Data e Ora: 29/12/07
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LIBRI
Giornale di Brescia
SABATO 29 DICEMBRE 2007
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ADELPHI PUBBLICA IN ITALIA IL LIBRO DEL 1987
Confessioni e anatemi dal nulla del filosofo e scrittore Emil Cioran Esce per la prima volta in Italia l’ultimo libro che Emil Cioran - filosofo e scrittore rumeno ma francese d’adozione in un percorso letterario e linguistico che ricorda quello di Milan Kundera - pubblicò in vita, nel 1987. Tra l’altro vale la pena di sottolineare che Adelphi sta ristampando i testi fondamentali di vari autori del Novecento, tra i quali Alberto Savinio, Georges Simenon, Giorgio Manganelli, Paul Valery, e i lettori «scoprono» pagine sempre attuali in virtù del loro eccezionale valore. Cioran, come lo stesso Valery, predilige il frammento, dove «verità e ubbie si susseguono da un capo all’al-
Emil Cioran e, nella foto a destra, Paul Valery
tro», come disse lo stesso autore quando presentò il libro. I frammenti assecondano anche la fruizione contemporanea, fatta di pause risicate, di tanti piccoli assaggi, in questo caso con il be»neficio della sostanza, della carica energetica anche nelle singole ed isolate somministrazioni. Erano forse l’espressione più consona di una vita piena di noia, solitudine, insonnia e disprezzo. Spesso sembrano scritti di getto, assecondano l’umore e catturano l’attimo prima che cada nell’oblio di una dimenticanza quasi necessaria per non ingolfare la mente. In realtà sono tutti illuminations perché Cioran era lucido, disin-
cantato, spietato e terribile (anche con se stesso) fino alla rivelazione; per lui il sapere, l’essere coscienti del nulla e dell’arido vero, diventano una liberazione, una catarsi. Prendendo proprio spunto da uno di questi, mentre leggiamo ci sembra infatti di vedere lo scrittore con un «sorriso canzonatorio, segno di liberazione e trionfo», perché anziché «andare verso il nulla lo ha già lasciato», e può dirci cosa ci aspetta, quello che ha visto. Accorre spesso in aiuto il contrappunto dell’ironia: attenua, dà un tocco di leggerezza, ma al contempo ridicolizza ulteriormente la presun-
zione, la psicanalisi, l’orgoglio, la religione, le spiegazioni, addirittura la vita, sempre minacciata dalla morte, sempre ostaggio della morte. Cioran annota verso la fine del libro che l’ultimo poeta importante di Roma, Giovenale, e l’ultimo scrittore notevole della Grecia, Luciano, hanno lavorato sull’ironia, sono due letterature finite con l’ironia. «Come tutto, letteratura o no, dovrebbe finire». Alberto Albertini
CONFESSIONI E ANATEMI AUTORE EDITORE PAGINE EURO
Ambientato sulla costa toscana il romanzo d’esordio di Marco Malvaldi: «noir» carico di simpatia
Se il giallo è una partita a briscola Barista investigatore fra pensionati e ragazzini viziati Claudio Baroni Tutto ruota attorno ad un bar. Non uno di quei locali di tendenza, design e cocacola a prezzo di champagne, ma un bar di servizio, dove le ragazze si fermano la mattina a bere un succo di frutta prima d’andare in spiaggia e i ragazzi si trovano la sera per l’aperitivo prima d’andare in discoteca. E dove un tavolo è stabilmente occupato da quattro pensionati che qui hanno trovato l’ultimo baluardo all’invasione di un turismo di massa che s’espande inesorabile sull’intera sponda del Tirreno. Aldo, Ampelio, Pilade e Gino sono un campionario variegato dell’intero ventaglio dei "beneficiari Inps". Toscani nella parlata e nell’arguzia, lingue taglienti, hanno solo un paio di preoccupazioni: sfuggire al controllo di mogli e figlie, scegliere se giocare a briscola o scopone. E naturalmente, farsi "gli affari de' gli altri". A sopportarli un "barrista" sui generis, Massimo, quarantenne che ha messo da parte la laurea ed ha comperato il locale dopo aver vinto al lotto ed essersi separato dalla moglie. Che lo cornificava. Un mattino all’alba, nel bar arriva un liceale sbronzo che vuole telefonare alla polizia perché - dice
- ha trovato il cadavere di una ragazza nel cassonetto dei rifiuti, sullo spiazzo a lato della pineta dove s’era fermato per impellenti bisogni fisiologici. E scatta la solita "macchina" del dopo-delitto: arriva il medico legale, che è anche amico di famiglia della giovane vittima; arriva il commissario Fusco, che non sa mai se vuole imitare Maigret o Poirot; arrivano il cronista del "Tirreno" e la massa dei curiosi... L’indagine si sviluppa a strappi. I primi sospetti s’incentrano sull’amichetto della vittima e su un buttafuori della discoteca più frequentata del posto. Si intrecciano due mondi: quello dei villeggianti e dei loro figli viziati e persi tra droga e sesso; quello della piccola comunità di Pineta, che segue la vicenda come fosse una fiction televisiva. La polizia è pasticciona, come capita spesso di vedere. I giornali sono approssimativi e zeppi di luoghi comuni (altrettanto spesso, come sopra, purtroppo...). I pensionati hanno botte di adrenalina a buon mercato, seguendo l’evolversi della vicenda. E Massimo, il "barrista", alla fine troverà la soluzione. Attingendo ad una buona capacità personale d’osservazione, ai ricordi di teoria matematica (qualcuno si ricorda di Kurt
