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LA PIAZZA D’ITALIA — Fondato da Turchi —
1-15/16-31 Maggio 2008 - Anno XLV - NN. 33-34 € 0,25 (Quindicinale)
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Le nuove sfide
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di FRANZ TURCHI
L’attuale contesto italiano, ma soprattutto internazionale, impone a noi tutti di vedere quali sfide abbiamo di fronte. Infatti lo scenario internazionale di un dollaro che scende e di un petrolio alle stelle, mette alla prova qualsiasi strategia economica e previsione futura. Bene ha fatto quindi il buon Tremonti ad anticipare le misure promesse in campagna elettorale e ad anticipare ‘de facto’ la finanziaria a giugno, per andare in controtendenza alla crisi che dopo l’estate si vedrà per intero nelle nostre famiglie e aziende. Infatti, mentre la Banca Centrale Europea a mio avviso, sta sbagliando nel non intervenire, pensando a battere solo il dollaro in termine monetario a costo di pesanti sacrifici per le economie locali della nostra Europa, il nostro Ministro dell’Economia va in anticipo a cercare di riattivare una economia ormai in recessione come quella italiana e al contempo in un ‘avviso ai naviganti’ cerca di anticipare le linee di politica economica mettendo subito una finanziaria sul piatto prima che i problemi di ‘dicembre’, che arriveranno, vadano ad appesantire i bilanci familiari e aziendali. Dall’altra parte abbiamo la sfida della sicurezza, che non deve criminalizzare nessuno, ma deve arginare un fenomeno chiaro: “in Italia si può delinquere perché la passo liscia”. Questo pensiero non può far parte di uno stato civile, democratico e soprattutto va bloccato ora prima che i danni siano irreparabili, e in questo senso il PDL sulla sicurezza va nella strada giusta, anche se qualche perplessità sul reato di immigrazione clandestina, così proposto, ancora ce l’ho. Una terza sfida, che non è la problematica dei rifiuti di Napoli, perché è un dovere per uno Stato di garantire condizioni di vita civili e raccolta dei rifiuti, e che comunque speriamo, con la gestione Bertolaso, abbia fine la condizione di emergenza nella quale vertono quelle aree, credo sia l’istruzione o meglio l’investimento in ricerca e formazione sia la vera terza sfida da porre in atto. Una sfida difficile e lunga, perché ha bisogno di scelte di rinnovamento che vadano dalla Scuola all’Università e che abbiano le risorse economiche necessarie per essere poste in atto nel medio-lungo termine. Quello che credo è che il futuro di questo Paese è nelle nuove generazioni e se queste avranno gli strumenti necessari per ‘combattere’ nel mondo del lavoro, come nella società, in primis la scienza e la cultura, allora si che l’Italia tornerà centrale nello sviluppo economico, politico e sociale del Vecchio Continente.
APPROFONDIMENTI
CULTURA
Un Golfo Persico diverso è possibile
XXI fiera del libro di Torino
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In Italia come in Europa Il Governo vara le prime norme per contrastare l’immigrazione clandestina Detto e fatto. Alla prima riunione ufficiale, il Consiglio dei Ministri riunitosi a Napoli come promesso da Berlusconi durante la campagna elettorale - ha varato un “pacchetto” sicurezza che contiene delle norme atte a contrastare più incisivamente l’immigrazione clandestina e la criminalità che ne scaturisce. Ma in soldoni cosa prevedono queste nuove norme?
In primo luogo è stato approvato un decreto legge che prevede l’immediata espulsione dello straniero che sia stato condannato con una pena superiore ai due anni. Inoltre tale DL contiene norme che permettono di prolungare fino a 18 mesi la permanenza dei clandestini nei CPT in modo da facilitarne l’identificazione prima, l’espulsione poi. Sono stati introdotti poi aumenti di
pena di un terzo nel caso in cui chi commette un reato è un clandestino. Inoltre verranno sanzionati con una pena carceraria che va dai sei mesi ai tre anni e da una pecuniaria che va dai 10 mila euro ai 50 mila euro coloro i quali affitteranno un’abitazione a stranieri irregolari. Contemporaneamente a questo Decreto Legge- che andrà in vigore entro Luglio- è stato
L’America? Tra pro e contro imperversa il dibattito che segue il pacchetto sicurezza Premessa: è vero che l’immagine dell’immigrato privo di cultura cede sempre più frequentemente il passo a quella di una persona con in tasca una laurea. I dati illustrati nel corso della presentazione del Venice Forum che si terrà il 12 e 13 giugno all’Isola di San Giorgio, a Venezia, per iniziativa di Comune, Università Cà Foscari, UniCredit Group, Fondazione Venezia 2000 e rivista “east”. Approfonditi Studi Onu stimano in circa il “40% gli scienziati e i tecnici che, laureati nei Paesi in via di sviluppo, esercitano la loro professione nelle nazioni industrializzate. I laureati dei Paesi centroamericani che lavorano negli Stati Uniti rappresentano una
quota che varia mediamente tra il 25% e il 40%, con una punta record registrata dalla Giamaica, con l’80% dei laureati presenti negli Usa”. Nel corso di questo Forum, si discuterà delle “ripercussioni dell’immigrazione sulla politica interna ed estera dei Paesi dell’Unione Europea, della tutela dell’identità e dei diritti dei migranti, del ruolo delle imprese e delle istituzioni bancarie e finanziarie”. Ma al governo italiano interessa un altro tipo di immigrazione. Quella pericolosa, clandestina, foriera di incontrollato malaffare e insicurezza per i cittadini. Un’insicurezza ben captata dal centrodestra, la cui sensibilità a riguardo gli ha consentito di stravincere le ultime elezioni.
Il problema non è costituito dunque dai flussi di persone qualificate e referenziate, ma da quella immigrazione che va a riempire le fila della manovalanza della criminalità organizzata micro e macro, cui la gente comune sta man mano reagendo con ronde e talvolta linciaggi indiscriminati. Uno stato degno di questo nome non può acconsentire alla giustizia “fai da te” e, a tal proposito, come da programma, il Consiglio dei Ministri ha approvato il cosiddetto “pacchetto sicurezza”. Un decreto legge introduce l’aggravante della clandestinità: se un cittadino straniero commette un delitto mentre si trova irregolarmente in Italia, la pena prevista per quel A pagina 2
approvato un Disegno di Legge che inizierà ad essere discusso in Parlamento e che prevede tra le altre, alcune norme che ugualmente riguardano la presenza sul nostro territorio degli stranieri. Tali articoli serviranno a disciplinare sia l’iter di ottenimento della cittadinanza da parte di un coniuge straniero- ottenibile solo dopo due anni di matrimonio- sia ad inasprire le
pene nei confronti di coloro i quali sfruttano i minori attraverso l’accattonaggio. Inoltre tale DdL prevede di dare più potere ai sindaci e alle polizie municipali in tema di sicurezza e controllo del territorio oltre che il reclutamento di circa 3 mila nuovi Poliziotti e Carabinieri. Ma il provvedimento che più farà discutere è quello che A pagina 2
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LA PIAZZA D’ITALIA - INTERNI Il Governo vara le prime norme per contrastare l’immigrazione clandestina
In Italia come in Europa Dalla Prima propone di inserire nel nostro ordinamento giudiziario il reato di “ingresso illegale” nel territorio italiano e di punirlo con una pena variabile dai sei mesi ai quattro anni. E a tal proposito si sono scatenate subito le reazioni delle opposizioni-parlamentari e non-che si sono mostrate contrarie all’attuazione di questa sanzione ritenendola dannosa ed inutile poiché contribuirebbe solo ad intasare ulteriormente tribunali e carceri . Ma gli altri Paesi europei come si regolano in merito all’ingresso nel proprio territorio degli immigrati extracomunitari regolari o clandestini? In Francia, è in vigore una legge che è stata fortissimamente voluta dall’attuale Presidente della Repubblica Sarkozi all’epoca in cui era ancora Ministro degli Interni, poco più di due anni fa quindi. Attraverso la sua promulgazione ed attuazione si è cercato di far passare nella società francese il concetto che l’ immigrazione non debba essere solo subita passivamente ma “scelta” e questo per un paese come la Francia che ha sempre calamitato un consistente flusso di immigrati soprattutto provenienti dalle sue colonie di oltre-mare è stato un fatto
rivoluzionario. In pratica coloro i quali vogliono entrare i Francia debbono firmare una sorta di patto con lo Stato , in cui i primi si impegnano a rispettare le leggi in vigore a Parigi ed imparare la lingua, mentre la Francia ha l’obbligo di mettere a disposizione degli immigrati tutti i mezzi per trovare loro un lavoro, una casa ed imparare la lingua. Sindaci e Prefetti hanno il compito di provvedere che gli immigrati regolari rispettino tali disposizioni. L’ordinamento giudiziario francese- come quello tedesco o inglese - prevede in ogni caso il reato della clandestinità, punito sia con un’ammenda pecuniaria che con una pena carceraria. Allo scopo di combattere questo reato è stato formato uno speciale corpo di polizia che opera in tutto il Paese e non solo negli aereo porti o nelle stazioni e sono stati costruite più di cento strutture simili ai nostri CPT- centri di accoglienza temporanea- in cui vengono messi i clandestini in attesa di essere rimpatriati. Ma come è che avvengono gli ingressi in Francia?in primo luogo le ambasciate ed i consolati francesi all’estero fanno una prima analisi delle domande di lavoro e di soggiorno in base alle attitudini dei richiedenti, che comunque vengono schedati attra-
verso le impronte digitali e gli altri dati biometrici. Tutte queste informazioni vengono poi incrociate con quelle riguardanti le necessità del mercato lavorativo francese e quindi si decide a chi dare il visto e a chi no. E’ in ogni caso il Governo francese che ogni anno modula il numero degli ingressi in funzione della capacità di accoglienza in merito alla disponibilità di alloggi, di lavoro o dei corsi universitari. Ulteriormente inasprite le norme che regolano i ricongiungimenti familiari,oramai la stragrande maggioranza delle richieste di ingresso. Infatti lo straniero che richiede un ricongiungimento deve in ogni caso dimostrare di poter mantenere con il proprio lavoro anche il nuovo arrivato. Per quanto riguarda la Germania invece la legge entrata in vigore a gennaio del 2005 prevede per la prima volta la regolamentazione dell’immigrazione di persone provenienti da stati extra comunitari attraverso flussi prestabiliti e la differenzazione tra un permesso a tempo determinato ed uno a tempo indeterminato. Nel Paese governato dalla Merkel sono presenti circa 7,3 milioni di stranieri- circa il 9% della popolazione- e da sempre per le sua caratteristica di essere la “locomotiva”
economica d’Europa ha attratto persone in cerca di lavoro da tutte le parti del Mondo, ma dopo aver raggiunto una percentuale di disoccupati di oltre il 10% le istituzioni tedesche si sono chieste se non fosse il caso di frenare questo continuo afflusso di immigrati che andavano ad intasare il sistema sociale teutonico. In base a questa legge il numero dei nuovi lavoratori stranieri in entrata viene regolato in base alle reali necessità mostrate dai vari settori economici e produttivi del Paese. Sono previste delle agevolazioni per l’ingresso di personale e tecnici altamente qualificati che solitamente ottengono il visti d’ingresso più facilmente e permessi di soggiorno di più lunga durata. In ogni caso chiunque ottenga il “pass” per soggiornare a Berlino deve frequentare dei duri corsi obbligatori- tenuti a spese dello Stato- di lingua tedesca e di cultura generale della Germania. Coloro i quali non superano tali corsi oppure mostrano scarso interesse per essi o non li frequentano affatto sono puniti con la decurtazione dei sussidi di assistenza oppure con una diminuzione del tempo del permesso di soggiorno. In ogni caso gli stranieri potranno lavorare in
