Music In N. 10

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  • Pages: 15
PERIODICO DI INFORMAZIONE, ATTUALITÀ E CULTURA MUSICALE

AVERLO ADDOSSO

UOMO ALLO SPECCHIO

di Flavio Fabbri

Quello che era un uomo allo specchio ha lo specchio rotto. Qualcosa che ricorda un film fantasy, in cui il protagonista un maghetto, un eroe, un sofferente - viene risucchiato in un altro mondo e perde il contatto con il proprio bagno mentre si domanda: «Who am I to be blind?», chi sono io per essere cieco? Quand’è morto, lo scorso 25 giugno, nello stomaco aveva solo Vicodin antidolorifico, Soma rilassante muscolare, Xanax antidepressivo in quantità impressionanti, e viveva nella terra di un Nessuno qualunque: Michael Jackson. (...)

Terremoto dell’Aquila. Bruno Carioti, direttore del Conservatorio Alfredo Casella, vede lontano, oltre le macerie e le passerelle dei politici: «Costruiremo un nuovo Conservatorio, più sicuro e moderno, che consideri lo studente il centro delle nostre attività e delle nostre attenzioni», e ci fa contenti. La notte tra il 6 e il 7 aprile 2009 un fortissimo terremoto pari a 5,8 gradi Richter (8°/9° grado della scala Mercalli) ha devastato l’Aquila e la sua provincia, causando quasi 300 morti e ingenti danni materiali stimati attorno ai 12 miliardi di euro, ma c’è chi dice ne serviranno molti di più. Anche il Conservatorio di Musica dell’Aquila, uno dei più prestigiosi d’Italia per tradizione e qualità dei docenti, è rimasto gravemente danneggiato. (...)

 CONTINUA NELLA PAGINA POPCK

 CONTINUA NELLA PAGINA CLASSICA-MENTE

di Roberta Mastruzzi «Il primo jazz che ho sentito era la tromba di Louis Armstrong che usciva da un carro arma to americano. Avevo 12 anni, è stata passione fin dall’inizio, una scoperta meravigliosa... insieme alla cioccolata». Gino Paoli, cantautore di quella che viene chiamata la scuola di Genova, ovvero un gruppo di amici che si chiamavano Fabrizio De Andrè, Luigi Tenco e Bruno Lauzi, ricorda così la sua iniziazione musicale: «Per me la musica è nata con l’ascolto del jazz. Dopo la guerra è arrivata la musica americana ed è arrivato lui». (...)  CONTINUA NELLA PAGINA SOUNDTRACKING

TREMA IL CASELLA

di Romina Ciuffa

GIOVANNI BAGLIONI

PINA BAUSCH

Direttore ROMINA CIUFFA Redazione Romina CIUFFA [email protected] Flavio FABBRI [email protected] Rossella GAUDENZI [email protected] Valentina GIOSA [email protected] Roberta MASTRUZZI [email protected] Luca BUSSOLETTI [email protected]

Contributi Lorenzo Bertini, Nicola Cirillo Alessandra Fabbretti, Gianluca Gentile Adriano Mazzoletti, Corinna Nicolini Paolo Romano, Eugenio Vicedomini Livia Zanichelli

Contributi fotografici: Romina CIUFFA Sabrina SIMONETTI Direttore Responsabile SALVATORE MASTRUZZI Progetto grafico Romina CIUFFA Impaginazione Romina CIUFFA Cristina MILITELLO Logo Caterina MONTI

Redazione Via del Boschetto, 106 - 00184 Roma Tel 06.4544.3086 Fax 06.4544.3184 Mail [email protected] Marketing e Pubblicità Mail [email protected] Tipografia Litografica Iride Srl Via della Bufalotta, 224 - Roma Anno III n. 10 Estate 2009 Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 349 del 20 luglio 2007

STEFANO MASTRUZZI EDITORE

ALTER

PATTI SMITH

&further

VALERIA VAGLIO

QUANDO DICI VIOLINO DI CAPRA

T

iritera1 o - il tema è più culinario che musicale - polpettone: manifestazioni di livello confermano Roma capitale anche nell’ambito musicale, altre deludono le aspettative e gli onori (e gli oneri) tributati. Facciamo i nomi: poche rischiano alla ricerca di vere produzioni originali, come l’Auditorium, i Concerti nel Parco, Rock in Roma, la Casa del Jazz (nonostante i tagli) e lo fanno con personalità, con cartelloni intriganti carichi di novità; lascia senza parole invece il programma di alcune rassegne come Villa Celimontana, che nonostante venga dichiarata manifestazione storica, presenta un programma da jazz-club, eccezion fatta per una decina di grandi concerti. Ma su tre mesi di programmazione sono un po’ pochini. Va bene promuovere le nuove leve, ma quasi 40 concerti con i saggi dei Conservatori generano il sospetto che si voglia riempire il calendario senza troppi sforzi, soprattutto economici. Pochi concerti ma originali e di spessore sono preferibili a polpettoni non commestibili. Anche gli editori di giornali e riviste hanno una parte di responsabilità. Oggi, la pagina dello spettacolo è invasa da comunicati stampa, più o meno tritati per dar l’impressione che ci lavori su, ma è noto che invertendo l’ordine delle parole il risultato non cambia. Nel gergo si chiama «cucina» e rappresenta un preciso orientamento editoriale. Senz’altro, la funzione di segnalare concerti ed eventi è encomiabile, ma una testata non può

ridursi a mero elenco di annunci, anche perché con pochi clic possiamo tenerci aggiornati autonomamente, in tempo reale, direttamente sui siti degli organizzatori di eventi. Scarseggia invece la critica, il giornalista che partecipa all’evento e ne parla nei giorni successivi, nel bene e nel male, senza ammiccamenti. Gli editori dovrebbero lasciar libere le penne dei giornalisti non solo per fare segnalazioni, ma critica a posteriori. A noi interessa conoscere l’opinione di chi per lavoro dovrebbe assistere a centinaia di concerti e avere, pertanto, una visione ampia per capire se un’artista quella sera si è concesso al proprio pubblico o se ha fatto una marchetta, se la scelta musicale è frutto di un progetto artistico o se non esiste alcun percorso, se il contesto organizzativo è piacevole o infastidisce, se il patron della manifestazione è una persona pulita al servizio della musica o dello smercio di cous-cous. Chi conosce la differenza tra un violino e un violino di capra2? 1 Tiritera [ti-ri-tè-ra] s.f. I Filastrocca, cantilena. II estens. Discorso lungo e monotono. 2 «Prodotto tipico per eccellenza il Violino di capra della Valchiavenna deve il suo nome alla forma simile a quella di uno stradivari. Si tratta infatti di un salume artigianale ricavato dalla spalla (spalata) e dalla coscia della capra con la zampa che funge da manico e la massa muscolare da cassa. La tradizione vuole che per affettarlo lo si maneggi proprio come lo strumento musicale, appoggiandolo sulla spalla e, utilizzando il coltello a mo’ di archetto, se ne ricavino delle piccole fettine» (cit., www.waltellina.com).

Stefano Mastruzzi

Music In  Estate 2009

a cura di ROSSELLA GAUDENZI

STELLY DAN Musicisti antipatici che parlano tra di loro per arcane semantiche in cerca del solo esatto che hanno in mente

PRURIGINOSI STEELY DAN uglio ha suonato bene, soprattutto quando, nella Cavea dell’Auditorium, i signori Donald Fagen e Walter Becker al secolo meglio noti come Steely Dan hanno regalato una serata speciale, all’insegna della musica colta. Colta? Già… per nulla pentito dell’aggettivo, perché lo trovo perfetto in binomio col concetto di «divertimento», che è forse la migliore chiave interpretativa per cercare di gustare le canzoni bellissime che questo duo, con alterne vicende e con discontinua cronologia, regala al pubblico da quasi quarant’anni.

L

I più brizzolati ricorderanno per certo più la figura di Fagen che con il suo Nightfly del 1982 portò un raggio di sole estetico ad un disgraziatissimo periodo per il pop raffinato, massacrato dall’elettronica fine a se stessa e dalle strutture imbarazzanti. Il singolo New frontiers diede addirittura filo da torcere in classifica al re Michael Jackson che nello stesso anno pubblicava Thriller, tormentone pur apprezzabile in quel desolante deserto musicale. Gli Steely Dan propongono una musica probabilmente più pensata e destinata alla cura dello studio e, in effetti, le loro performance live hanno sempre subito diversa fortuna, anche a causa delle manie del duo perennemente alla ricerca di una perfezione formale e ad una severità strumentale con pochi precedenti. Ma chi ha

potuto ascoltarli, e non sono in molti, garantiscono emozioni davvero forti. Alla loro corte sono transitati nei lustri musicisti del calibro di Larry Carlton, Mark Knoplfer, Jeff Porcaro, Joe Sample, Michael e Randy Brecker, Wayne Shorter... e le battute concesse alla recensione mi impongono di fermarmi qua. Collaborazioni che pur racconteranno qualcosa della qualità musicale di questi ormai anzianotti signori. Non simpatici, diciamo. Anzi, proprio antipatici. Dileggiano i fan, si parlano tra loro per arcane semantiche solo a loro conosciute, sempre in bilico tra perfezionismo e nevrosi, ostili a critici e giornalisti come la peste bubbonica, capaci di torturare un chitarrista per ore in studio alla ricerca del «solo» esatto che hanno in mente ma che non vogliono spiegare. E pensare che finirono financo in tribunale per una causa di plagio intentata da quell’altro «simpaticone» di Keith Jarrett, perdendola e finendo per dover risarcire il fragile pianista di Allentown. Ma pare che le declinazioni caratteriali appartengono ad una sfera extra-musicale e quindi con tranquillità le si può abbuonare in cambio dell’atmosfera meravigliosa che i due sanno garantire nel corso delle performance. Gli Steely Dan (invitiamo i curiosi ad investigare sull’origine del nome, pruriginosamente maliziosa) contano una discografia non sconfinata, in ragione degli anni insieme, ma costante nella qualità non solo musicale in senso stretto, ma anche tecnico, tanto che dopo tanti anni i loro dischi vengono utilizzati per testare le qualità degli impianti di alta fedeltà. Il loro ultimo lavoro risale al 2003, Everything must go, ma non occorrerà correre in negozio a trovarne una copia per gustare il concerto, perché la scaletta delle serate viene sempre cambiata e porta con sé brani nuovi e vecchissimi del duo, quando riarrangiati quando riproposti con lo stesso groove dello studio. Insomma, niente di meglio per una calda serata di luglio che una pioggia di note e di armonie divertenti ed una musica sempre fresca. Paolo Romano

OTIS TAYLOR Pentatonic Wars and Love Songs Ricattura il banjo per cantare la negritudine del blues

GIOVANNI BAGLIONI Figlio di Se tutti i «figli di» fossero così

TAYLOR NEGRITUDINE

Scivolo in una «trance blues» per banjo mandolino, violoncello e armonica elettrica, quando canto la fierezza degli oppressi sce in Italia Pentatonic Wars and Love Songs, l’ultimo album del bluesman della Windy City, Chicago, Otis Taylor. È stato detto più e più volte che la sua è una musica intrisa di negritudine, così come il suo suono viene definito, per i ritmi ipnotici ed ossessivi, per la voce calda e profonda, «trance blues». Dunque questo straordinario musicista, candidato per due categorie ai Blues Music Awards 2009 come «artista acustico dell’anno» e «miglior strumentista», fa nuovamente parlare di sé anche nel nostro Paese, con il nuovo disco che lo porta alla XV edizione di Roma Incontra il Mondo. Si potrebbe tracciare il profilo dell’innovativo Otis Taylor con la massima aderenza anche solo citando alcuni dei suoi album: indiscutibile il suo profondo radicamento nella cultura afroamericana, che si riconferma puntualmente ogni qualvolta prende in mano, suonandolo da virtuoso, un banjo. Da riascoltare a tal proposito l’album del 2008 Recapturing the Banjo, con

E

il quale egli riconduce lo strumento alle più autentiche radici, quelle africane, e conseguentemente al blues. Egli predilige anche, accanto al banjo e alla chitarra, un mandolino o un violoncello o un’armonica elettrica, strumenti del blues della tradizione ormai quasi caduti in disuso. È noto anche per la scelta dei temi che compongono i suoi lavori, che sempre si focalizzano sui diritti umani, sulla fierezza degli oppressi, in primis gli africani ridotti in schiavitù: When Negroes walked the Earth (1998), White African (2001). La sua voce intensa, roca ed aspra esprime ancora una volta con un’interpretazione ammirevole, una ricerca senza posa, il bisogno di denuncia, ed arriviamo a Truth is not fiction (2003). Il talento, la tecnica, l’originalità, il coraggio, il cuore: Otis Taylor li racchiude in sé e ne fa dono a quanti sono in grado di ascoltarli, sentirli, aprendo un varco alla più alta umana sensibilità. Rossella Gaudenzi

AVRAI UN’ANIMA MECCANICA da noi ricordare il padre, ci intratterremo qui - brevi righe - solo l ungi parlando di un chitarrista, Giovanni Baglioni, che sa suonare. E non è

poco. Talento naturale, acustica nell’orecchio e fra le dita, nel suo album d’esordio Anima meccanica mette ciò che di Michael Hedges il suo Pino Forastiere gli ha trasmesso: soprattutto tecnica - uso estensivo di accordature alternative e aperte, tapping a due mani, chitarra percussiva che questo figlio di re applica come Giotto. Del suo Cimabue replica spesso Aerial Boundaries, The Rootwitch, Arro w h e a d, ma l’album è tutto Baglioni: dalla sua R u b i k, un cubo spezzato e malinconico che è come un rompicapo, a quello che è, a tutti gli effetti, un gioiello, Bijoux, grande

MUSICA NUDA Nuda, e abbellita qua e là da qualche raro, prezioso gioiello: intimismo, introspezione, nostalgia. Un omaggio alla canzone italiana e a quella francese d’autore con soli due strumenti: voce e contrabbasso oce (di donna) e contrabbasso. Libertà ed emozione. Petra Magoni e Ferruccio Spinetti. È Musica Nuda sin dagli inizi della loro collaborazione, dal primo album inciso quasi per gioco nel 2004, perché procede per sottrazione, si affida alla forza evocativa e suggestiva di due soli puri strumenti: una voce e delle note di contrabbasso. Nel 2006 arrivano Musica Nuda 2 (con cui vincono il Premio Tenco) e Quam Dilecta, disco di musica sacra, progetti in cui iniziano ad essere ospitati nomi come Stefano Bollani e Nicola Stilo. Nel 2007 il duo produce un live registrato presso l’Auditorium di Radio France e, per suonare, si divide tra Italia e Francia. Quest’estate son passati per Roma - il tour dell’ultima fatica è Musica Nuda 55/21 (Blue Note), partito dal San Carlo di Napoli, che ha poi toccato Parigi e Nantes e resta in Italia fino a settembre -. È un lavoro intimista, romantico, nostalgico, un omaggio sia alla canzone italiana sia a quella francese d’autore, e il ritorno di Stefano Bollani, con Gianluca Petrella e Jacques Higelin. Inoltre brani originali affidati all’estro di Cristina Donà, Pacifico, Nicola Stilo, Silvia Donati, Stefano Bollani e David Riondino. Musica sì spogliata, ma abbellita qua e là con qualche raro e prezioso gioiello. (Rossella Gaudenzi)

V

di Romina Ciuffa

carica evocativa ed immagini rasserenanti seppur complesse; Insonne è il salto dentro un’audace nostalgia e, nel contempo, silenzio delle corde acustiche. In questi e negli altri 7 brani dolcezza e virtuosismo, una narrazione che si ascolta come favola, e preciso il tapping - l’uso di entrambe le mani sulla tastiera e ritmica percussiva sulla cassa - che lo salva da ogni accusa di strade spianate. Come ad agosto grilli e stelle, glieli prometteva suo padre dedicandogli «Avrai», ma anche un lavoro da sudare, un sole che uccide e pescatori di telline. Giovanni i discorsi chiusi dentro li trasforma in musica, e usa mani che frugano le tasche nella vita con tapping su una chitarra ineccepibile. E un’anima che è tutto fuorché meccanica.

SLMC

Music In  Estate 2009

JAZZ’S COOL Una full immersion dal TRIO FLY Mark Turner, Jeff Ballard 31 agosto al 6 settembre. Nel jazz d’autore e Larry Grenadier. Un volo in triposto.

SINDROME DA JAZZ’S COOL

Se

ttimana dal 31 agosto al 6 settembre di grande rientro con questa full-immersion di perfezionamento jazz riservata a musicisti di livello alto e medio-alto. Ogni giorno dalle 6 alle 8 ore di lezione di improvvisazione, interplay e linguaggio jazz con artisti internazionali. Quest’anno salgono in cattedra: Phil Markovitz al piano, Peter Bernstein alla chitarra, Mark Turner al sax, Larry Grenadier al contrabbasso, Jeff Ballard alla batteria, Nancy King alla voce. Le lezioni si tengono in piccoli gruppi da 6 massimo 8 allievi, permettendo così un rapporto personale quotidiano molto stretto con i docenti, un’opportunità praticamente unica di vivere a contatto con grandi artisti per diverse ore al giorno e per tutta la settimana. Ciascun iscritto può assistere gratuitamente anche a tutti i concerti del festival. Anche quest’anno, il Saint Louis College of Music si avvale della collaborazione della Casa del Jazz del Comune di Roma. Sotto ai pini, quindi.

TRIO FLY JAZZ’SCOOL

MARK TURNER IL SAX Es

pressività, intensità, estro. Il giovane californiano Mark Turner porta il timbro del sax tenore a livelli eccelsi di bellezza, purezza, complessità. Negli anni di studio presso la Berklee College of Music di Boston ha avuto modo di conoscere e lavorare con i sassofonisti Myron Walden e Chris Cheek, il trombonista Steve Davis, il chitarrista Kurt Rosenwinkel, convertendosi al jazz definitivamente; a seguire l’approdo a New York gli ha permesso di lavorare sin dagli inizi con musicisti quali James Moody, Joshua Redman e Jimmy Smith. Suona da anni con il trio Fly, accanto a Larry Grenadier e Jeff Ballard; ha all’attivo numerose incisioni tra cui alcune come leader, per la Warner Bros: In This World, Ballad Session. Originalità e rigore combinati insieme, a dare un inconfondibile apporto alla scena jazzistica dei nostri giorni.

«L

a più grande cantante jazz vivente»: così viene definita da Herb Hellis l’artista Nancy King. Ma anche: «artista cult... e senza compromessi» (Earshot Jazz). La cantante originaria dell’Oregon calca le scene di San Francisco dagli anni 60; decisivo l’incontro con Sonny King, suo futuro compagno, unendosi al suo gruppo. A fine anni 60 fa il giro del circuito Playboy della città jazz-club della città e si esibisce a Las Vegas, unendosi poi alla Charlie Smalls and Company. Incide tre album con Glen Moore, con il quale si esibisce presso la Town Hall di New York ed il Montreal Jazz Festival. L’impegno didattico culmina negli anni 90 insegnando insieme al pianista Steve Christofferson ai seminari della Stansford University, del Bud Shank’s Centrum e del Jazz Camp West.

pianista talentuoso come Phil Markowitz, che a fine anni 70 ha suonato nella band di Chet Baker, ha avuto modo di crescere e attraverso decenni di musica jazz ha potuto affinare la propria arte, divenendo un esperto arrangiatore e compositore sopraffino. Vanta tra le collaborazioni nomi quali Dave Liebman e Bob Mintzer; è stato alla testa inoltre di proprie formazioni, affiancato da Toots Thielmans, Eddie Gomez, Joe Locke e Al Foster. La profonda esperienza e la tecnica impeccabile lo hanno portato ad inoltrarsi nelle potenzialità dell’improvvisazione e padroneggiarle, e ha reso il suo stile maturo a tal punto da raggiungere uno stile personale caratterizzabile come punto di sintesi tra le influenze di McCoy Tyner e Bill Evans, il quale incise il suo brano Snos’ Peas nel celebre disco Affinity, rendendolo un classico del jazz.

