Astrofisica Stellare: Capitolo 11

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Capitolo 11 La Nucleosintesi. 11.1. L’evoluzione nucleare. La formazione di strutture stellari `e un evento del tutto naturale che segue e segna la storia dell’intero Universo. Ogni singola stella, con tempi e modi condizionati dai parametri strutturali, `e una sorta di macchina naturale che trasforma l’idrogeno in elio e l’elio in elementi ancora pi u ` pesanti. Abbiamo pi` u volte ripercorso le motivazioni che ci inducono a ritenere che gli elementi cos`ı sintetizzati vengano riciclati nella materia interstellare, contribuendo al progressivo arricchimento di elementi pesanti nelle successive generazioni stellari. Con questo scenario in mente, possiamo ora cambiare prospettiva e spostare la nostra attenzione dalle strutture stellari ancora ”in funzione” al prodotto finale di tale funzionamento, interrogando la materia dell’Universo per vedere se resta traccia, e quale traccia resti, di tali accadimenti. Per una tale indagine il dato di partenza sperimentale `e fornito dalla distribuzione delle specie nucleari nella materia dell’Universo attuale. Tale dato `e fornito dall’analisi spettroscopica della atmosfere stellari, che sappiamo dover conservare - con minori eccezioni - la composizione chimica della materia da cui quelle stelle sono nate. Analoghe osservazioni sono ottenibili direttamente per il mezzo interstellare e, naturalmente, abbiamo a dispo-

Fig. 11.1. Curva delle abbondanze solari con indicati i relativi principali processi di nucleosintesi.

1

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Fig. 11.2. Confronto tra le abbondanze relative dei nei Raggi Cosmici (cerchi aperti) e nel Sole (cerchi pieni), normalizzate all’abbondanza di He

sizione anche il campione locale costituito dalla Terra, dai meteoriti e dai corpi del sistema solare resi accessibili dai veicoli spaziali. Il risultatp di una tale indagine `e che, tenuto conto dei processi selettivi che hannno certamente operato nella formazione dei corpi planetari, la materia dell’Universo sembra aver mantenuto nel tempo una tipica distribuzione delle varie specie nucleari. Infatti se `e pur vero che, ad esempio, nella Galassia il contenuto di elementi pesanti pu `o variare tra Pop.I e Pop.II anche di un fattore 100, la distribuzione delle abbondanze relative non si discosta sensibilmente da quella ricavata er il Sole, riportata a suo tempo in Fig. 1.5. Come mostrato in Fig.11.1, avendo in mente la storia delle reazioni nucleari nelle struttura stellare, non `e difficile riconoscere in tale distribuzione l’impronta del funzionamento della ”macchina stella”. La peculiare scarsezza degli elementi leggeri Li, Be e B, `e quanto ci si attende dalla combustione dell’idrogeno: la natura di elementi secondari nella catena pp assicura infatti che tali elementi - ove presenti - debbano ridursi ai loro infinitesimali valori di equilibrio. Le reazioni termonucleari possono quindi al pi` u distruggere il litio cosmologico (Li/H ∼ 10−10 ) emerso dalla nucleosintesi del Big Bang. La successiva serie di picchi di abbondanze che si spingono sino al grande picco del Fe portano un’indubbia testimonianza delle serie di reazioni che portano sino al Fe attraverso essenzialmente un progressiva agglutinazione di particelle α. E, infine, il picco stesso del Fe `e l’attesa conseguenza dei processi di equilibrio che sappiamo dominare le ultime fasi della vita delle grandi masse stellari. La prima porzione della curva delle abbondanze ci parla dunque senza ambiguit` a di una storia di interni stellari e dei loro successivi riciclaggi nella materia interstellare. Resta peraltro da indagare l’origine dei nuclei oltre il ferro, che non possono essere prodotti nelle reazioni termonucleari che sostengono le strutture stellari. Prima di affrontare un tale argomento notiamo qui che gli elementi leggeri Li, Be e B pongono peraltro un particolare problema. L’abbondanza di Litio nel Sole `e infatti, ad esempio, superiore a quella cosmologica misurata nelle atmosfere di stelle di Pop.II. Deve quindi essere stato efficiente un meccanismo di produzione di Li che, per quanto abbiamo detto, non pu`o risedere nelle reazioni termonucleari dalle quali tale elemento viene invece distrutto. Oggi si ritiene che tale elemento venga almeno in parte prodotto dall’interazione dei Raggi Cosmici con i nuclei di materia interstellare, attraverso processi di spallazione. Misure ef-

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Fig. 11.3. Sezione d’urto per cattura neutronica indunzione del numero atomico . E’ evidente la forte diminuzione in corrispondenza dei numeri magici. Si noti anche l’effetto pari-dispari. La sezione d’urto `e in mb (1 b= 1 barn = 10−24 cm2 ) per neutroni di 25 keV

fettuate sia da Terra che dallo spazio mostrano infatti come la Galassia sia attraversata da flussi di particelle di alta e altissima energia (sino a oltre 1020 eV), di gran lunga superiori a quanto ottenuto sinora nei pi` u potenti acceleratori di particelle. Tali particelle, in gran parte protoni, inducono reazioni di impatto con i nuclei della materia interstellare, reazioni che, a causa delle altissime energie in gioco, si traducono nella frantumazione (la ”spallazione) dei nuclei pi` u pesanti. La peculiare abbondanza di elementi leggeri nella radiazione cosmica, mostrata in Fig. 11.2, fornisce una chiara testimonianza dell’efficienza di un tale processo. Non pare peraltro che tale meccanismo possa renedere intera ragione della abbondanze osservate, talch´e si `e ipotizzato l’intervento di ulteriori meccanismi, quali reazioni indotte dai neutrini nell’esplosione di Supernovae di tipo II (infra) o l’efficienza di reazioni del tipo 3

He(α, γ)7 Be(e+ ν)7 Li

sia nei raggi cosmici stessi, come negli inviluppi convettivi delle Giganti Rosse e, in particolare, nelle periodiche esplosioni di stelle Novae.

