripepi V. 1999, MNRAS 306, 815 Fig.10.5 Bono G., Caputo F., Marconi M. 1995, AJ 110, 2365 Fig.10.6 Caputo F. 1997, MNRAS 284, 994 Fig.10.7 Bono G., Caputo F., Castellani V., Marconi M. 1999, ApJ 512, 711 Fig.10.8 Bono G., Caputo F., Castellani V., Marconi M. 1999, ApJ 512, 711 Fig.10.9 Udalski A. et al. 1999, Acta Astronomica 49, 223 Fig.10.10 Castellani V., Degl’Innocenti S., Marconi M., 2001, Cambridge Conference ”ωCen”. Fig.10.11 Bono G., Castellani V., Marconi M. 2002, ApJ 565, L83 Fig.10.12 Hardie R.H. 1955, ApJ 122, 256 Fig.10.13 Rose W.K. 1973, Astrophysics, Holt, Rinehart & Winston Inc. Fig.10.14 Caputo F., Castellani V., Marconi M., Ripepi V. 1999, MNRAS 306, 815 Fig.10.15 Bono G., Caputo F., Castellani V., Marconi M., Storm J. 2001, MNRAS 326, 1183 Fig.10.16 Castellani M., Caputo F., Castellani V. 2003, A&A 410, 871 Fig.10.17 Bono G., Caputo F., Castellani V., Marconi M. 1997, A&AS 121, 327

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