Music In N. 6

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9-09-2008

12:06

Pagina 1

OLALA VICTORIA ABRIL! Periodico di informazione, attualità e cultura musicale a cura del Saint Louis College of Music

Luglio-Agosto-Settembre 2008

PERIODICO DI INFORMAZIONE, ATTUALITÀ E CULTURA MUSICALE A CURA DEL SAINT LOUIS COLLEGE OF MUSIC

SPECIALE FESTIVAL

COLONNA SONORA METROPOLITANA

GAZZÈ LADRA di Corinna Nicolini

di Valentina Giosa

Come dire, una vittoria in Aprile. E in tutti gli altri giorni dell’anno. La stoffa della vincitrice c’è, è tutta davanti ai nostri occhi, nelle grandi interpretazioni cult, nel mistero grottesco dei suoi personaggi, nell’almodovariana ricerca dell’anima. Si fa legare da Antonio Banderas in Legami!, ammazza il suo amante in Tacchi a Spillo, è una ninfomane con Javier Bardem in Tra le gambe e un angelo mandato a salvare un’anima – ma si innamora del diavolo (Penelope Cruz) – in Nessuna notizia da Dio. Eppure, quando ancora di cognome faceva Mérida Rojas questa ragazzina di Malaga sapeva di voler ballare: danza classica. Poi puf, improvvisamente oggi: esce il suo secondo album, dopo Putcheros Do Brasil. Perché canta pure. (...)

Penetranti e seducenti, notturni e metropolitani, ipnotici e straordinariamente raffinati, i Massive Attack sono una band decisamente sopra le righe, un esempio eccellente di un linguaggio innovativo e affascinante che è riuscito ad esprimere al meglio lo spirito di un’epoca nuova senza mai ricorrere a schemi precostituiti. Tutto ha inizio a Bristol, una cittadina a un’ora di treno da Londra, che fino a poco tempo prima era quasi ignorata da tutti e che invece si rivelerà presto la fucina musicale più fertile dell’Inghilterra di fine millennio (vedi Portishead, Tricky), patria del B-sound, più tardi chiamato trip-hop. (...)

Questa recensione è dedicata a tutti voi che storcete il naso alla parola pop (mentre io lo alzo in su per intonare i miei ritornelli preferiti). Sì, perché con Max Gazzè è tutto un altro pop. La carriera alle sue spalle è già lunga. Nel 1998 Max notava una leggera flessione del senso sociale e rideva di chi credeva ancora nella Favola di Adamo ed Eva, mentre lui credeva solo nella musica, pensava che un li li li la la la (minore) potesse salvarlo sull’orlo del precipizio, e andava in giro con il suo amico Niccolò Fabi e con il Vento d’estate fra i capelli, raccontando di quell’Amore pensato come di un bacio non dato. (...)

 CONTINUA NELLA PAGINA SOUNDTRACKING

 CONTINUA NELLA PAGINA EDGE&BACK

 CONTINUA NELLA PAGINA POPCK

di Romina Ciuffa

J A&ZbluZes

KEITH JARRETT

Ppop&rock OPCK

MADONNA

Editore STEFANO MASTRUZZI Direttore Responsabile SALVATORE MASTRUZZI Direttore ROMINA CIUFFA Redazione Romina CIUFFA [email protected] Flavio FABBRI [email protected] Rossella GAUDENZI [email protected] Corinna NICOLINI [email protected] Roberta MASTRUZZI [email protected] Valentina GIOSA [email protected]

Progetto grafico Romina CIUFFA Impaginazione Cristina MILITELLO Logo Caterina MONTI

Redazione Via del Boschetto,106 - 00184 Roma Tel 06.4544.3086 Fax 06.4544.3184 Mail [email protected] Marketing e Pubblicità Mail [email protected] Tipografia Litografica Iride Srl Via della Bufalotta, 224 - Roma Contributi di Rubrica Giosetta CIUFFA per No Comment Rita COLEINE per Musicall

Contributi Elisa Angelini, Manuele Angelucci Marzia Bagli, Lorenzo Bertini, Nicola Cirillo Stefano Cuzzocrea, Gianluca Gentile Emilio Merone, Paolo Romano Maria Luisa Tagariello, Alessandro Tognolo Ersilia Verlinghieri, Eugenio Vicedomini Anno II n. 6 Luglio-Agosto-Settembre 2008 Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 349 del 20 luglio 2007

STEFANO MASTRUZZI EDITORE

BEYO ND &further

LUCA BUSSOLETTI

ED E andG back

STOMP!

OSTE, È BUONO IL VINO? Brindiamo. Alla salute di quell’insana cultura musicale che predilige dinamiche di finanziamenti, politica, moda, bancarelle. Brindiamo a chi, dei Festival, non si è svenduto al miglior (s)offerente. Mandiamo giù questo vino per tutti coloro che sanno scegliere con cuore e cultura. Per coloro che promuovono il nuovo. Per coloro che incontrano gli stranieri. Io brindo alla musica vera con il mosto più raffinato, che è quello calpestato con piedi affaticati su vie impervie. Puntuale al via l’estate romana, fra consuete polemiche da parte degli esclusi, poche novità sostanziali e un sistema che da anni plagia se stesso. Resta poco di culturale in quelle manifestazioni che costituiscono solo il pretesto, per i locali invernali, ad aprire modaiole bancarelle e servire ristorazione raffazzonata all’aperto. Ci si aspetta dai Festival, dopo il mare, cultura, novità della stagione e anteprime di progetti artistici. Magari anche un azzardo con la produzione di nuove forme di comunicazione artistica. La realtà è più magra, a guardarla, e dimagrisce ancora ogni volta che certi raduni blasonati, forti di anni di attività, con immani colpi di coda restano a galla e propongono un calendario sul nulla musicale, prolisse ripetizioni di progetti di poco spessore, personaggi ritriti e nessun richiamo alla novità cui un Festival vero dovrebbe puntare: l’arco punta là dove fallisce la missione di creare avanguardia, originalità, occasioni di incontro fra artisti lontani – non solo fisicamente. Nel mare nostrum di proposte estive dobbiamo distinguere, allora, quelle che ricercano un contenuto musicale da quelle che son pretesto per vendere vino (abitudine ultramillenaria per Roma), per giunta di qualità mediocre ma dal maggior ricavo. Di fronte, in fila, un pubblico che insegue la ricerca di progetti musicali di spessore e un altro che prende il fresco in un posto alla moda. Poi, la politica: da un punto di vista istituzionale è auspicabile che la nuova giunta capitolina persegua un intento più

filoculturale rispetto alle precedenti amministrazioni, e che pure mantenga le figure professionali emerse per capacità e meriti; al tempo stesso, però, rimuova quelle di dubbio valore culturale – vecchi volponi della forchetta e della poltrona – per dar spazio a generazioni più vive, vitali e colte. Meno ristoratori, più rappresentanti di cultura (senti)mentale. Nonostante l’afa estiva che è responsabile di questa insofferenza, riesco però ancora a vedere i fautori romani di una stagione romantica – fatta di notturni musicali sotto gli alberi – e dotta nel contempo – i notturni musicali oltre gli alberi –. Leopardiana ma possibile. Tanto di cappello alla programmazione del Luglio suona bene dell’Auditorium, ma anche prezioso il Festival franco-italiano di jazz e musica improvvisata Striscia di terra feconda creato da Paolo Damiani e Armand Meignan, che diviene luogo deputato al puro incontro della nostra cultura con quella d’oltralpe; ed anche, coerentemente, il Jazz’s Cool del Saint Louis College of Music, dove ad incontrarsi alla Casa del Jazz sono formazioni inedite di artisti italiani e jazzisti americani e inglesi. Chissà che il pubblico non impari a scegliere in base all’offerta musicale come fa con la carta dei vini. A quel giorno: prosit. Stefano Mastruzzi Romina Ciuffa

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NC OOMMENT attualità STRADIVARI a cura di GIOSETTA CIUFFA

Edvin Marton Suona il violino di Antonio Stradivari. Ma bene

Music In  Luglio - Agosto - Settembre 2008

NELSON MANDELA Il 27 giugno 90 anni e un concerto Attraversare il mondo con l’anima e non morire mai

MEDIA La radio Uno studio rivela che è ancora in ottima salute nonostante la rivoluzione digitale. E continuiamo ad ascoltarla

STRADIVARIUS EDVIN

di Giosetta Ciuffa

Quattro secoli fa questo violino è stato intagliato da un liutaio cremonese, oggi lo può suonare solo Edvin Marton. E lui ci si sollazza: ci fa Puccini, Vivaldi, Bach ma pure O Sole Mio e Il Padrino. Perché è talmente bravo che non teme il nuovo

I

mmaginiamo di avere una possibilità che normalmente viene concessa solo a pochissime persone, come ad esempio suonare uno strumento raro e famoso. Non uno strumento qualunque, ma uno che da quando è stato creato ha attraversato lo spazio e il tempo, i secoli e le mode, e del quale il geniale creatore ha lasciato solo pochi esemplari a raccontarci la sua storia. Immaginiamo la nostra vita giorno per giorno, ora dopo ora, momento dopo momento, e pensiamo che sono ormai quasi quattro secoli che un tale violino è stato intagliato dal suo liutaio, e attraverso corde e legno regala musica ai fortunati ascoltatori. Pochi sono coloro che possono permettersi di ammirarne uno da vicino o di suonarlo stabilmente. Cosa si prova quindi a suonare uno strumento così antico quale un violino Stradivari in

MANDELA IN MUSICA

un’epoca tanto veloce? Può riuscire l’abbinamento di uno strumento tanto prestigioso con una musica moderna? Se si cerca di coniugare emozione e ritmo, probabilmente sì. È quanto può permettersi il trentaquattrenne violinista ungherese Edvin Marton, che nel 1996 ha partecipato a una gara vincendo la possibilità di suonare lo Stradivari messo a sua disposizione per tutta la vita dalla banca svizzera HBS. Non uno a caso, ma uno che – unico musicista europeo – ha vinto un Emmy Award per la miglior composizione dell’anno e due Golden Violin Award. Un lusso quello di esibirsi con un prezioso violino di Antonio Stradivari del 1698, anche appartenuto a Nicolò Paganini, del valore stimato di quattro milioni di dollari. Ed è proprio per porre in risalto la particolarità dello strumento che Marton è impegnato a

portare in tourneé mondiale lo spettacolo Stradivarius Show, rivisitazione in chiave pop della musica classica, accompagnato sul palco da cinque musiciste della Monte Carlo Orchestra e dalla prima ballerina dell’Hungarian National Opera House, anche sostenendo il Progetto Chifundo in Malawi per la prevenzione della trasmissione dell’Hiv e in favore dell’assistenza a domicilio dei malati di Aids. Anche all’Auditorium di Roma è spiccata la vivace giovinezza del suono del violinista ungherese capace di rendere accessibile a tutti il patrimonio di Paganini, Vivaldi, Puccini, Bach e Tchaikosky, mischiato in un’alchimia unica con il repertorio della canzone popolare come «O Sole Mio», del pop contemporaneo con «C’est La Vie», con un occhio alla musica per film con «The Godfather». Pure.

di Manuele Angelucci

Il suo nome voleva dire Portaguai. Oggi lo celebrano i più grandi artisti della nuova generazione. Era un galeotto e un presidente, smuoveva ideali, sensibilizzava il mondo. Come la musica.

E

sattamente 90 anni fa, il 18 luglio 1918, nel piccolo villaggio di Mvezo sulle rive del fiume Mbash, Sud Africa, il capo della tribù Gadla Henry Mphakanyiswa uscì dalla soglia alzando verso il cielo il nuovo membro della famiglia. Guardandolo, minuscolo tra le sue braccia, notò forse già allora gli occhi di un capo, conformemente alle sue origini aristocratiche: ma quegli occhi, unica e prima forma di contatto col mondo su cui era appena giunto, tradivano qualcosa in più, qualcosa che solo un padre avrebbe potuto saper vedere quel giorno: il suo nome, allora, sarebbe stato Rolihlahla, «porta guai» nel linguaggio Xhosa; per l’anagrafe bianco Nelson: Nelson Mandela. La sua capacità di portare guai, di sovvertire, la sua fermezza nell’inseguire la libertà, nel lottare contro tradizioni, consuetudini e status quo, la costanza nel perseguire convinzioni e ideali sarebbero state così forti da cambiare il destino di un popolo e di un intero Paese fino a diventarne il simbolo. Le prime tradizioni che Portaguai attaccò furono proprio quelle del suo popolo, scappando a Johannesburg per sfuggire al matrimonio combinato per lui dal re Thembu. Nella metropoli sudafricana, regno di luce, grattacieli, ricchezza, il ragazzo cominciò a prendere coscienza della condizione di estremo sfruttamento e disagio in cui versava la popolazione nera, avvicinandosi e avviandosi presto alla scalata dell’African National Congress. I suoi occhi parlavano alla gente, come avevano parlato a suo padre quel giorno: Portaguai aveva carisma, coraggio, capacità di leadership. I suoi discorsi profondamente civili e non-violenti smuovevano i sentimenti dei neri e ponevano davanti agli occhi dell’opinione pubblica internazionale la segregazione razziale e le ingiustizie perpetrate nei confronti dei neri sudafricani. Note sono le vicende: dal 1948 Partito Nazionale di Daniel Malan, salito al potere procedette all’istituzionalizzazione dell’apartheid. L’Anc fu messo al bando e i suoi membri fuorilegge. Accusato di tradimento Portaguai visse alla stregua di un fuggitivo, clandestino sotto le stelle della sua Africa: si muoveva di notte, per tenere le fila di un movimento che non voleva morire. Ogni incontro poteva essere quello fatale: non c’era poliziotto nel Paese che non desiderasse catturare «Black Pimpernel». Finché una chiara notte d’inverno del 1964 una Ford si accostò intimandogli di fermarsi. Il Rivonia Trial lo condannò all’ergastolo. Fu rinchiuso nella cella 466 della prigione più dura, Robben Island, sezione distaccata per prigionieri politici. Isolato dal mondo.

Ma la prigione non lo uccise, non ne piegò lo spirito. Anzi proprio da quel momento, ormai leader mondiale, la sua voce si fece più forte e chiara. Nei 28 anni di prigionia gli venne spesso in mente l’incontro da ragazzo con un cantastorie Xhosa, Krune Mqhayi, che gli aveva insegnato la potenza della musica e delle parole nel raggiungere i cuori e le coscienze, scavalcando ogni limite e confine: e dalle sbarre di una cella fece crollare la fortezza del potere bianco, parlando ai neri e ai bianchi, ai sudafricani e al mondo. Proprio per questo il 27 giugno si è deciso di festeggiare il 90simo compleanno di Rolihlahla in musica, con un gran concerto nel cuore di Londra, Hyde Park. A rendergli omaggio una serie di artisti della nuova generazione negra (Leona Lewis, Amy Winehouse, Jamelia, Eddy Grant, Shirley Bassey) ma non solo: Queen&Paul Rodgers, Annie Lennox, Simple Minds, Zucchero, The Corrs; interventi di Bill Clinton, Gordon Brown, Robert De Niro, Will Smith, Lewis Hamilton e molti altri. L’evento è stato organizzato in sostegno dell’organizzazione umanitaria di Mandela 46664 (dal numero di cella e dall’anno dell’arresto), che raccoglie fondi per la Fondazione Nelson Mandela impegnata nella lotta contro l’HIV, piaga del Sudafrica sopravvisuta all’apartheid. La musica, ancora una volta, per smuovere idee, sentimenti e lotta di libertà dai mali dell’uomo.

LA RADIO DEL FUTURO Nato da una crescente esigenza informativa e formativa, avvertita da utenti e addetti ai lavori, è stato presentato, alla sua seconda edizione, lo studio «RadioLab.Next: il futuro presente» al fine di studiare come la radio stia generando nuovi ascoltatori e quanto efficace sia associata a tv, stampa e internet, promosso dal Centro Studi GroupM insieme alle principali otto concessionarie radio in Italia: Il Sole 24 Ore, Manzoni, Mondatori, NoveNove Pubblicità, Radio e Reti, Rds, Rtl, Sipra. adioLab è soprattutto un progetto che ha come obiettivo principale la valorizzazione delle qualità e delle unicità del mezzo Radio all’interno dell’attuale panorama dei media in continua evoluzione e ridefinizione», dichiara Matteo Cardani, Chief Strategic Officer del gruppo, e prosegue: «Il momento positivo della Radio si inserisce in un contesto in cui il media mix è in continua evoluzione, con segnali sempre più chiari di contaminazione e ibridazione tra i mass media classici e i nuovi media digitali». La prima parte della ricerca, Radio Next Generation, valuta come la radio generi nuovi ascoltatori nella Y Generation digitale 15-35 attraverso la multimedialità: il profilo generale della radio, emerso da una consumer survey condotta a febbraio 2008 su di un campione

«R

È QUELLA DEL PASSATO rappresentativo di 750 persone tra i 15 e i 35 anni, la cosiddetta generazione «born digital» formatasi sui nuovi mezzi digitali, è di un mezzo in buona salute, che sta vivendo una seconda giovinezza dalla rivoluzione digitale dei media e che riesce ad articolare e sviluppare la sua presenza pur nella frammentarietà inevitabile delle piattaforme di ascolto. La radio ha una presenza pervasiva nella vita di tutti i giorni della Next Generation ed esprime al meglio la fortissima domanda di portabilità dell’ascolto del mezzo, tendenza oggi comune a tutti i media. Il radicamento funzionale ed emozionale della radio nelle abitudini di consumo risiede, inoltre, nel fatto che non c’è nessun mezzo come la radio in grado di presidiare il territorio della musica e, nel contempo, di offrire intrattenimento «attivo», giacché essa è un mezzo capace di far compagnia per antonomasia. In tal senso le esperienze di radio in tv sono accolte favorevolmente da oltre i due terzi della Next Generation, sia come possibilità di estendere l’ascolto in altri luoghi, tempi e occasioni di consumo, sia come riprova dell’autenticità del mezzo che aggiunge questa possibilità agli ascoltatori. In merito alla questione «radio & iPod», nonostante l’avvento dei lettori MP3 abbia fatto presupporre una minaccia per la radio, in realtà

per la Next Generation la fruizione dei media non si evolve secondo la logica tradizionale degli aut-aut (il paradigma dell’or), bensì in logica di complementarietà (il paradigma dell’and). L’avvento dei lettori MP3 ha offerto sicuramente i benefici della personalizzazione della propria playlist di ascolto unitamente alla portabilità della musica. Ma si riconoscono almeno 5 benefici aggiuntivi ed esclusivi della radio: la capacità di informare e veicolare le novità musicali (la radio come shop window), la maggiore varietà di offerta attraverso il mix di musica e programmi, il valore di intrattenimento dei conduttori, l’importanza dell’aggiornamento e dell’offerta di notizie, il senso di community. Il paradigma dell’and si applica anche al rapporto tra internet e radio: il web ha aggiunto un canale ulteriore di ascolto (la radio in streaming è fruita da un terzo della Next Generation e cresce nella fascia 25-35 come occasione di ascolto durante le ore di lavoro) e ha offerto la possibilità di visitare i siti web delle proprie radio preferite e svolgervi almeno 3,4 attività aggiuntive all’ascolto (es: partecipazione a giochi, concorsi, forum, chat, ricerca di informazioni, visione via webcam della radio). Insomma, la radio del futuro è sempre la stessa, quella che è in salotto.

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NC OOMMENT attualità POLITICA Estate

Music In  Luglio - Agosto - Settembre 2008

PREMI Venice Music Awards Torna il gran galà della musica leggera

INTERVISTA Aram Quartet Dalla X di X-Factor alla C di cover. E di concreto

LIBRI Dead City Radio Per chi ha un diavolo in corpo e non può dormire

Togliere i soldi alla musica per darli a...?

TI PREMIO A VENEZIA Anche quest’anno torna a Venezia la musica del «Venice Music Awards», il gran galà della musica leggera italiana che da tre edizioni si svolge nella prestigiosa cornice del Palazzo del Cinema del Lido di Venezia. Nel corso della cerimonia, in onda su Raidue nella prima serata di lunedì 21 luglio, la consegna di un riconoscimento d’eccellenza a tutti gli artisti che si sono distinti nel panorama della musica leggera italiana. I cantanti premiati sono stati scelti da una giuria presieduta dal direttore artistico del premio Elio Cipri e composta da direttori d’orchestra e produttori musicali della musica leggera: i maestri Renato Serio, Fio Zanotti, Bruno Santori e Adriano Pennino. Dodici le categorie premiate, e premi – fra gli altri – per Ron, Finley (nella foto in alto a destra), Tricarico, Fabrizio Moro (nella foto in basso a destra), Paola e Chiara. Nel corso della serata si esibiranno altri artisti musicali con brani di successo: tra gli altri la vincitrice del Festival di Sanremo 2008 Lola Ponce (nella foto a sinistra). Ma anche gli Aram Quartet, freschi di X-Factor con tutta l’intenzione di cambiare lettera: da X alla C di cover. E di concreto.

ARAM

RAPSODY

Sono quelli che hanno stupito tutti perché nessuno avrebbe pensato che si potessere rifare Bohemian Rapsody dei Queen con tale modestia. Leccesi, televisivi, reali più che reality; fanno cover – che è pericoloso – ma interpretano con tale personalità pezzi ritriti da renderli nuovi. Senza aver paura del precotto (scuoce, annoia, fondamentalmente non vince sulla pasta fresca). Degli Aram Quartet, il gruppo vincitore del programma televisivo X-Factor e premiato dai Venice Music Awards 2008, e delle loro quattro anime - Raffaele Simone anima leggera italiana, Antonio Ancora anima funky-jazz, Antonio Maggio anima pop, Michele Cortese anima rock – abbiamo incontrato quest’ultimo, il rock. Il Venice Music Awards è un gran bel palco, soprattutto per chi, come voi, ne ha calcati ancora pochi… Sì, è vero. Ne siamo davvero onorati. Avevamo voglia di tornare in TV, il mezzo che ci ha fatto nascere, perché crediamo sia anche importante cavalcare l’onda del successo che abbiamo avuto grazie a X-Factor. Ricevere un premio così importante e condividere il palco insieme ad artisti come Ron, i Nomadi, Loredana Bertè sarà stupendo. Che dire? Faremo il possibile per essere all’altezza.

a cura di Corinna Nicolini

Di solito le radio guardano con un po’ di snobbismo gli artisti che nascono dalle trasmissioni televisive, ma per voi è stato diverso. Da cosa credete che dipenda? Dal lavoro che hanno fatto tanto gli autori quanto i concorrenti. Temevamo molto la «svolta reality» del programma, che sostanzialmente non amiamo, e ci siamo impegnati per dare uno spessore alla trasmissione e farne un vero spettacolo musicale. Non è facile capire che musica vi piace fare, visto che vi abbiamo conosciuto come interpreti di pezzi altrui. Provi a raccontarcelo tu? Ce lo chiedono in tanti e ci dispiace molto non essere riusciti a dare una risposta all’interno del programma. Purtroppo non ce n’era il tempo materiale. Noi ci siamo formati attraverso l’ascolto di ogni genere musicale, dal Rock al Pop al Jazz e l’abbiamo espresso nelle nostre interpretazioni di X-Factor… in qualche modo ci conoscete già. Progetti per il futuro? A metà luglio uscirà un disco di sole cover. Si intitolerà Chiaramente, che ha un sacco di significati. Si può leggere Chi Aram Ente, Chiara Mente, Chi Ara Mente, ma fondamentalmente vuole simboleggiare la spontaneità con cui cantiamo, perché per noi fare musica significa innanzitutto divertirci e sfogarci. Il disco sarà prodotto da Morgan e Lucio Fabbri, sotto la direzione artistica di Roberto Rossi. Fra qualche mese, poi, uscirà un disco di inediti. Su quello lavoreremo principalmente noi quattro e accetteremo i consigli della Sony.

DEAD CITY RADIO

di Valentina Giosa

Per chi ha un diavolo in corpo e non può dormire - Prima edizione maggio 2008 © 2008 Arcipelago Edizioni

F

ra il Rimbaud più decadente e maledetto e il Bukowski più underground e disinibito, Luca Salvatore è una penna unica e rara che ci regala versi densi di pathos e ispirazione in bilico fra il teatro e la narrazione. Non solo: oltre ad uno stile e una tecnica di scrittura impeccabili con Dead City Radio (secondo capitolo dello scrittore lucano dopo Fumisteria Ermeneutica pubblicato nel 2006, per le Edizioni Joker di Novi Ligure, finalista al Premio Camaiore come proposta opera prima) ci troviamo davanti ad un linguaggio che va al di là della scrittura e accoglie l’espressione insostituibile della musica. La musica di ultima generazione, quella che va dai Joy Division ai Cure, da Nick Cave ai Nirvana, dai Jane’s Addiction ai Tool, dai Pearl Jam ai Nine Inch Nails, Motorpsycho, Alice in Chains, Pj Harvey, Velvet Underground, David Bowie e tanti altri. Così eccoci davanti ai versi che hanno fatto da colonna sonora alla nostra vita come quelli indimenticabili di Shiny, Shiny, Shiny Boots of Leather, Whiplash, Girlchild in the Dark (da Venus in Furs dei Velvet Underground) che introducono uno dei tanti piccoli capolavori di Dead City Radio dal titolo Kurt and Courtney (The Day Seattle died) o ancora quelli di Eleven and she was gone/Eleven is when we waved goodbye/Eleven is standing still, waiting for me to free him by coming home (da Jimmy dei Tool) che fanno da incipit a The Soft Machines che scorre lenta fra morbide macchine e fasti funebri. Dead City Radio (titolo preso in prestito da una collezione di readings di William S. Burroughs con accompagnamento musicale di John Cale, Donald Fagen, Sonic Youth e altri, cd pubblicato nel 1990) è stato premiato con Segnalazione nella sezione Raccolta inedita del Premio Lorenzo Montano - XXI edizione. Sul sito www.deadcityradio.it è possibile leggere qualche passo del libro ascoltandone piacevolmente la colonna sonora. Come recita l’incipit del libro, Dead City Radio: per chi ha un diavolo in corpo e non può dormire.

GRATTACHECCA T

rent’anni. Sono più di trent’anni che Roma d’estate s’illumina di cultura. La serie di eventi e di piccoli show che coprono i vari palchi intrattengono nelle notti italiane quei cittadini che, volenti o nolenti, decidono di trascorrere un’afosa estate in città. Trent’anni. A Roma sono trent’anni di gelide fette di cocomero, di grattachecche all’ombra del Colosseo, di bancarelle di libri ma soprattutto di musica dal vivo. È proprio la musica che nel corso degli anni ha subito i maggiori cambiamenti: l’aumento dei costi della Siae e il disarmante disinteresse del pubblico e delle istituzioni ha fatto si che anche questa piccola branca del settore musicale, dopo quella discografica, entrasse in crisi. E allora si mettono in discussione festival decennali come quello di Spoleto o un neonato come la Notte Bianca, perché l’aspetto commerciale prevale su quello artistico. Chi è sicuro di voler privare gli appassionati di musica della possibilità di ascoltare un emozionato Capossela sullo sfondo di un’alba romana? La vera essenza di queste manifestazioni corali dovrebbe essere il coinvolgimento del pubblico, unire la periferia al centro della città e trasformare la platea da semplice spettatrice a reale protagonista. Chi è certo del contrario?

di Elisa Angelini

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J A&ZbluZes a cura di ROSSELLA GAUDENZI

Music In  Luglio - Agosto - Settembre 2008

MILES & JULIETTE Io c’ero, quindi abbandonati al mio racconto

JARRETT-PEACOCK-DEJOHNETTE Un Foolish Behaviour, sempre. Perché ha dato a Perugia della “damn city”

NON TEMERE GLI ERRORI: NON CE NE SONO WALTER MAURO, Miles e Juliette, Giulio Perrone Editore, 10 euro «Quando mangio, mangio, quando faccio l’amore, faccio l’amore, quando suono, suono.» «Sentire Dizzy e Bird: la sensazione più bella che abbia mai provato. Con i vestiti ovviamente.» «Non temere gli errori. Non ce ne sono.» Miles Davis embra di sentirla echegS giare la voce narrante, quella di Walter Mauro, profondo conoscitore della musica jazz-blues e testimone oculare della Parigi del 1949, con toni caldi quasi paterni. Come a dire: io c’ero, quindi abbandonati al mio racconto poiché sto per narrare una storia, ma non una storia qualunque. La storia del senso della musica, dell’arte, della passione e dell’ossessione. Dei tempi d’oro dell’intellettualismo europeo del secolo scorso. E si procederà per tappe. È la Ville Lumière la protagonista prima della vicenda, che risolleva il capo con fierezza all’indomani della fine del giogo nazista, donando una nuova primavera alla sua popolazione. Tra le pieghe dei fumi dei café che si ria-

di Rossella Gaudenzi

nimano, dei profumi che irrompono in una quotidianità finalmente godibile, di un euforico ed incredulo ritorno alla pienezza della vita, i tempi sono maturi per l’esistenzialismo di Jean Paul Sartre, così come per l’approdo, direttamente da New York, della musica jazz. Poi, lentamente, il gioco di contrasti che farà da filo conduttore al romanzo fa capolino. Dapprima il nero. Della pelle del trombettista Miles Davis, una «black beauty» degna del suo genio, del suo eccelso talento, ma anche specchio della crepa che scinde la sua anima. Miles testimonia la condizione dei neri d’America, delle lotte per un’emancipazione che non si è mai del tutto realizzata e che ha acuito la loro rabbia, l’orgoglio, l’estraneità. Per questo passerà la vita a fare e disfare, per poi di nuovo creare, senza posa. Il nero si nutre del suo opposto, del bianco. Che è sì il bianco dell’incarnato di una giovanissima militante Juliette Greco, alla ricerca dell’autoaffermazione e parallelamente della rielaborazione del dolore di lutti e di mesi trascorsi in mano agli aguzzini. Ma è bianco che richiama purezza e innocenza. E l’innocenza, una volta perduta, non la puoi riacciuffare per i capelli; lo sa bene Miles, lo sa bene Juliette. Sono destinati ad essere disperatamente attratti l’uno dall’altra, l’uomo dalla pelle nera e la donna dalla pelle bianca. Si toccano, i due corpi si fondono e si confondono, poiché solo con una passione ossessiva riusciranno ad arginare quel mal de vivre che li possiede. Miles e Juliette fatti della stessa pasta: candore frammisto a disillusione, zone di luce a zone d’ombra. Fino a che la macchina da presa delicatamente impugnata da Walter Mauro si focalizzerà sul musicista, che ruberà a tutti la scena, insieme alla sua tromba e all’invisibile quanto inarrestabile presenza della droga. Ancora su Miles Davis. Attraverso un racconto forte della familiarità con personaggi e luoghi che non perde per un attimo toni incantati e quasi ingenui, da far pensare che conoscere Miles Davis abbia coinciso con l’amarlo. Impossibile non sentirne la mancanza, per il sapiente narratore, se ha voluto immortalarlo nella sua opera prima. Quasi a dire che, dopo Miles, è stato inevitabile assistere alla caduta degli dei.