11.2. Processi di neutronizzazione lenta (S). Le temperature di fotodisintegrazione del Fe sono le massime raggiungibili all’interno di una struttura stellare e i nuclei del picco del Fe sono di conseguenza i pi` u complessi prodotti delle reazioni termonucleari. I nuclei oltre il Fe possono quindi ben difficilmente essere prodotti da reazioni nucleari tra particelle cariche, che richiederebbero temperature ancor maggiori di quelle raggiungibili nelle stelle. Per rendere ragione della presenza in natura di tali elementi e, nel contempo, per rispettare i limiti di temperatura imposti dalle stelle dovremo considerare reazioni nucleari non regolate dalla repulsione colombiana, invocando quindi la presenza di neutroni. Vi sono peraltro in natura chiari indizi che supportano l’efficienza di processi di cattura neutronica. In Fig. 11.1 si pu` o notare come la distribuzione degli elementi ” transferrici ” sia modulata da una serie di caratteristiche ricorrenze, tra le quali la presenza dei picchi di abbondanza contrassegnati dalla lettera ”S”. Tali picchi corrispondono con precisione ai cosiddetti nuclei ”magici”, nuclei che in corrispondenza di determinati numeri ”magici” di neutroni o protoni (N= 2, 8, 20, 28, 50, 82, 126) mostrano particolari doti di stabilit`a (→ A1.8). In un modello a shell del nucleo a tali numeri corrisponderebbe il completamento di

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Fig. 11.4. Esemplificazione della tipica traiettoria dei processi S nel piano N (numero di neutroni) Z (numero di protoni). Le ”isole” sulla sinistra della valle di stabilit` a schermano i nuclei della stessa dal contributo dei processi r. I nuclei possono cos`i essere distinti in r-puri (r), S-puri (S) o do origine mista (S,r).

una shell, e la stabilit` a dei corrisponedenti nuclei sarebbe l’analogo della stabilit`a mostrata dagli atomi dei gas nobili. Come mostrato in Fig. 11.3, quel che qui ci interessa `e che a tali nuclei corrisponde un brusca diminuzione della sezione d’urto per cattura neutronica. La correlazione tra abbondanze in natura e sezioni d’urto per cattura neutronica rende plausibile la supposta efficienza di tali processi e, come vedremo, render`a ragione della anomale abbondanze dei picchi ”S”. Il neutrone `e peraltro particella instabile, che decade in un protone (pi` u e+ ν) con tempo di dimezzamento di circa 15 minuti(→ A1.10). Perch`e il processo possa essere efficiente dobbiamo quindi richiedere non solo una sorgente di neutroni, ma anche che tale sorgente sia immersa in materia sufficientemente densa perch`e i neutroni possano interagire prima di decadere. Tali condizioni sono spontaneamente realizzate ancora all’interno delle stelle, dove abbiamo visto che durante la combustione di elio diventa efficiente la produzione dei neutroni tramite la catena dell’ 14 N. Le stelle si presentano dunque spontaneamente come luoghi in cui, a fianco delle reazioni termonucleari, devono diventare efficienti processi di cattura neitronica che, pur non contribuendo all’energetica della stella, pssono portare un contributo sostanziale alla nucleosintesi degli elementi pesanti. Poich`e la considerazione o meno di tali processi non influisce sull’evoluzione delle strutture, le valutazioni dell’efficienza dei processi stessi viene sovente eseguita sulla base di una sequenza di strutture evolutive opportunamente memorizzzate. Se ne ricava l’evidenza che i neutroni prodotti dalla catena dell’ 14 N possono venir catturati da preesistenti nuclei di elementi pesanti (Nuclei ”seme”), nuclei che a seguito di una serie di tali catture neutroniche si spostano progressivamente lungo la valle di stabilit` a (→ ....) andando a formare gli elementi oltre il Ferro. Nel caso della combustione dell’H avevamo gi`a visto come una serie di catture protoniche su nuclei stabili finisca inevitabilmente col produrre elementi instabili per eccesso di protoni, nuclei che vengono richiamati sulla valle di stabilit`a da decadimenti β + . Ora una serie di catture neutroniche finisce inevitabilmente col produrre elementi instabili per eccesso di neutroni, che vengono richiamati sulla valle di stabilit`a da decadimenti β − . Poich`e i neutroni vengono prodotti su tempi scala termonucleari, il loro flusso rimane contenuto e si pu`o assumere che il processo sia ”lento” (S = Slow) nel senso che il tempo tra due

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successive catture neutroniche sia in ogni caso maggiore dei tempi di decadimento degli elementi instabili β − prodotti. Cio`e che i nuclei instabili abbiano il tempo di decadere prima di catturare un ulteriore neutrone. Nel piano N,Z ne segue la caratteristica traiettoria illustrata in Fig. 11.4, tramite la quale i nuclei seme vengono spinti lungo la valle di stabilit`a a numeri atomici A sempre pi` u alti. Notiamo peraltro subito che una traiettoria ”S” non pu`o raggiungere i nuclei stabili (le isole) separati, sia a destra come a sinistra, dalla sequenza centrale. Poich`e tali nuclei sono presenti in natura, per essi dunque dovremo investigare diversi meccanismi di produzione. Per ci`o che riguarda i processi S, motiamo che ogni nucleo lumgo la traiettoria si presenta come elemento ”secondario”, nel senso che ogni nucleo risulta prodotto da una cattura neutronica e distrutto dalla successiva cattura. Se n `e il numero di neutroni nell’unit`a di volume e V la loro velocit` a, potremo dunque scrivere per il generico nucleo di numero atomico A nell’unit`a di tempo P roduzione :

dNA = nNA−1 σA−1 V

Distruzione :

− dNA = nNA σA V

e, come ogni elemento secondario, il nucleo deve evolvere verso una situazione di equilibrio nella quale in totale dNA =0 e quindi NA−1 σA−1 = NA σA

o anche, per ogni A

NA σA = cost

Si vede subito come ad una sezione d’urto di cattura neutronica σA peculiarmente bassa, quale quella che caratterizza i nuclei magici, debba corrispondere una abbondanza NA peculiarmente elevata, dando ragione dei picchi S osservati in natura. Al limite, a sezioni d’urto nulle corrisponde una indefinita crescita di abbondanza del nucleo A. Notiamo infine come, a fianco della catena dell’14 N e al molto minor contributo proveniente da reazioni pi` u avanzate, quali 16

O +16 O →31 S + n

siano state suggerite anche altre possibili fonti di neutroni. In particolare, nel caso di rimescolamento parziale di una zona in combustione di He con strati ancora ricchi di idrogeno, i protoni si combineranno con il Carbonio, come avviene nel ciclo CNO 12 13

C + p →13 N + γ

N →13 C + e+ + ν

Una successiva cattura protonica `e per` o inibita dalla scarsit`a di protoni, e segit`a invece 13

C + α → (17 O)∗ →16 O + n

che potrebbe risultare una notevolissima fonte di neutroni da affiancare a quelli prodotti dalla catena dell’14 N .