Germania solo se non ci sono tedeschi o cittadini comunitari interessati allo stesso posto di lavoro. Tutte queste norme sono comunque federali, ovvero adottate dal parlamento nazionale, senza possibilità di essere modificate dai Lander che compongono la repubblica federale. La legge tedesca considera comunque reato penale sia l’entrata che il soggiorno clandestino o la permanenza sul suolo tedesco con visto scaduto, con pene che arrivano sino ad un anno di detenzione. Infine la Spagna che tanto ha accusato attraverso le dichiarazioni di alcuni suoi ministri l’Italia di praticare una politica xenofoba nei confronti degli stranieri. Dopo l’ultima sanatoria del 2005 –in 700 mila l’hanno ottenuta- gli stranieri in terra iberica sono circa 4 milioni e mezzo ma secondo alcune fonti se ne dovrebbero aggiungere un altro milione che ancora vivono in clandestinità. Il permesso di soggiorno si ottiene solo se c’è già un datore di lavoro disposto ad assumere lo straniero. Comunque in ogni caso dopo tre anni di permanenza si ottiene il visto definitivo. Negli ultimi anni sono aumentate –fino al 60%- le espulsioni di immigrati clandestini anche grazie alla
costruzione del così detto SIVE - Sistema Integral de Vigilanza Esterior - un vero e proprio “muro” costituito da filo spinato e sensori radar che circondano le enclavi spagnole in Africa del Nord, e la costa da Gibilterra sino a Valencia.Di qualche mese fa è stata la dura repressione delle forze dell’ordine iberiche che ha causato molti morti proprio a Ceuta e Melilla allorquando alcuni clandestini marocchini hanno cercato di superare questa barriere iper tecnologica. Il sistema di controllo dell’immigrazione clandestina è completato inoltre dalla presenza- anche in Spagna- dei centri di permanenza temporanea che oramai sono in condizioni deplorevoli essendo stracolmi e ridotti al collasso e per questo sanzionati perfino da alcuni rapporti dell’UE. Da questa rapida carrellata si evince che anche altri paesi europei hanno adottato da poco politiche maggiormente restrittive nei confronti dei clandestini ma se tutta l’UE non capirà in tempi brevi che la questione deve essere affrontata in sede comunitaria tutti i provvedimenti presi dalle singole Nazioni per frenare l’esodo di clandestini verso l’Europa saranno inutili. Giuliano Leo
Tra pro e contro imperversa il dibattito che segue il pacchetto sicurezza
L’America? Dalla Prima delitto sarà aumentata fino a un terzo. Potrà inoltre essere espulso chi è stato condannato in via definitiva a pene fino a 2 anni di carcere (contro gli attuali 10 anni). Fatto nuovo e non privo di risvolti è la severa punizione destinata a coloro che affitte-
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ranno una casa a un immigrato irregolare. Oltre alla confisca dell’immobile, rischieranno infatti da sei mesi a tre anni di reclusione e una multa da 10mila a 50mila euro. Novità che entreranno in vigore appena arriverà in Gazzetta Ufficiale il decreto legge, che dovrà poi essere convertito in legge entro sessanta giorni dal Parlamento. Il fatto nuovo rispetto alla precedente legislatura ove verdi e rossi dettavano le regole alla vecchia, striminzita maggioranza, è il sostanziale carattere bipartisan: il problema è da ambo le parti ritenuto essenziale. E’ stato inoltre inserito il reato di “ingresso illegale nel territorio dello Stato”. Chi entrerà in Italia irregolarmente verrà punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Viene poi allungato il tempo massimo di trattenimento nei Centri di Permanenza Temporanea per gli irregolari in attesa del rimpatrio per i quali è difficile l’identificazione. Dagli attuali 60 giorni, si passerà a un massimo di 18 mesi, ma sarà il giudice a dover prorogare ogni due mesi il trattenimento. Pugno di ferro contro i cosiddetti matrimoni di comodo: il coniuge straniero acquisirà la cittadinanza italiana solo dopo due anni di residenza regolare in Italia successivi al matrimonio, non più dopo
sei mesi, e gli anni diventano tre se la coppia risiede all’estero. I tempi verrebbero però dimezzati se ci sono dei figli. Stretta anche sull’attività di money trasfer, pratica diffusa e da monitorare. L’agenzia dovrà chiedere e fotocopiare il documento di identità e il permesso di soggiorno di chi spedisce il denaro e, se qualcuno non ha il permesso, dovrà inviare i suoi dati alla polizia. Se non lo fa, rischia di vedersi revocata l’autorizzazione a trasferire denaro. il nodo cruciale che più fa discutere in Italia e in Europa – basti pensare alle ultime uscite del nostro nuovo principale competitor europeo che nei prossimi anni punta a farci le scarpe, la Spagna - è rappresentato dalla possibilità di espellere dei cittadini comunitari inserendo tra questi anche la mancata iscrizione all’anagrafe dopo 3 mesi di soggiorno, e prevede la dimostrazione, per l’iscrizione, che il reddito arrivi da attività lecite. Con un altro decreto si rendono più difficili i ricongiungimenti, prevedendo inoltre il test del dna quando ci sono dubbi sulla parentela. Questi, in soldoni i punti chiave atti ad arginare la marea che si abbatte da qualche tempo sull’Italia, vista da alcuni come semplice terra di passaggio, da altri come terra di stanziamento stabile. Di qui il dibattito aspro sulla
legalità, i raid come risposta a furti o anche violenze subite in una sorta di faida medievale. Tutto ciò necessita di uno stop. L’Osservatore Romano dal canto suo, approva la decisione del Governo italiano di stralciare dal decreto sulla sicurezza la parte riguardante il reato di immigrazione clandestina, che rappresenta un “punto critico dell’intervento dell’esecutivo, elemento che qualifica il piano rispetto ai progetti che il centrosinistra aveva a suo tempo messo a punto”. Prevedere questo reato, prosegue l’Osservatore “trasformerebbe gli immigrati senza permesso di soggiorno in fuorilegge” e ciò spiegherebbe perché “continuano a registrarsi critiche e polemiche che arrivano dal mondo del volontariato italiano, dalle istituzioni europee e da singoli Paesi membri dell’Unione europea, o almeno da loro singoli esponenti di Governo”. C’e’ senza dubbio un fondo di verità nelle parole del quotidiano vaticano, ma tuttavia non è tutto oro quel che luccica. Molte delle critiche piovute sull’Italia sono strumentali, legati ai vari orticelli che le hanno scagliate. Intanto, se tra gli italiani si respira un po’ di sollievo per l’attività del governo in materia, fra gli immigrati impazza il dibattito. Non è necessario andare in strada in cerca di
immigrati per carpirne il pensiero. Gli immigrati che giungono in Italia si organizzano e vi sono blog e siti dove questo pensiero appare ben chiaro. Un sondaggio, tra quelli andati per la maggiore in questi ultimi tempi è introdotto così: “Col “pacchetto sicurezza” il clima si fa più pesante e molti di quelli che prevedevano che con il nuovo governo le cose per gli immigrati sarebbero andate male (il 70% dei lettori), vedranno confermati i loro timori. La domanda allora è: “Se potessi, te ne andresti dall’Italia?” Pioggia di commenti pro e contro. Il clima che si respira è contraddittorio. Molti senza esitare e un po’ esasperati rispondono “sììììì!”, “subito!” , “di corsa”, quasi a testimoniare che il clima si sta facendo irrespirabile non solo per gli italiani, ma anche per i tanti cittadini immigrati onesti che sono approdati in
Italia. Ad ulteriore testimonianza di ciò giungono i commenti di altri che si calano nei panni dei cittadini del paese ospitante ammettendo in soldoni che anche loro – a posizioni inverse – avrebbero plaudito a tali provvedimenti. Poi, c’è - come spesso capita - l’intruso che un po’ brusco ma senza dubbio onesto e condiviso da molti tuona: “a me non interessa l’aumento del PIL a causa degli invasori stranieri che lavorano per poco e portano i soldi guadagnati nei loro paesi, a me non interessa l’aumento delle nascite se l’Italia diventerà come il Marocco piena di marocchini, io voglio il benessere dell’Italia e degli italiani…” Preludio allo scontro di civiltà? Chissà, vero è che il lavoro del governo si fa ancor più necessario. Francesco di Rosa
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LA PIAZZA D’ITALIA - ESTERI Amministrative inglesi 2008
Apocalipse Labour E’ molto facile raccontare di un disastro elettorale. Molto più difficile di una apocalissi politico culturale maturata nel giro di pochi mesi. Ma il carattere del risultato delle scorse amministrative inglesi che ha portato alla storica elezione di un Sindaco Tories a Londra, Boris Johnson e all’avanzata del partito che fu di Margaret Thatcher al 44% dei consensi e al top del suo momentum con lo Union Jack tutto, ha qualcosa di epocale. Per capire la portata di quanto accaduto, seppur trattatasi di elezioni locali, va segnalato come il partito laburista (22%) viene scavalcato dai liberal-democratici (24%), gli eredi dello storico e glorioso Whig Party, fuori contesa nello scenario politico britannico da poco dopo la fine della seconda rivoluzione industriale. Ma il crollo del New Labour travolge anche i rapporti interni al partito con le nomenclature locali. E’ di questa settimana l’annuncio choc di Wendy Alexander, leader del partito laburista nel Parlamento scozzese, che ha dichiarato appoggerà una richiesta di referendum per l’indipendenza della Scozia, assecondando così la volontà dello Scottish National Party che
aveva vinto le elezioni con un programma di riforme economiche e con la promessa di indire per il 2010 il referendum sull’indipendenza. Al di là delle possibilità ad oggi scarse di un successo dei secessionisti (i sondaggi li danno indietro 59/25) e delle importanti sfumature con cui la Alexander avanza la sua proposta (vuole un referendum più immediato e il cui quesito sia il risultato di uno studio di insigni costituzionalisti) la scelta della leader scozzese segna un punto di svolta e di pericolosa rottura politica che se non ricomposta potrebbe di fatto generare il seme della nascita di un partito laburista scozzese separato da quello britannico, anticipando di fatto una secessione politica secondo uno scenario che ricorda da vicino il quadro politico belga. Ma come si è arrivati a tanto. La risposta ha un nome e un cognome. Gordon Brown. I politici possono fare poco per migliorare le cose, ma molto per peggiorarle e quando un leader giunto alla più alta carica del Regno, senza investitura popolare, ma con l’idea di recuperare presto le venature di malcontento che si cominciano ad intravedere nel Paese per correre alle urne e sorpren-
dere i New Tories di David Cameron si ritrova come prima significativa scelta ad abolire la fascia di aliquota fiscale più bassa, scatenando la reazione dell’opposizione che lo accusa di impoverire i più poveri e dei propri compagni di partito che imbarazzati corrono ai ripari presentando emendamenti “amichevoli”, diventa difficile spiegarsi ai cittadini. Così l’accettazione degli emendamenti “amichevoli” da una parte evita il disastro ma dall’altra lascia il dubbio lecito nel corpo elettorale che ad essere “Unfit” (inadeguato) alla carica sia proprio l’attuale inquilino di Downing Street. Un leader che in breve è costretto nella patria della privacy a correre in Parlamento a scusarsi per la perdita dei dati personali e reddituali dei contribuenti finiti ancora non si sa bene dove. Un leader che governa così prontamente la crisi della Northern Rock tanto da permettere scene da Grande Depressione come le code dei cittadini correntisti all’alba davanti agli sportelli della Banca. Un leader che pensa di spuntare le armi dell’opposizione copiandone di sana pianta i programmi e venendone irri-
