Emergency Oggi Rivista Mese Di Ottobre 2008

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Editore Key Communication

Anno XIV n.8 Ottobre 2008 Editore Key Communication sas Iscrizione Tribunale di Parma n. 32 del 08/08/1995 - Poste Italiane spa - Spedizione abb. postale 45% - DL 353/2003 (conv. in legge 27/02/04 n.46) Art. 1 comma 1 DCB Roma 4,00 euro ISSN 1723-7033 Rivista tecnico scientifica riservata al personale specializzato. Non diffusa al pubblico. In caso di mancato recapito restituire PT Romanina per la restituzione previo add.to.

APPROCCIO ALLO SHOCK NEL PERIARRESTO

CARDIOVERSIONE ELETTRICA EXTRA-OSPEDALIERA nella tachicardia emodinamicamente instabile

ensile di emergenza sanitaria

Ottobre 2008 ANNO XIV n. 8

EMERGENCY OGGI Mensile di Emergenza Sanitaria Direttore responsabile Marina Boldrini [email protected] Editore: Key Communication sas P.za Badalocchio Sisto Rosa, 9\b 43100 Parma Redazione Via Po, 10 - 00198 Roma tel +39 06 8535 5798 - fax +39 06 8535 5606 [email protected] - www.emergencyoggi.it

APPROCCIO ALLO SHOCK NEL PERIARRESTO M. Mazzone, L. De Cave Lozzi, P. Forte

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HANNO COLLABORATO:

A. Aguzzi, L. Cimino, E. Clementi, L. De Cave Lozzi, A. Destro, P. Forte M. Izzi, F. Landuzzi, M. Mazzone, A. Monesi, S. Musolesi, R. Previati, L. Ricchi, D. Scafi, F. Scoppetta Divisione pubblicità PUBBLIKEY [email protected] Via Po, 10 - 00198 Roma tel +39 06 8535 5798 - fax +39 06 8535 5606 Impaginazione Key Communication sas Impianti e stampa PIXART - Marghera (VE) Autorizzazione Tribunale di Parma n. 32 del 08/08/1995 Spedizione in abbonamento postale 45% Roma - Dati e tariffe per l’abbonamento Italia: 11 numeri Euro 42,00 Estero: 11 numeri Euro 84,00 Costo unitario Euro 4,00 Arretrati Euro 5,00 + Euro 3,00 spese postale. L’abbonamento partirà dal primo numero raggiungibile. Norme editoriali: Verranno presi in considerazione solo articoli mai pubblicati in precedenza e la richiesta di pubblicazione implica la rinuncia a pubblicare lo stesso presso altre riviste. La responsabilità di quanto scritto è da attribuirsi agli autori dei singoli articoli. Tutti i diritti riservati. Per ulteriori informazioni: [email protected] La informiamo che i suoi dati sono trattati nel rispetto degli obblighi di legge in materia di Privacy. L’informativa, ai sensi dell’ art. 13 D.Lgs. 196/2003, è consultabile sul nostro sito internet all’indirizzo: www.emergencyoggi.it

Periodico associato USPI Unione Stampa Periodica Italiana

LA DIRETTA VALUTAZIONE DIAGNOSTICA QUALE RTIFICAZIONE MEDICA NELL’AMBITO DELLA CRITICITÀ SANITARIA Cimino L., Landuzzi F. Izzi M.,

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Monesi A., Musolesi S. LA DEFIBRILLAZIONE PRECOCE NELL’ARRESTO CARDIOCIRCOLATORIO USO DEL DAE E BLSD NEGLI AMBIENTI DI LAVORO A. Destro

CARDIOVERSIONE ELETTRICA EXTRAOSPEDALIERA NELLA TACHICARDIA EMODINAMICAMENTE INSTABILE R. Previati, L. Ricchi IL CONSENSO INFORMATO IN AREA CRITICA E IN EMERGENZA EXTRAOSPEDALIERA: LUCI E OMBRE SUL RUOLO DELL’INFERMIERE E. Clementi, A. Aguzzi, F. Scoppetta, D. Scafi

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www.emergencyoggi.it

APPROCCIO ALLO SHOCK NEL PERIARRESTO Lo shock è la condizione di insufficienza circolatoria che comporta una ridotta perfusione tissutale, alterazioni del microcircolo e compromissione cellulare irreversibile Marinella Mazzone, Luigi De Cave Lozzi - Dirigente medico dipartimento emergenza e accettazione USL RMG Palestra Paola Forte - Medico Dipartimento Emergenza e Accettazione Policlinico Gemelli Roma

Fisiopatologia Comune a tutti i tipi di shock, è la dissociazione tra la domanda cellulare di ossigeno (leggi estrazione di ossigeno – VO2) ed il trasporto di ossigeno (DO2). Durante l’ipossia tissutale, le cellule aumentano la loro capacità di estrazione dell’ossigeno, per mantenere l’omeostasi ed evitare l’anaerobiosi, in modo da conservare un’estrazione globale di 14 mg/Kg/min; tuttavia questo meccanismo compensatorio non riesce a far fronte ad uno stato carenziale più severo, che si incontra quando il trasporto di O2 scende al di sotto di 8 - 10 mg/Kg/min (DO2 critico). L’estrazione di ossigeno, che fino a questo momento era definita supplemento indipendente, diventa supplemento dipendente (cioè c’è bisogno di aumentare il trasporto per far fronte alla domanda cellulare) e si instaura l’acidosi cellulare con il conseguente aumento della produzione di lattati. A tale proposito, studi recenti (13) hanno riportato che, nello shock settico, una concentrazione di lattati maggiore di 4 mmol/l correla con una mortalità del 96%, nei pazienti ipotesi, e dell’87,5% nei pazienti che si presentano senza ipotensione. Shock settico

DO2 critico VO2 (mg/Kg/min)

Supplemento dipendenza

Shock cardiogeno/ipovolemico Supplemento indipendenza 8-10 DO2 (mg/Kg/min)

Fig.1 relazione tra VO2 e DO2 durante lo shock. (modificato da Oh. Manuale di terapia intensiva) (4)

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Durante lo shock settico, nonostante si verifichi un aumento del trasporto di ossigeno ai tessuti, per aumento della gittata cardiaca, l’estrazione di ossigeno risulta incrementata perché aumentano le richieste metaboliche delle cellule (a differenza di quanto accade nello shock cardiogeno ed ipovolemico); pertanto il DO2 risulta insufficiente e si instaura più precocemente l’acidosi lattica. È da puntualizzare che il contenuto arterioso di ossigeno è dato dalla somma dell’ossigeno trasportato dall’emoglobina e da quello disciolto nel plasma. L’emoglobina trasporta approssimativamente 1,39 ml/g di ossigeno, mentre l’ossigeno disciolto nel plasma è direttamente proporzionale alla sua pressione parziale come descritto nella formula PaO2 × 0,0031 ml/mm Hg. Lo stesso principio matematico è applicato per la pressione parziale di ossigeno del sangue venoso misto (PvO2) e per il contenuto di ossigeno del sangue venoso misto (CvO2); anche il CvO2 è dato quasi per intero dall’ossigeno trasportato dall’emoglobina e dipende dalla saturazione del sangue venoso misto (5). In tutte le forme di shock, l’insufficienza del microcircolo rappresenta la base fisiopatologica. La deplezione di adenosina trifosfato (ATP) e l’insufficienza delle pompe Na+/K+ comporta un aumento della permeabilità della membrana cellulare con ingresso di sodio ed acqua e rigonfiamento cellulare. Il danno si estende sia alla membrana cellulare che libera le fosfolipasi con produzione di prostanoidi e radicali dell’ossigeno, sia alle membrane lisosomiali (con liberazione di proteasi), sarcoplasmatica e mitocondriale.