PETER BERNSTEIN LA CHITARRA La

presenza del chitarrista newyorkese Peter Bernstein aggiunge alla rassegna Roma Jazz’s Cool un tocco in più quanto a classe, gusto spiccato, creatività. Egli è inoltre compositore e brillante sideman; la capacità di far rivivere il jazz della tradizione verrà affidata alla sua competenza del linguaggio jazzistico e alla padronanza delle possibilità espressive del proprio strumento. Tra le influenze, rilevanti quella di Jim Hall, Wes Montgomery, Charlie Christian e soprattutto Graham Green. Attivo sulla scena della Grande Mela dal 1989, vanta collaborazioni, per citarne alcune, con Jim Hall, Lou Donaldson, Jimmy Cobb, Tom Harrell, Lee Konitz, Diana Krall, Eric Alexander.

ADRIANO MAZZOLETTI

Il Trio Fly, già conosciuto in Italia per aver suonato a Umbria Jazz Winter, dà lustro quest’anno ai corsi del Roma Jazz’s Cool. Il sassofonista Mark Turner, uno dei più creativi e innovativi sassofonisti oggi in attività, è un esponente di punta della nuova scena di New York. Una lunga e prestigiosa carriera alle spalle hanno anche, gli altri componenti il trio, Jeff Ballard e Larry Grenadier. Il loro primo disco è stato pubblica to nel 2004 da Savoy.

NANCY KING LA VOCE

Un

a cura di ROSSELLA GAUDENZI

DI

(NELLA FOTO ABSTRACT SAX, PAUL BRENT)

PHIL MARKOWITZ IL PIANOFORTE

SaintLouis

NANCY KING Le foto possono anche dar da pensare. Ma la voce

JEFF LARRY BALLARD GRENADIER LA BATTERIA

IL CONTRABBASSO

Or

iginario di Santa Cruz in California trapiantato a New York nel 1990, è uno splendido batterista e percussionista, originale e versatile teso spesso a superare le frontiere accademiche del jazz. Nella sua biografia lo incontriamo con Ray Charles, con il sassofonista Lou Donaldson, con il pianista Buddy Montgomery, fratello del grande chitarrista Wes Montgomery che nel 1968 ha lasciato un vuoto incolmabile nel mondo del jazz e con il vibrafonista Bobby Hutcherson che in anni recenti ha dimostrato grande interesse per le radici africane e caraibiche della musica nera. Ma la perfetta maturità l’ha raggiunta con il trio di Chick Corea, con cui rimane per sei anni, incidendo tre lavori di notevole importanza.

Ca

liforniano come Jeff Ballard anche Larry Grenadier ha avuto pressappoco lo stesso percorso del suo collega. Anche per lui tutto ha inizio nel 1990, quando, dopo aver fatto dei gig nella zona di San Francisco, con Joe Henderson, Stan Getz, Bobby Hutcherson si sposta a Boston per entrare nella band di Gary Burton, per un ingaggio di circa un anno. Nel 1991 anche lui è a New York, dove dopo qualche tempo diventa uno dei contrabbassisti più richiesti. Lo troviamo a fianco di Betty Carter, Joshua Redman, che aveva incontrato già nel 1990 quando suonava con Burton, Danilo Perez, David Sanchez, Tom Harrell, John Scofield, Pat Metheny, Paul Motian, Charles Lloyd e soprattutto Brad Mehldau di cui diventa il contrabbassista abituale con il quale, anche lui come Ballard con Chick Corea, suona per sei anni assieme a Jorge Rossy. Ed infine anch’egli, musicista versatile ed originale, ha sempre avuto un forte interesse per i contrabbassisti degli anni 50/60 quali Percy Heath, Richard Davis, George Duvivier, Ron Carter, dei quali conosce perfettamente l’opera.

pop&rock a cura di LUCA BUSSOLETTI

Music In  Estate 2009

MORGAN Non c’è niente FRANCESCO DE GRE- DANIELE SILVESTRI Ognuno ha il suo piccolo razzo landi più semplice che odiarlo. GORI C’è chi del tempo non ciato nel blu dello spazio con dentro frammenti di sé/Ma sì lo so che avrei dovuto prenderti e sfidare il mondo, è solo che mi persi si accorge, come sul Titanic Come si odiano i sovrani.

D’ORO E D’ARGENTO DIVENTERÀ

NON AVRAI ALTRO

MORGAN

«

ALL’INFUORI DI LUI

Ora i tempi si sa che cambiano/ passano e tornano tristezza e amore/ da qualche parte c’è una stanza più calda/ sicuramente esiste un uomo migliore/ io nel frattempo ho scritto altre canzoni, di lei parlano raramente/ ma non è vero che io l’abbia perduta, dimenticata come dice la gente».

Scegli me fra i tuoi re/un vortice ci avvolge rà/ti prenderò, se mi vuoi/danzammo in due, lei se ne andò ed io ora/ho i ricordi chiusi in te/la tristezza dentro me/tra due mani, le mie/di lacrime, poi si bagnò il regno che ho chiesto a te, ed ora ho i ricordi chiusi in te/la tristezza dentro me/tra due mani, le mie/sono i cieli neri che, io so/non si scioglieranno più

«

L’Etat c’est moi (lo Stato sono io)»,

dichiarava il re Sole Luigi XIV nel 1670. Dopo quattro secoli il nostro pianeta conosce nuovamente un essere umano altrettanto egocentrico ed istrionico. Sempre di re trattasi, questa volta della musica popolare. Morgan, al secolo Marco Castoldi, è partito da molto lontano per giungere nelle case di tutti gli italiani. È partito dai premi della critica vinti col bellissimo progetto dei Bluvertigo per approdare a giudice acchiappa-ascolti di X-Factor. Tralasciamo i giudizi di qualità e concentriamoci su un uomo che ha reso se stesso musica. Lo spartito è il suo corpo su cui lui arrangia e riarrangia continuamente nuove melodie e su cui appone suoni nuovi e sempre più ricercati. C’è grande studio dietro al ciuffo canuto e alla giacca rinascimentale. C’è grande talento dietro ai giudizi x-factorini attraverso cui comunica con i concorrenti, pur continuando a comunicare solo con sé di sé. Nessuno si sarebbe aspettato un’evoluzione simile. Neanche Andrea Fumagalli, in arte Andy, quando lo incontrò a Monza nel 1988 e decise di formare con lui gli Smoking Cocks che poi divennero più tardi, nel 1994, i

Bluvertigo. Neanche la Mescal, la casa discografica di allora, che pubblicò tra il 1995 e il 1999 la trilogia acida Acidi e Basi, Metallo non Metallo e Zero - ovvero la famosa nevicata dell’85. Forse il suo pubblico fedele sì. Perché quando Morgan avvicina la bocca al microfono sa essere magico e sprigiona talento come luce. Chi abbia assistito ad un live con la sua presenza sul palco sa che quell’omino dalle unghie laccate ed il rossetto scuro è capace di tutto. Nella splendida canzone Cieli Neri cantava «scegli me tra i tuoi re», ma è lui che sceglie voi e lo sa. È direttore artistico del canale satellitare Match Music e parte della trilogia del talentshow di Rai Due. Ma soprattutto un musicista che ha appena pubblicato un nuovo disco intitolato Italian Songbook Volume I, in cui ricanta a modo suo il nostro patrimonio storico e fa da Cicerone alle nuove generazioni su ciò che rischia di andar perduto col funerale della nonna. È un altro buon motivo per non mancare il 20 luglio al Roma Rock Festival. Solo un altro pretesto per comprare il biglietto di uno show che promette molto di più di belle canzoni. (L c b )

DANIELE E L’ALFETTA

di Gianluca Gentile

D

aniele Silvestri è uno di quegli artisti che, nonostante il prestigio riconosciuto negli anni dalla critica e dai tantissimi premi, nonostante la solita gavetta, la carriera ormai quindicennale e le frequenti apparizioni televisive (Festival di Sanremo su tutti), per qualche strano motivo non riesce ad essere mainstream. Forse perché è un vero e proprio giocoliere della musica. Passa da uno stile all’altro senza difficoltà, districandosi ad agio tra i generi più disparati, che sia il pop facile, il rock, la disco, le ballate, le melodie latine e tribali o il jazz. Il punto è che riesce ad essere talmente sottile da far apparire facile anche ciò che in realtà non lo è. Lo abbiamo visto anche con singoli quali La paranza o Gino e l’alfetta, tratti dall’ultimo lavoro Il latitante (2007). I suoi brani trasfigurano la forma canzone tradizionale, appaiono spesso scanzonati e spensierati, sconfinano per giungere ad un significato che spesso si cela dietro le parole ed oltre la musica, tra ironia e allusione metaforica. Un talento compositivo che gli dà la possibilità di figurare tra gli artisti più eclettici, piacevoli ed intelligenti del panorama musicale italiano, in grado di suonare ad alto livello diversi strumenti e con un background che lo vede spesso a lavoro per il cinema e per il teatro, in veste di autore, attore e cantante oltre ad aver composto brani che figurano nei dischi di Tiromancino, P.F.M., Subsonica. Da sempre attento in prima persona alle problematiche

CREDITS ROMINA CIUFFA

sociali mondiali, le esibizioni dal vivo, oltre che essere occasione incredibile per immergersi nel variegato mondo del cantautore, sono soprattutto un mezzo per offrire il proprio contributo alle cause in cui crede, il raduno musicale contro le mine antiuomo, il concerto per Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani, le diverse partecipazioni al concerto del 1° maggio di Piazza San Giovanni, l’opposizione alla pena di morte, il dramma dei desaparecidos argentini. Silvestri è un cantautore moderno che non ha mai avuto paura di confrontarsi con nuovi suoni, di sperimentare, di giocare talvolta, senza dimenticare le proprie radici culturali e musicali. Per questo diventa quasi essenziale esserpresenti in tutti i suoi concerti, anche in quelli segreti. Non capita sempre di assistere alla storia moderna.

Il passare del tempo è inevitabile per tutti, vecchi, giovani, menestrelli e cantori. C’è chi dal tempo si lascia trasportare passivamente e chi cerca di muoversi con esso, sfruttando la spinta. C’è chi guarda con nostalgia ai fasti del passato e chi, pur nell’incomprensione generale, cerca di cambiare, talvolta adattandosi nel migliore dei modi, mantenendo la propria personalità. Siamo nel 2009 e Francesco De Gregori è ancora lì, immagine oramai stereotipata del cantautore italiano tra il politico e l’autobiografico, figura marmorea immortale che non soltanto si fa interprete dei processi della canzone d’autore italiana dagli anni 70 ad oggi ma che diviene simbolo, icona, di tutto un mondo che sembra quasi metafisico, irraggiungibile che travalica ed unisce più di tre generazioni. Alice non lo sa, Rimmel, Bufalo Bill, Viva l’Italia, Titanic, La donna cannone, album e canzoni cardine di tutta la produzione musicale italiana e colonna sonora emozionale della gente, tra gli echi del ‘68 e la denuncia sociale, la caduta del vecchio mondo e il sogno americano, gli anni di piombo e i suoi conflitti, l’emarginazione degli sconfitti, la forza di sputare la propria rabbia contro il sistema, le fittizie contraddizioni del benessere effimero e illusorio dopo il boom degli anni 80, un progresso che procede verso lo sfascio degli strati più deboli della popolazione, ma anche e soprattutto la nostalgia, la tenerezza, il ricordo, l’amore. È il «principe» dei cantautori italiani, tanto legato ai folksinger d’oltreoceano quali Bob Dylan, Leonard Cohen, Simon & Garfunkel quanto ai nostrani Luigi Tenco e Fabrizio De Andrè, tanto appassionato di musica tradizionale popolare quanto intellettualmente legato alla produzione poetica europea del ‘900. Il cantautore romano che ha sempre avuto una certa ritrosia verso i media si forma tra le serate passate nella prolifica e stimolante cantina del Folkstudio a Trastevere, culla di tanti altri giovani cantautori romani (Antonello Venditti, Ernesto Bassignano, Mario Schiano, Giovanna Marini, Mimmo Locasciulli, Edoardo De Angelis, Riccardo Cocciante, Paolo Pietrangeli, Giorgio Lo Cascio) ed esordisce a soli 21 anni con Theorius Campus insieme ad Antonello Venditti. Uno che non ha mai nascosto il suo modo di vedere il mondo e che spesso è stato frainteso negli intenti, nonché accusato e contestato pubblicamente, durante un concerto, di arricchirsi con la scusa del messaggio politico. Una sensibilità che sente più volte il bisogno di rifiatare, di prendersi degli anni di silenzio, ora lavorando in una libreria romana, ora improvvisandosi giornalista sull’Unità, diretta dall’amico Walter Veltroni. Ed ogni volta che ritorna qualcosa nella sua musica è cambiato. Niente più amore e schegge d’autobiografia, ma uno sguardo secco e limpido, amaro e disincantato sulla realtà e sui cambiamenti che essa comporta alle nostre anime, da parte di chi non ha più l’ambizione di cambiarlo. «Neanche la sinistra mi appassiona più. Canto frammenti di vita, dolore e confusione». La sua attività live invece è da sempre instancabile. Come il maestro Dylan, i suoi brani assumono forme nuove ad ogni concerto, guidati dalle suggestioni del momento. Il suo ultimo

di Gianluca Gentile CREDITS SIMONE PEZZANO

album, Per brevità chiamato artista (2008), si giostra tra quel songwriting di maniera che probabilmente non gode più dei lampi melodici e poetici degli anni d’oro. Ma forse anche questo è sintomo che i tempi sono cambiati. Ciò che non cambierà è la sua impronta. L’uomo che diventa esempio e modello di un certo modo di fare arte. La musica e le parole che divengono chiave di lettura personale ed intima di una realtà che si nutre dell’evasione del sogno per svelare il mistero apparente. Storie e racconti di uomini, compreso se stesso, esponenti di una quotidianità che appartiene a tutti e che si fanno metafora sensibile di universalità.

pop&rock

Music In  Estate 2009

MICHAEL JACKSON Per morire, comincerò dall’uomo nello specchio.

VALENTINA GIOVAGNINI Una onlus nel nome di una cantante-cometa

FABRIZIO DE ANDRÈ Sequestro Se ti tagliassero a pezzetti il vento li raccoglierebbe e il regno dei Ragni cucirebbe la pelle di ROMINA CIUFFA

 CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA

MAN IN THE L

a terra di Nessuno è dove viviamo tutti, non solo lui. La maggior parte di coloro che lo criticano - per aver cambiato pelle, per aver abusato di farmaci, per aver dormito in una camera iperbarica, per essere morto - prende benzodiazopine, Lexotan, calmanti, antidepressivi, Prozac e fluoxetina, stimola la ghiandola surrenale provocando un’eccesso di cortisolo, si garantisce sinapsi durature di neurotrasmettitori connessi con la serotonina e inibisce come e quando può le monoamminoossidasi (MAO). La maggior parte di coloro che il 25 giugno di quest’anno hanno pensato «se l’è cercata» non lo hanno mai nemmeno incontrato, non un concerto, non sanno dov’è l’Indiana e hanno trascorso la propria vita canticchiando Bad o Thriller tralasciando di conoscere Human Nature o The Lady in my life (che non riuscì mai registrare senza piangere). Pochi di essi hanno, in effetti, preso solo una camomilla tutte le volte che il padre ha rovinato loro la vita. Altrettanto pochi sono nati in uno sconosciuto paesino americano (Gary) dai villini a schiera e i giardini che sanno solo di BBQ e preghiere protestanti. Infine, pochi sono, in effetti, neri e quelli che lo sono non sempre hanno disforie come ne può avere chi, durante il corso della propria vita, decide di subire un’operazione di mutazione di genere (transessualismo) o di altro tipo (per tutti Dennis Avner, che si è trasformato in un gatto). Se vogliamo poi credere che fosse un pedofilo, crediamolo pure: stiamo credendo a ciò che dicono di lui, non a ciò che sappiamo esser vero. Ci sono fatti che resteranno sempre misteri, e non importa quanto ci accaniamo per odiarlo: non avremo mai le prove sufficienti per odiarlo di più. Certo che abbiamo bisogno di un capro espiatorio. Se poi fosse provato, non sarebbe difficile riportare la sua condotta a

MIRROR un’infanzia difficile, a un blocco della crescita, all’esperienza di una personalità traumatica. L’evidenza non potrebbe annullare mezzo secolo di successi, invereconde prove dell’esistenza di un dio Musica, il suo. Sin da quando, ultimo nato, era il leader tra i suoi fratelli nel gruppo di famiglia, i Jackson 5 e, a 11 anni, con I want you back superava nelle classifiche Let It Be dei Beatles; fino ad Off the Wa l l, primo album da solista, e negli anni un colorito sempre più pallido, poi una vipera d’estate che si scrolla di dosso la pelle. Collaborazioni con Freddy Mercury, Paul McCartney, Lionel Richie, Quincy Jones, Diana Ross, chiunque altro, lo storybook su E.T., We Are the World per l’Africa orientale, cinema (il ruolo da protagonista nel film in 3D Captain EO di George Lucas e Francis Ford Coppola, della durata di 17 minuti), e una camminata sulla luna - il passo Moonwalk per la prima volta durante lo show del 25esimo anniversario della Motown sulle note di Billie Jean -, la coreografia di Thriller (l’album da cui il singolo è estratto è stato certificato nel 2006 come il più venduto di tutti i tempi dal Guinness dei primati con oltre 104 milioni di copie), un innaturale delirio dei fans, Black and White e l’essere o non essere jacksoniano, il dolore fisso anche dentro a un sorriso, le sorelle La Toya e Janet, un’isola del famoso - Neverland - piena di giocattoli, luna e antidolorifici. C’era una lacerazione, in questo Peter Pan, evidente sin dai suoi primi anni di vita, quell’agghiacciante, insostenibile desiderio di non essere che solo alcuni hanno sperimentato, così evidente nello specchio di chi, come lui, ha passato la vita a romperlo con una parola sola: bad.

VALENTINA GIOVAGNINI CREATURA (E ONLUS) NUDA

O

riginaria di Pozzo della Chiana, una frazione del comune di Foiano della Chiana, Valentina Giovagnini è passata sulla musica italiana con la stessa velocità e luminescenza di una cometa. Come chi è? Nel 2002 strega l’Italia intera al Festival di Sanremo con Il passo silenzioso della neve. In perfetto stile nostrano la vittoria va ad Anna Tatangelo ma i cuori degli ascoltatori sono tutti per lei. La canzone riscuote ottimi giudizi dalla giuria di qualità e viene premiata con il premio per il miglior arrangiamento e nelle successive settimane raggiunge il 14esimo posto nella classifica dei singoli. Nel marzo dello stesso anno pubblica il suo primo album, Creatura nuda, e l’estate seguente partecipa al Festivalbar; ottiene inoltre una nomination agli Italian Music Awards nella categoria Rivelazioni. Poi, inspiegabilmente, arriva il silenzio ed un lungo periodo di tentativi frustrati di riemergere. I media, in tutto il loro cinismo, si riaccorgono di lei il 2 gennaio 2009, quando la cantante viene ricoverata all’ospedale Le Scotte di Siena in gravissime condizioni a causa di un brutto incidente stradale: è finita con l’auto contro un albero. Muore nella tarda nottata nonostante un disperato intervento chirurgico. La sua famiglia reagisce creando la Valentina Giovagnini Onlus. Scambiamo quattro chiacchiere col presidente Giacomo Giovagnini. Valentina a molti è sembrata un angelo di passaggio su questo pianeta. Pensi che la sua natura gentile si sposi bene con l’Onlus coordinata dalla sua famiglia?

a Sardegna accoglie una emotiva mostra, quella dedicata a Fabrizio De Andrè in tutti gli spazi del MAN, il Museo d ’ A rte di Nuoro, dal 16 luglio al 4 ottobre: omaggio alla figura e all’opera di un poeta e il racconto intenso ma insieme leggero della vita, della musica, delle esperienze di un anticipatore dei mutamenti e delle pulsioni della contemporaneità. Stregato dalla Sardegna, Fabrizio De Andrè l’aveva scelta come luogo per vivere, un «incidente della felicità» la definì citando Albert Camus. 11 lettere di scuse dei suoi sequestratori, e Nuoro gli rende omaggio. Come se, infine, De Andrè fosse stato il più sardo di tutti per quel tatuaggio indelebile di un sequestro sulla pelle. Nella seconda metà degli anni 70, in previsione della nascita della figlia, si stabilisce nell’Agnata, vicino il Tempio Pausania, insieme a Dori Ghezzi, sua compagna dal 1974 poi sposata nel 1989. La sera del 27 agosto 1979, vengono rapiti dall’anonima sequestri sarda e tenuti prigionieri nelle montagne di Pattada, incappucciati senza mai vedere la luce per i primi venti giorni di sequestro, liberati dopo quattro mesi - lei il 21 dicembre, lui il 22 - dietro il versamento di un riscatto di circa 550 milioni di lire pagato in gran parte dal padre Giuseppe. «...Ci consentivano, a volte, di rimanere a lungo slegati e senza bende. (...) Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai», ma i suoi sequestratori - gli confidarono - preferivano le canzoni di Francesco Guccini. Molti i pezzi ispirati al sequestro, che fu per lui l’incipit di una riflessione senza rancore sulla

Un episodio non musicale che descriva bene la sua anima? A novembre 2005 Valentina era in attesa di una notizia molto importante: aveva svolto il provino dal vivo per le selezioni di Sanremo Giovani 2006 e quella sera la Commissione avrebbe reso ufficiali i nomi dei partecipanti a quell’edizione. Durante l’audizione aveva ricevuto i complimenti, oltre che del presi dente della Giuria, anche del direttore artistico Paolo Bonolis. Udì una frenata agghiacciante sulla strada che costeggiava la sua abitazione, si affacciò e vide che una macchina aveva inve stito un randagio. Si precipitò in strada e rimase con quel cane finché non venne raccolto dal veterinario accorso dopo la sua telefonata. Valentina in quella occasione così pregava: «Signore, a me di partecipare a Sanremo non importa, ti prego, salva questo cane». Non si salvò, né lei quell’anno non part e cipò a Sanremo.

