Vita Piena Nella Chiesa, Corpo Cosmico Di Cristo

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Vita piena nella chiesa, corpo cosmico di Cristo Questo è quanto ci risulta dal tentativo di delineare un profilo filologico, letterario e teologico (cristologico-ecclesiale e spirituale) di Colossesi.

Rispetto per la singola parola e per la sua posizione statistica nel lessico Colossesi è un' "epistola" (cfr. 4,16) che nel testo originale greco del Nestle Aland risulta composta da 4 capitoli di cui fanno parte 95 versetti a loro volta formati da 427 voci, o lemmi, che ricorrono 1582 volte in 537 diverse forme flesse. In totale le parole greche di Colossesi sono 1.582. Per delineare un profilo filologico e arrivare ad una sintesi teologica più scientifica che soggettiva è necessario rispettare, oltre la combinazione delle singole parole, e quindi sintagmi e frasi, la loro posizione gerarchica in statistiche diverse. È metodologicamente utile stabilire le volte che una singola parola compare nel testo, in quali versetti si concentra, quali frasi forma e a quali altre parole, simili o contrarie si associa. Indicare, specificare e congiungere Se leggiamo Colossesi da questo punto di vista, linguistico, risulta più frequente di ogni altra parola l'articolo ("il, lo, la"), come marcatore di nomi propri o comuni, concreti o astratti, e in sencondo luogo della congiunzione "e", il più comune collante di parole, sintagmi e anche frasi. L'articolo definito ho è usato 262 volte; in percentuale ricorre di più nel capitolo 1 e di meno nel capitolo 2. La prima volta, Paolo lo riferisce a Timoteo che considera "il fratello", il co-mittente di Colossesi. In 4,18, che è l'ultimo versetto, l'articolo è ripetuto 4 volte per marcare parole importanti in tutta la lettera, come "il saluto" (cfr. questo sintagma anche in 1Cor 16,21; 2Ts 3,17); "la mia mano" (cfr. 1Cor 16,21; Gal 6,11; 2Tm 3,17; Fm 1,19); "le mie catene" (cfr. Fil 1,7.13.14.17; 2Tm 2,9; Fm vv. 10 e 13); "la grazia [è/sia/resti sempre] con voi" (cfr. Ef 6,24; Col 4,18; 1Tm 6,21; 2Tm 4,22; Tt 3,15). L'articolo determinativo srve a identificare meglio sia Timoteo che Paolo e forma una inclusione, dall'inizio alla fine dell'epistola. Paolo è menzionato enfaticamente già in 1,1.23 (cfr. Ef 1,1; 3,1) mentre Timoteo non è più ricordato in Colossesi (e neppure in Efesini). La congiunzione kaí "e", la seconda parola più frequente nel documento (101 volte, con più ricorrenze nel capitolo 2 e con meno nel capitolo 3) è il collante di Colossesi. Questa "e", parola intera in greco, è usata la prima volta, e solo una, nel primo versetto, in 1,1 e serve ad associare Paolo, "apostolo di Cristo" "e il fratello Timoteo" come un pari, fratello appunto e comittente. Anche i colossesi sono considerati "santi e fedeli fratelli in Cristo" (1,2); anche Tichico è con Paolo (4,7) e Onesimo è un "fratello". Nel saluto finale Paolo congiunge a se e ai colossesi anche "i fratelli di Laodicea e Ninfa" con la chiesa in casa sua (4,15). La congiunzione associa persone

diverse tra loro in una sola casa-famiglia spirituale, nonostante le distanze geografiche. L'ultima volta "e" ricorre nel penultimo versetto della lettera, in 4,17, e serve letterariamente a collegarne l'incipit ad una serie di frasi precedenti, in forma paratattica in 4,16 dove Paolo, che si considera l'autore autentico della lettera, saluta e benedice l'ekklesía o assemblea (cfr. Col 1,18.24; 4,15s) dandole un qualche ordine finale. Letteralmente comanda: "e quando questa epistola fosse stata letta da voi, fate che kaí [= anche] nella chiesa dei laodicesi sia letta, e la [=quella proveniente] da Laodicea, kaí [= anche] voi leggiate". L'uso enfatico della congiunzione suggerisce che chi scrive in greco pensa ebraico. Subito a 4,16 segue il v. 17 con un altro ordine, introdotto da kaí, per indicare una sequenzialità di cose che restano sullo stesso livello di importanza e che sono tutte compiersi da parte della chiesa locale (cfr. già 1,18.24; 4,15): "e dite ad Archippo…". L'ordine è ecclesiale: "Considera la diaconia" ricevuta nel Signore, "per compierla". Articolo e congiunzione determinano e associano persone, luoghi, idee e cose tra loro. Per un profilo più completo bisogna però a questo punto indagare sui nomi propri e sulle relazioni che sono state intrecciate nel testo tra loro.

