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Scheda n° 4 Giovanni Andrea De Pascalis 1862 - 1895 S.Agnese di Montepulciano 1887 cartapesta policroma, cm. 134 x 57 x 30 ca. La bella statua di S.Agnese di Montepulciano, opera firmata e datata 1887, sfuggita finora all’attenzione degli specialisti e conservata pressoché intatta (a parte la rottura della zampa anteriore destra dell’agnello), è appartenuta per lungo tempo alla vicina chiesa di S. Anna e, solo in epoca recente, è stata trasferita nella Collegiata mesagnese. Modellata dal De Pascalis alla giovane età di 25 anni, l’opera palesa subito la bravura del suo esecutore, confermando la fama di artista maturo già a quel tempo unanimemente riconosciutagli. L’opera si colloca temporalmente prima del famoso altorilievo Mater Amabilis eseguito nel 1890 e collocato presso il Santuario di S.Maria di Leuca. La S.Agnese della Matrice è raffigurata dall’artista seguendo una delle versioni iconografiche attribuitegli dal culto; oltre quella che la indica come patrona della cittadina toscana di Montepulciano. La Santa domenicana, dalle molli fattezze d’adolescente, regge nella mano destra l’agnello, simbolo del Cristo, mentre il delicato gesto della mano sinistra denuncia la mancanza dell’ altro attributo (il giglio). La posizione arretrata della gamba sinistra, resa ancor più evidente dalle candide pieghe del vestito, non rompe il calmo e aggraziato atteggiarsi della figura, anzi gli conferisce leggerezza e movimento. Lo stesso fanno le studiate pieghe degli abiti. Pur appartenendo all’ordine delle domenicane, la Santa non viene rappresentata dal De Pascalis con gli abiti dell’ordine. La soluzione decorativa dei vestiti, ancora nei colori originali, si distingue per l’originale scelta delle applicazioni che orlano le vesti ed il mantello, sia per le tinte dalle equilibrate tonalità. Il pregio della modellatura del De Pascalis, infatti, va proprio ricercato nel virtuosismo con cui egli tratta la figura e il dettaglio, nella morbidezza dei lineamenti, nella precisione grafica riscontrabile in ogni ciocca dei capelli, nelle pose studiate.
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Scheda n° 9 Francesco Giancane Lecce 1886-1936 S.Cuore di Gesù Sec. XX primo quarto cartapesta policroma, cm. 160 x 62 x 57ca. Posta nel transetto sinistro della Collegiata mesagnese, la statua del S.Cuore di Gesù, opera firmata da Francesco Giancane, appare ad oggi una delle poche opere a soggetto sacro dell’artista leccese reperite sul territorio. Finora si conosce con certezza solo l’altorilievo rappresentante la Vergine, nella chiesa di S. Giuseppe in Lecce (Ragusa,1993, p.77). L’opera della Matrice quindi, arricchisce l’esiguo repertorio religioso dell’autore. La statua, in ottimo stato di conservazione, appartiene probabilmente alla maturità dell’artista, ed è quindi databile tra il primo quarto del XX secolo e la morte dello stesso, avvenuta a soli 50 anni. Dal punto di vista iconografico l’immagine è quella scaturita dal culto fissato da papa Pio XI nel 1928; conseguentemente alla solennità istituita dal suo predecessore Leone XIII. Il simulacro potrebbe essere stato quindi realizzato dall’artista, sulla scia di un modello iconografico in fase di consolidamento. La statua, dalle giuste proporzioni e dalla posa contenuta ed elegante, raffigura Gesù con la mano sinistra rivolta verso il petto mentre regge il cuore ardente e trafitto da spine a raggiera; simboli di tribolazione, persecuzione e dolore. La mano destra, semiaperta e posta all’altezza della cintola, palesa i segni del martirio subito. La posizione della figura, con la gamba destra leggermente flessa, cui fa da contrappunto l’accennato ritrarsi della spalla sinistra, rivela una leggera torsione del corpo, soffocata dal paludato mantello che l’appesantisce notevolmente. Lo stesso effetto producono le profonde pieghe delle vesti che, per eccesso di plasticità, smorzano lo slancio e la leggerezza del movimento. Il capo leggermente inclinato, coperto da una chioma dai lunghi boccoli fluente sulle spalle, e lo sguardo rivolto verso il basso, farebbero pensare ad una precisa intenzione da parte della committenza circa la collocazione del simulacro. L’opera evidenzia registri cromatici e soluzioni decorative differenti, rispetto alle altre opere presenti nella Collegiata. Si segnalano, in particolare, gli incarnati dalle colorazioni cariche e compatte e l’uniformità cromatica delle vesti, riproposte secondando le consuete rappresentazioni cristologiche.