so in diretta TV, uno che non manca nei suoi discorsi di esprimersi plagiando spudoratamente i discorsi di Bill Clinton vecchi di più di dieci anni e venendone smascherato da tutto il mainstream mediatico. Ritenuto per anni il vero motore del pensiero economico blairiano, Brown ha finito per apparire ai propri connazionali un leader interessato soprattutto a mantenere a tutti i costi la propria prestigiosa poltrona, il più possibile, ben sapendo che di fronte ad una contesa elettorale le sue chance sarebbero minime. Così facendo però il New Labour è passato come un partito debole, svuotato della sua missione dopo gli anni del blairismo che già ne avevano messo a dura prova l’identità; un partito diventato delle e per le poltrone che inviso alla popolazione quando il suo leader non manifesta il coraggio che si chiede ad un capo di governo e alla coalizione governante di una delle più importanti democrazie del pianeta, dove la prassi in casi come questi e che entro breve tempo di sciolgano le camere anticipatamente. Seguendo un tale comportamento politico non sarebbe stata evitata la sconfitta, quel-
la no, ma il disastro certamente sì. E’ un paradosso, scrive l’Economist, giacché per l’influente testata britannica, David Cameron è la misura del successo politico del New Labour, un leader conservatore costretto per andare in luna di miele con il Paese a giocare al blairismo da destra. Un analisi impeccabile non c’è che dire, ma adesso il Premier e il suo partito si trovano nell’invidiabile situazione di sapere con precisione che ogni giorno che passa con il loro gabinetto insediato a Downing Street è un pezzo in più di Westminster regalato ai Tories di Cameron
e una chance in meno di colmare il gap con gli Whigs. Sciogliendo le camere oggi, si verrebbe a cristallizzare la situazione tragica che si è palesata con il risultato delle amministrative, che in una legge elettorale a collegi uninominali può voler significare tanto. Mettendo da parte i paradossi, la misura del successo del New Labour adesso potrebbe essere plausibilmente rappresentata dalla scomparsa o quasi della sua rappresentanza parlamentare nel prossimo Parlamento. Un risultato davvero storico. Giampiero Ricci
Il terzo Presidente della Federazione e il nuovo premier: la storia non cambia
Tadic vince ma non convince
Russia, Medvedev e ancora Putin
Elezioni Serbia
La consegna della valigetta nucleare mette il sigillo alla presidenza targata Medvedev: il delfino di Vladimir Putin si insedia ufficialmente al Cremlino ereditando anche il controllo della famosa ventiquattrore che consente al capo di stato di controllare in qualsiasi momento il bottone rosso per un potenziale attacco atomico. A Mosca si intrecciano passato, presente e futuro di una Russia che solo apparentemente volta pagina. Il passato di Putin, il presente di Medvedev, il futuro ancora di Putin che, smessi i panni di presidente, continuerà ad essere comunque l’uomo ombra della federazione russa. E’ la “fine della naja” per il teorico del ‘me ne vado ma resto’: nominato premier, Putin conclude otto anni al vertice dello stato, mentre inizia l’attività a capo del governo e del partito di maggioranza Russia Unita. Dopo aver ribadito – durante la cerimonia di insediamento di Medvedev di fronte a 2.000 invitati nella sala reale del Cremlino - di aver servito lo stato in maniera “chiara e onesta”. Ovvero senza forzare la Costituzione che vuole un massimo di due mandati presidenziali. E anche senza cambiare le regole del gioco. Nel suo ultimo discorso al Cremlino, Vladimir Vladimirovic ha ricordato
non soltanto le vittorie, ma anche le “tragedie” attraversate dalla Russia negli ultimi otto anni. Ossia gli attentati e le stragi, dalle bombe a Mosca al martirio di Beslan, e quel periodo di instabilità che sembra ormai ampiamente stato superato. Proprio durante l’era Putin. Perennemente in cima ai sondaggi, menzionato per ben 10.000 volte dai media russi nel solo mese di aprile, promosso dal 78% dei suoi connazionali, Putin continua a godere della massima popolarità. E la sua capacità di soddisfare l’opinione pubblica russa non accenna a scemare. Dimitri Medvedev ha preso sulle sue “spalle il peso della responsabilità” messagli addosso dal suo predecessore, ricevendo una vera e propria benedizione dall’uomo che, oltre che il suo presidente, è stato anche il suo méntore. Mai era accaduto prima che un presidente benedicesse il suo successore al passaggio delle consegne: nel 2000 Boris Eltsin a Putin consegnò raccomandazioni e si rivolse non ai cittadini, ma al suo successore, chiedendogli di “aver cura” della Russia. Putin, passando il testimone a Medvedev, ha guardato dritto negli occhi i cittadini chiedendo loro sostegno per il nuovo presidente. A sua volta il terzo presidente russo ha tenuto a sottoli-
neare nel suo discorso di insediamento, la continuità rispetto a Putin e, nello stesso tempo, la necessità di un forte impegno per reggere un Paese che ha una “chance unica” nel mondo e per il quale si aprono “le più ampie possibilità”. L’insediamento è un passo simbolico e solenne, che completa l’apparizione in pubblico di Putin e Medvedev la sera dopo la domenica elettorale del 2 marzo, quando i due leader salirono sul palco di un concerto di musica pop organizzato sulla Piazza Rossa, salutando la folla come due vere e proprie rockstar. L’atto finale di una transizione di potere ampiamente regolata da una coreografia destinata ad assicurare la stabilità a Mosca. Medvedev ha i tratti somatici del ragazzino, l’età dell’uomo nel pieno delle forze: 43 anni il prossimo 14 settembre. E l’ambizione infinita di chi si ricorda ancora “quando eravamo poveri”. Sostenuto dallo stesso capo di stato uscente nella corsa elettorale si è affermato con un ‘tondo’ 70,2% dei consensi. Ora lo attendono le grandi sfide internazionali che, come manager di Gazprom, ha già avuto modo di conoscere dal lato economico: adesso è la volta della politica, della diplomazia – tanta – che ci sarà da usare anche con il futuro presi-
dente americano. Anche se, come sostiene Stephen Hadley, consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente Bush, i rapporti tra la Casa Bianca e il Cremlino rimarranno sostanzialmente gli stessi di oggi. E identiche saranno anche le divergenze. Ma ad attendere Medvedev c’è anche la il faccia a faccia con Gordon Brown. Un incontro bilaterale - nell’ambito dell’annuale vertice del G8, in programma dal 7 al 9 luglio prossimi - che dovrebbe servire per ricucire i rapporti tra Mosca e Londra, estremamente tesi ormai da un anno e mezzo, in seguito all’ancora misterioso assassinio del novembre 2006 a Londra di Alexander Litvinenko, l’ex agente del Kgb sovietico prima e dell’Fsb russo poi, entrato in rotta di collisione con l’ex presidente e attuale premier Vladimir Putin, e riparato nel Regno Unito dove chiese asilo politico, diventando poi cittadino britannico. Adesso Medvedev pensa ai primi viaggi diplomatici: iniziando da quello nel cuore slavo dell’Europa, in quella Serbia per la quale batte il cuore più nazionalista dell’elettorato, continuando poi sulla via del petrolio, partendo dal Kazakistan per passare in Cina. A ribadire - se non fosse ancora chiaro - che la Russia della nuova generazione non fa ideologia, ma business.
Non è bastato alzare la voce contro Pristina e continuare a usare toni concilianti verso Bruxelles: la strategia del presidente Tadic ha evitato il peggio ma non ha consegnato ai filo-europei di Belgrado la maggioranza assoluta nelle elezioni amministrative serbe. Le formazioni europeiste hanno ottenuto il 39 per cento dei consensi, conquistando così 103 deputati su 250, 23 voti in meno della maggioranza assoluta che è di 126 deputati. Nettamente indietro, a sorpresa, il partito radicale di Nikolic, che tutti i sondaggi davano come sicuro vincitore alla vigilia del voto: il movimento filo-russo si ferma al 28 per cento dei consensi conquistando 76 seggi. Sufficienti comunque, per minacciare da subito un governo di colazione che escluda Tadic e ottenga la maggioranza grazie ai voti dei democratici del premier uscente Kostunica - terzo incomodo della corsa con l’11 per cento dei voti e 30 seggi - e il contributo dei socialisti dell’ex presidente Milosevic, quarti con l’8 per cento e 30 deputati. Tadic da parte sua ha proclamato la vittoria della Coalizione per una Serbia Europea - in netto vantaggio nello scrutinio dei voti affermando che non intende permettere ai nazionalisti di prendere il potere, e che vuole nominare un nuovo
Primo ministro. Entrambi i blocchi sono obbligati all’alleanza. In concreto, l’ago della bilancia resta il Partito socialista serbo (Sps), che con il 7,9% dei voti otterrebbe 20 seggi. “Aspettiamo domani e vedremo”, ha commentato il numero due del partito, Zarko Obradovic, precisando comunque che è il miglior risultato dal 2000, anno in cui Milosevic fu spodestato. Il blocco di Kostunica avrebbe ottenuto circa l’11% e 30 seggi. Mentre il Partito liberal democratico (Ldp) di Cedomir Jovanovic (il politico serbo a riconoscere l’indipendenza del Kosovo), l’alleato più verosimile per Tadic, avrebbe appena superato la soglia di sbarramento con un 5,2% per un massimo di 13 seggi. Bassa l’affluenza, tra maltempo e probabile stanchezza dell’elettorato, richiamato alle urne a tre mesi dalle presidenziali: 60,7% dei votanti Tadic fa orecchie da mercante, incassa il supporto di Solana e quello dell’Unione Europea, promette la formazione di un governo di coalizione forte che accelererà il processo di avvicinamento all’Europa ma resterà fermo su un punto: il Kosovo non è uno Stato e nessuno a Belgrado è disposto a riconoscerlo come tale.
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LA PIAZZA D’ITALIA - ATTUALITÀ
Thales Alenia Space Grandi e avveniristiche sfide tecnologiche spaziali mondiali vedono anche l’Italia protagonista attraverso Thales Alenia Space. La società è una realtà industriale di eccellenza a livello mondiale nel settore dei sistemi e delle infrastrutture spaziali: dalla navigazione alle telecomunicazioni, dalla meteorologia al controllo ambientale, dalla difesa alla scienza e all’osservazione per finire alle infrastrutture destinate alla Stazione Spaziale Internazionale. Un grande gruppo mondiale, che nasce da una joint venture composta per il 67% da Thales e il 33% da Finmeccanica, con stabilimenti in 4 diversi paesi europei e con oltre 7,200 dipendenti sparsi in tutto il mondo. La società è attualmente impegnata in: progetti ambientali, che si basano su programmi di Osservazione della Terra, come GMES (Monitoraggio Globale per l’Ambiente e la Sicurezza, con i satelliti Sentinel 1 e 3), di Meteorologia come MSG (Thales Alenia Space ha fornito tutti i satelliti Meteosat per Eumetsat) e di Climatologia, settore nel quale la società è prime contractor per la missione SMOS (Soil Misture and Ocean Salinity); nella Difesa, con importanti programmi come i satelliti per telecomunicazioni francesi (Syracuse I II e III) e italiani (Sicral), e con il sistema duale di osservazione della Terra COSMOSkyMed (Italia) e come principale partner per i programmi di telecomunicazione tedeschi (Satcom Bw) e per il programma di osservazione Helios (Francia), e Sar Lupe (Germania); nella Navigazione, con Galileo (e come prime contractor di EGNOS - il precursore di Galileo); nella Scienza ed Esplorazione, in qualità di prime contractor nella progettazione della missione ExoMars – una delle più ambiziose missioni di esplorazione del prossimo futuro – e per il satellite GOCE (Gravity Field and Steady-State Ocean Circulation Explorer); e nelle Infrastrutture e trasporti spaziali, con la progettazione e costruzione di oltre il 50% del volume pressurizzato della
Stazione zionale.