Cristo kýrios è il protagonista cosmico Una lista completa di nomi propri, di persone e di luoghi, serve ad approfondire il contesto storico e geografico e non solo più letterario di Colossesi, dove, innanzitutto e più di qualsiasi altra persona, è menzionato (non preceduto dall'articolo) "Cristo", per ben 25 volte. Questo totale in percentuale sul numero di versetti con questo nome, colloca Colossesi al 4 posto discendente dopo Filippesi (nel 33,6% dei vv.); Filemone (32%); Efesini (27,7%). Già questa comparazione statistica sembra stabilire una relazione, o prosssimità non solo linguistica, di Filemone ed Efesini a Colossesi in cui "Cristo" è presente nel 25,26% dei versetti (ossia in 24 versetti su 95) e una distanza da Galati (21,8% dei vv.) e soprattutto da Romani (15% netto). A Cristo, in Colossesi, segue per numero di volte il nome "Gesù" in 7 vv. (1,1.3s; 2,6; 3,17; 4,11s) che conferma come il personaggio più importante sia Gesù in quanto Cristo e kýrios, "Signore" (13 volte: 1,3.10; 2:6; 3:13.17s.20.22ss; 4:1.7.17). A Colossi, ma in Cristo e nel Signore La preposizione en, "in" è la terza più frequente voce con 88 occorrenze (di più nel capitolo 1 e di meno nel 3). Paolo la associa a "Cristo", al "Signore" e a Colossi. Le prime due volte in Colossesi en ricorre in 1,2, nel saluto iniziale rivolto "ai santi e fedeli fratelli in Cristo in Colossi". Mai nominata altrove nella Bibbia se non in Col 1,2, Colossi era in quel tempo una città della Frigia, 16 km ad est della moderna Denzili in Turchia. Distesa nella fertile vallata del fiume Lico ("lupo"), era soggetta a terremoti. Nel primo secolo la sua importanza, soprattutto per la produzione di lana trattata con colori e commerciata nella regione, s'era ridotta dinanzi alla concorrenza di Laodicea, città menzionata in Col 2,1; 4,13.15s (ma anche e solo ancora in Ap 1,11; 3,14) e Ierapoli, menzionata solo in Col 4,13. Queste altre due città vicine a Colossi, sono importanti perché situale lungo la stessa rotta commerciale che da Efeso conduceva alle regioni più interne dell'Asia Minore.

La maggioranza della popolazione era frigia, ma la lettera suppone la presenza anche di una numerosa comunità giudaica. Fin dal 62 a.C. nel distretto di cui Laodicea era la capitale, si contavano, secondo informazioni più o meno attendibili, circa 11.000 ebrei maschi adulti. Erano discendenti di circa 2.000 famiglie dislocate attorno al 213 a.C. da Babilonia (nell'attuale Iraq) dal re ellenista Antico III. Colossi non è stata evangelizzata da Paolo, almeno come sembra risultare da Atti che ignora questa città ma anche Ierapoli e Laodicea. Forse è Epafra (Col 1,7; 4,12; Fm 1,23) convertito da Paolo ad Efeso (cfr. Atti 18,19.21.24; 19,1.17.26.35; 20,16s; 21,29; 1Cor 15,32; 16,8; Ef 1,1; 1Tm 1,3; 2Tm 1,18; 4,12; Ap 1,11; 2,1) città ionica ma diventata capitale delle 16 provincie dell'Asia minore e situata a solo 175 km circa ad est di Colossi, che sarà distrutta da un terremoto sotto il regno di Nerone (44-69) e mai più ricostruita. Se il sintagma "in Colossi" ricorre solo in Col 1,2, l'epressione "in Cristo", propriamente paolina, ricorre in altri 72 versetti del corpus paulinum (non compare in 2Ts e in Tt). Riappare, più tardi altre tre volte, in 1Pt 3,16; 5,10.14, suggerendo così di indagare su un rapporto piuttosto stretto con il corpus petrimun (cfr. anche 2Pt 3,15-16). La lettera paolina dove "in Cristo" è in percentuale più frequente che altrove è Filemone (nei vv. 1, 8, 23), seguita da Filippesi (10 volte in 1,13 – 4,21). La lettera ai Colossesi occupa solo il settimo posto, con solo altre due occorrenze di questa espressione in 1,4.28, dove Paolo - "apostolo di Cristo Gesù" (1,1), "diacono" del vangelo (1,23) e firmatario della lettera (4,18) – ringrazia Dio per la fede "in Cristo Gesù", che egli ha proclamato e alla quale ha istruito i colossesi "con la sapienza, parola o verità del vangelo (cfr. Col 1,5.23) per rendere individualmente, ciascuno di loro, "perfetto in Cristo". Missione paolina è dunque annuncio del vangelo e formazione, ammonizione e istruzione sapiente continuata, sia oralmente che ora per scritto, per portare tutti, nessuno escluso, alla "maturità" della fede "in Cristo". A questa "perfezione" i colossesi arrivano se poi essi restano, vivono, abitano e si amano "in Cristo" come dimensione teologica prima che spazio-temporale. In Col 1 27, dove ancora le preposizione locale en ricorre due volte, Paolo si riferisce a "santi" ai quali soltanto è manifesto il "mistero nascosto da secoli". Dio ha voluto far conoscere "la gloriosa ricchezza di questo mistero "in etnici", che cioè "Cristo [è/vive/abita] in voi". Permanere fedelmente in Cristo equivale quindi ad una rivelazione del mistero di Cristo presente "in voi", nell'ekklesía messianica, considerata "corpo" fisico di cui Cristo è la testa (cfr. Col 1,18.24; 2,10.19). Nell'ultima occorrenza, in Col 4,17, en è riferita a Gesù ma considerato il kýrios come in Col 1,3. Relazioni interattive Paolo scrive di riferire parola per parola ad Archippo ("maestro di cavalli", menzionato anche in Fm 2) di compiere il suo ministero "nel Signore ", espressione questa che ricorreva già in Col 3,18.20 come regola fondante d'ogni tipo di rapporto interattivo, sia in casa tra genitori e figli o tra marito e moglie che in chiesa.