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Scheda n° 2 Antonio Maccagnani Lecce 1809 - 1892 Madonna della Luce Sec. XIX metà cartapesta policroma, cm.149 x 60c. x 60 ca. Probabilmente proveniente dal distrutto Convento della Beata Vergine della Luce, la pregevole statua della Madonna della Luce è opera firmata dal celebre maestro Antonio Maccagnani ed è databile intorno alla metà circa del XIX secolo. Caratteristiche distintive, rispetto alla statuaria presente nella Collegiata, sono l’impostazione generale della figura, il valore plastico e la ricca decorazione. Con quest’opera, dall’impostazione naturalistica, il Maccagnani conferma il grado di perizia raggiunto. La Madonna, quasi per riposarsi, appoggia il piede sinistro su di un gradino, per cui la diagonale di pieghe del vestito prodotta dal movimento, determina un gioco di luci ed ombre che conferisce slancio e leggerezza alla figura. Attraverso l’espediente dei primi piani, l’artista ottiene l’effetto di un leggero movimento. Egli inoltre, tratta con gusto analitico e minuzia di particolari l’intera figura. Dai semplici calzari, al vestito gaiamente decorato con il bàvero e l’orlo impreziosito da dorati motivi geometrici e a torciglioni; dal monocromo mantello, orlato con applicazioni di finti ricami dorati, al leggero copricapo finemente rifinito, alla floreale copertina dalle tinte tenui e accuratamente orlata su cui poggia il Bambino. L’artista mostra attenzione e cura anche nel trattare i delicati incarnati, di reniana bellezza, colorati ancora con i colori originali, come del resto l’intera statua, che si presenta pressoché integra. Non è certo se il Maccagnani, nel rappresentare la Madonna della Luce, si sia ispirato a qualche presistente modello. Sappiamo però che modellò, per alcune chiese leccesi, numerose statue di Madonne: tra queste la Madonna dei Fiori, la Madonna delle Grazie, la Vergine <>, e l’ Addolorata (Ragusa, 1993, p.87).
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Scheda n° 5 Anonimo cartapestaio salentino Ecce Homo Sec. XIX fine- sec. XX inizio cartapesta policroma, cm. 95 x 60 x 40 Il mezzo busto dell’Ecce Homo, sicuramente facente parte dei simulacri della Passione venerati durante il Venerdì Santo, risulta presente tra i beni della Collegiata mesagnese sin dal 1933. (A. Nitti - A. Sconosciuto, 1993, p.59). Nel 1937, l’allora arciprete Antonio Epicoco, considerato lo stato di totale abbandono nel quale versava il succorpo della Matrice, (“divenuto ripostiglio di ogni oggetto fuori uso”), ordinò una serie di lavori, tra i quali la costruzione di “due cappellette con belle nicchiette, una per l’Ecce Homo e l’altra per l’Addolorata” (Cat.83). Nessuna notizia ci è data circa l’autore del simulacro e la data di esecuzione. L’artista, sicuramente di vecchia scuola, nel modellare l’opera, si è probabilmente ispirato, nell’impostazione generale, a schemi presistenti o ha autonomamente interpretato in chiave figurativa i versi del Vangelo: <> (Matteo, 28-29-30). Infatti, il modello mesagnese, di discreta fattura, esprime appieno la drammaticità dell’evento appena ricordato. Cristo, col corpo martoriato da profonde ferite, il capo sanguinante coronato da spine, il volto tumefatto e livido per le percosse subite, gli occhi gonfi nell’incavo delle orbite, lo sguardo basso, la bocca schiusa, porge in un gesto di umana sottomissione i polsi ai suoi aguzzini. Il tragico evento è fedelmente rappresentato; ma l’artista, nell’eseguire l’opera non riesce a superare la pura didascalia. Infatti il corpo del Cristo ostenta un verismo stereotipato, nella resa esasperata della sofferenza e imprigionato com’è nel rigido mantello che in parte lo copre. Attento nella cura di alcuni particolari, l’artista rivela la conoscenza dell’anatomia, ma questa si perde nella trattazione più generale della figura che appare in definitiva, priva di movimento. Il busto dell’Ecce Homo, modellato su di una base quadrata, conserva ancora la cromìa originale, anche se ingiallita e in parte sciupata dal tempo e dall’incuria. L’umidità del luogo, nel quale per lungo tempo è stato conservato, non lo ha intaccato gravemente, visto che si presenta in uno stato discreto di conservazione. F. d’archivio: Cat. 83 Bibliografia: A. Nitti - A. Sconosciuto, La Settimana Santa, p. 59