Certamente. Valentina era una creatura meravi gliosa sospesa tra sogno e realtà, sempre disponibile e generosa, pronta ad aiu tare chi era in difficoltà e a regalare un sorriso since ro, di quelli che vengono diretti dal cuore e vanno dritti al cuore, un angelo. Visto l’enorme successo che Valentina ebbe al suo esordio e tutto l’affetto ancora manifestato dal pubblico, come ti spieghi che la discografia abbia quasi subito smesso di investire sul suo talento? Perché Valentina era una persona semplice, modesta, pulita, trasparente, sempre se stessa e mai disponibile ad alcun tipo di compromesso. Quanto ha ottenuto lo deve ai suoi meriti e a qua lità speciali che trasmetteva con immediatezza: bastava incontra re il suo sguardo per rimanerne innamorati, ascoltare la sua voce per esserne incantati. Ma il mondo discografico italiano, fatto di compromessi, di clientelismo e freddi calcoli, succube di ogni tipo di potere e crea tore di miti fasulli, non se ne è accorto, non si è fatto neppure sfio rare dalla sua genuinità.

DE ANDRÈ A PEZZETTI

L

Cosa sognava una ragazza di 29 anni per la sua generazione? Amore, pace, giustizia, serenità.

di Romina Ciuffa

realtà sociale sarda; è del 1981 l’album senza titolo conosciuto come L’indiano dall’immagine di copertina, che raff i g ura un nativo americano, a rappresentare i sardi e l’assalto alla diligenza bianca - questi costretti sulle montagne dai cartaginesi, poi dai romani; i pellerossa confinati nelle riserve, privati di se stessi. È questo il momento del brano Hotel Supramonte (che sta per l’industria dei sequestri), di un De Andrè che riceve «un invito all’Hotel Supramonte dove ho visto la neve sul tuo corpo così dolce di fame, così dolce di sete», il ricordo del modo in cui i sequestratori, provenienti dalla Barbagia, si prendevano cura di entrambi (come neanche suo padre), e dirle «ma se ti sve gli e hai ancora paura ridammi la mano». Romanticismo politico e amore per il proletariato che è vittima, il perdono per un carceriere succube di un mandante imperdonabile. Per questo il 14 agosto 1998, durante un concerto a Roccella Jonica, De André lo dice: «Se nelle regioni meridionali non ci fosse la criminalità organizzata, come mafia, ‘ndrangheta e camorra, probabilmente la disoccupazione sarebbe molto più alta».

Qual è il primo progetto e lo sviluppo futuro di quest’associazione culturale? La prima importante iniziativa nata grazie alla stretta colla borazione con l’associazione Più Vita Onlus prevede la costru zione, in una comunità rurale del Nicaragua, di un’aula mensa infantile intitolata a Valentina. I lavori avranno inizio nell’ot tobre 2009 e avranno una durata di dodici mesi, al termine dei quali la struttura sarà in grado di ospitare circa 150 bambini. Riuscire a port a re avanti un progetto simile ad appena tre mesi dalla nascita della Valentina Giovagnini Onlus fa sperare di poter coinvolgere un numero sempre più grande di persone, così da allargare i nostri orizzonti e raggiungere nuovi tra guardi. Siamo su www.valentinagiovagnini.it. Luca Bussoletti

ALTER a cura di VALENTINA GIOSA

Music In  Estate 2009

MOGWAI Come Gremlins, dopo mezzanotte non vanno bagnati, esposti alla luce, NIN Carina questa macchina d’odio. nutriti. O si mettono a cantare

NIN NEBULOSA INCANDESCENZA NOTTURNA era una volta un genietto che eseguiva Mozart a sei anni, ma amava il metal. Potrebbe essere l’inizio di una favola dark, alla Tim Burton, ma tra quei due poli si racchiude come in una spirale lo spettro di dissonanze e psicosi di Trent Reznor, creatore e mente dei Nine Inch Nails. C’è stato un tempo, poi, in cui i NIN erano la nuova terra promessa del rock e Trent Reznor veleggiava tra le menti calde del pianeta nelle classifiche del Times. David Bowie, che in Outside attinse non poco alla loro fonte, li additò come nuovi Velvet Underground. Si era nel pieno degli anni 90, e i NIN, con la loro incandescente miscela di compattezza metal, sonorità elettro-industriali, vetrosità post-grunge, pomparono la giusta colonna sonora dentro le orecchie di una generazione resa da poco orfana di Kurt Cobain. Due album fulminanti come una rivelazione, The Downward Spiral e Fragile, tra ‘94 e ‘99, talmente corposi e densi da colmare a sufficienza il vuoto di quei cinque anni. Colate soniche, melodie rapprese, scariche elettriche, in un’ alternanza di pieni e vuoti che caratterizza anche il loro percorso musicale. Più del glam decadente degli

C’

di Lorenzo Bertini

Smashing Pumpkins e del trash teatrale dei Marilyn Manson, i NIN hanno saputo catturare e assorbire le pulsioni distruttive e l’energia cupa da pre-millennium tension. Vennero poi gli zeroes, l’apocalisse si materializzò sotto forma di 11 settembre, un bel po’ di roba è mutata. Nel frattempo Trent ha fatto in tempo a perdersi lungo le personali lost highway e a ripresentarsi al fronte, sempre tenendo alto il vessillo dell’indipendenza artistica, cavalcando le nuove tecnologie digitali contro l’industria mainstream. Del 2005 è With Teeth, seguita da una produzione torrenziale di progetti, collaborazioni e album. Year Zero del 2007, anno del definitivo sganciamento dal business musicale, Ghost I-IV e The Slip, del 2008, annunciati con fantomatici post da serial killer, 2 weeks, e scaricabili gratuitamente dal sito. Ma il meglio Reznor lo esprime dal vivo, in spettacolari perfomance dove lasciare esplodere tutta la sua sete distruttiva e incendiaria. Il live romano del 22 luglio, che li ha visti headliner all’Ippodromo delle Capanelle assieme a Tv On the Radio e Animale Collective, band di punta della scena indie americana dell’ultima decade, rischia di essere uno degli ultimi (almeno sotto dizione NIN), considerato il recente annuncio di fine corsa. A vent’anni esatti da Pretty Hate Machine, loro album d’esordio, la perfetta chiusura del cerchio.

L’ARTE «L’ AMO ROSA DEL NUA

arte non è un hobby, ma una necessità»: così il giovane compositore Roberto Fiore crea Nua - L’arte amorosa, la cui edizione estiva 2009 è ospite dal Circolo degli Artisti di Roma, fucina di creatività. L’evento, articolato in varie sessioni annuali, catalizza intorno a sé in un clima di creativa contaminazione le opere di decine di artisti professionisti emergenti, non ancora famosi (NUA è l’acronimo di New Unknown Artists), ed è giunto alla sua sesta edizione con una notevole partecipazione di pubblico e di addetti al settore (1200 visitatori nell’edizione di giugno 2008). La prima edizione estiva del 2009 ospita vernissage di pittura, scultura, fotografia, grafica e video arte, ai quali seguono rappresentazioni di musica e danza: uno spazio-tempo per presentare, gustare e discutere di un’arte sconosciuta ai più, «l’arte dei giovani che vivono la vita di tutti, parlano con la vita di tutti, sentono la vita di tutti, creando qualcosa per tutti».

PRIMA DONNA atti Smith nasce artisticamente come poetessa che attraverso il potere visionario della musica trova la formula perfetta per raggiungere un pubblico più ampio che si riconosce nei suoi versi intrisi di ribellione. Inizia la sua attività discografica nel 1975. La sconfitta del movimento culturale giovanile americano di fine sessanta aveva portato la musica da un lato ad un ripiegamento in se stessa e dall’altro verso un certo pop rock di massa. Il contesto politico è tra i più deprimenti (la fine della guerra del Vietnam e le dimissioni di Nixon in seguito allo scandalo Watergate). In forte contrasto a questo scenario, la scena musicale americana di quel periodo vive una tra le più grandi esplosioni creative che abbia mai vissuto. Siamo alla metà degli anni Settanta e si

P

avverte l’esigenza di riportare il rock alle sue radici. La scena si sposta dalla California alla Grande Mela. Principalmente in due club: CBGB e Max’s Kansas City. Qui le giovani band non hanno interesse sull’aspetto tecnico ma sprizzano fuoco ed energia (New York Dolls e Ramones su tutti) in netto contrasto con la tranquillità e l’introspezione del cantautorato americano e soprattutto del pop rock mainstream di quegli anni. Altre ancora (Television e Talking Heads) vertono verso l’intellettualismo con riferimenti poetici che si spostano dall’era beat ai poeti maledetti Verlaine e Rimbaud per evadere ed essere un’alternativa al mercato

dominante. Patti Smith recupera questi due elementi (energia ed intellettualismo) con una carica di rabbia non sopita di chi non accetta la sconfitta del movement di fine Sessanta («scon fitti i miei fratelli maggiori ma non io»). La femminilità dirompente è però l’elemento innovativo. Fino ad allora infatti, la donna (con l’eccezione di Janis Joplin e Grace Slick) aveva avuto un ruolo marginale nel rock. Insieme a Debora Harry dei Blondie, la Smith segnerà l’inizio di un ondata di donne in un mondo essenzialmente maschilista. Riprende il discorso che, per cause naturali, la Joplin era stata costretta ad interrompere indicando la strada ad una generazione intera di ragazze per poter suonare il rock in maniera completa e libera sotto ogni punto di vista senza doversi limitare e di trattare i testi (che normalmente parlavano di donne e di automobili) alla maniera di un educanda dal vestito castigato. I contenuti che la Poetessa canta sono personali, politico-sociali e legati al femminismo («outside the society I wanna be») senza farsi scudo di nulla. È la prima donna che va in scena come un uomo e non si pone il problema della femminilità. La band rimane dietro poiché la protagonista è solo lei. L’impatto dei primi dischi dal sapore underground sull’ascoltatore è enorme. Diventa star planetaria nel ‘78 in piena era punk (verrà inserita in questo contesto più per legami ideali che musicali) soprattutto grazie a un brano scritto per lei da Bruce Springsteen: Because the Night. Patti Smith lo prende, lo re-inventa e lo fa suo cancellandone la sofferenza springsteeniana e facendolo diventare capolavoro di perdizione totale. All’apice del successo con Wave (1979) scioglierà la sua band (il Patti Smith Group) per ritirarsi dalle scene e condurre una vita domestica con suo marito Fred Sonic Smith. Tornerà nel 1988 con un inno dal sapore populista: People Have the Power. Pubblicherà dischi con il contagocce. Lo farà solo quando avrà davvero qualcosa da dire. Divina, irriverente del rock: «Gesù è mort o per i peccati di qualcun altro, non per i miei». Eugenio Vicedomini

PATTI SMITH Gesù è morto per i peccati di qualcun altro, non per i miei

MOGWAI: MAI NUTRIRLI PRIMA DI MEZZANOTTE dubbio fra i maestri Sonosenza della generazione post-noiserock fatta di feedback, digressioni, malinconia, instintività e schizofrenia. Esponenti della scena di Glasgow, i Mogwai nascono nel 1995 prendendo il nome delle creature del film Gremlins. Inizialmente sono un organico di 3 elementi: con Stuart Braithwaite ci sono Dominic Aitchinson al basso e Martin Bulloch alla batteria. Pochi mesi dopo un

secondo chitarrista, John Cummings, poi Barry Burns alle tastiere e flauto. Oltre a numerosi ep la band pubblica 6 album, (l’ultimo, The Hawk Is Howling, è del 2008). Compone ed esegue la colonna sonora per Zidane: A 21st Century Portrait, vincitore del Turner Prize e definito dall’Observer «il più grande film sul calcio mai realizzato», che riceve nel 2006 un’ovazione interminabile a Cannes oltre al consenso unanime di tutta la stampa inglese. Nel corso dello stesso anno i Mogwai registrano, insieme ai Kronos Quartet e al compositore Clint Mansell, la colonna sonora del nuovo film di culto della science fiction The Fountain (L’Albero Della Vita). Valentina Giosa

MAL D’AFRICA

definiamolo proprio mal d’Africa. Perché è quello che è, dolore, fame. Ma ci sono i progetti: quello della HealthAid Onlus, ad esempio, che mette in ballo strumentistica e musicisti (all’Ex-Mattatoio di Roma, nella fattispecie, dove ammazzavano le vacche ed oggi si pensa a ricostruire scuole). Un progetto che oggi fa un concerto a Roma, ma non si ferma perché è internazionale e intende migliorare le condizioni sanitarie di una comunità rurale del nord del Ghana. La mobilitazione sanitaria è gestita da staff locale e coordinata da personale medico in collaborazione con volontari italiani. Si mira ad educare la comunità di Saboba e Chereponi in materia di igiene, prevenzione e sanità pubblica. La formazione di staff locale garantirà più coinvolgimento da parte della comunità e la continuità del progetto, una

Ma si,

volta esaurito il contributo italiano, attraverso la costituzione di uno Youth Club. La onlus dà la possibilità ai partecipanti italiani di conoscere e confrontarsi con la cultura africana dei Kokombas. Intanto 10 quadri musicali per illustrare il racconto di un griot sull’insaziabilità degli abbienti, sulla necessità di misura e la rivincita degli umili, e 5 strumenti per descrivere una storia: per l’Africa suonano i Sagen (Madya Diebate per kora e voce, Angelo Olivieri al flicorno, Francesco Lo Cascio al vibrafono, Stefano Cesare al contrabbasso, Marco Ariano per batteria e percussioni). Romina Ciuffa

ALTER

Music In  Estate 2009

FRANZ FERDINAND Hanno ucciso Ferdinando d’Asburgo nel 1914 ed ora, infatti, cantano con i Killers e i White Lies

MASOKO Davanti a un masochista ci deve essere, sempre, un sadico. Altrimenti

FANO MOONLIGHT FESTIVAL A chi ama la luce della luna, a chi è cresciuto con le sonorità elettronicodecadenti degli anni 80, a chi con la musica impallidisce

FRANZ FERDINAND RIVOLUZIONE INDIPENDENTE di Gianluca Gentile

Cer

to che se la band di Glasgow al momento della scelta del nome avesse avuto l’intenzione di scatenare effetti simili a quelli che ha comportato l’evento a cui esso si riferisce, la missione non sarebbe per niente fallita. Già, perché l’assassinio di Francesco Ferdinando d’Asburgo il 28 giugno 1914 a Sarajevo fu la causa scatenante della dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia, nonché atto d’inizio della prima guerra mondiale. Allo stesso modo i Franz Ferdinand hanno quasi cambiato le sorti del mondo col loro esordio nel lontano 2004, innestando un processo che, non soltanto ha portato una band indipendente a scalare da subito le classifiche di tutto il mondo, ma anche a divenire modello primo di tutto un filone del rock britannico odierno, scatenando la nascita di una infinità di band cloni nell’aspetto e nello stile musicale. Così Alex Kapranos e soci nel giro di due album (Franz Ferdinand e You Could Have It So Much Better) hanno forgiato un sound unico e peculiare che sa unire l’energia del rock alle raffinatezze del pop, il tutto scandito dalla melodia dominante delle chitarre e della voce, sfornando una serie impressionante di singoli i cui motivi risuonano nelle menti di tutti, profani e non. Invincibile punto di forza le loro perfomance live intrise di pura energia, giungono a Roma (Capannelle) in compagnia di due band altrettanto sensazionali quali The Killers e White L i e s. Tonight (2009) poi, il loro terzo album, ha

SIAMO TUTTI veramente spiazzato tutti. Al loro sound inconfondibile di matrice punk-rock si aggiungono le magie infinite dell’elettronica, i synth e i suoni vintage anni 60, le suggestioni tribali, la disco music anni 70, il kraut-rock tedesco e soprattutto il dub. Un disco che probabilmente tende a operare una separazione tra i nostalgici dei primi due dischi e chi continuerà, pur nell’innovazione, a cogliere il talento di quella che senza dubbio è una delle migliori, se non la migliore, band rock-pop odierne. Non si può dire cosa sarebbe accaduto se quel giorno Francesco Ferdinando non fosse stato assassinato; quel che è certo è che se non ci fossero stati i Franz Ferdinand si parlerebbe di tutto un altro rock.