Gödel, quello che dice che ogni teorema si basa su assiomi dei quali è impossibile dimostrare la validità?). E soprattutto sul meccanismo della briscola a cinque, il gioco che gli hanno insegnato i quattro pensionati e che sta tutto nell’abilità di ciascun giocatore di mimetizzarsi, di non svelare fino all’ultimo con chi è socio. Di ingannare soprattutto chi dovrebbe essere il suo naturale alleato... Lo sfondo è quello di una Toscana genuina, alle spalle delle ville tra Livorno e Pisa… Che abbaglio ha preso chi aveva sentenziato che mai ci sarebbe stato un "giallo italiano" perché la nostra terra non si presta ad ambientazioni "noir". Un giallo costruito come un piccolo meccanismo ad orologeria, fluido nella narrazione, rapido e convincente nei passaggi. Ma soprattutto è un testo carico di humour, nel più schietto stile toscano, quello offerto da Marco Malvaldi, che di mestiere fa il ricercatore di Chimica all’Università di Pisa. E che speriamo non lasci solitario questo romanzo d’esordio.
Lo scrittore albanese Ismail Kadaré to clandestinamente a stralci in quegli anni, portatovi da un amico francese dell’autore e dallo stesso Kadaré in uno dei rari viaggi all’estero che il regime gli consentiva. Ismail era già il più grande scrittore albanese, coccolato dal dittatore, ma allo stesso tempo temuto e controllato. Troppo indipendente: come dimostrano que-
SECONDO CAZZATO E MOSCATI
Fra scienza, linguaggio e morale: ecco i maestri del nostro tempo In tempi di crisi, quali sono i nostri, aumenta il desiderio di potersi appigliare a solidi punti di riferimento. Diffusa è l’esigenza di idee e di valori, ma ancor più di uomini e di donne in grado di indicarci la via da percorrere o, quanto meno, capaci di offrire un contributo utile a rendere meno confusa la situazione in cui viviamo. Stefano Cazzato e Giuseppe Moscati hanno approntato un’interessante rassegna di questi maestri ed offrono al lettore la possibilità di incontrare ben quarantadue personalità di sicuro spessore culturale attraverso altrettanti brevi ritratti, in cui viene proposto in estrema sintesi il senso del loro messaggio. Si tratta di figure assai diverse, più o meno note, riunite in sette gruppi a seconda dei campi di indagine da loro prediletti: il linguaggio, la scienza, la morale ed altri ancora. Cazzato e Moscati sono studiosi e docenti di filosofia - il primo si è concentrato sulle questioni dei
rapporti tra filosofia, scienza, linguaggio e verità; il secondo appare maggiormente attento ai temi etici e politici - ed i loro interventi risentono di queste diverse sensibilità: Stefano Cazzato si occupa, tra gli altri, di Lyotard, Levinas, Gadamer, Bloch; Giuseppe Moscati di Buber, Weil, Arendt, Weber. Merita una menzione particolare la parte del libro dedicata ai «Pensatori contro», ove sono presentate alcune personalità non facilmente inquadrabili nella cosiddetta cultura ufficiale, ma capaci di potenti illuminazioni che «spiazzano, scuotono le coscienze, obbligano a ripensare ciò che si tende a dare per acquisito una volta per tutte». Maestri del nostro tempo, appunto Maurizio Schoepflin
MAESTRI DEL NOSTRO TEMPO AUTORE EDITORE PAGINE EURO
S. Cazzato, G. Moscati Cittadella 232 20
di Alberto Ottaviano
Quegli anni di Capanna onostante siano passati N pressoché quarant’anni dal Sessantotto, quei cruciali avveni-
sivi, sia a Ovest che a Est, e prospetta la necessità di una nuova solidarietà tra i popoli. Culturalmente il Sessantotto ha vinto - dice Capanna -, anche se politicamente non è così e la partita resta aperta, ma «da allora, lo sguardo sulle cose della Terra - su ogni cosa - non è stato e non è più uguale a prima». * Non potevamo mancare di segnalare in questi giorni l'ennesima - ma sempre benvenuta riproposta del Canto di Natale di Charles Dickens, primo dei celebri Racconti di Natale del grande scrittore inglese. Lo ha pubblicato una piccola editrice milanese, La Vita Felice (www.lavitafelice.it). Il volumetto - che ha il testo inglese a fronte - è a cura di Milli Graffi, anglista e poetessa (11,50 euro). Il protagonista del Canto di Natale è il vecchio e avaro Scrooge (antenato diretto di zio Paperone) visitato dai fantasmi. Dickens pubblicò i Racconti di Natale tra il 1843 e il 1848. Furono subito popolarissimi; nelle sue intenzioni dovevano essere «una sorta di stravagante allegoria capace di risvegliare sentimenti d'amore e tolleranza» nella sazia e sonnecchiante società vittoriana.