11.3. I processi rapidi ”r” e ”p”. Abbiamo gi`a notato come i nuclei ”isola” non possano essere raggiunti dalla traiettorie S. E’ subito visto come tali nuclei richiedano l’intervento di almeno due successive catture, di neutroni o protoni, a partire da un isotopo collocato nella valle di stabilit`a. Ci`o indica come all’evoluzione nucleare debbano aver contribuito anche processi ”rapidi”, tali cio`e che il tempo tra due successive catture risulti molto minore del tempo di decadimento del primo

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Fig. 11.5. La traiettoria S (linea spezzata) e i nuclei di attesa nei processi ”r” (zone a tratti).I cerchi indicano le zone di accumulazione che decaderanno β − a formare i ”bump”. In basso a destra la tipica traiettoria di accumulazione in corrispondenza di un numero magico di neutroni.

isotopo instabile formato. Il luogo naturale per tali processi `e ovviamente l’esplosione di una Supernova. Notiamo anche che i processi S rendono ragione dei picchi S in Fig. 11.1, ma non dei ”bump” di abbondanza che precedono regolarmente i picchi stessi. Sono infatti processi rapidi ”r” di cattura neutronica che giustificano non solo l’esistenza di nuclei isola sulla destra della valle di stabilit` a, ma anche una tale caratteristica nella distribuzione delle abbondanze. Dobbiamo dunque assumere che a causa dell’improvviso e intensissimo flusso di neutroni prodotto nel collaaso di una supernova i nuclei preesistenti inizino una serie di successive catture neutroniche, spostandosi nella zona instabile β − sulla destra della valle di stabilit`a. L’allontanamento non pu` o per` o essere indefinito: all’aumentare del numero di neutroni diminuisce l’energia di legame degli stessi e la catena di catture finisce col giungere ad un punto in cui il neutrone aggiunto `e subito espulso dai fotoni del bagno termico. Il nucleo (nucleo di attesa) finisce quindi col decadere β − , passando da Z a Z+1, e pu`o ricominciare ad accogliere neutroni sino a formare nuovamente un nucleo di attesa. Le aree tratteggiate in Fig. 11.5 mostrano indicativamente le aree popolate da tali nuclei di attesa. Il flusso di neutroni `e peraltro un fenomeno molto rapido: al cessare del flusso tutti i nuclei instabili subiranno una catena di decadimenti β − sino a raggiungere una configurazione stabile. Avendo in mente tale meccanismo, in Fig. 11.4 si possono riconoscere tre tipi di nuclei 1. Le isole ricche di neutroni, che possono essere popolate solo da processi ”r” 2. I nuclei schermati da un isola ”r”, che non possono essere raggiunte dai processi rapidi e sono quindi prodotte esclusivamente dai processi ”S” 3. I nuclei r,S la cui abbondanza risulta dal contributo di ambo i processi. Si ha cos`i tutta una serie di nuclei S-puri o r-puri che portano un importante testimonianza del contributo alla nucleosintesi dei vari processi. L’esistenza di numeri magici di neutroni introduce infine in tale quadro generale un ulteriore elemento: nuclei instabili con numero magico di neutroni hanno sezioni d’urto di cattuta molto basse. Quindi sono nuclei di attesa che decadono β − . Il prodotto del dacadimento non `e pi` u magico, ma pu` o prendere un solo neutrone che lo fa ritornare magico. Come

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Fig. 11.6. Abbondanza in numero degli elementi pesanti formati ripettivamente da processi S, r o p, normalizzata a 106 atomi di Si. Si notino i picchi e ”bump” nelle abbondanze S e r.

schematizzato nell’angolo a destra della Fig. 11.5, in corrispondenza di un numero magico Nm i nuclei sono costretti ad ”arrampicarsi” lungo la line N=Nm , popolando cos`1 la regione al di sotto del picco ”S” che corrisponde allo stesso valore N=Nm . Come schematizzato in figura, all’esaurirsi del flusso dei neutroni tali nuclei decaderanno β − , andando a popolare la valle di stabilit`a giusto sulla sinistra del picco ”S”, dando quindi ragione dei ”bump” che in natura accompagnano quei picchi. A tale scenario occorre infine aggiungere l’evidenza portata dai nuclei isola ricchi di protoni, sulla sinistra della valle, il cui popolamento richiede multiple catture protoniche. Come mostrato in Fig. 11.6 l’abbondanza in natura di tali nuclei p-puri mostra che tali processi ”p” hanno avuto un’efficienza circa un ordine di grandezza inferiore a quella dei processi ”s” o ”r”. L’intervento dei processi ”p” si limita quindi essenzialmente al popolamento delle relative isole, con marginali contributi alla produzione degli altri nuclei. In conclusione potremo continuare a distinguere i nuclei oltre il ferro in s-puri, r-puri, rs, cui dovremo aggiungere i p-puri delle isole. L’origine dei processi ”p” va ricercata ancora una volta nell’esplosione delle Supernovae, nel corso della quale la materia viene improvvisamente portata a temperature che posono superare i 109 K. A tali temperature `e efficiente la produzione di coppie γ → e+ + e− che pu`o essere seguita da e+ + (Z.A) → (Z + 1, A) + ν cui si aggiungono le catture protoniche dirette (Z, A) + p → (Z + 1, A + 1) + γ Possiamo concludere osservando come la distribuzione delle specie nucleari nell’Universo, considerata per molto tempo una realt` a insondabile, porti al contrario una chiara testimonianza della storia dell’Universo nel suo insieme, a partire dal Big Bang e attraverso la nascita e la morte delle strutture stellari.

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Fig. 11.7. Curva di luce della variabile cataclismica SS Cyg, del tipo U Geminorum.

11.4. Fenomeni esplosivi: Variabili cataclismiche, Novae e Supernovae. L’evoluzione di strutture stellari isolate, cui abbiamo sinora rivolto la nostra attenzione, non rende completamente conto della fenomenologia riguardante le strutture stellari. Abbiamo ad esempio gi`a ricordato l’evidenza osservativa di varibili cataclismiche. Tali sono ad esempio le variabili tipo U Geminorum: stelle che aumentano improvvisamente la loro luminosit`a tipicamente di 3-4 magnitudini e permangono a tale luminosit`a per alcuni giorni per tornare poi ad uno stato quiescente e ripetere il fenomeno a distanze temporali irregolari di settimane o mesi. Fenomeno quindi ben diverso dalle pulsazioniche abbiamo gi`a discusso, e che non trova spiegazione all’interno dello scenario evolutivo delle strutture stellari isolate. Il nostro interesse per tali fenomeni riveste un duplice aspetto. Innanzitutto, a fronte dell’evidenza di fenomeni esplosivi, vogliamo verificare se e quanto tali fenomeni possono ulteriormente contribuire alla nucleosintesi di elementi pesanti. In secondo luogo, `e anche tempo di affrontare un problema centrale dell’evoluzione chimica dell’Universo: quanta della materia sintetizzata all’interno delle strutture stellari viene resitituita al mezzo interstellare, e come? L’osservazione mostra che le variabili cataclismiche sono in ogni caso membri di sistemi binari stretti. Il meccanismo all’origine di tale fenomenologia `e infatti collegato alla binariet`a ed `e ormai sufficientemente ben conosciuto. Si `e in ogni caso in presenza di sistemi formati da una Gigante Rossa e una Nana Bianca. In tali condizioni, se il sistema `e sufficientemente stretto (→ ...), pu`o innescarsi uno scambio di materia tra le due componenti, con gli strati atmosferici della gigante che cadono sulla Nana Bianca formando in genere attorno alla Nana un disco di accrescimento che deposita lentamente materia sulla nana stessa. La materia cos`i stratificata alla superficie della nana `e ricca di idrogeno, e quando tale inviluppo raggiunge una massa critica si innescano esplosivamente le reazioni di combustione dell’idrogeno, dando luogo all’improvviso aumento di luminosit`a. L’esplosione riprocessa almeno in parte il materiale sedimentato, la stella ritorna nel suo stato quiescente e riprende il processo di accrescimento che porter` a a tempo debito ad una successiva esplosione. Il processo `e ripetitivo ma non strettamente periodico. Per queste varibili vale, almeno qualitativamente, la legge di Kukarkin e Parenago, secondo la quale il tempo che intercorre tra due esplosioni `e tanto pi` u lungo quanto maggiore `e l’aumento di luminosit`a. Un meccanismo del tutto analogo `e all’origine di eventi ben pi` u violenti, quali sono le esplosioni delle stelle Novae. Lo splendore di tali stelle sale improvvisamente, in unodue giorni, di almeno 10-11 magnitudini, per declinare poi lentamente (da qualche mese a qualche anno) verso lo splendore originale. Poich`e nel suo stato quiescente la stella `e raramente visibile ad occhi nudo, tali eventi furono in antico considerati come apparizione di nuove stelle, da cui il nome. L’energia sviluppata nell’evento `e dell’ordine di 1045 -1046 erg, pari quindi a quella emessa dal Sole in circa 100 000 anni. Si stima che in una galassia come la nostra ogni anno si ”accendano” circa 30 Novae. Nelle esplosioni vengono espulsi circa 10−4 M di materiale elaborato nuclearmente dall’esplosione, fonte non trascurabile di arricchimento per la materia interstellare.