Spaziale
Interna-
Numero uno in Europa nel comparto spaziale, nel corso degli ultimi anni la società italo-francese ha rafforzato le sue posizioni di primo piano grazie a un grande dinamismo che ha portato all’apertura di nuovi mercati e all’acquisizione di nuovi clienti, a cominciare dalla Russia per passare al continente Americano fino al Sud Est Asiatico. In Italia Thales Alenia Space ha quattro siti produttivi (Roma, Torino, Milano e L’Aquila) nei quali lavorano 2,300 addetti. L’anno in corso, insieme al 2007, sono anni molto importanti per Thales Alenia Space. L’azienda ha visto concretizzarsi una parte importante di attività di progettazione e realizzazione di fondamentali programmi satellitari, attraverso un nutrito numeri di lanci di successo. Una agenda quindi molto ricca di importanti appuntamenti spaziali che nel 2007 ha portato al lancio di due dei quattro satelliti della costellazione di COSMOSkyMed, innovativo programma, tutto realizzato in Italia, ad uso duale (civile e militare) destinato all’osservazione della Terra. Scopo della missione è quello di fornire un’ottimale ed autonoma capacità di valutazione della situazione su scala globale attraverso il monitoraggio e la sorveglianza a fini ambientali, strategici (Difesa e Sicurezza), scientifici e commerciali. I satelliti, tutti uguali tra loro, ‘guarderanno’ il nostro pianeta giorno e notte e con qualsiasi condizione atmosferica grazie ai radar ad alta risoluzione in banda X. Le immagini di COSMO sono state protagoniste nelle scorse settimana, nella vicenda del ciclone Nargis in Myanmar e nel terremoto che ha devastatati la regione cinese del Sichuan. Grazie ai satelliti italiani è stato possibile vedere e valutare immediatamente l’entità della catastrofe abbattutasi su queste zone. La messa in orbita del terzo satellite di COSMO-SkyMed è prevista sul finire della prossima estate. Un altro importate passo per l’azienda si è appena con con-
cluso con il lancio di Giove B, secondo satellite della costellazione di Galileo, sistema di navigazione satellitare che rappresenta il più importante progetto dell’industria spaziale europea. Interamente integrato e testato nel Centro Integrazione Satelliti romano di Thales Alenia Space, Giove B è parte di Galileo, costellazione di 30 satelliti di naviga-
contributo industriale di riconosciuto prestigio internazionale, con la costruzione di oltre il 50% del volume pressurizzato, quindi abitabile, dell’intera Stazione. In pochi mesi a partire dall’ottobre dello scorso anno l’azienda è stata protagonista assoluta nell’ampliamento e utilizzazione della Casa orbitante. In un pugno di mesi si sono con-
fulcro mondiale dei moduli orbitanti, nel capoluogo piemontese sono nate e si sono sviluppate anche le maggiori missioni scientifiche europee dedicate alla esplorazione del nostro sistema solare: Rosetta, Mars Express, Venus Express. Avrà un cuore piemontese anche il Programma europeo ExoMars. Il progetto ExoMars, con un valore complessivo di
acque marine e oceaniche e della loro influenza sul clima.
zione, di cui Thales Alenia Space è oggi l’architetto in qualità di primo contraente del Segmento di Sistema e Ingegneria e del Segmento Terrestre della Missione. Thales Alenia Space è coinvolta inoltre nella costruzione dei primi 4 satelliti della fase IOV (In Orbit Validation), attraverso alcune componenti strategiche e complesse.
cretizzati i frutti del lavoro di oltre dieci anni di impegno, svolto tutto nello stabilimento di Torino, intorno alla Stazione Spaziale. Nel 2007 il Nodo 2 ha raggiunto con successo la ISS permettendo così anche l’arrivo del laboratorio Columbus nel febbraio 2008. Questo volo è stato seguito a inizio marzo da quello dell’ATV Jules Verne e al quale farà seguito quello del MPLM nei prossimi mesi. Questi ultimi due lanci permettono di far arrivare sulla Stazione più di 2 tonnellate di attrezzature e di rifornimenti.
600 milioni di euro, rappresenta una delle missioni di esplorazione più importanti nell’immediato futuro. L’obiettivo è inviare un lander rover su Marte per trovare le tracce di vita passata o presente. Thales Alenia Space ha la responsabilità del progetto della missione, compreso la definizione dei suoi principali elementi di sistema.
di Thales Alenia Space sono stati progettati, integrati e testati i moduli di servizio di entrambi i satelliti. Questi laboratori spaziali svilupperanno ulteriormente la conoscenza della nostra galassia e dell’intero Universo. Herschel è il più grande telescopio orbitante e sarà il primo osservatorio spaziale in grado di coprire completamente le bande di frequenza dall’infrarosso lontano alle sub-millimetriche. Il suo scopo principale è studiare come si sono formate e come sono evolute le prime stelle e galassie. Planck consentirà di capire le origini e l’evoluzione dell’Universo. Analizzerà, con la massima precisione mai ottenuta finora, la prima luce che ha riempito l’Universo dopo il Big Bang, la Radiazione Cosmica di Fondo a Microonde.
Thales Alenia Space, in un contesto tecnologicamente tra i più avanzati al mondo, svolge un ruolo fondamentale nella realizzazione della Stazione Spaziale Internazionale fornendo un
Ma Torino non è solamente il
Ma se lo sbarco su Marte è ancora in fase di sviluppo sono invece prossimi al lancio importanti satelliti destinati allo studio della Terra e alla scoperta dei segreti dell’Universo. Il primo a salire sulla rampa di lancio sarà Goce ovvero Gravity Field and Steady State Ocean Circulation Explorer, è il primo satellite della serie Earth Explorer Core Missions ad essere sviluppato come parte del programma dell’ESA Living Planet, ed è destinato allo studio del nostro Pianeta e alla realizzazione della prima mappa mondiale ad alta risoluzione del campo gravitazionale terrestre. Per raggiungere questo importante obiettivo, GOCE è stato disegnato e attrezzato per poter volare a bassa quota: 250 km dalla Terra. La particolare ed elegante forma, non a caso è stato definito ‘la Ferrari dello spazio’ e i due motori a ioni permetteranno a GOCE di essere l’unico satellite in grado di mantenere quest’orbita e catturare tutte le variazioni gravitazionali terrestri, fornendo accurati e completi dati sulla struttura e dinamica interna della Terra, della circolazione su vasta scala delle
Una risposta alle domanda sulla formazione del Cosmo dovrebbe arrivare dai satelliti Herschel e Planck per i quali Thales Alenia Space è prime contractor per lo sviluppo completo di entrambi e per tutte le attività previste prima del lancio. Negli stabilimenti
Nel carnet delle conquiste scientifiche di Thales Alenia Space non si può non menzionare il successo tecnologico più ambizioso: la missione Cassini-Huygens per Titano. All’inizio del 2005, dopo un viaggio di sette anni attraverso il sistema solare, la sonda spaziale Huygens è atterrata sulla luna di Saturno, Titano. Thales Alenia Space è stata primo contraente nella realizzazione della sonda che ha messo a segno grandi traguardi in tutte le sue missioni scientifiche, tanto da guadagnare il primato mondiale nella scienza spaziale. E’ stata la prima volta che un oggetto costruito dall’uomo è atterrato sulla luna di un pianeta così distante dal nostro sistema solare.
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LA PIAZZA D’ITALIA - ECONOMIA
Un Golfo Persico diverso è possibile C’è una realtà economica che in questi anni di controversa congiuntura economica mondiale sta andando avanti spedita e a fari spenti. Arabia Saudita, Kuwait, Bahrain, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Oman stanno dando vita ad una comunità economica omogenea, prospera e orientata alla realizzazione di riforme economiche senza precedenti nel mondo arabo. Secondo l’Istituto di Finanza Internazionale (IIF) le economie del Golfo Persico hanno guadagnato solo nel 2007 $381 miliardi dalle loro esportazioni di petrolio e altri $26 miliardi da quelle del gas. Se il prezzo del petrolio al barile – come sembra – rimanesse costantemente sopra i $100, per McKinsey, è prevedibile entro il 2020 un guadagno netto per il compartimento industriale di quasi $9.000 miliardi con un PIL dell’area che ammonterebbe a $800 miliardi annui. Per avere un termine di paragone, gli USA sono una economia da $12.957 di PIL annuo. Diviene quindi necessario modificare il punto di vista critico sulla crescita dell’economia mondiale, forse troppo frettolosamente definita come gravitante solo attorno all’area della Cindia. Ma se ciò detto ci accorgiamo che le economie di quest’area hanno un programma di unione monetaria entro il 2010 per cui in una riunione in Dicembre si sono rifiutate, nonostante le pressioni della
comunità internazionale, di rivalutare la quotazione delle monete nazionali poiché a loro dire ciò allontanerebbe tale programma strategico e se al contempo ci accorgiamo che, nelle loro intenzioni, tra le altre cose l’unione monetaria dovrebbe risolvere a favore della nascitura moneta, la interna all’OPEC su quale valuta di riferimento debba essere adottata nella quotazione del barile di petrolio tra euro e dollaro, allora sorprende la totale superficialità con la quale dette notizie siano state adottate senza colpo ferire dagli operatori economici. In verità qualcosa gli operatori economici nelle istituzioni economico finanziarie di maggior rilievo hanno fatto. Hanno preso soldi. Liquidità in cambio della possibile (anzi probabile) bancarotta di alcune tra le più prestigiose istituzioni finanziarie planetarie. I paesi del Golfo infatti, sempre nel 2007, hanno aggiunto al loro stock di partecipazioni rilevanti nell’Occidente industrializzato, $215 miliardi di assets stando ai calcoli dell’IIF. Tale valore è stato distribuito tra le banche centrali, i fondi sovrani e i fondi d’investimento dei paesi del Golfo. Secondo Brad Setter del Council on Foreign Relations, principale Think Tank bipartisan Usa di relazioni internazionali esse aumenteranno per la fine dell’anno corrente di altri $1.800 miliardi.
La differenza sostanziale che gli osservatori internazionali sottolineano è che diversamente dagli anni ’70 allorché la crisi petrolifera arricchì solamente una elité e i guadagni petroliferi furono dai regimi dell’area sperperati in iniziative fallimentari, propagandistiche o al meglio nel finanziamento ad istituzioni religiose, politiche e sociali, peraltro oggetto di dubbi circa la loro impermeabilità al fenomeno dell’estremismo islamico, oggi si assiste ad un piano di investimenti per migliorare le condizioni urbanistiche delle città, all’importazione su scala planetaria di cervelli e come detto allo shopping di partecipazioni strategiche e speculative in giro per il mondo che accrescono la dinamicità di economie un tempo asfittiche. Secondo Rachel Ziemba di RGE Monitor, l’area del Golfo è già una superpotenza economica ma gli enormi surplus di petrodollari si sono accumulati più per caso che per altro giacché negli anni ’90 si pensava ad un continuare del trend al ribasso del prezzo del barile, certo adesso i sei paesi del Golfo annunciano o iniziano progetti di investimento del valore di $1.900 milardi, il 43% in più dell’anno precedente (Middle Eastern Economic Digest), ragione per cui, al di là della plausibile preoccupazione circa i risvolti nelle relazioni internazionali dei nuovi assetti azionari nel gotha
della finanza globale, è evidente come i paesi del golfo questa volta facciano sul serio e abbiano deciso di spendere gran parte dei loro guadagni sul proprio suolo. E’ l’inizio, forse, di una possibile primavera non solo economica su tutta l’area, dal momento che ai giorni nostri si è diffusa da parte di questo mondo una inusuale capacità mediatica, di fare opinione pubblica e ciò attraverso TV e giornali che si sono guadagnati autorevolezza a livello globale come Al Arabya e Al Jazeera che fanno da volano e da eco anche alle capacità economiche, imprenditoriali e di consumo di tutto il mondo mussulmano.