BRAD MEHLDAU NON È BILL EVANS Perché è se stesso sin dalla sua postura al piano. Perché che suoni Coltrane o i Radiohead, si ripiega su se stesso comunque. Soprattutto a Roma arà meglio non paragonare Brad Mehldau a Bill Evans né quindi conS siderarlo suo erede. Il giovane pianista del Connecticut che dagli anni Novanta ad oggi, in continua ascesa, instancabilmente, ammalia il pubblico di ogni palco che lo accolga, ha una fisionomia ben definita e riconoscibile. Identificabile a partire dalla sua postura al piano, a un ripiegarsi su se stesso che è di per sé preambolo allo spettacolo. Che sarà un grande spettacolo. Il ricercato pianista si è avvicinato al jazz, dopo studi classici, all’età di dodici anni grazie all’influenza di John Coltrane e, poco più tardi, di Keith Jarret. Il trio viene fondato nel 1994 ed il primo album appare nel ‘95 (Introducing). Presto Brad Mehldau sente la necessità del suo spazio da solista, incide il minimale Elegiac Cycle (1999) per tornare in trio con l’album Places (2000). Sarà poi la volta di Largo (2002), di Live in Tokio con conseguente consacrazione, nell’anno 2004 dalla rivista Down Beat, a migliore pianista jazz, Nel proprio repertorio, accanto ai brani originali e agli standard jazz, aggiunge pian piano brani meravigliosi di gruppi quali i Radiohead, i Beatles, Nick Drake, con maestria e gusto. Che si esibisca da solo, in duo (basta qui citare l’ultima fatica in tal senso, quella accanto a Pat Metheny) o in trio, il pianista Brad Mehldau

sembra far fatica a stare lontano da Roma. Con passaggi repentini dall’una all’altra formazione, sceglie sempre la città della Dolce Vita per numerose esibizioni. All’interno dell’ormai celebre rassegna dell’Auditorium Parco della Musica Luglio suona bene 2008, tornerà a grande richiesta in seguito al lavoro discografico Brad Mehldau Trio Live: il doppio album realizzato insieme a Lenny Grenadier al basso e a Jeff Ballard alla batteria, datato marzo 2008. (Rossella Gaudenzi) DOMENICA 20 LUGLIO Un evento di Luglio suona bene 2008: BRAD MEHLDAU pianoforte LARRY GRENADIER contrabbasso JEFF BALLARD batteria AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA - Cavea Viale Pietro De Coubertin, 30 Info e Biglietti 199.109.783 (servizio a pagamento)

/ ore 21:00

GAY BURTON QUARTET Sono quattro monumenti

JARRETT PEACOCK DEJOHNETTE: VIAGGIO IN ITALIA

My Foolish Hearth - Live at Montreux è considerato un capolavoro, all’unanimità. Questo meraviglioso disco doppio dello Standard Trio, datato ottobre 2007 ed edito dalla Ecm, esce tre soli mesi prima di Setting Standards: The New York Sessions (gennaio 2008, ECM). Elementi che non possono che confermare Keith Jarrett, Gary Peacock e Jack Dejohnette il trio jazz più longevo e fruttuoso della storia. Ebbene, il grande pianista & Co. faranno tappa all’Auditorium Parco della Musica di Roma dopo una lunga attesa, quale meta della tournée partita da Parigi il 5 luglio. My Foolish Behaviour - potrebbe replicare il pubblico italiano. Pubblico memore dell’episodio poco edificante avvenuto lo scorso luglio in una Perugia gremita da più di quattromila spettatori infreddoliti, in attesa dell’esibizione del grande pianista, con in mano un biglietto dal prezzo non proprio irrisorio. Aver dato della «damn city» alla fedele Perugia dopo aver mantenuto con essa equilibri quasi perfetti dal 1974 in poi, è sembrato a qualcuno disdicevole. La vicenda è nota; sull’irritabilità e sull’allergia di Keith Jarrett ai flash (e a molto altro) si parla ormai da tempo. Eppure, tralasciando i recenti fatti di cronaca, lo spettacolo del 12 luglio presso la Sala Santa Cecilia dell’Auditorium ha i numeri per essere annoverato tra i migliori concerti dell’anno. Jarrett, Peacock e Dejohnette suonano insieme dal 1983 e possiedono un’abilità inesauribile di trovare e ridare al pubblico l’«anima» degli standards interpretati, impreziosendoli nell’esecuzione ed eccellendo nelle improvvisazioni. Colori tonali, dialoghi, soli. Ad un livello superiore, e il pubblico lo sa, solo il Trio Jarrett saprà farcene dono.

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MONUMENTI DI JAZZ CONTEMPORANEO

Sono Gary Burton, Pat Metheny, Steve Swallow e Antonio Sanchez. In un quartetto

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omi così non richiedono nessuna presentazione: Gary Burton, Pat Metheny, Steve Swallow e Antonio Sanchez, insieme il 19 luglio a deliziare le fortunate orecchie degli spettattori presenti nella bella cornice della Cavea dell’Auditorium. Giusto per memoria: a parte Sanchez che si sta sempre più conquistando una meritatissima celebrità per il suo drumming pressoché perfetto e per il suo tocco sensibilissimo, carico di interplay, gli altri tre monumenti del jazz contemporaneo ripropongono un quartetto fortunato che ormai più di trent’anni fa iniziò a muovere i primi passi. Fu Burton il leader di quel quartetto che convocò un ancora poco conosciuto Metheny a illuminare con il suo suono elettronico nient’affatto acerbo, anzi personalissimo, i brani che sono finiti in album da collezionisti come Dreams So Real e Passengers, editi dalla Ecm, l’etichetta che contemporaneamente si accaparrò un bel contratto d’esclusiva con Metheny. Cosa sia successo, invece, nel corso di questi trent’anni appartiene in gran parte alla storia della musica, certo è che i due hanno spesso incrociato le rispettive strade ospitandosi reciprocamente in vari album, forse il più meritevole di essere segnalato fu Reunion del 1989 dove il grado di sperimentalismo meglio aveva saputo trovare una propria coniugazione nel gusto armonico e melodico. Lo stile di Burton si è sempre più raffinato e temperato, se possibile, ad un gusto contrappuntistico sfociato in molte collaborazioni in duo, recentemente con lo stesso Swallow, le cui linee di basso continuano a stupire per la precisione e per le soluzioni mai convenzionali con le quali lascia spazi aperti ai suoi musicisti. Metheny non è certo più il ragazzo prodigio del Missouri, ma il chitarrista più talentuoso e seminale che ci sia attualmente sul mercato. Il resto accade a Roma, oggi, mentre suona con gli altri due. Paolo Romano

SABATO 19 LUGLIO

SABATO 12 LUGLIO ore 20:00 Un evento di Luglio suona bene 2008: KEITH JARRETT pianoforte GARY PEACOCK contrabbasso JACK DEJOHNETTE batteria AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA Sala Santa Cecilia - Viale Pietro De Coubertin, 30 - Info e Biglietti 199.109.783 (servizio a pagamento)

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J A&ZbluZes

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MASSIMO NUNZI Strati di lettura per il libro (più dvd) sui generis di un artista poliedrico che crede nella condivisione. Quasi un romanzo di Umberto Eco

SIENAJAZZEYE Le copertine dei vinili fanno la storia del jazz. A Siena si incontrano gli alfabeti Arte e Musica

JAZZ. ISTRUZIONI PER L’USO DI MASSIMO NUNZI In un momento di crisi per la musica, il jazz rimane un genere puro del quale fare una valutazione «al netto», poiché se ne coglie un’espressione immediatamente musicale. Non «al lordo», come avviene nel pop: molta immagine ma poca sostanza assimo Nunzi è artista compoM sito, eclettico, con fiuto da talent scout. Nell’ordine, potremmo dire che è trombettista, arrangiatore, compositore per il teatro, per il balletto, per la musica contemporanea. Inoltre scrittore, autore e conduttore radiofonico, creatore di progetti didattici, da essere addirittura riuscito ad avvicinare, con successo, i bambini alla musica jazz. La vera novità è rappresentata in questo momento dall’uscita del suo libro, Jazz. Istruzioni per l’uso, con annesso dvd di Elena Somaré (Editore Laterza, pagine 444, euro 18). Possiamo sistemarci comodi dove più preferiamo, perché sia che noi siamo profondi conoscitori di jazz, appassionati che vogliono approfondire le proprie conoscenze, lettori che del jazz ignorano tutto o quasi ma ne sono sempre stati incuriositi e affascinati, l’opera che andremo a leggere sarà un’opera completa, esaustiva. E niente affatto breve. Tre buoni motivi per comprare Jazz. Istruzioni per l’uso. E Massimo Nunzi, dà esattamente tre buoni motivazioni per leggere il suo libro. Innanzitutto, in un momento di crisi per la musica, e in particolare per la musica pop, il jazz rimane un genere puro, del quale si fa seduta stante una valutazione «al netto», poiché ne puoi cogliere un’espressione immediatamente musicale. Non «al lordo» come

avviene per il pop, nel quale c’è molta immagine e poca sostanza. «Jazz. Istruzioni per l’uso» nasce per quel pubblico potenziale attratto da questa purezza, che difficilmente ritroverebbe in un libro con diversa impostazione: qui ci sono le domande più comuni. È esattamente la storia del jazz attraverso le domande più comuni. Inoltre, la visione del jazz di un musicista è differente da quella di un musicologo. Qui dentro c’è materiale ricco di spunti sconosciuti ai musicologi. È indubbiamente un libro agevole, più di qualsiasi libro analogo scritto fino ad oggi. Ma voglio sottolineare che non è un testo per neofiti: è storia completa, dettagliata, per nulla paragonabile a una guida o a un Bignami. Si può paragonare ad un libro di Umberto Eco: c’è un’immediata narrazione e ci sono zone recondite, più nascoste. Non solo letteratura. Anche la radio assorbe il tempo e le energie vivificatrici di Massimo Nunzi. Da un anno e otto mesi Massimo è alla conduzione, su Tele Radio Stereo, del programma Jazz a nota libera. Basta citare un dato: il programma è partito con un’ora di diretta, e a meno di due anni dagli esordi regge ben tre ore di musica jazz in diretta - una sorta di miracolo. Il tutto nasce per volontà del giovane editore dalle ampie vedute, con un nuovo modo di fare radio in testa, che contatta Massimo Nunzi dopo aver assistito ad un suo spettacolo al Teatro Sistina. Questo programma riesce a dare visibilità a giovani talentuosi che non avrebbero altrimenti modo di mostrarsi e confrontarsi. Con una spinta alla condivisione degli obiettivi che ricorda quella di missionario.

Un palleggio. Uno scambio continuo, con il clima familiare che si potrebbe respirare a casa mia davanti a un piatto di pasta. I giovani musicisti inviano musica e progetti, ed hanno venti minuti a disposizione, una quantità di tempo non irrisoria. Generalmente c’è diffidenza nell’aprire spazi ai giovani musicisti. Aprire e aprirsi agli altri, in generale. Quasi a temerli. Io provo un piacere purissimo nello scoprire talenti, della musica e dell’arte in generale. Potrebbe chiamarsi una spinta di amore. Credo di dare molto e sento una forte circolazione di energia. Si arriva ai progetti che coinvolgono la letteratura, che da anni lo legano al genio trentacinquenne Yann Apperry, musicista e letterato che sa infondere fiducia nello scegliere alcuni percorsi, aiuta a vincere le paure. L’opera di Italo Calvino è stata riscritta, musicata, mantenendone lo spaesamento che ha connotato il celebre scrittore. La band musicale è eccezionale, Fabrizio Sferra è co-leader del progetto e del trio che darà ampio spazio all’improvvisazione. Tutto ciò avverrà a fine agosto, in occasione del Roccella Jazz Festival. A proposito di festival... Nel libro ci sono anche consigli per divincolarsi tra le migliaia di possibilità. Anche per non rimanere deluso dalle aspettative. Ho un appunto da fare: i festival dovrebbero commissionare più opere originali. Mancano le produzioni. Occorre uno spazio creativo nuovo. D’altronde, non dobbiamo dimenticare che tutti i grandi musicisti, per citarne uno su tutti Charles Mingus, hanno dato il meglio di sé componendo su commissione. a cura di Rossella Gaudenzi

LÀ, DOVE WARHOL INCONTRA GRIFFIN Cosa accomuna Andy Warhol, Guido Crepax, Jim Flora, Roberto Masotti, Michelangelo Pistoletto, Ugo Nespolo, Giuseppe Pino, Roberto Masotti a Miles Davis, Larry Coryell, Alphonse Mouzon, Johnny Griffin? IL JAZZ.

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osa accomuna Andy Warhol, Guido Crepax, Jim Flora, Roberto Masotti, Michelangelo Pistoletto, Ugo Nespolo, Giuseppe Pino, Roberto Masotti a Miles Davis, Larry Coryell, Alphonse Mouzon, Johnny Griffin? Per la prima volta in Italia una grande mostra promossa dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena attraverso Vernice Progetti Culturali in occasione del trentennale della Fondazione Siena Jazz, che riunisce i linguaggi della musica e dell’arte, espressioni sempre più interscambiabili nella nostra intricata civiltà multimediale, due alfabeti differenti nel medium ma portatori di un unico e solo messaggio: comunicazione. Dal 21 giugno al 15 settembre presso il Complesso museale di Santa Maria della Scala a Siena, «SienaJazzEye» è un’esposizione interamente dedicata alle copertine del jazz, che raccoglie oltre 500 pezzi provenienti dall’archivio Arrigo Polillo della Fondazione Siena Jazz, per riscoprire il jazz attraverso la storia del disco in vinile a 33 e 45 giri. Ma la mostra, a cura di Enzo Gentile e Francesco Martinelli, oltre a raccontare l’evoluzione del jazz, vuole piuttosto porre un occhio di riguardo alla trasformazione dell’immagine che influenza le arti visive, una trasformazione che ha visto in pochi anni il passaggio dalla semplice copertina in carta neutra ad una ricchezza ed una varietà di forme e contenuti che hanno accompagnato e tuttora accompagnano la ricerca musicale segnando una vera e propria rivoluzione in campo iconografico. Segno tangibile delle trasformazioni del gusto e della società, le copertine diventano lo specchio dei tempi che cambiano e, grazie alla loro grande forza evocativa, un mezzo di espressione e di contestazione. Ne è un esempio la copertina di We insist! di Max Roach, nella quale è possibile rintracciare temi sociali forti come l’apartheid. Sulla stessa scia si inserisce la grafica del doppio album Bitches’ Brew di Miles Davis, realizzata da Mati Klarwein, artista di rottura cresciuto in Israele, dove ha aggiunto Abdul al suo nome in segno di tolleranza verso il popolo musulmano.

L’illustrazione di Klarwein, che aveva già suscitato scandalo nella metà degli anni Sessanta con la sua controversa Crocifissione, è un potente aiuto alla visualizzazione della musica di quello che viene considerato il disco della «svolta rock» del grande jazzista. Divertenti e curiose le copertine che hanno come soggetto personaggi buffi riproposti in chiave nuova come nel caso di Humpty Dumpty, protagonista della filastrocca di Mamma Oca rappresentato come un grosso uovo antropomorfizzato, che nell’album Back Together Again di Larry Coryell & Alphonse Mouzon non è seduto sulla cima di un muretto, ma piuttosto su un portauovo con un grosso cucchiaio accanto. Notevole inoltre, l’influenza esercitata dai grandi movimenti artistici del Novecento, secolo tanto contraddittorio quanto meravigliosamente ispirato, come dimostrano le atmosfere surrealiste ricreate in alcune copertine o l’irrompere della pop art anche sulla scena grafica dei dischi. A questo proposito la mostra espone i numerosi tributi in copertina alle opere di Pollock, Matisse e De Chirico, che figurano accanto alla copertina di The Congregation di Johnny Griffin firmata proprio da Andy Warhol. Oltre a concerti dal vivo, a integrazione della mostra, che si avvale dell’allestimento dell’architetto Giovanni Mezzedemi, saranno posizionati due touch screen con i filmati dei maggiori jazzisti della storia e saranno direttamente i visitatori a decidere cosa vedere sullo schermo con una semplice pressione sul menù. Valentina Giosa SIENA COMPLESSO MUSEALE SANTA MARIA DELLA SCALA dal 21 GIUGNO al 15 SETTEMBRE tutti i giorni, festivi compresi, dalle ore 10. 30 alle ore 19. 30 Info: 0577 224811

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PO PCK pop&rock a cura di CORINNA NICOLINI

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MAX GAZZÈ Perché, cari scettici, il suo pop SINEAD O’CONNOR Theology è colta poesia ma anche scaltra ironia, in Ha fatto pace con un dio personale un’urgenza comunicativa che non può frenare BEN HARPER Io a calcetto non ci gioco

SUOR SINEAD na donna sull’orlo di una crisi di nervi, ma che ha trovato la propria dimensione spirituale. Sarà questa la prerogativa del concerto di Sinead O’Connor dell’8 luglio all’Auditorium Parco della Musica. La controversa cantautrice irlandese sembra aver fatto pace con un dio personale tra le tracce del doppio album intitolato Theology, in cui presenta 13 brani in due versioni: quelle acustiche del primo disco e quelle accompagnate da un’intera band nel secondo cd. Ben 8 canzoni inedite a cui si aggiungono 3 cover: We People Who Are Darker Than Blue di Curtis Mayfield, il tradizionale spiritual reggae Rivers Of Babylon, con il testo riscritto da Sinead, e un’interpretazione feroce del pezzo I Don’t Know How To Love Him, composto per il musical Jesus Christ Superstar da Andrew Lloyd Webber e Tim Rice. Il nesso è la ricerca della pace, dopo l’11 settembre che ha sconvolto il mondo, ma anche un’idea di divinità sentita e profonda quanto al di fuori degli schemi canonici. È la continuità ad ispirarla. Una logica che ritrova la ribellione, come il folk e il reggae, ma anche quella trascendenza manifesta fin dall’esordio solista. Già The Lion And The Cobra, il suo primo album, evoca chiari rimandi al Salmo 91 della Bibbia. È il 1987, Sinéad ha 20 anni, un look sfrontato incentrato su un taglio di capelli skinhead e un’attitudine post punk. Ma ciò che colpisce è la voce, capace di improvvise escursioni di registro, acrobazie e acuti gutturali che mettono i brividi. Niente è paragonabile a lei. Lo si comprende a pieno dal suo secondo disco. Quando ancora più matura rilascia I Do Not Want What I Haven’t Got, in cui rilegge quella Nothing Compares 2 U scritta da Prince e rimasta incompresa, che regalerà il successo alla O’Connor. Ma se pure l’indole ribelle coltivata sotto il cielo di Irlanda e nei riformatori sembra ormai lontana, l’indipendenza morale, artistica e riflessiva di Sinead esploderà solo più in là. Se il successivo I Do Not Want What I Haven’t Got salda folk e rock dei luoghi natii ad una prospettiva che aprirà nuove strade alla musica dell’isola, i guai seguono il successo, perché il desiderio di libertà è difficile da sedare. L’America è terra di scontro: prima Sinéad si rifiuta di prendere parte allo show Saturday Night Live con il comico Andrei Clay, a causa degli atteggiamenti xenofobi e antifemministi di quest’ultimo, poi, nel New Jersey, al Garden State Arts Center, s’impunta contro la proposta di aprire il concerto con l’inno americano, come tradizione imporrebbe, facendo infuriare, tra gli altri, Frank Sinatra, che dichiara di volerla prendere a calci nel sedere. Ma è al Saturday Night Live che culmina la polemica, quando la cantautrice straccia in diretta una foto del papa Giovanni Paolo II, mentre interpreta una versione rivisitata della marleyana War. Da allora inizia un boicottaggio ai danni della O’Connor. Lei però non rinuncia ad essere l’esasperata versione, elevata potenza, di Eddie Virago, personaggio descritto nei libri di suo fratello Joseph. Del resto, i veri credenti sono battaglieri. Am I Not Your Girl esce nel’92 e Peter Gabriel la porta con sé in tour. Poi Universal Mother e Gospel Oak. Intanto la O’Connor esautora Mtv, imputandole di decapitare la poesia, diviene suor Bernadette-Marie dell’ordine Latin Tridentine, non riconosciuto dal Vaticano, vende la sua villa holliwoodiana devolvendo 750 mila dollari in favore della Croce Rossa, si scaglia contro la «mafia musicale» perpetuata dagli U2, e chiede scusa a Giovanni Paolo II. Pubblica My Special Child, poi Faith And Courage, reinterpreta i classici irlandesi in Sean-Nos Nua, ed arriva She Who Dwells In the Secret Place Of The Most High Shall Abide Under The Shadow Of The Almighty. Il 2005 è l’anno di Throw Down Your Arms, un disco reggae in cui si respira un’aria di spiritualità rastafariana. Adesso è il momento della pace e della redenzione personale intonate tra i brani di Theology. Un credo vivo come l’anima di un live imperdibile. Stefano Cuzzocrea

U

DA MY WAY A YESTERDAY «(...) L’International Chamber Ensemble di Roma, ha portato un programma splendidamente diverso... l’eccitazione e la creatività esplodevano in tanti diversi momenti!»: così ha scritto, di recente, il Los Angeles Time. E, pensando alle serate del 12 e 15 luglio, sembra che la magia si ripeta: «Da My Way a Yesterday Frank Sinatra e i Beatles in 30 leggendarie canzoni» è un percorso nella musica «leggera» del nostro tempo che vede protagonista un’Orchestra con alle spalle quasi 30 anni di professionalità ed «eclettica attività». Un omaggio a Frank Sinatra diretto da Francesco Carotenuto con la sua International Chamber Ensemble, formazione musicale unica nel suo genere, nel Cortile della bellissima S. Ivo alla Sapienza in Roma. Ersilia Verlinghieri

GAZZÈ LADRA Fluttua nella poesia cullato da un soffice tappeto pop che arriccia le frange al vento delle sperimentazioni sinth e sobbalza ai ritmi rock  SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

(...) Nel 2000 ci presentava l’Uomo più furbo del mondo che fumava tre pacchi di sigari al giorno e un Timido ubriaco che alla sua sposa offriva solo le sue parole, come fossero una rosa. Nel 2004 intimava ad Annina di starsi zitta, e chiedeva alla sua lei di andare via con lui, che le avrebbe reso splendida quella vita che era Pallida. Max Gazzè fluttua nella poesia, cullato da un soffice tappeto pop, che arriccia le frange al vento delle sperimentazioni synth e sobbalza ai ritmi rock. Perché, cari scettici, il suo pop è colta poesia ma anche scaltra ironia, è originale sperimentazione seppure elegante melodia. E la sua arte consiste anche nel sapersi scegliere i migliori collaboratori. Il fratello Francesco, poeta e scrittore, che gli regala splendidi versi da mettere in musica, i colleghi cantautori, come Daniele Silvestri, Niccolò Fabi, Carmen Consoli, Paola Turci, Marina Rei, con cui ha diviso pentagrammi da riempire, testi da inventare, tracce da incidere e arrangiare, teatri e piazze da colmare. Qualche disco, è vero, è passato in sordina, ma lui è ancora qui, oggi vivo più che mai, a spendere le sue riflessioni Tra l’aratro e la radio, in un’urgenza comunicativa che ancora una volta non può frenare. Ancora col suo vecchio basso Fender del ‘67, un po’ con i suoi testi criptici e difficili e un po’ con le sue romantiche favole, sempre con le sue scivolose acrobazie. A San Remo, che sembra essere diventato il Santo protettore di quelli che di protettori ne hanno già tanti e potenti, lui c’è arrivato in punta di piedi anche quest’anno e, chiuso il sipario, la gente è andata a digitare il suo nome su YouTube e a skippare le stazioni radiofoniche in cerca di quell’irresistibile ritornello che fa «ancora Il solito sesso» e che racconta della conversazione con una donna misteriosa, attraverso quella cornetta che, maledetta, la divide dalla sua bocca.

È questo il primo singolo del suo sesto lavoro, ricco di episodi che ipnotizzano e, allo stesso tempo, danno spunti per pensare a tante cose: alla situazione musicale dei nostri giorni, all’amore da vivere e all’amore da ricordare, alla donna da contemplare e da custodire come un’opera d’arte, alla vita da sudare e alla morte da meritare. Mi sembra di vederlo, sul prestigioso palco dell’Auditorium di Roma, la sua città, nella calda sera del 14 luglio, con quella sua aria stralunata, quel suo modo gentile di inchinarsi, un completo (scuro) elegante e quella sua voce che, forse, all’inizio tremerà un po’ per l’emozione, ma che presto si scalderà e saprà scaldare. Corinna Nicolini

CREDO NEI COLORI «Quando scrivo e canto le mie canzoni, non penso a nessuna differenza fra pubblico bianco o nero». Infatti suona con un collettivo di ciechi ultra ottantenni he Benjamin Chase Harper fosse un preC destinato, lo si era già capito prima della sua nascita, nel 1969, da una famiglia di origini afro-americane che si occupava di musica da tre generazioni. Uno che da piccolo, a Claremont in California, invece di giocare a pallone nel cortile con gli altri bambini suonava i pezzi di Ry Cooder, Bob Dylan, Sam Cooke e Robert Johnson con la sua chitarra acustica nel negozio di strumenti musicali del nonno (tutt’oggi gestito dalla madre e trasformato in museo di strumenti musicali tipici di diversi Paesi); uno che a 12 anni si esibiva dal vivo con risultati straordinari e che proprio grazie al nonno liutaio si avvicinava alla sua fidata ed inseparabile slide (o steel) guitar, una Weissenborn degli anni 20. Il ragazzo talentuoso non tarda ad essere notato dalla Virgin per la quale inizierà a pubblicare dischi dal 1993. Welcome to the Cruel World (1993), Fight for your Mind (1995), The Will to Live (1997) e Burn to Shine (1999) mostrano tutte le sue caratteristiche: un eclettismo musicale smisurato e un’attenta visione del mondo e della realtà. La musica black gli scorre nelle vene ma Ben è anche un grande ammiratore delle tradizioni blues, jazz e rock: «Quando scrivo e canto le mie canzoni, non penso a nessuna differenza fra

pubblico bianco e nero. Credo solo nei colori». Convinzione che lo porterà a sperimentare sempre nuove soluzioni sonore. Per la sua fiducia nei valori dell’umanità, nella pace e nella riunificazione dei popoli viene visto da molti come il prosecutore di una missione divina già intrapresa da artisti quali Bob Dylan, Joni Mitchell e Bob Marley. Nel 2003 arriva quello che, forse, è il suo lavoro migliore per ricercatezza sonora e profondità delle liriche, Diamonds on the Inside. Dopo l’entusiasmante esperienza di There will be a Light (2004) con i Blind Boys of Alabama (un collettivo di cantanti ciechi ultraottantenni) e il doppio disco Both Sides of the Gun (2006), Ben Harper torna nel 2007 con Lifeline; disco che non fa altro che affermare tutte le peculiarità del suo sound sinora espresse. Dopo il grande concerto dell’anno scorso l’attesissimo bis quest’anno il 26 luglio all’Ippodromo Capannelle, per il Roma Rock Fest 08 accompagnato dalla sua band di sempre, The Innocent Criminals: imperdibile occasione per poter entrare ancora una volta nella sua Babele musicale. Gianluca Gentile

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PO PCK pop&rock

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MADONNA Gli anni 80 erano i suoi. Si è presa LEONARD COHEN Rifugge l’illusione lisergica BAUSTELLE È difficile resistere al tutto di noi. Ci ha rubato la nostra adolescenza dei campi di fragole di Haight Ashbury, non è interes- Mercato, amore mio, di conseguenza andiaed ora ci vuole fregare pure l’età adulta. sato a diventare un capo-popolo. Punta dritto al cuore. mo in cerca di rivoluzioni e vena artistica

MADONNA, IL MONDO SOTTO AI PIEDI Libri di favole per bambini e nuove religioni in cui buttarsi. Lei che ha preso per prima le difese delle ragazze-madri stanche di sentirsi sporche, che si è messa le borchie ed è andata a fare l’icona dei gay. Che ha baciato in bocca un prete di colore e Britney Spears davanti al mondo e che si è messa un nome da vergine, moglie, santa, bugiarda. E noi qui, ai suoi piedi.