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Fig. 11.8. Curva di luce composita ottenuta sovrapponendo i dati osservativi di 38 SN di tipo I.

Confuse per molto tempo con le Novae, le Supernovae (SN) rappresentano infine un evento esplosivo di gran lunga pi` u energetico. Al picco di luminosit`a una SN pu`o aumentare di 20 magnitudini (100 milioni di volte) e raggiungere 1010 luminosit`a solari, emettendo quindi come un intera galassia. Che si sia di fronte ad un fenomeno distruttivo `e rivelato , oltre cha dall’enorme quantit` a di energia emessa, dalle osservate velocit`a di espansione che si aggirano attorno ai 104 km/sec. L’esplosione di SN non `e peraltro un fenomeno inatteso. L’evoluzione stellare ci ha infatti insegnato che le grandi masse devono terminare la loro vita con un collasso gravitazionale in cui vengono messe in gioco energie tipiche delle SN. E in questo stesso capitolo abbiamo trovato chiare tracce di un tale accadimento nella produzione degli isotopi ”r” e ”p”. Il quadro osservativo appare perlatro pi` u complesso, e dovr`a essere discusso con qualche dettaglio. Le caratteristiche della curva di luce hanno innanzitutto consentito di evidenziare due distinte classi di SN, Come mostrato in Fig. 11.8 le Supernovae di Tipo I (SNI) hanno curve di luce ben caratteristiche e praticamente sovrapponibili, con una prima rapida discesa di circa tre magnitudini seguita da un pi` u lento e regolare declino. Le SNII hanno invece un continuo regolare declino (SNII lineari) in alcuni casi interrotto da un periodo in cui la luminosit`a cessa quasi di decrescere (SNII plateau). A tali differenze nella curva di luce si accomunano anche caratteristiche spettroscopiche: nelle SNI sono assenti le righe dell’idrogeno, che appaiono invece nelle SNII. Le SNII hanno le caratteristiche attese per il collasso finale di grandi masse. Esse appaiono infatti solo in galassie a spirale e solo in regioni ove sono evidenti fenomeni di recente formazione stellare (Regioni H II). Quindi le SNII sono quelle predette dall’evoluzione stellare, tipiche di una Pop. I. Ci si attende che nell’esplosione tali N eiettino nello spazio gli starti che contornano il nucleo centrale neutronizzato, lasciando come ”remnant” o una stella di neutroni o una buca nera. Le SNI sono invece oggetti inattesi, che vediamo esplodere anche in galassie ellittiche, quindi in popolazioni antiche ove stanno ancora evolvendo solo piccole masse. Un pi` u accurato studio di questo tipo di SN ha infine portata ad una ulteriore suddivisione delle SNI in tipo ”a” (SNIa) nel cui spettro `e presente la riga di assorbimento del SiII a λ=6150 A, e SNIb ove tale riga `e assente. La tabella 1 riassume la corrispondente situazione osservativa: Cosa pu`o produrre l’inattesa evidenza di SN in una popolazione antica? La domanda trova una naturale risposta quando si mediti sul fatto che le Nane Bianche di CO sono dei potenziali detonatori se e quando qualche meccanismo le porti a superare la massa di Chandrasekhar. E il meccanismo di trasferimento di massa che vediamo all’opera nelle binarie cataclismiche e nelle Novae si adegua perfettamente a tale compito. Per completezza aggiungiamo che a fianco di tale meccanismo `e stata anche proposta la coalescenza di due Nane Bianchie mutuamente orbitanti, a causa della perdita di energia per emissione

10 Tab. 1. Balmer

SiII

Spirali

Ellittiche

Pop.

Si No No

– Si No

Si Si Si

No Si No

I II I

SNII SNIa SNIb

di onde gravitazionali. Resta in ogni caso l’identificazione delle SNIa come prodotte dalla detonazione-deflagrazione del C, con incinerimento e totale dispersione della struttura. Non sorprendentemente, si trova che la curva di luce delle SNIa `e cos`ı regolare perch`e governata, in sequenza temporale, dall’energia emessa dai due decadimenti 56

56

N i →56 Co + e+ + ν

(τ = 6d)

Co →56 F e + e+ + ν

(τ = 77d)

Valutazioni quantitative mostrano come in queste esplosioni vengano sintetizzate da 0.5 a 1 M dell’isotopo multiplo di α 56 28 N i. La buona analogia tra le curve di luce delle SNIa e SNIb indica infine che anche le SNIb devono corrispondere all’incenerimento termonucleare di una nucleo degenere. L’assenza di tali SN nelle galssie ellittiche indica peraltro che in questo caso tale incinerimento deve trarre origine dal nucleo degenere di una stella di massa intermedia. Anche in quest’ultimo caso la binariet`a dovrebbe giocare un ruolo importante, producendo stelle con nuclei degeneri privi del loro inviluppo, osservate nella Galassia, note come oggetti di Wolf Rayet. Non `e peraltro escluso che almeno nelle primissime generazioni stellari deficienti in metalli, a causa del combinato aumento di MU P con la possibile diminuzione della perdita di massa (diminuita opacit` a radiativa), il limite di Chandrasekhar possa essere stato raggiunto anche da stelle isolate di massa intermedia.

