Anno XV n.4 Aprile 2009 Editore Key Communication sas Iscrizione Tribunale di Parma n. 32 del 08/08/1995 - Poste Italiane spa - Spedizione abb. postale 45% - DL 353/2003 (conv. in legge 27/02/04 n.46) Art. 1 comma 1 - DCB Roma 4,00 euro ISSN 1723-7033 Rivista tecnico scientifica riservata al personale specializzato. Non diffusa al pubblico. In caso di mancato recapito restituire PT Romanina per la restituzione previo add.to. Contiene IP
DISAGIO PSICOLOGICO e PROSPETTIVE D’INTERVENTO
HEMS 2009 17/18 Settembre Aeroporto Cinquale di Massa
Editore Key Communication
EMPOWERMENT
in Pronto Soccorso
alcole sicurezza stradale
DATI PASSI 2008
L’operatore di centrale operativa118
ensile di emergenza sanitaria
Aprile 2009 ANNO XV n. 4
EMERGENCY OGGI Mensile di Emergenza Sanitaria Direttore responsabile Marina Boldrini
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L’operatore di centrale operativa 118
DISAGIO PSICOLOGICOe PROSPETTIVE D’INTERVENTO Antonio De Santis - Direttore Sanitario Azienda Regionale dell’Emergenza Sanitaria (ARES) 118 del Lazio Chiara Gatti - Psicologa, psicoterapeuta ARES118, Lazio Assunta De Luca - Dirigente medico direzione sanitaria ARES118, Lazio Marinella D’Innocenzo - Direttore Generale ARES118, Lazio
Riassunto Scopo Lo studio, promosso dalla direzione strategica dell’ARES 118 del Lazio, approfondisce le principali manifestazioni di disagio emotivo e di compromissione del benessere psicologico degli operatori di centrale operativa, evidenziandone le possibili cause e gli elementi individuali, relazionali ed organizzativi che sul disagio maggiormente incidono. Metodologia Osservazione delle dinamiche relazionali e delle modalità comportamentali poste in essere dagli operatori della centrale operativa del 118 di Roma e Provincia. Risultati e conclusioni Il Burn out si configura come modello psicopatologico dominante, nel quale convergono, organizzandosi, gli elementi di disagio individuati nello studio. La specificità di tali elementi e l’identificazione di fattori protettivi e precipitanti hanno consentito di ipotizzare ed avviare linee d’intervento tese a favorire il benessere psicofisico degli operatori.
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Abstract Aim This study researches in detail the principal manifestations of emotional distress and of compromises to psychological well-being that can threaten emergency medical services (EMS) call center operators, and highlights their possible causes. We identified the individual, interpersonal and organizational elements that influence the characteristics observed. Methods Observations of interpersonal dynamics and behaviors of EMS call center operators of the city and county of Rome. Interviews of the operators regarded both the technical aspects as well as the emotional and personal implications of their work. Results and Conclusions Burn out was found to be the dominant psychopathology, into which all of the various elements of distress converged. The specificity of these characteristics and the identification of protective and precipitating factors allowed us to establish interventions aimed at supporting the emotional well-being of the operators. Aprile 2009
1. INTRODUZIONE Non esistono studi di rilevanza scientifica che affrontino il tema dei disturbi emotivi e psicologici degli operatori sanitari addetti a ricevere le richieste di soccorso nel sistema dell’emergenza territoriale. Una letteratura piuttosto ampia ed accreditata riguarda invece l’impatto emotivo degli eventi critici sugli operatori del soccorso impegnati direttamente sul campo (De Felice et al, 2003; Zuliani, 2007; Young et al, 2002), identificando il disturbo posttraumatico da stress (PTSD) come la condizione patologica prevalente in cui questi possono incorrere. In tale contesto, viene definito “critico” un evento che ha un carattere violento, estremo, lesivo o rappresenta una minaccia per l’integrità psicofisica, collocandosi completamente al di fuori rispetto agli ambiti nei quali abitualmente si opera, e rendendo inadeguati o insufficienti i consueti meccanismi di coping, ossia le strategie cognitive e comportamentali utilizzate abitualmente per affrontare le situazioni stressanti (Mitchell, 1983). Si va incontro ad un trauma quando l’assenza o l’inadeguatezza percepite o reali di risorse per fronteggiare l’evento critico annientano la possibilità di integrarlo psichicamente, inserendolo in una rete mnesica recuperabile e verbalizzabile (Axia, 2006). Come accennato, il più noto disturbo psicopatologico a carico degli operatori del soccorso è il PTSD che prevede la compresenza per almeno un mese, dopo l’esposizione ad eventi traumatici rilevanti, di sintomi intrusivi (ricordi e sogni ricorrenti dell’evento), di evitamento (di attività, pensieri, sensazioni, luoghi e persone associati al trauma), di percezione di distacco e estraneità dagli altri ed appiattimento affettivo e di aumento della reattività generale (disturbi del sonno, irritabilità, ipervigilanza e scoppi di collera), correlati a disagio clinicamente significativo e ad una menomazione del funzionamento sociale e lavorativo (DSM IV, 2002). Per “traumatizzazione vicaria” si intende invece una condizione di grave disagio psicologico, che può arrivare ad assumere caratteristiche sovrapponibili a quelle del PTSD, cui gli operatori del soccorso e, in generale, quanti si trovino coinvolti a vario titolo nell’accaduto, possono andare incontro in seguito alla partecipazione empatica, diretta o indiretta, alla sofferenza delle vittime di un evento critico (Cusano et al 2005; Giannantonio et al, 2005; Blair et al, 1996; Filatondi, 2009). Più in generale, invece, il disturbo psicologico maggiormente conosciuto a carico di coloro che ricoprono una professione Aprile 2009
d’aiuto, è il burn out che ha rilevanti conseguenze sia personali sia per l’organizzazione in cui prestano servizio. Indica uno stato di esaurimento emotivo e corrosione psicologica, conseguente al contatto continuo con i bisogni degli utenti e con i limiti e l’inadeguatezza della struttura per la quale si lavora, può accompagnarsi a depersonalizzazione, cioè ad un sentimento di estraneità dal proprio ruolo professionale, con comportamenti di disinteresse e cinismo, e ad un vissuto di mancata realizzazione professionale (Maslach, 1992; Pellegrino, 2007). Per quanto riguarda gli operatori addetti a gestire al telefono la richiesta di soccorso, una esperienza statunitense, svolta sugli operatori del numero unico dell’emergenza 911 (dispatchers), ha individuato due specifiche tipologie di disturbi emotivi: lo “Stato di Allerta Cronico”, cioè la costante tensione cui il dispatcher è soggetto per il fatto di non essere a conoscenza del contenuto delle telefonate in arrivo, e la “Phantom Dispatcher Syndrome”, che consiste in un insieme di sentimenti di ansia, inadeguatezza e solitudine determinati dal perfezionismo e dal bisogno esasperato di essere giudicati bene (http//www.headsets911.com). Le acquisizioni riguardo le peculiarità delle condizioni potenzialmente generatrici di stress per i dispatcher, hanno indotto l’Association of Public Safety Communications Officials ad organizzare corsi di formazione loro rivolti, finalizzati all’acquisizione di specifiche tecniche di gestione dello stress (McAtamney,2009) ed a promuovere iniziative tese a migliorarne l’organizzazione complessiva del lavoro. Quanto finora esposto rende evidente l’importanza di approfondire la natura e le cause del disagio psicologico degli operatori che gestiscono le richieste telefoniche di soccorso, al fine di realizzare interventi volti a ridurne l’entità e, conseguentemente, la ricaduta negativa sull’organizzazione d’appartenenza. A tal proposito, la direzione strategica dell’Azienda Regionale dell’Emergenza Sanitaria (ARES118) del Lazio, ha promosso uno studio finalizzato ad acquisire elementi conoscitivi riguardo alle condizioni emotive in cui vertono gli operatori in una delle centrali operative che operano sul territorio regionale. 2. OBIETTIVI L’obiettivo dello studio è identificare gli elementi relazionali e individuali nonché strutturali ed organizzativi, che incidono negativamente sul benessere psicologico e sulle prestazioni lavorative degli operawww.emergencyoggi.it
tori di Centrali Operativa (CO), così da definire adeguati interventi migliorativi. 3. METODOLOGIA Nel Lazio sono presenti 5 CO, una per ciascuna provincia (Roma, Frosinone, Latina, Rieti, Viterbo), cui afferiscono le chiamate su base territoriale. La CO di Roma e provincia è stata scelta, per l’importanza rivestita, come luogo di svolgimento dello studio oggetto del presente lavoro: infatti serve da sola il 47% della popolazione residente nel Lazio e gestisce il 67% di tutte le chiamate di soccorso che pervengono al numero unico “118”. Lo studio, di tipo qualitativo, si è basato sull’osservazione, durata circa un mese, delle attività e delle dinamiche relazionali poste in essere dagli operatori della CO sia nella fase di triage telefonico che in quella di dispatch. Gli operatori sono stati intervistati in merito ad aspetti tecnici e riguardo alle implicazioni emotive e personali del proprio lavoro. Gli elementi generatori di disagio, osservati e riferiti, sono stati trascritti in cartaceo e rappresentati utilizzando il diagramma di Hishikawa o di “causa-effetto”. L’osservazione è stata effettuata da una psicologa con l’esplicito mandato istituzionale di contribuire all’analisi organizzativa dei processi di triage telefonico e di dispatch. Per quanto concerne il triage, gli operatori sono stati affiancati singolarmente all’interno dei box. Nel dispatch, invece, l’osservazione è avvenuta nella sala radio, coinvolgendo 4 o 5 operatori alla volta. 4. RISULTATI 4.1 La Centrale Operativa La CO di Roma e provincia serve una popolazione di 2.500.000 cittadini residenti e un numero considerevole di non residenti (immigrati regolari ed irregolari, pendolari, studenti fuori sede, turisti). La CO gestisce annualmente approssimativamente 900.000 chiamate, cui seguono 250.000 interventi con mezzi di soccorso. Il triage alla chiamata individua in media: 13% codici rossi, 64% codici gialli, 23% codici bianchi e verdi. Presso la CO sono impiegati circa 70 operatori, di cui la maggior parte è costituita da infermieri, mentre circa un settimo da personale amministrativo. Tutti gli operatori alternativamente svolgono attività di triage telefonico e di dispatch. Ad ogni turno di lavoro sono presenti dieci operatori, un capoturno ed un medico di sala. La funzione prevalente della CO è quel-
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L’operatore di centrale operativa 118: DISAGIO PSICOLOGICO e PROSPETTIVE D’INTERVENTO la di fornire una risposta alla chiamata di soccorso, riducendo al minimo i tempi di attesa, attraverso due distinte attività svolte da operatori diversi: a) il triage telefonico, un’intervista breve e standardizzata che ha l’obiettivo di raccogliere una serie di informazioni (condizioni cliniche, luogo dell’accaduto, dinamica e numero delle persone coinvolte), che consentono l’attribuzione di un codice colore identificativo della criticità presunta dell’evento; b) il dispatch, che prevede l’individuazione del mezzo di soccorso più idoneo attraverso una rapida interazione con il sistema territoriale dell’emergenza (postazioni e mezzi di soccorso). 4.2 Il disagio psicologico: elementi rilevati Il rapporto con l’utenza Nella fase di triage gli operatori gestiscono quotidianamente un numero considerevole di chiamate (circa il 60%) per le quali non risulta necessario l’invio di un mezzo di soccorso: richieste di visite mediche a domicilio a causa dell’assenza del medico di base o della mancata conoscenza dei compiti di quest’ultimo, scherzi di vario genere, richieste di interventi a finalità sociale (senza fissa dimora, ubriachi, tossicodipendenti, etc.) per i quali i richiedenti non sanno a chi rivolgersi, richieste finalizzate ad istituzioni diverse (polizia, carabinieri, vigili del fuoco, etc.). A ciò si aggiunge l’uso della linea di emergenza da parte degli operatori delle postazioni territoriali ARES118, che talvolta chiamano per informazioni di servizio non utilizzando la radio che a tal fine è loro assegnata. La comunicazione con gli utenti risulta a volte complessa e faticosa. Spesso le chiamate hanno un tono di pretesa ed i consigli vengono interpretati come un’intrusione. In relazione alle difficoltà ora esposte, gli operatori provano sentimenti di impotenza ed inutilità. Il disagio sperimentato genera in loro ostilità nei confronti degli utenti, ma anche del sistema che non mette in condizioni di rispondere adeguatamente alle effettive urgenze, esponendo così al fallimento professionale. Si sentono poco apprezzati, esposti all’arbitrio altrui e non tutelati: l’interesse e la passione per il proprio lavoro si affievoliscono e l’empatia verso gli utenti rischia di cedere il passo all’indifferenza.