5 Scheda n° 7 Ignoto Cartapestaio Salentino Addolorata Sec. XIX fine- sec. XX primo quarto cartapesta policroma, cm. 74 x 24 x 23 Probabilmente si tratta dell’Addolorata citata relativamente alla previsione dei lavori da effettuare nel succorpo della Collegiata (Cat.83). Per essa e per l’Ecce Homo si costruirono nel 1937 le due nicchie ancora oggi esistenti. Nessuna notizia, però, ci è pervenuta circa la originaria provenienza e il suo impiego nelle processioni del Giovedi Santo. Sappiamo che, nel riproporre annualmente il rito, la Processione della Passione, dopo aver percorso il centro storico, giungeva alla Chiesa Matrice. Qui, il quaresimalista teneva la predica della Passione dopo chiamava sul presbiterio la Croce, tenuta dal sacerdote, e successivamente, in un’atmosfera toccante, Maria Desolata. Si nutrono dubbi circa l’utilizzo del simulacro al rito, non fosse altro che per le sue ridotte dimensioni. La statua dell’Addolorata, in cattivo stato di conservazione, poggia su di una base quadrata in legno dipinto e raffigura la Vergine Addolorata secondo l’iconografia tradizionale: vestita di lutto, col cuore trafitto da un pugnale e in atto di preghiera con lo sguardo afflitto rivolto verso il Figlio idealmente immaginato sulla croce. Ha il capo coperto da un fazzoletto bianco dai bordi ricamati e dal lungo mantello nero che scende sulle spalle, avvolgendo la figura fino ai piedi calzati da sandali. La posa del capo, leggermente inclinata, mette in risalto la drammaticità che il volto dell’Addolorata esprime. L’espressione è sottolineata dalle pieghe verticali del vestito che corrono in profondità sul davanti, producendo, peraltro, l’effetto di movimentare la figura smorzandone la rigidità. La statua riprende l’iconografia tradizionale del gesto delle mani, dell’espressione del volto e degli abiti. Opera probabile di buona bottega, la statua rivela le capacità dell’artista nella modellatura del volto e degli arti, ma pecca in trascuratezza nell’esecuzione dei dettagli; ciò farebbe pensare a diverse mani nell’esecuzione del modello. Fonti d’archivio: Cat.83
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Scheda n° 3 Ignoto Cartapestaio Salentino S. Cuore di Maria Sec. XIX ultimo quarto - sec.XX inizio cartapesta policroma, cm. 143 x 62 x 35 Non si hanno notizie del gruppo scultoreo del S.Cuore di Maria, già presente, secondo fonti orali, nella Collegiata mesagnese intorno agli anni venti del Novecento. Oggi, il gruppo è collocato nella Cappella del Crocifisso, ma si ritiene che in passato probabilmente occupava, insieme al S.Cuore di Gesù , un posto di rilievo nella Matrice. Le vicende della sua collocazione sono da porre in relazione al culto mariano e alle pratiche devozionali che da epoche remote reclamano la presenza del simulacro, al quale esternare la propria devozione (e venerazione). Il gruppo, dalle giuste proporzioni e ben equilibrato nelle masse, poggia su di una vaporosa nuvola, posta su di una base quadrata. La Madonna, al centro, con l’indice della mano sinistra addita il S.Cuore, posto sul petto (realizzato in rame argentato) e solleva il braccio destro, la cui mano è semiaperta, nell’atto di reggere qualcosa tra le dita. Il volto, incorniciato dalla chioma, ordinatamente legata e coperta da un bianco fazzoletto, è leggermente reclinato a sinistra, con gli occhi rivolti verso il basso. L’abito è rappresentato da una candida tunica orlata d’oro, trattenuta in vita da una cintola ricamata, e da un mantello celeste, anche questo impreziosito da un’orlatura dorata. Ai lati della figura stanno due angioletti coperti da colorate stole. Quello a destra si libra in volo a braccia aperte, mentre l’altro, appoggiato con un piedino sulla nuvola, rivolge lo sguardo verso l’alto. Il gruppo scultoreo appare di ottima fattura per le proporzioni, l’equilibrio delle masse e il fine modellato delle figure. Purtroppo, il recente restauro, in verità piuttosto maldestro e consistito nella ridipintura del gruppo scultoreo, ha coperto completamente la cromìa originale rendendo difficile l’obiettiva valutazione dell’opera nel suo insieme.