11.5. Modelli di evoluzione galattica L’esplosione di SN `e il meccanismo fondamentale che contribuisce nel tempo all’arricchimento del gas interstellare con gli elementi pesanti sintetizzati dall’evoluzione delle strutture stellari prima e infine dalla nucleosintesi esplosiva. La valutazione della quantit`a di tali elementi al variare della massa e della composizione chimica originaria delle strutture stesse `e l’ingrediente fondamentale per indagare l’evoluzione temporale della composizione nucleare della materia nella nostra come nelle altre galassie. Senza entrare in dettagli, ricordiamo qui a titolo orientativo che le SNIa dovrebbero portare il maggior contributo alla produzione di Fe, mentre le SNII arricchirebbero la materia interstellare essenzialmente di O. Abbiamo gi`a visto come a questo si aggiungano anche altri meccanismi, quale la materia elaborata ed eiettata nell’esplosione delle Novae. Aggiungiamo ora che un ulteriore e non tracurabile contributo `e fornito dalla perdita di massa da parte di stelle di massa piccola o intermedia in fase in fase di AGB. Stante il loro grande numero, `e stato infatti valutato che le strutture di AGB restituiscono al mezzo interstellare pi` u materia di quanto non facciano in un egual periodo di tempo le SN. La valutazione di un tale contributo dovrebbe risultare quindi importante quando si consideri l’evoluzione temporale di elementi quali C, N, O o elementi ”s”. Nella sua accezione pi` u generale un modello di evoluzione chimica della Galassia, o di una qualsiasi galassia, fa uso di tali informazioni integrandole con opportune assunzioni

11

Fig. 11.9. Produzione di elementi (in frazioni di massa stellare) per stelle di varie masse. La regione a tratti indica la porzione di struttura ”congelata” sotto forma di stelle degeneri o collassate.

sull’andamento temporale della formazione stellare per ricavare l’evoluzione temporale della composizione chimica del gas interstellare e, da qui, due diversi osservabili: 1. la composizione chimica del gas interstellare al tempo presente, in generale con particolare riguardo ad uno o pi` u selezionati componenti. 2. la distribuzione delle relative composizioni chimiche ”fossili” testimoniata nelle atmosfere delle stelle della varie generazioni che sono sopravvissute sino al tempo presente. Tali modelli galatici costituiscono un affascinante e complesso capitolo della moderna astrofisica che qui non pu` o essere compiutamente sviluppato. Ci limiteremo ad illustrare un modello estremamente semplificato che, nonostante la sua palese inadeguatezza, pu`o essere riguardato come un’utile ”approssimazione zero” della problematica, suscettibile di progressivi perfezionamenti e in grado di porre in luce il ruolo di alcuni ingredienti. Come esemplificato in Fig. 11.9 assumeremo di conoscere la produzione di elementi pesanti al variare della massa stellare, assumendo nel contempo che tale produzione non dipenda dalla composizione originaria delle strutture. Per ogni assunta generazione stellare e per ogni assunta IMF (Initial Mass Function) resta evidentemente fissato il rapporto (”yield”) tra la massa che viene restituita al mezzo interstellare sotto forma di elementi pesanti e la massa che viene ”congelata” in stelle a lunga sopravvivenza che resteranno a testimoniare nel tempo la presenza di quella generazione. Assumeremo anche che la IMF rimanga la stessa per tutte le generazioni stellari. Se assumiamo anche che la massa andata in stelle rimanga sempre trascurabile rispetto alla massa del gas interstellare , la metallicit` a del gas rester`a in ogni tempo proporzionale alla massa di elementi pesanti in esso riversati. Ma, nelle condizioni poste, sar`a allora anche proporzionale alla alla massa delle stelle a lunga vita che si sono formate prima che il gas raggiungesse una prefissata metallicit` a. Da queste semplici considerazioni traiamo dunque che per ogni prefissata metallicit` a deve esistere una relazione di diretta proporzionalit`a tra la metallicit`a e il numero di stelle con metallicit` a minore di quella prefissata.Tale risultato viene sovebte rappresentato tramite l’andamento della variabile cumulativa S/S0 che rappresenta per ogni campione di S0 stelle, la frazione di stelle che abbiano metallicit`a inferiore ad ogni assunto Z (Fig. 11.10). In forma quantitativa siano M la massa del gas, - dM la massa di gas andata in stelle in un episodio di formazione stellare, dMS la massa di stelle ancora sopravviventi e dMZ la corrispondente massa restituita al gas sotto forma di elementi pesanti. Nelle assunzioni del modello semplice, a riciclaggio istantaneo e consumo trascurabile di gas

12

Fig. 11.10. Distribuzione cumulativa S/S0 con abbondanza metallica non superiore a Z, al variare di Z/Z0 . La linea a tratti riporta le previsioni del modello semplice con consumo trascurabile di gas. Le curve continue simili previsioni ma al variare della frazione di massa del gas rimasta all’epoca Z0 .

dMZ ∝ dMS ∝ dM e potremo porre dMZ = k dM, da cui il contributo a Z di ogni generazione stellare dM dMZ = −k M M da cui, partendo dal gas cosmologico privo di metalli dZ =

Z = lnM0 − lnM



M − M0 M0

per M → M0

dove M0 `e la massa iniziale di gas. Nel caso di consumo trascurabile di gas la metallicit`a risulta dunque, come atteso, proporzionale alla massa di gas andat in stelle e quindi anche al numero di stelle ancora sopravviventi. Si noti che tale derivazione assume implicitamente un continuo e regolare processo di formazione stellare. Nelle assunzioni fatte, ad un ”burst” di formazione stellare corrisponderebbe un salto ∆Z con la contemporanea assenza di stelle in quell’intervallo di metallicit`a. Il modello semplice che abbiamo descritto rappresenta un punto di riferimento che pu`o essere perfezionato introducendo assunzioni adeguate, quale ad esempio l’intervento ritardato delle SNIa. Modelli cos`i perfezionati sono chiamati a rendere ragione dellae abbondanze chimiche osservate nella nostra come nelle altre galassie. Tra i vari problemi ricordiamo qui solamente l’interessante evidenza secondo la quale nella nostra Galassia le stelle povere di metalli mostrano di avere una chiara sovrabbondanza di elementi multipli α (C, O, Mg, Si, Ca, Ti) rispetto al Fe. E’ stato suggerito che ci` o sia la conseguenza del ritardato intervento delle SNIa, produttrici di Fe, rispetto alla rapida sintesi di elementi α nelle SNII.