A livello cardiaco, la perdita del calcio mitocondriale altera i sistemi ossidativi e di fosforilazione ed interferisce con la contrattilità miocardica. Se da un lato la produzione di radicali liberi è incrementata dalla liberazione ed attivazione di lipoperossidasi, monoossigenasi, fosfolipasi e dall’induzione dell’attivazione granulocitaria, dall’altro non può essere efficacemente contrastata dagli enzimi “scavenger” fisiologici (superossido-dismutasi, catalasi, glutatione perossidasi), la cui attività è ridotta a causa dell’acidosi e dell’ipossia. Classificazione e Presentazione Clinica Lo shock si può classificare,in base al meccanismo fisiopatologico in: a)ipovolemico (emorragia, perdita di liquidi) b)cardiogeno (deficit di pompa, disturbi del ritmo, difetti valvolari) c)distributivo (anafilattico, neurogeno, settico) d)ostruttivo (pericardite costrittiva, embolia polmonare massiva, pneumotorace iperteso) Inoltre, lo shock può essere suddiviso in ipodinamico o iperdinamico in relazione alla riduzione o all’aumento dell’indice cardiaco, rispettivamente. Questi due tipi di presentazione condizionano l’emodinamica e la clinica e permettono un primo orientamento nella diagnosi di shock. Lo shock ipodinamico (tipicamente quello cardiogeno ed ipovolemico) si presenta con segni di ridotto indice cardiaco. La cute è fredda e marezzata, il refill capillare è superiore a 3 secondi; le vene giugulari sono turgide (in caso di shock cardiogeno od ostruttivo), distese in caso di Ottobre 2008

APPROCCIO ALLO SHOCK NEL PERIARRESTO shock ipovolemico. Clinicamente l’andamento della pressione venosa centrale (PVC) o della pressione di incuneamento capillare (PAoP), quando è possibile disporre di presidi invasivi, è l’ausilio diagnostico principale per distinguere lo shock cardiogeno (pressioni aumentate) da quello ipovolemico (pressioni ridotte). La pressione arteriosa sistolica può risultare normale, in condizioni di shock ipovolemico, fin quando la perdita de del volume ematico è del 15 – 20%, mentre si assiste ad una riduzione della pressione differenziale, a causa dell’aumento del tono adrenenergico che aumenta le resistenze periferiche con aumento compensatorio della pressione diastolica (segno di allarme è una pressione differenziale minore di 40 mmHg). Analogamente, per aumento compensatorio del tono simpatico si ha tachicardia, eccetto in pazienti in terapia con beta-bloccanti, o in traumi toracici con transezione del midollo spinale a livello di T 10, che interrompe l’innervazione simpatica del cuore. Il paziente è tipicamente oligo - anurico (diuresi inferiore a 0,5 ml/Kg/h), agitato, tachipnoico e presenta un’alterazione dello stato mentale. Lo shock iperdinamico (per definizione quello distributivo, e, in particolare, settico ed anafilattico) presenta tutti i segni di incremento dell’indice cardiaco. La cute è ben profusa, calda, il refill capillare è inferiore a 3 secondi; non si osserva turgore delle giugulari. Tuttavia il paziente è tachicardico con polsi periferici deboli, pressione arteriosa sistolica inferiore a 90 mmHg, spesso con aumentata pressione differenziale (segno di ridotto tono adrenergico). Anche in questo caso il paziente è confuso, tachipnoico, oligo – aurico e può presentare altri segni, caratteristici dell’eziologia della condizione sottostante. Specificamente, ad esempio, nello shock settico possono essere presenti iper o ipotermia (rispettivamente TC>38°C o < 36°C), leucocitosi/leucopenia, rush cutaneo (nel caso di una sepsi meningococcica); nello shock anafilattico, invece, si possono riscontrare edema delle mucose e/o della glottide, broncospasmo serrato fino al silenzio respiratorio, eruzione orticarioide diffusa. In tutte le condizioni di shock, inoltre, si riscontra un quadro di acidosi metabolica lattacidemica di variabile gravità a seconda di quando venga posta la diagnosi. Esiste una progressione da un primo stadio di shock (lieve o preshock), attraverso un secondo stadio (in evoluzione o di media entità), fino al terzo stadio(avanzato, irreversibile). Nella prima fase ci sono pochi segni di alOttobre 2008

larme che indirizzano verso una diagnosi di shock: la pressione arteriosa è normale, non ci sono segni di ipoperfusione se non a carico di tessuti periferici come cute, muscoli, tessuto adiposo; non ci sono alterazioni dello stato di coscienza. Si può notare una riduzione della diuresi. In tali circostanze è soprattutto l’anamnesi ad orientare il giudizio clinico. Nella fase evolutiva ci sono chiari segni di una riduzione della perfusione e di compromissione emodinamica, suggeriti dal coinvolgimento degli organi vitali. Pertanto, si riscontra anuria, riduzione della pressione arteriosa sistolica (<90 mmHg), tachicardia, alterazioni dello stato di coscienza (paziente agitato, confuso), tachipnea, ipossia, ridotta saturazione dell’emoglobina. La cute è fredda, sudata, cianotica (le marezzature sono più evidenti a livello di fianchi, arti inferiori, regione pre-rotulea e perimalleolare). Un equilibrio acido-base eseguito in questa fase evidenzia segni di acidosi metabolica lattacidemica, ipossia ed ipocapnia. Nell’ultima fase il paziente può essere soporoso, comatoso; ci possono essere alterazioni elettrocardiografiche di tipo ischemico o franche aritmie; si osserva il respiro di Kussmaul (lento e profondo, tipico dei comi da acidosi metabolica) e si possono riscontrare quadri di insufficienza respiratoria acuta (Acute Respiratory Distress Sindrome). Gli esami ematochimici rivelano un’alterazione delle transaminasi e degli indici di colestasi, incremento delle amilasi, iperazotemia, ipercreatininemia, iperglicemia, aumento delle CPK per rabdomiolisi, turbe idroelettrolitiche, riduzione dell’emoglobina, leucocitosi neutrofila. Il monitoraggio emodinamico in corso di shock prevede: • la misurazione della pressione arteriosa sistemica con presidi non invasivi (sfigmomanometro) o, meglio, invasivi (mediante incannulamento dell’arteria radiale o femorale); • il monitoraggio elettrocardiografico, sia per evidenziare una probabile causa (nel caso dello shock cardiogeno) sia per diagnosticare precocemente una compromissione cardiaca da turbe idroelettrolitiche o da ipossia, in corso di altre forme di shock; • il monitoraggio della pressione venosa centrale (PVC) e della pressione di incuneamento capillare nell’arteria polmonare (PAoP). Questi ultimi due parametri spesso sono acquisibili soltanto nei reparti di Terapia Intensiva, ma sarebbero un utile presidio anche in Pronto Soccorso. www.emergencyoggi.it

La PVC (valori normali 0-5 mmHg) si ottiene posizionando un catetere nella vena cava superiore; l’accesso può avvenire tramite la vena succlavia, la vena giugulare interna o, anche, la vena giugulare esterna. Talvolta l’accesso può avvenire anche tramite cateterismo della vena femorale, ma c’è una maggiore incidenza di trombosi venosa profonda. La PVC è un indice del precarico ventricolare destro e potrebbe facilmente orientare, insieme al quadro clinico verso una diagnosi di shock ipovolemico o cardiogeno, in pazienti in cui il quadro anamnestico non è chiaro o in cui sono plausibili entrambe le ipotesi: ad esempio in caso di pazienti con insufficienza cardiaca congestizia in fase avanzata (classe NYHA IIIIV), sottoposti a terapia con diuretici, potrebbe essere difficile discriminare tra un peggioramento ulteriore dello scompenso o una disidratazione da eccesso di diuretici. In tal caso un aumento della PVC al di sopra dei valori normali indica uno shock cardiogeno, mentre una sua riduzione, uno shock ipovolemico. Il cateterismo dell’arteria polmonare si ottiene mediante l’ausilio di uno specifico catetere (catetere di Swan-Ganz) (fig 2) ed è spesso riservato a pazienti in cui non è stata raggiunta una soddisfacente stabilità emodinamica. Le informazioni ottenute riguardano la diagnosi differenziale tra i vari tipi di shock (distributivo, ostruttivo, cardiogeno, ipovolemico o combinazioni) e guida nella terapia (uso di farmaci vasoattivi, liquidi ecc.). La pressione di occlusione dell’arteria polmonare (PAoP) misura circa 6-15 mmHg ed approssima molto da vicino la pressione in atrio sinistro che a sua volta si avvicina molto alla pressione telediastolica del ventricolo sinistro (LVEDP) in condizioni fisiologiche. TRAPPOLE DA EVITARE Ci sono delle situazioni che si discostano significativamente come: • vizi valvolari (stenosi mitralica e rigurgito mitralico, in cui PAoP>LVEDP, o rigurgito aortico in cui PAoP
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(IC) e l’indice di lavoro ventricolare sinistro; la pressione arteriosa media e la pressione arteriosa polmonare media; il trasporto di ossigeno (DO2), l’estrazione di ossigeno (VO2), ed il contenuto in ossigeno del sangue arterioso e del sangue venoso misto (Tab 1). La saturazione venosa di ossigeno (SvO2), che si può misurare mediante posizionamento di un catetere in arteria polmonare, è un indice medio dei flussi di sangue venoso proveniente da tutti i distretti vascolari. Una sua riduzione può essere spia o di una riduzione del trasporto di ossigeno (DO2) o di un incremento dell’estrazione (VO2). In alcuni stati critici, come la sepsi, un valore normale o addirittura aumentato di SvO2 non può escludere, tuttavia, la pre-