In Col 4,7 Paolo parlerà di sé in rapporto a Tichico ("[felice] circostanza"; menzionato in Atti 20,4; Ef 6,21; 2Tm 4,12; Tt 3,12). Ai colossesi tutte le notizie personali su Paolo le riferirà proprio questo "caro fratello e fedele diacono e con-servo nel Signore". Sia i rapporti familiari che quelli con l'apostolo e i propri collaboratori, ma anche quelli tra chiese locali diverse, sono stabiliti in Gesù in quanto Cristo e Signore e perciò in Dio che è il Padre (Col 1,2.3.12; 3,17). In Col 3,11, dove ancora en ricorre,Paolo parla della reale possibilità di una nuova vita in Cristo, nel quale non c'è più greco o giudeo, circoncisione o incirconcisione, civili o incivili, schiavi immigrati o padroni liberali, "ma tutte le cose e in tutti [è] Cristo". Questa affermazione della centralità e unificazione di tutto e di tutti in Cristo non è un messaggio esclusivo di Colossesi essendo nel cuore del ragionamento su Cristo e sulla chiesa da intendersi come suo corpo storico, anche in Rm 1,16; 3,29-30; 10,12; Gal 3,28 (cfr. Ef 1,10; 2,13; 4,4.15.16). Altri contatti e sviluppate relazioni personali sono rintracciabili nel testo attorno ad altri nomi menzionati non solo in Colossesi. In Col 4,9 Paolo scrive che Tichico, menzionato in 4,7, sarà accompagnato a Colossi, forse come il latore dell'epistola, da Onèsimo (letteralmente: "l'utile") "il fedele e caro fratello che è dei vostri". Queste due persone " informeranno" i colossesi "di tutte le cose di qui". Dove? Se è di Colossi Onesimo, il "figlio" generato in catene (Fm 10) è della stessa città anche Filemone suo padrone. È lecito pertanto sulla base di questo indizio chiedersi da quale prigione (e quando) Paolo abbia scritto Filemone e Colossesi. Una cosa sembra certa ed è il rapporto storico-geografico tra le due lettere. In Col 4,10 Paolo menziona altri personaggi inviando i saluti di "Aristarco, mio compagno di prigionia, e Marco, il "cugino" (anepsiós; il termine ancora solo già in LXX Nm 36,11; Tb 7,2; 9,6) di Barnaba". Paolo associa a sé quindi questo Aristarco, probabilmente di Tessalonica (cfr. Atti 19,29; 20,4; 27,2; Fm 1,24), e Marco (o Giovanni, quel figlio di Maria di Gerusalemme che è il probabile autore del secondo vangelo. Proprio la scelta di Giovanni Marco di rientrare a casa dalla missione verso i pagani, aveva condotto "al parossismo" Paolo e Barnaba (cfr. Atti 9,27; 11,22.30; 12,25; 13,1s.7.43.46.50; 14,12.14.20; 15,2.12.22.25.35ss.39; 1Cor 9,6; Gal 2,1.9.13; Col 4,10) e alla sofferta separazione. Giovanni Marco diverrà in seguito un anello di congiunzione anche di Pietro con Paolo (cfr. 1Pt 5,13). In Col 4,11 il nome "Gesù" non è riferito al Cristo ma a "Giusto", che è con Paolo che scrive Colossesi. In Col 4,14 Paolo menziona altre due persone: "Luca ('che emana luce'; menzionato solo nel corpus paulinum ancora in 2Tm 4,11 e Fm 1,24) che è il probabile autore del terzo vangelo e di Atti, "il caro medico" e "Dema" ('governatore del popolo'; menzionato ancora, non più positivamente, in 2Tm 4:10; Fm 1,24). In Col 4,15 Paolo saluta assieme ai fratelli di Laodicea soprattutto "Ninfa", una sorella, "con la chiesa presso la sua casa". A Laodicea è probabilmente lei la proprietaria e responsabile della casa dove la piccola chiesa cristiana si raduna.