D

MASOKISTI

all’altro lato, però, cinici. Giorgio Canali incontra quattro figli degli anni 90 e nascono dischi come questo: canzone d’autore con scariche elettriche del punk. Masokismo, l’ossessione per un corpo perfetto, ubriacarsi per socializzare, sapere sempre come comportarsi. Attivi come Masoko dal 2002, tra il 2003 e il 2007 aprono i concerti di Kaiser Chiefs, Babyshambles, The Rakes, Art Brut, Solex, Xiu Xiu, Bugo, Max Gazzè, Giardini di Mirò, Yuppie Flu, La Crus e tanti altri ottenendo consensi dalla critica musicale nazionale più autorevole: «Punto di forza del quartetto romano è l’autoironia, che diventa gentile rimbrotto nei confronti di un’intera generazione di indiesnob, tra sonorità new wave nervose e testi acuti» (da XL/La Repubblica). «Non sono soltanto bravi e svegli: si muovono con grande disinvoltura nel rock, o meglio in un intelligente mix di rock, pop, new wave e canzone d’autore, una ricetta condita con testi tutti in italiano, la giusta dose di punk, un pizzico di dance e soprattutto molto gusto per il divertimento» (da Il Messaggero). Nel 2004, premio speciale della critica di Rockit ed iniziano una frenetica attività live. Nel 2005 si classificano primi al Today I’m Rock, vincono le selezioni di Arezzo Wave Festival e si esibiscono all’Heineken Jammin Festival. Il brano Superattico è incluso all’interno della compilation distribuita da Rumore. Partecipano insieme a Marlene Kuntz, Mariposa, Amari a Lo zecchino d’oro dell’un derground, prodotto da Snowdonia, con il

brano La compagnia. Nel 2006 la stessa etichetta pubblica il loro primo album Bubù 7te. Nel 2007 si esibiscono allo Sziget Festival di Budapest. Nel 2008 offrono il loro primo contributo musicale al cinema italiano e lo fanno per il film Riprendimi, prodotto da Francesca Neri per la regia di Anna Negri con la canzone 2 dita remix. Nel luglio 2008 pubblicano l’Ep M, per la neonata Hit Bit Records di Roma, che contiene 5 tracce pop, punk, rock, disco, anche il featuring degli Amari Musica. A marzo 2009 c’è Masokismo (Snowdonia/Audioglobe), loro secondo disco che si avvale della produzione artistica di Giorgio Canali, chitarrista nei C.C.C.P., poi nei C.S.I., oggi nei P.G.R. e produttore artistico della scena musicale alternativa (Verdena, Timoria, Noir Desir,Tre Al l e g r i Ragazzi Morti, Bugo). Oggi che sono tutti figli di..., nel senso di qualcuno - che non creano musica ma si rifanno a... - ecco, oggi ci sono questi masochisti che si offrono, originalmente, ad ogni sadico che c’è in circolazione. Li distrugga pure. Loro hanno dei progetti in testa sì, per esempio una rivoluzione, «comincerei adesso ma non ho fatto ancora colazione». Mentre, a me, fanno pensare: cosa mi manca? «Ho tutti i miei comfort per essere felice, per non pensare più a te: vasca ad idro massaggio, freezer con il ghiaccio, momenti visionari, strumenti musicali, aria condizionata, l’erba e l’insalata» e, soprattutto, «un porno da finire, un altro da iniziare». Romina Ciuffa

FANO/CHIARO DI LUNA DARK Dedicato a chi ama la luce della luna, a chi è cresciuto con le sonorità elettronico-decadenti degli anni 80, a chi le ha incontrate dopo o a chi deve ancora sco prirle, il Fano Moonlight Festival è il primo evento in assoluto in Italia dedicato alla corrente dark-new wave. 3 giornate ricche di concerti, conferenze, djs, libri, musicoterapia, incontri con musicisti e dibattiti nella cornice del porto Marina dei Cesari a Fano. Un festival che coinvolge il pubblico attivamente dal mattino fino a notte fonda, vera e propria full immersion nella musica che ha appassionato un’intera generazione e che continua ad essere attuale e fonte di ispirazione per molti (basti pensare al forte ritorno delle sonorità electro nella musica come al look glamour rock o il punk style nella moda). Band storiche come Sex Gang Children, Specimen e gli italiani Neon e i nuovi nomi di punta della scena electro-wave degli ultimi anni fra cui Din [a] Tod, Spetsnaz, Gothika. SPETSNAZ

GOTHIKA

DIN [A] TOD www.myspace.com/dinatod il 1° agosto alle ore 21.30 Il loro nome criptico e il simbolismo non inducono ad una facile categorizzazione della band di Berlino. «I simboli non sono nient’altro che immagini concentrate - afferma il cantante Sven -. Tutti i nostri pensieri sono guidati dalle immagini. Il potere inerente a tali simboli è simile a quello che viene emanato dalla musica: può rinvigorire, affascinare e causare sconvolgimento. Tutto ciò è Din[A]Tod». Sven e Claudia hanno formato i Din[A]Tod nel 2003, annoiati dalle bands che seguivano la solita linea di chitarra/basso/batteria e iniziano ad amalgamare il suono degli inizi degli anni 80, dai Joy Division ai primi Sisters of Mercy, insieme all’elettronica minimale. Nel 2004 registrano la prima demo, nel 2005 firmano con la casa discografica tedesca Out of Line Music e realizzano il loro singolo di debutto su vinile 10’’. Due anni dopo il gruppo fa parte della line up dell’Out of Line Festival Tour . Nell’aprile 2009 esce il loro secondo album Westwerk, che presentano in anteprima per l’Italia. SEX GANG CHILDREN www.sexgangchildren.com www.myspace.com/sexgangchildren il 31 luglio alle ore 23.50 I Sex Gang Children si formano a Londra nel 1981, guidati dal cantante Andi Sex Gang. La band si contraddistingue subito per il sound cupo e tribale e la teatralità macabra da cabaret oscuro conferitole dalla voce acida del leader. Un

gruppo che non ha bisogno di molte presentazioni, tra i più importanti della scena Batcave dei primi anni 80 che influenza l’estetica del movimento dark di quel periodo e di quel che verrà dopo. È di prossima uscita il nuovo cd album Viva! con inedite composizioni che i Sex Gang Children. NEON www.neonfactory.it www.myspace.com/ neonofficial il 1° agosto alle ore 22.45 La storia del rock Italiano passa da qui. Dopo 20 anni di assenza dalle scene, tornano ad esibirsi i Neon con la line up originale. I Neon, tra i più attivi gruppi della new wave tricolore degli anni 80, nascono come duo nel 1978 a Firenze. Dopo un inizio esclusivamente elettronico con il singolo Information of Death del 1980, attraverso numerosi cambi di formazione arrivano a sintetizzare una miscela di ossessività elettro, atmosfere oscure e melodie pop piuttosto originali che prendono forma nei successivi lavori Tapes of Darkness (1981), Obsession (1982), My Blues is You (1983), Dark Age (1984) e soprattutto il maturo Rituals del 1985. L’eccellente produzione in studio, unita ad un’intensa attività live, contribuisce a fare dei Neon una delle poche icone della musica alternativa Italiana degli anni 80. GOTHIKA www.myspace.com/gothikatokyo il 31 luglio alle ore 21.30 Una band bizzarra e dal look stravagante dal Giappone nata dalle ceneri degli Euthanasie, i Gothika nascono nel gennaio 2007 dopo

il loro primo tour europeo che li vede protagonisti di ben 16 concerti in 10 Paesi. I Gothika (Andro alla voce e #449 alle tastiere) hanno un sound elettronico che si rifà principalmente alle sonorità degli anni 80. Nel 2008 suonano nel famoso Wave Gothic Treffen di Lipsia (Germania) e ancora al Summer Darkness in (Olanda) per il secondo anno consecutivo. Da lì a poco firmano il loro primo contratto discografico con la Danse Macabre. Dopo il primo album prodotto da Bruno Kramm dei Das Ich, la band sta per pubblicare un secondo lavoro. 8 tour europei e più di 90 concerti in Europa negli ultimi, mentre oggi sono fra gli ospiti più attesi del Moonlight Festival. GLOBAL CITIZEN www.myspace.com/globalcitizenuk il 1° agosto alle ore 20.30 Vengono da Londra e propongono un dark electro-industrial dalle atmosfere cupe e sensuali. Nel 2009 è prevista l’uscita del loro secondo album Nil By Mouth e al Moonlight Festival ne daranno un’anticipazione. SPETSNAZ www.myspace.com/spetsnazebm il 2 agosto alle ore 22.30 La band svedese Spetsnaz si è formata nell’autunno 2001 ad Orebro in Svezia da Pontus Stalberg e Stefan Nilsson. Il primo ep, Perfect body, raggiunge subito la vetta delle charts alternative di Germania, Francia e Svezia. Un anno dopo è la volta di Totalitar, album che consacra definitivamente gli Spetsnaz ad essere una delle band più interessanti del panorama electro europeo.

GLOBAL CITIZEN

A CURA DI VALENTINA GIOSA

MUSIC

Music In  Estate 2009

INFERNO OPERA ROCK Noi che all’Inferno ci mettiamo a ballare.

a cura di ROMINA CIUFFA

LADY OSCAR. FRANCOIS-VERSAILLES ROCK DRAMA Intervista a Cristiano Leopardi Tre briganti con spada e con lancia, agguato a sua maestà

BENVENUTI ALL’INFERNO di Alessandra Fabbretti

I

nferno Opera Rock - dell’associazione musico-teatrale Assometa (non ferma: West Side Story, Rugantino, Notre Dame de Paris e altre 4 realizzazioni), regia di Fabio Rosati e direzione artistica di Maria Vittoria Frascatani - è più di un musical: è un intreccio emozionante di poesia, musica, ritmo, danza, recitazione. Un’espressione artistica a tutto tondo che cattura i cinque sensi e coinvolge mente e anima. Perché Igor Conti (testi e musica), nel riadattare parte del capolavoro di Alighieri, ha deciso di portare con sé tutti - pubblico e attori - nel viaggio più terribile e fantastico che la storia della letteratura abbia mai conosciuto: l’Inferno. «Ero in cerca di un autore serio e drammatico che avesse un valore didattico, quando la mia attenzione è caduta casualmente su Dante: l’idea fu fulminante. In meno di un anno l’ho messo in scena. l’Inferno descrive le sofferenze dei dannati con una dram maticità per la quale mi sono sentito incline a dar loro un’entità musicale. Non ho scartato il Purgatorio e Il Paradiso, ma li riprenderà in seguito, perché sto terminando un’altra opera.» Grande libertà di scelta nei generi musicali, che spaziano dal rock alla pop music, dai ritmi etno all’heavy metal. Le coreogra-

fie (di Laura Apostoli) comunicano ciò che con le parole non si può dire, dando voce a quei personaggi che devono restare muti: di grande effetto l’incontro di Dante con le fiere, o la lotta a colpi di metal e pop tra angeli neri e angeli di Dio alle porte di Dite. Ai dannati cui è lecito parlare, figure magnifiche dell’immaginario poetico dantesco, spetta il compito di esprimere la drammaticità della loro eterna condizione: Ulisse, Pier delle Vigne, Francesca da Rimini, il Conte Ugolino. «Adattare i versi in musica è stato molto laborioso, non pote vo alterarne il contenuto, né potevo aggiungere parole nuove, tutto questo in un impianto melodico moderno. Ho dato anche voce a Lucifero e Semiramide.» Mentre Dante e Virgilio (Piero Nicolini e Fabio Rosati) si muovono nel percorso infernale che, grazie alle abili scenografie di Igor Great, rendono l’effetto dantesco moderno e fruibile senza perderne il contenuto, le terzine del primo cantico risultano fluide e scorrevoli, amalgamate e cadenzate dal ritmo sempre mutevole della musica. E così la creazione di un poeta trecentesco torna a vivere, le rime e gli endecasillabi palpitano nei balletti dei personaggi, e l’aspetto più fragile dell’esistenza umana - il suo essere dopo la morte - non è più mero spunto poetico ma centro di un percorso fisico ed intellettivo geniale e complesso, quale mistero inafferrabile e incomprensibile, su cui arte e spiritualità convergono in un dialogo a cui il punto ancora non è stato messo. Laddove manca l’amore la pena è la conseguenza che ci ricorda che, se vogliamo un mondo migliore, non esistono altre strade se non quella dei sentimenti e del giusto. Il messaggio assurge ad unica verità senza tempo che culmina nella consapevolezza dell’esistenza di una salvezza.

LADYDAGLIOCCHIBLU Il Sistina stesso li ha cercati. Un successo inaspettato per un musical, quello di Lady Oscar, e solo perché hanno lasciato prevalere il cuore, non lo show

Q

uando l’occasione è ghiotta, torniamo a parlare dei nostri miti. Stavolta si torna su Lady Oscar e ci incuriosisce lo straordinario successo registrato dal musical in due atti ispirato al manga di Ryoko Ikeda Versailles no bara, dal titolo suggestivo: Lady Oscar. Francois-Versailles Rock Drama. Direzione, testi e musiche di Andrea Palotto, coreografie di Rita Pivano, prima un debutto al Teatro Vascello il 20 marzo 2009; in scena fino al 5 aprile, poi, improvviso, un grande salto: non nel vuoto, ma al Teatro Sistina. Un lavoro di qualità rispetto alla media (ahinoi) dei musical che ci propinano nel nostro Paese, e, per chiudere una sorta di cerchio magico, musical di successo, ma non di un successo annunciato. Un successo sudato legato al passaparola di un pubblico entusiasta, unito alla valutazione critica degli esperti del settore. Una prima settimana di avviamento in crescendo, una seconda di sold-out totale. Qualcuno della direzione del Sistina segnala il lavoro e propone su due piedi un ingaggio per 8, 9 e 10 maggio. Tiriamo un

c’

sospiro di sollievo: si può parlare ancora di meritocrazia. Il nostro interlocutore è Cristiano Leopardi, attore della compagnia Uscita d’Emergenza, entrato a far parte del cast nella maniera più tradizionale. Trovo notizia del provino per interpre tare il ruolo di André su internet; la parte è assegnata a Danilo Brugia, attore televisivo dalla visibilità maggiore (Centovetrine, ndr), ma mi viene proposto il ruolo del soldato della guardia reale Bastien, l’Alain del manga originale. È piaciuta molto la mia fisicità, quindi il personaggio è diven tato più scattante e mobile. Amico stretto di Robespierre, egli non ne possiede né il ceto sociale, né conseguentemente le basi culturali: è sanguigno, spaccone, legato alle questioni del vive re quotidiano; orfano di padre, ha sempre dovuto prendersi cura di madre e sorella, dando vita ad un quadro di amore fraterno che è uno dei nodi centrali dei rapporti d’amore dell’opera,

come quello tra Oscar e André, Maria Antonietta e il Conte di Fersen. Le ragioni di tanto successo? Il pubblico avverte quando in uno spettacolo chi ci lavora ci mette il cuore, e qui lo ha percepito, da parte di tutti: ballerini, coreografa, cast intero. Pur se non è uno spettacolo perfetto: le critiche sono state mosse nei confronti delle canzoni, della rea lizzazione dei personaggi, del modo di recitare. Elogio il grande coraggio della produzione: si parla di ragaz zi tra i 28 e i 40 anni che hanno investito tutto in questo proget to. Ciò che fa la differenza, rispetto ad altri musical italiani, è il livello generale medio-alto. Purtroppo in Italia, a differenza di America e Paesi anglosas soni, si punta non su chi sa far bene questo mestiere ma su chi fa botteghino, e continuano ad uscire prodotti di scarsa qualità. Lady Oscar. Francois- Versailles Rock Drama è riuscito a sov vertire in parte questo ordine… Una piacevole sorpresa che non dimenticherai. La matinée fatta per le scuole. Il teatro pieno, due ore di atten zione e concentrazione che mi hanno realmente stupito. C’è dav vero da ben sperare.. Rossella Gaudenzi

Music In  Estate 2009

MOTUS DANZA La guerra per una compagnia di danza è una notte di passione

LA COMPAGNIA L’ha supervisionata Pina Bausch

TATIANA BAGANOVA L’illusione stolta del ballare

N

«Vogliamo un pubblico più numeroso, ma anche un pubblico che, attraverso l’arte, vuole interessarsi e interrogarsi su questioni che lo riguardano.» Motus Danza

on fate la guerra. Servirsi dell’arte per farsi sentire. Per essere scomodi. Per una buona causa. Il che non significa fare i buonisti di turno che vogliono ostentare e mettere in bella mostra un animo angelico, ma per un senso civico innato, che ci fa essere curiosi del mondo e ci fa sentire partecipi del destino del mondo. Abbiamo una forte potenzialità tra le mani, e abbiamo la libertà di decidere che direzione prendere. Potremmo concepire la danza, poiché di questa forma d’arte si parla, come l’esaltazione della forma, della bellezza, dell’estetica; ma no, abbiamo una diversa propensione. Decidiamo di utilizzarla per esaltare invece un contrasto, ci sentiamo degli «engagés» eti-

FATE di Rossella Gaudenzi

L’AMORE LA COMPAGNIA Un

Il progetto ha preso piede nel 2008 all’Accademia Nazionale di Danza di Roma e dopo un anno intenso di formazione debutta il 27 giugno a Venezia al Teatro Piccolo Arsenale in occasione della 53esima edizione della Biennale con la sua prima produzione dal titolo Incipit. Lo spettacolo è un trittico coreografico che vede nella prima parte la direzione di Pina Bausch che affida alla Compagnia e Cristina Morganti (ballerina del Wuppertal Tanzteather qui protagonista di un assolo velocissimo e ricco di dettagli), una performance tratta da Nefes (in lingua turca significa «respiro»), nata durante un soggiorno di tre settimane ad Istanbul. «Ho cercato di rispondere alle domande di Pina - racconta la Morganti - cogliendo lo spiri to, l’allegria e la spigliata voglia di comunicare delle persone che avevo incontrato ad Istanbul, uno spirito molto simile a quello che si respira nel centro-sud d’Italia. La gioia di vivere, la buona cucina, il piacere della seduzione come gioco per passare il tempo e quella sana pigri zia dei paesi del sud, sono tutti elementi che ho

a cura di ROSSELLA GAUDENZI

camente impegnati per ricercare un vocabolario che tratti tematiche di impatto sociale. Vogliamo essere, anche, dei portavoce di denunce. La Toscana è da qualche anno a questa parte fucina di interessanti progetti, compagnie, laboratori di danza, tra le quali spicca la Motus Danza, residente presso il Teatro Comunale di Siena, sostenuta dalla Regione Toscana e dal Comune di Siena. Nata nel 1991 ad opera della ballerina e coreografa Simona Cieri con il nome di Duncaniando, dà vita a progetti originali, e diviene dopo soli tre anni, nel 1994, Motus Danza. Numerosi i riconoscimenti ottenuti (vincitori dei Premi Internazionali Teatarfest nel 2006 e nel 2008) e le partecipazioni in importanti festival nazionali ed internazionali. La compagnia porta oggi in scena, all’interno della rassegna inEURoff Festival Musica, Danza e Teatro, dal titolo La Guerra, lo spettacolo One step beyond, frutto del progetto Moving to Peace che la scorsa estate ha debuttato nella città bosniaca di Srebrenica, per una «cooperazione per la memoria» volta a facilitare, attraverso la creatività, un dialogo senza frontiere. Una performance di danza che affronta i temi della guerra e della perdita, che evidenzia il ruolo dei media in un’accezione positiva di diffusori di messaggio di speranza per un futuro basato sulla tolleranza e su una convivenza pacifica.

«Conoscersi, parlarsi, informarsi, inter-agire: più abbiamo a che fare gli uni con gli altri, meglio ci comprenderemo.» Alex Langer

Il primo ensemble stabile internazionale che nasce sotto la benedizione di Pina Bausch nome semplice, un progetto ambizioso. Undici danzatori tra i 19 e i 25 anni provenienti da tutto il mondo (Italia, Argentina, Germania, Repubblica Ceca) saranno i protagonisti de La Compagnia, il primo ensemble stabile internazionale e ufficialmente riconosciuto che vede la supervisione di Pina Bausch e la direzione artistica di Ismael Ivo, Cristiana M o rganti, Adriana Borriello e Marg h e r i t a Parrilla.

PINA BAUSCH Bamboo, e quello che non ci darà più

tentato di far passare nella mia scelta di movi mento. Ricordo che avevo creato molte sequen ze che contenevano dei giri, delle «pirouettes», era successo senza che me ne fossi accorta. Fu Pina, guardando il mio materiale che me lo fece notare e che mi propose di scegliere proprio «il giro» come tema da sviluppare, come motivo r i c o rrente per il mio assolo». L’esibizione prosegue con una coreografia originale dal titolo With astonishment I note the dog (revisited) di Robyn Orlin, artista sovversiva formatasi tra Londra e Chicago, che ha contribuito a dare un nuovo volto alla danza del Sudafrica svelando tutte contraddizioni del suo Paese. Orlin ha voluto dedicare lo spettacolo alla figura del «cane». «Quando ho cominciato a lavorare allo spettacolo, c’era appena stato il terremoto in Italia, a L’Aquila. Le prime immagini diffuse ritraevano le squadre dei soccorritori con i cani mentre cercavano la vita in mezzo alle macerie. Mi sono ricordata perché, quando porta vo il mio cane al corso di adde stramento, mi sembrava di esse re ad un corso di danza. Così come ogni danza tore mi ricordava un certo tipo di cane, cani ‘senzatetto’, cani ‘religiosi’, cani ‘artisti’, cani ‘danzanti’, e come ogni volta che scrivo ‘cane’ questa parola può essere sostituita con ‘essere umano’. Le libere associazioni sono state mol tissime, così come è stato per i miei collabora tori, danzatori molto coinvolti in questo spetta colo. Come spero sarà per il pubblico». Incipit dedica invece la terza parte ad un pezzo originale del danzatore italiano Jacopo Godani, solista del Ballet Frankfurt di Forsythe e coreografo per le maggiori compagnie europee (dal Rotterdamse Dansgroep al Royal Ballet Covent Garden di Londra, dal Nederlands Dans Theater 2 alla Companìa Nacional de Danza di Madrid). Un progetto che va al di là della pura esibizione. La Compagnia è un’occasione unica di ricerca e di sperimentazione dei linguaggi espressivi attraverso il confronto fra culture e realtà differenti con versatilità e moltiplicità, parole chiave della realtà contemporanea.

