Note Sulla Cartapesta A Proposito Della Statuaria Della Ss. Trinità

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1 Note sulla cartapesta a proposito della statuaria della SS.Trinità _____________ Osservando le interessanti statue in cartapesta della chiesa della SS. Trinità, ho tratto spunto per delle riflessioni a carattere generale. Non avendo potuto esaminare più approfonditamente le opere, in questo mio modesto contributo mi dilungo più diffusamente sulle riflessioni che ne ho tratto. La problematica sollevata più di un decennio fa dal Rossi 1 riguardante la storicizzazione e definizione dell’uso e impiego della cartapesta in scultura non più in ambito regionale ma in un rapporto di correlazione su scala nazionale, viene man mano arricchendosi di ulteriori contributi.2 Attraverso la ricerca storico-documentaria sappiamo dell’antico utilizzo della cartapesta da parte di eminenti scultori già dal XV secolo. 3 E il repertorio della statuaria a partire da quel secolo si arricchische sempre più di nuove testimonianze. In occasione dei restauri effettuati sul cinquecentesco impalcato ligneo del Santuario delle Grazie a Curtatone (Mn), realizzato nel 1517 dal frate francescano Francesco D’Acquanegra per dare una conveniente collocazione ai numerosi ex-voto, si è scoperta la composizione cartacea delle numerose statue che in origine occupavano le nicchie dell’impalcata. 4 I due angioletti ad altorilievo e i tondi di epoca posteriore presenti sotto la fascia inferiore, risultano essere interamente realizzati in carta. La tecnica utilizzata per la realizzazione degli altorilievi e dei tondi è quella della carta incollata; una variante delle tecniche di lavorazione della cartapesta. Il procedimento della carta incollata, usata per realizzare qualunque oggetto o forma, è quello di incollare successivamente diversi fogli di carta uno sull’altro, ottenendo un cartone con uno spessore che varia a secondo degli oggetti alla cui formazione è destinato. La qualità usata è la carta grigia comune, che per la specie ordinaria di pasta grossolana riceve perfettamente la colla. Oltre, ed in alternativa alla carta grigia, viene usata la carta bianca fine, ben più adatta per ricevere le impronte di una qualunque forma. Non si tratta quindi di formare la pasta di carta, ma piuttosto di formare un cartone riunendo mediante una sostanza agglutinante più fogli uno sull’altro. Negli angioletti la presenza di tele di rinforzo interne, che ne garantiscono la tenuta strutturale, e piccoli pezzi di vetro pesto colorato cosparsi sulle ali e i panneggi denotano possibili varianti tecniche intese al raggiungimento di un risultato estetico del tutto originale.5 E’ evidente la libertà dell’artista sia nell’ideazione-esecuzione delle opere che nella scelta e impiego dei materiali.

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Un ulteriore esempio di tali pratiche è costituito dal San Francesco da Paola presente nella chiesa brindisina della SS.Trinità (fig.1), realizzato probabilmente durante la seconda metà del XIX secolo, in legno relativamente alle parti anatomiche e in cartone incollato per il resto. Tutte lignee sono invece le altre statue presenti nella chiesa, sia il Crocifisso (fig.2), proveniente dalla distrutta chiesa brindisina di S.Maria del Ponte, purtroppo completamente ridipinto e riconducibile secondo alcuni al tardo Cinquecento,6 sia il S.Antonio da Padova (fig.3), opera ascrivibile ad ignoto scultore meridionale di area più propriamente salentina e databile tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del secolo successivo. Tutte le opere, denunciano nell’iconografia e nell’aspetto formale, il legame degli esecutori a modelli ormai consolidati costituenti un richiamo alla pratica devozionale, più interessanti per questo che per il pregio artistico. Gli esempi di tali pratiche di commistione di materiali diversi sono innumerevoli e sparsi su tutto il territorio nazionale.7 Differenti sono però le influenze culturali che condizionano la sperimentazione e l’ideazione dell’opera. A tale proposito, potrebbe essere interessante, tralasciando per un istante la determinante influenza napoletana, il confronto con la scultura romana o con scultori che alle loro peculiarità aggiunsero lo spirito romano barocco. Un esempio, seppur da prendere con le dovute cautele, potrebbe essere il rapporto luministico-formale tra il San Luigi Gonzaga in gloria (1698-99) di Pierre Legros il Giovane, nella chiesa romana di Sant’Ignazio, e l’Immacolata Concezione di anonimo nella chiesa casaranese di Maria SS.Annunziata.8 A differenza del primo interamente realizzato in marmo bianco, l’Immacolata fu realizzata in cartapesta, trattata ad imitazione della pietra e inserita in perfetta armonia nella macchina d’altare. Sebbene i soggetti siano differenti, le due opere denunciano la ricerca degli stessi effetti pittorici nella morbidezza della modellazione e dei moti. E’ noto che per molte sculture barocche è possibile seguire il processo creativo nel suo sviluppo a partire dai primi disegni fino alle prove plastiche in creta, legno o altri materiali, tra cui la cartapesta, per giungere alla realizzazione dell’opera definitiva. 9 Non è da escludere, tranne che nei casi di particolari commesse o di dimensioni ridotte, che il bozzetto per la sua qualità artistica, costituisca esso stesso opera finita.10