11.6. Conclusione Da quanto siamo andati sviluppando nel corso di queste pagine, si evince quanto l’evoluzione stellare fornisca una fondamentale chiave interpretativa dell’Universo, quale oggi lo sperimentiamo. Attraverso tale chiave ci `e oggi possibile delineare lo sfondo sul quale inquadrare la storia dell’Universo, aprendo la strada ad un campo di ricerche che atende ancora di essere completato e perfezionato, ma le cui linee generali appaiono ormai saldamente acquisite.

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In tale ricostruzione della storia dell’Universo `e gi`a stato compiuto un passo fondamentale: oggi sappiamo di poter leggere questa storia non solo nelle stelle ma anche nei nuclei della materia che ci circonda. Apprendendo dalla materia ci`o che nel passato deve essere avvenuto ma anche comprendendo che la materia non pu`o essere diversa da quello che `e in base a quello che sappiamo dover essere stata la storia delle stella e dell’Universo.

14

Approfondimenti A11.1. Reazioni nucleari interstiziali A fianco delle combustioni termonucleari che intervengono nel bilancio energetico della struttura, la produzione di neutroni tramite la catena dell’14 N `e l’esempio pi` u rilevante di reazioni che interessano esclusivamente l’evoluzione nucleare della materia stellare. Occorre peraltro avvisare che, quando si sia interessati al dettaglio dell’evoluzione di alcune specie isotopiche, diventano importanti anche reazioni energeticamente e quantitativamente ancor meno rilevanti, che peraltro possono lentamente giungere a modificare sensibilmente l’abbondanza di alcuni isotopi. Reazioni che per la loro scarsissima rilevanza abbiamo qui definito come ”interstixiali”. Come esempio di tali reazioni prenderemo la catena CNO che, per quanto riguarda il fabbisogno energetico, si chiudeva con la reazione (18 F )∗ →14 N + α In realta, anche se molto raramente, il nucleo di fondamentale,

18

F nello stato eccitato pu` o decadere nel suo stato

(18 F )∗ →18 F + γ dando inizio alla complessa catena catture protoniche riportata qui di seguito 18 18 19

F →18 N + +e+ + ν

O + p →15 N + α ⇑ ma anche 16

O + α ⇑ ma anche

20

N e + p →21 N a + γ

F +p→

21

N e + p →22 N a + γ

N a →22 N e + e+ + ν

22 23

N e + p →23 N a + γ

N a + p →20 N + α ⇑ ma anche 24 25

26

26

Al →

25

Mg + p →

M g + e + ν ma anche 24

Al + p →

Mg + γ

Al + γ

M g + p →26 Al + γ

+

M g + p →27 Al + γ 27

24

Al →25 M g + e+ + ν

25 26

F +γ

Ne + γ

N a →21 N e + e+ + ν

21 22

19 20

26 27

Al + p →27 Si + γ

Si →27 Al + e+ + ν

M g + α ⇑ ma anche

28

Si + γ

Come indicato dal simbolo ”⇑”, che segnala il ritorno ad un nucleo precedente, in queta catena esistono motli cicli. Ciononostante un piccolo numero di nuclei, inessenziale sotto ogni altro ripetto, pu` o filtrare sino ai nuclei pi` u massicci, alterandone le abbondanze. Si ritiene che tali catture protoniche siano all’origine di una serie di anomalie di composizione che riguardano elementi quali Ne, Na, Mg, Al nelle atmosfere di Giganti Rosse, anomalie da mettersi in relazione anche con l’efficienza di rimescolamenti profondi in grado di portare in superficie i prodotti di combustione elaborati nei pressi della shell di idrogeno.

15

Fig. 11.11. Andamento delle linee equipotenziali nel piano dell’orbita di una binaria. Si `e assunto µ=0.4

A11.2. Sistemi binari stretti. Buona parte delle stelle del disco galattico risultano essere gravitazionalmente legate in sistemi binari o multipli.Se le componenti di tali sistemi sono sufficientemente distanti, il legame gravitazionale influenza solo le orbite degli oggetti, e l’evoluzione delle singole strutture non si discosta da quanto valutato per stelle isolate. In sistemi binari stretti possono invece presentarsi peculiari modalit` a evolutive, che condizionano pesantemente il destiono delle strutture. Tali peculiarit` a trovano la loro origine nelle caratteristiche del campo gravitazionale e dalla forza centrifuga di rotazione cui in un sistemi binario 1,2 sottoposta la materia. Ponendosi in un sistema solidale con il baricentro, se trascuriamo la distorsione delle due strutture dovute alle mutue attrazioni (approssimazione di Roche) il potenziale gravitazionale `e semplicemente fornito da GM1 GM2 + ) r1 r2 dove M1,2 e r1,2 sono ripettivamente le masse e le distanze di un generico punto materiale dai due oggetti. Poniamoci ora in un sistema corotante, assumendo il piano dell’orbita come piano x,y e assumendo anche come origine il centro della stella 1 e asse x la congiungente i centri delle due stelle. In tale sistema le coordinate (x, y, z) del baricentro risulteranno (µa, 0, 0), dove ”a” e la distanza (separazione) tra le due componenti e Φ = −(

µ=

M2 M1 + M2

e il potenziale nell’approssimazione di Roche si esplicita nella forma Φ = −(

GM1 GM2 1 + ) − ω 2 [(x − µa)2 + y 2 ] 2 (x2 + y 2 + z 2 )1/2 ((x − a)2 + y 2 + z 2 )1/2

dove ω = 2π/P e l’ultimo termine rappresenta il potenziale della forza centrifuga. La Fig. 11.11 mostra il complesso andamento delle linee equipotenziali Φ = cost nel piano dell’orbita nel caso µ=0.4. In prossimit` a delle stelle predomina il campo dei singoli oggetti mentre, al crecere della distanza, si vanno intrecciando i contributi della gravitazione e della rotazione. A distanze ancora maggiori prevarr` a il contributo della rotazione. I cinque punti marcati in figura come Li rappresentano i cinque punti lagrangiani di equilibro, sluzioni particolare del problema dei tre corpi. Una particella di massa trascurabile ripetto alle altre due componenti, posta in uno dei punti percorrer` a orbite circolari mantenendo immutata la sua posizione ripetto alle due componenti principali. I punti L4 e L5 , posti ai vertici di un triangolo equilatero con base ”a”, sono di equilibrio stabile se M2  M1 . Una tale configurazione `e realizzata in natura dal sistema Sole-Give- Asteroidi ”Troiani”. Alla superficie equipotenziale passante per L1 si da il nome di Lobi di Roche. La Fig. 11.12 mostra l’andamento del potenziale lungo la linea congiungente il centro delle due stelle, illustrando