Certo restano molti problemi sul tavolo, anche in prospettiva, l’indomabile inflazione, l’arretratezza nella alfabetizzazione della popolazione che fa sì che si necessitino ancora almeno 280.000 nuovi posti di lavoro all’anno per impiegare un solo cittadino indigeno laureatosi nelle università e/o formatosi nelle scuole dei paesi di origine, ma certamente mantenendo a dritta il timone della nave, inserendo gradatamente quelle riforme democratiche che si accompagnano alla maggiore capacità economica degli individui, è possibile che si evitino destabilizzazioni almeno dall’interno. Tra tanti punti esclamativi un
grande, grosso, enorme punto interrogativo: quali conseguenze a medio lungo termine dal perdurare di un quadro internazionale che vedrà economie enormi e fiorenti accanto ad un piccolo anche se militarizzato e ben organizzato Stato democratico, neanche tanto nascostamente, odiato. Quali conseguenze a medio, lungo termine dal perdurare del mancato riconoscimento di Israele. I dhows sono destinati a sparire per lasciar spazio alle imbarcazioni da diporto, resta da chiedersi se questa sia necessariamente una buona notizia. Giampiero Ricci
Fare del voyeurismo un mezzo di lotta all’evasione
Visco e un’idea in testa L’evasione è una piaga che colpisce il nostro Paese e questo è un concetto politicamente trasversale; i condoni sono stati un pessimo mezzo per combatterla e questo finalmente l’ha ammesso anche il neo governo di centro-destra. Le soluzioni sono tante ma nessuna perfetta. Fortunatamente la tecnologia viene incontro a chi deve controllare il comportamento fiscale degli italiani ma evidentemente per il vice ministro Visco l’organico degli apparati di controllo sono sottodimensionati e allora perché non avvalersi di tanti internauti dando loro l’intera lista dei contribuenti italiani? In poche ore una massa indefinita di cittadini, chi per curiosità, chi per incredulità, chi per vocazione poliziesca, si è connessa, o ha tentato di farlo, al sito dell’Agenzia delle Entrate bloccandolo in poco tempo prima che il Garante per la Privacy desse lo stop definitivo. La ricetta semplice, della cui efficacia si potrebbe disquisire all’infinto, pone un semplice problema prima di qualsiasi altro: in uno stato di diritto è concepibile che lo Stato sia al di sopra di quelle
leggi a cui i suoi cittadini debbono scrupolosamente attenersi? Si perché mentre noi cittadini andiamo incontro a sanzioni anche piuttosto pesanti in caso di infrazione alla scrupolosa legge sulla privacy, lo Stato si permette di fornire in un normalissimo file di testo (è importante notarlo) migliaia di nomi divisi per Comuni di residenza con data di nascita, e parametri fiscali molto personali. Perché è importante il modo di divulgazione tramite liste su file? Il motivo è semplice e denota l’attitudine visconiana e di buona parte della sinistra che non solo permette la consultazione di un dato ma lo raccoglie a gruppi di decine di migliaia per far sì che l’iniziativa diventi una Treccani della morbosità oltre ad essere un preziosissimo elenco “telefonico” per tutti coloro che vogliono indirizzare le loro iniziative, legali e non, a determinati soggetti con un certo reddito dichiarato. Invece di dare la sempre discutibile opportunità di consultazione per nominativo e dopo una trasparente iscrizione per poter sapere da chi viene la richiesta (ma c’è la privacy e forse
non sarebbe legale), rendendo il reperimento delle liste di interi Comuni molto laboriosa, il nostro Capitan Trasparenza ha preferito fornire database interi che con accorgimenti elementari permettono di ordinare le liste per reddito facilitando un certo tipo di analisi. Proviamo ad immaginare come aziende commerciali o malavitosi potranno indirizzare le loro attenzioni a coloro che, solo per il fatto che dichiarano al fisco un reddito di una certa consistenza, avranno pressioni che potevano essere risparmiate. Ovvio parlare anche delle invidie che si innescano tra vicini di casa e colleghi, tutto in nome di una trasparenza che non da nulla se non conflittualità in un momento di enorme difficoltà che questa sinistra ha voluto rimarcare con un criminale colpo di coda da parte di uno dei suoi più amati esponenti, lasciato solo da tutti i suoi compari nell’arco di poche ore. Ma cosa dovrebbe portare poi questa consultazione democratica dei redditi nelle tasche dello Stato se non una probabile class action o una quantità infinita di cause con conseguenti problemi per il
sistema giudiziario? E’ stato rimarcato più volte che non esistono moduli per la richiesta di consenso da compilare insieme alla dichiarazione dei redditi che autorizzi questo tipo di pubblicazione. Nell’aria ancora echeggiano gli anatemi della sinistra sulla minaccia alla libertà rappresentata da Berlusconi, il Cavaliere, secondo i cervelli raffinati e democratici ora all’opposizione, avrebbe vinto perché in possesso dell’informazione, non perché azioni come quella di Visco fanno riflettere e reagire un’opinione pubblica stremata da questi politicanti filosofi che si autoproclamano alfieri della verità ma che in realtà non fanno altro che minare la tranquillità del cittadino. Lo stesso cittadino che vorrebbe vivere normalmente e privatamente la sua vita senza doversi difendere da quello Stato che lo dovrebbe tutelare. Dimostrazione ulteriore di quanto la sinistra tra i suoi loft ed il suo concetto di Italia sia ancora una
volta lontano anni luce dal tessuto sociale per cui dovrebbe operare. Visco una volta di più ha dimostrato l’idea di democrazia del Partito Democratico, votato alla parte formale, scandalistica e populista della verità e non alla sua sostanza. Come un volgarissimo giornale di gossip, ama mettere a nudo la vita privata dei singoli esponendoli implicitamente al pericolo e ridicolizzando l’idea di Stato per una volgare ripicca. “Pubblicare i redditi online dei contribuenti è una cosa che avviene in tutto il mondo (concetto smentito tra gli altri da Andrew DeSouza dell’a-
genzia delle Entrate USA), basta guardare un qualsiasi telefilm” ha detto il nostro eroe lasciando intravedere una insospettabile passione per le serie TV. Ma chi metterebbe la propria vita nelle mani di un chirurgo che prepara un intervento guadando Dr. House? Rimaniamo in attesa di vedere Visco vestito da Derrik “de noantri” mentre cammina gongolante tra di noi anche se a questo punto sarebbe meglio che avesse adeguato la propria realtà all’isola di Lost. La criminalità comunque ringrazia di tutto cuore. Gabriele Polgar
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LA PIAZZA D’ITALIA - CULTURA XXI fiera del libro di Torino. Prima parte
Verba volant, scripta manent Lunedì 12 Maggio si è conclusa la XXI edizione della Fiera Internazionale del Libro di Torino. Iniziata Giovedì 8 Maggio, tra flessioni, stop e impennate ha chiuso con un risultato inferiore solo del 3% ai visitatori della passata edizione del 2007, che erano stati oltre 300.000. L’evento è stato un successo; non lo è stato invece la manifestazione tenutasi sabato pomeriggio 10 Maggio per il boicottaggio della fiera perché come tutti ormai sanno, l’ospite d’onore quest’anno è stato Israele. Anzi ad onor del vero, la sfilata della stupidità è stata ridicola e del tutto inutile, perché stando sul posto, all’interno della fiera, tra libri eccellenti, eventi e conferenze magistrali e gente entusiasta che girava tra uno stand e l’altro, comprava e partecipava, ci si rendeva conto di quanto tutte le polemiche che hanno preceduto e accompagnato la fiera erano totalmente in secondo piano, inesistenti, completamente prive di qualsiasi eco. Le persone erano prese solo ed esclusivamente dalla voglia di sapere e conoscere, assolutamente indifferenti a ciò che si diceva ed accadeva fuori. E’ più che certo, che i facinorosi avrebbero avuto molti più ascolti se avessero accettato l’invito di entrare con uno stand in fiera a dialogare con chi, i libri di ogni cultura vuole leggerli. In una Torino che poi così blindata non era, perché già di per sé sicura, il boicottaggio di cui tanto si è parlato, non ha avuto alcun senso e si è rivelato una parola priva di qualsiasi significato; ha vinto la cultura, orgoglio di qualsiasi torinese con cui si conversava. La sinistra, oltre ad aver perso la classe operaia con le ultime elezioni, forse ha deciso di perdere anche quella sua vocazione ad autoproclamarsi amante della cultura e più in generale rispettosa delle diversità. Per chi è stato presente ed ha partecipato agli eventi, è netta la sensazione che la fiera non è stata solo l’intervento di Dario Fo, piccolissima goccia in un mare di beltade, ma tanto, tanto e tanto altro s’è detto. Forse un’ombra di reale boicottaggio è stata calata sulla fiera, da chi non ha raccontato ciò che avveniva dentro le varie sale, dove i cuori si scaldavano e le menti immaginavano e imparavano, ponendo invece l’attenzione solo su ciò che avveniva fuori e su interventi che rispetto ad
altri, erano di bassa qualità. Per chi era presente, la cultura Israeliana e non solo, ha portato messaggi e segnali importanti andando oltre le divisioni, cercando il dialogo e il confronto, cercando di spiegare un mondo che inevitabilmente fa i conti con la bellezza da una parte e con la bruttezza dei conflitti dall’altra. A Torino la cultura ha riflettuto su se stessa, si è autocriticata e difesa, dando la parola a filosofi, studiosi d’arte, cantanti e narratori, a giornalisti e politici, a poeti e ad associazioni come Emergency. Ma fuori dal Lingotto, vivendo entrambe le dimensioni, la sensazione è stata, che il contenuto fieristico ebraico non sia stato giustamente riportato e considerato, mancando di dare la legittima risonanza a ciò che accadeva all’interno. Girando per le sale conferenze e per gli stands, sembrava di vivere una festa; era davvero entusiasmante sentir dire: ”guarda le persone che ci sono, allora alla gente piace leggere”. E vedevi famiglie e scolaresche sinceramente coinvolte e attente al dibattito di turno, fidanzati e gruppi di adolescenti venuti per conto loro e non con la scuola, con in mano i libri appena comprati e la piantina per capire da che parte fosse la conferenza sul dibattito dei diritti di ieri e di oggi; giornalisti che di corsa si concedevano tra un evento e l’altro, un hotdog al volo per correre poi incuriositi alla discussione che si erano programmati di vedere e coppie di anziani vogliosi di apprendere ed ascoltare. Nella fiera si percepivano dinamismo, vitalità, gioia, curiosità, consenso, partecipazione e interesse; essa ha suscitato profonde riflessioni, tuonati interventi e sereni scambi di opinioni diverse. Si deve essere orgogliosi di questo evento perché con tutti i suoi spunti è stato un mezzo per scuotere gli animi dall’immobilismo e dall’omologazione spirituale che ci stanno facendo scivolare nel disagio esistenziale. Il 2009 sarà l’anno dell’Egitto: attendiamo con entusiasmo quello che saprà raccontarci e dire di sé, perché la cultura ha dato prova di saper produrre risposte pragmatiche anche per scenari difficili. L’angolo dei libri antichi e rari ti immergeva in un’atmosfera da fiaba, fatta di rilegature preziose e testi di secoli fa, affascinanti e maestosi, eleganti e pregiati, che ispiravano tutta la ricchezza della letteratura nella storia d’Italia e non
solo. L’angolo del “libro e cioccolato” ti attirava incredibilmente perché il suo stile sapeva avvolgerti in un caldo abbraccio, rilassandoti tra un’ispirata lettura e un po’ di prelibato cioccolato, evocando contesti di un’aristocrazia spirituale di altri tempi. La selezione degli eventi da seguire è stata durissima perché tanti meritavano attenzione, ma il dono di stare in due posti contemporaneamente ancora non è stato sperimentato, per cui tra tutti ne ho riportati solo alcuni e mi piace iniziare da uno in particolare, che mi ha colpito perchè ha saputo catturare la non facile concentrazione di un gruppo di ragazzi di più o meno12 anni. Domenica mattina, passando per l’Arena Bookstock Village, verso l’ora di pranzo, Emergency presentava a dei bambini delle medie i suoi conti con la dura realtà di chi vive perennemente in guerra; la cosa che più colpiva era l’attenzione dei ragazzi, seri ed interessati a ciò che stavano vedendo: le attività di Emergency nel Kurdistan iracheno dedicate a coloro che hanno perso gli arti per le mine. Una realtà così lontana da qualsiasi spensieratezza e comunque la volontà di chi sa rialzarsi, hanno fatto di sicuro breccia nell’immaginario di quei giovani studenti che così attenti, hanno capito grazie a questa manifestazione che nel mondo c’è chi non può liberamente né camminare, giocare o lavorare sulla propria terra perché l’uomo è in grado di inventare armi micidiali come le mine. Venerdì pomeriggio alle 16.30 si è tenuto l’atteso incontro con Benny Morris: lo spunto è stato la presentazione del libro “Due popoli una terra” dello storico israeliano, con la partecipazione di Antonio Ferrari e Sergio Romano. Sono diversi gli argomenti toccati e per Morris la soluzione dei due stati, uno israeliano ed uno palestinese in una terra è possibile, ma da parte araba sostiene, non pare esserci una disponibilità al compromesso. Perché in corso dice, c’è un conflitto di civiltà. Un’altra questione sollevata durante il dibattito è stata quella dei coloni. La forza degli ebrei dice lo storico, è stata quella di
riuscire a trasformare una minoranza in una potenza, mentre gli arabi non hanno saputo far questo pur essendo numericamente superiori e politicamente più organizzati in medio oriente ed in particolare in Palestina. Ma Sergio Romano ribadisce che questa potenza, gli ebrei continuano a rafforzarla insediando i coloni anche con dei trattati in corso e ciò destabilizza molto quei spiragli di dialogo che a volte si aprono; e per occupare bisogna sempre cacciare
soluzione possibile ma da tempo relegata nell’oblio, quella che prevede la costituzione di una confederazione Giordana che accolga in sé i territori palestinesi; il vantaggio sarebbe di avere uno stato arabo già esistente, responsabile e un territorio vasto abbastanza per ridistribuire i palestinesi. Per Morris dunque, è ora di aprire negoziati trilaterali con Israele, Palestina e Giordania sulla base di questa nuova/vecchia prospettiva.