3 L’utilizzo quindi nelle botteghe della cartapesta, sia per modelli realizzati per prova o per soggetti finiti, non collocabili nella produzione seriale, ci induce a pensare ad essi come a vere e proprie significative testimonianze di momenti elaborativi di un progetto artistico. L’ulteriore diffusione di modelli, attraverso disegni, calchi e stampe, 11 assieme alla diffusione delle notizie circa l’impiego dei vari materiali utilizzati e utilizzabili, potrebbe quindi aver influito a determinare la produzione di un tipo di statuaria dai costi relativamenti bassi per la povertà del materiale impiegato, ma dalla resa estetico-formale paragonabile alle opere prodotte in materiali più nobili. In special modo là dove una maggiore richiesta di mercato non era controbilanciata da una committenza particolarmente danarosa. Soprattutto se il tutto viene visto in un clima di celebrazione legato al ruolo di centro della cristianità voluto dalla Chiesa e sostenuto dai vari ordini religiosi. 12 L’estensione dell’uso della cartapesta dalla realizzazione di oggetti artigianali al suo impiego a livello industriale attraverso la produzione seriale è documentata a partire dal XVIII secolo, almeno per il Settentrione d’Italia e il resto d’Europa. 13 Per ciò che riguarda i secoli precedenti le notizie sui manufatti, peraltro ancora da indagare, dei tanti scultori non consentono al momento una esatta definizione circa gli antichi metodi e tecniche di lavoro.14 Sarà bene quindi volgersi a qualche aspetto particolare, analizzando da un altro punto di vista il cambiamento che avvenne in area salentina nel passaggio dalla produzione settecentesca a quella ottocentesca. L’inizio della produzione seriale a Lecce avviene con l’apertura nel 1897 dell’Istituto di arti plastiche di Luigi Guacci (1871-1934), uno stabilimento attrezzato di tutto punto per la lavorazione del marmo e della cartapesta. E’ utile ricordare che il Guacci, prima di passare alla produzione seriale, aveva compiuto un percorso artistico di tutto rispetto, sia nell’apprendere l’uso del colore sia nell’arte dell’intaglio. 15 Dopo la formazione romana egli giunse a Lecce con un bagaglio di conoscenze e soprattutto di immagini del barocco tali da, a mio avviso, ignorare o addirittura in alcuni casi superare la scultura indigena. E i prestiti romani attraverso il Guacci, in realtà, non fecero altro che giovare agli artisti leccesi, almeno ai più capaci e attenti. L’eredità del passato fungeva quindi come magazzino dal quale attingere a volontà. Solo successivamente vi fu una ripetitività formale riscontrabile oggi dall’esame dei numerosi simulacri ancora esistenti.