connettivi densi , 7,5%; liquido transcellulare, 2,5% che comprende il liquido del tubo gastroenterico, delle vie biliari e urinarie, il liquido intraoculare, il liquido cerebrospinale, il liquido intrapleurico, intraperitoneale e pericardiaco. Il volume extracellulare è regolato principalmente dai soluti e, quindi, dalla loro capacità di richiamare acqua dall’ICF.

SHOCK IPOVOLEMICO L’acqua corporea totale si suddivide in due compartimenti, l’intracellulare (ICF) e l’extracellulare (ECF) in proporzione di 2:1. L’ICF è definito come il contenuto totale di acqua nelle cellule e rappresenta i 2/3 dell’acqua corporea totale (55%). L’ECF, che è 1/3 dell’acqua corporea totale (45%) si compone, a sua volta, di: plasma (volume circolante effettivo), che rappresenta il 7,5%; liquido interstiziale, che è il 20%; ossa, 7,5%; cartilagine e tessuti

Terapia In corso di shock ipovolemico possono essere necessari interventi chirurgici (es. riduzione e stabilizzazione di fratture, emorragie interne ecc.), endoscopici (es. in caso di sanguinamenti gastrointestinali), radiologici. Nella maggior parte dei casi, anche in preparazione alle procedure strumentali, bisogna procedere con la somministrazione dei liquidi per il ripristino della volemia e l’ottimizzazione del precarico. La terapia infusionale si avvale di due tipi di soluzioni: i cristalloidi ed i colloidi. Tra i

Eziopatogenesi Perdite di volume ematico: fratture, emottisi, sanguinamenti gastrointestinali, ulcere, emotorace, emoperitoneo, dissezione aortica, rottura di aneurisma aortico. Perdite di volume plasmatico: ustioni, sindrome di Steven-Johnson ed altre lesioni essudative, ascite (da cirrosi, insufficienza cardiaca, sdr.di Budd-Chiari), pancreasenza di ipossia tissutale. tite. Disidratazione: perdiPARAMETRI VALORI NORMALI te gastrointestinali, PAM PAD + 0,33 x (PAS – PAD) 70- 105 mmHg eccessivo uso di diuPAoP 6-15 mmHg retici, vomito. PVC 0-5 mmHg Perdite renali: diabeIC CO/BSA 2,5 – 4,2 L/min/m2 te insipido, diabete IS IC/FC 30 – 50 ml/min mellito in fase di RPST (PAM – PVC)/ IC x 80 1760 – 2600 dyn sec/cm5 per m2 scompenso, insuffiRPT (PAP – PAoP)/ IC x 80 44 – 225 dyn sec/cm5 per m2 cienza surrenalica, LVSWI PAM x IS x 0,0144 45 -85 gm-m/m2/batt insufficienza renale DO2 critico 8 -10 mg/kg/min acuta in fase poliuriVO2 14 mg/kg/min ca. CaO2 1,39 x Hb x SatO2 + 0.0031 x PaO2 20 ml/100 ml di sangue Dal punto di vista CvO2 Hb x SvO2 x 1,39 + 0.0031 x PvO2 15 ml/100 ml di sangue emodinamico è caratterizzato da una basSvO2 70-80% sa PVC, bassa PAoP, BSA m2 ridotto indice cardiaco, aumentate resistenze periferiche e riPAM: pressione arteriosa media; PAoP: duzione del trasporto di ossigeno (DO2). pressione occludente in arteria polmonaClinicamente, rientra nella presentazione re; PVC: pressione venosa centrale; dello shock ipodinamico: cute fredda e RPST: indice resistenze periferiche sistemarezzata con cianosi perimalleolare e miche totali; RPT: indice resistenze polalle ginocchia, aumento del tempo di refill monari totali; LVSWI: left ventricular sistocapillare, tachicardia, tachipnea ed ipolic work index; CaO2: contenuto arterioso tensione, obnubilamento del sensorio fino di ossigeno; CvO2: contenuto venoso di al coma, segni ingravescenti in base al ossigeno; SVO2: saturazine emoglobiniquadro ed alla gravità della presentazioca del sangue venoso misto; BSA: area ne. della superficie corporea.

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primi, annoveriamo le soluzioni isotoniche allo 0,9%, le soluzioni saline bilanciate (ringer lattato e ringer acetato) e le soluzioni saline ipertoniche (es. 7,5%); tra i secondi, il sangue, il plasma ed i derivati (albumina), il destrano ad alto ed a basso peso molecolare, gelatine. I cristalloidi sono costituiti da acqua ed elettroliti con o senza destrosio e si distribuiscono per il 25% nel compartimento intravascolare e per il 75% nel compartimento extravascolare (rapporto di 1:3). Le soluzioni ipertoniche, inoltre, promuovono attivamente uno spostamento di fluidi dal compartimento intracellulare a quello extracellulare. I colloidi contengono molecole più grandi e non attraversano l’endotelio capillare, per cui dovrebbero concentrarsi nel compartimento intravascolare e fornire un gradiente colloido-osmotico in grado di promuovere un ulteriore afflusso di acqua dall’interstizio. Tuttavia, ci sono condizioni cliniche come lo shock distributivo (in particolare settico ed anafilattico) in cui il danno endoteliale non consente la compartimentalizzazione delle soluzioni colloidali (6) che possono, dunque, distribuirsi anche nell’interstizio aumentando il liquido interstiziale. Alcune soluzioni colloidali, come ad esempio il destrano, possono provocare delle reazioni anafilattiche, adesione ai globuli rossi (con difficoltà di tipizzazione del sangue), adesione alle piastrine (con problemi di sanguinamento). L’infusione di albumina ha giocato un ruolo fondamentale per anni nel trattamento dell’ipovolemia. Il suo utilizzo è stato approvato per il trattamento di ustioni, ipoalbuminemia o ipoproteinemia, chirurgia maggiore, traumi, bypass cardiopolmonare, ARDS, emodialisi, nefrosi acute, iperbilirubinemia, insufficienza epatica acuta, acite, perdita di fluidi ricchi in proteine come avviene nella peritonite, mediastinite, pancreatite, dermatite eritemato-desquamativa estesa (7). Gli effetti dell’albumina sono l’espansione volemica, l’aumento delle concentrazioni sieriche di albumina stessa, l’aumento della pressione colloido-osmotica e l’emodiluizione e può essere utilizzate per raggiungere uno o più di questi obiettivi. In realtà il suo utilizzo ha di gran lunga ecceduto le raccomandazioni internazionali (7). Sebbene precedenti studi clinici randomizzati e controllati e metanalisi (8-9) mostrassero un aumento della mortalità nei pazienti sottoposti a fluidoterapia con colloidi piuttosto che con cristalloidi, le recenti metanalisi hanno mostrato che non c’è una differenza statisticamente significativa tra le due soluzioni se l’end point Ottobre 2008