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La scelta del tipo d’intervento La necessità di agire in tempi brevi e l’esigenza di evitare il rischio di subire conseguenze legali determina la tendenza ad inviare sempre l’ambulanza a chi insistentemente la chiede, anche quando non lo si reputa necessario. Ciò induce gli operatori del triage a pensare di svolgere una professione da personale di call-center: l’unica discrezionalità decisionale che si riconoscono è l’attribuzione di un codice colore di priorità di intervento. La gestione del percorso assistenziale L’operatore addetto al triage telefonico si occupa di un frammento dell’intervento complessivo di soccorso e ciò può essere causa di stress emotivo. Può accadere che si adoperi su una chiamata molto impegnativa, in termini di gestione operativa ed emotiva (ad es. un codice rosso in cui egli mantiene i familiari al telefono): tuttavia, una volta trasferito l’intervento al dispatch, formalmente egli non ne sa più nulla. Ottenere delle informazioni sul seguito della propria attività è interesse esclusivo ed occasionale dell’operatore. Sono rari i momenti formalizzati di confronto, condivisione e supervisione. Ciò, oltre a non consentire la percezione del proprio operato come importante ed utile alla gestione complessiva del paziente critico, ne ostacola l’elaborazione emotiva. La comunicazione con il territorio e gli enti esterni Una delle difficoltà principali riportata dagli operatori di dispatch è il comunicare con i colleghi delle postazioni territoriali per richiedere l’invio del mezzo sul luogo dell’evento. Questa operazione può determinare lunghe trattative: ciò genera stress nell’operatore prima e durante la chiamata. La scelta della postazione e del mezzo da inviare si basa su criteri codificati in relazione alla sua vicinanza al luogo dell’evento ed ai tempi previsti perché questo venga raggiunto. Tale scelta è tuttavia talvolta condizionata da alcune disfunzioni organizzative, quali: prolungati blocchi delle ambulanze ad opera dei pronto soccorso ospedalieri e la mancata trasmissione dell’orario di fine intervento dai mezzi di soccorso, che continuano così erroneamente a risultare non disponibili. Gli operatori delle postazioni, non conoscendo a fondo le difficoltà che incontrano i colleghi della CO, criticano alcune
loro scelte circa i mezzi da inviare e ritengono che essi non effettuino un filtro adeguato sulle chiamate in arrivo, disinteressandosi delle ripercussioni delle loro azioni su chi è impegnato direttamente nelle attività di soccorso. Gli operatori del dispatch sono conseguentemente portati, quando richiedono l’invio del mezzo per un soccorso, ad adottare strategie mirate a disporre il personale delle postazioni in una condizione emotiva favorevole alla trattativa. Si comprende quindi come l’attività di dispatch richieda una buona dose di inventiva e flessibilità, in un contesto in cui si deve agire in fretta e bene perché il soccorso sia efficace e non si corrano rischi legali, e come ciò possa facilmente determinare nell’operatore una condizione emotiva di stress. Un’ulteriore causa di disagio è la comunicazione, a volte problematica, con i soggetti esterni istituzionali (polizia, carabinieri, vigili del fuoco, polizia municipale, etc.), legata prevalentemente ad incomprensioni sulle reciproche competenze e sul linguaggio utilizzato. La comunicazione tra gli operatori di CO In relazione alle modalità con le quali vengono gestiti e codificati i soccorsi, emergono talvolta tra gli operatori del triage e quelli del dispatch incomprensioni e malumori, che rendono difficoltosa la comunicazione e possono essere causa di disagio emotivo. L’ambiente di lavoro Le caratteristiche strutturali degli ambienti di lavoro rappresentano senz’altro un elemento di disagio per gli operatori di CO. La sala dove operano è priva di finestre che consentano alla luce naturale di filtrare ed è suddivisa in box che ostacolano la comunicazione, richiedendo lo spostamento del personale da un ambiente all’altro e l’utilizzo di toni di voce piuttosto elevati; a ciò si aggiunge l’inadeguatezza degli spazi comuni dedicati alla socializzazione e l’assenza di una mensa dove poter consumare i pasti. L’organizzazione del lavoro Le turnazioni molto lunghe, a causa dell’esiguità delle risorse umane a disposizione, e l’inadeguata regolamentazione delle pause, alla cui gestione sono preposti i capiturno, costituiscono un’ulteriore causa di disagio. I capiturno, inoltre, cui sono affidati sempre gli stessi team di persone, devono destreggiarsi con una trama di relazioni e di prassi consoAprile 2009
OPERATORS AT THE REGIONAL EMERGENCY MEDICAL SERVICES CALL CENTER IN LATIUM, ITALY: PSYCHOLOGICAL DISTRESS AND PROSPECTS FOR INTERVENTION lidate nel tempo e sulle quali è estremamente difficile influire. 4.3 Comportamenti e dinamiche osservate Lo stile ed i contenuti prevalenti degli scambi verbali e non verbali sono piuttosto disimpegnati e la comunicazione sugli interventi in corso o effettuati è sporadica e frammentaria. Inoltre, la carenza di momenti formalizzati di confronto sulle procedure standardizzate relative alla gestione dei soccorsi da seguire in centrale operativa, fa si che le informazioni vengano trasmesse utilizzando toni di voce piuttosto elevati e spostandosi da un ambiente all’altro, lasciando così scoperta la propria postazione. Più di frequente, sono gli operatori del triage a spostarsi nella zona dispatch, allo scopo di scambiare commenti e informazioni con chi sta gestendo operativamente l’intervento avviato. L’insieme dei fattori precedentemente esposti induce gli operatori a solidarizzare tra loro condividendo sentimenti negativi verso gli utenti, l’organizzazione e i soggetti istituzionali esterni, verosimilmente per attenuare e rendere tollerabili emozioni altrimenti difficilmente accettabili. Va inoltre rilevato come, su queste dinamiche, incida probabilmente una componente di conformismo sociale: uniformarsi a codici non scritti di comportamento consente di evitare l’ostracismo da parte del gruppo, che risulterebbe di complessa gestione emotiva. A ciò si aggiunge un atteggiamento di diffidenza nei confronti di ciò che esula dalla routine consolidata, anche nel caso di interventi volti ad apportare un contributo migliorativo all’organizzazione del lavoro. Vi sono poi un’insieme di comportamenti che manifestano il bisogno di estraniarsi per sottolineare a se stessi e agli altri che il lavoro in cui si è impegnati non realizza le proprie aspirazioni ed è causa di frustrazioni dalle quali ci si vuole tutelare. E’ ipotizzabile che l’operatore percepisca una forte discrepanza tra ciò che ritiene dovrebbe comportare la sua professione ed il proprio vissuto lavorativo: lo stile tendenzialmente trascurato dei rapporti e del modo di lavorare adottato da alcuni sembra espressione di un “lasciarsi andare” legato all’insoddisfazione per la propria Aprile 2009
esperienza lavorativa. Dal disagio che ne deriva originano verosimilmente i sentimenti di ostilità sperimentati nei confronti dell’Azienda. Al fine di rappresentare sinteticamente gli elementi di malessere emotivo osservati e riferiti dagli operatori, è stata eseguita l’analisi causale mediante il diagramma di Hishikawa o di “causa-effetto”(Figura 1). 5. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Da quanto emerso durante l’osservazione si evince come il disagio psicologico diffuso tra gli operatori di CO configuri un unico modello psicopatologico dominante, riconducibile alla sindrome di burn out, in cui convergono, organizzandosi, talune manifestazioni di sintomatologia ansiosa e depressiva. Se il burn out risulta la patologia lavorativa prevalente, ciò non esclude la compresenza di altre forme di sofferenza psicologica, che sono tuttavia riconducibili ad un unico quadro psicopatologico, cosicché appare particolarmente complesso – e forse di dubbia utilità - stabilire “cosa preesiste a cosa”. Non sembra inoltre di secondaria importanza l’influenza del contesto sociale sullo sviluppo delle problematiche psicologiche: le dinamiche di gruppo fungono infatti da catalizzatore di disturbi più indeterminati o di minore entità. Un aspetto da rilevare è la notevole capacità di tutto il personale della CO di adattarsi a condizioni strutturali ed organizzative disagevoli, colmando eventuali carenze attraverso il ricorso ad una buona dose di creatività, abilità di problem solving (Spagnulo, 2004; Gatti et al, 2008), disponibilità individuale e cooperazione. Inoltre, va segnalato come elemento positivo la volontà manifestata dagli operatori di confrontarsi, collaborare ed esprimere la proprie riflessioni in merito a ciò che si potrebbe fare per migliorare l’organizzazione del lavoro. E’ ipotizzabile che la presenza o l’assenza di alcune caratteristiche individuali possa agevolare (fattori di rischio) o contrastare (fattori protettivi) il burn out negli operatori. Fattori protettivi Una visione obiettiva delle potenzialità e dei limiti del proprio lavoro; una stabilità emotiva di base; una situazione economica sufficientemente positiva; www.emergencyoggi.it
un contesto familiare che offra un sostegno affettivo; interessi al di fuori dell’ambiente lavorativo; competenze professionali e comunicative specifiche per il lavoro svolto; una precedente esperienza lavorativa; il sentirsi parte integrante di un’organizzazione che ha un’importante finalità sociale; l’aver preso servizio al 118 da poco tempo. Fattori di rischio Una forte idealizzazione del proprio ruolo professionale ed aspettative eccessive agli inizi del percorso lavorativo; un atteggiamento perfezionistico che conduce a considerare come inaccettabile sbagliare; preesistenti disturbi psicologici; conflittualità familiari; difficoltà economiche (possono spingere a sostenere pesanti carichi di lavoro); assenza di interessi al di fuori del lavoro; assenza di precedenti esperienze lavorative; eccessiva identificazione con il proprio ruolo professionale; carenza di competenze professionali specifiche; assenza di un vissuto positivo di identità aziendale. Approfondire gli elementi di disagio emotivo degli operatori di CO ed individuare iniziative tese a tutelarne l’equilibrio psicofisico costituisce, quindi, un’esigenza prioritaria e indifferibile, anche in ragione dell’importanza del ruolo da questi ricoperto all’interno dell’Azienda e della rilevanza sociale di quest’ultima. Il burn out ha pesanti implicazioni non solo per chi ne è direttamente colpito ma anche per l’organizzazione nella quale presta servizio, essendo causa di maggiore vulnerabilità alle malattie, di assenteismo dal lavoro, di compromissione dell’efficienza lavorativa (Favretto, 1994; Del Rio, 1990; Maslach et al, 2000). Il burn out può inoltre generare un dispendioso contenzioso esterno, tra chi ne è colpito e gli utenti ed i soggetti istituzionali con i quali intrattiene rapporti di lavoro, ed interno, tra questi ed i propri colleghi e/o superiori. Occuparsi di tali temi consente quindi di realizzare un reale vantaggio in termini di recupero di efficacia e di efficienza, di risparmio economico, nonché di valorizzazione dell’immagine pubblica dell’Azienda. Quanto finora esposto ha permesso di ipotizzare degli interventi, descritti nella tabella 1, volti a tutelare l’equilibrio psicofisico degli operatori (Zani et al,
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Figura 1: Diagramma di Hishikawa: analisi delle cause del malessere emotivo degli operatori di centrale operativa
Tabella 1: Interventi finalizzati ad incrementare il benessere emotivo
2001), riducendo il rischio di burn out, attraverso l’incremento del senso di appartenenza all’Azienda, dello spirito di corpo e delle competenze professionali. Rispetto alle iniziative delineate la direzione aziendale dell’ARES118 sta procedendo già su alcuni fronti: a) incremento del senso di appartenenza all’Azienda: coinvolgimento nella rivisitazione dei processi organizzativi aziendali di personale collocato a vari livelli di responsabilità; b) incremento dello spirito di corpo e delle competenze: introduzione di una nuova metodologia di lavoro attraverso la realizzazione di riunioni di revisione dei casi per protocolli e procedure su patologie specifiche, coinvolgendo sia il personale della CO che il personale delle postazioni; c) incremento delle competenze professionali: implementazione di corsi sulle competenze comunicative efficaci e sulla corretta registrazione dei dati nella cartella elettronica; d) tutela del benessere psicofisico degli operatori: avvio della ristrutturazione della CO con eliminazione dei box e creazione di un ambiente open-space illuminato dalla luce solare; individuazione, all’interno della CO, di un ambiente comune confortevole con finalità ricreative; e) tutela del benessere psicologico: potenziamento dell’ambulatorio di psicologia clinica con finalità di consulenza e supporto. Agli interventi avviati, costantemente monitorati, farà seguito l’implementazione di altre iniziative, confidando che l’insieme dei cambiamenti introdotti conduca ad una ricaduta positiva sul benessere emotivo e conseguentemente sulla professionalità lavorativa del personale sanitario interessato.