G

li anni Ottanta erano suoi. Si è presa la nostra infanzia e i nostri sogni proibiti, che alimentava a sospiri e bustini imbottiti, e poi è andata oltre. Ha lasciato alle spalle Nick Kamen e gli Spandau Ballett ed ha fatto un salto negli anni Novanta, in cui ha dimostrato a tutti i bacchettoni che il cervello, quello fino, ce l’aveva lei. Ha fondato la Maverick Records che, oltre ai suoi dischi, ha lanciato qualche nomuncolo tipo Alanis Morissette e Prodigy. Quando noi eravamo ancora impelagati tra il ricordo del Desert Storm e le bricconcellate di Clinton lei ci ha salutato ancora ed è andata avanti di un’altra casella, il 2000. Libri di favole per bambini e nuove religioni in cui buttarsi. Madonna, l’artista. Madonna, l’icona. Madonna, l’icona dell’artista. Stiamo parlando di una che il «Guinness dei primati» ha riconosciuto come artista femminile di maggior successo di tutti i tempi, stimando in oltre 405 milioni il numero dei dischi venduti (sommando album e singoli). Non è stata la sua voce a far impazzire, perché di gente più brava a cantare di lei ce n’era tanta e ce n’è ancora adesso. Non è stato neanche il suo aspetto, perché di donne più belle di lei ce n’erano tante e ce ne sono ancora. Madonna funzionava come mix, come miscela antica di una

qualche pozione magica andata perduta, che metteva nello stesso calderone la normalità di alcuni suoi talenti alla genialità di comunicarli sempre e comunque nel modo più giusto. Madonna funzionava e funziona ancora. Ci voleva testa per cantare negli anni Ottanta Papa Don’t Preach perché ci voleva qualcuno che prendesse le difese delle ragazze-madri ormai stanche di doversi per forza sentire sporche. E se ci voleva anche coraggio, lei non ebbe difficoltà ad andare contro la Chiesa baciando un finto prete di colore in Like a Prayer. Vaticano contro ma il resto del mondo a favore: fu il singolo più venduto negli anni Ottanta con quattro milioni di copie. E la storia, quella del pop, continua di anno in anno tra uscite geniali e pezzi semplicemente bellissimi. Continua tra tour sempre pieni e vendite da capogiro in tutto il mondo. La vita dà e la vita toglie e così il bicchiere dell’amore per vent’anni rimane sempre mezzo vuoto. Madonna rimbalza tra mille amori e quasimatrimoni sciupandone un paio veri, tra cui quello con Sean Penn nel 1986. «Non si può aver tutto», pensarono di certo le nostre nonne. Questa, però, è saggezza popolare e Madonna con la gente comune ha poco a che fare. E così l’ultimo grande scandalo arriva nel nuovo millennio. L’immagine della trasgressione

trasgredisce ancora scegliendo una vita borghese. Si prende un marito britannico, con la faccia pulita, e due bambini da partorire e crescere. Poi si prende una bella casa a Londra da famiglia benestante e altri bambini da adottare e accudire. Il mondo, ancora una volta, incassa il colpo e risponde con amore. Il suo ultimo album, l’undicesimo in studio, Hard candy è ancora una volta un successo planetario e la signora Ciccone esce dal suo salotto griffato per un bel tour mondiale, lo Sticky and Swet tour. Anche i romani potranno godersi il passaggio di questa divinità moderna nella loro città. Il 6 settembre, allo stadio Olimpico, Madonna torna dopo due anni dalla sua discesa nel regno di Cesare per cantare a note pop la sua incredibile vicenda. Ballerini, luci, scenografie immense: questo è un concerto di chi non canta bene, non balla bene e non è poi così bella. Ballerini, luci, scenografie immense: questo è un concerto di chi ha il mondo sotto ai suoi piedi. Corinna Nicolini

LEONARD COHEN MALINCONICA VOCE RASOIO L

eonard Cohen è uno dei più grandi interpreti del nostro tempo. Le sue canzoni hanno influenzato intere generazioni di cantautori: da De Andrè a Nick Cave, da Morissey a Jeff Buckley. A distanza di ben 15 anni dal suo ultimo tour, il 28 luglio si esibirà all’Auditorium di Roma. Poeta, romanziere, cantautore, Cohen ha fatto sua la tradizione degli chansonnier francesi (come Brel e Brassens) per fonderla con il folk americano. Nato a Montreal nel 1934, Cohen ha avuto una vita contrassegnata da una certa irrequietezza e da contraddizioni interiori: poeta in Europa nei primissimi Sessanta, fervido professante dell’Ebraismo in qualsiasi posto si trovasse, eremo buddista in un monastero californiano, voyer in quel di Cuba durante la revolution e tossico nei gironi di quel Chelsea Hotel che segnò molte pagine buie della storia del rock. Il parnassiano del Quebec pubblica il suo primo disco proprio quando il movimento rock raggiungeva il suo apice. Siamo nel 1968, il positivismo del flower power sta per lasciare il posto alla lotta ed all’impegno politico. Ed è uno dei più grandi debutti della storia del rock con autentiche perle quali Suzanne, So Long, Marianne e Sister of Mercy. Come i newyorkesi Velvet Underground, il giovane Cohen rifugge l’illusione lisergica dei campi di fragole di Haight Ashbury né tantomeno è interessato a diventare un capo-popolo e denunciare che «i tempi stanno cambiando». Punta dritto al cuore dell’individuo per divenire il cantore della malinconia, della solitudine, dell’emarginazione e degli amori per-

BAUSTELLE: ALL’INFINITO TENDERE «È

Gianluca Gentile

difficile resistere al Mercato, amore mio, di conseguenza andiamo in cerca di rivoluzioni e vena artistica». Proprio quello che i Baustelle hanno sempre cercato di fare durante l’ormai quasi decennale carriera. Una linea evolutiva che inizia con le canzoni indie-pop e i testi visionari e bizzarri del primo album autoprodotto Il sussidiario illustrato della giovinezza (2000); storie illustrate di un’adolescenza tutta italiana che, nonostante il sound lo-fi, rendono il disco rappresentativo di una generazione che non si riconosce più nelle classifiche nazionali. Si continua con le atmosfere elettroniche, raffinate e quasi cinematografiche di La moda del lento (2003) per approdare nel 2005 alla definitiva maturità con La malavita. Il gruppo toscano si orienta definitivamente verso la canzone pop d’autore, regalandoci pezzi indimenticabili che cominciano a circolare in radio (La guerra è finita, Il corvo Joe, etc), complice anche un contratto con la Warner. L’ultimo disco, Amen (2008), conferma la propensione verso il pop melodico della band; gli ottimi arrangiamenti dei brani e i duetti di Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi continuano ad emozionare rendendo i Baustelle gruppo di culto dell’indierock italiano. Sulla scia del successo, tornano in concerto a Roma per la terza volta nel 2008 dopo l’entusiasmante esibizione al concerto del primo maggio con Irene Grandi (per la quale Bianconi ha scritto le parole del successo Bruci la città). Non sappiamo per quali altri sentieri ci condurranno nei prossimi anni i Baustelle, ma una certezza l’abbiamo: «È necessario vivere, bisogna scrivere, all’infinito tendere». 25 LUGLIO - Villa Ada

duti. Spesso è solo la chitarra ad accompagnare la profonda voce di Cohen, che non ha bisogno di sovrastrutture musicali per regalarci emozioni dal sapore di rugiada invernale. Pubblica dischi col contagocce, seguendo la sola logica dell’ispirazione. Dopo la malinconia del disco d’esordio ed il dolore di Songs for a Room e Songs of Love and Hate, il cantautore canadese esplora la sfera religiosa con l’album Various Positions (1984) nel quale è inclusa Halleluja, canzone senza tempo. Nel 1988 I’m your man raggiunge il primo posto delle classifiche di molti Paesi europei proiettando l’ex asceta canadese nello stardom vellutato del rock’n’roll. The Future (1992) e Ten New Songs (2001) segnano l’ennesimo ritorno. Dear Heather (2004) è, per il momento, l’arriveduar. «E seppellirò la mia anima in un album, con le fotografie e il muschio. E mi arrenderò alla piena della tua bellezza, consegnandoti il mio violino da quattro soldi e la mia croce» (Take This Waltz ) Arrivederci alla prossima, «menestrello dalla voce di rasoio». Eugenio Vicedomini

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MASSIVE ATTACK A dominare, un forte senso di alienazione urbana

a cura di VALENTINA GIOSA

BJORK Fuori dalla Cina Perché ha cambiato le parole di «Declare Independence» per inneggiare all’indipendenza del Tibet

IL FOLLETTO ISLANDESE CONTRO GLI ELEMENTI

 SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

COLONNA SONORA METROPOLITANA Da Bristol, un’elettronica fredda ed elegante che lascia spazio a sospensioni oniriche e ad immagini allucinanti ed evocative

(...) È qui che nasce il collettivo The Wild Bunch (Il Mucchio Selvaggio), una sorta di factory di rapper, strumentisti, disc jockey, ballerini, graffitari, tecnici del suono e delle luci che si ritrovano a suonare negli scantinati dei quartieri popolari di Bristol uniti dalla sola volontà di esprimersi. Nel 1990, tre fra i ragazzi di questo «mucchio» fondano i Massive Attack, non una band in senso tradizionale ma un sound system, una formazione mobile composta da collaboratori fidati ma che accoglierà sempre nuovi artisti (Tricky, Horace Andy, Sarah Nelson, Mos Def, Elizabeth Fraser, Tracey Thorn, Sinéad

O’Connor). Ecco così arrivare nel 1991 l’esordio discografico della band, Blue Lines, che racchiude tutte le esperienze del collettivo e getta già le basi di un sound unico ed inconfondibile che si esprimerà al meglio in uno dei capolavori degli ultimi anni: Mezzanine (1998) album profondo, intenso e maturo, nonché il disco più «rock» della band. Hip-hop di matrice nera, bassi dub, ritmi dance, l’ossessività ipnotica del rap, il linguaggio reggae, sonorità ambient, soul e musica da film: queste le influenze della band. A dominare, un forte senso di alienazione urbana, grazie all’utilizzo di un’elettronica fredda ed elegante che lascia spazio a sospensioni oniriche e ad immagini allucinanti ed evocative da perfetta colonna sonora metropolitana.

Dopo le sonorità techno e lounge dei primi due dischi (Blue Lines e Protection) segnati da una particolare ricerca sul ritmo, ecco con Mezzanine sopraggiungere tinte oscure e crepuscolari, figlie del miglior dark-rock degli anni 80. «Abbiamo voluto puntare soprattutto su profondità e prospettiva - spiega Robert Del Naja - in un album che dà la sensazione del viaggio e si può ascoltare a vari livelli di coinvolgimento: se si tiene alto il volume, acquista in immediatezza; se lo si abbassa, diventa più imprevedibile». Seguiranno 100th Window (2003), prodotto solamente da Del Naja, la colonna sonora di Danny Dog, film del 2004 di Luc Besson e la raccolta Collected dove spicca il capolavoro inedito, Live with me, cantato da un superlativo ed emozionante Terry Callier. Del Naja e Grant Marshall hanno annunciato per quest’anno l’uscita del nuovo album Weather Underground. Il disco dovrebbe avvalersi di diverse collaborazioni tra cui Horace Andy (usuale collaboratore della band), Damon Albarn, Tunde Adebimpe dei TV On The Radio, Hope Sandoval (ex cantante dei Mazzy Star), Mike Patton, Mos Def e le straordinarie voci di Liz Fraser e Dot Allison. La band, impegnata in un lungo tour estivo che toccherà in Italia Napoli, Roma, Ravenna e Padova, ha da poco firmato uno dei brani della colonna sonora del film Gomorra di Matteo Garrone. Una collaborazione casuale nata con la complicità di Max Passante, dj e producer napoletano da anni in Inghilterra dove collabora attivamente con il gruppo di Bristol. Valentina Giosa

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VENERDÌ 18 LUGLIO ore 21.30 Roma Rock Festival IPPODROMO DELLE CAPANNELLE Via Appia Nuova, 1245 Ingresso: 30 euro + d.p. - Info: 899500055

Quando si fa il nome di Bjork ci si aspetta qualcosa di eccezionale, sicuramente non convenzionale e che faccia parlare. Soltanto qualche mese fa l’abbiamo vista bandita dalla Cina per aver inneggiato all’indipendenza del Tibet, durante lo show a Shangai, modificando le parole della sua canzone Declare Indipendence. Ma quando si parla di un suo concerto la curiosità aumenta a dismisura; se poi il concerto in questione è a Roma, a distanza di ben 7 anni dalla sua ultima apparizione nella capitale, allora l’attesa diventa snervante. Ebbene sì, la cantante islandese torna in Italia in occasione del Volta Tour europeo; la cornice romana che ospiterà il suo concerto del 25 luglio, nell’ambito della manifestazione «Luglio suona bene», è la suggestiva Cavea dell’Auditorium Parco della Musica. Chiunque sa che un concerto di Bjork è qualcosa che trascende qualsivoglia definizione di «normalità». Durante la sua carriera si è rivelata una cantante sopraffina diventando icona del nuovo pop di stampo elettronico. Una carriera iniziata a soli 11 anni con un disco di canzoni islandesi per bambini che vende 7000 copie in Islanda e diventa disco di platino. Trasferitasi a Londra, dopo diverse esperienze in gruppi punk anche di successo (vedi Sugarcubes) e l’esperienza jazz/bebop di Glin Glò (1990) in trio, inizia la sua carriera da solista. Debut (1993) e Post (1995) raccolgono consensi di critica e pubblico. La sua musica, sempre in continua evoluzione, fonde dance, pop, trip-hop, house, punk, industrial, funk, soul-jazz, per citare soltanto alcune delle etichette sfornate dai critici. Ma in verità il suo sound è indescrivibile: campionature, elettronica, sinfonie d’archi su cui si innesta una voce ora soltanto sussurrata, ora sensuale, ora urlata a squarciagola; il tutto accompagnato da atmosfere oniriche, scenografie spettacolari, costumi di scena vari che non fanno altro che sottolineare l’eccentricità della principessa dei ghiacci. Del resto Bjork è sempre stata amante degli eccessi, recitando spesso la parte della diva al centro dell’attenzione e rischiando, per questo, di finire in frantumi. Accade tutto nel

APRI E CHIUDI PARENTESI U

n distillato di Islanda nel caldo dell’estate romana. «Luglio suona bene 2008» porta i Sigur Ros, di scena il 12 nella suggestiva cornice della cavea dell’Auditorium Parco della Musica, nell’ambito del tour che li vedrà toccare anche Milano e Firenze dopo quasi due anni di assenza dai palchi italiani. Un rientro atteso per la band islandese, tra le più amate e seminali degli ultimi dieci anni, dal loro album di esordio, Von del ‘97, fino a Takk, ultima prova «inedita» ad oggi, datata 2005. Eterei, evanescenti e glaciali, la musica dei Sigur Ros sembra sgorgare dalle profondità della loro terra in lente e dense volute, calibrata in quattro dischi che li hanno imposti sulla scena internazionale, fautori, insieme a Mum e Gus Gus della nouvelle vague islandese a cavallo tra Novanta e Duemila, sulla scia della più celebrata Bjork. Ma come Bjork e Mum prediligono dissonanze e virate sull’elettronica, la musica dei Sigur Ros si stabilizza invece su atmosfere rarefatte e ossessive, liturgie nordiche giocate spesso sul vonlenska o hopelandic, sorta di linguaggio esperanto astratto inventato dal cantante-chitarrista Jonsi Por Birgisson che gli consente di usare la voce come strumento puro. «In fin dei conti è quello che accade con le canzoni inglesi nei paesi non anglosassoni: chi non sa l’inglese percepisce suoni, non significati», ci scherza Kjartan Sveinsson, tastierista della band. Una sorta di dilatato «Prisencolinensinainciusol» celentaniano. Scoperti proprio da Bjork nel ‘94, in seguito al loro primo singolo Fljugou, partorito in appena sei ore e inserito in una raccolta per i cinquant’anni dell’indipendenza islandese dalla Danimarca, il quartetto - composto da Jon Thor Birgisson (voce e chitarra), Kjartan Svensson (tastiere), Georg Holm (basso) e Orri Pall Dyrason - ci mette tre anni a dare forma al loro primo album, Von (speranza), tra le quali spiccano l’omonima Sigur Ros (rosa della vittoria) e Myrkur. Von rimarrà misconosciuto fino al successivo Agaetis Byrjun (un buon inizio), del 2000, disco della svolta, per l’etichetta inglese Fat Cat. Giocata su lunghe tessiture sospese tra noise, archi e elettronica, percorse dalla voce (quasi) bianca e tagliente di Jonsi, la psichedelia minimalista dei Sigur Ros raccoglie consensi a livello internazionale, mentre i nostri fanno incetta di premi in patria (miglior album, miglior gruppo, etc.), assestandoli tra gli alfieri più acclamati del post-rock, accanto a Mogwai e ai Radiohead cacofonici

SIGUR ROS Nudi, oscuri e magmatici come parentesi. Tonde.

1996, quando a Bangkok, in preda ad una crisi di nervi, assale una troupe televisiva che stava riprendendo il figlio. A distanza di poco tempo riceverà un pacco bomba, miracolosamente intercettato dalla polizia, inviato da un fan in preda alla pazzia che si suiciderà poco dopo. Sono esperienze che segnano nel profondo la sensibilità della cantautrice che decide di tornare a vivere su una montagna in Islanda, a stretto contatto con la natura, per ritrovare la serenità. «Per me, cantare è sempre stato qualcosa di puro, il mio modo di dialogare con le cose; mi è sempre piaciuto cantare nel vento, sotto la pioggia, in una tormenta di neve, su un torrente di lava. Io contro gli elementi». Da lì in poi la strada sarà di nuovo in discesa. Nel 1997 sforna il suo capolavoro Homogenic, oscuro e romantico nello stesso tempo, intriso di arrangiamenti d’archi spesso anche dissonanti e i soliti beats elettronici. Nel 2000 recita nel film Dancer in the Dark, di Lars Von Trier, il ruolo della protagonista Selma, con una sensibilità, un pathos e un dolore quasi reali dove l’interpretazione tra musical e melodramma vale la palma d’oro a Cannes come miglior attrice. Dopo Vespertine (2001) nel quale concede più ampio spazio all’elettronica intraprendendo un viaggio nella sfera dei suoi sentimenti più intimi e tormentati, arriva Medulla (2004); album straordinario per la sperimentazione vocale, interamente composto da registrazioni vocali sue e di alcuni collaboratori (vedi Mike Patton). L’ultimo lavoro Volta (2007) è un ritorno alle sonorità del passato e alle tematiche a lei tanto care: il rapporto con la natura, il dialogo con le persone amate, i temi politici di libertà. Bjork è tutto questo e molto altro. E allora non resta altro che attendere che il folletto venuto dai ghiacci ci regali un altro dei suoi spettacoli indimenticabili. Gianluca Gentile

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SABATO 25 LUGLIO ore 21:00 Luglio Suona Bene AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA - Cavea Ingresso: da 60 a 120 euro Biglietteria: 199.109.783

Lorenzo Bertini

di Kid A (per cui apriranno molti concerti), lungo la linea madre dei precursori Can. La struttura nuda perseguita dal gruppo continua nel seguente ( ), senza titolo e indicazioni per le relative otto tracce, a loro volta intervallate da trenta (cageani) secondi di silenzio, cantate esclusivamente in hopelandic. ( ) è un disco se possibile ancora più oscuro e magmatico del precedente Agaetis Byrjun fatto di lunghe spettrali suite di ascendenza floidiana. Il 2005 è l’anno dell’approdo a una major, la Emi, con Takk (grazie), l’album forse più debole e meno carico di suggestioni. Le undici tracce segnano il ritorno al cantato in islandese, e l’oscurità di ( ) è abbandonata per un ritorno a una psichedelia in stile Mercury Rev/Flaming Lips (vedi, tra tutte, la fiabesca Saeglopur con ouverture iniziale di campanelli e pianoforte o la sognante Hoppipolla). O, più semplicemente, in puro stile Sigur Ros. A più di dieci anni di distanza dal loro esordio, i Sigur Ros tirano le fila della loro carriera, ripercorrendo in un doppio cd, Hvarf/Heim, il loro repertorio in formato elettrico-unplugged, con aggiunta di un vecchio demo, Salka e di due inediti (Hljómalind e Í Gær). Il disco esce in contemporanea con il film Heima, un prezioso documentario in cui è possibile ammirarli in dimensione live. Per chi non potrà esserci all’Auditorium il 12 luglio.

SABATO 12 LUGLIO - ore 21:00 >> Luglio Suona Bene AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA - Cavea - Ingresso: da 30 a 60 euro - Biglietteria: 199.109.783

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SIOUXSIE Ipnotica, ammaliante, dark-punk-e-gothic. Strana insomma.

STOMP! Dentro un metaballetto che è percussioni, acrobazia, estrovaganza. E pulizie di primavera

PORTISHEAD Un punto di vista di cui non si potrà più fare a meno, la cui bellezza va al di là dell’estasi estetica tanto da divenire obbligo

GOTICA REGINA SIOUXSIE Vive in una casa del XIV secolo in un tranquillo villaggio nei dintorni di Tolosa, dove nessuno la conosce se non come «quella strana cantante che viene all’Inghilterra». Praticamente fa la parte della vicina stramba, e invece è la madre della scena gothic britannica. Questi francesi. La regina del dark punk britannico, leader storica dei Siouxsie and The Banshees e madrina della scena gothic, ritorna in Italia dopo anni di assenza per tre date imperdibili (il 12 luglio al Teatro Romano di Ostia Antica di Roma, il 14 a Villa Arconati di Milano, il 15 allo Spaziale Festival di Torino). Siouxsie Sioux, all’anagrafe Susan Janet Dallion dalla voce ammaliante e ipnotica, con il primo album dei Banshees ha sostanzialmente dato il via al movimento dark che avrebbe dominato buona parte del decennio degli anni 80, aprendo la strada a gruppi indimenticabili come Joy Division, Cure, Bauhaus, Killing Joke, Sisters of Mercy. Ma non solo. Il suo stile vocale e le sue sonorità tetre e malinconiche sono rintracciabili anche oggi, basti pensare a Portishead, Dead Can Dance, Garbage, Cocteau Twins (la Frazer ha raccontato di aver avuto da ragazzina un tatuaggio di Siouxsie). Miss Dallion fa i suoi primi passi nel mondo musicale come fan dei Sex Pistols seguendoli nelle loro performances con un gruppo di sostenitori ed è già un’icona di stile: alta, eterea,

affascinante, trucco pesante, colorito cadaverico, abiti provocanti spesso tipicamente sadomaso. La sua immagine ha influenzato più di una generazione consacrandola come uno dei pilastri del rock di tutti i tempi. Ed è proprio nel fermento punk londinese che Siouxsie si presenta sul palco con i Banshees, una formazione improvvisata in occasione del festival 100 Club, che comprende Steve Severin al basso, Sid Vicious alla batteria e Marco Pirroni (poi negli Adam And The Ants e nei Rema Rema) alla chitarra. Ed oltre all’immagine già perfetta è evidente che c’è qualcosa di più: Honk Kong Garden è una meravigliosa danza macabra giapponese arricchita da una voce con reverse gate reverbe, effetto che Siouxsie aveva sentito nella indimenticabile Holy Holy di David Bowie. Il successo comincia presto ed ecco arrivare un contratto con la Polydor con il nome definitivo: Siouxsie and The Banshees (formazione che vedrà la sostituzione di John Mc Kay alla chitarra e Kenny Morris alla batteria). Il canto selvaggio, i tamburi tribali, l’approccio teatrale e mistico, gli inserti elettronici, i rimandi al krautrock, gli innumerevoli riferimenti letterari a Baudelaire, Blake, Redcliffe, Edgar Allan Poe e le citazioni cinematografiche costituiscono subito elementi del tipico Siouxsie-sound. L’urgenza e la violenza del punk divengono con i Siouxsie and The Banshees meno dirompenti e più ricercati aprendo le porte ad una musicalità suadente e spesso visionaria, capace di arrangiamenti raffinati e complessi. Dopo capolavori come Scream, JuJu, Nocturne, nel 1996 il gruppo decide di sciogliersi, in polemica risposta al revival punk che sta prendendo forma in quel periodo. Nel 2007 dopo anni di pubblicazioni a nome The Creatures (duo formato da Siouxsie e da Budgie, batterista dei Banshees e

BATTE

per diversi anni suo marito), Siouxsie pubblica il suo primo album come solista, intitolato Mantaray disco dalle tinte «romantiche» di una songwriter ormai ricca di esperienza e matura. L’ex regina della notte, lontana anni luce dal vecchio tumulto del punk e dall’ aspetto di riot-girl, oggi vive in un tranquillo villaggio nei dintorni di Tolosa in una casa del XIV secolo. «Quasi nessuno da queste parti sa chi sono – dice –. Qualcuno tutt’al più mi definisce quella cantante un po’ strana che viene dall’Inghilterra». Valentina Giosa

SIOUXSIE - SABATO 12 LUGLIO ore 21.30 COSMOPHONIES - Teatro Romano di Ostia Antica di Roma Via dei Romagnoli, 717 Ingresso: 26 euro + d.p. - Info: 06 4827915 orario 10-13 / 16-19 escluso sabato e festivi Cosmophonies: 333.200.34.29

L’IMMONDIZIA

i vende un pianoforte, sulla 14th Street di New York, un tipo che è un commesso qualunque e che tra riffe e raffe mi invita a vederlo ballare quella sera o qualunque altra. Il tempo che il pianoforte sia già dentro la mia casa di Chelsea per accettare il suo invito e ritrovarmi all’Orpheum Theatre sulla 2nd Avenue, in mezzo alle botteghe del tatuaggio e del piercing, in una Manhattan che qui ad est della City è sporca e confusa come tutti gli est del mondo. L’East Village che sta nascendo solo in questi ultimi anni ospita il mio venditore di pianoforti e qualche amico suo, stabilmente. Non suonano, ma sbattono. Non cantano, ma fanno rumore. Non recitano, ma fanno gag. Sono Stompers, niente più. Quasi una filosofia. Una setta. Nati a Brighton nell’estate del 1991 da un’idea di Luke Cresswell e

di Romina Ciuffa

Steve McNichola, gli Stomp danno vita a una performance unica che nasce dalla strada. Suonano scope, manici, pneumatici, spazzolini, fogli di giornale, scatolette di cerini, tubi di gomma, lavabi interi della cucina che si attaccano al collo. Si arrampicano, strofinano, percuotono e il ritmo è incessante, arrivano su in alto a metri da terra attaccati agli spalti e nessuno di loro, ancora, ha sbagliato. Ripetono tutto ogni sera, da anni, per le strade ed anche nei teatri: quello di Roma, ad esempio, l’Olimpico, che assiste a un concerto anomalo, al senso rapido del tempo che scorre, alla visualizzazione della musica in un’opera che è metropolitana nel senso di città e nel senso di subway, stare sotto l’asfalto in attesa di un treno, rumori compulsivi e il piede che batte, topi nei binari. L’immondizia seduce gli Stompers, e il disordine urbano che è tutto ciò che fa arte. Un «metaballetto», la furia ritmico-sensuale del flamenco unita al gioco percussivo del tip-tap, l’umorismo del cinema muto dato in prestito alla Pop-Art. Si ricicla tutto perché tutto è arte, suono, ritmo incalzante di cerini prima che vengano accesi, di immondizia prima che venga lacerata, di confusione prima che diventi emozione. Non oso pensare cosa avrebbe fatto il mio pianoforte in mano a lui.

M

RE PORTISHEAD THIRD Cogliere l’occasione di vedere il live dei Portishead racchiude in sé e sintetizza l’unicità di un avvenimento raro e prezioso che, nel momento stesso della sua esecuzione, permette di essere detentori di una memoria storica. Il tour scorso ha previsto purtroppo solo due tappe in Italia (il 30 marzo all’Alkatraz di Milano e il 31 allo Saschall di Firenze). Il tenore dello spettacolo è perfettamente fedele a quello del disco: sobrio, lineare, potente, oscuro. Paralizzante. Nessuna via di fuga per occhi e orecchie. L’immaginazione è resettata al suo punto d’origine, pura e sensibile. Emerge solo il rigore di una visione che è frutto di una necessità, di (riba)dire e porre nuove basi di concezione sonora. Un’incombenza ontologica, che richiede tempo per trovare la giusta espressione, lontana da meccanismi commerciali. Non sorprende quindi che il disco arrivi anarchicamente dopo tanti anni dal precedente. E si chiami Third. Nessuna intenzione così di cancellare il passato, anche perché lo stile, l’innovazione, l’intelligenza, la sorpresa, la lucidità, l’accuratezza, non sono smarriti e l’ascolto dell’opera ribatte incessantemente questo assunto. È l’aggiunta di un nuovo pilastro nell’evoluzio-

ne del sistema musicale, al di là del tempo e delle mode, un incipit rinnovato per tanta nuova ispirazione. Un disco dove ogni scelta formale acquisisce un senso: nella disposizione, nella durata, nella ripetizione, nell’interruzione e nella ripresa. Ma laddove, nell’insieme dei brani, si intuisce un progetto articolato e concreto, nella realizzazione degli stessi, nel loro essere musica e parole, è evidente la loro minuziosa e sorprendente diversità. Un’ora di ascolto divisa, ancora una volta, come è sempre stato, in undici tracce. Cifra costante di un enigma irrisolvibile e rinnovato, riavvisabile da subito in quella breve lezione in portoghese (Esteja alerta para a regra dos 3...) che sancisce il nostro ascolto e l’inizio di Silence. Ecco dunque basso, batteria e chitarra secchi e incessanti in riverente dialogo con la voce di Beth, atmosfera da noir metropolitano e una fine che non esiste, labile e drammatica come quella dei film dei fratelli Dardenne. È solo l’inizio. C’è tempo per scandagliare abissi e sommità di rimembranze e passioni con Hunter e Nylon Smile, i ritmi si intersecano variabili e mutevoli e i suoni si aggiungono e arrivano sempre abbaglia(n)ti di luce scura, ambigua e inaspettata, dall’esito immobilizzante per ogni tentativo esplicativo: I can’t say nothing good / Nothing is so bad / I never had the chance to explain exactly what I meant. C’è tempo per la delicatezza e la sublimità e la magi-

ca armonia di The Rip, l’inquietudine disturbante di Plastic, che preannuncia la rivolta di We Carry On, dalla base paranoica e alienante, momento di perdizione estrema e scatenante, da fossilizzare il battito cardiaco nella sua incessante compulsione. C’è tempo per un malinconico e tenero respiro acustico dai sentori blues con Deep Water, prima della inesorabilità della drum machine di Machine Gun, e della rugosità di Small, esemplari di cupezza e psichedelia che sperimentano nuove traiettorie dell’udito. C’è tempo per il compromesso e la convivenza con la ritrovata melodia in Magic Doors, e la finale sospensione lynchiana di Threads, che certifica in maniera indelebile l’impossibilità di qualunque risposta ai nostri dubbi: What do I know? and how do I go? I’m always so unsure.

Una spinta sperimentatrice e innovatrice invade questi brani. Non è più tempo di campionamenti, sonorità lo-fi e scratch. Nessun autoreferenzialismo. Bastano l’orchestrazione sapiente di batteria, chitarra, basso, elettronica pungente e minimale, e la voce, che non smette mai di stupire e impressionare per quali evoluzioni sia in grado di mostrarci. Si percepisce la sofferenza, l’intensità del complesso processo creativo, l’assoluta necessità di compiersi. Perché siamo di fronte, o meglio, dentro, a un mutamento di cui è difficile ancora comprendere il peso. Un punto di vista di cui non si potrà più fare a meno, la cui bellezza va al di là dell’estasi estetica tanto da divenire obbligo. Alessandro Tognolo

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CLA&opera SSICA a cura di FLAVIO FABBRI

NIETZSCHE Ma non era un filosofo? No.