APPROCCIO ALLO SHOCK NEL PERIARRESTO principale è la mortalità; inoltre, la terapia infusionale con albumina in pazienti critici, non selezionati (quindi al di fuori delle raccomandazioni) che necessitano di liquidi, non è supportata da evidenze disponibili (10). Anche l’utilizzo delle soluzioni saline ipertoniche al posto delle isotoniche non ha mostrato dei risultati che indirizzassero preferenzialmente verso il loro utilizzo; non ci sono outcome favorevoli a lungo termine (riduzione della mortalità, riduzione della durata della degenza), né ci sono miglioramenti emodinamici statisticamente significativi. Due soli studi (11-12) hanno investigato gli effetti cardiovascolari delle soluzioni ipertoniche. L’uno ha dimostrato un minore rialzo dei livelli di Troponina I e bassi valori di pressione di incuneamento capillare in pazienti ustionati trattati con ipertoniche e destrano; mentre l’altro studiava pazienti sottoposti a sostituzione valvolare mitralica ed ha mostrato un miglioramento del pre-carico, una riduzione del post-carico ed una tendenza ad una migliore funzione contrattile nei pazienti trattati con le soluzioni ipertoniche. In realtà il dibattito tra l’uso dei colloidi o dei cristalloidi nello shock è lontano dal trovare una soluzione definitiva. Ciò che si rende necessario, prima dell’approccio terapeutico è la valutazione della condizione del paziente, le sue patologie sottostanti e le cause scatenanti, per guidare una scelta quanto più possibile mirata. Alcuni tendono ad infondere primariamente colloidi, nei pazienti con shock emorragico, in attesa che siano disponibili gli emoderivati (sangue od emazie concentrate); mentre nello shock non emorragico sarebbero sempre preferibili i cristalloidi o le soluzioni ipertoniche, non essendoci evidenti vantaggi dei colloidi su questi ultimi. SHOCK SETTICO Definizione La sepsi è definita come la presenza, presunta od accertata, di un’infezione microbica che abbia generato una risposta infiammatoria sistemica. In genere, la risposta infiammatoria consta di un equilibrio tra fattori pro-infiammatori ed anti-infiammatori, così da fronteggiare la noxa patogena ed evitare un danno eccessivo per l’ospite; tuttavia, in alcuni pazienti, l’equilibrio è spostato verso un’iperattivazione dei fattori pro-infiammatori, che comporta lo sviluppo di una SIRS (Systemic Inflammatory Response Syndrome), che a sua volta può procedere verso la sepsi severa e lo shock settico. I criteri di definizione della SIRS sono i seguenti (tab 2): Ottobre 2008

SIRS: 2 o più dei seguenti criteri TC > 38°C o < 36°C Frequenza cardiaca > 90 bpm Frequenza respiratoria >20 apm Globuli bianchi > 12.000/mm3 o < 4000/mm3 Tab. 2: definizione della SIRS

Per sepsi severa si intende la presenza di una sepsi con una o più disfunzioni d’organo: sindrome da distress respiratorio, anomalie della coagulazione, trombocitopenia, coagulopatia da consumo, alterazione dello stato di coscienza, insufficienza renale, cardiaca o epatica, segni di ipoperfusione con alterazioni dell’equilibrio acido base. Lo shock settico è una condizione definita dalla presenza di uno stato settico associato ad ipotensione refrattaria alla terapia con soluzioni infusionali (PA sistolica < 90 mmHg, PA media < 65 mmHg). Di base non si osserva risposta neanche ad un fluid challenge test eseguito con 20 – 40 ml/Kg di cristalloidi. Fisiopatologia L’insufficienza cardiovascolare ed il ridotto apporto di ossigeno ai tessuti sono alla base della clinica che implica lo stato settico. Pur se definito uno stato iperdinamico, con aumento della gittata cardiaca, almeno inizialmente, prima che insorga la depressione miocardica, esso è caratterizzato da una ridistribuzione del circolo ed ipovolemia relativa, perdita del controllo della vasoregolazione e caduta delle resistenze periferiche e danno microvascolare con aumento della permeabilità capillare e conseguente ulteriore riduzione del volume circolante; tutto ciò nel contesto di uno stato ipermetabolico che comporta un aumento della richiesta di ossigeno. Alla base delle alterazioni endoteliali c’è l’attivazione della cascata delle citochine innescata dal patogeno: IL 1, IL6, TNF alfa, Procalcitonina, interferone, esterasi, caspasi ed enzimi rilasciati dal sistema immunitario dell’ospite. Inoltre, l’attivazione dei sistemi del complemento e della coagulazione contribuiscono in maniera preponderante alla trombosi microvascolare con ulteriore ipossia. Presentazione clinica I segni ed i sintomi di infiammazione sistemica non sono utili nella distinzione tra cause infettive o non infettive di SIRS; inoltre, non sempre può essere identificato un batterio patogeno in corso di sepsi. Il paziente può presentarsi con le caratteristiche cliniche di un sito d’infezione localizzata come la tosse produttiva, in caso www.emergencyoggi.it

di infezione polmonare, disuria, stranguria o ematuria in caso di infezione delle vie urinarie, dolore addominale e stipsi in caso di ostruzione intestinale ecc. in altri casi, come nei pazienti immunodepressi o negli anziani, i sintomi possono essere molto più sfumati: da un decadimento delle condizioni generali, ad un’alterazione dello stato di coscienza, spesso in soggetti normotermici o, a volte, ipotermici. Diagnosi Il sospetto clinico è fondamentale e la ricerca dei segni indicativi di infezione, disfunzione d’organo ed ipossia deve essere tempestiva per permettere una diagnosi quanto più precoce possibile. La tabella seguente indica i criteri di disfunzione d’organo in corso di sepsi (13). Cardiovascular SBP ≤ 90 mm Hg or MAP ≤ 70 mm Hg for at least 1 h despite adequate fluid resuscitation Vasopressor Use Renal Urine output < 0.5 ml/Kg/h for 1 h, despite adequate fluid resuscitation Respiratory O2 PaO2/Fi O2 < 250 in the presence of other organs or systems failure or <200 if the lung is the only dysfunctional organ Hematologic platelet count < 80,000/mm3 or by 50% in the preceding 3 days Unexplained metabolic acidosis pH <7.30 or base deficit >5.0 mmol/L Lactate level > 1.5 times normal SBP=systolic blood pressure: MAP=mean arterial pressure

Tab.3: criteri di disfunzione d’organo in corso di sepsi (mod. da journal of emergency medicine 2006)

Come già precisato, la febbre, quando presente, è un indicatore specifico; tuttavia gli anziani tendono a sviluppare temperature meno elevate (si considera febbre una TC superiore a 37°C); temperature inferiori a 36°C sono indicatrici di infezione severa. Tra gli esami di laboratorio, leucocitosi, neutrofilia e presenza di blasti sono fortemente indicatori di infezione, ma sono indicatori con bassa sensibilità e specificità. È importante misurare e monitorizzare i livelli di emoglobina e di ematocrito che, sebbene possano risultare elevati inizialmente, a causa dell’ipovolemia, tenderanno a ridursi in seguito all’espansione volemica. Va indagato lo stato coagulativo del paziente al fine di diagnosticare precocemente una coagulazione intravascolare disseminata (CID). Quindi si ricercheranno D-Dimeri, fibrinogeno, prodotti di degradazione della fibrina, tempo di pro-

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trombina, tempo parziale di tromboplastina attivata, AT III, schistociti, oltre alla conta piastrinica. La trombocitopenia è un predittore indipendente di outcome infausto (14-15). Le elevate concentrazioni dei lattati (> 4 mmol/l) correlano con una prognosi infausta, come già precedentemente discusso. Terapia Rivers e collaboratori (2) hanno dimostrato che un’ottimizzazione emodinamica precoce, da iniziare nella “golden Hour” in Dipartimento di Emergenza diminuisce sensibilmente la morbilità e la mortalità dei pazienti con shock settico. Consiste nel somministrare precocemente (entro le prime sei ore dalla presentazione/diagnosi della malattia) al paziente con sepsi severa o con shock settico una terapia aggressiva che ottimizzi il precarico, il postcarico e la contrattilità cardiaca, per aumentare l’apporto tissutale di ossigeno (DO2). In particolare, i pazienti sono trattati con fluidi (colloidi o cristalloidi), trasfusione di sangue, agenti vasoattivi, inotropi, intubazione e sedazione. Gli obiettivi sono, rispettivamente: • raggiungere una pressione venosa centrale di 8-12 mmHg, • raggiungere una pressione arteriosa media tra i 69 ed i 90 mmHg • aumentare l’ematocrito al di sopra del 30% • raggiungere una saturazione nel sangue venoso misto del 70%, con riduzione dei livelli di lattati, del deficit di basi e normalizzazione del pH. L’infusione di fluidi può raggiungere i dieci litri, se si tratta di cristalloidi, quattro litri, se colloidi nelle prime 24 ore. Per le soluzioni saline, si inizia con un bolo di 500 – 1000 ml eseguito monitorizzando la frequenza cardiaca che deve essere inferiore a 100 bpm, la diuresi che deve essere maggiore di 0,5 ml/Kg/h ed i parametri suddetti (PVC, PAM, ScvO2); segue un’infusione di 5 litri nelle successive sei ore. Si dovrebbe somministrare, inoltre, un mantenimento di 150-200 ml/h continuamente nelle ore successive, aumentando la velocità d’infusione se richiesto, in base ai parametri emodinamici. Come già visto in precedenza la scelta tra colloidi e cristalloidi è controversa e non ci sono evidenze che dimostrino una superiorità degli uni sugli altri e viceversa (si rimanda al paragrafo precedente). Gli agenti vasoattivi sono utili in caso di persistente ipotensione con PAM inferiore a 65 mmHg, nonostante un carico di cristalloidi di 20-40 ml/Kg.