dibattito scorre sulla possibilità o meno di realizzare questo piano politico: l’analisi deduce che essa oggi non può essere presa in considerazione perché, dicono i relatori, è per forza pensabile solo la costituzione di due popoli e due stati. Ma che sia fallito il progetto politico di Buber, non vuol dire che bisogna considerarlo come elemento archeologico, perché dato che viviamo in tempi monopolitici dove le alternative sono poche e poco
qualcuno e questo atteggiamento può portare ad una radicalizzazione dei movimenti arabi. Inoltre, questi ultimi vedono lo stato di Israele come un paese occidentale e tale si considerano gli ebrei stessi, ma il fatto fondamentale, afferma sempre Romano, è che in occidente gli stati non tendono più ad essere identitari, ma l’Israele si. Benny Morris risponde dicendo che la questione allora, diventa cosa s’intende per stato occidentale: esso si caratterizza per l’individualismo, la tolleranza, il rispetto per le minoranze, quindi da ciò si può dedurre che di fatto l’Israele è uno stato occidentale e nazionale. Circa gli insediamenti, si, forse hanno radicalizzato gli eventi, ma gli arabi non accettano neanche una compensazione dei territori perduti con altri a loro concessi. La soluzione che Morris infine propone è quella di riportare i confini a prima del 1967, dando ai palestinesi Gerusalemme est, ma ciò potrà accadere quando gli arabi riconosceranno il diritto di esistenza dello stato Israeliano e quando accoglieranno dei compromessi che garantiranno l’esistenza di entrambi. Inoltre ripresenta come
Tenendoci sempre su questo tema, domenica mattina alle 10.30 nello spazio Autori Calligaris B, è stato presentato, purtroppo in soli 30 minuti, il pensiero politico di Martin Buber prendendo come riferimento il suo libro “ Una terra e due popoli”. Hanno partecipato all’evento Giorgio Gomel, Fernando Liuzzi e Davide Bidussa. Martin Buber teorizzava l’esistenza di uno stato unico e binazionale in Palestina. Ma già dal 1894, alla nascita del movimento sionista, profeticamente suggeriva grande attenzione a questa questione poiché intuiva le difficoltà che si sarebbero avute con la popolazione autoctona. L’attualità del suo pensiero si configura in due punti essenziali: il primo sta in una forte filosofia del dialogo a prescindere da qualsiasi tipo di conflitto; fondamentale infatti per lui era il rapporto tra “l’io e il tu”, la capacità di relazionarsi all’altro, riconoscendolo in quanto diverso e porre così l’ascolto legittimo. Il secondo punto sta nella sua attualità politica: la proposta di Buber per la soluzione arabo-ebrea si identifica nella costituzione di uno stato binazionale. Dopo l’esposizione del pensiero del filosofo, il
riconoscibili, è importante recuperarlo come schema su cui riflettere. Se le cose non si realizzano, non vuol dire che per forza siano errate. Il problema di oggi, sia da un punto di vista più esistenziale e sia riguardo al conflitto arabo-israeliano è che sta vincendo una politica particolaristica che non vuole confrontarsi con l’altro, così ci si scontra. Ciò che manca è la curiosità, l’interesse di rivolgersi all’altro. L’uomo è consapevole di essere limitato e non ha l’interesse di confrontarsi con chi è rispetto a lui, diversamente limitato. L’eredità che Buber ci ha lasciato sta nel suggerirci di accettare l’imperfezione nel nostro ragionamento politico, nel rapporto dialettico con quello che ereditiamo e nel rapporto critico con ciò che siamo. E’ fuori dubbio che a Torino ci sono state altre analisi sulla situazione arabo-isreliana; intanto questi due interventi certamente esprimono l’elevata qualità che la fiera ha messo a disposizione per chi desiderava affrontare tale problematica. Continua nel prossimo numero
Ilaria Parpaglioni
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LA PIAZZA D’ITALIA - ATTUALITÀ La strategia per la soluzione di una vergogna dei nostri tempi
Napoli blindata Finalmente dalle parole si è passati ai fatti. Alla prima riunione del Consiglio dei Ministri tenutasi a Napoli il 21 maggio scorso oltre ai decreti riguardanti la sicurezza, l’immigrazione clandestina e l’economia , sono stati varati dei provvedimenti tesi a risolvere definitivamente e radicalmente la questione rifiuti in Campania. Vediamo adesso sinteticamente quali sono. Il Decreto Legge –che è stato contro firmato dal Capo dello Stato il 23 maggio- che affida l’emergenza “monnezza” al Dipartimento della Protezione Civile consta di 17 articoli. Guido Bertolaso è stato nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’emergenza rifiuti. Egli inoltre potrà procedere ad espropri e all’acquisizione di mezzi necessari alla gestione dell’emergenza rifiuti. In questi suoi compiti sarà coadiuvato dalla Forza Pubblica e potrà anche chiedere l’intervento dell’Esercito per vigilare e preparare i cantieri dei siti dove saranno costruiti gli sversatoi per i rifiuti o gli impianti di termovalorizzazione. Nel provvedimento vengono individuati alcune località in cui ubicare le discariche: Sant’Arcangelo Trimonte(BN), Savignano Irpino (AV), Serre (SA), Andretta (AV), Terzigno (NA), Chiaiano (NA) ,
Caserta, Santa Maria La Fossa (CE) . Tali siti e gli impianti legati alla gestione del ciclo dei rifiuti vengono definite dal Decreto Legge aree di interesse strategico nazionale. Di conseguenza è previsto che chi abusivamente cercherà di introdurvisi o creerà delle difficoltà per il loro utilizzo e quindi provocherà disagi e ritardi nel sistema di raccolta e trattamento dei rifiuti rischia l’arresto dai tre mesi ad anno, fino a 5 per chi promuoverà tali proteste. Il Dl prevede inoltre che in Campania dovranno essere costruiti e quindi attivati 4 termovalorizzatori , di cui uno a Napoli, e ai tecnici comunali del Capoluogo campano sono stati assegnati 30 giorni per trovare il luogo dove realizzare tale impianto. Oltre questa scadenza – se non sarà stato individuato il posto-sarà lo stesso Bertolaso a stabilire dove costruirne uno. Quindi verrà immediatamente ripresa l’ultimazione del termovalorizzatore di Acerra – da mesi bloccato-e viene confermata la realizzazione degli impianti di Santa Maria La Fossa (CE), e Salerno. In aggiunta il Decreto obbliga tutti i comuni della Regione a dotarsi di raccolta differenziata, dovendo essi raggiungere una percentuale del 25% sul totale entro l’anno e del 50% entro il 2010. Le amministrazioni che non rag-
giungeranno tali traguardi saranno punite con aumenti delle tariffe di smaltimento o addirittura col commissariamento ad acta da parte del Sottosegretario. In definitiva quindi dopo più di un decennio in cui il non decidere riguardo il problema rifiuti ha portato la Campania in un tunnel la cui fine – promette Bertolaso - la si potrà vedere solo tra circa 30 mesi, lo Stato ha preso dei provvedimenti durissimi che speriamo risolvano la situazione di stallo. Decisioni tanto difficili che solo un Governo autorevole eletto dalla stragrande maggioranza degli italiani poteva adottare. Non ci illudiamo che tutto vada per il meglio ma almeno adesso c’è un percorso da seguire anche perché quando ci si trova a dover scegliere in condizioni di emergenza c’è sempre il rischio concreto di incappare in qualche errore, sempre meglio però dell’indecisionismo figlio dell’italico vizio del tirare a campare. Abbiamo parlato di “cure” difficili ma inevitabili che già in molti stanno contestando energicamente. Alcune centinaia di cittadini di Chiaiano ad esempio- una delle località dove dovrà essere ubicata una discaricaproprio in queste ore protestano duramente contro questa decisione. Molotov , sassi, sprangate contro le Forze dell’Ordine che reagiscono a
colpi di cariche. Ma quello che più ci dispiace sottolineare non sono le reazioni della povera gente- molto spesso strumentalizzata da “masanielli” professionisticiche sono stanchi di subire le pur improcrastinabili decisioni provenienti dall’alto ma le reazioni di taluni rappresentanti del mondo politico che di questo disastro sono parte in causa. Assistiamo al rumoroso silenzio di Bassolino - o’governatore- che nulla ha fatto prima da Sindaco di Napoli, poi da Ministro infine da presidente della Regione per porre rimedio alla situazione dei rifiuti resa ingestibile da anni di mala amministrazione sua
e dei suoi manutengoli. Invece siamo costretti a prendere nota delle dichiarazioni di illustri rappresentanti del PRC e PdCi che accusano Berlusconi di essere al solito, un reazionario che utilizza la galera e il manganello invece di affrontare il disagio sociale dei Napoletani attraverso il dialogo. Oramai liberi- per fortuna degli italiani- da obblighi di Governo la sinistra estrema sente il “richiamo della foresta” e ritorna ad essere quello che è sempre stata: incapace di trovare soluzioni fattibili ai problemi e barricadiera. Sempre meglio forse del Pd veltroniano- che si rifugia col suo governo “ombra” a
Milano per parlare di future elezioni primarie e nuove alleanze- o di Di Pietro che fa contemporaneamente delle manifestazioni contro Berlusconi per contestare le politiche governative riguardo le emittenze televisive, palesi dimostrazioni questi avvenimenti, che il centro sinistra è ancora lontano dal ricercare le ragioni della sua disfatta politica prima che elettorale. Per una volta ci sentiamo di essere d’accordo con le dichiarazioni del Sindaco di Napoli Rosa Russo Jervolino quando dice che ora c’è la legge ed è solo il momento di rispettarla e soprattutto di farla rispettare.