1 - Intervento breve (20-40 minuti), da realizzarsi subito dopo il verificarsi di un evento critico, volto a ridurne la portata patogena su quanti vi siano stati direttamente o indirettamente esposti. Non richiede la presenza di un esperto e viene realizzato generalmente su un gruppo di dimensioni modeste. Si basa principalmente sulla condivisione di informazioni visive, uditive, olfattive relative ai fatti vissuti che ne permette una rielaborazione emotiva collettiva. 2 - Intervento che, pur avendo analoghe finalità, appare maggiormente strutturato rispetto al precedente. Viene realizzato in gruppo, richiede diverse ore e necessita della presenza di un esperto. Può essere ripetuto nel tempo e va realizzato a distanza dall’evento critico. Vengono condivisi oltre ai ricordi dei fatti anche i pensieri, le emozioni e le sensazioni a questi legate.
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La CEFALEA in Pronto Soccorso La cefalea occupa il primo posto fra tutte le sindromi dolorose; I’80% della popolazione lamenta almeno una volta in un anno questo disturbo. Vi sono molte forme o tipi di cefalea Una prima importante discriminazione deve essere fatta fra cefalee sintomatiche di una malattia sistemica o cerebrale (esempio: cefalea in corso di febbre alta; cefalea da tumore cerebrale) e cefalee primarie, le quali sono contemporaneamente il sintomo e la malattia. La cefalea è un’evenienza estremamente comune nel Pronto Soccorso, riguardando circa il 1–4,5% di tutte le visite. Nonostante siano più di 300 le condizioni mediche che possono causare cefalea, fortunatamente la maggior parte delle cefalee sono benigne. Dal momento che la cefalea può essere un sintomo di gravi malattie, è importante un approccio ordinato nella diagnosi differenziale. In PS, quando si valuta un paziente con cefalea, il primo passo consiste nell’identificare o
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escludere una cefalea secondaria sulla base della storia clinica e dell’esame obiettivo generale e neurologico. Abbiamo voluto valutare l’accesso per il sintomo “cefalea “ presso il nostro Pronto Soccorso in un periodo di undici mesi (1.1.2008 al 1.11.2008) In tale periodo abbiamo visitato 737 pazienti ( pari al 2,81 % dei visitati nei Box dell’area medica) La distribuzione tra i sessi è stata nel 64% di femmine e 36% di maschi (fig 1) Il tempo di permanenza in Pronto Soccorso è stato di 6 ore e 35 minuti in media. L’età media è stata di 42, 46 anni in totale. La diagnosi di dimissione dei pazienti con cefalea è stata del 61% per cefalea primaria e 39% per la secondaria. (fig. 2) Nella terapia della cefalea primaria abbiamo utilizzato soprattutto farmaci antinfiammatori non steroidei nel 31% dei casi versus 25% dei casi della cefalea secondaria, la metoclopramide nel 7% dei casi
versus il 5% dei casi della cefalea secondaria, le benzodiazepine nell’8% dei casi versus il 5% dei casi della cefalea secondaria , il protettore della mucosa gastrica nel 30% dei casi versus il 22% dei casi; la terapia corticosteroidea è stata somministrata nell’1% dei casi versus il 2 % dei casi della cefalea secondaria (fig 3) I pazienti ricoverati sono stati il 18.6% : inviati in Neurochirurgia nel 4,4% , in Neurologia nel 46,8%, in Reparto di Medicina nel 24,8%, in Reparto di Malattie Infettive nel 0,7%, in Reparto di Medicina d’Urgenza nel 12,4%, in Stroke Unit nel 9,5% Sono stati inviati a domicilio il 65,3% dei pazienti.(Fig. 4) Abbiamo voluto esaminare quanto la stagionalità potesse influenzare gli accessi al Pronto Soccorso per il sintomo cefalea e i grafici seguenti mostrano come i mesi di marzo e maggio ed ottobre siano i mesi di maggior affluenza. (fig.5) Questo è stato già rilevato da uno studio condotto su oltre 7000 pazienti e pubblicato sulla rivista Neurology da Kenneth Mukamal del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston, Usa. Con la primavera in arrivo alcuni potrebbero pagare lo scotto del tepore del sole, infatti il caldo favorisce l’emicrania tra le persone che soffrono di questa malattia: il rischio di avere un attacco sale del 7,5% per ogni aumento di temperatura di cinque gradi. Questa ricerca evidenzia l’ennesimo fattore scatenante dell’emicrania che si va ad aggiungere a quelli già noti come certi cibi, ma non deve indurre, avvertono i neurologi, chi soffre del disturbo ad utilizzare le previsioni meteo per prendere preventivamente farmaci contro il mal di testa. Concludendo dal nostro studio epidemiologico retrospettivo, osservazionale, a Aprile 2009
Fig. 1
Fig. 2
Fig. 3
causa della variabilità dei sintomi e dei segni che caratterizzano il quadro clinico della cefalea differenziare le comuni cefalee non traumatiche primarie da forme organiche più rare è per il medico di Pronto Soccorso difficile e particolarmente nel setting assistenziale dell’emergenza, dove il tempo a disposizione è poco e le risorse sono spesso soprautilizzate. Sarebbe utile avere in Emergenza a disposizione un algoritmo a cui fare riferimento. Bibliografia consultata: “Le cefalee” Editore Springer Milano.Cap 25 pag 285-292 Benjamin W. Friedman, MD, MS; Daniel Serrano, MA; Michael Reed, PhD; Merle Diamond, MD; Richard B. Lipton, MD “Use of the Emergency Department for Severe Headache. A Population-Based Study” Headache 2009;49:21-30 D.Grimaldi, S.Cevoli, P.Cortelli “Headache in the Emergency Department.How to handle the problem?” Neurol Sci 2008;29:S103-S106 Diagnosing headache in the emergency department: what is moreimportant? Being right, or not being wrong? European Journal of Neurology 2008, 15: 1257–125 Gary M. Owens, “Migraine in the Managed Care Environment” care protocols recognize the use of Am J Manag Care. 2005;11:S68-S71 J. B. Toledo, M. Riverol, E. Martínez-Vila, P. Irimia “Cefalea en urgencias” An. Sist. Sanit. Navar. 2008; 31 (Supl. 1): 75-85. Jonathan A. Edlow, Jonathan A.Edlow;Peter D.Panagos; Steven A. Godwin;Tamara L.Thomas; Wyatt W.Decker “Clinical Policy: Critical Issues in the Evaluation and Management of Adult Patients Presenting to the Emergency Department With Acute Headache” Ann Emerg Med. 2008;52:407-436. Lawrence D. Goldberg, “The Cost of Migraine and Its Treatment” Am J Manag Care. 2005;11:S62-S67 P.Cortelli,D.Grimaldi,P.Guaraldi,G.Perillo,S.Cevoli,G. Pierangeli,F.Nonino “Raccomandazioni per la gestione delle cefalee non relate a trauma cranico nel contesto del Pronto soccorso” Neurol Sci 2005; 26:S411-S414
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Fig. 4
Fig. 5 www.emergencyoggi.it
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Organizzazione in
TRIAGE
Cristian Vender - Infermiere DEA - PS, Ospedale San Camillo, Roma. Coordinatore BLSD - IRC - CdF Upter Sport, Roma
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a mission del triage è quella di impegnarsi a rispondere alla domanda di salute dei cittadini garantendo la presa in carico. La risposta offerta viene data con tempestività e nel rispetto delle priorità di salute dei cittadini. La vision del triage è quella di rispondere a tutti i bisogni acuti di salute della popolazione, garantendo il corretto percorso assistenziale o di cura. L’organizzazione del triage è finalizzata a garantire servizi sanitari equi, efficaci, appropriati con l’adozione di procedure che garantiscano l’esecuzione di interventi sanitari a tutela dei diritti di salute. Obiettivi del triage sono: assicurare un’immediata assistenza al malato in emergenza; indirizzare a visita medica i pazienti secondo codice di priorità; identificare le priorità e l’area più appropriata per il trattamento; smistare i pazienti non urgenti; ridurre i tempi di attesa; ridurre lo stato d’ansia; migliorare le prestazioni sanitarie del PS; valutare periodicamente le condizioni del paziente in attesa; fornire informazioni sanitarie al paziente e alla famiglia; mantenere l’efficacia complessiva della struttura di PS. (Gai, 2000). Occorre precisare che il triage non riduce effettivamente i tempi di attesa di tutti i pazienti, ma privilegia i pazienti più critici a svantaggio dei pazienti meno critici che possono attendere tempi maggiori. Il dipartimento di emergenza e accettazione è il modello organizzativo multidisciplinare che comporta l’integrazione funzionale delle divisioni e servizi sanitari atti ad affrontare i problemi diagnostici e terapeutici dei cittadini in situazioni di emergenza e/o urgenza sanitaria.
