Presenze Francescane E Statuaria Sacra Nella Chiesa Della Ss. Annunziata Di Ostuni

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Presenze francescane e statuaria sacra nella chiesa della SS.Annunziata di Ostuni

Notevoli sono le testimonianze artistiche dei Francescani Riformati della Provincia di S.Nicolò in Terra d’Otranto, a partire dalla prima metà del Seicento. Essi appaiono quasi sempre impegnati in continui rifacimenti, “suggeriti dal gusto del Seicento e del Settecento”.1 Inoltre, come ha evidenziato Anna Maria Panzera, “ una sorta di pratica “autarchica” da parte dei frati. (...) si risolveva nell’educazione degli artisti e delle loro maestranze (...) che venivano così messe in grado di produrre un grande numero di opere (...), anche in conseguenza della grande mobilità degli artisti conventuali da una dimora all’altra.” Al punto che “lo sfondo, sul quale si sviluppa la scena dell’attività artistica all’interno dei conventi francescani di Terra d’Otranto finisce (...) per configurarsi come una vera e propria “scuola” (...).2 Tra i tanti esempi di questo fenomeno rappresentato dalla scuola d’arte dei Frati Minori in Puglia, il complesso ostunese della SS.Annunziata, e quello minoritico di S. Francesco d’Assisi in Castellaneta rivelano interessanti analogie. 3 Tral’altro, a Castellaneta come ad Ostuni, operarono massicciamente i “caposcuola” francescani fra’ Giacomo da S.Vito,4 fra’ Giuseppe da Soleto, entrambi presenti fino al 1666 ca.,5 e inoltre fra’ Angelo da Pietrafitta. 6 I primi due, insieme a fra’ Silvestro da Lequile, furono discepoli di frate Francesco da Martina Franca, “primo pittore celebre della provincia di S. Nicolò”.7 Al loro seguito operarono numerosi allievi, i quali, insieme, costituirono quella numerosa schiera di artisti-confratelli che concorsero ad abbellire i conventi e le chiese della Serafica Riforma. Di fra’ Giuseppe da Soleto conosciamo un allievo frate laico riformato, fra’ Diego da Francavilla Fontana (? - 1749), 8 il quale avrà probabilmente operato in Ostuni, trasferendosi da qui con il suo maestro nell’Avellinese. Allo stato attuale, però, non è possibile attribuire a fra’ Diego alcuna delle opere presenti nella SS.Annunziata, anche se non è da escludere che l’aiuto sia stato impegnato accanto al maestro e che sue opere possano essere andate distrutte o dismesse a causa dei numerosi lavori e rifacimenti.

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Infatti, il superstite altare di San Francesco, e la documentazione fotografica del coro9 andato distrutto, anche se non direttamente attribuibili al maestro soletano o al suo aiuto, testimoniano comunque un consistente impiego di intagliatori di scuola riformata. Non è il luogo, qui, per soffermarsi ulteriormente a indagare presenze, determinare ruoli, o paternità delle opere prodotte nel corso del Seicento e del secolo successivo, tanti sono gli artisticonfratelli che seppero coniugare da sempre la regola e la devozione religiosa con l’ispirazione e l’esecuzione artistica all’interno dei loro conventi. Per ciò che riguarda la Chiesa della SS.Annunziata, è bene ricordare che la parentesi artistica non si esaurì con la seconda metà del Seicento e con le opere prodotte dai soli frati riformati. A partire dal 1718, per i lavori di rifacimento al convento e alla chiesa, furono impegnati dei laici; i “mastri di legname” Leonardo Calamo e Giovanni Cisaria, ostunesi, e Giovanni Antonio d’Amico, cegliese. Questi “visto et osservato il venerabile convento e chiesa...“, dopo aver constatato lo stato delle “cappelle, porte e portone e finestre della medesima, fenestre e stepi della sacristia...(e) per il tetto di essa, tempiatura, cappelle, porte, portone e finestre...”, determinarono per il rifacimento di questi un grosso quantitativo di materiale occorrente da commissionare a Venezia. 10 L’ordinativo lascia intuire l’entità dei lavori previsti per la chiesa e il convento della SS. Annunziata. Successivamente, durante l’ultimo trentennio del Settecento (1773 ca.), chiesa e convento videro protagonista di ulteriori lavori un altro ostunese: l’architetto Giuseppe Greco (1740-1807). A lui si deve il radicale rifacimento interno della Chiesa e la definizione delle linee della decorazione a stucco e scolpita nella stessa. Questi lavori furono occasione per ulteriori commesse di opere d’arte. Certamente riferibile all’Ottocento è il patrimonio della SS.Annunziata descritto in un documento del 1904, dove sono dettagliati gli oggetti sacri, gli arredi, le tele e le statue che adornavano gli altari a quel tempo. 11 La lettura del documento ci permette inoltre di recuperare l’ordine degli altari , la loro originaria intitolazione, la quantità di statue, la loro collocazione e, per alcune di esse, addirittura la provenienza.