Uno Stato, per favore, uno Stato Ancora non si sa cosa conterrà esattamente il decreto Maroni sulla sicurezza che da tutte le parti, avverse a questo Governo, arrivano critiche, anche da fuori, da quella Spagna così tollerante con i clandestini che cannoneggia le imbarcazioni mentre noi fascisti facciamo esattamente l’opposto. Ispezioni da parte dell’UE in CPT spagnoli hanno verificato quanto la Spagna non abbia nulla da insegnare a chi presta soccorso alle orde di disperati invece di abbandonarli a loro stessi. Ma tutto questo non risolve un’emergenza drammatica. Il problema dell’immigrazione clandestina e non (in caso di cittadini comunitari), non può essere decontestualizzata dalla situazione paradossale in cui il nostro Paese verte da anni. Partendo dal concetto di base che in Italia il crimine paga o meglio non paga in quanto i delinquenti non vanno in galera, si deve scavare nella propria memoria e raccogliere quella abnorme quantità di fatti raccontati dai media riguardanti fenomeni micro-
criminali che minacciano la tranquillità della gente per bene. Tralasciamo al momento fatti ben più gravi che sconfinano in cronaca nera. Solo luci abbaglianti negli occhi di coloro che potrebbero pensare al resto come meno significativo. La microcriminalità, forse più di quella maggiore, si muove tra le maglie di una giustizia fallace che lascia i cittadini in balia di aguzzini senza scrupoli che, mantenendosi all’interno di canoni non “pericolosi”, si permettono di prendere possesso di intere zone di territorio, lasciate a loro stesse da uno Stato che non riesce a dare risposte concrete. Importa poco a certi soggetti cosa un libero e onesto cittadino deve subire perché altrimenti le risposte non avrebbe, quest’ultimo, dovuto cercarle dietro un programma di una sola parte politica. La giustificazione dell’immigrazione clandestina, l’accoglienza e i fogli di via senza poi alcun effetto non fanno altro che mettere alla gogna un’immagine dello Stato
opaca per i cittadini e d’oro per chi deve venire a fare i propri comodi nell’eldorado garantista delle democrazie occidentali. Finalmente ora si respira un’aria nuova, sperando che non sia un colpo di vento passeggero, un primo segnale di rottura con un sistema collaudato di inefficacia contro la criminalità è stato dato nei confronti dei Rom. Ma anche su questo bisogna ragionare con calma e senza la foga di chi finalmente dopo aver corso in salita si butta a tutta velocità in discesa senza sapere cosa potrebbe esserci dopo. E’ bastato, infatti, che cambiassero i toni della classe dirigente portati ad avvalorare la tolleranza zero, che molti finti cittadini onesti, hanno gettato nel caos aree destinate abusivamente ai Rom. Bottiglie incendiarie, aggressioni diffuse, tutto in nome del nuovo ordine che il Governo Berlusconi e molte amministrazioni locali hanno deciso di perseguire. Un ordine che spetta alle forze preposte e non a manipoli di scalmanati (usando un eufe-
mismo). Questo è l’ordine che meritiamo? Un far west che dimostra come sia ancora lontana dalla mentalità di molti, tra cui i nostri dirigenti, l’idea di uno Stato presente, efficace che punisce indiscriminatamente italiani e non, accumunati dalla violazioni delle leggi su cui si dovrebbe basare il vivere civile. Possiamo anche trovare le giustificazioni ai fatti di Napoli, i rifiuti, la camorra ma resta sempre il fatto che di fronte ad un’aggressione lo Stato deve intervenire a prescindere da tutto e da tutti. Quello che è accaduto nei mesi scorsi per l’omicidio di un giovane tifoso con aggressioni a caserme di polizia e carabinieri che non hanno reagito per evitare disordini (quanto senso dello Stato in questo concetto) aveva fatto capire il problema con largo anticipo ma la soluzione non poteva essere data da un Governo debole come era quello Prodi, timoroso di essere accomunato ad uno fascista magari solo perché avrebbe potuto rivendicare l’indiscutibilità dello Stato e
delle sue regole. Precedentemente, a Bologna, un Sindaco di sinistra aveva optato per le maniere forti per sgomberare alcune aree della città cadute nel degrado e nell’illegalità, a Padova è stato necessario erigere un muro per bloccare il flusso dello spaccio di droga che infettava un intero quartiere, prima di arrivare allo sgombero di un residence occupato abusivamente da clandestini. Tutto con l’indignazione di una sinistra che ritiene soluzione unica ed efficace il compromesso che sulla legalità non dovrebbe poter esistere. Piccoli crimini, che non sono nulla di fronte a violenze degne delle prime pagine, sequestri, rapimenti ecc. sono in realtà, nella vita quotidiana del singolo, veri e propri drammi che rischiano di diventare condanne ad una vita di terrore se chi li subisce, ad esempio, è una persona anziana. Lo Stato manca al cospetto della criminalità e dentro i suoi cittadini che ancora una volta manifestano anche solo con il silenzio (di fronte ad
aggressioni indiscriminate) un senso di giustizia malato, esasperato dall’inconsistenza delle istituzioni che ormai da troppo tempo latitano nella nostra quotidianità. Legittimare anche solo apparentemente con toni sopra le righe un attitudine alla punizione di massa in una democrazia è inaccettabile. La legge dello Stato deve essere ristabilita in strada come negli stadi, per gli italiani come per gli stranieri senza eccezioni perché delinquere non è genetico ma semplicemente una scelta o un’educazione che vanno punite. Non dovrebbe essere troppo volere uno Stato giusto che garantisca il rispetto delle sue leggi con la determinazione che viene richiesta ai cittadini per rispettarle oppure è un’utopia in questa Italia piegata da compromessi morali cha hanno portato alla relativizzazione, prima che della religione, del vivere civile, dove il singolo sancisce ciò che è giusto e ciò che non lo è mentre lo Stato rimane a guardare? Uno Stato, per favore, uno Stato!
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LA PIAZZA D’ITALIA - SPETTACOLO/TEMPO LIBERO Sean Penn
Cannes: un’anticonformista come presidente Presidente della giuria del festival di Cannes 2008, è di sicuro (insiema a Kusturica) uno dei volti più trasgressivi e borderline che hanno presieduto la Croisette. Sean Penn non ha mai nascosto la sua preferenza politica a sinistra e ha spesso sottolineato il suo disappunto nei confronti della politica dell’attuale presidente, ed è un attore e regista amante del cinema poco convenzionale e indipendente, caratteristica questa che si poteva intravedere fin dall’inizio della sua carriera cinematografica. Nasce nell’agosto del 1960 a Santa Monica, secondogenito dell’attrice Eileen Ryan e del regista Leo Penn, fratello del defunto attore Chris Penn e del musicista Michael Penn, Sean frequenta la Santa Monica High School, appassionandosi da subito alla recitazione e alla direzione di
piccole opere in super 8. Vicino di casa dei fratelli Charlie Sheen e Emilio Estevez, diventa il migliore amico di entrambi e viene assunto come tecnico di scena e assistente alla regia con il Group Repertory Theatre di Los Angeles. Continua la sua ascesa teatrale recitando a Broadway in “Heartland” di Kevin Hellan. Cinematograficamente debutta ventunenne nell’antimilitarista Taps - Squilli di rivolta (1981) di Harold Becker, con Timothy Hutton, e un giovanissimo Tom Cruise. Successivamente, viene diretto nientemeno che da Louis Malle ne I soliti ignoti Made in Usa (1983), specializzandosi nei ruoli da cattivo ragazzo, ribelle e violento come in Bad Boys (1983) di Rick Rosenthal, Shanghai Express (1986) di Jim Goddard. E con la nomea
di ragazzaccio non poteva che sposarsi (nel 1985) con una delle più grandi cattive ragazze della storia: Madonna, dalla quale ha divorziato nel 1989. Le liti furibonde con la cantante e attrice, i pestaggi con i paparazzi che li tallonavano (nell’87 è finito perfino in libertà condizionata) e le reazioni violente contro i colleghi (per aver preso a schiaffi una comparsa si è trovato a scontare 32 giorni di carcere) lo hanno portato a essere maggiormente riconosciuto dal pubblico che seguirà i suoi passi di attore bordeline diretto da Brian De Palma in Vittime di guerra (1989) e Carlito’s Way (1993) e da Neil Jordan in Non siamo angeli (1989). Il debutto alla regia avviene con il drammatico Lupo solitario (1991) con Charles Bronson, Dennis Hopper,
Patricia Acquette, seguito da Tre giorni per la verità (1996) e La promessa (2001), entrambi recitati da Jack Nicholson. Realizza anche un episodio del film firmato da più registi 11 settembre 2001. La sua ultima grande prova dietro la macchina da presa è stata proprio nel 2007, con il film Into the Wild in cui racconta l’intensa storia di Cristopher McCandless. Per ottenere i diritti dall’autore del libro, da cui è tratta la pellicola, ha dovuto attendere più di dieci anni, attesa che forse lo ha aiutato ad esprimere al massimo tutto il suo talento di filmaker. Nel 1996 esce il discusso film Dead Man Walking – Condannato a morte di Tim Robbins, in cui Sean sostiene un’intensa prova d’attore e vince il premio come migliore attore al Festival di Berlino. Nel 1997 interpreta
She’s So Lovely di Nick Cassavates e vince la Palma d’oro come miglior attore, U Turn – Inversione di marcia e The Game. Nel 1998 è tra i protagonisti di La sottile linea rossa di Terrene Malick, e interpreta un chitarrista squinternato in Accordi e disaccordi di Woody Allen. Originale è il ruolo che ricopre nell’enigmatico Il mistero dell’acqua di Kathryn Bigelow. E’ in questi anni che incontra l’attrice Robin Wright con la quale si sposa e ha due figli, dopo più di dieci anni insieme, nel gennaio 2008 era stata annunciata la loro separazione ma pare che da poco si siano riavvicinati. Nel 2001 ottiene la nomination all’oscar quale miglior attore per la grandissima interpretazione di un padre ritardato in Mi chiamo Sam di Jessie Nelson. Nel 2003 eccolo nel ruolo del delin-
quente per eccellenza, la cui vita viene sconvolta dall’assassinio della figlia in Mystic River di Clint Eastwood, e del professore malato terminale in 21 grammi di Alejandro Gonzales Inarritu che gli frutterà la seconda coppa volpi al Festival di Venezia. Protagonista di L’assassinio di Richard Nixon, storia vera del tentativo (sventato) di Sam Bicke, negoziante di Cincinnati, di far schiantare un piccolo aereo sulla Casa Bianca, ha recitato accanto a Nicole Kidman in The Interpreter, unico film girato all’interno del Palazzo di Vetro dell’Onu messo a disposizione da Kofi Annan. Nel 2006 è uno degli attori protagonisti di Tutti gli uomini del re. Nel 1997 la rivista Empire lo ha inserito nella classifica dei 100 attori più importanti della storia del cinema.