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Il dipartimento di emergenza e accettazione (D.E.A.) costituisce il collegamento funzionale nell’ambito del bacino di utenza e nel territorio di competenza tra i presidi territoriali ed i servizi e le divisioni dell’ospedale di riferimento comunque impegnati nell’urgenza (Scelsi, 2008). Gli ospedali, sede di dipartimento di emergenza, al fine di rispondere al concetto essenziale della gradualità delle cure, sono individuati secondo i requisiti previsti dal parere tecnico del Consiglio Superiore di Sanità in rapporto alla tipologia dei servizi ospedalieri erogati, al bacino di utenza, alla presenza di servizi territoriali, ai criteri di accesso alle strutture ed alla viabilità ed alla situazione oro-geografica del territorio. Il D.E.A. deve istituzionalmente garantire il massimo livello di assistenza possibile in relazione alle risorse secondo standard prefissati; consentire gli opportuni collegamenti tecnico-organizzativi dei presidi sanitari deputati all’urgenza, situati nel territorio di riferimento; razionalizzare le risorse disponibili secondo una logica programmatoria; perseguire un ottimale rapporto costi – benefici, per assicurare adeguati livelli di assistenza fin dal primo intervento, anche mediante protocolli diagnostico – terapeutici opportunamente verificati ed aggiornati; consentire, con opportuna programmazione, il più alto livello di addestramento del personale; perseguire l’umanizzazione dei rapporti tra utenti e personale sanitario; introdurre il metodo della verifica della qualità delle cure prestate con opportuno sistema di accreditamento dei servizi e di riscontro tecnico-organizzativo e culturale nel suo interno; contribuire alla educazione sani-
taria dei cittadini per un corretto uso del sistema delle emergenze sanitarie. Un’altra variabile importante nella costituzione di un triage all’interno di un pronto soccorso è il numero di infermieri addetti a questa funzione nell’arco delle 24 ore, con possibilità di utilizzare personale amministrativo per il disbrigo delle attività di registrazione dei pazienti, risposta ai fax richiesta posti letto o personale infermieristico delle sale per aiutare il triagista nell’espletamento dei primi trattamenti e indagini (esecuzione di elettrocardiogramma, immobilizzazione arti con sospette fratture ecc.). La formazione del personale è la variabile che deve più di tutti sensibilizzare le direzioni ospedaliere. Effettuare corsi di triage, aumentare le conoscenze del personale triagista, formare nuovi infermieri alla funzione di triage sono gli aspetti salienti per effettuare un triage corretto. Vengono individuati varie tipologie organizzative di triage: il triage non infermieristico, di bancone, difasico, clinico o globale, spot-check triage e il triage out. I sistemi di triage sopra menzionati si differiscono per vari aspetti: nelle categorie di triage, nell’organico, nella documentazione richiesta, nella valutazione e rivalutazione del paziente e nell’inizio del trattamento e delle indagini diagnostiche. IL MODELLO TRIAGE DELLA TOSCANA La Regione Toscana, attraverso un gruppo di studio incaricato e dedicato ha sviluppato un sistema triage see and treat. Il modello è stato deliberato dalla Regione toscana (delibera n. 958) e pubblicato sul B.U.R. Toscana del 2 gennaio 2008. Aprile 2009
Il “see and treat” è un modello di risposta assistenziale alle urgenze minori che sta avendo rapidissima ed ampia diffusione nel Servizio Sanitario Inglese e che risulta particolarmente efficace nel contenimento delle attese. Dal consueto triage scaturiscono due accessi distinti, uno per i casi più gravi ed uno per le urgenze minori cui appartiene il see and treat propriamente detto. Il sistema adottato è situato di solito all’ingresso del pronto soccorso e ha in dotazione personale proprio. Chi accede a questo sistema viene accolto dal primo operatore disponibile (medico o infermiere) il quale effettua triage fino alla codifica. I pazienti ammessi a questo sistema sono quelli inglobati in una casistica selezionata per appropriatezza. Una prima distinzione, prima del triage stesso, viene effettuata in casi urgenti, non urgenti e urgenze minori con la completa presa in carico del paziente da parte del primo operatore disponibile (infermiere o medico). I vantaggi di questo sistema sono la riduzione dell’attesa in pronto soccorso, un uso razionale dei servizi di urgenza, un aumento della qualità percepita e la possibilità di fare audit clinici per discutere dei casi più interessanti. Tra gli svantaggi elenchiamo l’elemento della visita del paziente in ordine di arrivo e non in base alla priorità clinica e il ritorno al triage tradizionale quando l’afflusso dei pazienti supera le risorse umane disponibili. La Regione Toscana, nelle linee di miglioramento dei pronto soccorsi, ha promosso negli ultimi anni, importanti interventi per i cosidetti codici minori, che sono quelli che vanno ad incrementare l’afflusso di utenti nei pronto soccorsi della regione. L’autonomia professionale dell’infermiere nel percorso see and treat trova terreno nella identificazione delle patologie che possono essere trattate in maniera autonoma in un contesto legislativo comunque propositivo. Formazione e organizzazione rimangono i due elementi per sviluppare questa tipologia di triage utilizzando personale infermieristico competente. In ambito formativo il corso strutturato per infermiere certificato in interventi di primo soccorso ha la durata di 350 ore con formazione in aula e sul campo e il conseguimento della certificazione si ha al sostenimento di un’ esame finale che consiste in prova pratica orale su situazioni clinico/assistenziali attribuibili al see Aprile 2009
and treat. La definizione delle patologie appropriate al trattamento nell’area see and treat viene elaborato dal gruppo di lavoro toscano in cinque gradi di severità delle emergenze. I gradi di severità derivano dalla gravità clinica e dal prevedibile uso di risorse dei servizi di pronto soccorso. IL MODELLO TRIAGE DEL PIEMONTE La Regione Piemonte ha elaborato linee guida regionali condivise e validate sulla modalità del triage dopo uno studio del 2003 promosso dall’ Agenzia Regionale per i Servizi Sanitari della regione d’intesa con la Direzione Programmazione Attività Sanitarie dell’Assessorato Regionale alla Sanità. L’indagine ha evidenziato una situazione in linea con gli attuali provvedimenti di legge e un modello triage che rispondeva a criteri di scientificità disponibili in letteratura. In sintesi le varie strutture ospedaliere della Regione, partendo da un principi comuni, effettuano il triage con una pluralità di modalità e con estrema eterogeneicità. Visionati i risultati della ricerca, è stato attivato un gruppo di lavoro composto da tutti i referenti infermieristici di triage dei pronto soccorsi piemontesi che hanno provveduto alla stesura di linnee di indirizzo regionali per definire criteri organizzativi comuni e gestire le singole realtà locali nell’organizzazione dei sistemi di triage. Il documento redatto ha lo scopo di fare un triage che risponda ai requisiti normativi e abbia una base scientifica valida. Le linee di indirizzo sono state successivamente recepite dall’ assessorato regionale alla sanità e dopo un iter burocratico sono state approvate e quindi pubblicate sul B.U.R. Piemonte n.20 del 19 maggio 2005. E’ da annotare che è la prima volta che un provvedimento amministrativo viene redatto con la consulenza di soli professionisti infermieri. Il punto essenziale di queste linee guida è quello di raccomandare l’attivazione di sistemi di triage in tutti i pronto soccorsi regionali, anche quelli con accessi inferiori a 25.000 l’anno (contrariamente alla normativa nazionale che indica il numero di 25.000 accessi la base per attivare il triage). Il modello di riferimento è il triage globale fondato su una presa in carico del soggetto in maniera olistica. I codici colore stabiliti per definire le priorità sono quattro, fondati sulla stabilità delle funzioni vitali e sul rischio evolutivo della siwww.emergencyoggi.it
tuazione. La rivalutazione è parte integrante del processo di triage e viene rimarcata nelle linee guida approvate, indicando i tempi massimi di rivalutazione. La documentazione di triage è parte integrante della documentazione sanitaria del paziente e deve essere compilata con tutta cura. I protocolli di triage che vengono elaborati necessitano di una periodica revisione. Altro aspetto del provvedimento è la disponibilità di risorse materiali, tecnologiche ed umane. La funzione di triage deve essere svolta a rotazione da tutti gli infermieri appartenenti all’organico di pronto soccorso in possesso dei requisiti e della formazione specifica. La formazione e i sistemi di verifica sono ulteriori pilastri del sistema triage. Per quanto riguarda la formazione specifica al triage, dopo la definizione dei requisiti necessari per potervi accedere, vengono individuati due livelli: viene definito un percorso abilitante che si compone di un corso teorico di almeno 24 ore residenziali nel quale si devono trattare argomenti riguardanti la metodologia di valutazione del triage, gli aspetti clinici delle principali patologie che affluiscono al pronto soccorso, gli aspetti relazionali, gli ambiti di responsabilità del triagista, i protocolli e le modalità operative specifiche della struttura. Successivamente, superato il corso, è previsto un periodo di affiancamento con un collega esperto di triage che avrà il compito di abilitare l’infermiere alla funzione di triage. (Marchisio, 2005). La formazione permanente viene sviluppata non solo con incontri tematici di approfondimento clinico o metodologico ma anche con audit clinici su casi e incidenti critici nell’ottica del risk management e della riduzione della possibilità d’errore. La valutazione a livello regionale avviene con una metodologia condivisa dai professionisti e che prende in considerazione gli aspetti strutturali, la gestione dei processi, l’organizzazione delle attività e le performance professionali. L’intero sistema di valutazione si fonda sull’individuazione di setting critici su cui vengono effettuati interventi correttivi o di rinforzo. Il sistema triage Piemonte, risulta essere ad oggi, il sistema che valorizza la professione infermieristica nell’aspetto di autonomia e responsabilità, con un sistema legislativo regionale che conferma l’importanza e riconosce il professionista infermiere come l’unico operatore idoneo a fare triage intra ospedaliero.
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IL MODELLO TRIAGE DEL LAZIO Il modello triage del Lazio, prevede l’elaborazione di un manuale pratico sull’uso del triage nelle strutture d’emergenza del Lazio per adeguare e uniformare i modelli organizzativi ospedalieri ai riferimenti normativi in materia di triage. La necessità di avere un modello triage nasce già da una delibera regionale del 22 dicembre 1998: Attivazione del Sistema Informativo Emergenza Sanitaria, integrazione del Sistema Ospedaliero. Questa delibera afferma l’obbligatorietà della trasmissione alla Regione di dati relativi all’attività di pronto soccorso, sia amministrativa che clinica e per la prima volta appare la codifica di Triage. Tra il 1999 e il 2000, tramite l’Agenzia di Sanità Pubblica (A.S.P.) parte il sistema G.I.P.S.E. (gestione informazioni pronto soccorso ed emergenza) con due schermate dedicate al triage. Successivamente nell’agosto 2000, la delibera regionale 1915 afferma che le remunerazioni delle prestazioni di pronto soccorso devono essere definite in base al codice colore di priorità assegnato dall’infermiere di triage. Nel piano sanitario regionale 2002-2004, si legge che l’applicazione sistematica del triage è il modello d’indirizzo e selezione del paziente e sono previsti incentivi alla introduzione del triage in tutte le strutture di emergenza utilizzando anche la leva della remunerazione. La conclusione di uno studio effettuato sugli aspetti clinico - assistenziali del triage nel Lazio, effettuato per conto dell’ A.S.P. Lazio nel novembre del 2000, evidenziava la mancata attivazione del triage in tre strutture del Lazio con oltre 25.000 accessi l’anno; un triage attivo h 12 in due D.E.A. di I livello e 4 P.S.; un utilizzo del triage di bancone nel 64% delle strutture;
Pronto Soccorso - Ex Osp.S.Giacomo - Roma
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percorsi formativi disomogenei, l’assenza di protocolli validati dal dirigente del servizio nel 43% dei casi, l’inadeguatezza strutturale nel 21% e l’impiego di personale con anzianità inferiore allo standard nel 26%. Le proposte fatte furono la costituzione di un gruppo di lavoro interprofessionale per uniformare i percorsi formativi ed organizzativi - gestionali, inserire il triage nella valutazione dell’accreditamento istituzionale, promuovere il processo di Miglioramento Continuo della Qualità con integrazione fra triage intra ed extra ospedaliero. (Progetto Formazione Triage modello Lazio, 2002) Il gruppo di lavoro interprofessionale (a maggioranza medico) si organizzò in una collaborazione con la Società Italiana Medici Emergenza Urgenza, nell’elaborazione di un manuale di triage, l’elaborazione di una nuova scheda triage e un riconoscimento del triage nel piano formativo regionale. Nel Gennaio 2007, in collaborazione con il Ministero della Salute e la Regione Liguria, l’A.S.P. Lazio partecipa al Progetto Mattoni sulla definizione del sistema di valutazione dei pazienti (triage P.S. e 118). Il progetto “Mattoni del S.S.N.” Dal 2002 è in corso la progettazione e implementazione di un nuovo sistema informativo sanitario il cui obiettivo è di costruire strumenti di misura del bilanciamento tra qualità e costi. Per avere informazioni corrette e chiare e quindi prendere decisioni efficaci, efficienti ed appropriate è necessario una interconnessione di dati ad ogni livello di governo: nazionale, regionale, provinciale e aziendale. La nascita quindi di un vero e proprio programma in cui sono coinvolte direttamente le Regioni organizzate in 15 gruppi di progetto su alcuni obiettivi sanitari. L’obiettivo Pronto soccorso e Sistema 118 fa parte dei 15 gruppi di progetto. Il progetto Pronto soccorso e sistema 118, nasce dall’importanza di ricorrere ad un efficace processo di valutazione dei pazienti con la necessità di razionalizzare ed ottimizzare l’intervento medico e di disporre un sistema sufficientemente flessibile, in grado di rendere ed assicurare una adeguata selezione dei pazienti in attesa in relazione all’urgenza dell’assistenza necessaria. Il documento, si propone quindi di individuare un modello di triage ospedaliero e pre - ospedaliero ed un sistema di codifica uniforma utilizzabile a livello nazionale.