16

Fig. 11.12. Andamento del potenziale lungo la linea congiungente i centri delle due stelle. La zona ombreggiata indica la regione occupata dalla materia stellare. E’ mostrato come al crescere del raggio di una stella si inneschi un meccanismo di trasferimento di massa attraverso il punto lagrangiano L1 . nel contempo il principio fondamentale dei meccanismi di trasferimento di massa che regolano l’evoluzione delle stelle nei sistemi bibnari stretti. Sinch`e le dimensioni delle singole stelle restano inferiori a quelle dei rispettivi lobi di Roche . l’evoluzione delle strutture segue il cammino delle strutture isolate. L’evoluzione guida peraltro inevitabilmente le strutture verso la fase di Gigante Rossa, con aumenti notevoli di raggio. Se il sistema `esufficientemente stretto (lobi di Roche di dimensioni ridotte) la componente primaria, la pi` u massiccia, evolvendo per prima finir` a col riempire il proprio lobo. Ogni tentativo di aumentare ulteriormente il proprio raggio avr` a solo l’effetto di reasferire materia sul proprio compagno, ”scortecciando” la struttura originale. E’ di grande importanza notare che il trasferimento di massa `e fenomeno reazionato positivamente. Ricordando infatti come la traccia di Hayashi si sposti verso il rosso al diminuire della massa, ricaviamo che una gigante, a fissata luminosi` a, ha raggi tanto maggiori quamto minore `e la massa. Per il solo fatto di perdere massa la gigante tende quindi ad espandere ulteriormente il proprio raggio e, come conseguenza, il trasferimento avviene con tempi scala termodinamici anzich`e nucleari. Pu` o cos`ı avvenire che l’originale secondaria finisca col diventare la stella pi` u massiccia del sistema, accelerando di conseguenza la sua evoluzione. Al progredire delle fasi evolutive, ogniqualvolta una delle componenti riempi il proprio lobo di Roche si innescheranno fasi di trasferimento di massa. La Fig. 11.12 mostra le tre caratteristiche configurazioni di fatto riscontrate nei sistemi binari 1. Sistemi staccati (detached): le due componenti sono ognuna all’interno del proprio lobo di Roche. Ogni strutura segue una propria caratteristica evoluzione. 2. Sistemi semi-staccati (semi-detached): una delle due componenti riempie il proprio lobo, traferendo materia sull’altra. 3. Sistemi a contatto (common envelope): tutte e due le componenti riempiono contemporaneamente il proprio lobo. La Fig. 11.12 mostra come in simili condizioni il sistema possa perdere massa verso l’esterno attraverso il punto lagrangiano L2 . Nei sistemi semi-distaccati o a contatto almeno una delle strutture risulta sensibilmente deformata rispetto alla forma sferica, deformazione che si riflette in precise caratteristiche della curva di luce. A titolo esemplificativo, la Fig. 11.13 mostra la struttura del sistema a contatto AW UMa come derivabile proprio dall’analisi della complessa curca di luce.

17

Fig. 11.13. La forma della binaria a contatto AW UMa come ricavata della analisi della curva di luce osservata.

Fig. 11.14. Esempio di evoluzione di un sistema binario di piccole masse.

Il calcolo dell’evoluzione delle stelle in un sistema binario pu` o essere agevolmente eseguito con solo alcune semplici implementazioni dei normali codici evolutivi per tener conto della presenza dei lobi di Roche, del conseguente fenomeno di travaso delle masse e delle conseguenti variazioni nei parametri orbitali. I risultatisono peraltro molto variegati a fronte dei molti parametri che caratterizzano tali sistemi, quali non solo le masse iniziali delle due componenti ma anche la loro originale separazione. La Fig. 11.14 riporta a titolo di esempio, la storia evolutiva di un sistema con masse iniziali M1 =1.0 e M2 =2.0 M . Nella fase (a) ambedue le componenti hanno raggiunto la loro sequenza principale. La primaria M1 evolve per prima sino a riempire il proprio lobo di Roche (fase (b)), iniziando il trasferimento di massa. Nella fase (c) l’originaria secondaria `e ormai diventata la componente pi` u massiccia e il sistema `e formato da una gigante di 0.8 M che orbita attorno ad una massiccia stella di MS di 2.2 M . Nella fase (d) la gigante ha completato la sua evoluzione e il sistema `e composto da una Nana Bianca e la massicia stella di MS. L’evoluzione di quest’ultima porta ora al trasferimento di massa sulla Nana, producendo prima esplosioni di Nova (fase (e)) e, infine, una SN di tipoI (fase (f)).

A11.3. Le Supernovae storiche Il termine ”Supernova” fu coniato nel 1933 da Baade e Zwicky quando divenne chiara l’enorme distanza delle galassie esterne e, di conseguenza, l’enorme energia sviluppata dalle stelle ”nuove” che in tali galassie erano apparse. Si comprese allora che a tale categoria dovevano essere ascritti le stelle nuove osservate nel 1572 da Tycho Brahe e nel 1604 da Keplero e Galileo. Quest’ultima `e risultata l’ultima SN osservata nella nostra Galassia, e le indagini su taii oggetti nell’ambito galattico si sono forzatamente basate sulle registrazioni recuperate in antichi testi. La Tabella 2 riporta un sommario delle SN galattiche per le quali si `e recuperata una qualche documentazione. La Tabella mostra quanto sia risultata preziosa la pi` u che millenaria sorveglianza dei cieli da parte degli astronomi cinesi. L’interpretazione di quelle antiche cronache non `e peraltro n´e facile

18 Tab. 2. Le Supernovae galattiche registrate storicamente. Per ogni evento viene data la costellazione in cui `e apparso, seguita da stime -quando disponibili- della magnitudine al massimo e dal tipo di evenyo. Costellazione SN185 SN393 SN1006 SN1054 SN1181 SN1572 SN1604 SN1667

Centaurus Scorpius Lupus Taurus Cassiopeia Cassiopeia Ophiuchus Cassiopeia

mag

Tipo

Testi

? ? -9 -5 -1 -4 -3 ?

? ? ? II II, Ia Ia II? ?

Cina Cina Cina, Giappone, Corea, Europa Cina, Giappone Cina, Giappone Cina, Corea, Europa Cina, Corea, Europa Nessuna registrazione

Fig. 11.15. Proiezione sul piano galattico della collocazione delle Supernovae registrate storicamente .

n´e immediata, dovendosi cercare di selezionare le SN da una vasta categoria di ”stelle visitatrici” nella quale i cinesi registravano indifferentenmente comete, novae e supernovae. Si vede anche come l’Europa immersa nelle tenebre del Medio Evo abbia ignorato ben due SN su tre. In particolare la SN1054 doveva probabilmente essere visibile di giorno ad occhio nudo, ma non interess` o un mondo che aveva abbandonato l’antica astronomia per l’astrologia. Ricordiamo qui che a questa SN corrispone oggi il ”remnant” noto come Crab Nebula al cui interno `e stata osservata una stelle di neutroni ruotante (Pulsar). Straordinario il caso di SN1667 che, inspiegabilmente, non `e stata osservata da nessuno, ma la cui esplosione sembra indiscutibilmente testimoniata dalle caratteristiche del remnant rivelato in tempi relativamente recenti. In base agli eventi storicamente accertati la frequenza di Supernovae galattiche risulterebbe quindi dell’ordine di 1 ogni 250 anni. Lo studio delle SN si basa peraltro sulla ricerca di tali eventi nelle galassie esterne, ricerca che nel solo anno 2003 ha prodotto oltre 300 eventi. Dalle stime eseguite sulla base si tali ricchi campioni si ricava che in una galassia quale la nostra ci si attende 1 evento ogni 80-100 anni, con una frequenza quindi circa tre volte superiore a quella osservata. La discrepanza risulta peraltro facimente spiegabile : come mostrato in Fig. 11.15le SN storiche si collocano tutte attorno al Sole, in un settore angolare di circa 60 gradi centrato sul centro galattico. Se ne trae l’evidenza che in una larga porzione della Galassia le SN sono passate e passano in realt` a inosservate a causa del forte assorbimento della bamda ottica prodotto dalla materia interstellare.