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ALESSANDRO BARICCO I barbari Secondo DANTE Gli dedicano lui Beethoven è l’antesignano dei barbari moder- una sagra intera. In Umbria ni. Proprio il più romantico dei pianisti

BEETHOVEN IL BARBARO

FRIEDRICH NIETZSCHE IL MUSICISTA ensare che la musica che si sta per ascolP tare è quella di Friedrich Nietzsche mal dispone. Chiunque si aspetterebbe qualcosa di estremamente particolare, perlomeno di bizzarro. Da una prima, attenta analisi dei brani in realtà si rimane un po’ smarriti, quasi in attesa. Si pensa inconsciamente: Tutto qui?. Poi, tornando all’ascolto - un gesto che lo stesso Nietzsche avrebbe probabilmente disapprovato (fino al XIX secolo non era consuetudine riascoltare le composizioni di un autore più volte per capirne la forza) - vengono a colpire i repentini cambiamenti di stile che poi, a pensarci, ben si accordano con quello che doveva essere il carattere del filosofo. E così si entra nel mondo musicale di Friedrich Nietzsche, che prima di diventare il grande pensatore che è stato, ha vestito i panni del compositore di musica. Parliamo di un blocco di diversi Lieder composti, tra il 1861 e il 1863, all’interno di una limitata produzione musicale. Essi rimasero tutti inediti ad eccezione di Gebet an das Leben e sono stati raccolti e pubblicati per la prima volta da Georg Gohler, Musikalische weke von F. Nietzsche nel 1924. Siamo nel pieno degli effetti del Romanticismo tedesco e l’esperienza che illumina il panorama degli anni universitari di Nietzsche è tutta nell’incontro con Richard Wagner, avvenuto nel 1867. Il contatto con l’uomo che gli sembrava raffigurare il più alto ideale di artista del suo tempo, direttore, compositore, librettista e saggista che aveva realizzato capolavori come il preludio del Tristano e Isotta e l’ouverture dei

Devotamente all’inferno di Romina Ciuffa dedicata a Dante Alighieri la sessantatreesima edizione della Sagra Musicale Umbra, Festival di musica sacra e spiritualità, Il cartellone, dal 12 al 26 settembre, spazia dal gregoriano alla musica medievale, a due prime esecuzioni assolute di Salvatore Sciarrino e Roger Marsch, accanto a conferenze ed eventi. Una rarità, la proiezione di due film muti datati 1910 sulla Divina Commedia, proposti grazie alla Filmoteca Vaticana. Dopo una speciale anteprima a Spello venerdì 12 settembre con i più significativi esempi del canto devozionale umbro legato alla spiritualità popolare, in una colorata serata di cori e processioni per le vie del borgo, la vera inaugurazione al Teatro Morlacchi di Perugia sabato 13 settembre con la Missa Solemnis di Beethoven eseguita dall’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento diretta da Gustav Kuhn. Numerosi gli appuntamenti in cartellone con la musica antica e barocca eseguiti dai più noti complessi italiani ed europei, con alcune scoperte di grande interesse musicologico, prime esecuzioni in tempi moderni, tra cui il mottetto Vos invito di Vivaldi, e prime esecuzioni assolute tra le quali Il Cor Tristo di Roger Marsh tratto dal XXXIII Canto dell'Inferno dantesco. WWW.PERUGIAMUSICACLASSICA.IT [email protected]

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>> 63.MA SAGRA MUSICALE UMBRA DEDICATA A DANTE ALIGHIERI dal 12 al 26 settembre

Maestri cantori, finisce per rappresentare una chiave di volta nella formazione della personalità del giovane musicista. Lied romantici, evocativi e mossi da strofe schubertiane: toni ampi e fluttuanti, articolati in accordi dissonanti, ritardi, appoggiature, modulazioni improvvise. Ma anche motivi declamatori con la funzione di drammatizzare l’impianto, richiamare i grandi miti che andavano tradotti in note per il popolo, cioè la massa odierna, di modo che il musicista si trasfigurasse in oratore. Solo che proprio non riusciva a convincere nessuno e, tra le molte voci critiche del tempo, c’è da registrare solo la difesa di ufficio mossa da Wagner stesso e da Franz Liszt, sintetizzate nel giudizio raccolto dal biografo Curt Paul Janz: «(...) Tuttavia, anche nella musica liederistica ha per lo meno eguagliato per espressione profonda e pregnante parecchi dei suoi musicisti contemporanei di mestiere». Come dire che tali Lieder non meritano di essere sminuiti dall’impari confronto con i capolavori dei grandi musicisti, ma semmai valorizzati da un accurato parallelo con le liriche per voce e pianoforte di Wiengartner, Cornelius, Goldmark, Franz, per citare soltanto alcuni fra i più significativi piccoli maestri tedeschi del genere liederistico. Insomma, salviamo il salvabile. Un piccolo mondo ai più sconosciuto, questo del giovane Nietzsche, che con la stesura de La nascita della tragedia (1872) e un probabile accenno dei mitici baffoni sul viso di ex-adolescente prodigio, vedrà la fine del musicista e la nascita del filosofo. Flavio Fabbri

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eethoven, l’antesignano dei barbari moderni? Molti saranno saltati sulla sedia alla seconda pagina del libro di Alessandro Baricco, I barbari (Feltrinelli, 2006) perché si è andati un po’ pesanti con le parole. Nel libro si fa riferimento alla Nona sinfonia in Re minore, Op. 125, cioè l’ultima sinfonia pubblicata da Ludwig van Beethoven. La somma vetta creativa, completata nel 1824 e nell’ultimo movimento includente parte dell’Ode An die Freude (Inno alla gioia) di Friedrich Schiller. Un capolavoro assoluto, insuperabile insomma. Eppure «(...) eleganza, purezza e misura, che erano i principi della nostra arte, si sono gradualmente arresi al nuovo stile, frivolo e affettato, che questi tempi, dal talento superficiale, hanno adottato. Cervelli che, per educazione e abitudine, non riescono a pensare a qualcosa d’altro che i vestiti, la moda, il gossip, la letteratura di romanzi e la dissipazione morale, fanno fatica a provare i piaceri più elaborati e meno febbrili, della scienza e dell’arte». Queste parole, scritte quasi due secoli fa e che in modo così sconvolgente aderiscono perfettamente alla gran parte dello stato dell’arte musicale attuale, sono parte del più ampio articolo apparso su un’autorevole rivista londinese, The Quarterly Musical Magazine and Review, nel 1825. Erano i tempi del Romanticismo, la Nona ne fu la bandiera. E Baricco ci fornisce una chiave di volta su cui riflettere: ma se Beethoven scriveva musica per quei cervelli, cioè gli stessi che leggevano J.W. von Goethe, Franz Brentano e G.W. Friedrich Hegel per inteso, ci chiediamo, come è possibile che venissero considerati barbari? E cosa dire allora dei barbari dei nostri tempi? Qualcosa li unisce? Quali codici di comunicazione culturale, artistica, linguistica sono venuti meno o si sono ricreati o ripristinati? Il grande filosofo e sociologo francese Jean Baudrillard, scomparso lo scorso anno, sosteneva: «(...) Non è forse vero che la musica non riflette solo la storia, ma la penetra, ovvero agisce retrospettivamente sul passato fino alle nostre radici, alle nostre fonti non discorsive, si tuffa nei nostri abissi di grida e rumori, si proietta al di là dei nostri futuri?». Un altro genio e un’altra domanda. Noi qui, ovviamente, assolviamo Beethoven da questo ambiguo tribunale del tempo, quando ha terminato di comporre la Nona era sordo, decisamente un’ottima attenuante per un musicista. Ricordando però che nel 1927, cento anni dopo la morte di Beethoven, la famosa rivista tedesca Die literarische Wel si rivolse ai più importanti compositori contemporanei perché dicessero che cosa significava per loro Beethoven e Maurice Ravel sintetizzò: «(...) Non mi piace Beethoven, perché la sua fama è fondata non sulla musica, palesemente imperfetta, ma sulla leggenda letteraria creata intorno alla sua vita». Dunque arriviamo ai media, al divismo, ci tocca incassare ancora un colpo. Ma il motivo vero della sua assoluzione completa sta nel fatto che tutto ciò che è barbaro, come sottolinea Baricco, è frutto della mutazione insita nei tempi, tra le fratture invisibili che si creano tra un universo di significati condivisi e quello che sta per nascere, non certo o non solo nel singolo. Forse quando Beethoven ha innestato Schiller nella Nona aveva inconsciamente effet-

tuato un’operazione di marketing moderno, di business musicale, di quella che oggi definiamo musica creativa? Aveva inconsciamente mutato un pezzo di mondo e di storia? Chissà, l’unica cosa certa è che questo atteggiamento creativo oggi, oltre alla musica, fagocita tutti i campi espressivi. Anche il tempo e lo spazio, lasciandoci senza futuro e con l’ombra nucleare del passato. E a noi, cosa ci sta mutando? Oggi, coloro che ci definiscono barbari sono gli stessi che hanno finito di pagare la scuola dei figli e il mutuo per la casa, i neo-cinquantenni insomma, che hanno soldi da spendere nel fantastico mondo dell’entertainment globale. Oggi nonni e nipoti fanno le stesse cose, vivendo il medesimo tempo, in un segmento temporale orizzontale, piatto, saturo di esperienzialità qualitativa e quantitativa. Quindi, non sono nella posizione di giudicare. Ma chi è oggi che sta mutando il nostro paesaggio allora? C’è un Beethoven nascosto tra noi? Cosa ci fa provare questa strana sensazione di smarrimento tra le cose di tutti i giorni? La risposta è nell’unico termine possibile: il mutamento. Stiamo mutando e già le avanguardie sono passate nella dimensione altra che noi stiamo ancora qui a chiederci perché, nel frattempo, Beethoven è finito in una suoneria per cellulari. Uno dei più grandi pianisti del Novecento, Glenn Gould, diceva riguardo la musica e non solo: «(...) Ciò che io chiamo bellezza è una questione di forbici e colla». Serviti, qui i concetti di tempo e di spazio, già sminuzzati dal cut up dello scrittore visionario William Burroughs adesso sono passati alla convergenza del web. Il passato è morto e il futuro è una categoria legata a quanti soldi vengono spesi in ricerca e sviluppo a Sylicon Valley. Il tempo che verrà sarà più simile a un video game che alle riflessioni novecentesche, cari buio e luce dell’intelligenza passata. Siamo una specie in mutazione antropologica, abbiamo smesso di andare avanti in posizione eretta, preferendo lo spostamento laterale, plurale e multitasking, come le mani di Beethoven sul pianoforte. Siamo portati da sempre a pensare che mutamento sia termine ‘ambiguo’ e quindi negativo, ma proprio con il nostro Ludwig, grazie a uno dei suoi quaderni di gioventù, possiamo ascoltare le voci lamentose in marcia sul tempo a scagionare, forse, nuovi traghettatori talentuosi dalle accuse di domani: «(...) Una seconda, una terza generazione mi ricompenseranno, due e tre volte, delle ingiurie che ho dovuto subire dai miei contemporanei». Flavio Fabbri

O CIELI AZZURRI DI CARACALLA L’ Aideo, così si doveva chiamare il Teatro dell’Opera alle Terme di Caracalla. L’idea venne allo scrittore Giorgio Vigolo, perché l’Aida, opera lirica di Giuseppe Verdi del 1871, dal 1945 a oggi è sempre stata in cartellone per il Teatro dell’Opera di Roma nella incredibile location delle Terme di Caracalla. Qui si può godere, data la scenografia monumentale, di una favola nella favola, ambientata nell’antico Egitto e piena di amore per la Patria: « ... Sì bella e perduta» raccontava sempre Verdi, ma nel Nabucco (1842). La Celeste Aida, una principessa etiope, catturata e condotta in schiavitù in Egitto. Radamès, capitano delle guardie reali di Tebe che se ne innamora. Ne nasce una delle più incantevoli storie di guerra, amore, tradimenti, onori feriti, coraggio e sacrifici d’altri tempi, dove il dolore è lo sfondo immutato dell’epopea del genere umano. Una tragedia in quattro atti, densa di emozioni e di pathos, commissionata a Giuseppe Verdi dal principe egiziano Ismail Pasha, su libretto di Antonio Ghislanzoni e basata su un soggetto originale di Auguste Mariette. Un’opera immortale che conserva intatto il suo fascino negli anni. >> E pur ti riveggo mia dolce Aida - dal 10 al 24 LUGLIO - TERME DI CARACALLA a Roma

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MAURICIO ANNUNZIATA Akatist Per la quinta volta il Montenegro è indipendente: crocevia di popoli, incontra il compositore italo-argentino che gli ha dedicato un inno intero

LEYLA GENCER Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti, arrivederci fratello mare, mi porto un po’ della tua ghiaia, un po’ del tuo sale azzurro, un po’ della tua infinità e un pochino della tua luce

MONTENEGRO COME LA PACE Il miracoloso fatto che ortodossi, cattolici e musulmani rendano omaggio a un santo ortodosso, San Basilio di Ostrog, ha costituito per Mauricio Annunziata una fonte d’ispirazione immensa, arricchita dalla diversità culturale, etnica e geografica che offre il piccolo territorio montenegrino a cura di Flavio Fabbri

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mmerso tra le meraviglie pittoriche del Caravaggio, gli affreschi del Pinturicchio e di Carracci, abbracciato dalle architetture di Raffaello e del Bramante e accompagnato dalle sculture di Andrea Bregno e di Gian Lorenzo Bernini, per un pubblico assorto nella Basilica di Santa Maria del Popolo la prima esecuzione dell’Akatist di Mauricio Annunziata, per il secondo anniversario dell’Indipendenza del Montenegro. Cuore della composizione per Coro e Orchestra è il sentimento multietnico e multiculturale che il giovane Paese europeo porta con sé da mille anni, esaltato da cattolici, ortodossi e musulmani, con i loro canti e le loro liturgie.

Mauricio Annunziata nasce a Buenos Aires (Argentina) ma è italiano di origine, è ingegnere informatico ma compone al pianoforte, è autodidatta ma sembra essere uscito dalle scuole del tempo. Ama la musica lavorando d’istinto puro, fiutando la corda emotiva che tiene rapito il pubblico, riuscendo a colmare ogni distanza, ogni diversità. Il suo percorso biografico lo ha portato inevitabilmente alla grande scoperta del Montenegro, crocevia di popoli, religioni, sonorità e sentimenti depositati nei secoli nel cuore dell’Europa: «Ho scoperto il Montenegro anni fa grazie alla scrittrice montenegrina Dragana Polovic, devota di San Basilio di Ostrog, veneratissimo santo ortodosso montenegrino. Lei è stata l’artefice del mio Akatist facendomi notare l’importanza di integrarlo nel centro della Chiesa cattolica. Dopo più di cento composizioni dedicate al continente americano, mi sono interessato alla diversità culturale, etni-

ca e religiosa del Montenegro, lo Stato più giovane del mondo nel cuore dei Balcani. Il miracoloso fatto che ortodossi, cattolici e musulmani rendano omaggio ad un santo ortodosso ha costituito per me una fonte d’ispirazione immensa, arricchita inoltre dalla diversità culturale, etnica e geografica che offre il piccolo territorio. Anche se il Montenegro aveva un patrimonio musicale folcloristico vasto, nella musica colta non si poteva dire lo stesso». Una storia difficile, quella del Montenegro, piccolo e giovanissimo Stato dell’Unione, dove non sempre le parole o la musica hanno avuto la meglio sulla guerra e l’odio etnico, eppure, forse proprio grazie al nuovo assetto europeo, sembra aver trovato una sua importantissima dimensione, dove anche la comprensione delle diversità più profonde e il dialogo interreligioso hanno contribuito a un passaggio politico fondamentale. «La prima esecuzione dell’Akatist a San Basilio di Ostrog è stata organizzata dall’Ambasciata del Montenegro presso la Santa Sede - racconta Annunziata in occasione del secondo anniversario dell’Indipendenza e, da quanto pronunciato dall’Ambasciatore S.E. Antun Sbutega, sappiamo che per la quinta volta nella propria storia millenaria i cittadini del Montenegro costituiscono uno Stato indipendente, per la prima volta senza dovere usare le armi, ma solo una matita». Così, come da sempre è stato, anche la musica racconta il passare del tempo e i grandi avvenimenti storici, cantando gesta di eroi e talvolta canti del mare, paesaggi, nostalgie e speranze di suonatori, uomini di fede e poeti: «Ho scritto l’Akatist (inno di lode per San Basilio di Ostrog, Op. 108) con temi originali, spesso d’ispirazione popolare. L’organico è: oratore, voce popolare montenegrina, coro e organo (anche in versione per orchestra). La lingua non è il serbo, ma il montenegrino: la scrittrice Dragana N. Polovic ha accuratamente rivalutato l’antico testo con le sfumature e gli accenti proprie della linguistica montenegrina. Inoltre, Dragana N. Polovic ha tradotto minuziosamente il lungo testo alla lingua italiana con adattazione ritmica per le esecuzioni in Italia. Il testo Akatist (il termine greco Akathistos sta a indi-

care gli Inni di lode «in piedi») - spiega Mauricio - è suddiviso in Ikos e Kondak, che ho illustrato liberamente: Inno a San Basilio di Ostrog, Preghiera montenegrina, Alleluia dei cristiani, Festa dei pellegrini, Alleluia nella tristezza, Luce nel duolo, Alleluia musulmano, Canti bizantini, Alleluia del nuovo Montenegro, Invocazione dai monti, Alleluia degli andanti, Supplica dei contadini, Alleluia degli slavi, Adorazione gitana, Il Monastero di Ostrog, Alleluia marina, Devozione dei serbi, Orazione all’eterno riposo, Liturgia con gusle (strumento monocordo dai balcani), Sentiero del miracolo, Gloria a San Basilio di Ostrog. Ci sono costanti richiami ad antichi strumenti musicali, danze, emozioni, tutto filtrato con la mia tecnica e stile compositivo». Oltre al suo autore, ci sono i Solisti e il Coro della Roma Ensemble, i Solisti del Conservatorio musicale di Santa Cecilia e il direttore Mauro Conti in una splendida cornice architettonica che ha rapito nell’incanto un pubblico numeroso e attento, in una chiesa di rara bellezza. «La prima esecuzione del 19 maggio 2008 nella gremita Basilica di Santa Maria del Popolo a Roma è stata affidata al Roma Ensemble, diretta magistralmente dal M° Mauro Conti, che ha saputo astutamente cogliere la chiave di questa musica che differisce molto di quella che ben conosciamo in Occidente per trasmetterla all’attentissimo pubblico. Dobbiamo anche sottolineare le meravigliose interpretazione dei soliti: le rinomate Sara Dilena (mezzosoprano) e Maria Prosperi (soprano) e il talento emergente di Virginia Guidi (soprano)». «Il caloroso applauso del pubblico, che comprendeva l’intero Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede e numerose autorità religiose, politiche e artisti, serve per dimostrare che la convivenza tra le religioni è possibile e necessaria. In una chiesa cattolica - ha concluso il Maestro - non era mai stato realizzato un evento di queste caratteristiche».

GIRO DI VALZER IN MI(A) Ha 29 anni e vive a Miami Beach. Mia Vassilev è una pianista dal talento straordinario, appena passata per le Notti Romane al Teatro Marcello di Roma in occasione del Festival musicale delle Nazioni; nonostante la giovane età ha già un lungo curriculum di successi: dopo aver conseguito la laurea presso la Kansas State University e un master all’Università di Cincinnati-College Conservatory of Music sotto la guida di Richard Fields e Michael Chertock, si è esibita non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa ed in Cina. La Vassilev ha saputo entusiasmare il pubblico romano con la sua bravura nell’esecuzione di celebri brani al pianoforte in più occasioni: l’anno scorso, ad esempio, nella Casetta delle Civette del parco di Villa Torlonia. Quest’anno l’artista ha scelto un valzer del suo compositore preferito, Maurice Ravel (Valses Nobles et Sentimentales), ma non dimentica una Sonata di Sergej Vasil’evic Rachmaninov (la n. 2 op. 36), e nemmeno la Suite Dansante en Jazz di Erwin Schulhoff. Maria Luisa Tagariello

LEYLA GENCER «Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti, arrivederci fratello mare, mi porto un po’ della tua ghiaia, un po’ del tuo sale azzurro, un po’ della tua infinità e un pochino della tua luce…»: così il poeta turco Nazim Hikmet cantava la sua nostalgia, pensando al Bosforo lontano. Proprio come la grande cantante lirica Leyla Gencer, scomparsa lo scorso 10 maggio, che ha deciso di tornare a quella ghiaia, a quella luce, per riposare in pace nella sua terra, e da sua volontà è stata cremata e trasportata in Turchia, e nelle acque del Bosforo ora è dispersa dopo una carriera che, fra gli anni 50 e i 70, l’ha portata in tutto il mondo, e che negli anni 80 l’ha coinvolta nell’insegnamento, anche dirigendo fino all’ultimo, su invito di Riccardo Muti, l’Accademia della Scala. Flavio Fabbri

EDE IVAN PLAYS CHOPIN Al Festival Musicale delle Nazioni ecco Ede Ivan - pianista ungherese che non è nuovo ai Concerti del Tempietto nel suggestivo scenario del Teatro di Marcello - con un un recital (quello del 5 luglio) tutto dedicato a Frédéric Chopin, dunque notturni (op. post., op.27, op.32), mazurche (op. 6 e op. 63), e polacche (op. 26). Ede Ivan si dedica all’attività concertistica dall’età di 15 anni e ha all’attivo più di 200 concerti, come solista e con orchestra, in Ungheria, Jugoslavia, Austria, Italia e Australia. Maria Luisa Tagariello

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SOtU N D racking a cura di ROBERTA MASTRUZZI

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VICTORIA ABRIL Olala! al Festival dei Due Mondi Sa fare arte con i piedi, con la voce, con il corpo. Con l’anima.

TERESA DE SIO Craj È il domani di tutta la musica del Sud e il futuro delle tradizioni popolari dell’umanità

 SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

A CURA DI

ROMINA CIUFFA

O L A L A VICTORIA ABRIL! L’attrice spagnola al Festival dei Due Mondi presenta il suo nuovo disco, un omaggio alla canzone francese e alla sua camaleontica arte di intepretare tutto ciò che vede e sente

(...)

Lo fa prima a San Benedetto del Tronto, poi a Spoleto: al Festival dei Due Mondi la platea è tutta sua e del suo Olala!, un omaggio alla canzone d’autore di un Paese sul quale lei fa oggi scottare un sole spagnolo e la sensualità di un’interprete che sa fare arte con i piedi, con la voce, con il corpo, con l’anima. Con tutto. Nel suo nome, Victoria, c’è già quello che lei è: una vincitrice. Nel cognome che ha scelto, Abril, un mese di passaggio tra il freddo e il caldo. E un po’ lei è così, come tutte le persone eclettiche vive una vita in più staffe, in bilico fra le stagioni. Cosa la rende così «aprile»? Mi chiamo Abril perché non volevo essere segretaria a settembre. Ad aprile uscì il mio primo film, ma volevo essere una ballerina classica: tutta casualità o forse destino, non so dirlo, so solo che ciò che accade conviene, che mi trovo a mio agio agli estremi e che le vie di mezzo e la mediocrità mi annoiano. Le hanno attribuito questo virgolettato: «Il mio corpo è come un flauto». E la sua anima? Il mio corpo è flessibile come un giunco che si piega ma non si spezza grazie alla disciplina del ballo, e malleabile grazie a tutti i registi che hanno scolpito su di me i loro personaggi. Non conosco la mia anima, è lei che conosce me e si intravede dal mio sguardo. A che età si è avvicinata alla musica? La musica entra nella mia vita sin dall’infanzia, flamenco e ritmi afrocubani che mia madre ascoltava; dopo, con la danza entra il classico che si congiunge alla bossa nell’adolescenza, che apre le porte al jazz nella giovinezza, e tutte formano la colonna sonora della mia vita personale. A 45 anni giunge la musica attraverso il cinema con Nessuna notizia da Dio, in cui impersonifico una cantante glamour degli anni 50, il detonatore del mio primo disco Putcheros De Brasil. Come artista il suo primo passo è stato proprio un «passo di danza», poi velo-

cemente il cinema con «Obsesión», in un attimo già recitava insieme a Sean Connery e Audrey Hepburn in «Robin e Marian» e subito con Pedro Almodóvar. Poi tutti gli altri. Una enfant prodige insomma, all’attivo un numero di film più alto di quello dei suoi anni. Si può dire, allora, che il cinema l’ha «sottratta» alla musica? Il cinema non solo non mi ruba ma mi ha dato la prova lampante che posso cantare; oltre al fatto che cinema e musica sono molto compatibili: nel 2007 ho fatto 4 film e, nello stesso tempo, prodotto il mio secondo album Olala! e anche tenuto altri concerti per Putcheros De Brasil. L’unica cosa che il cinema mi ha tolto sono le mie vacanze… Ha dichiarato di non voler rinnovare l’esperienza americana: cos’ha l’Europa, in ambito creativo, che l’America non ha? Non è vero che negli States lo stato dell’arte è più fecondo, che gli artisti vengono ricompensati, che si può fare dell’arte un mestiere? E in Spagna, invece? Si può fare cinema ovunque, ma sono a mio agio in Europa per la diversificazione dei Paesi e delle culture. Mi sento più vicina a un italiano che a un texano, soprattutto quando si tratta di mangiare. Il cinema americano ha invaso le nostre sale, ma se uniamo tutte le pellicole europee ci accorgiamo che si fanno più film in Europa che non a Los Angeles, mentre se ci mettiamo a confronto con il cinema indiano o quello asiatico ci accorgiamo di essere in minoranza. Faccio cinema in Europa da 30 anni e sì, si può vivere di questo mestiere, ma in tutti i Paesi dell’UE… Il suo primo album, «Putcheros do Brasil», con il quale ha interpretato i classici della tradizione brasiliana, ha avuto un clamoroso successo. Coraggiosamente utilizza la sua voce e la sua forza interpretativa su non facili brani di Caetano Veloso, Sergio Mendes, Chico Buarque, Antonio Carlos Jobim, tra bossanova, jazz, hip hop. Perché ha scelto il Brasile per la sua prima sfida?

Poiché la bossa è stata musica della mia adolescenza, fu lei a scegliere me; ed io ho scelto lei per il mio primo disco perché fa bene inziare dal principio che, per quanto lontano, è sempre vicino al mio cuore. Perché, oggi, un omaggio alla canzone francese d’autore? Cosa la lega alla Francia? È stata la colonna sonora della mia giovinezza. 25 anni fa mi trasferii a Parigi per amore, e per amore ancora vivo qui. In questo secondo album ho voluto unire le mie due culture d’appartenenza e il risultato è uno splendido bambino che si chiama Olala, d’anima francese e cuore gitano. E, se un legame c’è, cosa la lega all’Italia? I miei ultimi legami con l’Italia sono stati San Benedetto del Tronto, in cui ho appena presentato con un concerto Olala! al Festival di Leo Ferré, e Spoleto, dove mi sono esibita il 29 giugno per il Festival dei Due Mondi. Quale cantante italiana le dà quello che lei vorrebbe dare a chi l’ascolta mentre canta? Non conosco bene le nuove generazioni, ma se guardiamo indietro adoro Mina, ancora e sempre. Le colonne sonore almodovariane hanno una sensualità forte di cui lei, spesso, è protagonista. In quale si rispecchia maggiormente? Forse in Tacchi a Spillo, proprio con Un anno d’amore di Mina, e con Piensa en Mi. Indimenticabile Miguel Bosé, in «Tacones Lejanos», sulla canzone di Mina cantata da Luz Casal: mentre lui la interpreta vestito da donna, lei è lí a guardarlo, in tensione accanto a una grande Marisa Paredes. Sempre di Luz il video di «Piensa en mi», in cui lei compare. Mina e Luz, Italia e Spagna, noi e lei: ci dedicherà un album? E cosa sceglierebbe di interpretare? Il mio prossimo album, se Dio vuole, si chiamerà INTERLOCAL, «inter» perché ci saranno varie lingue, «local» perché le ho tirate fuori dagli appunti di viaggio che scrivo da sempre, quando sono triste e quando sono felice. E ce n’è una che ho scritto girando con Giancarlo Giannini che si chiama Roma...

LA FATICA DELL’ARTE L’intervista a Teresa De Dio, che nel film Craj parla di spirito, musica popolare, tarante e ragni. E poi di artisti salentini che nessuno ascolta forse per la paura di imparare qualcosa a cura di Nicola Cirillo Teresa, guardando i protagonisti ottuagenari di Craj mi sono chiesto se la musica popolare sopravviverà ai suoi artisti. Certo. Il folk, che è il rock del popolo, non segue una moda: è perfettamente radicato tra la gente. In alcuni paesi del Salento ci sono ragazzi che a 20 anni cantano con una passione da fare invidia ai maestri cantori. C’è un bambino di 8 anni che suona il tamburo meglio di un percussionista! Be’, un po’ voi l’avete creata una «tendenza»… Abbiamo dato una nuova ribalta a un movimento musicale che esiste da sempre. Quando noi siamo arrivati abbiamo trovato una generazione già pronta a ereditare da quella precedente. È aumentato il numero degli «spettatori» e forse, questo sì, ha potuto influire sulla voglia di fare musica di quel tipo. Diciamo che più che «tendenza» abbiamo fatto «scuola». Craj fa riferimento a tradizioni forti, però è uno spettacolo innovativo. Sicuramente. Ha diversi linguaggi che si sovrappongono. Chi lo ha visto dal vivo, oltre alla poesia e alla musica, ha potuto percepire «l’architettura»: quattro palchi, una scenografia fatta di luminarie ed elementi circensi, il pubblico che si spostava per seguire la nostra «transumanza». Una vera e propria installazione moderna. Nel dvd abbiamo aggiunto il «documentario»: non una semplice registrazione dello spettacolo, ma un montaggio fatto ad arte, che connette la nostra «favola» alle vite reali dei cantori pugliesi e ricostruisce cinematograficamente luoghi e situazioni che nello spettacolo stesso sono solo evocati. Cosa vuol dire innovare nella musica? Restare al di fuori delle tendenze. L’innovazione è proprio il compito dell’arte.

L’arte è sempre innovativa. Hai mai visto un’opera d’arte di cento, di mille anni fa che non sia innovativa? Innovi se tocchi l’universale, l’eterno. È per questo che bisogna stare fuori dallo show business? Nella tua lunga carriera hai frequentato anche quel mondo. Eh sì, non ti preoccupare (ride) lo possiamo pure dire (ride): non è una vergogna aver venduto milioni di dischi, ma è ovvio che l’indipendenza dalle grandi major ti dà libertà. Ora produco tutto da sola, con l’aiuto di due case piccole e intraprendenti, la Core e la Komart. Certo è faticoso. Ad esempio, Craj è stato un laboratorio di idee, lievitava giorno dopo giorno: persino gli spettatori arrivavano a migliaia - inattesi - imponendoci di cambiare spazi e luoghi. Quindi ora ti riposi scrivendo un libro. Si, il mio primo romanzo. Non è ancora tempo per parlarne. Parliamo della tua ultima produzione, allora. È un cd. Si intitola Ridimm a Sud. Sai cos’è il ridimm? È una tecnica che viene dalla Giamaica, per cui su una stessa base vari artisti compongo il loro pezzo. Alcuni amici come Raiz, Voltarelli, Sparagna, Agricantus si sono divertiti a scrivere partendo da alcune mie basi. Partecipano pure quattro gruppi emergenti che si sono fatti avanti su Myspace. A dire il vero si sono presentati in tantissimi, ma non potevamo ospitarli tutti. Sei soddisfatta del loro lavoro? Direi di sì: ne dovevamo prendere 2 e ne abbiamo presi 4! C’è da dire che già il fatto di voler lavorare sui Ridimm la dice lunga sulla loro voglia di fare musica come piace anche a me.

Loro hanno qualcosa da dire e tu gli fornisci la musica. Funziona così? Più o meno. Alcuni hanno anche un modo di interpretare originale. Comunque niente a che vedere coi fenomeni «vocali» che oggi spopolano. Ti riferisci ai vari «talent show»? Siamo arrivati a livelli assurdi. Un’estetica palestrata della vocalità. A questi ragazzi fanno cantare «Finché la barca va» e il «Mein Kampf» di Hitler, convincendoli che l’importante è cantarli bene. Invece è lo spirito che bisogna esercitare! Per assurdo io sono arrivata al punto che se uno canta male mi fermo a sentirlo: può darsi che abbia qualcosa da raccontare.

CRAJ:

RAGNI DOMANI Craj (Domani) è il racconto di un viaggio attraverso la terra e la musica popolare della Puglia intrapreso dal principe Floridipippo (Giovanni Lindo Ferretti) e dal suo servo Bimbascione (Teresa De Sio). Partiti per cercare la spiegazione a uno strano sogno del principe (richiamato da un ragno in una pianura arsa), lungo il percorso si imbattono nei maggiori rappresentanti della musica del Gargano. Lì diventerà tutto chiaro: il ragno del sogno è la Taranta, dalla cui puntura si può guarire solo attraverso la danza. Craj è uno spettacolo superbo, che ha per protagonista un’umanità mai raccontata con così tanta veridicità e poesia: i musicisti poveri delle nostre campagne, tra racconti di vita, pizziche, viestesane, ninne nanne e antiche ballate danno vita a un «dolce stil novo» contadino, guidati con amore filiale da Teresa De Sio, artefice del progetto. La storia veicola anche un altro importante messaggio: il colto e altero principe Floridipippo, che ha consumato un’esistenza tra libri e scartoffie, si ricrede di fronte alla saggezza popolare del suo servo Bimbascione, personaggio in bilico tra il Pulcinella e il Sancho Panza. Lo spettacolo restituisce alla memoria pagine di musica popolare e poesia e costruisce un ponte generazionale tra vecchi musicisti strappati alla solitudine e alla malattia («preziosi e delicati come porcellane», dice la produttrice Marialaura Giulietti), e le migliaia di giovani che li hanno acclamati come rock star. Un lavoro corale - ripreso in un cofanetto dvd - che mette in mostra l’affetto comune da parte dei protagonisti verso la gente e la musica che raccontano; un affiatamento e purezza, autenticità, valore del «fare musica». Nicola Cirillo

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GORAN BREGOVIC Ha un’orchestra per matrimoni e funerali e sa cosa sono guerra, dittatura e odio razziale

ONCE Solo una volta nella vita, l’amore di un musical dove i protagonisti non ballano.

SUSANNA STIVALI Alla velocità della luce Come corre questa signora del jazz romano su un film d’esordio che parla di viaggi. Ipnotici.