Terra pontina secondo lo chef Massimiliano Sepe
Una preziosa economia basata sull’agricoltura Per gli amanti del turismo enogastronomico, questa è una terra da esplorare. I prodotti agroalimentare sono di alta qualità e a carattere prevalentemente locale, basti pensare alle Cicerchie di Campodimele, alle Lenticchie di Ventotene, alle Arance di Fondi, all’Oliva di Gaeta, alla Carota di Sabaudia o alla Zucchina col fiore del Circeo. E ancora al prosciutto di Bassiano, alle salsicce di Monte San Biagio, all’Olio delle colline pontine...Un gran patrimonio! Potrebbe esclamare qualcuno. Ma nel breve elenco vanno sicuramente appuntati i prodotti dal marchi di qualità certificata come il Sedano Bianco di Sperlonga IGP, la Mozzarella di Bufala Campana DOP…Senza dimenticare il comparto vinicolo che segna in bilancio varie Doc di prestigio come il Circeo (bianco e rosso) e il Moscato di Terracina. Per chi è amante di vitigni autoctoni non può perdere il Bellone e il Cacchione. E poi come non ricordare l’acqua freschissima e leggera all’interno del Parco del Circeo? La “Fonte di Lucullo” posta in una grotta dove gli antichi romani andavano a dissetarsi. E’ una provincia che colleziona grandi premi, riconoscimenti e medaglie anche internazionali. Qui si annoverano cantine di prestigiosa fama come Casal del Giglio, la Cantina Sant’Andrea…Ciò che caratterizza questo posto è il forte legame con il territorio, una voglia di non percorre i tempi affannosi e forsennati delle metropoli italiane e della vicina capitale. La gente qui, vive ancora con la modestia che li caratterizza, con la semplicità d’intrattenere rapporti sociali primari stabili e duraturi. Dove la genuinità è facilmente trovabile sia nelle persone che nel cibo. Per spigare meglio le risorse culinarie che la terra pontina offre siamo andati ad intervistare il proprietario del Ristorante Casa Catullo di Massimiliano Sepe, giovane chef di Fondi, che si batte ogni giorno per raccontare ai suoi clienti il territorio anche attraverso la sua cucina. Ciao Massimiliano, ci racconti brevemente la tua
storia di chef? La mia storia di chef è il mio legame stretto con il territorio, con i prodotti, con la cultura e con i profumi delle campagne fondane della metà degli anni settanta. Ho avuto la fortuna di crescere con due nonni, uno contadino e l’altro pescatore, che mi hanno guidato e sensibilizzato, sin da piccolo, alla scoperta di certi profumi, valori, sapori…che mi hanno reso quello che sono oggi. Senza dimenticare la mia “tata” toscana, grande cuoca e mia maestra, che completa il quadro. Sono queste persone che mi hanno insegnato i fondamenti del gusto e dell’educazione non solo alimentare. Ovviamente la mia carriera è fatta di vari passaggi, d’incontri, di maestri, di congressi, di sudore, di sacrifici… proprio come tutti i cuochi del mondo. Quali sono i cavalli di battaglia di Casacatullo. I classici che non possono mancare? I veri cavalli di battaglia di Casa Catullo sono il mare, l’isole e la costa pontina, ma anche i prodotti del territorio e la stagionalità delle risorse. Nel mio ristorante è impossibile trovare lo stesso piatto tutto l’anno, tanto quanto sapere a priori cosa verrà pescato in un particolare giorno o se il tempo domani sarà clemente. I nostri menù cambiano ogni settimana, e vengono redatti il venerdì sera, subito dopo l’ultima asta del pescato. Posso dire che i piatti che rappresentano di più il mio ristorante, in questo periodo, sono: Catullo (Pescato dal crudo al cotto) una sorta di viaggio tra i nostri antipasti,Polpo, Olive di Gaeta e Patate al Sale un piatto della tradizione rivisitato,Insalatina Tiepida di Seppie e Gamberi Il piatto che esprime al meglio la mia cucina,Tonnarelli di Gragnano Cannolicchi e Telline. Come avviene la ricerca dei prodotti che porti sul banco della tua cucina? La spesa quotidiana è alla base del mio lavoro. Vivo in una zona ricchissima di prodotti di ottima qualità. Questo rende tutto più semplice. Proviamo a fare un “viaggio” insieme. Chiudendo gli occhi possiamo immaginare di navi-
gare il mare tra Ponza e Ventotene, dove abbondano i crostacei e il pescato in genere, poi avvicinandoci alla costa e passando per il “Ciglio” troviamo le aragostine, i polpi, i scorfani, le gallinelle…. Vicino alla linea di scogli che si trovano tra Sperlonga e Terracina troviamo tutto il pesce azzurro. Entriamo nel Canale di S. Anastasia e qui vongole e cozze, fino ad arrivare al Lago di Fondi dove abbondano ambarej, rane tinche, carpe, cefali, lattarini. Lasciando il Lago voltiamo lo sguardo ed ecco la piana di Fondi con i “tutari“ ossia mais, mele annurche, arance bionde, sedani, zucchine, pomodori… . incontriamo le prime bufale, che pascolano libere, dalle quali si ricavano le mozzarelle, le ricotte e vari formaggi. A questo punto si aprono le montagne dei monti Aurunci dove troviamo i maiali neri casertani, ovini caprini, olive itrane, formaggi, oli, bovini dell’Appennino. Che viaggio spettacolare! Io non vado alla ricerca dei prodotti perché essi sono già qui, da millenni basta raccoglierli. I prodotti e le materie prime sono molto importanti, ma quanto la tecnica incide? I prodotti sono importantissimi, come importante è la tecnica. Ma fondamentale è “il rispetto dei sapori”. Non bisogna stravolgere quello che madre natura ci dà, ma solo esaltarlo nel modo più semplice. Quindi lo studio, la conoscenza e la tecnica sono importantissimi per non rovinare “creazioni così sublimi”. Oggi giorno stiamo sempre più perdendo la giusta considerazione della formazione, dello studio e dei sacrifici. Spinti da falsi modelli, propinati a ciclo continuo dal tubo catodico, i nostri giovani si stanno sempre più impoverendo a livello culturale. Quindi per me tecnica e formazione sono fondamentali, non solo per il futuro della ristorazione ma per il futuro del nostro Paese. Qual è la ricchezza maggiore della vostra terra a tavola? La varietà e la qualità dei prodotti offerti, sono “un’arma” in più del nostro territorio.
Nell’epoca della massificazione, dei pani e croissant surgelati, dei “quattro salti in padella” e del “mangia e bevi”, il nostro territorio ed i suoi prodotti rappresentano una ricchezza senza eguali. Qual è l’ingrediente tipico che usi di più ? Parlando statisticamente, perché rientra quasi in tutte le preparazioni, è l’olio extravergine di olive itrane. Ma ad esempio un prodotto che ho nel cuore è l’Arancia Bionda di Fondi, particolare risulta quella della zona dell’Abbazia di S. Magno. Un prodotto locale che pensi sia sottovalutato? A volte guardiamo troppo in là e non ci accorgiamo delle cose buone che abbiamo sotto gli occhi. Cerchiamo le cose più esotiche e costose, dimenticando i nostri tesori, prodotti a km 0 (quindi niente inquinamento), che non solo costano meno, ma fanno bene come ad esempio le arance, olio extravergine, latticini, frutta e verdura di stagione, pesce azzurro dei nostri mari, miele. Tu hai la fama di essere un gran comunicatore. Come racconti il territorio ai tuoi clienti? Con i prodotti. Parlando loro dei produttori e della storia della nostra terra. Ci vorrebbero giorni e giorni pera raccontare tutto, allora cerco di sintetizzare! A parte i scherzi. Il cliente vuole vivere un’esperienza tipicamente locale. Ricordiamoci che oggi non si mangia per lo più per “fame”, spesso per moda o per emulazione. Ma il cliente con una sua cultura e un giusto spirito di osservazione viene a trovarci, primo per la fiducia che ripongono in noi, poi per vivere un “viaggio gastronomico culturale” che parte dalla tavola e dal piatto per poi giungere tra i vicoli di Fondi, tra le strade di campagna, passando per i fondali di un territorio che ha molto da raccontare. Le risorse enogastronomiche pontine sono numerose e di prestigio. Ultimamente le aziende locali -dai formaggi ai vini- hanno collezionato premi e riconoscimenti che farebbero gola a qualsiasi
impresa del settore. Ma ciò nonostante non si è acceso quel faro luminoso che ci si aspetta, perché secondo te? Sono molti i nodi da sciogliere prima che questa barca possa staccarsi dal molo e partire. Lasciandomi andare a considerazioni personali non gioverei a nessuno. Voglio riporre piena fiducia in coloro che devono promuovere il territorio. Per quanto riguarda i singoli imprenditori, penso che siamo troppo slegati gli uni dagli altri e questo non ci permette di fare “sistema”. Ognuno è troppo preso a portare avanti la propria crociata personale. Questo è un male storico che può essere debellato, basta volerlo e guardare le cose in un’ottica diversa. Ovvero il “territorio sistema“ è una sorta d’impresa territoriale, nel quale il bene del singolo ed il bene della collettività marcino di pari passo. Io sono innamorato della mia terra! Così non perdo occasione per fare da promoter ad uno o un altro comune, di questa o quella azienda, ricercando il bene della mia piccolissima impresa nel bene collettivo. In tutti i congressi, fiere o appuntamenti importanti porto con me una parte del mio territorio (ovvero i prodotti locali). Non importa che lo faccio a mie spese, solo cosi, penso, si possa crescere. Sei reduce da poco dell’esperienza prestigiosa come assistente ad “Identità golose”, il congresso italiano di cucina d’autore per antonomasia, un bel traguardo. Ma hai anche partecipato a Roma a ”L’Altelier del Gusto” nel 2007. Quanto conta per te “andare in giro” ad osservare altre esperienze, provare cucine di gusti e tendenze diverse? E’ importantissimo confrontarsi, osservare, cercare di capire e riportare l’esperienza piena a casa. Prima di tutto, mi sento ambasciatore del mio territorio, e questo è già molto importante. Secondo, ma non meno rilevante, penso che seguire da vicino l’attualità della cucina d’autore italiana, spagnola… mi permette di valorizzare ancora di più gli eccellenti prodotti della mia zona. I prodotti stranieri invadono le
nostre tavole. Di questo sembra che noi italiani ci lamentiamo; ma è curioso come nella patria del cibo imperversa la moda del food etnico. Che cosa sta accadendo? Mi dispiace dirlo ma non siamo più la “patria del cibo”, da molto! I nostri marchi più rappresentativi, e venduti, sono in mano a multinazionali straniere. Ci rimangono solo le produzioni artigianali, speriamo di riuscire a salvare almeno queste. La cucina sta diventando moda, si mangia per moda, ora va l’etnico poi andrà il tecnologico. Io continuerò a servirmi, come sempre, solo in ristoranti che hanno ed offrono una loro identità ben definita. Se le nostre scuole funzionassero, se i nostri studenti avessero sete di conoscenza, proporrei dei corsi di educazione alimentare e di economia domestica, se….. Negli ultimi tempi si parla molto di food design, ovvero “l’architettura alimentare”, tu che pensi? E’ compatibile con la tradizione italiana? Contribuisce a raccontare la territorialità, in questo caso, pontina ? Prima di tutto dovremmo trovare una coesione d’intenti e poi pensare a quali mezzi far riferimento. Io credo che a raccontare la territorialità pontina possa essere solo la storia, i profumi ed i sapori di questa splendida terra. Ci lasci con un “dolce” consiglio per apprezzare meglio la cucina della terra di Ulisse e della Maga Circe ? La terra di Ulisse e della Maga Circe… non penso ad una portata dei nostri menù. La mia fantasia torna a quando leggendo le pagine dell’Odissea immaginavo i luoghi e di personaggi incontrati da Ulisse. Profumi sapori e luoghi primordiali, la terra di Circe, il suo antro, i marinai del paziente odisseo trasformati in porci e la maga che cerca di ammaliare il nostro eroe con una sua pozione. Vediamo… Vediamo… Una bella foglia di Arancio con sopra della ricotta di capra appena fatta, dei Fichi raccolti freschi, puliti ed uniti a pezzi al formaggio, il tutto irrorato da un leggero filo di miele.