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La noradrenalina è di prima scelta nel trattamento, grazie alla sua capacità di indurre vasocostrizione senza aumentare la frequenza cardiaca. Il dosaggio ideale è di 2-20 microg/min infusi in una via venosa centrale. Di prima scelta, è anche la dopamina al dosaggio di 5-20 microg/Kg/min; quest’ultima, a dosaggi superiori a 10 microg/Kg/min è un farmaco agonista dei recettori / adrenergici e pertanto può essere usata con efficacia in pazienti che necessitano sia di vasopressori che di inotropi (19). Nei pazienti con ipotensione refrattaria va considerata la vasopressina. È un farmaco di seconda scelta che va associato ad altri agenti vasoattivi, con i quali agisce sinergicamente. Permette, a volte, un più rapido svezzamento dalle catecolamine. Il dosaggio è di 0,01-0,04 U/min, si è visto che dosi superiori possono causare depressione miocardica e non sono di beneficio per il paziente. Infine, la fenilefrina è un farmaco molto utile nei pazienti tachicardici: è un un farmaco agonista puro dei recettori adrenergici e al dosaggio di 40-200 microg/min induce bradicardia riflessa. Se nonostante la terapia con fluidi e vasopressori la saturazione del sangue venoso misto è inferiore al 70%, si può pensare alla terapia con inotropi. Oltre alla già citata dopamina, si utilizza la dobutamina (farmaco agonista puro) al dosaggio di 2,5-20 microg/Kg/min. Nei pazienti con ridotta funzione contrattile, migliora la PVC, la ScvO2, la diuresi. Nei pazienti con ipotensione persistente, va associata ad agenti vasopressori a causa di suoi effetti vasodilatatori. Il razionale per la trasfusione di sangue intero o di emazie concentrate è di incrementare il trasporto di ossigeno agendo direttamente sulla capacità trasporto, e cioè aumentando l’ematocrito. L’infusione va eseguita se la ScvO2 è inferiore al 70% nonostante l’ottimizzazione della pressione arteriosa media, in pazienti con ematocrito inferiore al 30%. Terapia antibiotica Il trattamento della sepsi severa e dello shock settico non può prescindere dalla terapia antibiotica che va impostata precocemente, possibilmente già in ambito del Dipartimento d’Emergenza, una volta che ci sia il ragionevole sospetto diagnostico. La terapia specifica, basata sull’antibiogramma che saggia la sensibilità e le eventuali antibiotico-resistenze dovrebbe essere somministrata entro le 48 ore dall’esecuzione delle emocolture. I siti più comuni di infezione sono: polmoni, addome, tratto genito - urinario e, nei pazienti

ospedalizzati, anche il sito di introduzione dei cateteri venosi; per il 25% dei casi non è identificabile il focolaio batteriemico, e nei due terzi dei casi le emocolture sono negative. Per ottimizzare l’identificazione del batterio patogeno, bisogna eseguire due emocolture (almeno 20 ml); inoltre, in base a quanto suggerisce il quadro clinico, si devono eseguire colture di secrezioni del tratto respiratorio (in pazienti intubati si può eseguire il lavaggio broncoalveolare), urine, fluido cerebro-spinale, ferite ed altri fluidi biologici. La terapia empirica, da iniziare il più precocemente possibile, dopo l’esecuzione di appropriate colture, invece, deve tener conto di diversi fattori: se la sepsi è provocata da germi acquisiti in comunità o nosocomiali, quale è il probabile focolaio batteriemico, le probabili resistenze antibiotiche. Spesso non si può neanche distinguere se sia una sepsi nosocomiale o meno soprattutto in pazienti recentemente dimessi. Per definizione si definisce nosocomiale l’infezione che si manifesta dopo le 48 ore dall’ammissione in ospedale; entro le 48 ore, invece, sono definite acquisite in comunità. Se si sospetta un’infezione da S. pneumonite (es. sepsi da focolaio polmonare), si può impostare una terapia con fluorochinoloni (soprattutto moxifloxacina, ma anche levofloxacina) associati a vancomicina nel sospetto di ceppi resistenti o di infezioni da S. aureus meticillino - resistenti acquisite in comunità. I fluorochinoloni sono attivi, inoltre, contro Legionella e Mycoplasma. Se si sospetta un recente uso di antibiotici, o il paziente presenta bronchiectasie o è stato recentemente ospedalizzato, è utile associare un aminoglicoside. In caso di meningite (da S. pneumoniae o N. meningitidis), di prima scelta è una cefalosporina di terza generazione (cefotaxime o ceftriaxone), associata alla vancomicina se si sospettano ceppi resistenti di streptococco. Per le infezioni da aerobi gram-negativi come quelle del tratto genito-urinario, è indicata una terapia combinata con cefalosporine di terza generazione (oppure un beta-lattamico con inibitore delle beta-lattamasi) ed aminoglicosidi. Se si sospetta un’infezione da P. Aeruginosa, si deve aggiungere una penicillina o una cefalosporina anti-pseudomonas (es. piperacillina/tazobactam o ceftazidime). Le infezioni intraaddominali, dovute probabilmente ad anaerobi e gram-negativi, si possono trattare con un beta-lattamico, con inibitore delle beta-lattamasi (es. piperacillina/tazobactam, ampicillina/sulOttobre 2008

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bactam), associati ad aminoglicosidi, oppure con il metronidazolo. Le infezioni della cute e dei tessuti molli sono spesso causate da aerobi gram-positivi (clostridi, S. pneumonite, S. aureus meticillino – resistenti) per cui è raccomandata l’associazione tra clindamicina ed una penicillina ad ampio spettro come piperacillina/tazobactam insieme alla vancomicina per coprire i ceppi resistenti. Ruolo della Proteina C attivata La Proteina C attivata è un potente agente anticoagulante e profibrinolitico, che si genera a partire dalla proteina C (fattore vitamina K-dipendente) ad opera del complesso trombina/trombomodulina, durante la cascata della coagulazione. Essa inibisce i fattori Va ed VIIIa impedendo la formazione della trombina e, quindi, dei trombi che ostruiscono il microcircolo. Ha anche proprietà antinfiammatorie che prevengono il danno tissutale e la disfunzione d’organo. Tra le altre proprietà antinfiammatorie ci sono, l’inibizione della migrazione dei macrofagi, dell’adesione dei leucociti alle Selectine, l’inibizione del TNF. Studi clinici e preclinici hanno dimostrato che la somministrazione di proteina C attivata umana ricombinante (dotrecogin alfa) riduce la mortalità in pazienti con sepsi severa/shock settico (20-21). La severità della malattia va valutata in base agli score di gravità (APACHE II) che considera dati di laboratorio, clinici, l’età e concomitanti patologie croniche. Va considerato quando l’APACHE II score è superiore a 25, nonostante l’iniziale ottimizzazione emodinamica e l’appropriata e tempestiva terapia antibiotica, purché non coesistano controindicazioni (grado di raccomandazione B). Infatti il rischio maggiore è il sanguinamento e non va usato nelle seguenti condizioni: conta piastrinica <30000/mm3 chirurgia intracranica o intraspinale o severo trauma cranico entro due mesi stroke emorragico entro tre mesi traumi con sanguinamento a rischi di vita presenza di cateteri epidurali neoplasie intracraniche, ernie celebrali conosciuta ipersensibilità alla proteina C attivata Ruolo dei Corticosteroidi Tutti gli stati di stress comportano un incremento della funzione dell’asse ipotalamo – ipofisi – surrene, che comporta un aumento della secrezione di ormoni mineralcorticoidi e glucocorticoidi. Tuttavia molti pazienti acuti hanno una risposta ridotta allo stress a causa di un’insufficienza surrenale relativa. L’inadeguata riserva surrenalica è associata ad un outcome