AI FUNERALI BALLO U

n’orchestra composta da trombe, corni e basso tuba, un coro di voci bulgare, un percussionista-fisarmonicista e alla chitarra elettrica un uomo vestito di bianco: Goran Bregovic e la sua «Orchestra per matrimoni e funerali» il 23 luglio sono sul palco del Teatro romano di Ostia antica all’interno di Cosmophonies. Il compositore, di madre serba e padre croato, celebre per aver scritto le colonne sonore dei primi film di Emir Kusturica, ha vissuto sulla sua pelle la guerra, l’odio razziale, la dittatura e il disfacimento del suo Paese e con la sua musica tenta di rimettere insieme tutto. Così nasce una musica che è insieme allegra e malinconica, armoniosa e a tratti sgraziata, che attinge dalla tradizione e parla di un futuro di amore, di vita, di sogni. Quando la musica dei gitani incontra la musica moderna e la luce degli ottoni si fonde con il canto delle donne bulgare, nasce uno spettacolo che è prima di tutto una festa. Chi assiste a un concerto di Bregovic non può fare a meno di abbandonare il proprio posto e mettersi a ballare, come in un film di Kusturica, per citarne una l’indimenticabile scena finale di Underground, in cui tutti i protagonisti del film si ritrovano su un’isola a cantare e ballare. Sembra un banchetto nuziale, in realtà è un funerale: dopo la morte i contrasti personali spariscono e si ritrovano tutti insieme, amici e nemici, mariti, mogli e amanti a celebrare il superamento di ogni odio. Il sodalizio con Emir Kusturica inizia con Il tempo dei gitani e la bellissima Ederlezi, prosegue con Arizona Dream - la voce di Iggy Pop interpreta la colonna sonora - e culmina con

Underground e le travolgenti Mesecina e Kalashnykov. La musica vissuta da giovane come ribellione - negli anni 70 Goran è una rockstar in Jugoslavia - diventa con il tempo una forma di inno alla vita ed esprime tutta la sua forza vitale nel ritmo incalzante, nei continui e frenetici cambi di tempo e tonalità, nel respiro degli ottoni e nel battere delle percussioni. Il cinema rappresenta la via per far sentire la voce di un popolo oppresso, di chi è al di sopra dei contrasti politici e chiede solo di vivere la propria vita in libertà. Il cinema onirico di Kusturica fatto di voli pindarici e leggere ricadute, di cucchiai che ballano sui muri e pesci che parlano, di amori imperfetti ed esistenze vissute alla ricerca di un sogno irraggiungibile, si sposa alla perfezione con la musica di Bregovic. Ma ancora una volta è venuto il tempo di cambiare. Dopo aver scritto la colonna sonora di Train de vie, con la sua «Orchestra per i matrimoni e i funerali» è in giro per l’Europa. Nel 2005 torna al cinema per scrivere la colonna sonora de I giorni dell’abbandono, il film di Roberto Faenza con Margherita Buy in cui è anche attore, e nel 2007 compone Karmen, un’opera nuova e insolita in cui una bellissima zingara rivivrà la tragica storia della Carmen di Bizet, questa volta però con una fine più lieta. Il richiamo del palco è troppo forte e al cinema Goran preferisce il contatto diretto con il suo pubblico. Goran e la sua orchestra sono di nuovo sulla strada, destinazione Ostia antica, dove nell’antico teatro romano il tempo dei gitani è tornato. Roberta Mastruzzi

ONCE

Roberta Mastruzzi

Una settimana per incontrarsi, conoscersi e dirsi d’addio. Tanto basta a due giovani musicisti per sfiorare una storia d’amore che in questo caso non è passione fisica ma condivisione di sguardi, sorrisi, piccoli momenti quotidiani e soprattutto amore per la musica. È un incontro di quelli che capitano poche volte nella vita, forse una volta sola, Once, come recita il titolo del film di John Carney. Una notte a Dublino un ragazzo che ripara elettrodomestici di giorno e canta per strada la sera incontra una giovane ceca emigrata in Irlanda che si arrangia con piccoli lavori e suona il piano in un negozio di strumenti musicali nell’ora di pausa pranzo. La comune passione per la musica li avvicina in un’intimità spirituale che li porterà a scoprirsi e a mettersi in gioco, realizzando insieme un piccolo sogno: l’incisione di alcuni brani in uno studio di registrazione professionale. Il regista segue con discrezione le loro vite: è la musica più che la sceneggiatura a raccontare la loro storia. Non servono dialoghi complicati, paesaggi da cartolina, costumi da mille e una notte, bastano alcune note e la voce di Glen Hansard, il leader del gruppo irlandese The Frames che interpreta il protagonista, a spiegare tutto: la disperazione, il dolore, la voglia di rivincita e la magia di un incontro, quello con Markéta Irglovà, giovane talento di appena vent’anni, che lo accompagna in questo viaggio musicale. Once è un musical atipico, così lo definisce il regista stesso, dove - per fortuna - i protagonisti non ballano ma si esprimono semplicemente con il linguaggio che è loro più congeniale in quanto musicisti. La colonna sonora è composta da tredici brani, scritti e realizzati dagli stessi protagonisti, tra i quali Falling slowly, canzone vincitrice dell’Oscar 2008. Sono brani dall’atmosfera intima ed essenziale che raccontano le emozioni più profonde dei protagonisti, là dove parole e immagini non possono arrivare, e restituiscono allo spettatore l’incanto e lo stupore di un incontro che sembra perfetto: non è mai per caso che due anime sconosciute improvvisamente si trovano. Ma il fine non sempre è lieto, poiché la vita a volte è imperfetta.

SUSANNA STIVALI ALLA VELOCITÀ DELLA LUCE Un’autostrada inarrestabile, due viaggiatori, innamorarsi di una voce. Strumenti chirurgici antichi e troppe gallerie da attraversare. Con la colonna sonora di un’italiana che di solito fa jazz Quattro domande all’autrice della colonna sonora del film d’esordio di Andrea Papini, La velocità della luce, nelle sale italiane lo scorso aprile, in concorso alla XVII edizione del Courmayeur Noir Infestival. Un’autostrada inarrestabile, due viaggiatori, una telefonista che si innamora di una voce. Una scatola piena di strumenti chirurgici antichi, e tante, tantissime gallerie sono gli elementi che si mescolano in questo noir velato di humor nero, dalla struttura narrativa inversa dove i protagonisti, artefici e non vittime del loro destino, vanno a cacciarsi nei guai a causa della loro stessa curiosità inseguendo i propri fantasmi. Con La velocità della luce ti confronti per la prima volta con la scrittura di una colonna sonora, anche se già ti eri cimentata in ambiti affini, come doppiatrice, scrivendo musica per la pubblicità. Qual è stata la differenza di approccio rispetto a queste precedenti esperienze? Il film, la pellicola cinematografica, cosa richiedono in più? C’è una differenza sostanziale, perché devi lavorare su una storia che si sviluppa attraverso una sceneggiatura, attraverso le immagini, attraverso il pensiero che è dietro al regista; è necessario lavorare in collaborazione con quella che è la richiesta del soggetto, della sceneggiatura, ma rispettando il tuo sentire, lavorando parallelamente su quel che le immagini e la storia ti propongono e ti suscitano a livello di scrittura e quel che invece è il pensiero del regista. L’altra cosa importante è essere in grado di srotolare il racconto attraverso la musica, proprio come se fosse una pellicola. A proposito del coordinarsi col pensiero del regista, dice del suo film Andrea Papini: «I dialoghi tra i personaggi, quasi una seduta psicanalitica, si svolgono all’interno di quelle ipnotiche arterie moderne che sono le autostrade, lungo le quali il tempo si dilata… L’obiettivo era quello di ipnotizzare lo spettatore con un complesso lavoro sulle luci e sulle voci degli attori, consentendo in questo modo di veicolare di nascosto informazioni e temi più complessi». Come interagisce la musica in tal senso? Si conforma al forte accento posto sulle «luci» e sulle «voci» scelte per esprimere la diffrazione fisica e psicologica dei tre protagonisti? Io e Fabrizio Bondi, co-autore delle musiche, abbiamo lavorato

sulla sospensione, perché è al centro dell’incontro dei tre personaggi del film. Si tratta di tre incontri in tutto; perlopiù parlano in «spazi di viaggio». Parlano per telefono, non si sfiorano, ed il tempo risulta sospeso appunto nel viaggio. È un incontro momentaneo di tre persone, ognuna diversamente caratterizzata. Ecco quindi la necessità della ricerca psicologica, scavando nel personaggio per dare ad ognuno una caratterizzazione musicale molto forte sia nell’incontro che nel proprio essere singolo. È come se avessimo incrociato tre temi molto forti con i quali abbiamo giocato per creare la sospensione. Quali strumenti avete utilizzato per rendere l’idea di sospensione? Che suono ha la sospensione? In realtà per volere del regista non abbiamo osato molto sui suoni. Inizialmente l’idea era quella di cercare un contrasto tra l’elettronica ed i suoni acustici. Lui ci ha invece guidato verso una sonorità più classica: abbiamo usato archi, pianoforte e soprattutto la voce. È stato allora più nel tipo di scrittura che abbiamo cercato la sospensione, nella costruzione dei brani, ed uso il termine «brani» perché abbiamo scelto di pensare a dei temi, non un sottofondo, ma temi veri e propri che caratterizzassero ognuno un personaggio. Ne è risultato una scrittura «in punta di piedi», con l’utilizzo della voce come strumento, senza testi, ad eccezione di un solo brano, poiché ci sono così tante parole nel film che abbiamo preferito usare la voce in questo senso. Ed immagino che sia stato proprio in questo che ti è stato d’aiuto il tuo background jazzistico. Ma questo si univa o forse contrastava con il background ben diverso di Fabrizio Bondi? Questa è una cosa molto interessante. Noi lavoriamo insieme da tempo e ci scontriamo sempre. Effettivamente lui viene da una preparazione più classica e più nello specifico compositiva rispetto alle immagini. Abbiamo lavorato molto per cercare di capire come mantenere le nostre caratteristiche, le nostre identità, ed alla fine ci siamo riusciti: ognuno porta l’altro in direzioni diverse ma con l’apertura di dire «andiamo a vedere che cosa potrei fare lì, cosa potrei metterci di mio» e soprattutto «dove mi porti». E solo alla fine del lavoro ci siamo resi conto del risultato a metà strada tra noi due che ne è uscito fuori. a cura di Marzia Bagli

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ODISSEA THE MUSICAL La prima su Second Life «Poh!» disse Giove, «incolperà l’uom dunque sempre gli dei? Quando a se stesso i mali fabbrica, de’ suoi mali a noi dà carco, e la stoltezza sua chiama destino».

a cura di RITA COLEINE

CARMEN Quella di Zeffirelli all’Arena di L’amore è figlio di zingari

AVATAR A ITACA sono un avatar. La vita che vivo qui su questa piattaforma non è affatto virtuale: è la mia. Second Life è quella che mi fa respirare, ogni tanto, quando mi collego all’ambiente umano. Certe volte finisco anche per chiedermi come possa essere definito umano quello: da quando sono entrati qui, gli umani con la loro psicologia e i loro soldi, sono accadute un sacco di cose. Ora tutto costa di più, si paga. Pagare! Non avevo mai pensato che si potesse dare un valore a qualcosa di materiale, o di bello. Ciò che materiale lo trovi in natura, da noi. Ciò che è bello, invece, è lì per noi. Mi ha dato da pensare quel musical che ho guardato il 9 maggio, qui vicino casa mia: l’Odissea in anteprima mondiale. Non c’era mai stato quell’anfiteatro e una mattina era lì e si chiamava «Isola virtuale Italia vera», ideato da un mortale, Carlo Biscaretti di Ruffia, e dal suo avatar Basil Coage. Spero solo che quest’abusivismo non porti a un aumento del prezzo delle vite di noi avatar, che non sapevamo nemmeno cosa volesse dire fino a ieri. Ma visto che ormai anche qui di soldi si parla, mi adeguo: ci sono andato anche per finanziare un progetto, quello dell’African Medical Research Foundation, perché quando quest’opera sarà rappresentata in versione integrale tra gli umani dal 19 al 27 luglio, nell’area archeologica di Paestum e in un anfiteatro uguale a quello di Italia Vera, in concomitanza con il Premio Charlot 2008 per la regia di Gaetano Stella, alcuni proven-

io

di Romina Ciuffa

ti giungeranno in terre come la nostra, dove il denaro non ha ancora un valore ma la materia è già prezzata. A volte penso, sono venuti a comandarci e a divertirsi con noi proprio come hanno fatto altrove. Personalmente, ero in una postazione in cui si vedeva ben poco, poiché non ero fra i vip invitati: sono solo un avatar. Voglio dire, un vero avatar. Che non ha sovrastruttura umana, mortale: la mia resterà qui anche quando la Terra sarà sterminata; gli avatar con base mortale, invece, si fermeranno. Io e mia moglie non ci nutriamo della psicologia di un mortale che si annoia nel suo mondo e cerca nel nostro. Nel mio metamondo eravamo tutti più semplici, ed ora ho visto avatar come me cambiati. Lo spettacolo, diretto qui da Eadoin Welles (l’umano Dario de Judicibus) che ha curato anche la realizzazione delle scenografie, con il sound design di KlaudeC Korobase, l’avatar di Claudio Crocetti, è andato in onda dal vivo: gli umani trasmettevano in diretta i canti degli attori dalla loro realtà. Il teatro intero si spostava come un gigantesco ascensore insieme al pubblico in quattro diversi setting (per gli umani, scene), in alto ed in basso, con il carico degli spettatori, raggiungendo le varie scene impilate una sull’altra. Dovevamo vestirci di bianco per mantenere un senso di classicità. Sono un patito dell’antichità, della Grecia, della cultura. Amo Omero. Conosco interi libri dell’Odissea a memoria e li amo profondamente dal primo al ventiquattresimo. Due fratelli salernitani, MusicalMarco Greggan e Ulyx Gregan (gli umani Marco e Massimo Grieco) li hanno portati qui con una rivisitazione per tre atti di soli 45 minuti. Sempre la storia di un viaggiatore, che a quel tempo non avrebbe mai potuto viaggiare così in fretta dal reale al virtuale ma che, nonostante questo, ha saputo immaginare il viaggio più bello che io non ho mai compiuto, un viaggio nel sud dell’Italia e in Grecia, lontano dai suoi amori, una tela lunga quella di Penelope (l’umana Brunella Platania) che attendeva il suo Ulisse, un re. Un viaggio nel tempo e nella memoria in cui incontrare Telemaco, Polifemo, la maga Circe, e la nascita dell’uomo moderno con tutte le sue contraddizioni tra debolezze e razionalità. Quelle che ora abbiamo anche noi avatar. Poh!, disse Giove, incolperà l’uom dunque sempre gli dei? Quando a se stesso i mali fabbrica, de’ suoi mali a noi dà carco, e la stoltezza sua chiama destino.

L’AMORE È UN UCCELLO RIBELLE Il 3 marzo 1875 all’Opéra-Comique di Parigi andò in scena la storia della sigaraia Carmen di Georges Bizet. Tratta da una novella di Prosper Mérimée e ambientata nella Spagna degli zingari e dei toreri – sangue, passione, corride e un epilogo violento in una Spagna che, prima ancora che un luogo geografico, è luogo della psicologia umana, della passionalità e dell’istinto, dei conflitti primari Amore-Odio, Libertà-Legami, Maschio-Femmina – essa irrompe e rompe la tradizione osando dinanzi a un pubblico impreparato per un soggetto giudicato immorale. Tanto che fu difficile anche trovare un’attrice disposta a vestire i panni della protagonista: nel dicembre 1874 finalmente Célestine Galli Marié accettò il ruolo. Un ulteriore ostacolo fu l’ostilità di De Leuven, co-direttore dell’Opéra assieme a Du Locle. Mentre quest’ultimo cercava di favorirne il lavoro, il suo collaboratore trovava orribile la scelta del soggetto e non approvava che andasse in scena all’Opéra-Comique, nota per la sua rispettabilità borghese. I librettisti Ludovic Halévy e Henri Meilhac tentarono di convincere l’autore a modificare alcune scene e ad effettuare i tagli e cercarono di limitare il realismo dell’esecuzione dei cantanti, poiché temevano che il pubblico ne sarebbe stato scioccato. Lungimiranti. Tanto tuonò che piovve: un insuccesso che fu fatale al suo autore, che ne morì esattamente tre mesi dopo la prima. Non avrebbe potuto immaginare che nell’autunno del 1875, a Vienna, la Carmen sarebbe divenuta un successo mondiale per la ricchezza dell’invenzione musicale, il melodismo morbido e sensuale, la duttilità dell’armonia, la leggerezza delle danze e degli elementi folklorici, e che avrebbe avuto fra i suoi più entusiastici ammiratori Friedrich Nietzsche, Pyotr Ilyich Tchaikovsky, Giacomo Puccini e più tardi il giovane Sigmund Freud. 2008. L’Arena di Verona ripropone della Carmen il fortunatissimo e spettacolare allestimento zeffirelliano che dal 1995 ottiene clamore e consensi. Diretta da Alain Lombard, costumi di Anna Anni e coreografie di El Camborio, la chiave nella toppa di Franco Zeffirelli esalta le parti più intimistiche dell’opera originale soddisfacendo così anche i melomani più esigenti. Non è una sorpresa che il dramma psicologico di Don José e la passione di Carmen potessero piacere a uno come Zeffirelli, che adora il melodramma: a cominciare dalla Traviata di Verdi, messa in scena varie volte anche con la stessa Maria Callas all’Opera di Dallas nella stagione 1957-58. Proprio lei è la protagonista del suo film Callas Forever, dedicato agli ultimi anni di vita dell’artista. E nell’Arena più famosa, il regista ha debuttato nel 1995 proprio con un allestimento della Carmen, riscuotendo un grande successo; nel 2001 la sua nuova rappresentazione, Il Trovatore, fa il tutto esaurito. Un nuovo, speciale allestimento dell’Aida inaugura poi il Festival lirico del 2002 e la Madama Butterfly, che apre il Festival nel 2004, costituisce il suo debutto in opera pucciniana.

Franco Verona

di Romina Ciuffa e Rita Coleine

Oggi, la Carmen farà giudicare gli operomani più attenti, i moralisti del nostro millenio, i toreri e i tori, carnefici e vittime di tutti i tempi immaturi, mostrando quella che per Nietzsche sarebbe stata espressione di un gioioso immoralismo che esalta amore e libertà, il vero attaccamento alla terra, la fatale accettazione della morte come proprio destino. Complice un libretto cui collaborò lo stesso Georges Bizet, che scrisse la famosa aria dell’Habanera con la quale Carmen – seducente e demoniaca – avvisa: «L’AMORE È UN UCCELLO RIBELLE CHE NON SI LASCIA ADDOMESTICARE ED È INUTILE CHIAMARLO SE GLI VA DI RICUSARE! NON SERVE NULLA, NÉ MINACCE, NÉ PREGHIERE, L’UNO PARLA, L’ALTRO TACE; ED È L’ALTRO CHE IO PREFERISCO, NON HA DETTO NULLA, PERÒ MI PIACE. L’AMORE, L’AMORE... L’AMORE È FIGLIO DI ZINGARI, NON HA MAI CONOSCIUTO LEGGI; SE TU NON M’AMI, IO TI AMO, SE IO TI AMO, STA’ ATTENTO! L’UCCELLO CHE TU CREDEVI DI AVER CATTURATO CON UN BATTITO D’ALI HA PRESO IL VOLO; L’AMORE È LONTANO, TU PUOI ATTENDERLO, SE NON L’ASPETTI PIÙ, ECCOLO ARRIVARE. INTORNO A TE, RAPIDO, RAPIDO, VIENE, SE NE VA, RITORNA, TU CREDI D’AFFERRARLO, EGLI TI SFUGGE, TU CREDI DI EVITARLO, EGLI TI AFFERRA! L’AMORE... L’AMORE... L’AMORE È FIGLIO DI ZINGARI».

FOTO DALL’ARCHIVIO DELLA FONDAZIONE ARENA DI VERONA. TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Rovesciare il rapporto di comando, gli schemi, l’intera platea con la seduzione. Sottomettersi a un servo. Peccare.

PARLAMI DI DE SICA

alla novella di Robin Maugham The Servant al Festival di Macerata, la crudele vicenda di un ambiguo rapporto, quello di dominazione psicologica di un capriccioso domestico e il suo padrone, un giovane avvocato londinese, tra i quali, per sottili vie omosessuali, si rovescia il rapporto di comando. Commissionata al compositore Marco Tutino per il Festival dallo stesso direttore artistico Pier Luigi Pizzi e forte del supporto registico, delle scene e dei costumi del maestro Gabriele Lavia del quale sono assecondati l’estro e la libertà creativa, debutta, in lingua originale – il 27 luglio, e una replica il 30 – in un’edizione del Festival che ha un titolo eloquente: «La Seduzione». Niente di meglio per un’opera che parla di omosessualità. Ma non solo. The Servant, scritta nel 1948 e acclamata con successo nel 1963 con il film di Joseph Losey in cui Dirk Bogarde interpretava il Servo, affronta temi duri, che seducono Tutino: il tema omosessuale in un’epoca in cui era particolarmente scabroso, e la sottomissione psicologica. «Ciò che mi ha piú colpito nel testo è il ribaltamento del rapporto di potere padrone-servo, che si compie lentamente per tappe successive come una specie di corda psicologica che egli tende con grandissima raffinatezza lungo tutta la narrazione». L’atmosfera prende il sopravvento esprimendosi mediante le note musicali che incorniciano il progressivo mutamento del rapporto. L’organico ristretto a sette strumenti–quintetto d’archi, marimba e pianoforte–rende tutto più intimo lasciando meno spazio ai virtuosistici componimenti di maniera. Gioca un ruolo fondamentale la scelta consapevole di lasciare l’opera in lingua originale–l’inglese–mantenendone così integra la purezza interiore, senza il rischio di violentarne la natura. Per Tutino, la musica sottolinea o interpreta la storia? Se la vera protagonista è l’atmosfera e quanto di non detto che si presta ad essere interpretato dalla musica, «la drammaturgia musicale è fondamentale per esprimere il progressivo mutamento del rapporto, così come a costruire il tempo di un preciso colore interiore». Uno stacco, questo, dalle sue opere precedenti – come Cirano, Federico II, La Lupa – verso un teatro da camera basato sull’attorialità e la ricerca di un teatro puro a proseguire la strada già intrapresa ne Le Bel Indifferent, dove l’energia attoriale e i momenti lirici si fondono con magistrale armonia. Il Servo poi, è consegnato a una location del tutto avulsa dagli spazi convenzionali e tradizionali del teatro, la chiesa sconsacrata dell’Auditorium S. Paolo, ex complesso dei barnabiti, con tutti i suoi peccati.

Parlami di me sarebbe uno spettacolo autocontemplativo, se non fosse che non è stato Christian De Sica a scrivere di sé ma per lui lo hanno fatto Maurizio Costanzo ed Enrico Vaime. In un modo musicale, per questo viene definito «musical» quello che è a tutti gli effetti un programma per la televisione e che per oggi è trasmesso senza telecamere sul palco del Sistina: la sensazione è quella di sentirsi un po’ «clap», lí per applaudire. Lo ammette lui stesso: è un rischio solcare le orme teatrali del padre Vittorio – che, ricorda, gli regalò un teatrino di marionette –, figuriamoci in un musical. Cento minuti e dentro All That Jazz di Bob Fosse, Mambo Italiano di Renato Carosone, pezzi di teatro (andiamo a toccare Shakespeare, Goldoni, Cechov) ma anche Parlami d’amore Mariù, che piaceva tanto a Vittorio, Roma nun fa’ la stupida stasera di Armando Trovajoli, Soldi Soldi Soldi e Non ti fidar... di Kramer. Ma a lui soprattutto noi romani siamo affezionati, per questo lo vogliamo salvare. Diremmo, allora, che il cast scelto per Parlami di Me – ballerini e attori – ha rovinato tutto: è colpa loro perché non sanno recitare né ballare. Dentro sappiamo che per uno spettacolo che parla di sé De Sica junior ancora non è pronto e che, se iniziamo a trasferire il concetto televisivo a teatro, allora non ci rimane più nulla.

SERVIRE IL PECCATO D

di Rita Coleine

Romina Ciuffa

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ROSSELLA FIUMI Contact Improvisation Ciò che è la danza: ricerca del movimento.

CINAVICINA Beijing Vision e Silver Rain L’Occidente risucchiato da passetti orientali: si rischiano yin e yang

SAVION GLOVER Tip Tap Di tacco e di punta su Bach, Piazzolla, Vivaldi e jazz

a cura di ROSSELLA GAUDENZI

ROSSELLA FIUMI CONTACT IMPROVISATION Si definisce un’artista indipendente. È coreografa, performer e direttore artistico di una creazione speciale, lo ZIPfest orvietano. Ha il cuore un po’ qua e un po’ là, qualche santo in famiglia e i piedi per terra.

U

n’appartenenza a più luoghi, il cuore un po’ qua e un po’ là, anche indietro nella storia, qualche santo in famiglia e non solo i piedi per terra con la danza: eccola Rossella Fiumi, che vive tra Roma e Orvieto. Il ramo artistico è quello orvietano (l’albero genealogico annovera addirittura la figura di Santa Chiara da Assisi, Chiara Fiumi - appunto - della Genga); la nonna paterna è stata una famosa scrittrice tra gli anni 20 e 30 e abitava presso il Palazzo Caravajal-Simoncelli, che è oggi residenza artistica di Rossella, dal 1978 con il Centro di formazione alla Danza, dieci anni dopo sede della sua compagnia Alef e dal 2004 con una nuova veste, quella di Caravajal15 Residenza Dinamica, una «residenza per la ricerca del movimento». «Ho realmente bisogno di movimento. Penso di aver seguito un percorso a ritroso: la danza fa parte da sempre della mia vita, insegno da quando avevo vent’anni e per altrettanti ho diretto la compagnia Alef. Poi l’impulso creativo si è imposto fortemente; esaurendosi il desiderio di insegnare con regolarità avevo biso-

gno di modificare il mio indirizzo creativo, quindi ho trovato la mia dimensione didattica ideale nel workshop. E l’improvvisazione, che si trascina dietro lo ZIPfest, giunto alla nona edizione. Questo festival vuole essere l’incontro con gli autori dell’improvvisazione quale espressione della corporeità». Parla di contact improvisation perché ha deciso di abolire la parola danza per una preziosa creazione, in cui il ballerino cambia pelle e diviene performer. Si ha qui a che fare con diversi linguaggi: l’interazione con l’ambiente, l’interazione con voce e parola, l’interazione con le arti visive. Per un’esperienza che sarà un susseguirsi di spettacoli, laboratori, workshops, jam, concerti. Anche un’escursione di free climbing. Orvieto sembra una medaglia dalla doppia faccia. Di una bellezza sfacciata eppure così distante, con il suo tradizionalismo, da un’innovatrice della portata di Rossella Fiumi. «Questa è in effetti una città lenta, che risponde ma in maniera distratta, comunque specchio di un Paese non ancora pronto per l’arte contemporanea. Non a caso il pubblico

straniero è un pubblico diverso, recettivo. Ogni anno lo Zipfest rappresenta per me un’incognita e una scommessa, nella quale metto anima e corpo affinché il progetto si rinnovi e sia manipolato al meglio di anno in anno. Ma le difficoltà sono numerose, a partire dai finanziamenti, pochi perché volti a supportare i grandi nomi a discapito delle realtà medie e piccole. In Italia c’è ricchezza di ballerini, coreografi, costumisti, ma mancano figure manageriali e di marketing. Siamo rimasti indietro di parecchi anni rispetto a molti Paesi europei». Con toni morbidi che non abbandona continua, ammettendo di sapere di portare avanti un progetto del tutto particolare, e afferma che investire nello Zipfest è un atto coraggioso. Cita

PECHINESI VISIONI Inizia con piccoli assaggi. Fatti a misura per permettere a te, spettatore occidentale, di calarti lentamente nell’atmosfera. Metabolizzarla, non venirne risucchiato. Perché si rischiano sia yin che yang Iniziare con piccoli assaggi. Fatti su misura per permettere a te, spettatore occidentale, di calarti lentamente nell’atmosfera che ti sta avvolgendo, in modo tale da non venirne risucchiato, bensì da farti metabolizzare l’essenza di ciò che stai ammirando e prepararti al seguito. Sarai pronto per la parte migliore dello spettacolo Beijing Vision, l’ultima creazione della giovane compagnia Beijing Modern Dance Company, nata nel 1995 ma tanto matura da essere considerata la più importante compagnia di danza moderna del Paese, vero «volto della Cina moderna». L’attacco è con toni decisi. In rosso e nero, colori della tradizione, tra ventagli e ritmi incalzanti. Non solo

CINAVICINA

le musiche soavi che il nostro orecchio si aspetta; anche toni di rock puro e voci e sussurri, ad accompagnare i corpi flessuosi, plastici e candidi. Due assoli, dapprima con timbri malinconici e decadenti, poi meditativi e guerreschi, per dare spazio infine, nuovamente, alla compagnia riunita. L’ultimo incantevole, poetico ed evocativo momento di danza, accoglie e rielabora la filosofia del taoismo legandola indissolubilmente ai dettami del Tai Chi, ondeggiando tra classicità ed innovazione. È cosi che i dieci danzatori, sotto l’egida del direttore artistico e coreografo Gao Yanjinzi, in Italia dopo la cerimonia di presentazione del logo delle Olimpiadi 2008, hanno conquistato il pubblico di CinaVicina.