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Scheda n° 8 Ignoto Cartapestaio Salentino Crocifisso Sec. XIX fine - sec. XX primo quarto cartapesta policroma, cm. 55x37x10,5
Probabilmente facente parte ab antiquo, del patrimonio della Collegiata mesagnese, il simulacro del Crocifisso era destinato (considerata la tipologia della croce, le dimensioni, e l’attaccaglia ancora originale) ad ornare la parete di qualche ambiente attiguo alla chiesa, se non addirittura del succorpo. Il Cristo è rappresentato secondo la più classica iconografia: inchiodato alla croce (nello specifico, dipinta di nero e impreziosita da un listello dorato), col capo cinto da una corona di spine, volge lo sguardo verso il Cielo prima di esalare l’ultimo respiro. L’opera, di buona fattura, evidenzia le indubbie capacità di modellatura dell’autore, per la plastica flessuosità della figura e la carica di pathos; ma, nell’accuratezza dei particolari anatomici, risalta la mancanza di euritmia per la grandezza della testa, le esili braccia e la lunghezza del tronco. La piccola statua, bisognosa di restauro, rivela, ad un’attenta osservazione, una delle caratteristiche dell’antico metodo di modellare i Cristi e particolarmente quelli di dimensioni ridotte: la consuetudine di plasticare in cartapesta l’intero corpo e di realizzare invece la testa in creta. Il Crocifisso commissionato probabilmente all’artista con altro pezzo di maggiori dimensioni, è cronologicamente riconducibile tra la fine dell’Ottocento e il primo quarto del Novecento.
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Scheda n° 10 Ignoto Cartapestaio Salentino S.Luigi Gonzaga Sec. XX primo quarto cartapesta policroma, m. 124 x 49 x 40 La statua di S.Luigi Gonzaga, condivide storicamente la sorte di buona parte delle altre opere presenti nella Collegiata: nessuna notizia sull’autore, il periodo di esecuzione, la provenienza, l’originaria collocazione. E come spesso accade ai simulacri di cartapesta, che non hanno specifica collocazione in apposite nicchie o al sommo degli altari, è conservata temporaneamente in locali attigui alla Chiesa ed esposta nelle occasioni previste dal calendario liturgico. Nel modellare il S. Luigi Gonzaga, l’autore ha seguito i modelli maggiormente ricorrenti, in area salentina. Infatti, il Santo è raffigurato a figura intera con le fattezze di un adolescente, con addosso il tradizionale abito gesuitico, sul quale solo recentemente è stata posta una bianca tunichetta merlettata (probabilmente in sostituzione di quella originale). L’espressione del volto, leggermente reclinato verso destra, esprime intenso cordoglio nel contemplare il Crocifisso, impugnato dalla mano destra; mentre la sinistra, aperta nell’abbandono, sottolinea l’afflizione del Santo. Altrove, l’iconografia storicamente consolidata, descrie il Santo con l’attributo del giglio, simbolo della sua purezza, il teschio e il flagello, a ricordo della sua vita ascetica. Così come luogo comune è quello che lo rappresenta con espressione dolciastra. Nel ritratto fatto eseguire dalla stessa madre, e considerato tra i più somiglianti, il Santo è raffigurato in abito di nobile adolescente con occhi grandi e rotondi che lasciano tuttavia trapelare un carattere duro e determinato. Non diversamente, in una tela del 1582 è ritratto sempre in abito da gentiluomo, a conferma della sua nobile origine, nell’atto però di insegnare dottrine sacre. La presunta personalità autentica del Santo, ravvisabile nei primi dipinti, viene successivamente travisata e resa in modo piuttosto convenzionale e banale. (Cattabiani, pp.649,650) Ciò si eidenzia in maniera particolare nel simulacro della Matrice mesagnese, nel quale le proporzioni e la stucchevole rigidità della figura denunciano inoltre, gli evidenti limiti dell’esecutore.