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Partendo dall’altare maggiore, in senso antiorario, rileviamo che l’attuale altare dell’Immacolata era anticamente intitolato all’Addolorata e che su di esso era posta l’omonima statua lignea, “lavorata in Napoli a divozione di don Giacomo Semeraro”.12 Alla destra del medesimo era collocata la statua in legno di S.Filomena, proprietà di donna Virginia Maresca, con ogni probabilità commissionata a Napoli. La statua appare attualmente priva dei dati iconografici: la palma del martirio e l’ancora, realizzati in argento, e alcuni oggetti in oro. 13 Essa, tuttavia, conserva ancora oggi pressocché intatta la cromìa e gli originari indumenti impreziositi da delicati ricami in oro raffiguranti volute vegetali e fiori. Dopo l’altare della Schiodazione (distrutto) con l’omonima tela, seguiva e segue ancora l’altare di S.Pasquale Baylon con la statua in legno del Santo, a quel tempo in pessime condizioni. 14 Concludeva la navata sinistra l’altare della Nascita, oggi del Battista. La lettura della chiesa con gli arredi e le statue più antiche prosegue con gli altari della navata destra e con la statua lignea di S.Antonio di Padova sul medesimo altare, oggi intitolato a S.Francesco. Seguivano l’altare dell’Immacolata, oggi di S.Antonio, con l’omonima statua in legno; l’altare di S.Francesco con la statua in legno e cartapesta del Santo. Quest’ultima, databile intorno alla metà dell’Ottocento. Seguiva l’altare del Crocifisso con il gruppo ligneo del Calvario comprendente, oltre al Crocifisso, le due statue in legno rappresentanti S.Giovanni e l’Addolorata, opere di fra’ Angelo da Pietrafitta, di cui si è già detto. Sulla mensola dello stesso altare veniva segnalata in un documento del 1908 una statua di S. Rocco,15 attualmente nei locali del convento. La statua reca la seguente iscrizione (AE)RE PIORUM SCULPTA MDCCCXV(...). Completava la navata il Cappellone intitolato al beato Leonardo. Qui l’altare era anticamente corredato di una tela raffigurante lo stesso Beato e, sulla sinistra, la statua del medesimo “lavorata in Venezia a spesa di varii divoti”.16 La realistica statua di S.Leonardo da Porto Maurizio, beatificato nel 1796 e successivamente nominato patrono dei missionari, 17 è opera in cera realizzata da un abile maestro ceroplasta di area più generalmente settentrionale e operante in Venezia a cavallo dei due secoli.

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Il forte realismo espressivo del simulacro, eseguito a grandezza naturale, è dovuto alla morbidezza dei contorni, alla delicatezza delle sfumature, che esaltano la singolare verosimiglianza con l’incarnato, e all’uso di indumenti veri. Quest’ultimo espediente conferma la tradizione illusionistica della ceroplastica, preferita, in passato, per ottenere simulacri molto vicini al vero e di grande effetto. Sorvolo su l’usanza di fabbricare, sin dal tempo dei greci e dei romani, figure di cera, maschere o immagini di defunti da usare durante le cerimonie funebri, meglio conosciute come cerae o cerae pictae.18 Successivamente, in epoca medievale e moderna, la cera venne parecchio usata sia in Italia che all’estero, e numerosi furono gli ex voto, realizzati anche a grandezza naturale.19 In Italia, numerosi scultori utilizzarono la cera, considerata, nonostante i costi, materiale ausiliario per modellare figure o per preparare bozzetti per opere di dimensioni maggiori. Basti per tutti citare i fiorentini Lorenzo Ghiberti (1378-1455), Luca della Robbia (1400 ca.-1482), Andrea di Francesco di Ciòne, meglio conosciuto col soprannome di Verròcchio (1435-1488). Di quest’ultimo narra il Vasari: “Si dilettò assai Andrea (...) al fare imagini di più perfezione non pure in Fiorenza, ma in tutti i luoghi dove sono divozioni e dove concorrono persone a porre voti, e, come si dice, miracoli, per avere alcuna grazia ricevuto. Perciò che, dove prima si facevano o piccoli d’argento o in tavolucce solamente, o vero di cera e goffi affatto, si cominciò al tempo d’Andrea a fargli in molto miglior maniera, perchè avendo egli stretta dimestichezza con Orsino ceraiuolo, il quale in Fiorenza aveva in quell’arte assai buon giudizio, gli cominciò a mostrare come potesse in quella farsi eccellente”.20 Il racconto del Vasari, utile alla ricostruzione storica della ceroplastica, e sul quale pertanto mi diffondo, prosegue con l’incontro romano (1506 ca.) di Jacopo Tatti, detto il Sansovino (1486-1570), con il Bramante. Questi “gli ordinò che dovesse ritrar di cera grande il Laocoonte, il quale faceva ritrarre anco da altri, per gettarne poi uno di bronzo, cioè da Zaccheria Zachi da Volterra, Alonso Berugetta spagnolo e dal Vecchio da Bologna, i quali (...) fece vederli a Raffaello Sanzio da Urbino, per sapere chi si fusse di quattro portato meglio. Là dove fu giudicato da Raffaello che il Sansovino, così giovane, avesse passato tutti gli altri di gran lunga, (...) fu (...) ordinato che si dovesse fare gittare