In sintesi, Colossesi è un documento ricco di riferimenti a persone, di relazioni tra loro, con Paolo e soprattutto con Gesù, accolto come il Cristo Signore, capo di un corpo, la chiesa, nella quale stare come in casa, da fratelli. Essendo tanti i nomi di persone e di luoghi menzionati in Colossesi e altrove in Atti o nel resto del corpus paulinum, l'autenticità storica di Colossesi ne risulta rafforzata. Colossesi può essere letta in comparazione non solo con Efesini, alla quale è solitamente dagli studiosi associata, ma anche con documenti indiscutibilmente autentici quali Filemone, Filippesi e Atti. Lo stesso rapporto, insieme critico e di stima o almeno una reciproca conoscenza tra Pietro e Paolo è supposta e indirettamente documentata anche in Colossesi, sia per la menzione di Marco che di Barnaba.

Colossesi simile e diversa da Efesini Se Colossesi è costituita da 427 parole (1.582 occorrenze) Efesini è più lunga, con 525 parole e 2.422 occorrenze. In Colossesi Paolo utilizza una stessa parola in media 26,99% di volte, mentre in Efesini la percentuale è più bassa restando al 21,67% di volte. Ciò può significare che il vocabolario di Efesini è più vario e ricco rispetto a quello di Colossesi più povero e più usato. Le due lettere hanno 184 parole proprie dell'una rispetto all'altra: i termini di Colossesi che sono sconosciuti ad Efesini in percentuale costituiscono il 43,09% del totale (che è 427). Efesini ha il 35,04% di lemmi (che sono 525) che non sono mai usati in Colossesi. Pur essendo il vocabolario tanto diverso, le parole più significative sono comuni tra le due lettere, anche se non occupano la medesima posizione. Una comparazione su alcune tra le più frequenti e significative potrebbe aiutare a delineare un profilo teologico ed ecclesiale insieme simile e variabile in diversi aspetti anche importanti: Voi sý, "tu-voi" il pronome di seconda persona, singolare e plurale, in Col è più frequente: 57 volte su 1.582 occorrenze (il 3,60% di questo totale)dei 427 lemmi; in Efesini ricorre 48 volte su 2422 occorrenze (1,98%) dei 525 termini. In Col 1,2, Paolo augura ai santi e fedeli fratelli "grazia a voi e pace da Dio Padre nostro". Ancora agli stessi destinatari Paolo assicura personalmente che Tichico e Onesimo "vi informeranno". La relazione di Paolo con i colossesi, a cui si rivolge direttamente scrivendo e per interposte persone, non sembra comunque più forte di quella tra Paolo e gli Efesini (cfr. Ef 1,2 – 6,22) Cristo capo del corpo "Cristo" è in assoluto (46/2422) e in percentuale (l'1,89%) più frequente in Efesini (46 volte in 1,1 – 6,24) che in Colossesi (l'1,58%) dove ricorre 25 volte a partire da 1,1 allorché Paolo si presenta come "apostolo di Cristo Gesù", fino a 4,12, dove Paolo presenta il collaboratore Epafra come "schiavo di Cristo [Gesù]". Non c'è un opasso in cui Paolo chiarisca il significato del nome o che faccia la breve storia di Gesù. In Col 3,1 nomina due volte "Cristo" per esortare i colossesi a rinnovarsi vitalmente: se "siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù dove è Cristo seduto alla destra di Dio". Nelle due lettere Paolo dà per già spiegato e conosciuto il titolo di Cristo o Messia.