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Scheda n° 11 Ignoto Cartapestaio Salentino Cristo morto Sec. XX - primo quarto cartapesta policroma, cm. 180 x 56 x 38 Nessuna notizia ci è pervenuta circa la provenienza e l’antica collocazione della statua, ora conservata nel succorpo della Collegiata, tranne la scarna citazione nella descrizione dei lavori eseguiti nel 1937 (Cat. 83). Sicuramente il simulacro non è quello impiegato nella processione del Venerdì Santo, che da tempo si svolge a Mesagne, in quest’occasione viene infatti solitamente impiegato il Cristo morto della chiesa del Crocifisso, dove tra l’altro sono presenti numerose statue e gruppi statuari di pregevole fattura, come la toccante Deposizione di Luigi Guacci (1870-1934). Considerate le notevoli dimensioni e la fattura della teca che contiene il corpo, se ne potrebbe ipotizzare la destinazione in particolare, davanti alla mensa di qualche altare, per le pratiche devozionali del Venerdì Santo. Il corpo di Cristo morto, vistosamente rigato da rivoli di sangue sgorganti dalle numerose ferite, è modellato disteso su di un bianco sudario con il capo leggermente reclinato all’indietro, la bocca semiaperta e le palpebre non del tutto chiuse. Il volto sanguinante è incorniciato dalla ben delineata barba e dai folti capelli accuratamente distribuiti intorno. Le ferite sul costato, le braccia in mortale abbandono, le mani e i piedi trafitti e ancora sanguinanti testimoniano il martirio subito. La rappresentazione del Cristo morto, alfine di aumentarne la carica emotiva, viene enfatizzata dal modellatore attraverso le numerose ferite abbondantemente sanguinanti, segni tangibili della Passione vissuta da Gesù sulla Croce. La rigidità nella resa plastica della figura, e in particolare del perizoma e del lenzuolo funebre, farebbero pensare ad un lavoro di bottega realizzato nel primo quarto del Novecento.
Fonti d’archivio: Cat.83
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Scheda n° 12 Giuseppe Manzo 1849 - 1942 Angeli osannanti con apparato decorativo Sec. XX 1930-- 40 ca. cartapesta policroma, cm. 58 x 41 x 18 (st.sx); cm. 56 x 43 x 26 (st. dx); cm. 140x117x14 (app. dec.) Tra le statue in cartapesta presenti nella Matrice mesagnese spicca, insieme all’apparato decorativo usato per le esposizioni relative alla liturgia, la bella coppia di Angeli osannanti, provenienti dalla vicina chiesa di S. Anna, ed entrambi riconducibili cronologicamente al terzo decennio del Novecento. L’altorilievo dell’apparato nuvolare, a forma di semicerchio, impreziosito con la rappresentazione di raffinate testoline di angioletti alati, probabilmente svolgeva la funzione di contenere nell’incavo il soggetto venerato. Intorno ad esso, veniva probabilmente disposta, secondo le esigenze, la coppia degli Angeli osannanti. L’insieme decorava certamente gli altari in circostanze liturgiche particolari. I due angeli, modellati dall’autore con le braccia aperte e le ali spiegate nell’atto di volare, hanno volti dai tratti gentili e folte capigliature ondulate, volgono lo sguardo verso l’alto e sono appena coperti da stole fluenti e delicatamente colorate. Entrambi palesano per la buona fattura, e le rare incertezze, la raggiunta maturità dell’artista nella modellatura e nella accorta cromìa, tuttora intatta. Lo stesso può dirsi dell’altorilievo. La straordinaria somiglianza tra questi angioletti e quelli facenti parte del gruppo scultoreo raffigurante S.Rita da Cascia, realizzato per la chiesa di S.Angelo in Lecce, da Giuseppe Manzo (1849-1942) nel 1922, suggerisce di assegnare, per affinità stilistica, la paternità dell’impianto allo stesso autore.