5 di bronzo quel di Iacopo; e così, fatta la forma e gettatolo di metallo, venne benissimo” 21. Il Sansovino successivamente (1510 ca.), anche per il Perugino eseguì “molti modelli in cera; e fra gli altri un Cristo deposto di croce, tutto tondo, con molte scale e figure, che fu cosa bellissima”.22

Meritano d’essere inoltre citati artisti di altra area ed epoca, come il trentino Antonio Abondio (1538-1591), probabilmente il ritrattista in cera più celebrato del Cinquecento;23 l’abate siracusano Gaetano Giulio Zummo (1656-1701), per il quale la definizione di ceroplasta è quantomai pertinente per essersi servito per la realizzazione delle sue opere esclusivamente della cera. 24 Le opere dello Zummo - scrive R.W. Lightbown (1981) “testimoniano della sua abilità compositiva, della plastica bellezza delle sue figure, della vivacità con cui sapeva rendere azione ed espressione, nonché del suo perfetto dominio di ogni tradizionale espediente ausiliario della ceroplastica, dall’uso di sfondi dipinti, a quello del chiaroscuro. I suoi rilievi gareggiano, in fatto di ampiezza della concezione e di raffinatezza di esecuzione, con la scultura barocca eseguita con altri materiali e con la stessa pittura”.25 La ceroplastica proseguì nel Settecento, con la produzione di sculture e gruppi a soggetto sacro, specie in Emilia. Quanto alla mobilità degli artisti ceroplasti, val la pena sottolineare, senza comunque troppo a lungo soffermarvisi, la presenza di un artista di area centro-settentrionale nel meridione della Penisola: il fiorentino Giovanni Pieri (1698-1773), autore di ritratti e di scene di genere, attivo soprattutto a Napoli alla corte dei Borboni.26 Qui, successivamente, emerse in quest’arte la figura dell’alcantarino Pietro Antonio da Chiaia, al secolo Abramo Flora (1826-1906).27 Le sue opere spaziano dalla riproduzione di frutti in cera alla statuaria di carettere sacro. Tra le sue prime realizzazioni un Cristo moribondo (1867), esposto nella chiesa napoletana di S.Domenico Maggiore, e numerose altre opere. All’ Esposizione Universale del 1895, la ricerca e i risultati ottenuti nel campo della ceroplastica gli vennero riconosciuti con la medaglia d’oro, per la realizzazione del simulacro del Beato Egidio Maria di S.Giuseppe (1888), esposto nella chiesa di S.Pasquale a Chiaia in Napoli. 28 Il Flora non fu l’unico artista meridionale a diffondere e nobilitare questa antichissima espressione d’arte. 29 Ritornando alla SS.Annunziata, l’ordine del suddetto Cappellone è descritto