LA BRISCOLA IN CINQUE AUTORE EDITORE PAGINE EURO
Marco Malvaldi Sellerio 164 10.00
PUNTOGIALLO La costa toscana fa da sfondo alle intricate vicende del giallo di Marco Malvaldi
Quando il dittatore vieta anche l’amore Ismail Kadaré è il maggiore scrittore contemporaneo albanese e uno dei più grandi in assoluto che abbia saputo descrivere l’orrore dei regimi comunisti dell’Est europeo. Con una prosa asciutta, distaccata ma efficacissima nei suoi romanzi (da «Il Palazzo dei sogni» a «La Piramide», da «La città di pietra» a «Freddi fiori di aprile») ha denunciato una dittatura particolarmente ottusa e crudele come quella esercitata nel suo Paese da Enver Hoxha e dai successori fino al 1990. Soprattutto ha saputo dare parole, forma e significato all’angoscia delle anime, alla morte morale, alle bassezze dei servi del potere come dei suoi schiavi. Così è anche nel romanzo «La figlia di Agamennone» pubblicato ora da Longanesi. Un libro con una storia che è essa stessa romanzo: comparso in Francia nel 2003, è stato scritto fra il 1984 e il 1986. A Parigi era arriva-
I TASCABILI
menti, che la rivista Time giudicò «un rasoio che separò il passato dal futuro», restano quanto mai controversi. Recentemente il neopresidente francese Sarkozy ha avuto parole pesanti («il Sessantotto ha abbassato nella società il livello morale e politico»), rimbeccato da Ségolène Royal («si trattò di un vento di libertà contro una società completamente bloccata»). Torna su quel periodo una testimonianza di prima mano come quella di Mario Capanna, che del Sessantotto italiano fu uno dei protagonisti. Garzanti ripropone infatti Formidabili quegli anni, l'appassionato racconto che l'ex leader del Movimento studentesco fece vent'anni dopo gli avvenimenti, visti dalla parte di chi ne fu così direttamente coinvolto (il libro apparve nel 1988 da Rizzoli). Questa nuova edizione (14 euro) ripubblica il testo, compresa la prefazione di Camilla Cederna, ma ha una nuova introduzione dello stesso Capanna, nella quale egli rivendica la fecondità e la positiva influenza che il Sessantotto ha avuto sugli avvenimenti succes-
«La figlia di Agamennone»: Longanesi propone il bellissimo libro dell’albanese Ismail Kadaré scritto nel 1984-1986
Enrico Mirani
E. M. Cioran Adelphi 133 14
ste pagine. «La figlia di Agamennone» è molto bello, per chi ama Kadaré imperdibile. Breve ma intenso, angosciante nel mostrare il clima mefitico, i miasmi morali provocati e alimentati da un regime basato sulla delazione, il tradimento, la menzogna, l’adulazione, l’ignoranza. È il primo maggio, giorno di festa e di celebrazione del regime a Tirana. La folla converge verso il centro dove si terrà la tradizionale sfilata per rappresentare i fasti del comunismo nel Paese più felice del mondo (così diceva Hoxha...). Il giovane protagonista dalla finestra di casa guarda il movimento in strada e rigira fra le mani un invito per assistere alla sfilata dalla tribuna: siederà nei pressi delle gerarchie del partito e della Guida suprema. Ma non gliene importa nulla: vorrebbe restare a casa, desidera solo la donna che ama, figlia di un potente in ascesa. L’attende: se non verrà sarà un addio definitivo,
secondo il volere del padre di lei che - in ascesa - non può consentire quel rapporto alla figlia. Lei non viene. Adesso non può rischiare di disattendere l’invito: troppo pericoloso. Scende in strada, con quel biglietto che sente come un’accusa. Fruga nella sua coscienza: cosa ha fatto per meritarsi un posto addirittura in tribuna, all’ombra dei supremi? Quali malvagità ha commesso? Quali servigi disonesti ha reso? Mano a mano che si avvicina alla tribuna sente gli sguardi indagatori degli altri che, scrutandolo, si porranno l’identica domanda; ma del resto l’interrogativo riguarda tutti coloro che sono lì. Tutti, allora, sono indiziati, addirittura già colpevoli. Allora, perché è stato invitato? Forse perché veda figlia e padre rinnovare un’antica crudeltà. Secondo la leggenda greca, Agamen-