4 E’ il caso della S.Rita da Cascia (fig.4) nella SS.Trinità di Brindisi, opera assegnabile però più alla cerchia dello scultore Giuseppe Manzo (18491942) o allo stesso Raffaele Caretta (1871-1950), e databile intorno al secondo quarto del Novecento e, nella medesima chiesa, il Sacro Cuore di Gesù, anch’esso riconducibile allo stesso periodo.16 (fig.5) L’esempio del Guacci testimonia una capacità manageriale inconsueta, almeno per quei tempi, e soprattutto per l’estremo Meridione dove la maggior parte delle botteghe continuerà a produrre statuaria in cartapesta incollata, che di seriale aveva soltanto le parti anatomiche realizzate spesso in creta, mediante l’ausilio dei tanti calchi in circolazione. Noi sappiamo dei numerosi collaboratori che ebbe il Guacci ma quanti di essi seppero applicare la lezione del maestro? E’ noto che la suddivisione dei compiti all’interno dello stabilimento non permetteva di apprendere tutti i processi lavorativi se non sommariamente; e, quando un discepolo decideva di aprire bottega autonomamente, nella produzione alcuni passaggi della lavorazione denotavano una caduta di stile, poichè mancava il controllo esercitato dal maestro supervisore. Risulta conseguenziale fare una suddivisione tra le opere direttamente disegnate ed eseguite dal maestro e altre dove vi fu lo stretto controllo, ma senza il contributo fattivo all’esecuzione. E, infine quelle dalle quali egli si estraniò del tutto dopo i primi controlli preliminari e che si collocano nella produzione seriale. La quantità delle commesse era un buon metro per misurare la reputazione dei cartapestai contemporanei, soprattutto a partire dalla metà del secondo decennio del ‘900 in avanti, allorchè l’incremento delle commissioni in dimensioni e quantità costrinse i maestri a fare sempre più assegnamento sugli assistenti. Interessante appare al riguardo il contributo di Pasquale Zilli nelle opere del Guacci. Preposto alla decorazione della statuaria prodotta, non si hanno esempi di statue interamente realizzate da lui. L’esempio è nella leccese chiesa del Gesù, dove è tuttora conservato il Sant’Ignazio di Loyola del 1935, data che segna l’avvenuto distacco dal Guacci, probabilmente conseguente alla morte di quest’ultimo avvenuta l’anno prima, e conferma l’avvenuto sodalizio con Francesco Pantaleo, anch’egli allievo del Guacci, anche se non si sa bene in quale ruolo (in proposito andrebbero meglio ridefiniti i ruoli delle numerose presenze nella bottega del Guacci).

5 Nel primo trentennio la statuaria in “cartapesta” si rivela principalmente una redditizia fonte di guadagno per le innumerevoli commesse, a discapito dell’originalità e qualità artistica. Solo pochi rimarranno fedeli all’arte della plastica cartacea come lo stesso Raffaele Caretta denuncerà in un intervista del 1934 che ci consente di intravedere con maggiore chiarezza la situazione in quel periodo: ”io plasmo solo dopo che, con lunghi studi di letteratura biblica, di figurazione agiografica e di “assaggi” in creta, mi sono reso veramente padrone dell’idea...” ed ancora: “Ogni nuovo lavoro è una nuova mia “creazione”... Non saprei mai lavorare “a serie”, come fanno gli arfasatti ed i guastamestieri, accozzanti le dieci lire per la campatella quotidiana... nessun maestro della statuaria settecentesca leccese si permetterebbe di farlo. Ed è perciò che ognuno di noi dà alle sue statue la propria “personalità artistica” e, con essa, il proprio patos di vita e di fede cristiana. I “guastamestieri” da fiere sono in generale, degli ex-apprendisti che non maneggiarono mai un bulino; al massimo impararono a rivestire qualche “manichino” di paglia; a maneggiare qualche ferro da saldatura o da bruciatura; fors’anche a tirare la colorazione a larghe pennellate sovra il manto d’un santo”.17 Il passaggio dall’invenzione artistica all’esecuzione tecnica si rivela dunque determinante per “misurare” la statura dei numerosi cartapestai dell’Ottocento e del primo trentennio del Novecento, oltre che la qualità delle loro opere; nettamente distinguibili da quelle cosiddette seriali. L’attribuzione di un opera a una delle due categorie, artistica e seriale, richiede metodi di indagine diversi caso per caso. Importante è non addivenire mai a giudizi affrettati. Salvatore P.Polito