TINATDANZA IANA BAGANOVA

ILLUSIONI

Se vivi nel presente esisti, Tutto il resto è un sogno. Quanto sono stolte le illusioni?

Un

dittico, l’ultima coreografia della russa avanguardista Tatiana Baganova, dai sapori distinti, netti e antitetici. La compagnia Provincial Dances da lei fondata nel 1994 presenta (in prima nazionale il 18 luglio), per la rassegna Teatro a Corte (10-26 luglio, Torino e Residenze Sabaude del Piemonte), lo spettacolo Poste Engagement. Diptych. Part I-II. Cinque coppie di danzatori dalla tecnica ineccepibile a presentare due momenti differenti ma parimente drammatici, accomunati dall’idea di «stoltezza delle illusioni». di Rossella Gaudenzi

Dapprima scene di vita di coppia con ambientazione da Belle Èpoque; a seguire un’enorme sfera trasparente che campeggia sulla scena circondata da palloni bianchi fluttuanti e nevicate di farina bianca. Nella grande sfera, una ragazza che vorrebbe gridare qualcosa, ma è senza voce. Qualche accenno, tanto per iniziare, al titolo: Post Engagement.

Engagement è un termine che caratterizza un processo di coinvolgimento nelle relazioni con gli altri, nelle conquiste, nel raggiungimento degli obiettivi. Il balletto consta di due parti (dittico). La P a rt I trae ispirazione dalla pièce teatrale Le Tre Sorelle di Checov. «Engagement» come appuntamento, fidanzamento nell’illusione di un futuro radioso, ma la coreografia è pervasa dal tema della disperazione e dell’inattività. La P a rt II, in contrasto con la prima, presenta la percezione della realtà dei giorni nostri, ed è pervasa dal senso della velocità, una caratteristica della nostra epoca che impone un diverso orientamento nelle relazioni. Le persone si stancano molto presto, e avvertono le necessità di nuovo carburante, nuove esperienze. Si riesce ad essere più produttivi, ma ci si fa ancora travolgere dai sogni, dalla ricerca di un futuro ideale e anche quando si affaccia la comprensione dell’illusorietà di tale stato, è difficile abbandonare la dimensione onirica. Il tema dell’illusione diviene il cardine per entrambe le parti del dittico. La prima parte della coreografia è stata ideata in una fattoria in Francia, un luogo remoto in cui danzatori, coreografi, musicisti vivevano insieme e lavoravano al progetto della compagnia. Al contrario, la seconda parte è nata dalla pressante atmosfera di un festival negli USA, dove incontrarsi, fare conoscenza, scambi di esperienza, rappresentavano attimi rubati di tempo. Cosa si intende nello specifico con l’espressione «stoltezza delle illusioni»? I filosofi orientali affermano che dovremmo vivere per il presente, vivere qui e adesso. Non esistono né passato né futuro. C’è solo il presente, e se vivi nel presenti esisti. Se cadi in fantasticherie sul futuro, stai vivendo un sogno; parallelamente, anche il ricordo del passato ti relega in un sogno. Quale parola potrebbe pronunciare la fanciulla racchiusa nella sfera, al termine del balletto? Una parola di speranza o di perdita della speranza? Nessuna parola. Penso che prevedere la situazione significhi mozzarla in anticipo. Come interrompere il flusso della vita.

Valentina Giosa

IO DANZO LA RABBIA E IL DOLORE «Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti, ma ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che cosa fare. A questo punto comincia la danza.»

B

amboo Blues, chi lo avrebbe mai detto, in scena a Spoleto orfano della sua creatrice. L’umanità intera piange Pina Bausch, la madre del teatro-danza europeo; è un vero e proprio fiore reciso per la sua nazione, la Germania, che l’ha definita attraverso la voce del presidente federale Horst Koehler «straordinaria rappresentante della Germania come nazione culturale». Esile e sottile? E sia. Ma il vigore racchiuso in quelle membra tese e nervose a quale altra danzatrice potremmo associarlo in maniera così rappresentativa? Un corpo magico, da dare l’idea di potersi spezzare da un momento all’altro e di essere al contempo di fibra resistente ed immortale. Quest’estate 2009 ci ha lasciati orfani una volta in più: dopo averci privati di idoli della musica e attori ha contaminato il mondo della danza e ci ha tolto Pina Bausch (stiamo davvero parlando di lei?) in maniera inattesa. La fondatrice del Tanztheatre, la creatrice di Cafè Muller, ci lascia il 30 giugno all’età di 68 anni: due giorni prima si esibisce in teatro, solo il 25 giugno le viene diagnosticato un cancro, e i suoi spettatori la attendono pochi giorni dopo al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Perdiamo un’artista innovatrice dall’animo critico, sensibile e geniale; una danzatrice e coreografa capace di utilizzare la propria materia per fare denuncia continua sulla società occidentale odierna. Abbiamo perso una voce forte volta a proteggere i soprusi nei confronti dei deboli, quasi che potesse prevedere, come una veggente, che il consumismo tanto condannato ci ha portati a vivere accanto ad oltre un miliardo di affamati (come sbandierano tutte le testate giornalistiche: la fame nel mondo è in aumento). Una voce forte su un corpo d’angelo. Riusciremo a sentirne l’eco? Au revoir mademoiselle. (Rossella Gaudenzi)

CLASSICA

Music In  Estate 2009

LANG LANG & CECILIA BARTOLI Avrei dovuto - ma, saggio o pazzo, a 16 anni si è timidi - vederle il bacio sulla bocca, non l’insetto sul collo/La sua bocca fresca era lì, io mi chinai sulla bella e presi la coccinella ma il bacio volò via

a cura di FLAVIO FABBRI

CINEMA AL SINFONICO G

rande la stagione estiva dell’Accademia di Santa Cecilia che, dopo l’enorme successo del Lang Lang Fest (2-5 giugno), ha proposto al pubblico capitolino una serie di appuntamenti col grande Cinema al sinfonico. Premi Oscar e maestri di livello internazionale, accompagnati dall’O rchestra e dal Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, si sono per diversi giorni avvicendati sul palco della splendida Sala Santa Cecilia dell’Auditorium romano. Sono passati 82 anni dal primo film sonoro e ancora oggi, anche attraverso questi eventi pubblici, la musica e le immagini sono due elementi di intrattenimento indissolubilmente legati. La tecnologia si è evoluta, rispetto le prime macchine rudimentali che permettevano la sincronizzazione della pellicola con la musica del grammofono, o ‘vitaphone’ come veniva chiamato, ma le emozioni sono sempre le stesse. Un programma ricco di grandi nomi che ad iniziare ha avuto come apripista il trentasettenne Stefano Bollani, uno dei principi del jazz italiano. Il pianista milanese si è dilettato nell’interpretazione magistrale delle musiche di Gershwin, da Piano improvvisations, insieme di improvvisazioni registrate in studio e alla radio tra il 1916 e il 1934, a Rhapsody in Blue, colonna sonora per Fantasia 2000 e Manhattan di Woody Allen; finendo con il tema di An ameri can in Paris, film musical del 1951 diretto da Vincente Minnelli, presentato in concorso al Festival di Cannes 1952 e vincitore di 6 premi Oscar, fra cui quello per il miglior film e la miglior colonna sonora. Un Bollani strepitoso che ha deliziato il pubblico con un delicatissimo Gershwin Showcase e che, per l’occasione, ha permesso agli appassionati di musica della città di Roma di incontrare il M° Xian Zhang, nuovo direttore musi-

cale dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi dalla Stagione 2009/2010. La prima volta di una donna alla guida della prestigiosa orchestra meneghina e dal curriculum di tutto rispetto, essendo stata negli ultimi anni prima titolare delle più prestigiose orchestre del mondo, tra le quali la Chicago Symphony Orchestra, la London Symphony Orchestra, la Los Angeles Philharmonic e la Berliner Sinfonie Orchester. Un evento davvero speciale, questo del Cinema al sinfonico, che nelle serate del 25 e 26 giugno ha presentato sul palco un grande compositore internazionale di musiche sinfoniche per il grande schermo, il canadese Howard Shore, che proprio per Il Signore degli anelli nel 2002 e nel 2004 ha ricevuto l’Oscar per la migliore colonna sonora. È stata anche unica l’occasione per il pubblico romano di ascoltare per la prima volta in Italia l’esecuzione live delle sinfonie del Signore degli anelli, avvicinando un musicista che negli anni ha firmato melodie importanti per diversi cult-movie e collaborato con registi prestigiosi del calibro di David Cronenberg (La mosca e A history of violence), David Fincher (Seven e The game) e Martin Scorsese (Gangs of New York e The aviator). Ma non è finita qui, perché la sera del 2 luglio, nella splendida Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, è stata la volta del maestro indiscusso della musica per il cinema, Ennio Morricone, che ancora una volta ha riproposto le sue composizioni musicali per film indimenticabili e che hanno fatto la storia del cinema mondiale. Nasce così Morricone Story, programma diviso in due tempi, una prima parte con le musiche di Il papa buono, La sconosciu ta e, per l’omaggio al regista Mauro Bolognini, i componimenti Per le antiche scale, L’eredità

Ferramonti e Nostromo; una seconda parte con Canone inverso, La battaglia di Algeri, La clas se operaia va in paradiso, Sostiene Pereira, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Vittime di guerra e l’immancabile medley di Mission, con Gabriel’s oboe-FallsCome in cielo così in terra. Il 3 luglio Morricone si sposta nella romana Palestrina, sempre con l’Orchestra e il Coro dell’Accademia di Santa Cecilia, nello splendido Tempio della Fortuna Primigenia , struttura del II secolo a.C, con diretta live su mega schermo nella parallela manifestazione di musica internazionale Nel nome del rock (Palestrina, 29 giugno - 5 luglio), che proprio quest’anno compie 20 anni. Seguono l’8 luglio a Roma e il 9 a Siena due imperdibili serate con Antonio Pappano nell’appassionante mondo della Nona sinfonia di Ludvig Van Beethoven, consentendoci così di ricordare anche il genio di Stanley Kubrick, che proprio tale sinfonia utilizzò nel celebre Arancia Meccanica del 1971 con uno dei primi utilizzi del sintetizzatore analogico Moog da parte del noto fisico e musicista Walter Carlos, che due anni dopo divenne Wendy Carlos (nel 1973 si è sottoposto ad un intervento chirurgico per il cambiamento di sesso). Ulteriori e diversi sono stati gli adattamenti cinematografici dell’Inno alla gioia del compositore tedesco (così chiamato perché utilizzò come incipit per la Nona sinfonia quello dell’Ode alla gioia di Friedrich von Schiller) recentemente anche nei film Io e Beethoven di Agnieszka Holland del 2006 e Lezione ventuno di Alessandro Baricco nel 2008.

ARTISTI BUCATI La rubrica di chi per un giorno ha sfondato Giorgio Costantini, mercante di note

di Flavio Fabbri

Accompagnano l’estro e la forza di Pappano il soprano Anita Watson, il mezzosoprano Andrea Baker, il tenore Simon O’Neill e il basso Brindley Sherratt. Ancora Pappano il 17 luglio, assieme al basso Alexander Tsymbalyuk, ospite nella cornice di Piazza Plebiscito a Napoli, dove presenta il Verdi gala. Sinfonie, cori e danze, un’altra occasione per lasciarsi rapire dalle arie del Nabucco, dalla solenne Aida gloria all’Egitto e dalle tante altre opere celeberrime. Appuntamenti imperdibili questi del Cinema al sinfonico, progetto itinerante organizzato per il secondo anno dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e Telecom Italia, che per diversi giorni ha attraversato le città di Roma, Palestrina, Siena e Napoli, regalando momenti di cultura, piacere dello stare insieme e ricerca del bello nell’arte, sia a chi è amante della grande musica sinfonica, sia a ha sempre trovato nel cinema e nella sinergia tra note e immagini un motivo in più per sognare.

COCCINELLE Il pianoforte di Lang Lang, la voce di Cecilia Bartoli, le operette buffe di Donizetti, Rossini, Bizet. Che follia. rande sucG c e s s o all’Audito-

rium Parco della Musica per la quattro giorni dedicata al pianista Lang Lang. Cecilia Bartoli è stata per un giorno ninfa gentile di Bellini, Rossini, Donizetti, Bizet e Viardot. «Meravigliosa!», «Splendida!», «Bravissima!». A stento il pubblico attendeva la fine del pezzo per urlare la sua ammirazione a Cecilia Bartoli, perché subito dopo l’ultimo tasto del pianoforte accarezzato da Lang Lang una valanga di applausi incontenibile si abbatteva sul palco della Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. Una serata entusiasmante, ricca di emozioni, vivace, dove il bel canto delle romanze tratte dal repertorio di Rossini, Bellini, Donizetti e Bizet ha conquistato una platea a dir poco estasiata. Il Lang Lang Fest (2-5 giugno) ha probabilmente raggiunto il proprio apice proprio nell’appuntamento del 4 giugno, che ha visto l’estroso pianista cinese esibirsi assieme ad una delle voci più angeliche e suadenti del panorama internazionale, la romana Cecilia Bartoli. Lui è l’artista più richiesto al momento sui palchi di tutto il mondo, per concerti da camera e sinfonici, per pianoforte a quattro, ambasciatore della YouTube Symphony Orchestra e dell’Expo 2010 di Shangai, recentemente nominato per il Grammy Award come Migliore strumentista solista. Lei, virtuosa mezzosoprano, ha venduto più di 6 milioni di cd, vinto Grammy, Brit Award, Dischi d’oro e quant’altro, senza contare le innumerevoli onorificenze ricevute in diversi Paesi, già Accademico eff e t t i v o dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, anche Chevalier des art set des letters e Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica. Due fenomeni assoluti della musica classica, che hanno deliziato gli appassio-

nati dell’operetta di Roma con le romanze più affascinanti del repertorio romantico, attraverso i componimenti poetici e musicali di forma breve, ma anche del movimento Arcadia con le sue canzonette, che ritroviamo soprattutto nei nostri Vincenzo Bellini, Gioachino Rossini e Gaetano Donizetti. Ariette che la voce incredibilmente cristallina di Cecilia Bartoli, nel giorno del suo compleanno, ha lasciato aleggiare tra le poltrone rosse della Sala Santa Cecilia, a partire dall’Anzoleta di Rossini, passando per l’Abbandono o la melodica Dolente immagine di fille mia di Bellini, in Amore e morte di Donizetti o magari nella magnifica La coccinelle di Georges Bizet, il cui testo porta la firma niente meno che di Victor Hugo. Solo alcuni dei momenti più significativi di una serata che è andata oltre il semplice appuntamento, assumendo l’atmosfera di un vero e proprio evento. Il modo gentile e quasi etereo di Lang Lang di toccare le note, muovere e giostrare melodie che in modo delicato vanno a legare con invisibili linee di voce - che solo la naturalità espressiva e generosa di Cecilia Bartoli ha saputo far danzare in trasparenza dalle labbra alle corde emotive, colorate e tese degli ascoltatori - rapisce il pubblico dei colloqui amorosi con trilli e contrappunti. Ma anche continui scambi di sorrisi che gli esili imbarazzi del palco hanno presto vinto nell’impeto della musica e del canto. Soavi zeffiretti in chiave di do hanno conquistato i pensieri di coloro che al termine del concerto non volevano abbandonare la sala. «Divina Cecilia!», «Bis!» per più riprese, fino al goliardico, emozionante e trascinante Tanti auguri a te, tanti auguri a te, a cui quasi duemila persone hanno voluto prendere parte: Tanti auguri Cecilia, tanti auguri a te. Flavio Fabbri

GIORGIO COSTANTINI, MARCO POLO DELLE SETTE NOTE Si

dice che chi fa arte lo faccia per colmare un buco. A volte i buchi sono troppo grandi, più estesi dell’artista stesso. Se Jim Morrison ed Elvis Presley ci sono caduti dentro, però, non sempre la storia finisce così. C’è ancora, in questi anni di vuoto pneumatico da talent-show mortale, chi investe sul proprio talento e sacrifica le ore passate davanti allo specchio a laccarsi il ciuffo per studiare da musicista moderno. Credo che il suo buco il pianista italiano Giorgio Costantini se lo sia riempito qualche notte fa, nel regno del Sol Levante. Perché ha appena suonato al National Concert Hall Theatre di Taipei e al Cultural Center Chih-Deh Hall di Kaohsiung davanti ad un delirio di gente entusiasta e perché l’unico altro artista italiano ammesso al banchetto era un certo Andrea Bocelli. Tasto nero e tasto bianco la musica del suo pianoforte lo ha portato lì, davanti a quello che sognava di avere, e poi lo ha portato un gradino più su. Nell’olimpo degli italiani che ce la fanno all’estero. Al ragazzo di Venezia la gavetta non mancava di certo. Oltre 1200 concerti con Fiorella Mannoia, Peppino Di Capri e

Michele Zarrillo. Mancava il successo personale, ma è storia di molti. Di pochi invece l’intelligenza di mettersi la notte al lume dei propri sogni e studiare. Non solo lo strumento ma anche tutto il baraccone che serve per dargli lustro. Sbarca su MySpace e, quando esplode, Giorgio è già a leggere tomi da mesi. Su cosa significhi, cosa diventerà, come si può usare per spingere la propria arte. Avete mai visto un discografico? È ben vestito, tendenzialmente abbronzato ed ha il cellulare all’ultimo grido. Secondo voi ha voglia di smazzarsi? E così il disco Piano Piano Forte è un’autoproduzione. Ma non resta, come succede purtroppo ad altri, sul comodino. Esce addirittura dai confini nazionali e atterra in tutte le classifiche di vendita digitali. Dischi venduti vuol dire successo e successo vuol dire visibilità. Il musicista viene invitato a suonare da molte parti e quando lo fa butta fuori la voglia di chi si è dato da fare a trecentosessanta gradi. È emozione e quest’emozione arriva fino a dove si spinse Marco Polo. Marco Polo e Giorgio Costantini: veneziani e mercanti entrambi. La merce? Anche quella è la stessa… l’immaginazione. di Luca Bussoletti

CLASSICA

Music In  Estate 2009

TERREMOTO Intervista a Bruno Carioti, direttore del WOODY ALLEN Puccini Gianni CANTIERE D’ARConservatorio dell’Aquila Perché vogliamo sapere se è anda- Schicchi è il nuovo personaggio che TE L’Inferno brucia ta distrutta anche la musica e cosa possiamo fare noi da qui interpreta: ma questa volta in musica a Montepulciano a cura di FLAVIO FABBRI

 CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA

TREMA TREMA IL CONSERVATORIO L’amore per la musica non trema: chi fuggiva pensava ad afferrare il proprio strumento e nel sito del Conservatorio Casella una pagina è dedicata agli ‘Strumenti perduti’ Conservatorio e l’Accademia di musica di Pescara; a Roma, il Conservatorio di Santa Cecilia, la Casa del jazz e l’Istituto Pontificio di Musica Sacra. Su 111 insegnanti, nonostante la situazione che definire difficile è un eufemismo, 87 stanno facendo lezione regolarmente. La gran parte degli studenti, inoltre, mi risulta non abbia perso molte lezioni, e già questo è un altro grande risultato.