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Scheda n° 13 Giuseppe Manzo 1849-1942 Crocifisso Sec. XX - 1930 - 40 ca. cartapesta policroma, cm. 48 x 37 x 8,5 La piccola statua del Gesù Crocifisso probabilmente sostituisce, sulla settecentesca croce d’altare cui è affisso il Cristo originale, dalle più grandi dimensioni, come si evince dai fori presenti sulla croce. Gesù Crocifisso è raffigurato già morto, con il capo reclinato in avanti. Il corpo, coperto da un ampio perizoma bianco annodato al fianco destro, presenta ferite grondanti sangue sul costato e sugli arti. Così i piedi e le mani, trafitti da chiodi. Una corona di spine è posta sul capo. Il piccolo Crocifisso, dalle giuste proporzioni e dalla sobria rappresentazione, conserva ancora i colori originali, ma necessita di un intervento di restauro. Può essere datato intorno al 1930 ca. ed è attribuibile, per affinità stilistiche, al Manzo o a qualche suo allievo.
12 Scheda n° 1 Ignoto Cartapestaio Salentino Cristo Risorto Sec. XVIII cartapesta policroma, cm. 187 x 105 x 64 c. Nessuna notizia ci è pervenuta sulla statua del Cristo Risorto. A parte le ovvie considerazioni relative alla sua utilizzazione, il dato evidente è quello della antica fattura della statua. Attraverso un saggio di restauro, è emerso che la statua in epoca imprecisata è stata completamente rivestita da uno strato di carta e completamente ridipinta. Ciò ci permette, al momento, di formulare solo ipotesi suscettibili di verifica a restauro completato. La statua del Cristo Risorto, grazie all’impiego di un solo sostegno strutturale, pare librarsi leggera sulla nuvolaglia che funge da appoggio. Originale appare la soluzione adottata dall’artista, il quale lascia trasparire il profilo del fianco attraverso l’ampio perizoma legato sul davanti. Così pure il mantello, senza rompere l’euritmia della composizione slancia l’intera figura. Alla luce di queste osservazioni e di altre in corso di rilevazione, è possibile ipotizzare trattarsi di un’opera di fattura settecentesca e di buona mano. La statua, pur alterata, evidenzia infatti capacità di modellatura per proporzioni ed equilibrio d’impianto.
13 Scheda n°6 Ignoto Cartapestaio Salentino S. Cuore di Gesù Secc.XIX fine-XX inizio cartapesta policroma, cm. 130 x 62 x 40 La statua del S.Cuore di Gesù, conservata in locali attigui la chiesa Matrice replica in generalequella posta nel transetto della Collegiata (scheda n° 3). Cronologicamente più antica, si differenzia dall’altra anche per la diversa posizione della mano sinistra, qui sollevata in atto benedicente. Riferibile cronologicamente alla fine dell’Ottocento o all’inizio del secolo successivo, la statua è stata in epoca imprecisata, quasi completamente ridipinta, seguendo la cattiva abitudine di rinnovare le statue in cartapesta rinfrescandone i colori. L’artista pur denunciando alcuni limiti, ravvisabili nella modellatura del corpo, troppo proiettato lateralmente per la leggera flessione della gamba sinistra, rivela invece discrete capacità nella resa dei particolari e nella esecuzione del volto e delle mani, che conservano ancora i colori originali. Con ogni probabilità si tratta di opera di bottega.
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Scheda n° 9 Ignoto Cartapestaio Salentino Crocifisso Sec. XIX fine - sec. XX primo quarto cartapesta policroma, cm. 36 x 25 Nessuna notizia è stato possibile reperire circa il piccolo simulacro del Crocifisso. Classica senza dubbio, è l’impostazione iconografica della figura: Cristo morto è cinto ai fianchi da un candido perizoma e ha i piedi trafitti da grossi chiodi. Il piccolo Crocifisso, faceva presumibilmente parte integrante del pulpito della Collegiata, come lascerebbe supporre il fatto che la croce è rastremata all’estremità inferiore per essere evidentemente innestata nel relativo supporto. Grazie al recente restauro, che è consistito in special modo nella ricostruzione delle dita delle mani e dei piedi, senza intaccare sostanzialmente la originale cromìa, si è potuto appurare la sostituzione in tempi imprecisati della croce lignea. La buona fattura della statua e le caratteristiche esecutive comuni con l’altro Crocifisso pure presente in catalogo (scheda n°8), lascerebbero supporre per entrambi la stessa mano.