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Cfr. Rossi-Roiss, Cartapesta & cartapestai, Maestà di Urbisaglia (Mc), 1983, pp.18-19 Cfr. C.S.Salerno, “Cartapeste d’autore” berniniane e algardiane. Contributo alla storia, alla tecnica e al restauro della cartapesta nelle botteghe rinascimentali e barocche. in “Bollettino d’arte”, 1997, n° 99, pp.67-98 3 Ibid., p.68 4 La maggior parte delle statue, cinquantatré, sono costituite da uno scheletro in legno, rivestito di vari materiali e tra questi la “cartapesta”.cfr. “Grazie, storia da rifare” in “La Gazzetta”, Mantova 31 marzo 1993, p.33 5 Cfr. “Indagine eseguita sull’impalcata lignea del santuario delle Grazie”. Relazione tecnica, a c. del Consorzio di Restauro “A.Mantegna”, giugno1993, dattiloscritto. 6 Cfr. G.Carito, Guida....................................... 7 Cfr. R.Bagarotto, L.Savio, B.Boucher, The Madonna delle Muneghette. A new work of Jacopo Sansovino, in “The burlington Magazine”, CXXII, (1980), pp. 22-29 8 Cfr. P.De Nuzzo, G.Giangreco, La statuaria sacra in Cartapesta nell’area di Casarano, Parabita, 1999, p. 60. 9 Cfr. C.S.Salerno, “Cartapeste d’autore” berniniane e algardiane,cit., p. 73 10 Un interessante esempio di modello può essere il “San Tommaso di Villanova distribuisce elemosine”, (1661) di Melchiorre Caffà, conservato nel Museo di La Valletta (Malta). 11 Cfr. J. Montagu, La scultura Barocca. Un’industria dell’arte, (1989), Torino 1991, pp.16-19 12 In epoca barocca nelle città venivano allestiti, in occasione di eventi religiosi, grandiosi apparati, così che il territorio urbano rappresentava un immenso scenario. Valga per tutti l’esempio nella Roma del Seicento. Dove artisti della levatura del Bernini, Pietro da Cortona, Carlo Rainaldi, Carlo Fontana si sono attivamente impegnati nella progettazione ed esecuzione di molte scenografie e apparati. Essi fecero ricorso a tecniche e materiali diversi, tra cuila cartapesta. Un unico intento animava allora questi artisti: suscitare la meraviglia nello spettatore. “Il mirabil composto”, così chiamato dal Bernini, si prestava quindi bene a questo scopo, fungendo da terreno di sperimentazione e, contemporaneamente, da momento ispiratore per successive realizzazioni. 13 Cfr. R.Wittkower, Sculpture. Process and principles, New York 1977, pp. 85-175 14 Cfr. C.S.Salerno, “Cartapeste d’autore” berniniane e algardiane., cit., p. 67 15 Cfr. C.Ragusa, Guida alla cartapesta Leccese, a c. di M.Cazzato, Galatina 1993, pp. 80-83 16 La serialità dei soggetti in esame non consente un’attribuzione certa, anche a causa delle successive ridipinture, per il Sacro Cuore di Gesù, è utile però, il confronto con la statuaria dello stabilimento di G.Malecore, dove simulacri delle stesse dimensioni erano prodotti appunto in serie con un costo che variava dalle 500 alle 670 lire, a sercondo del tipo di decorazione. Non è da escludere che anche il Nostro provenga dallo stesso stabilimento, particolarmente attivo in quel periodo. 17 Cit. in E.Rossi,“Gli artisti della cartapesta leccese nella pubblicistica salentina“ in “La Zagaglia”, Urbania, Settembre 1964, pp. 311-312 1 2

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