Tutto e tutti pâs, "tutto, ognuno individualmente" è percentualemente più frequente (il 2,46%) in Col (39 volte su 1.582) che in Ef (2,14%: 52/2422). In Colossesi la prima occorrenza , in 1,46, fa parte di un ringraziamento di Paolo a Dio per la fede "in Cristo Gesù" e per l'agápe nei riguardi di "tuttii santi". L'aggettivo indefinito ricorre più e spesso in Col 1,28: "Cristo in noi, la speranza della gloria" – del versetto precedente – è solo lui che bisogna annunciare "ammonendo ogni uomo e istruendo ogni uomo in ogni sapienza perché ogni uomo sia presente perfetto in Cristo". Paolo insiste sia sul singolo che su tutti. L'ultima occorrenza di pâs, in Col 4,12, serve ad espandere i saluti e benedizione dello scrivente in un augurio proprio e di Epafra, che non cessa di lottare pregando perché i colossesi, siano "saldi, perfetti e aderenti a ogni volere di Dio". Aderire alla totalità della volontà di Dio, nelle singole circostanze della vita ecclesiale, è perfezione. Io e noi insieme egó, il pronome personale, singolare e plurale "io-noi", è preponderante in Ef (44 volte in 1,2 – 6,24), rispetto a Colossesi dove ricorre 24 volte, la prima in 1,2 per dire che Dio è Padre "di noi", e l'ultima, in 4,18, in riferimento a Paolo che s'affatica e lotta "con l'energia" che viene da Dio e "che è operante con potenza in me". In Colossesi Paolo ha un profilo personale marcato. In 1,23 scrive: "ioPaolo sono diventato diacono" e in 1,25 con meno enfasi ripete: "io sono diventato diacono". Anche solo a partire da questo indizio, circa un modo tanto personale e coinvolto di scrivere, ritenere che Colossesi sia un falso, cioè uno scritto non autentico di un finto Paolo che si dice "apostolo" e "diacono" di Cristo (Col 1,1; cfr. Ef 1,1, ma in questa lettera il termine si riferisce anche ad altri "apostoli" in 2,20; 3,5; 4,11). Dio lo vuole theós, nome comune di "Dio", in percentuale è meno frequente in Efesini (31/2422, l'1,28% in 1,1 – 6,23, penultimo versetto della lettera) e percentualmente più frequente in Colossesi (21/1582, l'1,32%) dove compare la prima volta in 1,1. Qui Paolo riferisce alla "volontà di Dio"la propria vocazione all'apostolato (e al diaconato o servizio duro, insieme ad altri: cfr. sia Ef 3,7; 4,12; 6,5s.8.21 che Col 1,7.23.25; 3,11.22; 4,1.7.12.17). A "tutta la volontà di Dio" infine Paolo riferisce l'aderenza e quindi la perfezione di ciascuno dei suoi destinatari in Col 4.12. Il Signore e i padroni kyrios, "dominatore, padrone, proprietario" è pù frequente in Efesini (26 volte in 1,2 – 6,24) che in Colossesi, dove ricorre 16 volte a partire da 1,3 (il "Signore nostro Gesù Cristo") e fino a 4,17, dove ricorre senza che sia indicato Gesù o il Cristo in riferimento ad Archippo che "nel Signore" ha ricevuto la diaconia da compiere con dedizione. È necessario notare, nello studio di questo termine che è un titolo teologico di Gesù, che non sempre kýrios è riferito lui. In alcuni casi, soprattutto in queste due lettere, qualche volta indica i "padroni" di schiavi (Ef 6,5.9; Col 3,22; 4,1). In entrambe le epistole, secondo Paolo che da alcuni studiosi moderni considerato conservatore e socialmente arretrato, il rapporto dei servi o schiavi con i loro padroni deve essere simile (in obbedienza, stima e affetto) a quello che ogni credente deve avere con Gesù il Cristo e kýrios: dedizione, fedeltà e praticità svolgendo il proprio ministero o la stessa missione.

Corpo intero sôma, "corpo" che ricorre in Efesini 9 volte e in Colossesi 8, in Ef 1,23; 2,16; 4,4.12.16; 5,23.28.30; Col 1,18.22.24; 2,11.17.19.23; 3,15 ha anche un significato ecclesiale. in Colossesi Paolo ritiene che Gesù, in quanto Cristo e il Signore e "capo del corpo"; lo è diventato riconciliando popoli diversi per mezzo della morte del proprio "corpo di carne". Ora Paolo stesso può seguirne l'esempio se s'addossa ogni tipo di sofferenza convinto di potere "completare" (antanapleróo: è un termine che non compare altrove nella Bibbia greca) ciò che manca ai patimenti di Cristo "a favore del suo corpo che è la chiesa". È sempre con i patimenti pasquali che si edifica la chiesa, come ha fatto Gesù con la croce-staurós menzionata in Ef 2,16 e più ancora in Col 1,20; 2,14. Spirito e spiriti pneuma, "spirito". È spropositata la differenza nell'uso di questo termine tra Efesini (14 voltein 1,13 – 6,18) e Colossesi dove ricorre solo in 1,8; 2,5. In Col 1,8 Paolo sembra riferirsi allo Spirito Santo, mentre in 2,5 il termine ha valore antropologico e si riferisce all'apostolo stesso, che se è lontano da Colossi con il suo corpo ma è presente tra loro "con lo spirito" e interiormente gioisce al vedere la loro condotta in armonia con una salda fedeltà a Cristo. In sintesi, Colossesi con varianti nella chiarezza e intensità di linguaggio ha fondamentalmente in comune con Efesini una teologia trinitaria ed ecclesiale ma anche un profilo sociale della casa-famiglia e della comunità. Anche di Paolo si parla come diacono o ministro e apostolo in un intenso rapporto con i destinatari dei due scritti. In sostanza, non solo in queste due lettere, Paolo parla di Dio come Padre di Gesù e nostro, di Gesù come Cristo e Signore, Figlio di Dio (solo in Ef 4,13); dello Spirito (Santo) come animatore di un corpo storico che è la chiesa che ha Gesù risorto (cfr. Col 3,1) per capo inseparabile. Rispetto a Efesini, Colossesi ha comunque 184 parole proprie, alcune delle quali più frequenti di altre e con altre che non ricorrono altrove nel resto della Bibbia greca. Fare il saluto aspázomai, "io saluto", ricorre per esempio 4 volte in Col 4 (vv. 10, 12, 14, 15) e mai in Efesini; suggerisce piuttosto una somiglianza di Col 4 con Rm 16,3-23 e con 3Gv 1,15. Laodicea Laodíkeia, "Laodicea", è menzionata in Col 2,1; 4,13.15s e solo ancora in Ap 1,11; 3,14, e costituisce un indizio di una relazione tra Paolo e le lettere alle sette chiese e più in generale tra corpus paulinum e corpus johanneum. Il volere di Dio e quello di Paolo thélo, "voglio", è un verbo comunissimo nella Bibbia (ricorrendo in almeno 350 versetti tra LXX e NT), non è però mai utilizzato in Efesini, mentre 3 volte almeno è in Colossesi; in 1,27: ai suoi santi "Dio volle far conoscere" il mistero della presenza di Cristo tra i pagani; in 2,1: "io voglio che sappiate quale grande agonismo devo sostenere per voi"; in 2,18 è utilizzato con il significato di volere o desiderare, da parte di qualcuno a Colossi, applicarsi a pratiche religiose di poco conto, a visioni e venerazioni di angeli e tutto questo Paolo lo vieta. Battersi fino all'ultimo agonízomai, "io lotto; faccio agonismo", è un verbo raro, ricorrendo solo in 1Mc 7,21; 2Mc 8,16; 13,14; 15,27; (nell'apocrifo 4Mc 17,13); Sir 4,28 e nel NT lo troviamo in Lc