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Scheda n°15 Ignoto Cartapestaio Salentino Mater Dolorosa Sec. XX - 1930 - 40 ca. cartapesta policroma, cm. 38 x 25 x 23 ca. L’Addolorata effigiata solo nella testa, è modellata su di un cubo in legno sulla cui faccia anteriore, dipinta di nero, spicca, raggiante, la corona di spine, simbolo del martirio di Cristo. Sovrapposta a questa vi è la scritta “Mater Dolorosa”. Il volto dell’Addolorata è rappresentato colmo di dolore, con la bocca semiaperta quasi nell’atto di pregare e gli occhi rivolti al cielo. La testa è coperta da un bianco fazzoletto, sotto un mantello sobriamente decorato e orlato d’oro, il quale, fungendo quasi da cornicie, la avvolge tutta. L’opera, di buona fattura e databile intorno agli Trenta del Novecento, potrebbe essere stata commissionata all’artista da qualche privato, per soddisfare le proprie esigenze devozionali.
16 Scheda n° 2 Ignoto Artigiano Meridionale Panca Sec. XVIII - metà legno intagliato, cm 169x197x46 Facente parte da sempre del mobilio ecclesiastico della Collegiata mesagnese, l’elegante panca tripartita, probabilmente posta al lato destro dell’altare maggiore, doveva assolvere al compito di seduta per i diaconi e l’officiante durante le funzioni solenni. Databile intorno alla metà del XVIII secolo, può essere inserita, per affinità di stile, nei primi esempi di barocchetto meridionale (Sicilia ?), per la caratteristica simmetria che distingue il barocchetto in genere dal rococò. L a panca è composta da una seduta tripartita e uno schienale anch’esso tripartito. Lo schienale, con la parte centrale più alta rispetto alle estremità, è arricchito da un sinuoso fregio finemente intagliato a vaghi motivi architettonici e floreali, tipici anch’essi del barocchetto. Al di sotto del fregio, una parte liscia, laccata color verde e impreziosita con delicati decori floreali, funge da cornice all’imbottitura dello schienale. Sotto la seduta, la fascia frontale, finemente intagliata, si raccorda con ampie volute alle gambe arcuate “en cabriole”. L’intera panca, escluse le parti laccate, è trattata con la tecnica dell’argentatura a mecca.
(S.P.P.)
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Scheda n° 3 Ignoto Artigiano Meridionale Consolles Sec. XVIII - metà legno intagliato, cm. 74 x 91ca.x 37 ca. Come per la panca tripartita descritta in precedenza(scheda n°2), anche le pregevoli consolles sono eseguite in stile barocchetto e per questo, sono collocabili intorno alla metà del Settecento. Poste ai lati dell’altare e fissate alle pareti ad opportuna altezza, servivano per riporre gli oggetti necessari alla liturgia. Morfologicamente, le consolles presentano tre facce: quella frontale, e le due laterali, larghe la metà della prima. Nell’intaglio si ripetono i motivi del barocchetto meridionale resi più preziosi dall’argentatura a mecca. La fattura delle consolles, nel suo insieme, si distingue per proporzione eleganza e raffinatezza.
(S.P.P.)
18 Scheda n° 1 Ignoto Artigiano Meridionale Bancone da sacrestia Sec. XVII ? Legno dipinto, cm. 41x403x108 I l bancone da sacrestia purtroppo ci è pervenuto mutilo dei piedi sui quali in origine poggiava. Questo particolare ci obbliga alla cautela, consentendoci di ipotizzare la data di realizzazione anteriormente al 1752, poiché identificabile con il “bancone” citato nel Rivelo del Reverendo Capitolo di Mesagne, redatto dal canonico Cosimo de Marinis (Cat. 38). Lo stile, ravvisabile solo in parte, ci fa pensare che il bancone sia stato realizzato con piedi torniti e collegati tra di loro, inferiormente, con delle traverse. Tale fattura, coi piedi torniti “a rocchetto”, è tipica del Seicento per questo tipo di manufatti. La parte frontale è scandita in parti uguali dai tre cassetti sobriamente modanati, su ognuno dei quali è posta una coppia di formelle in corrispondenza delle maniglie. Tale soluzione ingentilisce ed alleggerisce il mobile che, con ogni probabilità, era addossato a una parete della sacrestia per essere usato come superficie d’appoggio e, per la capienza e profondità dei cassetti, come contenitore di paramenti e arredi sacri. Fonte d’archivio: (Cat. 38) (S.P.P.)
SCHEDE*
* Alle schede delle opere in cartapesta, sono aggiunte tre schede relative al mobilio ecclesiastico che si è ritenuto di dover descrivere per il loro interesse storico-artistico.