PIOVERE ARGENTO Un universo affascinante e innovativo. Grazie a CinaviCina, primo grande festival monografico mai organizzato in Italia dedicato interamente alla cultura cinese, la produzione artistica e il movimento creativo della Cina sono giunti a noi occidentali come un’energia inusuale e rigenerante, un soffio inebriante di ispirazione ed emozioni tese fra malinconia e serenità, forza e leggerezza con un equilibrio che fa eco tanto con armonia (quella che sta alla base dello yin e lo yang della filosofia cinese) quanto con le meraviglie di un corpo danzante. La City Contemporary Dance Company Hong Kong (CCDC) ha presentato Silver

Rain, spettacolo ricco di poesia e magia che riunisce le opere più memorabili di sette eminenti coreografi di Hong Kong, le stesse opere che hanno definito il modello della danza moderna dell’ ex colonia inglese negli ultimi trent’anni. Fino dalla sua fondazione, nel 1979, la CCDC non ha mai smesso di sorprendere e commuovere il pubblico con coreografie innovative e di avanguardia accompagnate da colonne sonore sempre impeccabili. La compagnia, sotto la direzione artistica del suo stesso fondatore Willy Tsao, raccoglie in patria un pubblico di 53.000 spettatori l’anno. Valentina Giosa

poi le ultime coreografie che l’hanno emozionata, i luoghi che ha amato in giro per il mondo, e commenta il fatto di avere smesso di fumare. Contro ogni logica salutistica ed estetica, pare che i ballerini siano tra i più incalliti fumatori. (www.contactfestival.it) Rossella Gaudenzi

TIP TAPPANDO BACH La contaminazione di Savion Glover: Vivaldi, Bach, Piazzolla e tip tap. Tip tap. Geniale l’idea dell’onomatopea, che richiama il ritmo percussivo di tacco e punta, poiché basta il solo suono a riassumere il mondo in rosa di una danza vitale, ricca di energia e positività, che non ha certo l’intento di rimandi a tinte forti e drammatiche. L’associazione con Fred Astaire, Ginger Rogers o con il celeberrimo Singing in the Rain è pressoché immediata, ci si ricorda con un sorriso che hanno deliziato il pubblico di mezzo mondo, di diverse età e strati sociali. Probabilmente per via delle origini «popular», mai dimenticate: c’era una volta la clog dance irlandese (contadina danza degli zoccoli). Dall’Irlanda si approda negli Stati Uniti a metà XIX secolo, dove questa creazione artistica viene accolta con entusiasmo negli ambienti dei neri, la «fetta d’America» che il ritmo percussivo ce l’ha nel sangue. Lo si perfeziona, ed è tap dance. Savion Glover, leggendario ballerino di tip tap, coreografo non ancora trentacinquenne dalla tecnica impeccabile e dall’estro spiccato, sale sul palco del Festival dei Due Mondi di Spoleto sabato 12 e domenica 13 luglio. Con la sua strabiliante presenza scenica ed il volto sorridente che è di per sé un invito alla vita, presenta un progetto originale, Classical Savion, un amalgama di coreografie sulle note di Bach, Bartók, Mendelssohn e Piazzolla, senza dimenticare un tip tap a cui è abituato il suo fedele pubblico. Alle sue spalle, i musicisti classici diretti da Robert Sadin accanto agli Otherz, immancabili jazzisti. www.festivaldispoleto.com 12 LUGLIO >> ore 19:00 13 LUGLIO >> ore 15:00

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FESTIVAL

Music In  Luglio - Agosto - Settembre 2008

a cura di ROMINA CIUFFA

>> 51° FESTIVAL DEI DUE MONDI SPOLETO / 27 GIUGNO - 13 LUGLIO Con la nuova direzione artistica di Giorgio Ferrara, il Festival dei Due Mondi di Spoleto si conferma come uno degli appuntamenti culturali più importanti a livello mondiale. Mentre le agenzie di spettacolo hanno ormai omologato la maggior parte dei cartelloni internazionali, il Festival di Spoleto continua a stupire per l’originalità delle sue proposte, coniugando novità e rispetto della tradizione classica. Il suo punto di forza è la capacità di presentare spettacoli all’avanguardia, esclusivi (non è un caso che in questa edizione vi siano ben 8 prime assolute e 14 prime a livello nazionale, tra appuntamenti di musica, prosa, arte). E riprende anche il dialogo tra «i due mondi» America e Europa, come nelle intenzioni di Gian Carlo Menotti: con oltre 500 artisti provenienti da 13 Paesi, impegnati in spettacoli inusuali e di altissimo livello. Uno sguardo affascinante sul futuro della musica e dell’arte. (N.C.) 01-07 Michael Galasso 02-07 I Vangeli. In principio era la parola 03-07 Tribunal Mist Jazz Band 04-07 Men Only, A Mosaic Of Dances 05-07 Berliner Ensamble L’opera da tre soldi di Bertolt Brecht musiche di Kurt Weill 05-07 Concerti di Musica da Camera 06-07 Sandy Müller 07-07 Concerto per Gian Carlo Menotti 08-07, 09-07, 10-07 Giora Feidman, Nothing But Music 08-07, 09-07, 11-07, 12-07 Soweto Gospel Choir - African Spirit 10-07, 11-07, 1207 DJ Spooky, Terra Nova - Sinfonia Antarctica 12-07 Carta bianca a Luciana Littizzetto, London Symphony Orchestra 11-07, 12-07, 13-07 Alica, il Musical 12-07 13-07 Classical Savion 13-07 London Simphony Orchestra su Richard Strauss, Igor Stravinsky, Johannes Brahms Per la programmazione completa: www.festivaldispoleto.com

>> GAY VILLAGE ROMA - PARCO DEL NINFEO / dal 26 GIUGNO fino a SETTEMBRE TUTTI I GIO-VEN-SAB Nuova location per il Gay Village sulle verdissime colline del Parco del Ninfeo all’Eur: lontano dai palazzi e dal sonno del quartiere, la manifestazione estiva più coinvolgente della Capitale diffonderà nell’aria le sue vibrazioni, frutto di un’accurata ricetta che anche quest’anno prevede una linea essenziale ed elegante nel design, colori caldi e luminosi nelle tante tonalità dell’ocra ma soprattutto un’incredibile varietà di proposte culturali, tutte rigorosamente gratuite per chi entrerà dalle 20 alle 21.30. Dopo l’happy hour l’ingresso al villaggio costerà 7 euro con consumazione il giovedì e 13 euro, sempre con consumazione, il venerdì e il sabato. Ormai giunto alla sua settima edizione, il Gay Village si conferma come l’unico evento dell’Estate Romana pronto a rinnovare di anno in anno il suo look, calamitando attorno a sé oltre 300.000 visitatori italiani, stranieri, giovani e meno giovani, omosessuali e non. Ci saranno, tra gli altri: Boosta e Samuel from Subsonica, le londinesi Mab famose in Italia per aver inciso con Franco Battiato diversi brani dell’album «Il vuoto», accompagnandolo dal vivo anche nel suo tour europeo; moltissimi concerti, DJ sets, quindi un Drag King Festival (10, 11 e 12 luglio), che vedrà esibirsi donne travestite da uomini nelle più svariate declinazioni del maschile: rockettari, rappers, gigolò, saltimbanchi e dandies di ogni nazionalità, e una stagione teatrale completa. Non mancherà Vladimir Luxuria (21 Agosto) con «Stasera ve le canto» per la regia di Roberto Piana; poi una nuova programmazione cinematografica a cura di Armilla Eventi che ha ormai viziato anche i cinefili più critici con il suo repertorio di film introvabili nel circuito delle sale. Anche una importante collaborazione con il canale satellitare Cult. (R.C.) 03/07 Fullin e Katia Beni 04-05/07 Festival Internazionale del Cinema Gaylesbico Queer Culture Milano 10-11-12/07 International Drag King Festival: Dodi Conti, Lucrezia Lante Della Rovere, Sabrina Impacciatore 17/07 Rossella Canevari, Dodi Conti in «Bevabbè» 1819/07 Docu-Fiction ‘Reparto Trans’ di Matilde D’errico 24-25-26/07 Festival Internazionale Glbt Torino «Da Sodoma A Hollywood» ‘Were The World Mine’ di Tom Gustafson, ‘Was Am Ende Zählt’, di Julia Von Heinz, ‘The Birthday’, di Daisy Mohr 31/07 Cinzia Leone in Recital 0102/08 Gender Bender, Festival Internazionale Bologna ‘Puccini For Beginners’, ‘Avant Que J’oublie’ 07/08 Gennaro Parlato in «Cosmo» 08/08 Cover Boy di Carmine Amoroso 09/08 Racconti da Stoccolma, di Anders Nilsson 14-15-16/08 Bears in The Village - Festival Internazionale Bears, Dance Floor Hot, Bearfactory, Amanda Lepore, Beardrop 21/08 Vladimir Luxuria in « Stasera Ve Le Canto» 22-23/08 Dj Yuri + John Nixon From «Under»-Paris 28/08 « Che Motivo C’e’ « Di Marcello Teodonio e Paola Minaccioni 29/08 Dj Andrea Tie D’innocenzo + Dj Tamashi From Muccassassina 30/08 ‘Together’ di Lukas Moodysson 04/09 «Quartetto Per Viola «, Claudio Carafòli 05/09 ‘Il Favoloso Mondo Di Willy’ di Stewart Main 06/09 Guys & Balls di Sherry Horman 11/09 Le Sorelle Marinetti in «Non Ce Ne Importa Niente» 12-13/09 «Santiago ‘Anche Le Lesbiche Sono Pellegrine’, Federica Tuzi e Cristina Vuolo 18/09 Tributo a Giuni Russo con Lene Lovich e Concerto Mab, Video di Franco Battiato - Dj Massimiliano Abramo 19/09 Dance floor - House: dj Andrea Tie D’Innocenzo + dj Phil Romano 20/09 Festa di Chiusura Per la programmazione completa: www.gayvillage.it

>> L’OPERA ALLE TERME DI CARACALLA ROMA - STAGIONE ESTIVA DEL TEATRO DELL’OPERA Al via la 71a edizione della stagione estiva dell’Opera alle Terme di Caracalla. Era, infatti, il 1937 quando per la prima volta il Teatro dell’Opera portò la sua stagione estiva alle Terme volute dall’Imperatore Marco Aurelio Severo Antonino (186-211 d.c.) detto ‘Caracalla’, grande palcoscenico monumentale all’interno del complesso archeologico termale di suddetta epoca imperiale. Da allora musicisti e artisti di fama mondiale si sono esibiti sotto le luci di questi palcoscenici unici al mondo, tra suggestivi spazi verdi, resti di architetture che sfiorano i trenta metri di altezza e gli echi di una storia millenaria, insieme con l’Orchestra, il Coro e il Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma. Gli spettacoli inizieranno alle ore 21,00. (F.F.) 17-28/06 ‘CARMEN’ Musica di Georges Bizet 10-24/07 ‘AIDA’ Musica di Giuseppe Verdi 1831/07 ‘LUCIA DI LAMMERMOOR’ Musica di Gaetano Donizetti 27/07-03/08 ‘MADAMA BUTTERFLY’ Musica di Giacomo Puccini 9-14/08 ‘GISELLE’ Musica di Adolphe-Charles Adam

>> OH, JAZZ BE GOOD! MOSCIANO SANT’ANGELO (TERAMO) / dal 9 al 13 LUGLIO La XV edizione di Oh, Jazz Be Good! propone un cartellone con nomi importanti del Jazz mondiale. Ma, nel contempo, vuole essere una festa popolare: dal jazz e le sue contaminazioni alla pittura, alla multimedialità, alla cucina territoriale. A Mosciano Sant’Angelo, in provincia di Teramo, Mike Stern e gli Yellowjackets, Peter Erskine e Bob Sheppard, Freddy Cole, Mike Mellillo, Paolo Di Sabatino, Domingo Muzietti, Giampaolo Ascolese, Guillermo Terraza, Alessandro Lanzoni e Julian Mazzariello. Quest’anno più che nel passato poi, una partecipazione di giovani talenti italiani: ad affiancare i mostri sacri del jazz mondiale ci sarà anche un promettente santegidiese, Daniele Ferretti (nella foto), che da alcuni anni si è trasferito a New York per dare una svolta di qualità alla sua carriera. Rientro in grande stile per Ferretti che farà parte dell’Illegal Aliens Quintet accompagnando un mostro sacro della musica come Peter Erskine. (R.C.) Per la programmazione: www.ohjazzbegood.org

>> UMBRIA JAZZ PERUGIA / 11-20 LUGLIO Quest’anno Umbria Jazz compie trentacinque anni. Dal 1973 il Festival ha sicuramente cambiato volto nella formula, ma non ha mai tradito lo spirito e l’identità che fin dall’inizio ne hanno fatto, insieme alla qualità delle proposte artistiche, la fortuna. È una identità, questa, che Umbria Jazz ha conservato gelosamente, e che ancora oggi, assieme al sempre altissimo livello del cartellone, è alla base del suo successo. Un ideale filo rosso dunque che lega questa edizione alla prima, trentacinque anni fa; da allora molto è cambiato, possiamo dire quasi tutto, ma non l’atmosfera che si respira in città e l’amore per la musica e la voglia di farla conoscere ed apprezzare ad un pubblico sempre più numeroso. Ancora una volta dunque si coniuga il jazz, e non solo, con gli ambienti storici e naturali di Perugia in una sintesi irripetibile. Per dieci giorni il centro medievale diventa una città della musica, con spettacoli e concerti che si succedono e talvolta si sovrappongono ad ogni ora della giornata, da mezzogiorno a tarda notte, ricalcando i caratteri che l’hanno resa unica nel suo genere, creando un palcoscenico totale che non è solo uno sfondo, per quanto suggestivo, ma un elemento partecipe e protagonista. Umbria Jazz 08 presenta un cartellone eterogeneo e dalle molte anime con oltre duecentocinquanta eventi distribuiti su nove stage. (R.G.) 11-07 Pat Martino Quartet 12-07 Caetano Veloso & Stefano Bollani 13-07 Sonny Rollino «Saxophone Colossus» 14-07 Bill Frisell Trio 15-07Renato Sellani Trio 16-07 Herbie Hancock 17-07 Gary Burton Quartet with Pat Metheny, Steve Swallow & Antonio Sanchez 18-07 Chaka Khan 19-07 Brad Mehldautrio 20-07 Peter Bernstein Trio Per la programmazione completa: www.umbriajazz.com

>> TUSCIA OPERAFESTIVAL VITERBO / 5 LUGLIO - 6 SETTEMBRE A Viterbo la seconda edizione del Tuscia Operafestival, che oltre al capoluogo vede protagoniste anche Montefiascone, Bolsena, Civita di Bagnoregio e Orvieto. La rassegna di opere liriche, concerti sinfonici, danza, teatro, per qualità, innovazione, linguaggi si pone in linea con i grandi festival musicali italiani. La manifestazione accosta artisti di fama internazionale a giovani talenti, molti dei quali selezionati attraverso il concorso lirico «Fedora Barbieri – Città di Viterbo». Il Tuscia Operafestival è reduce dal successo ottenuto in New Mexico negli Stati Uniti per la settimana della Cultura Italiana all’estero, dove ha eseguito il «Requiem» di Verdi avvalendosi di 300 artisti tra coro, orchestrali e solisti. L’orchestra diretta dal Maestro Stefano Vignati, nel prossimo mese di ottobre rappresenterà l’Italia in Siria in occasione delle celebrazioni per Damasco Capitale della Cultura 2008. (R.C.) Per la programmazione completa: www.tusciaoperafestival.com

>> CARPISA NEAPOLIS NAPOLI - ARENA FLEGREA / 17, 23 E 24 LUGLIO Attivo dal 1997, il Carpisa Neapolis Festival è una delle manifestazioni musicali estive più importanti del sud Italia. Un palco che ha visto esibirsi David Bowie, Primus, Rancid, Jamiroquai, Planet Funk,Youssou N’Dour, Massive Attack, R.E.M., Patty Smith, Sparklehorse, Peter Gabriel, David Byrne, Air, Ben Harper, The Cure, Kraftwerk, Nick Cave, Tori Amos, Santana, Iggy Pop and The Stooges, Jovanotti, Robert Plant and The Strange Sensation e tanti altri. Quest’anno, oltre ai concerti che inizieranno alle ore 16, sarà proiettato Biutiful countri, il docu-film che denuncia le condizioni del territorio campano disseminato di oltre 1200 discariche abusive. Il Festival sposa l’iniziativa «Edison Change The Music», il primo progetto musicale a basso impatto ambientale. Oggi l’iniziativa prevede l’acquisizione, da parte del pubblico, della consapevolezza che ascoltare musica dal vivo vuol dire consumare energia influendo sull’ambiente. In futuro il Neapolis Festival si impegnerà a far sentire la musica risparmiando energia. Nell’area del festival, come ogni anno, di grande interesse la Fiera espositiva: ci saranno gli stand delle «label indipendenti»; dei magazine e delle web magazine; le mostre di fumetto e fotografiche; e ancora, gli stand delle associazioni di volontariato molto attive nel sociale, oltre a quelli tradizionali, gastronomici con pizza napoletana e non solo. (V.G.) 17-07 Massive Attack + Raiz e Almamegretta (Reunion show) + Paranza Vibes 23-07 R.E.M.+ The Editors + These New Puritans 24-07 Elio e le Storie Tese + Baustelle + Bluvertigo Per la programmazione completa: www.neapolis.it

>> COSMOPHONIES OSTIA ANTICA / 20 GIUGNO-29 LUGLIO Ogni anno il Teatro Romano di Ostia Antica ospita Cosmophonies, Festival internazionale di Musica, Teatro e Danza nato nel 1998, che si svolge nella prima parte: dal 15 Giugno al 31 luglio, per poi riprendere i primi 15 giorni di settembre. Cosmo, l’Universo e Phonies, il Suono si uniscono in una Cosmophonies, una Genesi alla vita attraverso il linguaggio universale del suono. La programmazione non segue un filo conduttore artistico ben specifico, se non quello della qualità delle proposte artistiche presentate. Per questo gli spettacoli passano dalla Musica d’autore al Rock, dalla Lirica al Teatro, dal Cabaret alla Danza, all’interno di un oasi naturale ed archeologica di inestimabile valore storico e culturale. (R.M.) 20/06 Maurizio Battista in FACCIO TUTTO DA SOLO 04/07 Raffaele Paganini in AMOR DE TANGO 05/07 Ascani Celestini in FABBRICA 12/07 Siouxsie 16/07 Giovanni Allevi 17/07 B for Bang presenta ACROSS THE UNIVERSE OF LANGUAGES 18/07 Marco Mazzocca 19/07 LE DONNE IN PARLAMENTO di Aristofane regia di Vincenzo Zingaro 22/07 Mick Hucknall Simply Red 23/07 Goran Bregovic 25/07 LA GRANDE NOTTE DEL SOUL con Dr Joe Castellano Blues Band special guest Roy Roberts, Chris Cain, Sax Gordon, Waldo Weathers e Simone De Moore 26/07 Il muro del silenzio in tour 29/07 The Mars volta. Per la programmazione di settembre: www.cosmophonies.com.

>> FABER BEACH OSTIA / TUTTA L’ESTATE Quando in città il caldo comincia a farsi insopportabile la movida romana si sposta sulla spiaggia. Ad Ostia c’è il Faber Beach, spiaggia libera durante il giorno e discoteca free entry di sera. Location del film Velocità Massima, il Faber Beach è ormai un’istituzione. Via i tacchi a spillo e le scarpe lucide da selezione all’entrata, perché si balla sulla sabbia. Ogni sera si suda su basi house, revival, rock, reggae, mentre il venerdì si canta a squarciagola sui live delle cover band. (C.N.) 20-06 Britnoise «TRIBUTO AL ROCK INGLESE» 27-06 At – Pop Rock 04-07 Mr Magoo 1107 Ostetrika Gamberini «TRIBUTO AL ROCK PUNK SKA» 18-07 Dreamcompany «TRIBUTO BON JOVI» 25-07 Muppet Suicide «TRIBUTO AI GUNS’N’ROSES» 1-08 ZZ Pop «TRIBUTO ANNI 80» 08-08 Reducicipeppe 15-08 Big Ones «TRIBUTO AGLI AEROSMITH» 22-08 Tra Liga e Realtà «TRIBUTO A LIGABUE» 28-08 Diapason Band «TRIBUTO A VASCO ROSSI» Per la programmazione completa: www.faberbeach.com

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>> FIESTA!

FESTIVAL >> PLAY - AREZZO ART FESTIVAL

ROMA - IPODROMO CAPANNELLE / dal 19 GIUGNO fino a SETTEMBRE Torna a Roma, alla sua quattordicesima edizione, il Festival di Musica e Cultura Latino Americana Fiesta!, una delle manifestazioni più ‘calienti’ d’Italia, con i grandi nomi della salsa e della samba, della bachata e dei ritmi tradizionali del Sud America. Un parterre di celebrities internazionali di altissima qualità, a partire dall’esibizione del cantante attore Marc Anthony, marito della pop-star Jennifer Lopez. La programmazione musicale di Fiesta! 2008 prevede un cartellone ricco di artisti e alcune serate-evento in esclusiva mondiale. Tra le novità di quest’anno il gruppo Aventura e i brasiliani Chiclete com Banana. La manifestazione, che come di consueto si terrà all’Ippodromo delle Capannelle, è curata dal direttore artistico Mansur Naziri. Per informazioni su orari e prezzo dei biglietti: tel. 06.7182139, oppure visitare il sito www.fiesta.it. (F.F.) 26/06 David Calzado y su Charanga Habanera 01/07 Los Van Van 02/07 Marc Anthony 05/07 Gente d’zona + PMM 07/07 Pupy y los que son son 09/07 Issac Delegado 12/07 Grupo Aventura 14/07 Djavan 17/07 Chiclete com banana 20/07 Maikel Blanco y su salsa mayor 21/07 Ruben Blades & Son de tikizia- Oscar d’Leon 25/07 Elio Reve’ y su chargon 29/07 Olodum 31/07 Manolito Simonet y su trabuco 01/08 Cuban special project 04/08 Jose Luis Cortes y su N.G. la Banda 05/08 Monchy y Alessandra 10/08 Terra samba

>> CONVIVIO IN MUSICA PROCENO / 16 e 27 LUGLIO A Proceno, in provincia di Viterbo, sulla storica Via Francigena c’è un castello. È della famiglia Cecchini da centinaia di anni, e i coniugi Carlo e Cecilia sono lì ad attendere solo gli animi colti e sensibili in grado di catturare, nel loro cortile e sotto un ponte levatoio, il significato dell’antichità. Specialmente due domeniche di luglio, quelle del 6 e del 27, quando l’Insieme Strumentale di Roma interpreterà la magia. (R.C.) 06-07 H. Purcell, Due Pavane per due violini e continuo - G.F.Haendel, Sonata in sol maggiore op IV n. 5 per due violini, viola e continuo - H. Albicastro, Sonata in re maggiore op. 4 n. 1 - J. P. Rameau, Cinquième Concert da «Pieces de Clavecin en Concert» - A. Corelli, Concerto Grosso in re maggiore op. VI n. 4. 27-07 Johann Sebastian Bach, Concerto in re maggiore per organo, archi e continuo da BWV 1053, 49 e 169 - Concerto in re minore per violino, archi e continuo da BWV 35 e 21 - Concerto in sol minore per violino, archi e continuo da BWV 1056 - Concerto in re maggiore per viola concertante, archi e continuo da BWV 971 - Concerto in do minore per oboe, violino, archi e continuo da BWV 1060 Per ulteriori informazioni, www.castellodiproceno.it

>> FIRENZE OPERA FESTIVAL FIRENZE / 11 GIUGNO-AGOSTO Tra ville rinascimentali e scenari naturali incantevoli si viene a svolgere la quarta edizione dell’Opera Festival- Festival Lirico della Toscana, organizzato dall’Associazione Culturale Multipromo. Anche quest’anno la manifestazione vede come location degli spettacoli il bellissimo Parco delle Colonne del Giardino di Boboli a Firenze, il Comune di Montevarchi, nello splendido territorio del Valdarno superiore sul fiume Arno, la splendida villa Medicea di Cafaggiolo nel Barberino del Mugello e l’evocativa Abbazia di Galgano risalente al XIII secolo d.C. (F.F.) 25/06 - 10, 18, 30/07 IL BARBIERE DI SIVIGLIA (Giardino di Boboli, Villa Medicea) 28/0604/07 IL FLAUTO MAGICO (Abbazia di San Galgano) 03, 17, 20, 29/07 LA BOHEME (Giardino di Boboli, Montevarchi) 8, 15, 19, 23/07 LA TRAVIATA (Abbazia di San Galgano, Giardino di Boboli) 11,12/07 LE STAGIONI (Villa Medicea, Abbazia di San Galgano) 16, 23/07 Laudario di Cortona (Montevarchi, Abbazia di San Gallicano) 24, 27/07 CARMINA BURANA-BOLERO (Giardino di Boboli, Montevarchi) 28/07 Musiche da film - Orchestra da Camera fiorentina (Giardino di Boboli) 5/08 Orchestra della Toscana: PUCCINI E VERDI A PARIGI (Giardino di Boboli) Per la programmazione completa: www.festivalopera.it.

>> SOTTO IL CIELO STELLATO DI VILLA TORLONIA ROMA / dal 4 LUGLIO al 10 AGOSTO Già possedimento delle famiglie Pamphilij e Colonna, Villa Torlonia, col Casino Nobile e la Casina delle Civette, è una delle costruzioni più suggestive del XVII° secolo, vera perla del Barocco romano. Ora, tra itinerari notturni, giochi di luci ed appuntamenti d’arte nei giardini, da Luglio ad Agosto si potrà godere ogni giorno alle 20,30 (Via Nomentana, 70) della grande musica classica, con le arie di Beethoven, Chopin, Mozart, Bach e gli altri grandi classici del repertorio concertistico e sinfonico. (F.F.) Per la programmazione completa: www.tempietto.it

>> TRAFFIC - TORINO FREE FESTIVAL TORINO / dal 7 al 12 LUGLIO Traffic Torino Free Festival - nel 2008 alla quinta edizione - si è affermato come uno dei più importanti eventi gratuiti di musica contemporanea d’Europa, amato dal pubblico e apprezzato dalla stampa italiana e internazionale. Traffic è anzitutto grandi concerti, ma anche DJ set notturni, reading con autori nazionali e internazionali, mostre d’arte, retrospettive e sonorizzazioni cinematografiche. Grazie al contributo della Città di Torino e della Regione Piemonte, e insieme ai suoi partner culturali (Museo Nazionale del Cinema, Fiera Internazionale del Libro, Fondazione Teatro Regio, Wi-Pie e Film Commission Torino Piemonte), e agli sponsor (Fiat, Gruppo Poste Italiane, Gruppo Bodino, Tuborg) Traffic offre ogni estate gratuitamente una non-stop di grande musica, cultura e divertimento. Il successo del festival deve molto alle scelte della direzione artistica - Max Casacci, Alberto Campo, Fabrizio Gargarone e Cosimo Ammendolia - e all’impegno che la Città di Torino e la Regione Piemonte hanno prodotto per dare alla musica uno spazio cittadino di primo piano: spettacoli nelle migliori location del comprensorio metropolitano, dal Parco Carrara della Pellerina, che ospita il main stage, ai Giardini Reali, dalla Mole Antonelliana ai Murazzi del Po, alle aree post-industriali e post-olimpiche. (V.G.) 07-07Justice, LNRipley 08-07 Baustelle, Robertina 09-07 Massimo Volume vs La Chute de la Maison Usher, Fabio Novembre, Marco Passarani 10-07 Tricky, Soulwax/2 Many DJ’S, Battles, Fujiya & Miyagi, The Soulful Orchestra 11-07 Sex Pistol, Wiew, Punkreas, Plastination, Gli Aeroplani Cadono, Victor, Coky 12-07 Patti Smith, Afterhours, Massimo Volume, Christian Coccia, Hercules and Love Affair, Alter Ego, Matthew Dear/Audion, Ryan Crosson, Dj Ringo Per la programmazione completa: www.trafficfestival.com Tel. 800015475

AREZZO / 21-27 LUGLIO Arezzo – che non ha il mare – per le sue estati aveva lasciato crescere l’onda del rock. E migliaia di ragazzi approdavano sulle sue spiagge, che erano palchi sistemati in giro per la città e l’enorme baia dello stadio. Decine di rock band, stanche della riva, vi si immergevano a capofitto ed esibivano tutta la loro energia. REC. Poi è arrivato il business, col business le star, con le star altro business; così l’Arezzo Wave è andato a infrangersi su lidi che garantissero maggiore recettività e fossero più facilmente raggiungibili. PAUSE. Bancarelle, parcheggi, amplificatori, l’occupazione dei posti migliori, le salsicce, gli incontri, il sudore, le magliette, i cori, i salti abbracciati, la felpina, le birre, la musica, gli amici dell’altra città, la stazione, il soundcheck, il fumo, la stanchezza, le risate, il campeggio, i cd estemporanei, le foto e gli autografi. STOP. Ma l’estate fa il suo lavoro di stagione, ritorna ogni anno, anche ad Arezzo, e quell’onda di sentimenti inesplosi ritorna a cercare il suo spazio tra musica, cinema, danza, scrittura. Nasce così un’altra idea. Defraudati di un progetto di successo, gli aretini ne inventano un altro che ha due facce: da una parte il «Campus», laboratori e stage attivi tutto l’anno, per incanalare la passione giovanile verso le varie forme d’arte - il rock in primis - d’altra parte il Festival, dove esibirla accanto a nomi importanti (quest’anno, tra gli altri, Ben Harper, Peter Brook, Emma Dante, Motus danza, Subsonica, Goran Bregovic, Vauro e su tutti il mito vivente di Joan Baez); sei giorni di spettacoli, che non si esauriscono nell’evento, ma gettano semi di creatività e coinvolgono tutti: artisti e spettatori. Così suona l’invito: gioca, dai il via, muoviti, mettiti in gioco, sperimenta, prova, attivati, rilancia, fai la tua parte, collabora, scrivi, dirigi, disegna, gira, suona, agisci, recita, ubriacati, stancati, consumati, distruggi e ricrea. PLAY. (N.C.) 21-07 Joan Baez 23-07 Rock Guru Covered 25-07 Ben Harper and The Innocent Criminals 26-07 Subsonica 27-07 Kultur Shock, Goran Bregovich, Carmen Consoli, Max Gazzè Per la programmazione completa: www.playarezzo.it

>> POP CIRCUS MILANO- LE JARDIN AU BORD DU LAC, IL 5 E IL 7 LUGLIO L’evento indie dell’ estate 2008. Live e This is Plastic, in collaborazione con London Loves, Mtv Brand New, My Space Italia, Lifegate Radio, Vice Magazine, Indierock.it e Hot Magazine presentano sabato 5 luglio 2008 Pop Circus-a mid summer day of indie music extravaganza all’Idroscalo di Milano. Tutto il meglio della scena pop, rock, electro internazionale in una giornata di mezza estate, live acts, dancefloors e moltissime altre sorprese, sulla scia dei migliori eventi inglesi ed europei, finalmente anche in Italia. (V.G.) 05-07 The Rakes, The Long Blondes, The Maccabees, Good Shoes, Tdd, NYPC djs, LL djs 07-07 MGMT + special guest Per il programma completo: www.myspace.come/popcircus

>> XI FESTIVAL DELL’ESTATE REGINA MONTECATINI TERME / 25 APRILE-5 OTTOBRE Prosegue con successo l’undicesima edizione dell’Estate Regina, il Festival musicale di Montecatini Terme, nato nel 1998 e affermatosi come uno degli eventi culturali più interessanti della stagione estiva. Dopo aver presentato artisti prestigiosi come Antonella Ruggiero, Ivor Bolton, Valeria Stenkina, quest’anno il festival propone una serie di appuntamenti di livello internazionale. Tra questi segnaliamo la messa in scena della Storia del soldato di Igor Strawinski, il concerto di Uto Ughi e l’omaggio a Giacomo Puccini (uno dei tanti musicisti frequentatori di queste terme) con la presentazione di Tosca e Madame Butterfly in forma di concerto. Fino al 5 Ottobre a Montecatini Terme. (N.C.) 10-07 Solisti del Maggio, musiche di Schubert e Mendelssohn Bartholdy 15-08 Montecatini city band 22-08 Butterfly 28-08 Tosca 8-09 Viaggio tra Italia e Sudamerica, da Corelli a Astor Piazzolla 11-09 Piano e videoclip, Daniele Lombardi e Ferdinand Léger 13-09 Uto Ughi 21-09 Violino Jazz trio 28-09 Chiara Bertoglio, recital pianistico 5-10 Storia del soldato, musica e teatro con Michelangelo Giaime Gagliano. Per la programmazione completa: www.estateregina.it

>> ROMAESTATE AL FORO ITALICO ROMA / 5 GIUGNO-10 AGOSTO È ormai giunta alla XVI edizione la kermesse al fresco capitolino del Foro Italico, a due passi dal Tevere e dallo stadio Olimpico. Romaestate è un ricettacolo di divertimenti di ogni tipo, in cui ci si può intrattenere ascoltando musica dal vivo, assistendo ad uno spettacolo di cabaret, ballando in discoteche o semplicemente passeggiando tra i numerosi stand commerciali e gastronomici. Con il Texas Hold’em gli appassionati di poker texano si sfidano in veri tornei, con FRAGOLosamente MELArido i bambini possono riviver le emozioni e le caratteristiche proprie di una fattoria, all’Enoteca Palladium gli intenditori si ristorano nel tempio della degustazione dei vini regionali. Per gli sportivi ci sono poi campi da gioco di basket, soccer jam e calcetto. Ma soprattutto all’interno del Villaggio c’è spazio per ascoltare buona musica e ballare a ritmo di house, dance, ed happy music. (C.N.) 30-06 Jethro Tull 01-07 Carl Palmer Band 11-07 Tommy Emmanuel 30-07 Ratti della Sabina 24 luglio Richie Kotzen. E ancora: Tributo a Joe Zawinul Achtung Babies Marco Conidi Brusco Roberto Ciotti Elektric Band Apple Pies Per la programmazione completa: www.romaestate.net