13,24; Gv 18,36; 1Cor 9,25; 1Tm 4,10; 6,12; 2Tm 4,7 oltre che in Col 1,29 ("mi affatico e lotto"); 4,12 (Epafra "non cessa di lottare continuamente per voi"). Paolo è per una autentica guerra santa a favore del vangelo tra i pagani, costi quel che costi in termini di sofferenza e persino della morte da cui si risorge vittoriosi ad una vita nuova (cfr. Ef 1,20; 2,1.5; 5,14; Col 1,18.22; 2,12f.20; 3,3.5) (Non) mancare alla giustizia adikéo, "io manco di giustizia; manco contro la legge e il diritto", è un verbo ripetuto in Col 3,25: "chi commette ingiustizia subirà le conseguenze dell'ingiustizia commessa". Non ricorre in Efesini ,ma Paolo lo utilizza ancora in 1Cor 6,7s; 2Cor 7,2.12; Gal 4,12; Fm 1,18, che sono lettere indiscutibilmente autentiche. L'invisibile che è più reale del visibile aóratos, "invisibile", è aggettivo raro ricorrendo solo in LXX Gn 1,2 (l'Ebraico ha: "la terra era informe"mentre il greco traduce: "la terra era invisibile"); 2 Mc 9,5 (il Signore colpisce con piaghe insanabili e invisibili); Is 45,3 (Ebraico: Dio consegna a Ciro tesori "nascosti" e ricchezze "celate"; LXX: invisibili); Rm 1,20 (le perfezioni invisibili di Dio possono essere viste con l'intelligenza nelle opere da lui compiute); 1Tm 1,17 (l'invisibile e unico Dio); Eb 11,27 (per la fede Mosè lasciò l'Egitto "perché vedeva l'invisibile") oltre che in Col 1,15s dove Gesù, il Cristo, è presentato come l'immagine visibile di Dio "invisibile" perché è in Cristo che sono state create tutte le cose, quelle visibili e quelle "invisibili". Questi ragionamenti Paolo non li fa mai in Efesini. Denudarsi per denudare i poteri del mondo apekdýomai. Soltanto 2 volte nella Bibbia greca ricorre questo verbo composto, che letteralmente significa "spogliarsi; strapparsi di dosso" qualcosa di aderente. Lo troviamo solo in Col 2,15 e 3,9s e mai altrove nel resto della Bibbia. Per mezzo di Cristo crocifisso, Dio, scrive il Paolo di Colossesi, "ha messo a nudo i principati e le autorità" facendone pubblico spettacolo, una parata di impotenti. In Cristo però anche i colossesi si sono "spogliati dell'uomo vecchio" con la sua prassi e rivestiti (cfr. endýo, "mi metto addosso, indosso" in Rm 13,12.14; 1Cor 15,53s; Gal 3,27; Ef 4,24; 6,11.14; Col 3,10.12; 1Ts 5,8) dell'uomo nuovo che si rinnova ad immagine del suo Creatore come un figlio di Dio in Cristo. In Col 3,10, Paolo utilizza anakainóo, "mi rinnovo" che compare solo ancora una in 2Cor 4,16 in un contesto simile: anche se "il nostro uomo esterno decade, quello interno si rinnova di giorno in giorno". In Col 2,11 Paolo aveva usato il sostantivo apékdusis, "spogliazione", che è un hapax nella Bibbia greca. In Cristo i colossesi sono stati davvero spogliati e circoncisi, ma di una circoncisione spirituale e non di mano d'uomo, "mediante la rimozione" del corpo di carne o dell'uomo vecchio.Colossesi ed Efesini, pur non utilizzando le stesse parole riferiscono della necessità di un rinnovamento radicale delle persone attraverso la fede e il battesimo cristiano. Portare buoni frutti karpophoréo, non è usato in Efesini mentre ricorre due volte in Colossesi. In 1,6, la parola vera del vangelo annunziato anche in questa città, "come pure nell'intero cosmo fruttifica e cresce". Paolo esorta i destinatari, dell'epistola e del vangelo comunicato a Colossi, a comportarsi in una maniera degna del kýrios, per piacergli in tutto e per sempre, "fruttificando in ogni opera buona" e aumentando la conoscenza di Dio. Questo verbo, "io porto frutto", se non lega direttamente Colossesi a Efesini, richiama fortemente un'altra lettera autentica di Paolo, Romani, in cui è ancora