none sacrificò la figlia Ifigenia per placare l’ira di Diana e far cadere il vento che impediva alla flotta achea di partire per Troia. Nel libro di Kadaré il sacrificio non reclama sangue, è un’offerta immacolata ma altrettanto tremenda: l’erede designato del dittatore vieta alla figlia di coltivare l’amore per un giovane, e quindi la gioia, la musica, il ballo, l’allegria. La vita insomma. E se può fare questo alla figlia, figurarsi ai cittadini-schiavi. Il potere sta per esercitare un altro strumento di controllo: dopo il sangue e il carcere, l’inaridimento della vita. La forma più totale di sottomissione, per anime morte.
LA FIGLIA DI AGAMENNONE AUTORE EDITORE PAGINE EURO
Ismail Kadaré Longanesi 109 13
Pagina a cura di:
MAURIZIO BERNARDELLI CURUZ e ENRICO MIRANI
La straordinaria esperienza di Fabrizio Macchi, campione disabile
Come essere più forti del male Fulvia Scarduelli Vincenti si nasce o si diventa? Entrambe le cose, sembra dire Fabrizio Macchi (nella foto) nel suo romanzo «Più forte del male», significativamente sovratitolato «la mia sfida contro ogni limite». No limits, noto slogan pubblicitario, è suggerito da ogni pagina in cui l’autore ripercorre, rivolgendosi al figlioletto Thomas, la sua storia adolescenziale, serena e vivace fino alla scoperta, a 13 anni, di un tumore osseo ad una gamba: dopo un calvario ospedaliero di tre anni costellati da 17 interventi chirurgici e da 20 cicli di chemioterapia, il sedicenne decide di farsi amputare l’arto, per smettere di soffrire e tornare libero. Sconfitto, penserà qualcuno. Niente affatto: come dice il proverbio, «quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare»; la luminosità del ragazzino che aveva dovuto sopportare il peggiore tradimento, e cioè quello da parte del proprio corpo, non si era spenta. E così, anzichè soffocare in una vita
banale, Fabrizio decide di puntare al meglio per avere il meglio, sceglie come simbolo personale il fenicottero e oggi, a distanza di 20 anni, è campione di diverse discipline sportive: canottaggio, sci alpino, atletica leggera; è stato sul podio delle Paraolimpiadi di Atene e si sta preparando per quelle di Pechino, detiene il record mondiale dell’ora di ciclismo. Con tanti trionfi, continua a considerare il più bel giorno della sua vita quello del suo matrimonio. Inoltre, ha una rubrica settimanale su SkySport, scrive sulla Gazzetta dello Sport, ha vinto tre maratone di New York, è testimonial dell’Asso-
ciazione italiana per la ricerca sul cancro, a cui andranno i diritti d’autore di questo libro. Il racconto è narrato in prima persona dall’autore; un sapiente uso di flash-back riesce a far riaffiorare la voce del bambino che era, coi suoi entusiasmi e le sue ingenuità fino allo stupore attonito di fronte alla malattia. Sullo sfondo della narrazione appaiono i genitori, stampelle nei momenti bui. Alla fine del libro, un inno alla vita, resta una riflessione di Macchi: «Sono disposto a ragionare, sono anche accondiscendente, ma devo essere convinto quando mi si richiede di fare un passo indietro. Perchè la vita, negli anni, mi ha insegnato che molto di ciò che il sapere comune ritiene impossibile, impraticabile o anche solo sconveniente, la quasi totalità delle volte non lo è affatto».