>> FESTIVAL INTERAZIONALE DI VILLA ADRIANA TIVOLI / 18 GIUGNO-13 LUGLIO La seconda edizione di FestiVAl, il Festival Internazionale di Villa Adriana, valorizza un gioiello dell’area laziale – tra i più grandi siti archeologici a cielo aperto del mondo – e permette la fruizione di spettacoli dal vivo in un contesto egregio, la dimora dell’imperatore Adriano, anche valorizzando il Polo Tiburtino che vanta, oltre Villa Adriana e Villa D’Este (due siti riconociuti dall’UNESCO patrimonio dell’umanità).Il Festival, gemellato con le più prestigiose istituzioni europee, vetrina di spettacoli in prima assoluta, ha l’ambizione di caratterizzarsi come una delle più rilevanti manifestazioni internazionali in grado di coniugare linguaggi artistici contemporanei e classicità. Ma, soprattutto, sono previste navette per gli spettatori da Roma a Villa Adriana e ritorno. Non male affatto. (R.C.) 03, 04 - 07 Danza Sutra 07-07 Carmen Consoli 10,11-07 Danza Menske 13-07 Ludovico Einaudi

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FESTIVAL >> NOTTI ROMANE AL TEATRO DI MARCELLO ROMA - DA GIUGNO A SETTEMBRE Nel cuore di Roma, in uno dei luoghi più affascinanti del mondo antico, per l’imponenza dell’edificio e della storia che racchiude, si erge il Teatro di Marcello costruito per volontà di Giulio Cesare e terminato nell’11 a.c. dall’Imperatore Augusto. Questo grandioso teatro, il più antico di tutta Roma e modello per la costruzione del ben più celeberrimo Colosseo, con il Parco archeologico circostante saranno per tutta l’estate il suggestivo palcoscenico della quattordicesima rassegna concertistica «Notti Romane al Teatro Marcello» (Via del Teatro di Marcello, 44): da giugno a settembre, ogni sera alle 20.30 musica, spettacoli teatrali e poesia classica greco-latina. Per informazioni sul programma e sull’acquisto dei biglietti: tel. 06 87 13 15 90. (F.F.) 01/07 Alessandra Tiraterra (Pianoforte) 02/07 Strauss, Rossini 03/07 Mozart 04/07 Linda Valente (Voce) Fabio Di Cocco (Pianoforte) 05/07 Ede Ivan (Pianoforte): Tutto chopin 06/07 Michele Pentrella (Pianoforte) 08/07 Fabio Rosai (Pianoforte) 09/07 Haydn, Beethoven 12/07 Giulio Biddau (Pianoforte) 13/07 Liszt, Rachmaninov 14/07 Janacek, Liszt 24/07 Bach, Gluck 29/07 Francesca Zarrillo (Pianoforte) 30/07 Schumann, Brahms 31/07 Stefania Di Giuseppe (Pianoforte) 01/08 Michele Pentrella (Pianoforte) Marco Lo Muscio (Pianoforte) 03/08 Ching Yun Tu (Violino) François Gassio (Pianoforte) 10/08 Fabio Rosai (Pianoforte) 11/08 Nino Rota 16/08 Silvia Cormio (Pianoforte) 22/08 Scarlatti, Pergolesi, Donizetti 23/08 Roberto De Romanis (Pianoforte) 25/08 Tihamèr Hlavacsek (Pianoforte) 29/08 Maria G. Sorrentino, Peter Hitz (Pianoforte A Quattro Mani) 31/08 Masataka Goto (Pianoforte)

>> SPAZIALE FESTIVAL TORINO - SPAZIO 211 / dall’8 al 28 LUGLIO Spaziale festeggia la sesta edizione imponendosi come oasi alternativa a libera vocazione artistica: a Torino eventi live di band alternative italiane e straniere in uno spazio libero fuori dai canonici luoghi commerciali. Un cartellone che presenta date uniche italiane con artisti e band che si sono distinti principalmente in questa stagione musicale. Un cartellone che in sei anni non ha mai ripetuto un solo nome. Missione: Non basta dire non importa. È semplicemente la musica a formare le nostre opinioni. Qualcuno si sentirà fregato. A qualcun altro salverà la vita. Come al solito. (V.G.) 08-07 The Raconteurs, Vampire Weekend14-07 Deus 15-07 Siouxsie 16-07 The Notwist, Le Luci Della Centrale Elettrica con Giorgio Canali 17-07 Il Teatro Degli Orrori, Hangin’ Tree, The Helene’s Mates 18-07 Offlaga Disco Pax, Stonewave, Obc Slim 2307 The Hives, Ministri 27-07 Yuppie Flu, La Pioggia, Santabarba 28-07 The Mars Volta Per il programma completo: www.myspace.com/spazialefestival

>> ROCK OF AGES FESTIVAL MILANO - PALASHARP / 13 SETTEMBRE È nato un nuovo festival per tutti gli amanti dell’hard rock e delle sonorità made in Usa. Sarà il festival di fine estate, quello che segnerà la fine dei grandi concerti estivi e il ritorno agli spazi al chiuso per i concerti invernali. Il 13 Settembre il Palasharp di Milano vedrà salire sul palco grandi nomi come Twisted Sister, Extreme, Gotthard, Loaded, Quireboys, Pino Scotto. (V.G.) Per il programma completo e gli aggiornamenti: www.palasharp.it [email protected]

>> ALL’OMBRA DEL COLOSSEO ROMA / 6 LUGLIO fino a SETTEMBRE La manifestazione muove i suoi primi passi nel 1990 in cui venivano proposti gli spettacoli più vari, da rassegne cinematografiche alla musica dal vivo. Nel tempo si aggiungono gli spettacoli di cabaret e con il crescente consenso di pubblico e con la forte attenzione dei media la kermesse entra presto a far parte del cartellone ufficiale dell’Estate Romana. Dopo i primi successi con il duo Mammamia che Impressione di Salvi e D’Angelo, la proposta artistica si specializza nel campo del cabaret arrivando a proporre il cartellone comico più ricco e lungo a livello nazionale. Ma crescono anche le proposte musicali e le mostre d’arte. Anche quest’anno l’offerta è valida e variegata. Sotto l’imponenza del monumento simbolo della città eterna si accendono i suoni e i colori della Roma di oggi. (C.N.) Per la programmazione completa: www.allombradelcolosseo.it

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>> ROMAROCK FESTIVAL 2008 ROMA - IPPODROMO DELLE CAPANNELLE /30 GIUGNO-26 LUGLIO Il Romarock Festival, che si svolge ogni anno all’Ippodromo delle Capannelle, è oramai diventato un imperdibile meeting per la musica rock e pop a livello internazionale. Nel corso degli anni, ha portato a Roma i più importanti artisti del panorama italiano e mondiale, guadagnando i primi posti nell’olimpo dei migliori eventi musicali europei. Marchio distintivo dei grandi concerti di qualità della capitale, solo nella scorsa edizione il Romarock Festival ha registrato un afflusso di ben 200.000 persone. Tra gli artisti che si sono già esibiti all’Ippodromo delle Capannelle si ricordano: Afterhours, Air, Tori Amos, Anastacia, Franco Battiato, David Byrne, Manu Chau, Caparezza, Joe Cocker, Tiziano Ferro, Frankie Hi NRG, Ivano Fossati, Peter Gabriel, Jamiroquai, Khaled, Emir Kusturica, Avril Lavigne, Marlene Kuntz, Pat Metheny, Morcheeba, Massive Attack, Gianna Nannini, Negramaro, Negrita, Sean Paul, Laura Pausini, Placebo, Robert Plant, Lou Reed, Daniele Silvestri, Joss Stone, Steve Vai, Le Vibrazioni, The Wailers, Joe Zawinul. (V.G.) 30-06 Francesco De Gregori 03-07 Subsonica 04-07 Fabrizio Moro 06-07 Tokio Hotel 11-07 Pino Daniele 14-07 Djavan 15-07 Fiorella Mannoia 16-07 Duran Duran 18-07 Massive Attack 19-07 Max Pezzali 24-07 Finley 26-07 Ben Harper Per la programmaziopne completa: www.romarockfestival.it [email protected] Tel. 06 66182859 - 06 7182139

>> INCONTRI IN TERRA DI SIENA SIENA / 22-30 LUGLIO Nel ventennale dalla sua fondazione, l’Associazione «Incontri in Terra di Siena» continua nella cura e nella diffusione della musica da Camera come speculare immagine della bellezza di un territorio dalle caratteristiche uniche al mondo. Il Festival, infatti, si svolge nelle magnifiche colline della Val d’Orcia, già definito dall’UNESCO «World Heritage Site», sotto la direzione artistica di Antonio Lysy e quella musicale di Pascal Rogè e vi partecipano anche quest’anno importanti nomi del panorama musicale internazionale. Tra gli artisti che prendono posto nel ricco cartellone del Terra di Siena: il soprano internazionale Dame Emma Kirkby, Antonio Lysy, Jane Coop, Anthony Mawood, Thomas Adès, Pascal Rogé, Ami Hakuno e tanti altri grandi interpreti. Di assoluto prestigio invece l’esibizione della grande vocalista jazz Dianne Reeves. Quest’anno, oltre a La Foce e Castelluccio della Foce, il programma prevede tappe anche a San Quirico D’Orcia, Città della Pieve e Chianciano Terme. (F.F.) 25-07 Dame Emma Kirkby con London Baroque 26-07 Dianne Reeves 27-07 The London Oratory School Schola 31-07 Ciclo completo delle Sonate di Beethoven per pianoforte e violoncello Duo Antonio Lysy e Jane Coop 01-08 Anthony Marwood e Thomas Adès : Opere di Stravinsky per violino e pianoforte 02-08 Musica da camera 03-08 Concerto Adès-Elgar Orchestra. Per la programmazione completa: www.itslafoce.org

>> VILLA ADA ROMA / 25 GIUGNO-10 AGOSTO Il mondo passa per Villa Ada. Anche quest’anno l’isola di Villa Ada farà da sfondo ad un incontro di culture, tradizioni, suoni, profumi, cibi e colori. Da sempre Roma incontra il Mondo esprime la sua politicità. Negli anni sono state molte le iniziative contro il razzismo, la pena di morte, la globalizzazione e la guerra. Questi indirizzi si sono concretizzati attraverso la scelta degli artisti, la presenza degli espositori e nel boicottaggio di alcune aziende. L’atmosfera multietnica, infatti, si ricrea grazie alla musica e non solo. Bancarelle di artigianato, ristoranti arabi e indiani e molto altro per una festa per tutti e di tutti. (C.N.) 01-07 Flogging Molly 02-07 Tuxedomoon 03-07 Camille 04-07 Nour Eddine & Gnawa Bambara 05-07 Habib Koite’ 06-07 Teophilo Chantre 07-07 Teresa De Sio «Riddim a Sud» 08-07 Tuck & Patty 09-07 Marlene Kunz 10-07 Petra Magoni & Ferruccio Spinetti 11-07 Giuliano Palma & The Bluebeaters 12-07 13-07 Hot Tuna Acoustic Trio 14-07 Hazmat Modine 15-07 Luciano 16-07 Roy Paci & Aretuska 17-07 Leggenda New Trolls «Concerto Grosso Trilogy Live» 18-07 Bluvertigo «Storytellers» 19-07 Caparezza 20-07 Villa Ada Posse feat. Brusco 21-07 Chico Caesar 22-07 Joan Armatrading 23-07 Blonde Redhead 25-07 Baustelle 26-07 Africa Unite 28-07 Almamegretta 29-07 Trilok Gurtu 31-07 Sud Sound System 1-08 Eugenio Bennato 6-08 Radici Nel Cemento 10-08 Daniele Sepe Per la programmazione completa: www.villaada.org

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LABORATORIO

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FESTIVAL TRENDENZE Matera Veni Vidi Vici

VALENTINE Blacktotal. Diva di altri tempi. Bronzo, argento, oro. Arrivare a toccarla. E la sua «My Secret Place» sembra cantata in diretta da un altro pianeta

a cura di VALENTINA GIOSA e ROSSELLA GAUDENZI

VALENTINE VALENTINE

na vera sophisticated lady si muove nel silenzio. In silenzio appunto, senza disordini, U discretamente ma senza timidezze o tentennamenti, si muove tra i tavoli, si avvicina all’alto sgabello dal quale potrà sovrastare la sala e sul quale potrà spiccare. Gesti che racchiudono una femminilità forte, una sinuosità quasi felina. Hai di fronte una personalità che incarna la Woman di Neneh Cherry e la Cornflake Girl di Tori Amos: già percepisci in quale modo intonerà i brani scelti con cura, e già sai che rimarrai stupito da varietà e ricchezza proprie di una trasformista, in grado però di rimanere profondamente fedele a sé stessa. Le mille sfaccettature di Valentine. Che ha dalla sua, come biglietto da visita, un’immagine ricercata e ben riconoscibile da rimanere nella memoria: look blacktotal il più delle volte. Ma accade che si impreziosisca con qualche sprazzo di luce da diva di altri tempi (e altri luoghi). Bronzo, argento, oro, i dettagli che fanno la differenza. Accanto a Valentine c’è Emiliano Martino, e l’intesa artistica che li lega si respira nell’aria dal momento in cui si impossessano dello spazio. Valentine posa gli spartiti sul leggio e cerca con lo sguardo il suo chitarrista che nel frattempo si è occupato degli ultimi dettagli. Un rapido colpo d’occhio a cavi, casse, amplificatori. Ci attende un repertorio convincente per arrangiamenti che magicamente accostano brani quali Summer Kisses Winter Tears (Julee Cruise), Glory Box (Portishead) e Wicked Games (Chris Isaak) a sensuali interpretazioni di Bang Bang (Nancy Sinatra), Maniac (Michael Sembello), Personal Jesus (Depeche Mode). C’è anche un posto speciale per David Bowie, per la sua Space Oddity. Pezzi originali scritti da Valentine non mancano (My Secret Place, Falling Down, Beyond the Real), e in questo momento ti coglie l’impressione di arrivare a toccarla, o di farti sfiorare dalla sua voce. Dopo due ore intense, hai la sensazione di aver sorsato un cocktail ricco di ingredienti disparati messi insieme ad arte. Il tocco blues di Emiliano è l’elemento sanguigno, come tinte di colori intensi, degno della voce profonda che accompagna. Ti senti inebriato. Ma in fondo ne vorresti ancora. WWW.MYSPACE.COM/VALENTINEWORLD (RG)

ELEMENTI A SUD

Il surrealismo magico dei racconti di Antonio De Rosa incontrano le sonorità mediterranee di Rocco De Rosa e il calore della voce di Eva Immediato. In volo dalla terrazza di Palazzo Lanfranchi a Matera, aria, acqua e terra convogliano nel «Fuoco dell’Arte», vibrando. Il Vento della fresca serata materana si fonde con quello silenzioso e sconvolgente, inevitabile e travolgente delle parole recitate. Quel vento che non concede tregua, che sa di cambiamento, che è libera emozione, che non perdona e non abbandona. C’è anche il Mare che invade suono e ritmo; mare che fa incontrare, orizzonte da contemplare, unica via di fuga da fame e disperazione ed anche luogo di morte. Poi, la Terra che è nella voce, nel corpo e nello sguardo; terra che è radici, carne, fertilità, calore; terra dura e aspra; terra disperata e silenziosa: magica terra del Sud. (VG)

SUD

MUSIC IN FA TRENDENZA Music In ha partecipato alla prima edizione del Festival Trendenze all’interno della 14esima edizione di Trend Expo «Villaggio dell’Orientamento, della Formazione, del Lavoro e della Cultura». Cinque i temi proposti: Carta bianca, Isole sonanti, Itinerari creativi, Mondo in tavola e Il Pensatoio ella suggestiva scenografia dei Sassi N di Matera Music In ha partecipato alla prima edizione del Festival Trendenze dal 14 al 17 maggio, all’interno della 14esima edizione di Trend Expo «Villaggio dell’Orientamento, della Formazione, del Lavoro e della Cultura», organizzato dalla Cooperativa Educational Service. Cinque i temi proposti: Carta bianca, Isole sonanti, Itinerari creativi, Mondo in tavola e Il Pensatoio, ampia vetrina sulla creatività volta a stimolare una riflessione sull’indotto economico e lavorativo di eventi culturali e artistici. In linea con la visione di Trend Expo ovvero «I giovani protagonisti del futuro», è stato chiesto agli artisti di progettare un evento rendendosi impresari della propria passione. 41 sono state le proposte che hanno superato una soglia minima di rilevanza selezionate da una commissione di

esperti del mondo dell’arte e della cultura. Una cornice splendida quella dei Sassi, così antica quanto antica è l’arte ed affascinante vedere le nuove tendenze di oggi muoversi tra quelle mura primitive e cavernose. Music In ha riservato un occhio particolare al tema delle Isole Sonanti che ha visto la partecipazione di numerosi artisti italiani. La Beat Beat Sound, associazione musicale, oltre a presentare giovani talenti fra cui la band 7000 caffè, ha realizzato la Deejay Conference, workshop sul mondo del dj con gli orientamenti del mercato discografico e la D&G one night, serata di musica e degustazioni di piatti tipici. All’insegna dell’avanguardia musicale elettronica l’evento di Maurizio Caggiano (aka Keng) dal titolo Microtonale, strutturato secondo un timetable nel quale si sono alternati uno o più dj

INSTANT DEMO L’

idea nasce in un locale, tra amici musicisti, davanti a una birra. Ed è la prima edizione di Istant Demo, iniziativa musicale ideata e curata da Antonio Mattia Vazza che ha trovato la giusta collocazione all’interno di Isole Sonanti, il settore sonoro di Trendenze. Il concetto, diretto ed immediato, richiama la prassi delle foto-tessera istantanee. Il tempo di preparare, confezionare e servire il prodotto. Non un minuto di più. Così Antonio contatta lo Studio Strada Recording di Angelo Cannarile, ricavato da un «lamione», denominazione materana per indicare una struttura oblunga che fungeva da ricovero per animali e casa-grotta per chi li possedeva, oggi studio di registrazione di pregio e stile. Si sono realizzati cd di qualità, nell’arco dei quattro giorni del Festival, previa prenotazione da parte di gruppi emergenti. È stata per molti la vera e propria «realizzazione del sogno a costo zero», offrendo la possibilità di realizzare più pezzi in poche ore. Tempi dinamici, per dimostrare che è possibile realizzare ottimi prodotti a costi contenuti, e avvicinare una giovane popolazione di musicisti all’esperienza della registrazione in studio. Rossella Gaudenzi

con il supporto di video proiezioni (www.myspace.com/kengprod). Gli Exciter, segnalati come una tra le migliori cover band dei Depeche Mode in Italia, hanno invece ripercorso la storia del gruppo britannico attraverso i brani più celebri (www.myspace.com/exciteritaly) mentre gli Effetti Collaterali (www.effettocollaterale.it), dalle sonorità indie-rock, hanno realizzato uno showcase per la presentazione del loro nuovo album Crederai che non sei schiavo?. Tanghi e musica da film fra le antiche pietre con il quintetto d’archi L’altro novecento e ancora classici del jazz e pezzi fado ispirati a Maria João e Dulce Pontes con il duo romano Piano e Voce (www.myspace.com/pianoevoce). Sonorità dream-pop in compagnia di Valentine (www.myspace.com/valentineworld) che per l’occasione ha proposto un

repertorio acustico con brani originali e cover totalmente riarrangiate. Nicola Rosa - aka Nick Pink, (www.myspace.com/djnikpink), dj milanese (attualmente nello staff di Virgin Radio), ha invece presentato due dj set: Robot Rock (un mix di musica elettronica e rock) e Minimal Hospital (sonorità elettroniche, ambient e space disco). Interessante la proposta di Antonio Mattia Vazza (www.myspace.com/antoniovazza) dal titolo Instant Demo, uno studio di registrazione «all’istante» per tutti i partecipanti e i visitatori di questo interessante e promettente Villaggio dell’Orientamento. Valentina Giosa

PIANO E VOCE iano e Voce sono Moira Lo Bianco e Virginia Fabbri. Il progetto nasce dalla sfida di unire il P mondo classico e quello popolare attraverso una chiave di lettura che fa riferimento al linguaggio jazzistico ma non solo. Il repertorio prevede oltre ai classici del jazz, brani di autori portoghesi (Maria Joao, Dulce Pontes), di J.S. Bach e di Mario Laghigna, il tutto rivisitato in una forma nuova che si esprime al meglio nelle composizioni originali proposte come Aspettando Picasso e Luce di Luna. «È un repertorio folle che noi facciamo per il solo gusto di proporlo al pubblico e che ogni volta rappresenta una nuova sfida», dice Virginia-Voce. Piano e Voce si sono esibite nella cornice dei Sassi di Matera all’interno del Residence San Pietro Barisano in occasione del I Festival delle Trendenze, manifestazione inserita nel cartellone del Trend Expo 2008, che le due musiciste hanno accolto con grande entusiasmo. Per MoiraPiano «a Trendexpo c’è spazio per l’arte, per la cultura e la musica, e noi abbiamo deciso di partecipare per il solo gusto di esibirci proponendo il nostro modo di fare musica a prescindere dal risultato». Aggiunge VirginiaVoce: «Molti giovani si appiattiscono nella mediocrità senza trovare il coraggio di osare». Atmosfere uniche quelle di Piano e Voce, in bilico fra il fado portoghese e la musica francese, dove il piano sperimentale e contemporaneo di Moira si sposa perfettamente con la voce unica e ricca di pathos di Virginia con un effetto che a volte incanta, altre stupisce, comunque lascia in bilico tra piano e voce (www.myspace.com/pianoevoce). (VG)

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SaintLouis

a cura di ROBERTA MASTRUZZI

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ROMA ROCK’S COOL 7-14 luglio Luca Scarpa, ROMA JAZZ’S COOL 1-7 settembre Stefano Senesi, Paolo Costa, Cesare Chiodo, Dean Bowman, John De Leo, Cristiano Micalizzi etc. Alla Casa del Jazz, imparare. Di più

ROMA JAZZ’S COOL J

azz come la notte, come l’Africa, come un canto libero. C’è un appuntamento ormai irrinunciabile per centinaia di giovani amanti del jazz. Un richiamo che viene da dentro e a cui non si può dire di no e che spinge a ingoiare chilometri, a sfidare il caldo e i vagoni affollati di un treno, per raggiungere Roma. Un fuoco che scalda gli ultimi giorni d’estate e riunisce intorno a sé tanti ragazzi per incontrare i grandi nomi del jazz, respirare la loro musica e ascoltare la loro storia. È il Roma Jazz’s cool, settimana - dal 1 al 7 settembre che il Saint Louis dedica a chi vuole perfezionare i propri studi con un corso intensivo di tecnica, improvvisazione e musica d’insieme in cui gli studenti sono seguiti per intere giornate da musicisti professionisti.

TAMTAM BLUES

J

azz come Norma Winstone e la sua voce, come Scott Colley e il suo contrabbasso, come Antonio Sanchez e la sua batteria, come Kurt Rosenwinkel e la sua chitarra. E ancora jazz come Joey Calderazzo e il piano, Rosario Giuliani e il sax, Ken Cervenka e la tromba; jazz come musica d’insieme, come Salvatore Bonafede e Paolo Damiani. Come già nelle passate edizioni, ognuno di loro sarà protagonista di master class e concerti serali sul palco della Casa del Jazz a conclusione di ogni giornata di studio. Dal 2005 ad oggi, il corso ha coinvolto tanti ragazzi italiani e studenti internazionali e importanti musicisti italiani come Enrico Rava, Roberto Gatto, Enrico Pieranunzi e Maria Pia De Vito e nomi della scena internazionale come John Taylor, Marvin Stamm, Bob Stoloff e Gene Jackson. Oltre all’indiscutibile privilegio di incontrare e studiare con importanti jazzisti, il corso è anche il modo più semplice per arricchire il proprio spirito, attraverso il confronto con l’altro e incontrare chi come te vive di e per la musica per scoprire di essere un po’ meno soli in questo mondo. Che di «soli» ne farai tanti nella vita e sarà anche grazie a giorni come questi che ti insegnano l’umiltà, la fatica e il piacere di dedicarti alla musica. Jazz come il suono solitario di una tromba, come un’improvvisa pioggia d’estate.

di Tamara Pantaloni (allieva del Corso di Sax dal 2003) Viaggiando viaggiando si arriva al Saint Louis School’s Land, una terra «colorata di blues», dove giovani spiriti liberi vogliono liberarsi nella musica, nel mondo dei suoni e nei ritmi sfrenati di musiche vere e terrene, espresse e trasmesse da spiriti più grandi, chiamati i maestri-guida, come Max Ionata, Claudio Colasazza, Bruno Biriaco, Antonio Solimene, Gianfranco Gullotto, Michel Audisso, Dario Lapenna e altri, che con la loro energia insegnano agli spiriti più giovani tanta disciplina, creatività e ricerca per trovare la strada che porta verso se stessi e verso la propria musicalità, in armonia con gli altri. Nel periodo estivo, in questa «terra blu», si festeggiano il Jazz’s cool e il Rock’s cool, dove giungono musicisti che viaggiano per tutto il mondo e portano in dono la loro ricca e preziosa presenza come Rosario Giuliani, sassofonista pervaso dal sound più profondo del jazz, e Salvatore Bonafede, pianista con creatività ed espressività donate dall’energia dell’universo. Qui la musica riesce ad illuminare anche il buio e ti redime grazie alla simpatia dei piccoli spiriti e alla devozione dei grandi maestri. A Saint Louis Land, si innalzano montagne di note e quando scende la notte ti puoi permettere di sederti sopra di esse e fermarti nella tranquillità per trovare nuove forze, respirando la passione del lavoro quotidiano degli abitanti di questo magico piccolo mondo. Dall’alto della montagna, un angelo canta una musica blues, nera e profonda, dal ritmo intenso accompagnata da queste parole: «L’essenza della musica è un vento che si alza dalla polvere della terra, soffiando nei ventri di chi la sa accogliere. Con la sua forza pulsante, sprigiona un canto di suoni gioiosi e ritmi vitali che si liberano tra i cieli più alti e sconfinati, raggiungendo tutti i cuori, anche i più chiusi e lontani. Questo vento spira dall’Africa: radice dell’albero della vita, culla delle pulsazioni vitali» (Dalla terra al cielo di T. Pantaleoni).

A LUGLIO IL ROCK È COOL ra le mura del Saint Louis College of Music, che durante l’anno accademico risuonano delle voci intonate di 1500 T studenti e dei loro strumenti, la musica continua anche d’esta-

ROMA ROCK’S COOL secondo Riccardo Fortuna (allievo di Canto dal 2005) «Roma Rock’s cool è un’esperienza unica, in quanto mette gli studenti in contatto con artisti dai quali apprendere è divertente e facile: basta anche solo sedere accanto a loro»

te. E il Rock, quello cool, è il solo protagonista. Il Roma Rock’s cool è giunto già alla sua terza edizione e anche quest’anno musicisti e cantanti di ogni livello vivono insieme sette giornate in musica. Dal 7 al 14 luglio si respira l’esperienza di artisti che hanno fatto della musica la loro vita. La formula non cambia: ogni giorno è scandito da fasi precise di apprendimento e di pratica. La mattina si inizia con la lezione di tecnica in classi divise per livello. Ma nelle vesti insolite di docenti si ritrovano alcuni degli artisti più attivi e stimati dei nostri giorni. I bassisti seguono le lezioni di Paolo Costa (dieci anni di carriera al seguito di miti come Claudio Baglioni, Renato Zero, Ivano Fossati) di Cesare Chiodo (turnista tra i più richiesti degli ultimi tempi, forte di collaborazioni con Laura Pausini, Fiorella Mannoia e Adriano Celentano), e Antonio «Rigo» Righetti, che nella sua carriera ha collaborato con artisti di fama internazionale. I batteristi «siedono» in aula con Cristiano Micalizzi, figlio d’arte, formatosi alla Berklee di Boston, che, tornato in Italia, ha iniziato a dividere il palco con alcune delle nostre realtà più interessanti, come Tiromancino, Max Gazzè, Paola Turci, Daniele Silvestri. Per le nuove leve della chitarra ci sono Hallen Hinds (già

docente presso il Musician’s Institute, dal blend musicale jazz, blues e rock) e Maurizio Solieri, unito in un sodalizio che dura da anni con colui che in Italia è il simbolo del rock, Vasco Rossi. Alle tastiere ci sono Luca Scarpa (tastierista di Jovanotti, Fiorella Mannoia, Fabio Concato) e Stefano Senesi (che ha avuto l’onore di lavorare con il mito Rino Gaetano e oggi è coarrangiatore di Mariella Nava e Renato Zero). Per i cantanti le lezioni sono affidate a Dean Bowman, proclamato dalla stampa americana «il più grande cantante rock’n’roll vivente», e a John De Leo, voce acuta e graffiante dei Quintorigo. Al Rock’s cool la musica si impara, ma soprattutto si suona. Infatti i ragazzi si ritrovano ogni giorno per due ore, ognuno con il proprio strumento, nei laboratori di musica d’insieme, nei quali, ispirandosi ai loro miti, suonano i pezzi che hanno fatto la storia del rock. Poi, di nuovo tra i banchi, gli allievi assistono alle Master Class sul rock e sull’improvvisazione, in cui vedono i loro «docenti» esibirsi in lezioni-concerto. Quando il sole fuori inizia a tramontare, i ragazzi si chiudono in studio di registrazione dove si può lasciare una traccia indelebile di tutto ciò che di nuovo si è appreso in questi sette indimenticabili giorni. Corinna Nicolini

BEMOLLE EROE NAZIONALE i siete mai chiesti come vive un musicista nel paese dell’arte per antonomasia? V Non credo, perché da buoni italiani pensate che la musica sia un non-lavoro. A tal punto che quando a un musicista viene posta la domanda che-lavoro-fai, rispondendo «il musicista», ciò che segue è sempre: sì-ma-iltuo-vero-lavoro-qual-è?, ma anche: «Il musicista? E come ti mantieni?». Senz’altro la migliore: «Sì, ma di mattina cosa fai?». In effetti, cos’è la musica? A che serve? Ascoltarla dal barbiere ad aspettare il turno, o in macchina nel traffico per sentirsi in compagnia tra una pubblicità e un radiogiornale? Con tutti i problemi che ci sono, cosa vuoi che importi come vive un musicista? In queste poche righe cercherò di raccontare le varie avventure di un tipico musicista italiano, il maestro Bemolle. Diplomato al conservatorio, in Italia unica istituzione che ti concede il privilegio di avere il titolo di maestro di musica con programmi di studio aggiornati ai primi del ‘900. Bemolle però, oltre alla musica classica (o colta) ama anche il jazz, e garantisco che questo è il Paese sbagliato per amare tale musica. L’Italia è il paese della canzonetta. È un normale retaggio storico-culturale: in Italia la vocalità ha fatto sempre da padrona e questo, sia ben

chiaro, non può far altro che onore. Il problema è sapere cos’è diventata la vocalità, e basta accendere il televisore per rendersene conto: cultura da veline e calendari, non Mina né De Andrè. Selezioni e pseudo-concorsi canori con ragazzine sempre più giovani e belle e sempre meno talentuose che si fanno strada con jeans a vita bassa e piercing sulla lingua. Ingenuo Bemolle, pensa ancora che per avere successo ci voglia il duro lavoro. Per poter essere riconosciuto come un buon jazzista bisogna avere una preparazione musicale, sotto tutti i punti di vista, di dimensioni ciclopiche, anni e anni di studio e gavetta, per essere poi, in compenso, i musicisti meno pagati in assoluto. E non si tratta di diversi livelli di preparazione: anche i più grandi talenti italiani spesso sono costretti a combattere per questioni che vanno dalla semplice gestione organizzativa alle più basse contese economiche. Oltre ad essere il paese della canzonetta, l’Italia, che non è l’ultima arrivata nel campo del Welfare, non ha un sindacato riconosciuto che definisca i doveri e faccia valere i diritti dei musicisti. Meno male che c’è l’Enpals (Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo) almeno per la loro pensione:

bastano solo circa 35 anni di contributi e il gioco è fatto. Le rare volte in cui si firma senza essere ricattati - un contratto con i contributi previsti, la parcella sulla carta è stranamente inferiore a quella pattuita. Ha un senso versare una somma irrilevante ai fini pensionistici, quando la stessa quantità di denaro è molto più utile per la vita quotidiana? Intendiamoci, la categoria (fantasma) dei musicisti sarebbe ben lieta di pagare i contributi necessari per avere un futuro quantomeno dignitoso, il problema è che la committenza nella maggior parte dei casi si rifiuta di versarli. Povero signor Bemolle, è proprio un eroe nazionale. Lavora mosso da una inutile passione per un lavoro che occupa i suoi pensieri 24 ore su 24. Ci si lamenta sempre che il problema principale del cattivo funzionamento di una società sia legato alla scarsa passione per il proprio lavoro, e quando trovi persone innamorate della propria attività non le paghi adeguatamente perché già sono felici con il proprio lavoro. Poi dicono che i musicisti non mettono su famiglia perché si sentono spiriti liberi. Emilio Merone

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COMPOSIZIONE E ORCHESTRAZIONE Un film dovrebbe essere più simile alla musica che alla fiction. Dovrebbe essere una progressione di stati d’animo e sentimenti. Il tema, ciò che è dietro all’emozione, il significato: tutto viene dopo

SaintLouis MICHELA ANDREOZZI Musical e recitazione. Talento.