IL MODELLO TRIAGE BRITANNICO Il sistema inglese di triage ha avuto i suoi inizi alla metà degli anni ’80 prendendo spunto da alcuni sistemi di selezione e valutazione dei pazienti adottati negli Stati Uniti. Il sistema variava da ospedale ad ospedale non esistendo una uniformità di comportamento. Grazie alla Carta dei diritti del paziente (1992), si stabilì che tutti i pazienti venivano accolti e triagiati entro cinque minuti dall’arrivo in P.S. La valutazione sulla porta del processo di triage che conosciamo oggi, prende quindi il sopravvento con non pochi problemi sul mantenimento degli standard di qualità. Dal 1997 grazie ad un gruppo di operatori sanitari, prese piede il sistema tutt’oggi adottato in tutto il Regno Unito: Il Manchester Triage System. Dal sintomo principale si segue una flow chart con elementi decisionali fino ad arrivare alla codifica di priorità del paziente. Questo sistema universale e standardizzato permette anche di avere dati statistici più accurati e soprattutto è utile per “parlare la stessa lingua” e definire quindi le criticità e le eccellenze. Recentemente in Inghilterra vengono determinati anche i tempi massimi di permanenza del soggetto all’interno dei Dipartimenti d’emergenza complice un incremento degli accessi nei pronto soccorsi (Neil, 1999).
IL MODELLO TRIAGE CANADESE Il triage in Canada si sviluppa attraverso una Canadian Triage Acuity Scale per standardizzare il triage a livello nazionale. Il riferimento è il triage australiano (NTS) da cui è partito il progetto per il sistema di triage canadese. Il modello di riferimento nazionale fu pubblicato alla fine del 1999. Successivamente sono state presentate le linee guida specifiche per l’emergenza pediatrica. In sostituzione dei codici colore abbiamo cinque livelli di priorità: livello 2 emergenza, livello 3 urgenza, livello 4 urgenze minori, livello 5 prestazioni ambulatoriali. Importante è stato lo stabilire il tempo entro il quale il paziente deve essere visitato. La scala utilizzata tra tutti i sistemi menzionati è forse quella che più risponde alle necessità dei pazienti e ha trovato un accordo tra i diffeAprile 2009
renti professionisti (Ospina, 2006).
Level I Level II Level III Level IV Level V
Resuscitation Emergent Urgent Less Urgent Non Urgent
Bullard, MJ. (2008, Marzo). Revisions tot he Canadian Emergency Department Triage and Acuity Scale adult guidelines. CJEM-JCMU 10 (2), 136-142.
IL MODELLO TRIAGE NEGLI STATI UNITI Il modello adottato negli Stati Uniti è fra i più significativi ed ha sviluppato il sistema di triage in molte nazioni tra cui il nostro paese. Esiste un sistema di triage eterogeneo sia nei metodi che nei sistemi di valutazione e quindi di codifica. Il triage globale rappresenta il 65% di sistema di triage utilizzato e ancora una volta è l’infermiere a svolgere questa funzione nell’89% dei casi (Emergency Nurses Association, 2001). Nella stessa ricerca si evince che nei 2/3 dei pronto soccorsi americani è stato utilizzato il sistema a tre livelli di priorità: emergenza, urgenza, non urgenza.
IL MODELLO TRIAGE OLANDESE E’ un sistema univoco e integrato di triage. Ovunque il paziente si presenti con la sua richiesta di prestazione sanitaria urgente, verrà valutato secondo un unico sistema di triage e protocolli che garantiscono la qualità della prestazione.
BIBLIOGRAFIA Accordo 25 ottobre 2001 tra il Ministro della salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. (2001, Dicembre 7) . “Triage intraospedaliero e chirurgia della mano e microchirurgia nel sistema dell’emergenza-urgenza sanitaria”, Gazzetta Ufficiale Italiana, 285. Accordo 22 maggio 2003 tra il Ministro della salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. (2003, Agosto 25) . “Linee-guida su formazione, aggiornamento e addestramento permanente del eprsonale operante nel sistema di emergenza/urgenza”, Gazzetta Ufficiale Italiana, 196. A.S.P. Lazio (2002). Progetto formazione triage modello Lazio. http://www.asplazio.it/asp_online/att
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In pratica, il paziente giusto riceve cure giuste, per motivi giusti, nel posto giusto in un percorso e dal professionista giusto e soprattutto in tempi rapidi. Le risorse vengono utilizzate in modo ottimale e il linguaggio è uniforme e chiaro per i professionisti e utenti. Il sistema di triage adottato è il Nederlands Triage Systeem (Feller, 2008). categorie U1 U2 U3 U4 U5
4. URGENTIECLASSIFICATIE urgentie klinische prioriteit levensbedreigend onmiddellijk spoed zo snel mogelijk dringend snel niet-dringenden geen tijdsdruk, wel dezelfde dag advies volgende werkdag
Cnv ambulance (2006, aprile). Nederland triage system op komst. http://cnvambulancezorg.web-log.nl/cnvambulancezorg/2006/04/nederlands_tria.html.
ospedaliera/sies new/corso triage. [18 ottobre 2008]. A.S.P. Lazio (2007). Sistema informativo emergenza sanitaria: dati di attività in pronto soccorso – anno 2007. http://www.asplazio.it/asp_online/att_o spedaliera/sies_new/Sies.php?menu= s2. [10 ottobre 2008]. Bullard, MJ. (2008, Marzo). Revisions tot he Canadian Emergency Department Triage and Acuity Scale adult guidelines. CJEM-JCMU 10 (2), 136-142. Cantarelli, M. (2007). Il questionario. Giornale italiano di Scienze Infermieristiche, 5, 106-111. Cone, K.J., & Murray, R. (2002). Characteristics, Insights, Decision making and preparation of ED triage nurses. Journal of Emergency Nursing, 28 (5), 401-406.
IL MODELLO TRIAGE AUSTRALIANO
Il sistema di triage australiano è caratterizzato dalla stima dell’urgenza clinica su cinque livelli. Il sistema utilizzato è l’ Australian Triage Scale, utilizzata anche dai canadesi in una prima stesura del modello di triage nazionale. Il triage si basa su una valutazione iniziale per determinare quanti minuti il paziente può attendere le cure da parte del medico. Per ogni livello è indicato il tempo massimo che il paziente può trascorrere senza cure mediche. Vengono indicate le condizioni sintomatologiche e assegnato il codice di priorità.
Consiglio regione Lazio (1994). Sistema di emergenza sanitaria Lazio Soccorso 118. B.U.R. Lazio, 21, 14. Deliberazione Giunta Regione Piemonte n.43-15182. (2005, Maggio 19). “Linee guida per l’attività di triage presso i pronto soccorsi piemontesi”, Bollettino Ufficiale Regione Piemonte, 20. Deliberazione Giunta Regione Toscana n. 958. (2008. Gennaio 2). “Modello triage see and treat”, Bollettino Ufficiale Regione Toscana, 1. Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri. (2008, Aprile, 17). Procedure e modulistica del triage sanitario nelle catastrofi, Gazzetta Ufficiale Italiana, 91. D.P.R. 27 marzo 2002. Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni per la determinazione dei livelli di assistenza
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sanitaria di emergenza. Gastaldi, S. (2004, gennaio). Formazione del personale per l’emergenza/urgenza. I quaderni I.P.A.S.V.I., 8, 11-17. Gerdtz, M. F., & Bucknall, T. K. (2001). Triage nurses’ clinical decision making. An observational study of urgency assessment. Journal Advanced Nursing, 35 (4), 550-561. Scelsi, S. (2008). I profili di cura. Materiale docenza corso di laurea in scienze infermieristiche e d ostetriche – Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Vance, J., Sprivulis, P. (2005). Triage nurses validly and reliably estimate emergency department patient complexity. Emergency Medicine Australasia, 17, 382-386.
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EMPOWERMENT in Pronto Soccorso in Pronto Soccorso
Un nuovo incarico di coordinamento in una nuova struttura rappresenta per un infermiere coordinatore una nuova sfida da raccogliere, una nuova opportunità professionale, certamente una nuova stimolante occasione. Analogamente altrettante aspettative, così come possibili “timori”, possono pervadere anche gli operatori della struttura interessata. Con questa consapevolezza, in occasione dell’avvicendamento nel coordinamento del servizio di Pronto Soccorso dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, l’Autore, infermiere con decennale esperienza clinica in infermieristica di Emergenza (Pronto Soccorso e 118) e quinquennale esperienza gestionale in coordinamento di area critica (T.I.N.-Terapia Intensiva Neonatale), ha operato alcune precise scelte di approccio. Nel presente lavoro vengono presentate le strategie gestionali adottate, la metodologia operativa utilizzata ed i primi risultati raggiunti.