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peggiore, inclusi un aumento della mortalità ed un utilizzo prolungato degli agenti vasopressori. Non ci sono dei criteri definiti per diagnosticare l’insufficienza surrenalica: una disfunzione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene comporta una ridotta concentrazione di cortisolo nel sangue (< 25 g/dl), per cui anche la misurazione random della cortisolemia potrebbe indicare quando iniziare la terapia steroidea. I test convenzionali si avvalgono dello stimolo con ormone adrenocorticotropo (ACTH) con corticotropina (CRH). Alcuni autori (22) hanno studiato la risposta alla terapia con idrocortisone, nei pazienti in shock settico, valutando la capacità di interruzione della terapia con vasopressori entro le 24 ore (pazienti steroido-responsivi). Lo studio dimostrava che la rilevazione della concentrazione basale del cortisolo (< 25 g/dl) aveva una sensibilità maggiore (96%) rispetto al test di stimolo con corticotropina a basse (54%) e ad alte dosi (22%) nel predire la risposta positiva alla terapia con idrocortisone. Sebbene ci sia stato un proliferare di tanti studi in singoli centri sull’utilizzo di basse dosi di steroidi per ridurre il tempo di somministrazione della terpia con vasopressori nei pazienti con shock settico, solo recentemente uno studio multicentrico, randomizzato, controllato con placebo ha validato tale approccio terapeutico (23). I pazienti venivano sottoposti al test all’ACTH all’ingresso e, successivamente, randomizzati per ricevere il placebo o i corticosteroidi (idrocortisone 50 mg ogni 6 ore e.v.; fludrocortisone 50 g/die per os) per sette giorni. Lo studio mostrava una mortalità del 53% a 28 giorni, nel gruppo trattato, rispetto al placebo (63%). Attualmente è in corso un altro studio multicentrico sulla terapia steroidea in corso di shock settico che potrà definire la diagnosi di insufficienza surrenalica e l’uso terapeutico dei corticosteroidi. Le conclusioni sono: terapia con basse dosi di corticosteroidi corticosteroidi (idrocortisone 50 mg ogni 6 ore e.v.; fludrocortisone 50 g/die per os) per sette giorni nei pazienti in shock che richiedano farmaci vasopressori, nonostante l’ottimizzazione emodinamica e l’impostazione di un’accurata terapia antibiotica (grado di raccomandazione C) (24). Prima di iniziare il trattamento è inoltre raccomandata l’esecuzione di un test all’ACTH o la rilevazione della concentrazione basale del cortisolo. Altri presidi terapeutici I pazienti che presentano un’acute lung injury (ALI) o un’acute respiratory di-

stress syndrome (ARDS) necessitano di ventilazione meccanica (grado di raccomandazione B). L’ARDS è definita dai seguenti parametri: • presenza di infiltrati bilaterali alla radiografia del torace; • rapporto PaO2/FiO2 < 300; • pressione di incuneamento polmonare < 18 mmHg. Attualmente viene preferita una ventilazione con bassi volumi correnti, rispetto al passato, in quanto si è dimostrato che elevati volumi correnti possano indurre danno polmonare e rilascio di mediatori dell’infiammazione). Il trattamento dello shock settico necessiterebbe, quindi, di un team specializzato che sappia riconoscere e diagnosticare precocemente lo stato settico, in modo da attuare una terapia aggressiva già nel Dipartimento di Emergenza ed entro le prime sei ore dalla presentazione. SHOCK CARDIOGENO Definizione Lo shoch cardiogeno (17) è la causa di morte più comune in pazienti con infarto del miocardio acuto. Lo shock cardiogeno si caratterizza per inadeguata perfusione tissutale ma specificamente è definito come ipotensione sostenuta < a 90 mmHg per più di 30 minuti, con segni periferici di ipoperfusione (alterato stato mentale, cianosi periferica, oliguria).La sua incidenza è rimasta costante per 20 anni. Nonostante i vantaggi dell’angioplastica e del bypass aorto coronario, una volte che lo shock è diagnosticato, la mortalità rimane elevata ed il 50% delle morti si verifica nelle prime 48 ore. Questo può essere causato da un danno miocardio esteso o da un danno degli organi vitali. Fisiopatologia Le nuove evidenze propendono per una risposta infiammatoria, attivazione del complemento, rilascio di citochine pro infiammatorie, espressione di ossido nitrico sintetasi inducibile (iNOs) ed inappropriata vasodilatazione che possono giocare un ruolo importante nella genesi dello shock ma anche nell’outcome dei pazienti con shock. La patofisiologia dello shock cardiogeno consiste in una profonda depressione della contrattilità miocardia, con ridotto output cardiaco e grave ipotensione. Una risposta infiammatoria sistemica si verifica in numerose situazioni: trauma, bypass cardiopolmonare, pancreatite, ustioni. I pazienti con esteso infarto mioOttobre 2008

APPROCCIO ALLO SHOCK NEL PERIARRESTO cardio hanno spesso elevazione della temperatura corporea, dei globuli bianchi, del complemento, delle interleuchine, della proteina C reattiva ed altri marcatori dell’infiammazione. L’ossido nitrico sintetizzato a basse dosi a livello delle cellule endoteliali e miocardiche, è una molecola cardioprotettiva. Ma in alcune . condizioni come in quelle prima elencate (trauma, bypass cardiopolmonare, pancreatine, ustioni) si hanno livelli tossici di ossido nitrico. Nei modelli sperimentali si sono visti elevati livelli di ossido nitrico dopo la terapia riperfusiva, questo suggerisce che in pazienti con recente infarto l’attivazione di citochine proinfiammatorie porta alti livelli di iNOS con tutti gli effetti negativi. RICORDA Effetti di alti valori di NO: 1-inibizione diretta della contrattilità miocardia 2-soppressione della respirazione mitocondriale nel miocardio non ischemico 3-effetti sul metabolismo del glucosio 4-effetti proinfiammtori 5-ridotta risposta alle catecolamine 6-induzione di vasodilatazione sistemica. Incidenza Il tempo medio post STEMI per il verificarsi di shock è di circa 5 ore, lo shock complicante l’angina instabile o NSTEMI è un periodo più lungo circa 76 ore. Lo shock cardiogeno si caratterizza per inadeguata perfusione tissutale ma specificamente è definito come ipotensione sostenuta < a 90 mmHg per più di 30 minuti, con segni periferici di ipoperfusione (alterato stato mentale, cianosi periferica, oliguria). L’entità del quadro clinico dipende dalla risposta alla terapia con fluidi, sono inclusi in questa categoria i pazienti che vengono trattati con supporto farmacologico e con supporto circolatorio meccanico. Alcuni pazienti, specialmente quelli con STEMI anteriore, sviluppano segni di danno d’organo anche con pressione arteriosa sistolica superiore a 90 mmHg, l’output di urine è basso, la fc è maggiore di 90 bpm. Questa manifestazione di preshock si associa con alto rischio intraospedaliero di morbilità e mortalità. Quale è l’obiettivo del trattamento? L’obiettivo è prevenire il danno d’organo finale mentrre il paziente viene trasportato per il trattamento definitivo. Fondamentale è mantenere una pressione arteriosa media per prevenire il danno neurologico e Ottobre 2008

(glucosio, insulina e potassio)come supporto metabolico dello shock.