PIÙ FORTE DEL MALE AUTORE EDITORE PAGINE EURO
Fabrizio Macchi Piemme 189 12,50
di Marco Bertoldi
Dalla realtà, con finzione on si è ancora parlato in questa rubrica di Il ghoN stwriter dell’inglese Robert Harris (Mondadori, pagine 321, euro 18,60), romanzo tra i più interessanti degli ultimi mesi e che dice una bugia nel ribadire la consueta formula «Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale». Il personaggio dell’ex-primo ministro britannico che si è ritirato su un’isola al largo della costa Usa per scrivere e sue memorie (e sfuggire alle accuse di crimini di guerra fattegli da un tribunale internazionale), ha infatti molto in comune con Tony Blair. Certo, Harris, che torna alla fantapolitica che lo aveva fatto conoscere e apprezzare («Fatherland» e il romanzo sulle tentazioni dei russi di tornare allo stalinismo «Archangel») è un romanziere e mette nella storia dello scrittore ombra chiamato a collaborare con lo statista anche mystery (il precedente ghostwriter assassinato) e suspense, ma intanto offre anche le sue personali valutazioni negative su Blair e sulla sua politica estera (leggi soprattutto guerra in Iraq). Senza trascurare neppure il ruolo importante che possono avere le donne dei
capi, innocue in apparenza, ma, vedi il colpo di scena a sorpresa finale, che sanno il fatto loro... Basata su dati autentici, ma rielaborati a livello d’avventura con tanto di eccessivo supereroe che compie missioni impossibili per salvare la pace nel mondo e gli Usa dalle trame dei tanti nemici, è la serie «Splinter Cell» basata su un’idea di Tom Clancy per una serie di videogiochi e affidata poi ad autori diversi: qui David Michaels che in Polonio 210 (Rizzoli, pagine 345, euro 19) spedisce il superagente Sam Fisher in Corea del Nord passando per Kazakistan, Labrador, una nave supermunita e altri luoghi e regimi pericolosi. Assurdo, ma divertente comunque. Altra manipolazione della realtà non priva di eccessi e assurdo, ma fatta in modo da sembrare autentica in Pallottola santa di Luís Miguel Rocha (Cavallo di ferro, pagine 506, euro 18,50). In cui lo spagnolo balzato alla ribalta con «La morte del Papa», elucubrazioni gialle sulla fine di Papa Luciani, stavolta sposta la sua attenzione sull’attentato a Papa Wojtyla ad opera di Ali Agca. Fantastoria e fantareligione in un’opera di fantasia discretamente congegnata.
MIMMA FORLANI
I luoghi del maestro Gavazzeni nella musica e nelle parole Musicista scrittore o scrittore musicista? Nella sua luminosa carriera fu l’uno e l’altro Gianandrea Gavazzeni (Bergamo 1909-1996). Entrambe le vocazioni, infatti, in lui così fortemente radicate, hanno creato quello straordinario protagonista della cultura del nostro tempo. E siccome, come sosteneva Goethe, «se vuoi conoscere lo spirito di un uomo devi conoscere la sua terra», Mimma Forlani, nel volume «I luoghi di Gianandrea Gavazzeni tra musica e parola», indaga i rapporti che il Maestro ha intrattenuto con i posti di nascita e d’elezione. Il libro, nato come idea in occasione di un’intervista della stessa Forlani a Gavazzeni (nel libro riportata), prende vita 16 anni dopo, cercando di perseguire la verità dell’artista ma anche dell’uomo; una biografia che può essere definita una geografia dell’anima, costruita infatti sui paesaggi che avevano formato il suo «arrière-
pays», (un ricco album fotografico correda il testo) il paese carissimo cui il Maestro tornava sempre. «La musica non voglio solo sentirla - scriveva in "Scena e retroscena" - voglio anche vederla». Ed il palcoscenico era per lui il solo luogo dove la musicalità nascosta delle parole risuonava nella sua pienezza. Gran parlatore e finissimo scrittore, autodidatta autore di ben 39 pubblicazioni, negli anni delle «Giubbe rosse» a Firenze si univa alla fronda degli intellettuali e scrittori quali Vittorini, Landolfi, Timpanaro, Gadda, Bo, Luzi, Montale. E fu proprio Eugenio Montale a mettere in evidenza la concezione essenzialmente poetica che Gavazzeni aveva della parola. Rita Piccitto
I LUOGHI DI GIANANDREA GAVAZZENI TRA MUSICA E PAROLA AUTORE Mimma Forlani EDITORE Biblioteca A. Mai (Bergamo) PAGINE 229