6 variamente già qualche anno dopo. Riferisce infatti un documento del 1908 che a sinistra dell’altare del Crocifisso “esistono tre nicchie, quella del centro con una statua di S. Leonardo. Nelle altre due nicchie esiste la Sacra Famiglia di proprietà, il S. Giuseppe della signora De Bernardis Marietta.”.30 Con la presenza delle confraternite di S.Anna e dello Spirito Santo, altre opere certamente si aggiunsero al patrimonio artistico della

chiesa, oggi conservate nei locali del Convento, tra le quali alcune in legno, come il Cristo morto e un’Addolorata. E’ ipotizzabile che entrambe le statue, l’una pendant dell’altra, fossero utilizzate durante i riti della Settimana Santa e quindi commissionate a tale scopo allo stesso artista. Completano la dotazione alcune opere in cartapesta databili tra la metà dell’Ottocento e il secondo quarto del nostro secolo: un Crocifisso di più antica fattura, e quattro angioletti, quest’ultimi provenienti dalla bottega di Cesare Gallucci (1899-1980), una testa d i Gesù, e due statuine raffiguranti i Santi Cosma e Damiano, realizzate in cartapesta e argilla, di buona mano ma, come le precedenti, molto deteriorate. Su queste ultime, e per alcune altre delle opere citate, si rinvia alla catalogazione che segue.

Salvatore P. Polito

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NOTE: 1 Cfr. B.F. Perrone, I conventi della Serafica Riforma di S.Nicolò in Puglia (1590-1835), vol.II, Galatina, 1981, p. 73. 1

Cfr. A.M. Panzera, La pittura francescana in Terra d’Otranto, in Il Barocco a Lecce e nel Salento, Roma, 1995, p. 41. Sull’argomento si sofferma a lungo B.F. Perrone, Storia della Serafica Riforma di S.Nicolò in Puglia, Bari, 1981, v. II, cap. V. 3 Cfr. B.F. Perrone, I conventi... cit., vol. II, p. 194. 4 Di fra’ Giacomo da S.Vito si ammirano ancora, nella chiesa di S.Francesco d’Assisi in Castellaneta (Ta), le tele raffiguranti S.Pietro d’Alcantara e Pasquale Baylon, S.Bonaventura e l’Immacolata. Quest’ultima appare replicata a Taurano (Avellino), Matera, Mesagne e Francavilla Fontana. (Br) (Perrone, I conventi... cit., vol. II, pagg. 209, 210). 5 A fra’ Giuseppe da Soleto sono attribuiti nella chiesa di S.Francesco d’Assisi in Castellaneta, i retablos degli altari di S.Antonio di Padova e di S.Antonio di Padova tra i SS. Vito e Leonardo, quest’ultimo in omaggio al maestro fra’ Francesco da Martina. (Perrone, I conventi... cit., vol. II, pag. 210). 6 Di fra’ Angelo da Pietrafitta sono le statue lignee del Calvario francescano, mentre gli sono attribuite la Vergine, la S.Caterina da Bologna, e il Crocifisso (1696 ca.), sempre nella chiesa di S.Francesco d’Assisi in Castellaneta. Un altro Calvario francescano dello stesso artista è presente a Ostuni, nella chiesa della SS.Annunziata, realizzato però poco dopo il 1693. (Perrone, I conventi... cit., vol. II, pagg. 85, 86 e 211, 212). 7 Cfr. A.M. Panzera, La pittura... cit., p. 41. 8 Cfr. P. Adiuto Putignani, Necrologio dell’Alma Provincia Minoritica della Assunzione della B.V. Maria di Lecce, Lecce, 1962, pag. 154. Il nome di fra’ Diego da Francavilla Fontana compare per l’ultima volta negli atti ufficiali l’8 maggio 1667. 9 Archivio Parrocchiale Maria SS.Annunziata. La fotografia del coro è riprodotta nel presente volume da Luigi Greco. 10 Archivio di Stato di Brindisi (ASB), Fondo notarile di Ostuni, notaio Donato Antonio Paladino, anno 1718, inv. 6086, c.95. Pubblicato integralmente nel presente volume da L. Greco. 11 Archivio Storico Comunale di Ostuni (ASCO), Archivio post-unitario, cat.7, cl.V, b.89, fasc.14. Si tratta di un Verbale di consegna di tutti gli oggetti mobili ed arredi sacri esistenti nella chiesa degli ex Riformati di Ostuni. 12 Ibidem. 13 Ibidem, Cfr. inoltre in ASCO, fasc.23, documento datato 15 gennaio 1907. Quest’ultimo documento riporta con piccole variazioni quanto viene descritto nel Verbale del 1904. Così sappiamo che la S. Filomena oltre ai dati iconografici in argento, possedeva una collana e un paio d’orecchini d’oro; che le due statue dell’Addolorata avevano gli spadini in argento e che sulla testa del Gesù bambino del S.Antonio di Padova era posta una corona in argento, mentre nella mano sinistra reggeva una palla con crocetta, sempre in argento. Di questi oggetti, tranne la corona in argento della statua dell’Immacolata, non vi è più traccia. 14 ASCO, fasc. 23, 2 giugno 1908. 15 Ibidem. La statua è citata anche nel Verbale del 1904 insieme a quella del Cristo risorto in legno, quest’ultima erroneamente definita dal redattore del verbale “di cartapesta”, entrambe in sacrestia. Cfr. ASCO, Archivio postunitario, cat.7, cl.V, b.89, fs.14. 16 ASCO, Archivio post-unitario, cat.7, cl.V, b.89, fs.14. 17 Cfr. Bibliotheca Sanctorum, vol. VII, pp. 1208-1220. 18 Cfr Enciclopedia Italiana Treccani, s.v. “Ceroplastica”, vol. IX, p. 817 19 Riporto solo alcuni esempi noti: Il conte d’Artois nel 1290, inviò alla chiesa di Notre-Dame di Boulogne il proprio simulacro fatto realizzare in cera; CarloVI nel 1389, commissionò il proprio ritratto a grandezza naturale da collocarsi di fronte alla tomba di S.Pietro di Lussemburgo in Avignone; Luigi XI nel 1466, donò alla statua di Notre-Dame di Clery, la figura in cera della figlia Anna di Francia, tanto per citare alcuni tra i più autorevoli committenti d’oltralpe. 20 Cfr. G.Vasari, Le Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Roma, 1991, (rist. anast.), pagg. 506-507. 21 Idem, pag. 1301 22 Idem, pag. 1302. Cfr. inoltre R.W. Lightbown, Le cere artistiche del Cinquecento, in “Arte Illustrata”, giugnosettembre, 1970 e ottobre-dicembre, 1970: “Alla Deposizione del Sansovino va il merito di esssere stata la prima scultura in cera nota, considerata dai conoscitori coevi un’opera d’arte di carattere permanente, della stessa valenza di una scultura eseguita con altri materiali.”. 23 Cfr. F. Dworschak, Antonio Abondio, medaglista e ceroplasta 1538-1591... con uno studio di G.Gerola, Trento, 1958. 24 G.G. Zummo, artista autodidatta, è anche l’autore delle celebri raffigurazioni della Corruzione dei corpi e della Pestilenza esposte nel Museo Nazionale di Firenze. 25 Cfr. R.W.Lightbown, Gaetano Giulio Zumbo, in “Burlington Magazine”, CVI, 1964. 26 Cfr. A.Gonzales-Palacios, Giovanni Francesco Pieri, in “Antologia di Belle Arti”, n.2, 1977. 27 Val la pena di segnalare la parentela di Abramo Flora con il pittore-decoratore latianese Agesilao Flora (1863-1952), suo procugino. 2