19

Fig. 11.16. Pannello di sinistra: abbondanza di 7 Li nelle atmosfere di stelle di MS negli ammassi delle Iadi e Pleiadi. La freccia indica il ”dip” presente nelle Iadi, attribuito ad ulteriori effetti di diffusione microscopica e levitazione radiativa. Pannello di destra: la distribuzione di abbondanze nelle Pleiadi confrontata con le previsioni teoriche per due diverse assunzioni sul valore della lunghezza di rimescolamento.

E’ stato stimato che la magnitudine visuale pi` u probabile per la prossima SN galattica sar` a attorno a magnitudine 21. Questo non `e il caso quando si osservi in bande infrarosse: ad esempio in banda K una qualunque SN galattica risulterebbe con alta probabilit` a tra gli oggetti pi` u luminosi del cielo. Un controllo dela Galassia in banda IR sarebbe quindi altamente augurabile, in sinergia con i rivelatori che hanno mostrato di essere in grado di rivelare i neutrini emessi da una SN extragalattica, quale fu la 1986a nella Grande Nube di Magellano. Nell’occasione ricordiamo infine come le supernovae vengano ”targate” in ordine di scoperta, con il numero dell’anno seguito da a, b...z per le prime 26, poi da aa, ab... az, ba, bb etc. La 1986a fu quindi la prima SN osservata nell’anno 1986.

A11.4. Misure di Li atmosferico Le misure di abbondanza di 7 Li nelle atmosfere delle stelle povere di metalli `e un dato di grande rilevanza per le indagini sulla produzione di elementi nel quadro della cosmologia del Big Bang. Il problema di quanto il Li rivelato in quelle stelle possa essere assunto direttamente come valore cosmologico `e stato a lungo dibattuto. Misure del rapporto 6 Li/7 Li sembrerebbero confortare una tale ipotesi, sembrando escludere l’efficienza di meccanismi di distruzione che avrebbero maggiormente operato sul pi` u fragile nuicleo di 6 Li. Qui vogliamo per` o interessarci dell’evidenza osservativa per la quale in tutte le stelle il Li atmosferico scompare progressivamenteal al diminuire delle temperature efficaci al di sotto di un determinato valore. La Fig. 11.16 riporta a titolo di esempio nel pannello di sinistra le abbondanze atmosferiche misurate lungo la sequenza principale degli ammassi delle Iadi e Pleiadi. In linea di principio tale andamento riponde a ben precise previsioni teoriche. Al diminuire della temperatura efficace aumenta infatti la profondit` a raggiunta dalla convezione subatmosferica e, con essa, la temperatura raggiunta del rimescolamento convettivo. Conseguentemente il Li viene portato a temperature sempre pi` u elevate dove viene distrutto per catture protoniche. I modelli teorici mostrano che per stelle di massa non troppo piccola tale consumo di Li atmosferico avviene essenzialmente durante le fasi di presequenza, mentre durante tutta la successiva fasi di MS l’abbondanza viene solo marginalmente modificata. Il Pannello di destra della stessa figura mostra come le predizioni teoriche dipendano peraltro fortemente dalle assunzioni sul valore della mixing length: all’aumentare della mixing length diminuisce il gradiente (superadiabatico) di temperatura e aumentano insieme inviluppo convettivo, temperatura di base della convezione e deplezione del Li. Il riscontro con i dati sperimentali presenta alcuni problemi cui qui brevemente accenniamo. Innanzitutto i dati di deplezione del Li richiederebbero un valore di mixing length diverso da quello adatto ai modelli di MS. Nulla osta peraltro che nelle due fasi la convezione abbia diverse efficienze, come valutate nel quadro della lunghezza di rimescolamento. Pi` u grave `e l’evidenza che il valore

20 del Li solare risulta minore di quello misurato negli ammassi, anche se le metallicit` a sono analoghe e la teoria non prevede tale sensibile diminuzione con l’et` a. Terminiamo qui questi brevi cenni che intendono solo attirare l’attenzione sul pi` u generale problema degli elementi leggeri nelle atmosfere stellari, problema ancora meritevole di approfondite indagini.

21

Origine delle Figure Fig.11.1 Castellani V. 1981, ”Introduzione all’Astrofisica Nucleare”, Newton Compton, Roma Fig.11.2 Audouze J., Vauclair S. 1980, ”An introduction to Nuclear Astrophysics”, Reidel Publ. Comp. Fig.11.3 Clayton D.D. 1968, ”Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis”, McGraw-Hill Fig.11.4 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare” Zanichelli ed. Fig.11.5 Clayton D.D. 1968, ”Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis”, McGraw-Hill Fig.11.6 Audouze J., Vauclair S. 1980, ”An introduction to Nuclear Astrphysics” Reidel Publ. Comp. Fig.11.7 Rosino L., 1985, ”Gli Astri”, UTET Fig.11.8 Stephenson F.R. 1975, ”Origin of Cosmic Rays”, Reidel Publ. Comp. Fig.11.9 Auduze J.,Boulade O., Malinie G., Pollane Y. 1983, A&A 127, 164 Fig.11.10 Audouze J., Vauclair S. 1980, ”An introduction to Nuclear Astrophysics”, Reidel Publ. Comp. Fig.11.11 Shade J, Wood F.B. 1978, ”Interacting Binary Stars”, Pergamon Press. Fig.11.12 Pringle J.E. 1985, in ”Interacting Binary Stars”, Cambridge Univ. Press. Fig.11.13 Rucinski S.M. 1985, in ”Interacting Binary Stars”, Cambridge Univ. Press. Fig.11.14 Karttunen H., Kroeger P., Oja H. et al. 1996, ”Fundamental Astronomy”, Springer Fig.11.15 Piersanti L. 2001, Tesi di Dottorato, XIV Ciclo, Univ. ”Federico II”, Napoli Fig.11.16 Imperio A., Castellani V., Degl’Innocenti S. 2001, in ”HR diagrams and stellar evolution”, ASP Conference Series

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