Nicola Ramacciati Infermiere Coordinatore, S.C. di Pronto Soccorso –Accettazione – Osservazione Breve Intensiva, Azienda Ospedaliera di Perugia
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’incarico ad un nuovo coordinatore di unità, o struttura, non rappresenta solo un semplice avvicendamento, ma un fattore di cambiamento e novazione, foriero di aspettative e timori. Condividere subito con chiarezza, quale stile gestionale si intende adottare, quali obiettivi fissare e quali modalità per raggiungerli, è una valida strategia di approccio. Per questo l’incontro di presentazione del nuovo coordinatore, da parte del responsabile medico della Struttura di Pronto Soccorso e del responsabile infermieristico del Dipartimento di Emergenza, è un’occasione ottima per precisare subito, e sinteticamente, sia la mission infermieristica e assistenziale, che la vision dell’infermiere coordinatore. In questo caso la prima è stata imperniata sulla “centralità della persona assistita, a cui garantire tanto l’attenzione ed il rispetto, quanto la migliore qualità assistenziale”, la seconda sul principio di “capitalizzare la risorsa umana” tanto in termini di valorizzazione, quanto di ricerca continua delle migliori condizioni di lavoro, come: sicurezza e clima lavorativo, opportunità e crescita professionale, gratificazione e soddisfazione personale. Dichiarata la “filosofia” ovvero il “modello gestionale” (management) 1 che orienterà le scelte e gli interventi organizzativi, si passa alle fasi dell’analisi, della determi-
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nazione degli obiettivi di breve e medio termine, della partecipazione, dell’adozione degli interventi e della verifica dei risultati raggiunti. 2 Un coordinamento che intende investire sulla “risorsa umana” e stimolare un percorso di crescita può utilmente seguire alcuni “passaggi” per conoscere i fattori di input, delineare alcuni output ed attivare i necessari processi di attuazione e di verifica dei risultati raggiunti: • iniziare a conoscere le risorse umane coordinate; • analizzare il modello organizzativo del servizio; • identificarne i problemi principali; • adottare gli interventi correttivi; • attivare percorsi di miglioramento continuo della qualità; • valorizzare il capitale umano. Tra i possibili approcci organizzativi, in questo caso è stato scelto quello dell’empowerment, che prevede sia il coinvolgimento consuntivo, che quello organizzativo del personale, infermieri e operatori socio sanitari. 3 Con la parola empowerment, gli anglosassoni indicano un’azione mirata a “rendere abili e capaci di” (letteralmente il verbo to empower significa: “conferire potere, concedere autorità” 4). Spesso in infermieristica, così come in psicologia, si usa l’empowerment per aumentare le
capacità di una persona assistita, ovvero dei suoi familiari.5 Per esempio di fronte al bisogno assistenziale (come lo chiamerebbe V. Henderson), o all’inefficace o disfunzionale risposta umana al problema di salute (come direbbe, invece, M. Gordon), manifestato dai genitori di un neonato prematuro estremo ricoverato da dieci settimane in Terapia Intensiva, ben descritto dalla diagnosi infermieristica di “Compromissione del ruolo genitoriale, correlata a ospedalizzazione prolungata di neonato per prematurità”, tra gli interventi infermieristici per perseguire alcuni possibili obiettivi assistenziali (Attaccamento genitorebambino, Prestazioni di ruolo, Ruolo genitoriale, Coping)6 figurano strategie infermieristiche - basate su un modello di empowerment - per aiutare i genitori ad acquisire o accrescere comportamenti di ruolo, promuovere l’autodeterminazione, stimolare le capacità di prendere decisioni, favorire l’autoefficacia, ecc.7 Analogamente nel campo della scienza organizzativa l’empowerment viene utilizzato per favorire “una diffusa responsabilizzazione dei professionisti nella scelta delle modalità con le quali impostare il lavoro…, nel definire le strategie di miglioramento della qualità delle loro prestazioni…, sprigionare le potenzialità di autoregolazione e di adattamento…”.8 Aprile 2009
Materiali e metodi Il primo step operativo prevede l’iniziale “conoscenza” del capitale umano del reparto. A tal fine è stata elaborata una “Scheda Personale: Infermieri-O.S.S.” utile alla ricognizione dei singoli profili professionali e personali, nonché dei livelli/percorsi formativi inerenti gli ambiti specifici dell’infermieristica di emergenza e pronto soccorso (Fig.1). La “Scheda Personale”, quale strumento conoscitivo, oltre ai dati utili per descrivere la composizione anagrafica del personale per sesso, età e provenienza, fornisce informazioni utili a delinearne tanto il profilo professionale, come: il titolo di studio (formazione superiore di I o II grado, università); i titoli professionali di base (diploma professionale, diploma universitario, diploma di laurea) e quelli specialistici (master in area critica, coordinamento, laurea magistrale, altre lauree); la formazione post-base in infermieristica di area critica (BLS-D, P.-BLS, PHTC, ACLS, Triage, ecc.); i titoli di carriera (anzianità lavorativa, anni di servizio in PS/DEA) quanto il profilo personale, come: il livello di motivazione a lavorare in P.S.; il livello di gratificazione; i punti di “forza” ed i punti di “debolezza” della propria personalità. Per favorire una descrizione autentica del proprio profilo, è stata garantita a tutto il personale la massima riservatezza sia nella fase di somministrazione della scheda, che nella successiva analisi ed archiviazione. L’Infermiere Coordinatore ha, infatti, consegnato e ritirato singolarmente e personalmente le schede, assicurato l’anonimato nella fase di presentazione dei risultati, garantito la custodia dei dati. Simultaneamente è iniziata una conoscenza “diretta” sia del personale, che delle problematiche principali del servizio, attraverso una verifica “sul campo” nei vari ambiti operavi del servizio di Pronto Soccorso. Per alcuni giorni, infatti, l’Autore si è auto-assegnato, nei diversi turni, ai vari compiti operativi del servizio: assistenza infermieristica nell’area internistica, in quella traumatica, sala emergenze, triage, osservazione breve intensiva. Esperire sul campo i problemi ed i carichi di lavoro, nonché il “clima” di reparto è un valido metodo per l’analisi personale delle “criticità” ed i “problemi” del servizio. Aprile 2009
Un metodo necessario, ma non sufficiente, infatti, lo stile partecipativo previsto nell’empowerment, richiede il coinvolgimento diretto del personale per: facilitare la “lettura” dei problemi, suggerire le possibili “soluzioni”, ma soprattutto, favorire l’“adesione” agli interventi correttivi prospettati. Per questo è stato consegnato contestualmente alla “Scheda Personale”, anche un “Questionario sulle problematiche di reparto”(Fig.2), che prevede tre differenziati gradi di analisi: a livello di servizio a livello di assistenza infermieristica a livello personale. Ogni sanitario ha risposto indicando in ordine di priorità decrescente: i tre problemi principali del servizio, i tre problemi principali infermieristici, i tre limiti personali incontrati più frequentemente nel proprio agire professionale. Le date di riconsegna del questionario ed il relativo reporting sono state stabilite a 15 e 30 giorni. Un’apposita riunione di reparto fissata ad un mese è servita sia per il “rapporto” sulle criticità emerse, sia per stabilire i primi interventi organizzativi. Per rendere più “fruttuosa” possibile la riunione, è stata scelta la tecnica del brainstorming per l’individuazione delle soluzioni. L’infermiere coordinatore, in qualità di moderatore della riunione, infatti, dopo aver brevemente illustrato i risultati emersi dal “Questionario sulle problematiche” aggregati per frequenza, ha indicato le tre criticità prioritarie sulle quali concentrare l’attenzione ed invitato “tutti” i presenti a proporre le loro soluzioni. Al termine della “partecipata e convulsa” fase propositiva, sono state selezionate le migliori soluzioni e concordata l’adozione operativa. Nella sintesi finale il coordinatore ha fissato gli obiettivi e stabilito gli interventi operativi a breve e a medio termine, concludendo ringraziando tutto il personale di assistenza, infermieri e O.S.S., sia per la disponibilità accordata, sia per la puntualità e la precisione dimostrata - tanto nella fase di indagine, che nel confronto diretto in riunione - sia per la spiccata capacità di analisi. Il “report finale” è stato inoltrato alla direzione infermieristica ed al responsabile del reparto. www.emergencyoggi.it
Fig. 1 Scheda Personale Infermieri - OSS
Fig. 2 Questionario Problematiche di reparto
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Discussione La forte esigenza manifestata, nelle diverse occasioni di confronto, di miglioramento della qualità del “clima” lavorativo e la marcata disponibilità di tutti ad intraprendere azioni per un miglioramento qualitativo nei propri e specifici ambiti di competenza è un presupposto necessario, se non indispensabile, per avviare un percorso di miglioramento della qualità e per accrescere la “spinta motivazionale” e le “aspettative” del personale. Per questo il passo successivo nel processo di empowerment è stato quello di proporre un progetto strutturato di Miglioramento Continuo della Qualità (M.C.Q.) del Pronto Soccorso. Il progetto, che coinvolge trasversalmente tutto il personale di assistenza, si articola in cinque aree distinte: Organizzazione attività esterne, Qualità Percepita, Qualità dell’Assistenza, Documentazione, Logistica-manutenzione. Per ogni area è stata prevista la costituzione di un gruppo di lavoro che si occupa dello sviluppo di alcuni specifici progetti. La proposta è stata accolta positivamente e tramite apposita scheda è stata raccolta l’indicazione del gruppo di lavoro scel-
to da parte di ogni operatore assistenziale del Pronto Soccorso. (Tab. I) Dopo la costituzione dei gruppi di lavoro è stata chiesta la disponibilità, tramite libera candidatura, a svolgere il ruolo di “facilitatore” di progetto, quale punto di riferimento e di raccordo con l’infermiere coordinatore, che svolge per ogni area, oltre alla funzione di facilitatore, anche quella di “supervisore”. Per valorizzare la “risorsa umana” del P.S., la possibilità di presentarsi è stata offerta a tutto il personale di assistenza, ma sono stati comunque esortati i colleghi con percorsi di formazione superiore (master e laurea magistrale) a “riversare” ed “a mettere a disposizione” del reparto le competenze acquisite. (Tab. II) Durante un’apposita riunione, i partecipanti hanno espresso e accolto le diverse disponibilità Nelle settimane successive ogni facilitatore ha coinvolto i colleghi del progetto nelle diverse fasi realizzative, senza mai trascurate il momento della partecipazione trasversale a tutti i colleghi del Pronto Soccorso. Questo, se da un lato ha consentito e consente di coinvolgere tutto il personale e trasferire complessivamente i risultati ottenuti, è utile per
creare un clima di “emulazione” tra i vari gruppi. Fondamentale in queste fasi è il ruolo dell’infermiere coordinatore, che in veste di supervisore deve assolutamente evitare che si scivoli nel possibile clima di “competizione”. I più moderni approcci al management gestionale muovono serie critiche allo “spirito di competizione” ancora oggi utilizzato in molti contesti aziendali per agire sulla componente “motivazionale”, in quanto molto spesso mostrano un effetto boomerang, che finisce per “demotivare” irrimediabilmente, chi nella competizione non riesce ad emergere in maniera vincente. Pur evidenziando le diverse capacità e considerando le varie “velocità” dei componenti del gruppo professionale, il bravo coordinatore, deve puntare alla crescita di tutta la compagine ed innalzare il livello di risposta complessivo, tenendo “agganciati” anche chi stenta a tenere il passo con gli altri. Ad oggi tutti i progetti sono in piena realizzazione. Nei mesi di aprile-maggio saranno effettuati i primi corsi pilota di primo soccorso in alcune seconde classi di un istituto tecnico-professionale di Perugia, gli istruttori sono i componenti del Progetto:
Tab. I Organigramma dei Progetti
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Tab. II Facilitatori di Progetto
Area 1. Organizzazione attività esterne: a) Corsi sul primo soccorso nelle scuole. Il 29 maggio si svolgerà la prima edizione del corso ECM: “Il Triage infermieristico Intraospedaliero attuato attraverso l’analisi del Processo Assistenziale” che vede impegnati nell’organizzazione e docenza gli infermieri del Progetto: Area 1. Organizzazione attività esterne: b) Organizzazione Convegni/Corsi. Il facilitatore del Progetto: Area 1. Organizzazione attività Aprile 2009
esterne: c) Pubblicazioni scientifiche, oltre al presente lavoro, sta supervisionando la stesura degli elaborati per la presentazione dei risultati di ricerca prodotti in alcuni dei progetti attivati, da proporre ad alcune riviste professionali a carattere locale o nazionale. Il Progetto: Area 2. Qualità Percepita: a) Customer Service & Satisfaction ha terminando l’elaborazione del questionario di gradimento per gli utenti ricoverati in Osservazione Breve e www.emergencyoggi.it
per quelli del Pronto Soccorso ed attende l’approvazione dell’Ufficio Qualità-URP per avviare l’indagine. Il gruppo del Progetto: Area 2. Qualità Percepita: b) Accoglienza e Fruibilità delle strutture, oltre ad aver predisposto la nuova cartellonistica nei locali del P.S., sta provvedendo, tramite sponsorizzazione, al maxidisplay informativo installato nella sala di attesa dell’area triage, che nel palinsesto previsto, oltre a brevi spot pubblicitari e alle news, fornirà istruzioni sul funzionamento del pronto soccorso e brevi interventi, a cura degli operatori del P.S., di educazione sanitaria sul primo soccorso. Per quanto attiene l’Area 3. Qualità dell’Assistenza: a) Risk management, oltre alla partecipazione a specifici corsi ECM, in occasione di un evento “near missing” dopo l’incident reporting è stato condotto un audit coinvolgendo tutto il personale. Il gruppo Area 3. Qualità dell’Assistenza: b) Rischio Occupazionale, dopo aver avviato alcuni interventi di “sensibilizzazione” sul rischio Infettivo aereo, percutaneo e mucocutaneo, ha recentemente concluso uno specifico studio/testing sui Dispositivi di Sicurezza, che ha visto impegnati in qualità di tester tutti gli infermieri del servizio. Il Progetto Area 3. Qualità dell’Assistenza: c) Procedure Assistenziali è in piena attività. L’Area 4. Documentazione: a) Modifiche/elaborazione schede infermieristiche ha prodotto già alcune nuove schede ad uso interno e sta lavorando all’implementazione procedurale sotteso all’introduzione della nuova modulistica. Analogo discorso può essere fatto per l’Area 4. Documentazione: b) Progetto “Compromissione dell’integrità cutanea”, che tra l’altro, tramite donazione, ha acquisito una fotocamera digitale per corredare iconograficamente gli items raccolti nell’apposita scheda di raccolta dati inerente i pazienti trattati per le lesioni cutanee complicate. Il gruppo afferente all’Area 4. Documentazione: c) Formazione/tutoraggio ha strutturato un corso ECM sulle tecniche di bendaggio semplice, particolare e gessato, rivolto a tutti gli infermieri del Pronto Soccorso, che prevede lezioni frontali, laboratori tecnicopratici e formazione sul campo. Anche in questo caso sono stati coinvolti, in veste di docenti, alcuni infermieri esperti del servizio, con idoneo curriculum. I facilitatori dell’Area 4. Documentazione d) Scheda di Triage, sono stati inseriti in un progetto aziendale di “Miglioramento della documentazione assistenziale”, che tra l’altro vede impegnati come discenti tutti gli infermieri del P.S. Infine i Progetti a) Riorganizzazione dei magazzini e b) Logi-
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stica/manutenzione dell’ Area 5. Logistica/manutenzione sono pienamente operativi, con i locali per lo stoccaggio dei presidi e materiali del pronto soccorso completamente riammodernati, razionalizzati e facilmente fruibili. Conclusioni La risposta del personale è stata molto buona ed il clima lavorativo è in progressivo miglioramento. Il primo obiettivo, quello di agire sull’attivazione delle “risorse personali” del capitale umano/professionale del Pronto Soccorso è stato raggiunto, il secondo obiettivo quello che agisce sull’ambito “motivazionale” è stato ugualmente raggiunto e può essere incrementato se supportato da azioni di feedback positivo, incentivazioni, gratificazioni, coinvolgimento nelle scelte, ecc. 9, 10 Entrambi gli obiettivi sono comunque dinamici e prevedono implicitamente lo spostamento della linea del traguardo sempre oltre quella di arrivo, in un costante rilancio di sfide e nuove mete. Con questo convincimento si stanno cercando supporter per sostenere e stimolare il gruppo infermieristico/assistenziale del Pronto Soccorso in questo percorso di miglioramento. Non solo per eventuali coperture finanziarie di alcuni progetti, ma soprattutto come partner di iniziative quali la formazione/educazione sanitaria nelle scuole, l’accoglienza in Pronto Soccorso, la qualità percepita, ecc. con il dichiarato intento di creare delle “sinergie” tra l’Azienda o eventuali sponsor ed i sanitari del nostro servizio, per perseguire quegli obiettivi di qualità delle cure, di qualità percepita, di umanizzazione ed accoglienza che deve caratterizzare un servizio di Pronto Soccorso. 11
PRESIDENTE DEL CONGRESSO Fulvio Bussani - Perugia CONSIGLIO DIRETTIVO Presidente Mario Costa Vice Presidenti Francesco Enrichens Carlo Maria Mancini Carlo Gentile Segretario Francesco Bermano Tesoriere Stefano Ferlito
SOCIETÀ ITALIANA SISTEMI 118: Roma Torino Rieti Crotone Genova Imperia
COMITATO ORGANIZZATIVO B. Abbamonte Perugia P. Bietta Perugia G. Bocciarelli Perugia L. Cini Perugia C. Condello Perugia C. Fusaro Perugia Z. Golabi Perugia A. Lillacci Perugia M. Margutti Perugia D. Marzuola Perugia A. Mesoraca Perugia M.P. Telera Perugia
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PER INFORMAZIONI: Tel. 075/5730617 Fax 075/5730619
[email protected] www.csccongressi.it
Ringraziamenti Ringrazio il Prof. Fulvio Bussani, Responsabile della S.C. di Pronto Soccorso – Accettazione – Osservazione Breve Intensiva – C.O. 118 dell’Azienda Ospedaliera di Perugia ed il Dott. Mario Capruzzi per il supporto ed il sostegno fattivo a tutti i progetti attivati, nonché alle altre iniziative poste in essere dall’Infermiere Coordinatore, tutti i dirigenti medici del P.S. Ringrazio la dirigente infermieristica Dott.ssa Serena Agrestini ed il CPSE Mario Marinelli del Dipartimento delle Professioni Sanitarie. Un grazie particolarissimo lo rivolgo a tutte le infermiere e gli infermieri, le operatrici e gli operatori socio sanitari che ho l’onere e, soprattutto, l’onore di coordinare. Sono loro il mio stimolo “motivazionale” e la mia “gratificazione” professionale. Riferimenti bibliografici Bachechi D., et al. Management in sanità, Franco Angeli, 2002, 31-49. Bonaldi A., Focarile F., Torreggiani A., Curare la qualità, Manuale per valutare e migliorare l’assistenza sanitaria, Guerrini e Associati, 1994. Calamandrei C., Orlandi C.., La dirigenza Infermieristica, 2a ed., Mc Grow-Hill, 2002, p.273. Skey M., et al. Advanced Lerner’s Dictionary of Current English, Oxford University Press. D’Ivernois J.F., Gagnayre R., Educare il paziente, Mc Graw-Hill, 2006. Carpenito-Moyet L.J.., Diagnosi infermieristiche Applicazione alla pratica clinica, 2a ed., Casa Editrice Ambrosiana, 2004, p. 804. Wilkinson J.M., Diagnosi infermieristiche con NOC e NIC, Casa Editrice Ambrosiana, 2005, p. 516. Calamandrei C., Orlandi C.., op. cit., p. 273. Calamandrei C., Pennini A.,, La leadership in campo Infermieristico, Mc GrowHill, 2006. Shaw S., Leadership infermieristica, Casa Editrice Ambrosiana, 2008. Bonalumi N.M., King D., Professionalism and leadership, in E.N.A., Emergency Nursing Core Curriculum, 6th ed., Saunders, 2007.
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L’AEROAMBULANZA per tutti S
i è svolto presso l’Hangar 1 dell’Aeroporto ATA di Milano Linate, l’incontro di presentazione ufficiale di 118AIR, l’unica società italiana di trasporto in aero ambulanza. Cesare Cadeo ha introdotto l’incontro presentando l’Amministratore Delegato e Presidente di 118AIR Carlo Gioia. Gioia ha spiegato i motivi che lo hanno portato a fondare 118AIR: “Ogni anno migliaia di italiani si ammalano quando sono all’estero e chiedono di rientrare nel nostro Paese. In molti casi il trasporto può avvenire solamente in aeroambulanza, ma mentre all’estero esistono società che svolgono questo servizio, in Italia mancavano. Per rispondere a questa esigenza ho fondato 118AIR. I voli in aeorambulanza hanno però un costo insostenibile e fino ad oggi sono stati riservati a pochi. 118AIR li ha resi alla portata di tutti grazie ad una carta che costa 118 euro all’anno. La nostra Compagnia si è dotata delle migliori attrezzature a livello europeo e tutti gli aerei sono attrezzati per la telemedicina”. Successivamente è intervenuto Michele Quinto, Direttore Medico Gruppo Filo Diretto, che ha descritto l’operatività dei voli sanitari e la loro necessità in risposta al fenomeno del turismo di massa. Quinto ha anche ricordato che oggi molte importanti Compagnie aeree rifiutano di accogliere a bordo i pazienti barellati, ed è quindi estremamente importante la presenza di società come 118AIR specializzate in questo servizio. Ha poi preso la parola il medico anestesista rianimatore Marco Lualdi, responsabile sanitario e formazione 118AIR che ha illustrato la dotazione medica tecnologica presente a bordo degli aerei. Cesare Cadeo ha quindi dato la parola a Vincenzo Bosso che ha sperimentato personalmente il servizio di 118AIR. Bosso era in Ucraina e il 30 dicembre 2008 è stato colpito da dissecazione dell’aorta: una patologia grave che richiede un trattamento sanitario immediato e intensivo. L’ospedale nel quale Bosso era stato ricoverato non disponeva delle strutture adeguate per effettuare la necessaria operazione chirugica, e così i parenti il giorno successivo si sono rivolti a 118AIR. Alle 19.30 del 31 dicembre Bosso era già nella sala operatoria dell’Istituto San Raffaele
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di Milano dove è stato sottoposto a un intervento che lo ha ristabilito completamente. Gioia ha consegnato la tessera numero 1 di 118AIR CARD a Chantal Borgonovo, moglie di Stefano Borgonovo, il popolare calciatore affetto da SLA. 118AIR sostiene infatti l’attività della Fondazione Borgonovo e ha avuto l’onore di trasportare in aero ambulanza lo sportivo per permettergli di partecipare a manifestazioni pubbliche nonostante le sue gravi condizioni di salute. L’incontro è proseguito con la presentazione del commovente videoclip “Ci parliamo da grandi” che Eros Ramazzotti ha voluto dedicare a 118AIR. Il viaggio nella vita di una piccola ricoverata è descritto con le immagini degli aerei, delle operazioni di trasporto e dei medici al lavoro, mentre la musica di Ramazzotti dava corpo alla speranza: “C'è un dolore che è un viaggio da fare… C'è un cammino che è l'unica scelta”. Una speranza che si trasforma in solidarietà, e che apre a un nuovo viaggio.