renale. Terapia, esami, supporto invasivo e non Dopamina e Noradrenalina dovrebbero essere iniziate prontamente e titolate sulla base della pressione arteriosa. La dobutamina può essere combinata con la dopamina a dosi moderate o usata da sola per uno stato di franca ipotensione a bassa gittata. L’emogasanalisi e la saturazione di ossigeno dovrebbero essere eseguite frequentemente al fine di inziare un supporto ventilatorio invasivo o non invasivo appena necessario. Dovrebbero essere di pronta disponibilità anche un monitoraggio ecg, un defibrillatore, l’amiodarone e la lidocaina, un pacing transcutaneo, aspirina e basse dosi di eparina. Per lo STEMI che richiede il trasferimento per l’angioplastica si consiglia un contropulsatore aortico da posizionare in ospedale appena possibile. Il fibrinolitico nei casi di STEMI dovrebbe essere iniziato se non è possibile effettuare angioplastica entro due ore. Nei paziente con shock cardiogeno da NSTEMI ricordiamo di iniziare gli inibitori della glicoproteina IIb/IIIa. Un primo trattamento preventivo per l’insorgenza dello shock potrebbe essere ridurre il numero di pazienti che si presentano con STEMI e non ricevono terapia riperfusiva. N.B. Quando PCI e quando CABG? Nei pazienti con shock cardiogeno il trattamento preferito è PCI per le malattie di 1 o 2 vasi coronarici, PCI e successiva riascolarizzazzione per malattia non critica dei 3 vasi, stenosi < al 90% in due vasi maggiori, CABG per grave malattia dei tre vasi o discendente sinistra, sempre in aggiunta alle glicoproteine IIb/IIIa. La rivascolarizzazzione è comunque di classe I nei pazienti con meno di 75 anni. Pazienti con malattie preesistenti, cardiomiopatia, insufficienza cardiaca, assenza di accessi vascolari, danno cerebrale atossico sono esclusi dalla terapia riperfusiva. I pazienti che sviluppano shock precocemente o dopo MI e che sono rivascolarizzati entro 1218 ore hanno i maggiori benefici. In conclusione si può dire che la stabilizzazione emodinamica con rivascolarizzazione è indicata nello shock dovuto ad insufficienza di pompa complicante un infarto. Quale la terapia del futuro? (18) In letteratura viene considerato il ruolo di LNMMA –u selettivo inibitore dell’ossido nitrico. Segnaliamo anche l’utilità del GIK www.emergencyoggi.it

SHOCK ANAFILATTICO L’anafilassi è una grave reazione allergica, potenzialmente fatale che richiede quindi un pronto riconoscimento ed intervento, ha rapida insorgenza, con interessamento multiorgano, causata da antigeni verso cui l’individuo è stato sensibilizzato in precedenza. ( Australasian Society of Clinical Immunology and Allergy – ASCIA). L’anafilassi non è un evento raro con nuovi casi che vanno dall’8,4% al 21% per 100.000 pazienti per anno. La morte più comunemente si verifica per collasso cardiocircolatorio, ostruzione delle vie aeree o entrambi e si stima una incidenza di una morte per 3 milioni di popolazione per anno. Nel Dipartimento di Emergenza il tasso di morte per anafilassi è dell’ordine di 1 per 100 episodi che vengono valutati. Ha rapida insorgenza, con interessamento multiorgano ed è causata da antigeni verso cui l’individuo è stato sensibilizzato in precedenza. Essendo l’anafilassi una reazione generalizzata e multiorgano, si osservano una varietà di sintomi e di presentazioni cliniche. Spesso i pazienti descrivono un senso di morte imminente (angor animi). I sintomi hanno il loro inizio entro pochi minuti, ma occasionalmente possono manifestarsi dopo 1 ora dall’esposizione all’antigene. I segni e i sintomi possono seguire un andamento monofasico con risoluzione dei sintomi entro 1 ora dal trattamento, ma circa il 20% delle reazioni anafilattiche presentano un andamento bifasico. Ogni sostanza può potenzialmente causare anafilassi ma le più comuni sono: Insetti, Cibi, Farmaci, e Lattice. L’esercizio può causare anafilassi ma altre volte la causa non può essere determinata classificando quindi l’anafilassi come “idiopatica”. Fisiopatologia Le mast cellule attivate rilasciano alcuni mediatori come istamina, leucotrieni, TNF e varie citochine. Questi mediatori attivano altre cellule determinando la perpetuazione della risposta allergica. I mediatori causano: vasodilatazione, stravaso di fluidi, contrazione muscolare, aumento della secrezione delle mucose. La morte si può verificare per ipossiemia (dovuta ad angioedema, broncospasmo), per shock (dovuto a massiva dilatazione, shift dei fluidi nello spazio extravascolare e depressione della funzione miocardica).

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Manifestazioni cliniche: • Neurologiche: sincope, irritabilità, astenia • Oculari: prurito, iniezione congiuntivele, lacrimazione • Apparato respiratorio alto: congestione nasale, stridore, edema orofaringeo o laringeo, tosse, sintomi e segni di ostruzione • Apparato respiratorio basso: dispnea, broncospasmo, tachipnea, uso dei muscoli accessori, cianosi, arresto respiratorio • Apparato cardiovascolare: tachicardia, ipotensione, aritmia, ischemia miocardia, arresto cardiaco • Cute: eritema,prurito, orticaria, angioedema, rash maculopapulare • Apparato gastrointestinale: nausea, vomito, dolore addominale, diarrea. Diagnosi differenziale Praticamente non è necessario discriminare fra reazione anafilattica e reazione anafilattoide al momento della presentazione del paziente poiché entrambe le sindromi rispondono allo stesso trattamento. Lo shock anafilattico però deve essere differenziato da altre cause di collasso cardiocircolatorio. Le situazioni che possono mimare una condizione di anafilassi sono: reazione vagale caratterizzata da ipotensione, pallore, bradicardia, astenia, sudorazione, nausea, vomito e diaforesi. Patologie che entrano nella diagnosi differenziale: • Insufficienza respiratoria da grave asma, corpo estraneo, embolia polmonare • Perdita di coscienza da reazione vaso vagale, infarto del miocardio, aritmia • Disordini del metabolismo: mastocitosi, References 1.Ho BCH, Bellomo R, McGain F, Jones D, Naka T, Wan L, Braitberg G: The incidence and outcome of septic shock patients in the absence of earlygoal directed therapy. Crit Care 2006,10:R80. 2. Rivers E, Nguyen B, Havstad S, Ressler J, Muzzin A, Knoblich B, Peterson E, Tomlanovich M; Early Goal-Directed Therapy Collaborative Group: Early goal-directed therapy in the treatment of severe sepsis and septic shock. N Engl J Med 2001, 345:13681377. 3. Aduen J, Bernstein WK, Miller J, Kerzner R, Bhatiani A, Davison L, Chernow B: Relationship between blood lactate concentrations and ionized calcium, glucose, and acid-base status in critically ill and noncritically ill patients. Crit Care Med 1995,23:246252.

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sdr carcinoide, sdr del ristorante cinese, ingestione di pesce, feocromocitoma, angioedema ereditario • Malattie non organiche come iperventilazione, attacco di panico, disfunzione delle corde vocali, sdr di Munchausen. Terapia L’anafilassi è una emergenza medica che richiede un trattamento immediato. Prevenzione • Posizione: supina o laterale sinistra per evitare il vomito • Ossigeno ad alti flussi (FiO2 1) o supporto delle vie aeree • Adrenalina (19): soluzione 1:1000 per via intramuscolare alla posologia di 0,30,5 ml ripetibile ogni 4-15 minuti se necessario (sede di iniezione vasto laterale). Può essere somministrata da personale esperto per via endovenosa nei casi refrattari alla somministrazione im. • Fluidi: cristalloidi o colloidi alla dose di 20 ml/kg fino a un massimo di 50 ml/kg nella prima mezz’ora. • Dopamina: in caso di ipotensione grave che non risponde all’infusione di fluidi (challenge test) • Glucagone nei pazienti che usano beta bloccanti e che quindi non rispondono prontamente all’adrenalina. Il dosaggio è di 5-15microgrammi/min ev. • Anti H1: per via endovenosa o intramuscolare ma una volta che le condizioni emodinamiche del paziente sono state stabilizzate dall’infusione di fluidi ed adrenalina. Il dosaggio è di 25 – 50 mg ev o im ogni 4 – 6 ore se necessario. • Anti H2: ranitidina per via infusionale ogni 8 ore se necessario alla dose di 50 mg ev • Steroidi: metilprednisolone al dosaggio