TECNICO DEL SUONO IMMERGERSI E MUSIC TECHNOLOGY IN UN MONDO DI SUONI di Luca Proietti

Dal 2002 il Saint Louis offre un’interessante e costruttiva realtà professionale. Nelle sedi di via Cimarra e via del Boschetto si svolge il corso biennale di Tecnico del Suono e Music Technology, che ha già accolto e formato centinaia di allievi i quali, seguendo un programma didattico dettagliato, hanno trovato occupazione in ambito professionale come tecnici specializzati. Il corso si basa sullo studio approfondito di tecniche di registrazione, missaggio, editing, creazione e processamento del suono, per arrivare al conseguimento di un diploma di specializzazione. Nel corso dei due anni di studio, si affrontano lezioni teoriche e pratiche di Fonia (ripresa microfonica, tecniche di registrazione e di missaggio su supporti analogici e digitali), Music Technology (sintesi sonora, campionamento, software musicale), Fisica Acustica (caratteristiche fisiche e percettive del suono, acustica ambientale, microfoni e casse acustiche). Completano il percorso didattico: Inglese (acquisizione del vocabolario tecnico del settore) e Cultura Musicale (conoscenza musicale di base, per una migliore integrazione tra il tecnico del suono ed il musicista). Conseguito il diploma, gli ambiti lavorativi sono molteplici: studi di registrazione, concerti e spettacoli dal vivo, produzioni televisive e radiofoniche, pre e post produzione musicale, restauro audio, sound design.

di Gianclaudio Marucci (Diplomato in Tecnico del suono nel 2007) Quando entrai per la prima volta al Saint Louis, nella sede di Via Cimarra, ho avuto la sensazione di salire su di una grande astronave. Sono stato avvolto dal fascino degli studi e ho deciso che quello era il posto in cui avrei voluto studiare. Per due anni mi sono immerso in un mondo di suoni, dove la professionalità dei docenti era sempre pronta ad istruirmi su lati tecnici del mestiere e argomenti, di cui a volte, ignoravo completamente l’esistenza. Spesso in un mestiere particolare come quello del tecnico del suono, i professionisti tendono a non «svelare i propri trucchi» per paura che qualcuno possa competere con loro, ma nel corso, questo proprio non avviene: sono infinite le domande e i dubbi a cui i docenti sono sempre pronti a dare una risposta. Il percorso di studio ha permesso di specializzarmi nelle cose a cui tenevo di più, come creare un prodotto professionale (musicalmente parlando) attraverso l’unico ausilio del computer e di introdurmi al mestiere di fonico in studio, cosa che tutt’oggi mi affascina in particolar modo. L’ultimo giorno di scuola purtroppo è stato anche il più triste, perché avrei voluto che ricominciasse tutto da capo.

COMPOSIZIONE E ORCHESTRAZIONE «UN

FILM DOVREBBE ESSERE PIÙ SIMILE ALLA MUSICA CHE ALLA FICTION. DOVREBBE ESSERE UNA PROGRESSIONE DI STATI D’ANIMO E SENTIMENTI. IL TEMA, CIÒ CHE È DIETRO ALL’EMOZIONE, IL SIGNIFICATO: TUTTO VIENE DOPO». Così Stanley Kubrick vedeva il cinema. Il regista credeva molto nel legame tra immagini e musica e alcune scene dei suoi film più famosi sono passate alla storia anche grazie ad una giusta scelta musicale, a volte stravagante, Singing in the Rain usata come commento musicale alla sequenza più violenta di Arancia Meccanica, a volte più convenzionale, come per le note dei Carmina Burana che fluttuano nell’Universo di 2001 – Odissea nello spazio. Per quanti sono appassionati di musica applicata alle arti cinematografiche, siano esse film, documentari, fiction o cortometraggi, il Saint Louis offre due imperdibili opportunità. Il corso di composizione e musica da film diretto da Gianluca Podio, attivo fin dal 2002, fornisce gli «strumenti creativi della professione musicale» attraverso l’utilizzo di strumenti musicali reali e virtuali indispensabili per il compositore moderno. Lo scopo è di ampliare la padronanza dell’approccio creativo costruendo una preparazione professionale globale e questo è possibile attraverso lo studio dell’armonia e del contrappunto, l’analisi degli stili nella musica classica e contemporanea, i laboratori di musica applicata per la sonorizzazione di filmati, documentari, spot pubblicitari, lo studio di orchestrazione e direzione d’orchestra ad uso professionale, la realizzazione di musica con l’ausilio di computer, campionatori e strumenti elettronici. Gli allievi hanno poi, fin da subito, l’opportunità di sperimentare dal vivo la futura professione grazie alla collaborazione con una scuola di cinema per la quale i ragazzi del corso di composizione hanno realizzato le sonorizzazioni dei cortometraggi ideati dagli studenti di regia: una vera e propria esperienza sul campo. Un’altra opportunità è offerta dal corso di strumentazione e tecniche di orchestrazione ideato dal maestro Alessandro Cusatelli e rivolto ai musicisti interessati ad impadronirsi della scrittura sinfonica. Si comincia con l’affrontare la conoscenza tecnica, morfologica ed esecutiva di ogni strumento dell’orchestra sinfonica, con schede specifiche di verifica per ogni strumento; si prosegue con la pratica dell’orchestrazione e lezioni specifiche sulla resa dei vari impasti orchestrali e sugli equilibri di una partitura sinfonica: dai piccoli organici ad una completa orchestra a due; infine, il corso mostrerà i segreti dei più raffinati e spettacolari effetti orchestrali, analizzandoli dalle partiture più elaborate del ‘900, proponendo un costante laboratorio pratico che porterà alla realizzazione di partiture orchestrali su grande organico e aperte alle problematiche attuali. «Il Corso, unico in Italia, sia per la proposta formativa che per l’articolazione, ha lo scopo di conferire una attitudine professionale specializzata a chiunque sia interessato nel futuro ad operare in qualsivoglia settore musicale - secondo Cusatelli -. Il mestiere acquisito sarà elemento prezioso di distinzione nel panorama delle offerte lavorative: basti pensare alla richiesta e al ruolo che gli orchestratori hanno, specie negli Usa, nel mercato documentaristico e cinematografico».

MICHELA ANDREOZZI «Andiamo in scena»! Un progetto formativo di alto profilo, il Corso professionale di Musical «Andiamo in scena» termina il suo primo anno e si appresta a una nuova stagione. Un per-Corso tenuto da docenti di livello, un gruppo tecnico di professionisti della ‘scena’, nel mondo della recitazione e del ballo, da cui nascerà un Musical. Michela Andreozzi, docente di recitazione del corso, spiega: «L’attitudine musicale è sempre la prima cosa. Un bravissimo cantante può anche ballare o recitare poco, comunque, tra musica, recitazione e ballo l’ideale è avere almeno 2 qualità su 3. Purché ci sia del talento dietro». Talento come quello che accompagna la carriera della bella docente: regista, scrittrice e attrice drammatica. 10 anni di esperienza, successi e tanta fatica tra teatro, fiction (Don MatteoRai2), televisione (Quelli che il calcio) e radio (Pic Nic- Radio2). Faticoso è anche trovare un cantante, un attore e un ballerino nella stessa persona: «Cantanti e attori devono cercare di sviluppare un senso del corpo e del suo uso, anche senza arrivare a muovere passi di danza elaborati», ci dice ancora Michela. «A un ballerino è naturalmente richiesta una intonazione minima per sostenere le parti corali: tra il cantare e recitare, comunque, è preferibile che sia pronto sotto il profilo musicale». (Flavio Fabbri)

ALLA RICERCA DEL CAVO IDEALE Tutte le chitarre, prima o poi, devono affidare il proprio suono a un cavo. Che, a rigor di logica, dovrebbe essere di altissima qualità, in modo da non degradare il segnale che proviene da strumenti di così alto livello. In verità, osservano alla REFERENCE LAB, le cose non stanno sempre cosi: nella cultura del musicista medio il cavo è un oggetto «povero», sul quale non si investe, ma si risparmia. Per dimostrare che le cose non stanno cosi, la REFERENCE LAB ha più volte organizzato test comparativi dei propri cavi. Uno dei più recenti – sul cavo Reference RIC01A – è stato condotto a Milano da Roberto Diana, che, con l’aiuto e la collaborazione del tecnico del suono Stefano Olla, ha ripreso la propria chitarra acustica negli ambienti dell’Acoustic Design Studio di Pietro Nobile. Per i test, Roberto ha utilizzato uno strumento di Marcello Norero; il segnale, ripreso da un pre API512, entrava in ProTools attraverso un convertitore Apogee Rosetta 200, e il tutto veniva monitorato da una coppia di Yamaha NS-10M. Durante la prima prova, Diana ha eseguito un brano fingerstyle; il suono ottenuto con i cavi REFERENCE è risultato più definito e più ricco, sulle frequenze medio-basse, rispetto a quello che si otteneva con cavi del costo indicativo di ottanta euro. «L’impressione generale», ha dichiarato Diana, «è che, per quanto il cavo da ottanta euro sia più frizzantino sugli alti, quelli della REFERENCE risultino più piacevoli, più morbidi. Inoltre nel caso di uno dei più comuni utilizzati in ambito live, chitarra più riverbero, il REFERENCE risulta a mio gusto più caldo». Per la seconda prova è stato registrato uno strumming, in modo da fornire un termine di paragone generale per la chitarra acustica e allargare il campo di utilizzo del cavo. «La differenza», racconta Diana, «è udibile in maniera netta e sensibile, quasi sorprendente per un cavo. A differenza del REFERENCE e del cavo da ottanta euro, i cavi più venduti, di costo pari a circa un terzo, perdono tanto di definizione, e non consentono di far sentire tutti i movimenti delle voci».

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CASTELLO DI PROCENO Paradiso LUCA BUSSOLETTI Mostri A scuola nessuno nascosto C’è un convivio in musica che sa TOKIO HOTEL mi considerava, a scuola nessuno che mi vedeva di antichità e silenzi. E filosofia franchigena. Rock Gemini

I MOSTRI DI LUCA «Mostri», il nuovo singolo di Luca Bussoletti. Mancava. Ora c’è. Un twist. Una denuncia. Un urlo. Per tutti quelli che a scuola non li vede nessuno di Romina Ciuffa

N

on solo i suoi. Ne abbiamo tutti di mostri personali che ci inseguono da sempre. A scuola, a casa, nel letto, sotto al letto. Poi, improvvisamente, spariscono e quasi ci mancano. Ci manca quel bisogno di fuga che legittimava la voglia di scappare via, perché essere inseguiti fa correre più forte, più velocemente. Motiva. Giustifica il vittimismo, la paura e il fatto di non voler affrontare niente e nessuno. Invece no. Praticamente con questo nuovo singolo, Mostri, Luca Bussoletti racconta le vicende di un Bastian qualunque, quel ragazzino che nel romanzo di Michael Ende finiva nei cassonetti tutte le mattine e si andava a rinchiudere nella soffitta della scuola a leggere una storia infinita, che parte dalla diversità e porta a cavalcare un dragone. A scuola nessuno mi considerava diventa il ragionamento lucido di un cantautore che è uscito dalla soffitta dopo aver cavalcato un Fortunadrago e che, oggi, si alza in piedi e denuncia. Denuncia l’omogeneizzazione delle nuove generazioni, vestire uguali in corpi diversi; la droga, punire i neuroni e perdersi in un Gin Lemon; la sessualità, farlo a tutti i costi quando al buio immaginare è meglio. Denuncia il bullismo. Lo fa attraverso i canali che lo hanno adottato, quelli multimediali della rete e dei download. Uno dei più scaricati, a scuola forse, ma di sicuro nella rete. Questo ex-invisibile cresce e fa un twist che è insieme un lamento e una canzonetta, poi un pezzo da cantautore ma anche da band di balera. «Mostri» da settimane è nella top ten di vendite di iTunes, ora esce in «Hit Mania Estate 2008» tra i successi estivi e si accompagna a un video «no budget» per la regia di Rik Diffidenti che è stato scelto dallo staff di YouTube per l’home page e ha ricevuto fino ad oggi 17 mila visite. Lui che quando aveva otto anni era timido e faceva musica per avvicinare le ragazzine è il più promettente cantante della Myspace Generation, quella che esce fuori dal monopolio e si fa strada da sé. Influenzato da Tim Burton, Philip K. Dick e Italo Calvino, poi dai Beatles, Lucio Battisti e Rino Gaetano, Luca è fondamentalmente un romantico (al punto che si dedica anche una canzone d’amore, Mi amo, e che la rivista Glamour a maggio interroga sull’amore in 21 istruzioni sincere nel servizio «Le cose che non ti ho detto»). Quasi un fumetto imprigionato nelle strisce del suo cartone dove vincono sempre i buoni: e non a caso in Cina e in Giappone – patrie del manga – Bussoletti è una star. Incompresi tutti in patria. E, alla fine, i mostri gli piacciono, quelli della Universal, degli anni Venti, che hanno un’umanità schietta, i Frankestein del colore. Quelli che soffrono. L’invisibilità rende deboli o forti. A scuola nessuno che mi vedeva potrebbe anche voler dire invertire i ruoli, perché non visti si può tutto, lo fa anche Harry Potter, un altro invisibile che si copre con un tappeto magico per sparire. Serve una forza che il sistema non dà perché asseconda bullismo e prevaricazione, favorendo la dis-integrazione. Ma il sistema è un bullo e il bullo, per antonomasia, è un debole. Che cerca all’esterno sicurezze che non possiede. Una canzone come Mostri, triste ma allegra, rimane nell’orecchio finché non riappare l’invisibile: lui che è il primo a non vedersi, a non notarsi. A non cavalcare dragoni. Lui che è il primo mostro di se stesso. info: www.myspace.com/bussoletti 22 LUGLIO - Live - SPAZIO ZERO, Tor di Quinto 21 AGOSTO - Ubix Summer Night - PEPE NERO, Anguillara

CONVIVIO A PROCENO di Romina Ciuffa una famiglia a Proceno, vicino Viterbo sull’antica Via Francigena, che possiede un castello dai primi anni del XVIII secolo. Una grande casa per una grande famiglia, quella dei Cecchini, che per tre secoli è stata molto numerosa ed animata dai più svariati interessi. Poi, il silenzio del tempo. Carlo e Cecilia Cecchini, oggi, la fanno rivivere e chiamano per questo persone colte ed amanti dell’arte, affascinati ed entusiasti dell’atmosfera che si respira in antichi luoghi e in un borgo nascosto, un gioiello del Centro Italia fuori dai circuiti del turismo di massa, che permette di conoscere un’antica filosofia di vita conservatasi nel suo aspetto più genuino. Un’atmosfera magica, fatta di letteratura, arte e storia, che fa sì che una grande tradizione abbia mantenuto intatto il suo significato dei secoli passati e che oggi esplode in un Convivio in Musica. Due date: il 6 e il 27 luglio, e i cortili di un Castello meraviglioso per dare omaggio, attraverso la musicalità dell’Insieme Strumentale di Roma, prima alla Via Francigena – arteria di traffici e di pellegrinaggio, da sempre via di collegamento fra il Nord e il Sud Europa e fecondo terreno di scambio culturale – con Purcell, Haendel, Albicastro, Rameau, Corelli; poi, il 27 luglio, a Bach, nella Chiesa di San Martino. L’esperienza è più unica che rara, dà suggestioni, riempie e suggerisce forti impulsi di un romanticismo trascorso. Va fatta. La famiglia Cecchini sarà lì, come sempre da centinaia di anni. www.castellodiproceno.it

C’è

TOKYO HOTEL

Camera con vista su Roma Prendi due gemelli omozigoti e truccali. Fai impazzire la Germania, la Polonia, l’Europa. Poi fanne ammalare uno alle corde vocali. I vincenti tornano sempre, quando meno te lo aspetti di Corinna Nicolini Prendi due gemelli omozigoti. Ad uno gli metti un microfono in mano e all’altro un bel chitarrone elettrico. Truccali in modo molto vistoso, quasi carnevalesco, e falli sorreggere da una sessione ritmica potente e compatta. Impazzirà la Germania, poi la Polonia e infine tutta Europa. L’album Room 483 dei Tokyo Hotel, infatti, ha stravenduto in tutto il vecchio continente superando i due milioni di copie. Deve averci visto bene il noto produttore Peter Hoffmann quando ha pagato di tasca sua i primi provini di quei quattro ragazzi che allora si facevano chiamare Devilish. La band germanica, che deve il suo nome definitivo ad una passione per la capitale giapponese e ad un’assuefazione agli alberghi, propone un rock elettrico molto incisivo e la voce di Bill Kaulitz cattura l’attenzione. Nella prima hit europea, Monsoon, gli acuti e i sospiri si alternano in modo piacevole ed ipnotico. Parte del successo dei Tokyo nasce anche dall’avvenenza dei fratelli Kaulitz, le cui fan esagitate quasi non credono di averne due in copia perfetta. Un pizzico di marketing, è vero, ma anche tanta esperienza sul palco. Chi c’era il 30 ottobre del 2007 al Datch Forum di Assago giura di aver assistito ad uno spettacolo unico in cui luci, fumo e grande rock si mischiavano in un’unica emozione. Il 2008, però, non è iniziato molto bene per i rocker tedeschi. Il loro leader ha avuto frequenti malori finché non è stato costretto a fermarsi

per via di una fastidiosa cisti sulle corde vocali. Grande commozione tra i fan, che hanno letteralmente invaso di messaggi il sito ufficiale della band, e tutta una serie di appuntamenti annullati tra cui le date italiane previste tra febbraio e marzo. Ma i grandi eroi, anche quelli moderni, cadono per poi rialzarsi. Kaulitz ha dovuto subire mesi di grandi umiliazioni in cui la stampa specializzata sosteneva che il suo guaio di salute fosse dovuto al fatto che non sapesse cantare ma adesso che sta bene si sta riprendendo le sue rivincite. Gli Stati Uniti sono impazziti per la band e si sta già organizzando un lungo tour in America che toccherà anche il Canada. I fedeli dei Tokyo Hotel hanno tenuto duro ed ora possono godersi i loro concerti sfumati. I romani sono convocati al Roma Rock all’Ippodromo di Capannelle il 6 luglio. La matita nera sotto gli occhi è già pronta e si prevede una bellissima e sanissima sudata tra canzoni cantate a squarciagola e pogate caricate a spalle alte.

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ATTILIO FONTANA A Scarto un boero e intanto spero, la mia illusione dentro un goccio di liquore

TO MY DEEPEST EGO Odyssea Universo antico e selvaggio come un temporale estivo

GIOVANNI SOLLIMA We were trees Vibrate! Vibrate, l’improvvisazione è una creatura dall’anima curiosa

A me che il boero non era mai piaciuto poi. Mi ritrovo a masticare una ciliegia piena di liquore dopo aver messo in bocca un cioccolatino a forma di peluche, che è il disco di Attilio Fontana. Insomma, lo scarto così, come scartassi un boero, faccio le facce strane perché l’avrei preferito 1) al latte 2) senza liquore 3) senza sorprese. Dicono che la cioccolata abbia prerogativa di assuefazione. Infatti. Il disco di questo ex Ragazzo Italiano (cantava «Amore Vero» insieme agli altri tre) si chiama «A» perché è un inizio. Non stento a crederlo: la voce è quella di un uomo, l’emozione è quella che trasmette un bambino, e Attilio si è rifatto da capo. Stupisce perché sa agitare le parole e metterle in fila come si conviene a un cantautore. Mi faccio una passeggiata acustica tra arrangiamenti stile MinaMassimiliano Pani, bossanova e salse, anche una cantata corale alla We Are The World, e qualcosa che mi ricorda ma non copia Vinicio Capossela. Resta quel non so che, mentre ascolto un disco perfetto, che mi fa chiedere dove-l’ho-già-sentita ma non è così: era già dentro di me, lo erano quelle parole che già sapevo perché mi raccontano cose che vivo tutti i giorni. Per esempio, la voglia di uccidere un Pokemon. Dio solo sa cosa gli farei se me ne passasse uno sotto le mani. Non ho la più vaga idea di quali poteri possa puntarmi contro, perché non guardo i Pokemon. Attilio li uccide come me, con un sistema diverso: lui li scioglie in un acido blu. Io non accendo la televisione. Ma poi, esattamente come me, cede, diventa timido davanti agli occhi di plastica e di vetro di un peluche. Uno sbando emotivo, un turbamento. Che sarà? Sarà questo senso di crescere in mezzo al nulla. Attilio me lo conferma, pure lui sta come me, un petalo che vive a testa in giù fra Calimeri e maghi del Rinacimiento che tirano fatture. Anche lui la mattina si sveglia con una strada in salita, anche lui volerà e cadrà in braccio alla fortuna, anche lui - come me - ha un livido da tagadà. Poi che coincidenza: anche a lui un alieno lo ha fregato a rubamazzo (nell’imbarazzo diventi pazzo ma un’astronave prima o poi passerà). Una favola, lo ascolto mentre me la racconta. Ogni illusione ha la sua forma di mistero. Anche quella del mio boero. ROMINA CIUFFA

Rami che abbracciano il cielo, l’elemento caldo del legno che si incontra con il soffio arioso delle nuvole. Già dalla copertina, Odyssea, meravigliosa creatura dei Mydeepestego, ci trasporta in un universo antico, dimenticato, tanto selvaggio come un temporale estivo quanto silenzioso come il vento che muove le foglie. Ed ecco che sin dal primo brano, Euskadia, veniamo catapultati in una dimensione eterea e affascinante ed è impossibile non farsi trasportare dalle onde di queste sensuali melodie e dai ritmi avvolgenti delle complessive otto tracce. La poesia dei Pelican, il muro sonoro dei Cult of Luna, la doppia faccia degli Isis, le atmosfere dei Neurosis la delicatezza dei Mogwai, la ricercatezza dei Tool, si fondono con estrema eleganza nei Mydeepestego portando l’ascoltatore a lasciar fluire le proprie emozioni ad occhi chiusi. E così ci si imbatte in autentiche perle sonore come Ius Primae

THE BOOMERS - FAST & BULBOUS ti.. dannatamente punk lo sono nell’attitudine e sul palco, scanzonati ed irriverenti anche a livello di immagine: basta dare un’occhiata tra i contenuti multimediali all’interno del cd, tra i quali un merchandising squisitamente salace ed il video di ottima fattura di Antirave, pezzo d’apertura di Fast & Bulbous. Scuola punk anche nel sound: scarno ed immediato quanto basta; non c’è basso ma c’è la botta: questo disco è l’ennesima dimostrazione, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che non sempre serve una grande produzione (i Boomes hanno fatto tutto in casa, o meglio in cellar) per realizzare ottima musica. 13 pezzi e ce n’è per tutti i gusti: dai moti perpetui delle ballate, agli shot sparati tutti d’un fiato, fino ad una parafrasi garage di The End dei Doors. Fast & Bulbous è una strada assolata e ventosa, sensuale e scorbutica: destinazione l’anima e il talento dei Boomers. Manuele Angelucci

NATALIE DESSAY - ITALIAN OPERA ARIAS Col passo sicuro del palco e il timbro potente del soprano lirico, Natalie Dessay incanta e splende nei riflessi di Italian Opera Arias, Dessay soprano, Concerto Koln e Evelino Pidò, suo ultimo lavoro musicale. Una misura e una sicurezza che la portano molto al di sopra dei soprani leggeri, mutando scena in una corposa prosa verdiana. È qui possibile apprezzarla nella Lucie di Lammermoor, francese versione del capolavoro di Gaetano Donizetti, cantata virtuosa e colorata. Una grandissima interpretazione, che nella Scena della pazzia ci propone la registrazione live effettuata al Metropolitan di New York. La Dessay lavora sulle parole, sul fraseggio fantasioso, sostenuta da tappeto d’orchestra che vede alla regia Evelino Pidò con il Concerto Koln, le leve di una morbida tragedienne che di certo avvantaggiano l’artista. L’atmosfera della tragedia e il destino dell’estra-

niazione sono quelle che avvolgono la protagonista, come le note della glassarmonica, strumento espressamente voluto da Donizzetti al posto del flauto. Stupende le prime quattro scene inserite in questo incredibile lavoro per l’etichetta Virgin Classic, dalla cui prima donizzettiana seguono: la Maria Stuarda sempre di Donizzetti, I Puritani e I Capuleti e i Montecchi entrambe di Vincenzo Bellini. Si ascoltano, qui, splendide messe di voce e filati che, uniti al fraseggio sempre elegante, rendono ottimamente l’idealizzazione di personaggi che vivono propriamente nella e con la musica. Restano, poi, due pagine del sempre caro Giuseppe Verdi che accompagnano nella tranquillità più assoluta le corde della Dessay: Ah, fors’è lui da La Traviata e Caro nome da Rigoletto. Quasi facili passaggi di registro per l’immensa Dessay. Flavio Fabbri

Noctis, Liver, Tora, dove il minimalismo del post rock si sposa con arpeggi sinuosi e riff appassionanti, fino ad arrivare all’ultima traccia del disco, la meravigliosa Crepuscolo, dove le chitarre distorte e il rullante reverberato ci cullano invitandoci a ricominciare il viaggio. La voluta mancanza di un cantante rende il tutto ancora più emozionante. Sono le note stesse, i riff e la sezione ritmica i protagonisti, l’unica e sola voce della musica di Tomydeepestego. Un disco sincero e ricercato, anche grazie alla produzione di Davide Cantone, già da noi apprezzato per lo splendido lavoro con i Deflore. Un disco che suona come il silenzio così come dovrebbe fare tutta la buona musica. Quella in cui ci riconosciamo e di cui non possiamo fare a meno perché reagisce d’impulso al nostro «ego più profondo». Valentina Giosa

EMILIO MERONE E VIRGINIA FABBRI - Croma Nova Il progetto Croma Nova nasce nel 2005 dall'ambiziosa idea di Emilio Merone e Virginia Fabbri di dare un nuovo colore alla musica italiana facendo tesoro delle loro diverse influenze musicali. Nelle composizioni risultano evidenti tracce di bossa nova, tango, musica classica, world-music, jazz, folk-music, pop inglese e americano. L'etichetta indipendente Crisalide oggi ce le offre così. Croma Nova. Come se non fosse, in effetti, qualcosa da tenere a bada. Perché lo ascolti, e avverti. Non siamo sempre pronti ad avvertire. Non è un cd che puoi avere in macchina con leggerezza. Avverti la sensazione della culla. Del teatro. Dei boschi. C'è qualcosa di Elisa in Virginia Fabbri - questo le piacerà. Poi non vorrei che un accostamento con Cristina D'Avena la faccia sentire da meno: Cristina D'Avena ha accompagnato la nostra crescita, e in un album quale Croma Nova, che racconta favole, è proprio il tocco che io m'aspetto. Dunque, c'è da sentirsi cullati. Da una voce che sa cullare come fosse madre ma sa intenerire come fosse figlio. Infine, c'è Matia Bazar, proprio lei, Antonella Ruggiero piacevolmente dentro Virginia Fabbri, partire quasi per Vacanze Romane. E il piano di Merone porta in quel mondo mera-

BEY OND &further

Come si faceva una volta... apri la confezione, afferri il cd, lo inserisci nel lettore e... si parte, senza fronzoli, con un blues-punk onesto, ruvido e genuino, talmente viscerale da ritrovarsi oniricamente trasportati sulla sella della propria Harley immersi in una crepuscolare Route del deserto americano.. Abbiamo detto blues-punk? Beh... i due elementi si sposano alla perfezione nel progetto di questo trio di mangiatori di spaghetti: proprio così... sono italianissimi i «The Boomers», band romana profondamente blues nella grammatica e nelle declinazioni armoniche: i ragazzi strizzano l’occhio a maestri del blues desertico e contaminato di nuova generazione quali John Spencer Blues Explosion, Queens of the Stone Age e Eagles of Death Metal, senza dimenticare l’inconfondibile lezione dell’Iguana Iggy Pop nelle nichilistiche linee vocali di Marco Marracini, voce e chitarra: all’altra chitarra Alessandro Peana e Fausto Delfini alla batteria (eh già.. niente bassista); infat-

a cura di ROMINA CIUFFA

TO MY DEEPEST EGO - ODYSSEA

ATTILIO FONTANA - A

SLSaintLouis MC

FE ED back

viglioso in cui a nessuno è concesso di rimanere più del tempo necessario per riuscire a cogliere melodie che soltanto un cuore aperto è pronto a ricevere. Romina Ciuffa

GIOVANNI SOLLIMA - WE WERE TREES Ci sono compositori che poco, poco sembrano «classici». Ci sono volte in cui la parola ‘musica classica’ si ha paura di pronunciarla, perché sembra masticata con un chewingum, e altre in cui arriva un artista in grado di far vibrare le corde, quelle del tempo e dello spazio oltre che dello strumento. È da poco in circolazione il nuovo lavoro di Giovanni Sollima, We were trees (per la SonyBmg), violoncellista e compositore estroso, artista sfaccettato le cui ultime commissioni gli arrivano da Yo-Yo Mundi e dal Maestro Riccardo Muti per il Ravenna Festival 2008. Ma che già tanto ha dato al cinema di Wim Wenders (Palermo shooting) o Marco Tullio Giordana (I cento passi) e perché no, Peter Greenaway (Nightwatching). Un cd che presenta 13 tracce intense, vibranti appunto, in cui, ci racconta Sollima: «… Gli archi, almeno per come li sento, hanno la forza evocativa dell’aria, del fuoco, del calore, del gelo e del respiro a pieni polmoni». Cinque racconti, ognuno diviso in più sezioni,

da Violoncelles, Vibrez! a L.B. Files, passando per Yet Can I Hear, Tree Raga Song e When we were trees. Sezioni concettuali di un album che cresce lentamente all’ascolto, come un albero, le cui fronde vibrano (Vibrez!) ad una brezza che sa di estate. Seguendole ci accorgiamo che l’albero lentamente cresce sempre di più, creatura dall’anima curiosa, mossa da un sentimento in passi di danza, flamenco e zarzuela (Fandango e Boccherini). Ed è l’improvvisazione a guidarli, una flebile speranza di luce a tarda notte (Voice and lyrics, con la partecipazione di Patty Smith), per aspettare, mentre tutto si rallenta fino alla stasi, senza però fermarsi mai (Cello, con Monika Leskovar), che il giorno ridoni movimento alle foglie della grande pianta. Forse Sollima pensava al ficus siciliano, pianta forte, generosa e solitaria, quando all’improvviso fiutò le melodie di Nyagrodha, quelle che però fanno pensare a Antonio Vivaldi. Flavio Fabbri

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