utilizzato ben due volte (cfr. 7,4.5) e soprattutto evoca la tradizione sinottica della parola stessa di Gesù (cfr. Mt 13,23; Mc 4,20.28; Lc 8,15). Elementi inconsistenti della filosofia stoicheîon. Questo termine, raro e assente in Efesini, è utilizzato due volte, al plurale entrambe in Col 2,8.20. Paolo mette in guardia i suoi dalla "filosofia" (philosophía è solo qui in Col 2,8, ma cfr. l'apocrifo 4Mc 1,1; 5,11.22; 7,9.21) che inganna con argomentazione dialettiche a partire e "secondo gli elementi del mondo" ignorando Cristo risorto, vivente e presente ovunque, in cielo e nel suo corpo, la chiesa. Paolo con convinzione esorta verso l'alto: "se siete morti con Cristo agli elementi del mondo" perché lasciarvi ancora condizionare da rubriche ascetiche (o di diete religiose) e mistiche (di visioni, di rituali festivi, di simboli o giorni liturgici), confodendo in tal modo l'"ombra" con il "corpo" – che quello di Cristo, la chiesa. Paolo invita a passare, in modalità pasquale,di esodo, dall'ombra alla luce, dalla morte alla vita, dall'uomo vecchio al nuovo, diventando cristiani e non religiosi ebrei, o filosofi stoici che ancora s'adattano, riducendo la loro dignità di figli di Dio, agli elementi costitutivi di questo mondo e alle corrispettive teorie o ideologie umanistiche ma senza Dio. Il termine átheos ricorre solo una volta nella Bibbia, in Ef 2,12 evidente parallelo di Col 1,21. Il termine stoicheîon è invece utilizzato da Paolo anche in Gal 4,3.9 (cfr. l'apocrifo 4Mc 12,13; Sap 7,17; 19,18 e nel NT Eb 5,12; 2Pt 3,10.12). Oscenità Il nome comune aischrología è usato solo in Col 3,8 e mai altrove nella Bibbia. Nel mondo classico che è pagano è invece comune in Senofonte, Polibio, Diodoro Siculo, Plutarco ed Epitteto. Persino Aristotele lo usa per riferirsi ad un discorso di poco buon gusto, osceno per riferimenti ad adulteri o a storie di pederastia. Una nuova vita in Cristo e nel suo corpo nella chiesa suo corpo, comporta la necessità di deporre ira , passione, malizia, maldicenze e appunto "oscenità dalla bocca". In 4,6, utilizzando hálas, "sale", altro termine raro e assente da Efesini (ma presente in Sir 39,26 e nella tradizione sinottica di Mt 5,13; Mc 9,50; Lc 14,34), Paolo esorta a un parlare con grazia, "condito di sale" per saper rispondere a chi, pagano, provoca con scurrilità ma anche con raffinate regole ascetiche e mistiche vuote di verità cristiana. In sintesi, molte parole di Colossesi mancano del tutto ad Efesini e almeno 18 mancano anche a tutto il resto della Bibbia greca mentre specificano, linguisticamente e storicamente Colossesi. Questa specificità non significa tuttavia dissimilarità o contrapposizione soprattutto rispetto ad altre lettere paoline. Piuttosto, significa un preziosa novità e un arricchimento, non solo linguistico, ma spirituale per la chiesa che deve crescere, nella propria identità matura in Cristo e in Colossi, nell'intersezione tra mondo greco-ellenistico e giudaico. Altri termini, oltre quelli fino ad ora registrati, mostrano lo sforzo di Paolo, di un'invenzione linguistica per farsi capire dai suoi destinatari: proakúo, "io pre-ascolto" in Col 1,5; pithanología",argomentazione plausibile ma falsa; un sofisma" in 2,4 ; sylagogéo,"far bottino; catturare una preda" in 2,8; theótes, "divinità, deità" e somatikôs, "somatico" in 2,9; katabrabeýo, "io (ti) derubo di un premio" in 2,18 ; apóchresis, "l'uso" in 2,22; ethelothreskía, "religiosità a proprio uso e consumo" e apheidía, "austerità (affettata)" in 2,23; momphé, "ciò di cui lamentarsi" in 3,13. Altre parole invece costituiscono inclusioni semantiche importanti in Efesini (e per altre lettere del corpus paulinum) e mancano del tutto a Colossesi: la congiunzione dió,