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Fortunatamente non risultano perdite di vite umane, né tra il personale docente, né tra gli studenti, ma per portare avanti l’attività didattica in sicurezza si è dovuto necessariamente fare ricorso a strutture esterne, cioè localizzate fuori dall’area colpita dal sisma. Oggi all’Aquila si parla del G8 di luglio, di ricostruzione, del caldo asfissiante dell’estate nelle tendopoli e del ben più temuto freddo del prossimo inverno. Chiediamo al direttore del Casella, il maestro Bruno Carioti, cosa è successo a L’Aquila a distanza di tre mesi dal terremoto e se ci sono progetti nel cassetto per il Conservatorio, partendo proprio da quei momenti terribili del dopo scossa, fino all’attuale fase di messa in sicurezza e pianificazione degli interventi futuri. Sembra sia stato detto tutto sulla drammatica notte del 6 aprile a L’Aquila. Cos’altro potete raccontare voi del Conservatorio Alfredo Casella? L’edificio è inserito proprio ai margini della città vecchia, nel complesso medievale di Colle Maggio, struttura risalente alla seconda metà del 1300, che, in occasione di questo tremendo sisma, ha visto paradossalmente la parte più vecchia tenere, mentre tutti gli uffici più recen ti, edificati nel tardo XVIII secolo, venire giù senza resistenza. Parliamo di pesanti volte a mattoni ed è stata una fortuna, essendo notte, che non vi fosse nessuno a lavorare o studiare, altrimenti avremmo avuto inevitabilmente numerosi lutti anche nel Conservatorio. La parte dedicata alla didattica, invece, ha resistito abbastanza bene, anche se sono molto evidenti gravi lesioni e brutte crepe. Continuano i rilievi tecnici sulla tenuta statica complessiva dell’edificio, anche per stabilire quelli che sono gli interventi più urgenti. In che modo insegnanti e allievi hanno reagito? Siete riusciti a riprendere la didattica e le attività del Conservatorio? La didattica in qualche modo sta andando avanti, grazie a quello che possiamo definire un piano virtuale. Certo, l’anno accademico è stato chiuso il 4 aprile, soprattutto per garanti re il passaggio all’anno successivo di tutti gli studenti. Per gli esami di Conservatorio, invece, i docenti hanno convocato uno per uno i ragazzi accordandosi sugli orari, sulle nuove modalità di lezione, spostandole in diversi luoghi dispo nibili ad accoglierci, come Rieti, Avezzano, il

Nei momenti successivi al terremoto, a quanto pare, le prime comunicazioni sono avvenute oltre che via radio soprattutto via Internet. Cosa ne pensa della rete? Il web ha avuto un ruolo decisivo, anzi fonda mentale. Con il nostro web master, il maestro Pier Marini, abbiamo immediatamente aperto un forum all’interno del sito del Conservatorio, (www.consaq.it) con vari canali dedicati alla ricerca di persone di cui non si aveva più noti zia, amici da contattare, studenti o professori dispersi. In questo modo è rinata in breve tempo una comunità virtuale del Casella, che ha consentito di tenerci in contatto, di farci forza e di riprendere in mano il nostro lavoro, il nostro futuro. Direi che Internet è uno strumen to fondamentale, straordinario, anche per noi musicisti definiti ‘classici’. Passiamo alla ricostruzione. Il ministro della Pubblica Istruzione, Maria Stella Gelmini, ha annunciato tre milioni di euro per voi, mentre anche la Provincia di Roma, con Nicola Zingaretti, si è offerta di farsi carico dei lavori di ristrutturazione del conservatorio. Pensa sia sufficiente? Gli investimenti di cui parla sono stati inseri ti quasi immediatamente nel Decreto Abruzzo, varato dal Governo nei giorni successivi al ter remoto. Circa 3 milioni di euro, a cui vanno aggiunti altri 2 milioni stanziati dal Ministero dell’Istruzione e una raccolta fondi della Provincia di Roma a cui sono legate altre inte ressanti iniziative, tra cinema e teatro. Proprio in questi giorni è stata annunciata una raccolta di fondi speciale a cura della SIAE, a cui si aggiunge il lancio del brano 21.04.09 a cui hanno partecipato tutti i big della musica italiana. Iniziative importantissime da cui iniziare a decidere sul come e sul quando ristrutturare la vecchia scuola e magari pensare anche alla costruzione di una nuova sede. Bisogna innan zitutto poter creare le condizioni migliori per invogliare gli studenti a tornare al Conservatorio dell’Aquila, non solo per la qua lità del personale docente, ma anche per la sicurezza della struttura. Abbiamo contattato l’ambasciata giapponese, ad esempio, affinché i loro ingegneri progettino un nuovo Conservatorio, sicuro e moderno, che consideri lo studente il centro delle nostre attivi tà e delle nostre attenzioni. Nell’immediato il C o n s e rvatorio dell’Aquila subirà sicuramente una contrazione di iscritti, è normale, ma biso gna guardare avanti e mettersi subito nelle con dizioni ideali per ripartire.

Può una catastrofe come questa, oltre che cambiare il nostro modo di percepire il presente e ancora di più il futuro, influire sul modo di fare e di percepire la musica? Bisognerebbe chiederlo agli studenti. Sono loro che hanno passato quei secondi terribili, tra la paura e l’ angoscia, tra la vita e la morte. Contattando i ragazzi e ascoltando i loro rac conti, ho constatato che in quei momenti dram matici la prima cosa che hanno fatto fuggendo è stato portare con sé il proprio strumento, loro prima preoccupazione. Pensi che nel nostro sito era stato ideato uno spazio proprio dedicato agli ‘Strumenti perdu ti’ e si è verificato che in effetti, tranne alcuni casi isolati, davvero pochi sono stati gli stru menti dichiarati persi o non utilizzabili.

In che modo i nostri lettori possono aiutare l’Aquila e il Conservatorio? A noi ora, anche se è brutto ammetterlo, ser vono risorse concrete, soldi. Ricostruire il con servatorio, vecchio e nuovo, costa. Per fortuna gli strumenti, come detto, si sono salvati. L’unica preoccupazione seria al momento, parlando di strumenti, è per l’organo di San Domenico. Un gioiello a 53 registri, con tra smissione meccanica, alto nove metri e largo altrettanto, fornito di migliaia di canne, costruito da Tamburini negli anni 70 e custodi to nella chiesa di San Domenico, che è a rischio di crollo. La sovrintendenza ci ha chiesto di spostare l’organo e abbiamo bisogno per questo di con tattare un esperto che rimuova lo strumento e lo sistemi in un magazzino adeguato, prima della sua nuova ubicazione. Se c’è un’arte che è dura a morire è proprio la musica. A quando il prossimo evento che vedrà protagonista il Conservatorio Alfredo Casella? Ci dia un appuntamento... In realtà, nell’ultimo mese abbiamo avuto molti appuntamenti e tanti altri ci aspettano per tutta l’estate. Le lezioni, come anticipato, sono ormai ripartite e lo stesso si può dire per l’atti vità di produzione artistica, con diversi concer ti in tutta Italia e all’estero. Che dire, l’Italia ha dimostrato di avere un grande cuore chiamandoci per serate di solida rietà all’interno di strutture pubbliche e priva te, per dimostrare di voler dare un contributo concreto alla tragedia che ha colpito mezzo Abruzzo. Sapere che c’è chi si preoccupa per te, che vuole sapere costantemente come stai, è una cosa bellissima, che ti aiuta davvero a rico minciare, facendo nascere in tutti noi un sano dovere di rispondere a tali stimoli, a partire dalla musica. Come abbiamo sempre fatto.

di Livia Zanichelli

Al via, sotto la direzione artistica di Detlev Glanert, la prima delle tre edizioni dantesche del Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano. Purgatorio e Paradiso le tappe del prossimo biennio. ne di due opere brechtiane: Carlo Pasquini e Roland Boer (direttore musicale del Cantiere). I due si cimenteranno nella direzione di un dittico, una favola cinese dalla forte connotazione politica: Il consenziente e La linea di condotta, quest’ultima in scena per la prima volta in Italia. La produzione e l’esecuzione di opere e spettacoli in prima nazionale assoluta, insieme all’ideale di interazione tra professionisti e giovani talenti, alla sensibilità per una formazione che abbracci i più disparati generi artistici, si concretizza nei due progetti sperimentali di questa 34a edizione: Dedalus autodafè, ispirato al capolavoro di James Joyce, scritto e realizzato dai giovani del territorio,

L’amore per la musica, Woody Allen non lo ha mai nascosto: grande appassionato di jazz (con il suo clarinetto e la sua band ha suonato nelle più prestigiose sale da concerto europee), estimatore della musica classica del 900 (se oggi alcuni brani di George Gerswhin sono così popolari è anche perché sono colonna sonora di alcuni suoi film), è convinto che il secondo movimento della Jupiter di Wolfgang Amadeus Mozart sia tra le cose per cui valga la pena di vivere.

Strumento come parte ed estensione del corpo quindi… Esattamente così, un’estensione del corpo e dell’anima, perché è attraverso lo strumento che si esterna la realtà più intima dell’artista, sia nei modi di percepire la musica e di sentire le sue vibrazioni positive, sia di riprodurre emozioni per il pubblico suonandola.

NEL MEZZO DEL CAMMIN

L’estate 2009 della provincia senese si anima delle suggestioni, delle immagini e delle atmosfere dell’Inferno dantesco, che faranno da sfondo a partire dal 18 luglio al 34° Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano. Prima tappa di un triennio strutturato sul filo conduttore della Divina Commedia, la 34a edizione della manifestazione toscana, ideata nel 1976 dal compositore tedesco H.W. Henze, dedica uno spazio in apertura proprio ad un’opera buffa, Il Barbiere di Siviglia, in scena il 19 e 21 luglio, nella meno nota versione del 1782 di Giovanni Paisiello, destinata al dimenticatoio in seguito al successo dell’omonima opera rossiniana. Orgoglio di questa «infernale» edizione è il progetto che il 29 e 30 luglio vedrà la rappresentazio-

WOODYALLEN: PER COSA VALE LA PENA VIVERE

spettacolo sorprendente e irriverente con più di cento elementi tra attori, musicisti e comparse; Stabat mater. Action, fantasia libera per attuanti e coro di Sergio Sivori ed il Laboratorium Teatro Roma, in cui l’azione teatrale, in pieno spirito cantieristico, diviene un vero e proprio atto creativo collettivo rivolto alla crescita artistica e morale del singolo partecipante o spettatore. Cinque saranno inoltre i concerti sinfonici eseguiti dalla residente Royal College of Music Simphony Orchestra diretta da Roland Boer e affiancata in più di un’occasione dai due «artists in residence» Markus Bellheim (pianoforte) e Tobias Ringborg (violino). Sono infine degni di nota i due gruppi giovanili: l’ensemble 2 Agosto e l’ensemble Algoritmo, emblemi dello spirito più profondo che ispirò Henze alla fondazione del Cantiere e che da 34 anni anima una manifestazione artistica al tempo stesso così fresca, culturalmente e socialmente impegnata.

Questa volta ha deciso di affrontare l’Opera. Un’opera «minore» e intrigante: è Giacomo Puccini, ma non quello dei fastosi avelli, delle colte citazioni orientali, del melodramma puro. È il Puccini di Gianni Schicchi, la sua unica opera comica, scritta a completamento del Trittico. Il libretto è ispirato alla storia dell’astuto Gianni Schicchi, personaggio dell’Inferno dantesco. Ambientata nella Firenze del XIII secolo, l’opera è la storia di una truffa giocosa e dal finale conciliatore: una specie di commedia popolare d’altri tempi, in cui non mancano, però, belle caratterizzazioni dei personaggi. La versione di Woody Allen è già stata presentata a Los Angeles ad un pubblico entusiasta e divertito. Il Festival di Spoleto l’ha riproposta sotto la direzione di James Conlon in prima europea, in tre date a giugno, ristabilendo quel filo culturale che lega gli USA e l’Italia (la prima assoluta dell’opera avvenne proprio nel Metropolitan di New York nel 1918) e che è stato il motivo ispiratore dell’ex Festival dei due mondi. Inutile dire che è stato un successo. Nicola Cirillo

SOUND a cura di ROBERTA MASTRUZZI

TUTTI

Music In  Estate 2009

TUTTI GIÙ PER ARIA Alitalia: Qui volano, volano gli asini/e brillano, brillano fulmini/Qui volano, volano bugie/e brillano, brillano ipocrisie

MARCELLO APPIGNANI Musica da cinema L’ultima notte di nozze come una sorpresa

GIÙ PER ARIA

PESCEROSSO

Sullo scaffale in cui ti impolvererai / l’etichetta che hai / è cassaintegrato / Cieli di sassi che ti piovono giù / Il bersaglio sei tu / e non lo Stato / è guerra di bottoni tra pezzenti / è un volo d’aquiloni in mezzo ai venti / Siamo un aeroplano di carta / da cui il pilota è sceso

U

na compagnia aerea fatta di aeroplani di carta - chi di noi non ne ha fatto uno - non ha bisogno di piloti (basta inumidire la punta con la saliva per farli volare), né di hostess o steward, che sono solo di intralcio. Ma un Paese civile merita molto più di una compagnia aerea di carta e serve una grande immaginazione, dopo le vicende che hanno sconvolto i cieli con il caso Alitalia, per riuscire a credere ancora una volta al miracolo italiano. Tutti giù per aria è un film-documentario che, invece, tenta di tenere gli occhi ben aperti sulla realtà, senza fare sconti a nessuno: non al Governo né agli imprenditori pronti a risollevare le sorti della compagnia di bandiera a spese dello Stato, né tanto meno ai sindacati, sempre più lontani dai reali bisogni dei lavoratori. Ma neanche ai lavoratori stessi, o a quanti di essi hanno accettato con rassegnazione la propria sorte. Il regista Francesco Cordio racconta questa

BERLN I Nel

CALLN IG

1979, anno della morte di Sid Vicious, London Calling dei Clash aveva infiammato e risvegliato un’intera generazione unita da un solo ideale: il rifiuto di qualsiasi forma di controllo. Il punk, una vera e propria subcultura che ancora oggi trova diversi seguaci in tutto il mondo e che ha comunicato la sua ribellione non solo attraverso la musica (Ramones, Sex Pistols, Clash, tanto per citarne i padri assoluti). Borchie, creste, anfibi, spille da balia, colori scuri e skinny style. «Punk is attitude not fashion» («Punk è un modo di essere, non un modo di apparire») recitava un motto degli anni 70. Trenta anni dopo, tanto è cambiato ma l’attitudine ribelle della nuova generazione non è poi così diversa. La «laptop generation», figlia di MySpace, YouTube, Facebook, Twitter, dall’abbigliamento high tech e l’immancabile I-pod, ama la virtualità, la tecnologia, la velocità, il multitasking, il downloading, la techno. Nessuna certezza, nessun ideale, solo la voglia di perdersi fra le basse frequenze e i suoni

di Flavio Fabbri

vicenda attraverso immagini rubate durante le manifestazioni, le interviste ai protagonisti, gli interventi di politici e sindacalisti, le testimonianze dei lavoratori. Il film nasce dalla volontà di un (ormai ex) dipendente Alitalia, Alessandro Tartaglia Pollini, e da Matteo Messina, giornalista freelance. È stato scritto, tra gli altri, anche da due cassaintegrati Alitalia, con gli interventi di Dario Fo e Marco Travaglio e un illuminante monologo di Ascanio Celestini. Il documentario è disponibile in dvd e costituisce l’unico modo per vedere la vicenda Cai/Alitalia da una prospettiva del tutto diversa da quella che la televisione ha mostrato negli ultimi mesi. Il filmato cerca di ristabilire in parità l’ago della bilancia: se da una parte i media hanno presentato i piloti e gli assistenti di volo (ma i lavoratori Alitalia sono anche operai, tecnici e impiegati) come una categoria privilegiata, è anche vero che volare nei cieli non comporta gli stessi rischi di un normale impiego: i titoli di coda presentano il

MAURICE JARRE Un artista è tale quando riesce a esprimere il senso del bello

di Romina Ciuffa a sorpresa è come salsa - piccante - Sopra insipida carne - Sola - tropL po aspra - ma accompagnata Delizia

CREDITS SABRINA SIMONETTI

conto dei danni alla salute provocati da un eccesso di ore di volo, una lista molto lunga, e sono accompagnati dal brano scritto per l’occasione dal cantautore romano Luca Bussoletti (nella foto), che ha composto la colonna sonora del documentario insieme a Riccardo Corso. Il brano, che si intitola proprio Tutti giù per aria - e prosegue con «tutti quanti in ferie dalla dignità» - ha il pregio di riuscire a sintetizzare in pochi minuti il senso di tutta la storia raccontata: trattasi di «una guerra di bottoni tra pezzenti» e il timore è che non sia ancora finita. Questo è il punto di vista di chi finora non ha avuto voce: i settemila in attesa di riscuotere l’assegno di cassaintegrazione, i tremila che erano precari e sono stati licenziati, quelli che continuano a lavorare costretti a turni di lavoro massacranti, le donne che si sono viste negare il diritto, sancito per legge, all’esonero dal turno notturno in caso di figli piccoli o portatori di handicap. Si consiglia di rimanere davanti al video fino alla fine dell’ultimo dei credits, per gustarsi il monologo finale di Ascanio Celestini. A lui l’amara conclusione che un Paese di carta come l’Italia meriti una compagnia aerea fatta di aereoplani di pari materiale.

commestibile. (Emilie Dickinson) Una sorpresa quest’opera di Marcello Appignani, salsa piccante su quella che - produzione musicale dei nostri tempi - è insipida carne da mangiare come nutrimento commestibile. Sorpresa sono i brani per il lavoro teatrale di Daniela Ariano, L’ultima notte di nozze. Il tema è la violenza sulle donne (se n’è interessata anche la criminologa Noemi Novelli) mentre i due sposi, Anna e Lorenzo, trascorrono una notte sulle note di sola chitarra classica che per loro suona Stefano Mingo - a cui, in due brani, si affiancano fisarmonica, basso, batteria, mandolino, una seconda chitarra e percussioni. Tutti suonati da Appignani. Quest’ultimo, che è un talento romantico, intrigante, silenzioso anche - lo riceviamo senza indugi. Si apprezzano i talenti silenziosi come la calma di un pesce che vive poggiato sopra il nostro pianoforte, e i suoi guizzi.

Roberta Mastruzzi

Valentina Giosa

sintetici di uno dei tanti «cool» club del mondo. Nessuna fiducia nel sistema e nel futuro. Berlin Calling, film di Hannes Stohr (Berlin is in Germany - Berlinale 2001, Panorama Audience Award - e One Day in Europe Berlinale 2005, official competition -), dipinge il ritratto di questa nuova subcultura catturandone e restituendone perfettamente il mood. Il film narra la storia di un autore di musica elettronica, Martin (Paul Kalkbrenner, nella vita davvero uno dei dj attualmente di punta della nota label tedesca BPitch Control fondata da Ellen Allien, qui autore della colonna sonora e anche attore di se stesso), conosciuto dalla folla come Ickarus, che compone con il suo laptop e come tutti i suoi colleghi senza alcun bisogno di liriche. Ickarus gira il mondo con la manager e fidanzata Mathilde (Rita Lengyel) ma presto verrà ricoverato in clinica psichiatrica per abuso di droghe. Proprio là scriverà il disco che lo riporterà al pubblico, un album sofferto e malinconico fatto di beat martellanti e inusuali fiati sognanti. Una tragic-comedy che non poteva non essere ambientata a Berlino, culla dell’avanguardia e innovazione e protagonista dell’easyjetset, un fenomeno tipico degli ultimi anni che vede migliaia di giovani accorrere da tutte le parti d’Europa con voli low-cost solo per trascorrere un weekend in uno dei tanti club berlinesi. Maria am Ostbahnhof e il Bar 25 a Berlino, nonché il Welcome to the Future Festival di Amsterdam e l’Hypnotik at Double Mixte Concert Hall, Lyon sono le locations principali del film.