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118AIR la nuova compagnia di AEROAMBULANZE 118AIR è la prima ed unica società italiana di aereo ambulanze che effettua voli nazionali e internazionali. 118AIR garantisce il rientro di persone ammalate, qualsiasi sia la situazione sanitaria, da qualunque luogo e in tempi rapidi. La missione di 118AIR Quando una persona si ammala all’estero o in una città italiana diversa da quella in cui abita, quando vuole tornare a casa o essere ricoverata in un altro ospedale, può rendersi necessario organizzare un trasporto aereo speciale. Questi trasferimenti hanno dei costi estremamente elevati quasi mai inferiori a 10.000 euro, anche per quanto riguarda i voli nazionali. 118AIR ha reso alla portata di tutti questi trasferimenti aerei attraverso la sua 118AIR CARD, la tessera dal costo di 118 euro l’anno che garantisce di usufruire delle aeroambulanze di 118AIR. Chiunque può acquistare la 118AIR CARD: anche gli over 75. Ogni iscritto compila una scheda sanitaria on line che è conservata in un server protetto e che può essere resa visibile ai medici attraverso un codice alfanumerico personale. Aprile 2009
Viaggiare con 118AIR Per richiedere assistenza e organizzare il viaggio è attivo il numero verde 800118247 o è possibile inviare un’email a
[email protected]. La partenza avviene entro due ore dalla conferma ufficiale della richiesta. Anche per quei Paesi dove è previsto uno speciale permesso di sorvolo o atterraggio i tempi non superano mai 36 ore. Il viaggio avviene nella massima sicurezza. A bordo di ogni aereo è presente un’equipe medica che comprende sempre un medico anestesista rianimatore e un infermiere ALS-Advanced Life Support. L’allestimento dell’aereo è paragonabile a un’unità di terapia intensiva ospedaliera dotata di strumenti quali eco cardio color doppler portatile, monitor multiparametrico per il monitoraggio costante delle funzioni vitali, defibrillatore, ventilatori polmonari, emogas analisi portatile ed attrezzature speciali per la circolazione extracorporea. Ogni patologia particolare riceve assistenza specialistica personalizzata. Durante il volo un sistema di telemedicina consente all’equipe sanitaria di trasmettere tramite collegamento satellitare i pa-
rametri del paziente all’ospedale di destinazione.
LA FLOTTA 118AIR
I mezzi di 118AIR 118AIR dispone di quattro aerei: i jet Learjet 35A e Cessna Citation SII, i turbo elica Beechcraft King Air 200 e il Piper Cheyenne III. Per i trasporti a terra dall’aeroporto agli ospedali si utilizzano ambulanze o auto mediche.
Learjet 35 A Velocità: 790 Km/h Autonomia: 3.500 Km Altitudine Max.: 14.000 m Equipaggio: 2 Piloti Jet ideale per voli di medio-lungo raggio, è uno degli aerei più veloci della sua categoria. Può trasferire uno o due pazienti ed un eventuale accompagnatore oltre allo staff sanitario.
La storia di 118AIR 118AIR è stata fondata nel 2007 dal pilota d’aerei Carlo Gioia, che ne è Presidente e Amministratore Delegato. Il Comandante Gioia per diversi anni ha volato sui Canadair, sperimentando tutta la complessità dell’organizzazione dei voli di emergenza. 118AIR nel 2008 ha effettuato oltre 180 missioni nazionali ed internazionali. 118AIR opera in convenzione con la Fondazione Borgonovo ed ha trasferito più volte Stefano Borgonovo, oggi affetto da SLA. Con la presentazione di 118AIR CARD il servizio di aeroambulanze oggi viene garantito a tutti ad un prezzo di 30 centesimi al giorno.
Cessna Citation SII Velocità: 715 Km/h Autonomia: 3.400 Km Altitudine Max.: 13.000 m Equipaggio: 2 Piloti Jet ideale per voli a medio raggio, può trasferire fino a due pazienti di cui uno critico con necessità di cure intensive, un accompagnatore oltre allo staff sanitario. Beechcraft King Air 200 Velocità: 555 Km/h Autonomia: 1.650 Km Altitudine Max.: 10.000 m Equipaggio: 2 Piloti Aereo a turbo elica, è in grado di atterrare su piste corte. Può trasferire fino a due pazienti critici con necessita di cure intensive, due accompagnatori oltre allo staff sanitario. Piper Cheyenne III Velocità: Autonomia: Altitudine Max.: Equipaggio:
530 Km/h 3000 Km 9.700 m 2 Piloti
Aereo a turbo elica ideale per i voli sanitari a corto raggio. Può trasferire fino a due pazienti di cui uno critico con necessità di cure intensive, un accompagnatore oltre allo staff sanitario. www.emergencyoggi.it
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Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia
alcol e sicurezza stradale i dati preliminari 2008 del sistema di sorveglianza passi Ben il 12% degli italiani che consumano alcolici si mette al volante dopo aver bevuto, mettendo a rischio la sicurezza propria e altrui. Non sono pochi i controlli delle forze dell’ordine: più del 40% degli intervistati è stato fermato almeno una volta nel corso dell’ultimo anno. L’etilotest, invece, si dimostra uno strumento ancora poco utilizzato. I nuovi numeri del sistema di sorveglianza PASSI (Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia) propongono un approfondimento su alcol e sicurezza stradale. Più di un italiano su dieci si mette alla guida dopo aver bevuto almeno due bicchie-
ri di vino o due lattine di birra: quantità sufficienti per abbassare significativamente la soglia di sicurezza al volante. Anche se si tratta di un’abitudine diffusa in tutto il paese, è netta la forbice tra nord e sud: in Basilicata, per esempio, nella provincia di Matera questo valore scende al 5%, mentre in Valle d’Aosta arriva al 16%. Più in generale, poco meno di due terzi della popolazione adulta tra 18 e 69 anni consuma abitualmente alcolici. Analizzando per sesso, i consumi di alcol risultano più diffusi tra gli uomini in tutte le Regioni che partecipano al sistema di sorveglianza.
Per quanto riguarda i consumi a rischio, si distinguono tre possibili comportamenti: • i forti bevitori (per gli uomini, chi beve tutti i giorni più di tre unità alcoliche; per le donne più di due) • chi beve fuori pasto • i bevitori binge (chi beve sei o più unità di bevande alcoliche in un’unica occasione). Complessivamente i consumatori a rischio sono il 16%; i bevitori a rischio possono essere presenti in più di una delle tre categorie di rischio (fuori pasto - binge - forte bevitore). I controlli sistematici delle forze dell’ordi-
CHE COS’È IL SISTEMA DI SORVEGLIANZA PASSI? Nel 2006, il Ministero della Salute ha affidato al Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute dell’Istituto Superiore di Sanità il compito di sperimentare un sistema di sorveglianza della popolazione adulta (Passi, Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia). L’obiettivo è stimare la frequenza e l’evoluzione dei fattori di rischio per la salute, legati ai comportamenti individuali, oltre alla diffusione delle misure di prevenzione. Tutte le 21 Regioni o Province autonome hanno aderito al progetto. Da aprile Aprile 2009
2007, è partita la rilevazione dei dati in 20 Regioni. Un campione di residenti di età compresa tra 18 e 69 anni viene estratto con metodo casuale dagli elenchi delle anagrafi sanitarie. Personale delle Asl, specificamente formato, effettua interviste telefoniche (circa 25 al mese) con un questionario standardizzato. I dati vengono poi trasmessi in forma anonima via internet e registrati in un archivio unico nazionale. A marzo 2009, sono state caricate oltre 60 mila interviste. Per maggiori informazioni, visita il sito www.epicentro.iss.it/passi.
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PASSI
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Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia
ne con etilotest, strumento efficace contro la guida in stato di ebbrezza, sono ancora poco diffusi e sembrano indirizzati più sui giovani, anche se il fenomeno riguarda tutte le classi di età. Sono alcuni dei primi dati che emergono dalle rilevazioni effettuate nel 2008 dal sistema di sorveglianza PASSI, promosso dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e realizCONSUMO ALCOLICO A RISCHIO ultimi 30 giorni) Pool di Asl Forti bevitori
2007
2008
4%
4%
Bevitori fuori pasto
8%
8%
Bevitori binge
7%
7%
16%
16%
*
Consumatori a rischio
Guida sotto l’effetto dell’alcol tra chi riferisce di consumare bevande alcoliche e di guidare auto o moto. Pool di Asl, Passi 2008 (%). Pool di Asl, Passi 2008* (%)
Persone che riferiscono un controllo da parte delle Forze dell’ordine. Pool di Asl, Passi 2008 (%)
Persone che riferiscono l’effettuazione di un controllo con etilotest. Pool di Asl, Passi 2008 (%)
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* Definito come forte bevitore e/o bevitore fuori pasto e/o bevitore binge.
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www.epicentro.iss.it/passi zato dalle Regioni e Province autonome italiane con il coordinamento del Centro nazionale di epidemiologia dell’Istituto superiore di sanità. L’obiettivo è tenere sotto osservazione l’evoluzione dei maggiori fattori di rischio per la salute della popolazione italiana. ETILOTEST E CONTROLLI DELLE FORZE DELL’ORDINE Proprio per approfondire il problema degli incidenti stradali legato all’abuso di alcol e monitorare le attività di prevenzione che svolgono sulle nostre strade le forze dell’ordine, sette Regioni (Valle D’Aosta, Provincia autonoma di Trento, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana e Lazio) hanno effettuato una rilevazione ancora più dettagliata. Il 42% dei circa 5.300 intervistati nel 2008 dichiara di aver subito un controllo – da guidatore o da passeggero – nel corso dell’ultimo anno. Dal confronto tra quanto riferito dagli intervistati di queste sette re-
POCO MENO DI DUE TERZI DELLA POPOLAZIONE TRA 18 E 69 ANNI DEL POOL DELLE ASL CHE PARTECIPANO AL SISTEMA PASSI CONSUMANO ABITUALMENTE ALCOLICI. QUASI UN SESTO DI LORO PUÒ ESSERE CONSIDERATO UN BEVITORE AD ALTO RISCHIO
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gioni, in Friuli-Venezia Giulia i controlli sembrano più assidui (48% degli intervistati). Nel Lazio, invece, questa percentuale scende al 37%. Tuttavia, solo il 9% dei fermati riferisce che il guidatore è stato sottoposto anche al “test del palloncino”: si tratta di meno dell’1% di tutti gli intervistati. Il ricorso all’etilometro sembra più frequente tra i giovani (18-24 anni) e negli uomini. È quindi ampio il margine di miglioramento per contrastare il fenomeno della guida sotto l’effetto dell’alcol, incrementando l’uso di questo strumento durante i controlli di routine. Nella metà dei casi in cui è stato effettuato un etilotest, il controllo è capitato una sola volta negli ultimi 12 mesi. È l’Emilia-Romagna (14%) la regione in cui più spesso i fermati riferiscono l’effettuazione di un etilotest. Molto meno nel Lazio, dove solo il 4% delle persone controllate dalle forze dell’ordine riferisce che il guidatore è stato sottoposto a verifica del tasso di alcolemia. I CONSUMI A RISCHIO In generale, consumare alcolici è un’abitudine piuttosto diffusa in tutto il Paese. Considerando le persone che dichiarano di aver bevuto nell’ultimo mese almeno un bicchiere (60%), è evidente il gradiente tra nord e sud Italia: in Campania e in Sicilia,
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per esempio, i consumi riferiti sono molto più contenuti (47% degli intervistati) rispetto al Friuli-Venezia Giulia (72%). Più preoccupanti i numeri sulle modalità di consumo. Secondo la fotografia scattata dalle aziende sanitarie, infatti, quasi un italiano su sei è un bevitore ad alto rischio: cioè beve fuori pasto, beve per ubriacarsi (binge drinking) oppure dichiara consumi tali da classificarlo come un forte bevitore. Anche per queste categorie, si conferma lo stesso gradiente nordsud osservato per i consumi generali. I dati del 2008 sono in linea con quelli già rilevati nel 2007. Scendendo a un dettaglio regionale, in Alto Adige si registra la percentuale più elevata di bevitori fuori pasto (24%) e di binge drinker (14%), mentre provincia di Matera e Campania presentano quello più basso per i consumatori fuori pasto (3%) e la Sicilia per i binge drinker (3%). I controlli sistematici con etilotest in tutte le classi di età costituiscono uno strumento di provata efficacia nella riduzione della mortalità per incidenti stradali. Dai dati della sorveglianza Passi, però, risultano ancora poco diffusi e sembrano indirizzati maggiormente verso i giovani. C’è quindi un ampio margine di miglioramento, grazie a una maggiore diffusione di pratiche di prevenzione e contrasto già avviate nel nostro Paese.
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