"perciò" (in Ef 2,11; 3,13; 4,8.25; 5,14); epouránios, "celeste; celestiale" (Ef 1,3.20; 2,6; 3,10; 6,12); epangelía, "promessa" (Ef 1,13; 2,12; 3,6; 6,2); oikodomé, "edificazione; costruzione" (Ef 2,21; 4,12.16.29); "entrambi" (Ef 2,14.16.18); "giustificazione" (Ef 4,24; 5,9; 6,14); "lode; apprezzamento" (Ef 1,6.12.14); klêsis, "vocazione, chiamata" (Ef 1,18; 4,1.4); métron, "metro, misura" (Ef 4,7.13.16). In totale a Colossesi mancano circa 280 parole che ricorrono, anche più spesso di una volta, in Efesini. Efesini e Colossesi sono lettere simili e diverse ma possono completarsi tra loro suggerendo ai lettori di oggi, che le considerino assieme, la possibilità di una vita nuova, teologica, cosmica, eterna ma possibile solo nella chiesa, corpo di Cristo. Sembra improbabile che Colossesi, come Efesini, siano dei falsi storici, in quanto la presenza di Paolo come mittente e redattore accorto, a conoscenza di situazioni e ideologie religiose ma inautentiche è enfatizzata in entrambe. Non sembra finto il Paolo che in Col 4,18 si firma e sgarabocchia un saluto "di mia mano, di me, Paolo", e che invita i destinatari a non dimenticare che chi scrive è in "catene". Conseguenze della fede in Gesù Un profilo di Colossesi è incompleto senza la lista degli imperativi, essendo considerata canonicamente, come ogni altra lettera, normativa. Il modo imperativo esplicita poi la volontà del mittente nei riguardi dei destinatari lontani, ma allo stesso tempo svela le conseguenze della fede in Gesù, il Cristo e Signore, come volontà di Dio stesso. In Colossesi, gli imperativi sono frequenti nel capitolo 3: ce ne sono 17; 9 in Col 4; 4 soltanto in Col 2 e nessuno in Col 1. Non sono omogeneamente distribuiti ma sono rintracciabili a partire da 2,6: "camminate nel Signore Gesù Cristo", in fedeltà all'annuncio ascoltato, per arrivare a 4,18: "ricordatevi delle mie catene". In alcuni altri versetti, come 3,15, ce ne sono due di seguito: la pace di Cristo "amministri i vostri cuori" e "siate riconoscenti". Anche in 3,19 due imperativi, entrambi rivolti ai maschi, servono per creare armonia familiare: voi mariti "amate le mogli" e "non comportatevi con amarezza verso di loro". Per una lettura pastorale completa di Colossesi è però necessario esaminare e riflettere ancora su tutti gli altri versetti in cui almeno un verbo è usato in questo modo (cfr. ancora Col 2,8.16.18; 3:1s.5.8s.12.15s.18.20s; 4:1s.5.10.15s). Con almeno due occorrenze imperative ci sono blépo, "vedo, osservo", in Col 2,5.8; 4,17; peripatéo, "cammino", in 1,10; 2,6; 3,7; 4,5; hypakoúo, "ascolto attentamente, obbedisco", in 3,20.22. Tutti questi verbi costituiscono, come pare, una forte e chiara mediazione di Paolo in persona e il vertice di un suo intervento diretto,pastorale, attento ad ogni situazione dei suoi lettori di allora. Trasforma l'indicativo dell'annuncio in una serie di comandi, in tal modo interpretando e riproponendo per scritto il vangelo di Cristo "capo" della chiesa. È solo il vangelo il contenuto e la regola essenziale della "fede" (cfr. Col 1,4.23; 2,5.7.12), della "speranza" (Col 1,5.23.27) e della "carità" (Col 1,4.8; 2,2; 3,12.14.19), virtù dinamiche indispensabili alla costruzione della chiesa e alla vita nuova, che è teologale, in quanto filiale e fraterna come quella di Gesù, il Cristo e Signore, animato solo dallo Spirito rispetto al Padre suo e nostro.

Angelo Colacrai - Pontificia Università Gregoriana, Roma – Sociedad Bíblica Católica Internacional, Madrid (angelo.colacrai@gmail) //////Per favore: lasciare questo indirizzo e qualifica

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