Il suo album precedente contiene 26 brani strumentali che sono, letteralmente, piume in caduta libera, per l’appunto (il titolo) Piume dal cielo, melodie da film anche queste. Progetti sempre incentrati sulla «colonnosonorizzazione» facili per chi, come Appignani, non sente la stretta del copione, non disdegna la boccia per pesci rossi. Si dà il caso che Appignani sia rosso e che ci sguazzi: l’acqua per immergersi la trova proprio in un testo da accompagnare. Lascia fluire il pensiero compiendo volte silenziose spesso senza melodia, che è dove s’avverte una passione quasi dolorosa - quella di Anna e Lorenzo nell’ultima notte di nozze, quella di un musicista sensibile e il ritmo cieco di una stanza buia innervata d’incenso. Le branchie di Appignani rendono il nostro cibo commestibile delizia, non più carne insipida che è il nostro bisogno di ascoltarla. Romina Ciuffa

IL DOTTOR ZIVAGO E MR JARRE

C

hi era Maurice Jarre? Come spiegare la vita di un uomo e di un musicista in poche righe? Un artista è tale nella misura in cui riesce ad esprimere il senso del bello che forma e trasforma le sue opere, comunicandolo. E proprio qui si può intravedere l’uomo che c’è dietro, assieme alla sua vita e alle forze che l’hanno resa unica. Maurice Jarre è morto il 30 marzo scorso a Los Angeles, all’età di 84 anni, segnato da una drammatica lotta con il cancro e con un immenso amore per la musica e il cinema. Sono oltre 200 le colonne sonore composte da Jarre e tre sono stati i Premi Oscar ricevuti per la miglior colonna sonora: nel 1962 per Lowrence d’Arabia, nel 1965 per il Dottor Zivago e nel 1984 per Passaggio in India. Tre grandi film e tre splendide soundtrack nate anche dalla sua collaborazione artistica e dalla profonda amicizia che lo legava al regista David Lean. Il suo modo di lavorare ha dato un immenso contributo nel dimostrare quanto la musica influisce e contribuisce al successo di un film. Tra gli altri grandi registi del cinema (non tutti poi musicalmente così sensibili), per cui ha curato colonne sonore, troviamo: Luchino Visconti, Alfonso Arau, Elia Kazan, Michael Apted, Peter Weier, Jerry Zucker, Adrian Lyne, John Huston e sir Alfred Hitchcock. La sua musica ha accompagnato negli anni altri grandi film di

successo come Witness il testimone, Attrazione fatale, Gorilla nella nebbia, Ghost-Fantasma, pellicole per cui ha ottenuto diverse nomination all’Oscar e che hanno anche segnato la nascita di una sua seconda passione, dopo quella per le percussioni: la musica elettronica. Un ambiente in cui è stato trasportato dall’enorme successo che nel frattempo stava avendo un altro artista di notevole spessore (80 milioni di dischi venduti nel mondo), Jean-Michel Jarre, ovvero suo figlio. L’amore per la musica di Maurice ha poi negli anni travalicato il cinema per finire ad esplorare altri terreni artistici, tra cui il teatro e il balletto. Anche per la televisione ha trovato il modo di miscelare le composizioni sinfoniche alle immagini e il suo maggior successo è stato sicuramente il G e s ù di Nazareth di Franco Zeffirelli del 1977. Vinse un Grammy Award per il disco più venduto dell’anno nel 1966 (e secondo alcuni anche il più sciropposo) col Tema di Lara per Il dottor Zivago. Seguirono il British Academy Award per la miglior colonna sonora de L’attimo fuggente (1989) e il Golden Globe per la miglior colonna sonora di Il profumo del mosto selvatico (1995). Quando lo scorso febbraio si presentò per ritirare l’Orso d’Oro alla carriera al Festival di Berlino, Dieter Kosslick, direttore della manifestazione, così commentò le motivazioni del premio: «I compositori di colonne sonore sono spesso messi in ombra dai grandi registi e dalle stelle del cinema. Diverso è il caso di Maurice Jarre perché le musiche de Il dottor Zivago, come molti dei suoi lavori, sono universalmente note e rimarranno indimenticabili nella storia del cinema». Doveva diventare un ingegnere, diceva sempre il padre divertito, ma proprio il papà un giorno di settant’anni fa portò in casa Jarre le Rapsodie ungheresi di Franz Liszt, un inno ai moti insurrezionali ungheresi del 1848 per la conquista dell’indipendenza dall’Austria. Così è nato e ha lavorato un grande artista e così lo vogliamo ricordare.

SOUND

Music In  Estate 2009

GINO PAOLI L’intervista Il jazz è come la cioccolata

CADILLAC RECORDS Tutti quei muri che costruiamo per difenderci da nemici immaginari

I LOVE RADIO ROCK Pirateria: ci sono navi che trasmettono musica a cura di ROBERTA MASTRUZZI

 CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA

AVERLO ADDOSSO

(...) «Una scoperta meravigliosa che poi mi ha seguito per tutta la vita, ma non avrei mai pensato di poter anche suonare con grandi jazzisti». E invece così è stato: Un incontro in jazz è lo spettacolo che porta in giro dal 2004, dove i brani più celebri del suo repertorio, da Il cielo in una stanza a Senza fine, da La gatta a Sapore di sale, sono stati riarrangiati in chiave jazzistica e il cantante è sul palco insieme a Roberto Gatto, Enrico Rava, Danilo Rea, Rosario Bonaccorso e Flavio Boltro. Il concerto non è «Gino Paoli accompagnato da…», questo non mi interessa e ho insistito per ché non fosse mai questo l’atteggiamento. Volevo essere parte di un gruppo che faceva i circuiti del jazz e ci sono riuscito. È una grande soddisfazione per me. Tra l’altro è una cosa nata per caso, è stato Rava a chiedermi di fare uno spettacolo insieme. Il concerto è talmente pia ciuto la prima volta che poi abbiamo pensato di continuare a proporlo. La parola «caso» sarà ripetuta più volte nel corso dell’intervista, quasi a lasciarci intendere che sia stato spesso il destino a scegliere per lui. Fino a 26 anni facevo il pittore e credevo che la mia vita fosse quella. Poi invece - i casi della vita - sono finito a fare il cantautore. Non ho fatto la gavetta: ad un certo punto ho scritto una canzone e ha avuto un grande successo. Da là è partito tutto il resto. Anche quando arriva il momento di parlare di cinema, perché oltre ai concerti di Un incontro in jazz e al tour per la presentazione del suo ultimo album di inediti Storie, questa estate lo vedrà impegnato, al fianco di Danilo Rea, anche in una nuova avventura che si chiama Cinema songs, un omaggio ai grandi compositori italiani e stra-

nieri dagli anni 30 ad oggi, il caso sembra aver avuto un ruolo fondamentale. Cinema Songs racconta il cinema attraverso alcune canzoni, come la bellissima Moonriver, scritta da Henry Mancini per Colazione da Tiffany nel 1961. Com’è nata l’idea di questo progetto? Danilo Rea ha messo su questo spettacolo e poi mi ha chiesto se io avrei avuto piacere a par tecipare. Ho accettato subito perché con Danilo farei qualsiasi cosa. In questo spettacolo io sono solo un cantante che, insieme a Diana Torto, interpreta i brani scelti da Rea. Tra questi lui ha voluto mettere anche alcune cose scritte da me per il cinema, ad esempio La bella e la bestia, di cui ho tradotto il testo per la versione in italia no, ma c’è anche molto altro: da Casablanca a Schindler’s list, da L’amore è una cosa meravigliosa a C’era una volta il west. È un excursus molto affascinante nella musica da film. C’è un grande schermo dietro i musici sti dove scorrono le immagini e intanto noi suo niamo musica dal vivo, un po’ come tornare alle origini del cinema, a quando era muto e c’era un gruppo che suonava per dare un sonoro alle immagini senza voce. Il rapporto di Gino Paoli con il cinema? Non sono dentro a tutti i meccanismi - a volte anche particolarmente fastidiosi - a cui ti devi adeguare per lavorare nel cinema: devi essere nel giro, conoscere le persone giuste, metterti d’accordo con il produttore, etc. Non ho mai fatto niente di tutto ciò. Mi è capitato di lavora re nel cinema semplicemente perché avevo degli amici registi che mi hanno chiesto di scrivere la colonna sonora.

CADILLAC RECORDS

N

ella Chicago anni 40, quando il colore della tua pelle decideva da quale parte della transenna dovevi stare se volevi assistere ad un concerto, il produttore discografico Len Chess decide di investire sui bluesman neri. La scommessa è coraggiosa: si tratta di lanciare giovani musicisti di indubbio talento su un mercato strettamente riservato ai «bianchi». Nasce così la Chess Records, leggendaria etichetta discografica per la quale incideranno il chitarrista Muddy Waters, l’armonicista Little Walter, il cantante Howlin’ Wolf e il compositore Willie Dixon, fino a Etta James e Chuck Berry. Nasce un nuova musica, un sound che unisce ritmo e melodie malinconiche, male di vivere e voglia di ballare: è il blues, e qualche anno dopo sarà rock n’ roll. Darnell Martin, giovane regista afroamericana che è stata assistente di Spike Lee in Do the right thing, dedica il suo film Cadillac Records alla celebrazione degli artisti che hanno rivoluzionato la storia della musica. I brani della colonna sonora sono interpretati dagli stessi attori, tra cui troviamo Adrien Brody, che interpreta il produttore Len Chess, e Beyoncé nel ruolo di Etta James, e propongono classici come I’m a man, Maybelline, I’m your hoochie coochie man, At last e Trust in me, in versioni fedeli all’originale ma diverse, così come diversa è la storia di ogni singolo artista. Il racconto di quegli anni prende vita e ritmo grazie a uno script frenetico e ricco di spunti. Come nella loro musica nella vita, i musicisti mettono tutto il loro dolore e la loro vitalità, gli sbagli e le vittorie, in una parola l’anima. Un racconto che per ognuno sarà diverso. Come dice uno dei protagonisti: «Quella era un’epoca in cui se sapevi suonare la chitarra da Dio eri

come Superman» e le donne ti adoravano, il produttore ti regalava una Cadillac (da cui il titolo del film) e tutto sembrava a portata di mano. C’era chi sapeva approfittarne, chi riusciva a restarne fuori e chi invece ci cascava in pieno: donne, alcool, droghe, il successo che da alla testa e tutto diventa troppo. Ognuno però metteva tutto se stesso nella musica, che per molti rappresentava l’unico modo per venire fuori da un passato di miseria e abbandono. Cadillac Records è un film intrecciato da storie di vita vera e aneddoti che sono diventate leggende: la vita sregolata di Little Walter, il forte sentimento di amicizia che lo legava a Muddy Waters, la rivalità artistica di Muddy con Howlin’Wolf, i tormenti di Etta James che, riversati nella sua voce, incantano ancora oggi le platee del mondo come agli inizi della sua carriera incantarono il produttore Len Chess. In una breve scena compaiono anche 5 ragazzi inglesi che attraversano l’Oceano per conoscere i loro miti e quei cinque un giorno prenderanno il titolo di un blues di Muddy Waters e si chiameranno Rolling’ Stones. Poi c’è Chuck Berry, scheggia impazzita che con i suoi riff rivoluzionari e la prima versione originale del passo dell’anatra, molto prima che il viso pulito di Elvis Presley si imponesse all’attenzione dei media, riesce ad abbattere le transenne che nei concerti servivano appunto a dividere il pubblico tra ragazzi bianchi e ragazzi neri. Un film per chi ama il blues ma anche per chi crede che ogni barriera sia un limite e che i muri che costruiamo intorno alla nostra vita per difenderci da nemici immaginari ci facciano perdere di vista la bellezza del mondo reale. Roberta Mastruzzi

La prima colonna sonora è stata scritta per Bertolucci. Com’è nata la collaborazione? Moltissimi anni fa Gianni Amico, un grande regista molto sfortunato, mi presentò Bernardo Bertolucci. Ci siamo conosciuti a Genova in un Festival di cinema sudamericano. Eravamo una banda di amici e Bertolucci, che stava scrivendo il suo secondo film Prima della rivoluzione, mi chiese di lavorare per lui. Abbiamo adottato un metodo di lavoro contrario rispetto al solito: scrissi la musica sulla sceneggiatura, la scrittura della musica quindi precedeva le immagini, e in seguito le scene sono state girate e ritmate proprio sulla base della colonna sonora. Il film ebbe molto succes so all’estero, ma non in Italia. Oggi è considera to un cult, allora invece prese anche alcune denunce. La sua avventura nel cinema però non finì qui. «Da lontano» e «Una lunga storia d’amore» sono canzoni nate proprio per il grande schermo. Dopo la collaborazione con Bertolucci parte cipai ad un paio di film, «La sposa americana» di Giovanni Soldati, anche in questo caso fu il mio amico regista a chiedermi di scrivere la musica e «Una donna allo specchio» di Paolo Quaregna, che non ebbe molto successo ma che mi portò fortuna perché la canzone che scrissi per il film, «Una lunga storia d’amore», è diven tata un classico. Poi mi sono fermato. Se qualcu -

no mi chiedesse di scrivere una musica per il cinema accetterei volentieri, per ché mi piace scrivere a tema. Ma non sono nel giro «giusto» e poi io sono abi tuato a fare le cose nel modo migliore possibile. Ricordo che per «Una donna allo specchio» spesi persino dei soldi miei per fare certe cose perché quel li che mi dava la produzio ne non mi bastavano! (ride). Confessa che la base del suo lavoro sta proprio nel sapersi divertire. Quando suoniamo insie me io, Rea, Gatto, e Rava, ci divertiamo come pazzi. La base del suonare insie me è amicizia e divertimen to, quando mancano questi due elementi è tutto fasullo. Oggi si fa il musicista come un mestiere, una volta i musicisti pensavano «mi diverto e mi pagano pure», oggi - se si esclude forse alcuni ambiti del jazz - è esattamente il contrario: «mi rompo le scatole ma almeno mi pagano». E que sto non solo nella musica, è l’atteggiamento generale del mondo di oggi. Sono fortunato, per ché per me non è mai stato così. Rimane il dubbio che il suo successo sia da attribuire puramente al Fato. Un cantante che ha saputo attraversare mezzo secolo di storia e ricominciare ogni volta con nuovi progetti senza adagiarsi sulla scia di nostalgici «best of», un autore che ha cercato sempre nuovi spunti e fonti d’ispirazione, distinguendosi per un’accurata ricerca stilistica e un raffinato gusto per le parole, non può esserlo diventato solo per caso.

I LOVE RADIO ROCK N

elle acque del Mare del Nord, un peschereccio trasporta al largo delle coste inglesi un carico di giovani uomini che con un’enorme antenna radio trasmettono nell’etere musica rock 24 ore su 24, contagiando milioni di ragazzi: The boat that rocked è il titolo originale dell’ultimo film di Richard Curtis, tradotto per le platee italiane in I love Radio Rock. Il film è ispirato alla vera storia di Radio Caroline, la prima radio privata inglese che osò sfidare la BBC, colpevole di non aver saputo capire da che parte stava girando il vento: siamo a metà degli anni 60 e la radio pubblica trasmette solo jazz e musica classica, relegando il pop e il rock ad un piccolissimo spazio di appena due ore settimanali. Decisamente troppo poco per il Paese che ha dato i natali ai Beatles e ai Rolling Stones e proprio negli anni in cui Londra si imponeva come centro di una nuova generazione di artisti ed intellettuali. Per aggirare le leggi inglesi, le prime radio pirata pioniere del cambiamento trasmettono

rock dalla mattina alla sera navigando su vecchie imbarcazioni al largo della costa. Fuori dal controllo governativo, la musica circola liberamente entrando con discrezione in ogni casa e portando più di una rivoluzione nel mondo culturale: musicale, dei costumi, dello stile di vita, del modo di pensare. La rivoluzione avviene anche nell’etere, allora monopolio del governo, al ritmo di Jimi Hendrix e degli Who, e come tutte le rivoluzioni ha bisogno di eroi: a sfidare il monopolio i primi Dj che, ispirandosi alle emittenti statunitensi, con linguaggio ironico e immediato, conquistano milioni di ascoltatori in poco tempo. I love Radio Rock affronta il tema con simpatica irriverenza, costruendo una commedia nel puro stile pop anni 60 dove la musica è presente in ogni fotogramma. Una colonna sonora composta da oltre 40 brani: ci sono i Rolling Stones di Jumpin’ Jack Flash e Let’s spend the night together, i Kinks con All day and all of the night, gli Small Faces e la loro Lazy Sunday Afternoon e ancora Jimi Hendrix, Leonard Cohen, Otis Redding e molti altri artisti rappresentativi di un’epoca storica e della sua voglia di libertà. Let’s dance, cantava David Bowie negli anni 80: idem nella scena finale del film, quando l’ottusità dei potenti china il capo di fronte agli idealisti. (Roberta Mastruzzi)

SACRO E PROFANO M

adonna regista: non paga di esser stata cantante, ballerina, attrice, scrittrice di libri per bambini, con poco talento e grande successo come dire massimizzazione del profitto - il passo successivo era rubare il mestiere all’ex-marito Guy Ritchie e dimostrare di saper fare meglio (l’impresa non è poi ardua). Sacro e profano è la storia di un gruppo di personaggi che tentano di afferrare il senso della vita passando attraverso esperienze anche umilianti. Il protagonista A. K. (Eugene Hutz, leader del gruppo punk Gogol Bordello), per finanziare un progetto musicale, si prostituisce per uomini masochisti. Convive con Juliette, che

sogna di andare in Africa e lavora in una farmacia subendo le avances del suo capo, e Holly, ballerina classica che trova lavoro in un locale di lap dance. Il film era nato inizialmente come cortometraggio e in questo sta il suo limite: sarebbe stato perfetto come videoclip. Apprezzabile il fatto di voler rappresentare la varietà etnica e culturale di Londra, ma tutto il resto è già visto e poco coinvolgente. Ci sono tutte le cose che piacciono a Madonna: lo sfruttamento del corpo, l’esibizionismo, i frustini, le paillettes e persino Britney Spears. Ma l’unico momento veramente interessante è la ripresa di un concerto dei Gogol Bordello e del suo leader. Troppo poco per giustificare un’ora e venti minuti di pellicola. Senza infamia e senza lode, non farà cambiare idea né ai fan né ai detrattori di Madonna. I primi continueranno ad amarla incondizionatamente, i secondi ad ignorarla. (Roberta Mastruzzi)