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Cfr. P.Coco, I Francescani nel Salento, vol.II, Taranto, 1928, pagg. 558-559. Al francavillese p. Pietro Antonio Flora sono inoltre attribuite le statue in cera di S.Francesco per il convento generalizio; di S.Giacomo della Marca per Monteprandone (Ascoli Piceno); del Beato Giacomo da Cerqueto per gli Agostiniani di Perugia; della S.Petronia per 28

l’Arcivescovado di Napoli; del S.Giustino martire per l’allora Vescovo di Foggia; del S.Bonaventura per il convento della Sacra Famiglia di Francavilla Fontana (Brindisi) ed altre numerose opere per conto di altrettanto insigni committenti. 29 Anche il “versatile” Mauro Manieri (fine ‘600-1744) si interessò di ceroplastica e, successivamente, Salvatore Sacquegna (1877-1955), cartapestaio, allievo del De Lucrezi. Cfr. M.Cazzato, La cartapesta. Origini e sviluppi, in C.Ragusa, Guida alla cartapesta leccese, a cura di M.Cazzato, Galatina, 1993, p. 13, inoltre C.De Santis, Ricordo di S.Saquegna modellatore di figurazioni sacre, in “Corriere del giorno”, XIX, 246, Taranto 16 agosto, 1969, p. 9; S.P.Polito, Circa la presenza di alcune opere sacre in cartapesta nella chiesa Collegiata di Mesagne, in La chiesa Matrice di Mesagne fra storia e restauri, catalogo della mostra (Chiesa Matrice di Mesagne, Mesagne 1996-97), a cura dell’Archivio di Stato di Brindisi, Mesagne, 1996, p. 190. 30 ASCO, fasc. 23, Verbale del 2 giugno 1908.

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