&further a cura di ROMINA CIUFFA

Music In  Estate 2009

VALERIA VAGLIO Stato innaturale Se fossi il sole francamente dormirei di meno

ROBERTO CASALINO C’è lui dietro un mese molto particolare

IO LA VAGLIO

FABRIZIO EMIGLI Non vale, c’è questa nebbia che piovigginando sale/compro una birra, la incarto e passo a prenderti col tram

a cura di ROMINA CIUFFA

C

hissà se Mina lo sa. Che c’è una nuova voce, assai simile alla sua, che emerge. (Paura?) Valeria Vaglio è di Bari e, per un movimento centrifugo interno, da 29 anni è alla ricerca di nuovi stimoli: un’inquieta - come si addice all’artista - che indaga. «Sono molto irrequieta quando mi legano allo spa zio» (Alda Merini), e fugge. Un’isola delle Maldive prima (dove per sei mesi canta un paio d’ore al giorno) che è un posto grande come una moneta da 2 euro il cui perimetro è percorribile a piedi in circa 6 minuti. Vi scrive Il più grande dei miei sbagli («Tuffarsi da due metri/comunque è un po’volare/ci vuole del coraggio/e disi nibizione»). Poi l’Umbria di Mogol: vince una borsa di studio S.I.A.E. per il C.E.T. (Centro Europeo Toscolano) sui monti dell’Amerino. Quindi il trasferimento più serio, quello in uno stato della sua mente - il continente incoltivato del crollo motivazionale - dove risiede per un periodo studiando grafica pubblicitaria. L’ennesimo trasferimento - scoperta dal suo produttore, Diego Calvetti - la porta all’Accademia di Sanremo con Ore ed ore. Ed è Sanremo 2008, un pezzo che parla di amore omosessuale mentre Anna Tatangelo domina sfrontata i tabloid con Il mio amico (e un altro sfacciato poi porterà Luca era gay). Lei, invece, non è tormentata dai media e non tormenta - un bene o un male per un’artista? - nonostante la schiettezza del testo («Non metterò mai più/Il maglione rosa e blu/Che tutte le mattine indossavo a colazione/Preparando il tuo caffè/E non sarò più io/A dirti amore mio/Come sei bella la mattina appena sveglia/È già tar dissimo/Le interferenze fan rumore/E non si può cambiar cana le/O spegnere il televisore/Durante ogni temporale»). Un altro trasloco - quello in uno Stato Innaturale, il suo primo album - lo fa nuda, portando con sé solo un maglione rosa e blu. 10 brani originali che sono 39 baci, tutti suoi e tutti degni di una tradizione italiana di cantautori. Più una sfida: l’undicesimo, Oggi sono io di Alex Britti, la cui prima strofa canta ore ed ore, e ancora ore, come le «ore ed ore» («far l’amore ore ed ore e già iniziava a nevicare») che hanno portato Valeria Vaglio a Sanremo. Allora è chiaro: per lei, è solo una questione di tempo. Quali interferenze fanno più rumore? Quelle che appiattiscono, che non creano spinte verso l’alto, quelle di chi le produce perché sa di non poter andare oltre, di chi abbatte per non costruire e danneggia per non risaldare. Credi in Sanremo o, piuttosto, nei santi? Meglio detto: un trampolino di lancio spesso in grado di declassare un artista, un tuffo di testa dentro una piscina prosciugata. Un tuffo di testa può essere letale anche in una piscina piena. Più in alto si sale maggiore è il rischio di farsi del male; ma è più rischioso non rischiare. Sanremo è stato un bel gradino di una scala molto più lunga e complessa, una sorta di lavatrice in piena centrifuga in cui è facile perdere il controllo e farsi male. Sono molto contenta di aver fatto questa esperienza a 27 anni,

con una consapevolezza e una maturità che hanno fatto in modo che ne uscissi a testa alta e senza strani e innaturali picchi di popolarità. Ho sempre avuto paura delle ascese veloci, normal mente la velocità della discesa è doppia rispetto alla salita… Un bilancio molto positivo dell’esperienza sanremese: pubblico e critica dalla mia parte. La classica domanda: hai portato a Sanremo una canzone che parla di un amore omosessuale. Perché Anna Tatangelo e Povia su tutti i giornali, tu in sordina? Perché io faccio musica, non gossip. Il coraggio di port a re te stessa nei i tuoi pezzi: un azzardo? Io sono i miei pezzi. L’emozione è senza filtri, non saprei fare altro. E sono convinta che tutte le dimostrazioni di affetto, le mail, le presenze registrate ai miei concerti sono determinate dal fatto che questo mio essere sempre e comunque autentica arrivi in modo quasi disarmante. Sodalizi musicali: con chi ne fai, con chi ne faresti. Chi duetta con te nella fase R.E.M., quella in cui sogni? L’estate scorsa sono stata in tour con Paolo Vallesi, ho aperto un concerto di Mariella Nava a Taranto e ho scritto un pezzo con Bungaro. Ho duettato ora con Max De Angelis a Villa Pamphili a Roma e ho fatto concerti con Melissa Ciaramella, validissima cantautrice siciliana. Nel disco che uscirà il prossimo autunno c’è un duetto, ma non posso ancora svelare il nome. I primi nomi che mi vengono per cantare in futuro sono Niccolò Fabi e Sergio Cammariere. Le tue muse. Elisa, Paola Turci, Samuele Bersani, Carmen Consoli, Sting... non c’è spazio per tutti. Chi hai scelto per accompagnarti nella musica? Il tuo batterista, ad esempio, fa degli ottimi assoli. In realtà sono loro che hanno scelto me, cosa che accade rara mente ormai. Sono ragazzi molto talentuosi, ma soprattutto mossi dalla passione - per la musica, per il mio progetto -, pron ti a sacrificarsi sempre e comunque, sognatori fino al midollo. Insomma, sono i miei uomini ideali. Hai - come in un tuo pezzo - un bersaglio in movimento o piuttosto fermo? Il mio bersaglio è molto chiaro, ma mai fermo. Nulla resta fermo. Mi plasmo, mi modello, mi sagomo a seconda che sia in aria, in terra o in un angolo. Ma non lo perdo mai di vista. Quale tonalità e su che ottava? Un grande classico: do maggiore sulla 3 ottava. Contralto.

Diesis o bemolle? Tasti bianchi o tasti neri? Non amo le alterazioni. Praticamente tutti (se ti chiedessi «piede destro o piede sinistro»?), ideologicamente i neri: mi hanno insegnato a diffidare del puritanesimo. Usi il barré? Spesso. Qual è il tuo «stato innaturale»? Quello in cui non si pensa, non ci si preoccupa di quello che pensano gli altri, in cui si fa sempre quello che ci va di fare senza ledere nessuno, quello in cui si vive, si ama e ci si fa amare. Insegni: cosa, a chi? E cosa impari? Credo che si possa insegnare qualcosa solo se non si ha la pre tesa di farlo. Io imparo un sacco di cose solo guardandomi intor no, prestando attenzione a cose, gesti o frasi apparentemente normali, senza mai clonare nulla, ma semplicemente rimodellan do il tutto su di me. Siamo unici ed inimitabili per questo, no? Suoni la darbuka perché ti senti più: a) nord-africana, b) asiatica, c) pugliese? Suono la darbuka perché è una percussione con una sonorità molto particolare e accompagna una danza sensuale come la danza del ventre. Non rinnegherò mai le mie origini pugliesi, ma onestamente mi sento molto «figlia del mondo». Oggi sono io: Mina o Alex Britti? Alex Britti. L’autore è sempre l’autore. Mina: non sarà forse un mirare molto in alto per colpire una mela? Certamente più stimolante che mirare in basso per colpire un’anguria. In Bersaglio in movimento vendi l’anima al taglio: a quanto? Bisogna vedere: le condizioni di vendita sono rese note solo a compratori con prerequisiti specifici.

E NON È UN PICCOLO PARTICOLARE Che Roberto Casalino sia Novembre, Giusy Ferreri e Non ti scordar mai di me

è

uno dei cantautori della MySpace Generation più importanti ed è famoso al grande pubblico per essere l’autore dei pezzi di successo di Giusy Ferreri, come Non ti scordar mai di me e Novembre. Roberto Casalino, originario di Latina, arriva al suo album d’esordio L’atmosfera nascosta dopo aver percorso tanta strada solo con le sue forze. Tutto ha inizio nel 2002, quando lavora come corista nel primo tour di un allora promettente Tiziano Ferro.

Anche se i maggiori direttori artistici dei grandi network sanno chi sono, la risposta a seguito dell’ascolto del mio singolo è stata: «Ci piace, ma gli spazi sono limitati». Ma io non mi abbat to, vado avanti epromuovo la mia creatura in ogni modo possibile, sperando che prima o poi anche le radio si accorgano di me.

Da corista di Tiziano Ferro a suo collega: ne hai fatta di strada. Sì, ho camminato molto. Io e Tiziano però siamo fondamentalmente amici e il nostro rapporto era lo stesso di adesso, nonostante i grandi cambia menti delle nostre vite.

Chi c’è dietro al tuo album? Chi ha sudato insieme a te per arrivare in cima alla collina? I miei produttori che mi seguono dal 2003: Mario Zannini Quirini e Manuela Petrozzi. Poi c’è la mia famiglia che mi ha sempre sostenuto e incoraggiato in questa mia passione. Non possono mancare nella lista i miei carissimi amici e musicisti che da sempre hanno sposato il mio progetto (Stefano Suale, Simone Sciamanna e Emiliano Licata). E poi tutte le persone che mi sostengono e mi supportano da anni. Devo dire che avere intorno gente che insegue con te il tuo sogno ti fa sentire meno solo e ti fa perseverare.

Gli spazi nei network radiofonici sono asfittici per i cantanti emergenti. È così anche per chi si porta in dote nome un percorso artistico profondo come il tuo? Le radio sono uno scoglio che difficilmente si riesce a superare. Sono loro a decidere spesso il a cura di Luca Bussoletti successo o meno di un prodotto discografico.

Quale canzone attuale avresti voluto scrivere? A questa domanda non so risponderti; ci sono troppe canzoni che avrei voluto scrivere io.

SAINT LOUIS TRAM

Q

uesto pezzo di una bella voce, Fabrizio Emigli - uno swing, un jazz - è d’altri tempi. Un gioiellino. In bianco e nero praticamente, lui un povero ma bello uscito da un film di Dino Risi. Esce oggi il singolo (Saint Louis Jazz Collection), già chiamato a rappresentare il nostro trasporto locale. Emigli, che è fondamentalmente un romantico, nel 2009 la va a prendere così: ti staccherò un assegno per farci un origami/o una cambiale in bianco per scri verci che m’ami./Leggero sarà ogni slan cio per non prenderci sul serio/e ad ogni curva chiederemo se è davvero proibito accalcarci nel centro. Romina Ciuffa

Music In  Estate 2009

SAINT LOUIS BIG BAND Live in studio La Gestalt insegna che la somma degli addendi dà un risultato molto più grande

NEO Water resistance Come la calma piatta del mare, nasconde correnti e tensioni sommerse violentissime

SAINT LOUIS BIG BAND - LIVE IN STUDIO UMBERTO TOZZI - Non solo live SLMC

La Saint Louis Big Band, diretta da Antonio Solimene, è una formazione SaintLouis orchestrale che rispetta in pieno la struttura classica della big band ovvero 5 sax, 4 trombe, 4 tromboni, Ritmica (pianoforte, chitarra, basso e batteria), 2 voci. Il repertorio dell’ensemble, di tipo jazzistico, sfiora gran parte delle espressioni e dei cambiamenti che hanno caratterizzato la musica afro-americana fin dall’inizio del secolo scorso, proponendo alcune tra le pagine più belle della letteratura jazzistica orchestrale (Benny Goodman, Duke Ellington, Dizzy Gillespie). Vengono privilegiate le elaborazioni di arrangiatori contemporanei dell’area americana (Sammy Nestico, Don Sebesky, Bob Mintzer). La formazione, nata nel settembre del 2007, ha già al suo attivo la partecipazione a molti festival jazzistici di grande prestigio. Il quartetto della cantante Marta Capponi nasce nel 2004. Lei ha già vinto il Lucca Jazz Donna nel 2008. Giovane questa vocalist, ma già un’esperta sulla via di un’affermazione forte. Innanzitutto, collaborazioni con eccellenti musicisti di fama internazionale (Bobby Durham, Aldo Zunino, Massimo Faraò, David Boato, Pietro Iodice). Qui, si avvale della collaborazione di talentuosi musicisti (sono Marco Bonini, Giulio Ciani ed Emiliano Caroselli), che saltano dal Roberto Gatto Quintet, a Rosario Giuliani, a Andy Gravish. A Marta Capponi. Come fosse un passaggio obbligato. Personalità ed esperienze musicali differenti all’interno di questo gruppo, nel quale vale una proprietà intransitiva: le qualità di ciascuno non si sommano come addendi per dare un risultato certo, bensì, gestaltianamente, danno una somma diversa, nuova, l’incentivo a proseguire con gli standards del jazz ma anche con brani originali. Una Big Band che, innanzitutto, è band ma che, poi, è grande. Romina Ciuffa

NEO - WATER RESISTANCE C’è un dato umano che accomuna chi ama davvero la musica, quasi una condizione antropologica ed è la curiosità, come anticamera della percezione e della voglia di ascoltare le idee, ad avercele. È anche per questo che Music In percorre spesso e volentieri con coraggio strade poco battute e cerca di far conoscere di più e meglio artisti di certo talento, come i Neo che hanno da poco prodotto, grazie a Megasound, un gran bel lavoro, Water Resistance, che ci sentiamo francamente di consigliare ai lettori. E di solito, per le band meno conosciute dovrebbe principiare il critico con un elenco di viatici nobili e di riferimenti chiari, come se un «avo» di peso potesse portare più lustro all’originalità del progetto. Quanto ai Neo, attivi da oltre un decennio, si legge di citazioni dei Dream Theatre, dei Franz Ferdinand, di John Zorn fino a parlare della loro musica come di, udite udite, jazz progressive (chi sa cosa sia mai, alzi la mano). In realtà, il trio di Terracina che vede Manlio Maresca alla chitarra, Carlo Conti al sax e Antonio Zitarelli alla batteria come dire, niente basso - propone suoni intriganti e del tutto originali, missati con pazienza e una buona dose di anticonvenzionalità. I Neo suonano su ritmiche complesse, alternando andamenti binari a moti ternari, tempi composti e suonati ad una velocità che, nulla sacrificando al pregio melodico, rivelano una padronanza tecnica non comune per precisione ed interplay. Si tratta di una musica, se mi si passa l’azzardo, ai limiti della nevrosi, piena di tic e di momentanee isterie, che sembrano tuttavia la cifra stilistica per entrare in un uni-

verso complesso che non ammette compromessi; suoni che spesso si destrutturano e si ricompongono con la paura di restare identici nel movimento. Cioè, uno specchio della processualità della realtà e delle sue contraddizioni tradotta in un linguaggio ultroneo per definizione come quello che le arti sonore e visuali sole consentono. E così, sulla scia di una citazione ben illustre, questo riferimento alla resistenza dell’acqua, titolo dell’album, riporta alla mente la metafora che a fine ‘700 venne utilizzata per spiegare la nuova burrascosa arte romantica che, come la calma piatta del mare, nasconde correnti e tensioni sommerse violentissime, che si traducono poi in una «nobile semplicità e tranquilla grandezza». Ascoltare questo trio per credere. Né, probabilmente, è un caso che il tour che ha già portato i Neo in giro per l’Europa e che prevede molte date estive in Italia sia proposto unitamente ad un progetto espositivo, maturato da un collettivo di artisti, pittori e grafici che modulano le proprie istanze creative con la musica proposta, dando vita ad un connubio magari non originale, ma di grande impatto. Paolo Romano

NOKEYS - THE REGENCY è da sempre città di BEY OND Parma musica ed è da lì che parto&further no i Nokeys. Rico, Luca, Gatto e Bonzo non arrivano da un casting della Tim né da X-factor, ma dal sudore delle cantine. Ragazzi per la cui la musica non è un mezzo ma il fine. E questo fine li ha portati a registrare il loro album The Regency, che contiene dieci tracce per la maggior parte cantate in inglese. Un applauso al packaging,

molto ricercato, e un altro alla scelta di cimentarsi nel rock con la erre maiuscola. Basta leggere i titoli: Rock’n’ roll pistolero e Pretty girl, per esempio, strizzano l’occhio ai Litfiba e ai Depeche Mode ma con stile. Piccola produzione, è vero, ma pur sempre internazionale. Il cd, infatti, è stato missato e masterizzato a Stoccolma, in Svezia. Scelta curiosa che dona al tutto un respiro meno provinciale con volumi poco italiani e suoni al passo col gusto di oggi. Evidenziatore giallo sulla riuscitissima Underwater. Un gran bel riff di chitarra e una linea melodica che sale e scende come le maree. Pezzo piacione, nel senso buono del termine, che è assolutamente essenziale per il successo di un progetto. Al cuor non si comanda… per cui a volte per il cuor si spende. Luca Bussoletti

OCTOPUS Ep 2009 Intensità rovente dei sedili in pelle quando fuori è estate. E un BBQ rock

back a cura di ROMINA CIUFFA

THE IDAN RAICHEL PROJECT - WITHIN MY WALLS

ALTER

Contaminazione. Israele e mondo, un binomio impresentabile all’orecchio medio, è l’Idan Raichel Project. Il trentunenne tastierista, compositore, produttore e arrangiatore, che dà il nome al collettivo, rivoluziona la musica popolare miscelando pop israeliano, musica etiope tradizionale, poesia araba, canti yemeniti ed ebraici e ritmi caraibici. Oggi dirige questo progetto e, per il suo secondo album internazionale Within My Walls, immagina un conflitto tra sogno e realtà, la storia di chi si sveglia un mattino senza nulla da realizzare: rimarrà confinato, pago di pensare solamente, o cercherà una ragione per lasciare la stanza? Le canzoni - in israeliano, spagnolo, arabo e swahili - non danno risposte. I brani sono registrati negli anni durante tour, sessioni di registrazione in stanze di hotel, camerini, case private; i testi riflet-

tono le atmosfere contemplative dei viaggi. A Tel Aviv, ispirato dalla chitarra inquieta del cantautore inglese Nick Drake, Idan mette insieme un’orchestra di 24 elementi. The Idan Raichel Project è esempio di comprensione e collaborazione interculturale, che apre una nuova prospettiva sui conflitti del Medioriente a partire dall’esperienza d’Israele. La pace interculturale dipende dalla capacità di apprezzare e rispettare le differenze fra popoli e Idan Raichel ne dà atto, guardando il cielo da una stanza, mentre pensa se alzarsi e uscire, per Tel Aviv, a vedere che c’è. Se qualcosa è cambiato. Romina Ciuffa

FEDERICO SALVATORE - FARE IL NAPOLETANO STANCA Fare il napoletano stanca. Lo sa bene Federico Salvatore, cantautore napoletano salito agli onori della cronaca negli anni 90 con Azz…, la canzone con cui, giocando sullo sdoppiamento del suo nome, ci presentava i personaggi di Federico e Salvatore, l’aristocratico e il popolano. Stanco di una maschera che gli stava troppo stretta, quella del cabaret e della risata facile, ha fatto perdere le sue tracce per qualche anno. Con il suo ultimo cd, Fare il napoletano… stanca! , prodotto dalla casa discografica indipenden-

te Arancia Records di Luigi Zaccheo e Paolo Ciarlo, dà libero sfogo alla sua vena da cantautore, scrive testi e musica e lo fa miscelando con intelligenza denuncia sociale, rabbia, polemica ma anche poesia, ricordi, speranze, senza tralasciare quella sottile ironia che lo contraddistingue. Dodici tracce inedite, dove parla di storia (Il monumento), di prostituzione (Il progresso della marchetta), di solitudine (Senz’arte né parte) ma anche di amore (Fra vent’anni di meno), alle quali si unisce Se io fossi San Gennaro, invettiva contro chi ha rovinato Napoli, con tanto di nomi e cognomi, per colpa della quale la sua presenza in Tv sembra sia poco gradita. La cantò in una trasmissione e fu subito polemica. Perché in Tv puoi spogliarti o prendere in giro la gente, ma non puoi dire la verità. Ecco perché fare il napoletano…stanca. Roberta Mastruzzi

ZOOT WOMAN - THINGS ARE WHAT THEY USED TO BE

ALTER

Otto anni fa avevano conquistato il pubblico con il singolo catchy a naif Living in a Magazine. Sono la fusione perfetta fra il synth-pop degli anni Ottanta (che deve molto ai Kraftwerk quanto ai Pet Shop Boys) e l’ electro-dance degli ultimi tempi. Vengono dall’Inghilterra e hanno un nome bizzarro che ben si sposa con il loro concept, musica e look. Gli Zoot Woman sono i fratelli Johnny e Adam Blake e Stuart Price (la live-line up include anche la bassista Jasmin O’Meara). La band è tornata con un nuovo, brillante ed entusiasmante album dal titolo Things are what they used to

be, in uscita il 21 agosto. Prima di godere appieno del disco potete averne un assaggio su Myspace (www.myspace.com/ ZootWoman), dove è possibile ascoltare in anteprima la trascinante Live In My Head o la irresistibile We won’t break, entrambe perfette come colonna sonora estiva. Se non li conoscete già, basterà molto poco a farci innamorare degli Zoot Woman. Speriamo vengano in tour anche in Italia. Valentina Giosa

OCTOPUS - EP 2009 BEY OND &further

Un BBQ praticamente, l’odore acre di un garage e della benzina perduta da una vecchia Bianchina. Poi i Red Hot Chili Peppers (il riferimento va a favore degli Octopus e rende il loro esordio discografico vincente - ma a Cesare quel che è di Cesare) e tutto quello che è rock preciso, senza rumore né interferenza, asciutto anche nel funk per un nuovo gruppo che si autoproduce l’Ep e che, o mio Dio, è milanese - nessuna fantasia su un’origine britannica o, che so, minnesotica di questi tre: sono proprio i nostri - per poi scovarvi 3 tracce in studio, 2 live e 3 bonus video tracks. C’è (al basso) Garrincha, che ha lasciato Le Vibrazioni per queste, e un altro paio di nomi filoanglosassoni (Reepoman per voce e chitarra e Mr. Zed per la batteria), e allora la suggestione è completa: siamo sui Navigli a tutti gli effetti e ascoltiamo una versione live del brano Crosstown Traffic di Jimi Hendrix come fossimo in centro a Los Angeles anni 70 (apriammo gli occhi e loro saranno a Lybchburg, nel Tennesse, il prossimo ottobre, dove si esibiranno in virtù della loro vitto-

ria del Jack Daniel’s Challenge al Rolling Stone di Milano). Ragazzacci, quello che resta di noi quando torniamo da una festa in spiaggia, l’intensità rovente dei sedili di pelle in una macchina lasciata d’estate al parcheggiatore abusivo, peperoncino e guacamole dentro a fajitas. In attesa dell’album d’esordio, ci chiudiamo in questo rosso garage per il BBQ e aspettiamo che carne sia. Romina Ciuffa

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