4. Bersten AD, Soni N, Oh TE. Oh, Manuale di Terapia Intensiva. V edizione. Elsevier 5. Iacobelli L, Lucchini A, Asnaghi E, et al.: La saturimetria. Minerva Anestesiol 2002;68:488-91. 6. Bone RC. The pathogenesis of sepsis. Ann Intern Med 1991;115:457-469. 7. Van der Sande FM, Kooman JP, BarendregtJNM et al.: effect of intravenous saline, albumin, or hydroxyethyl starch on blood volume during combined ultrafiltration and hemodialysis. J Am Soc Nephrol1999;10:1303-1308. 8. Wilkes MM, Navickis R: Patients survival after human albumin administration. Ann Intern Med 2001;135:149164. 9. Gill Schierhout, Ian Roberts. Fluid resuscitation with colloid or crystalloid solutions in critically ill patients: a systematic review of randomised trials. BMJ 1998;316:961–4.

di 125 mg ev ripetibile ogni 6 ore se necessario Se nonostante il trattamento: • persiste broncospasmo con grave di stress respiratorio: broncodilatatori, aerosol con salbutamolo, supporto della funzione respiratoria anche con intubazione se indicato • persiste stridore : adrenalina nebulizzata (5 mg in 5 ml) in aggiunta ad adrenalina parenterale, cricotiroidotomia se necessario • persiste ipotensione: vasopresori RICORDA: l’adrenalina sul territorio, a domicilio, nella borsa del medico, nella borsa del paziente deve essere presente in forma di EPIPEN che è un device che automaticamente somministra la dose usuale di adrenalina per via intramuscolare. TRATTAMENTO DI EMERGENZA DELL’ ANAFILASSI Allontanare l’allergene Chiama aiuto specifico Adrenalina im Accesso venoso Posizione del paziente Ossigeno e supporto vie aeree Colloidi o cristalloidi Adrenalina infusionale FIN QUANDO CONTINUARE LA TERAPIA? • In emergenza: utilizza fluidi e adrenalina fin quando non hai ottenuto la stabilizzazione del quadro emodinamico e respiratorio. • In fase post critica: continua con corticosteroidi, antiH1, antiH2 anche per 4 giorni dopo la risoluzione del quadro anafilattico.

10. Sort P, Navasa M, Arroyo V, et al.: effect of intravenous albumin on renal impairment and mortality in patients with cirrhosis and spontaneous bacterial peritonitis. N Engl J Med 1999; 341:403-409. 11. Martyn JAJ, Snider MT, Szyfelbein SK, et al.:Right ventricular dysfunction in acute termal injury. Ann Surg 1980;191:330-335. 12. Siriex d, Hongnat JM, Delayance S, et al.: Comparison of the acute hemodynamic effects of hypertonic or colloid infusions immediately after mitral valve repair. Crit Care Med 1999;27:21592165. 13. Raghavan M, Marik PE. Managemet of sepsis during the early “Golden Hour”. J Emerg Med 2006;31:185-199. 14. Vanderschueren S, de Weerdt A, Malbrain M, et al. Thrombocytopenia and prognosis in intensive care. Crit

Care Med 2000;28:1871-76. 15. Fourrier F, Chopin C, Goudemand J, et al. Septic shock, multiple organ failure and disseminated intravascular coagulation: compared patterns of antithrombin III, protein C, and protein S deficiencies. Chest 1992;101:816-23. 16. Rivers E, Nguyen B, Havstad S, et al. Early goal-directed therapy in the treatment of severe sepsis and septic shock. N Engl J Med 2001;345:1368 –77. 17. Hochman S.J. Cardiogenic shock complicating acute myocardial infarction: expanding the paradigm Circulation 2003; 107;2998-3002 18. Menon V, Hochman Management of cardiogenic shock complicating acute myocardial infarction Heart 2002; 88: 531-537 19. Anne K. Ellis, James H. Day Diagnosis and management of anaphylaxis CMAJ AUG 19, 2003;169 (4)

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libri IL MONITORAGGIO STRUMENTALE IN AREA CRITICA M. GALVAGNI C. PERINI

88 pagine Prezzo: €15,00

Snello ed estremamente pratico, questo volume sintetizza lo scenario tecnologico che, a colpo d’occhio, si può osservare ponendosi di fronte a un posto letto di una qualsiasi terapia intensiva generale. Nasce dall’esigenza di avere a disposizione un testo semplice, eppure completo, che descriva i principali sistemi di monitoraggio in area critica e spieghi il funzionamento degli strumenti standard, i dati ottenibili da ogni strumento, i vantaggi e gli svantaggi del presidio e una metodologia per una corretta interpretazione dei dati forniti. L’opera rappresenta una rapida guida pratica sia per l’infermiere che per la prima volta si affaccia all’area critica, sia per chi già vi lavora. Risulta inoltre particolarmente utile anche all’infermiere esperto, spesso impegnato nel ruolo di tutor dei colleghi neoassunti o degli studenti del corso di laurea in Infermieristica, attività che richiede un costante aggiornamento e una rapida capacità di risposta

Questo volume nasce dall’esigenza di sviluppare dei protocolli pratico-operativi in tutte le condizioni cliniche ascrivibili all’urgenza o all’emergenza medica. Per meglio rispondere a questi bisogni si è ritenuto indispensabile il coinvolgimento diretto di numerosi Autori specialisti, nei loro settori, nella gestione delle emergenze mediche. Più in particolare, nei singoli capitoli si sono approfondite tutte le variabili cliniche ed eziopatogenetiche necessarie a individuare più facilmente i percorsi che meglio possono guidare le procedure diagnostiche e le opportune modalità di intervento terapeutico. Il volume si rivela quindi un manuale di facile consultazione e di pratica utilità per tutti i medici che quotidianamente sono coinvolti nell’attività di assistenza medica in emergenza.

PIANI DI ASSISTENZA INFERMIERISTICA Linee guida per un’assistenza personalizzata VII Edizione M.E. DOENGES – M.F. MOORHOUSE – A.C. MURR Edizione italiana a cura di Paola FERRI In collaborazione con M.G. Bernardi, P. Bernardi, F. Davolio, R. Lombardi, D. Mecugni, O. Riboli, P. Volpi 1006 pagine Prezzo: € 84,00

MEDICINA D’EMERGENZA P. MONDA

1022 pagine Prezzo: € 45,00

Il volume presenta 70 piani di assistenza standardizzati e 8 percorsi clinico-assistenziali (Clinical Pathway) relativi ad altrettanti problemi prioritari di salute. Tutti i piani standardizzati proposti illustrano i collegamenti fra i tre linguaggi infermieristici standard riconosciuti dalla American Nurses Association (ANA), il cosiddetto sistema NNN. Tali linguaggi sono le diagnosi infermieristiche elaborate dalla North American Nursing Diagnosis Association Internaional, i risultati infermieristici (nursing outcomes classification NOC) e gli interventi infermieristici (nursing interventions classification NIC) sviluppati dall’Iowa Outcomes Project e dall’Iowa Interventions Project.

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Il monitoraggio strumentale in area critica

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Servizio di Emergenza Sanitaria Polacca

23 elicotteri per le operazioni EMS Il Ministero della Sanità Polacco ha firmato un contratto per 23 elicotteri Eurocopter EC135 al fine di servire la sua rete di Servizi di Emergenza Sanitaria (EMS) su scala nazionale. Gli aeromobili saranno consegnati tra il 2009 e il 2010. Lo stato dell’arte degli EC135, che sostituiranno una flotta di Mi-2s, permetterà al sistema di soccorso aereo di conformarsi agli standard europei JAR OPS-3 e di offrire alla sua popolazione l’ elicottero EMS di nuova generazione più usato a livello mondiale. Anche un simulatore di volo EC135 è incluso nel contratto. La scelta dell’EC135 è successiva ad una gara internazionale, emessa dal Ministero della Salute Polacco in base alla legge di fornitura agli enti pubblici,. Dopo un processo di alta valutazione professionale, l’offerta di Eurocopter è stata identificata come la più vantaggiosa ed in linea con specifiche per le operazioni EMS nazionali. La flotta di 23 elicotteri presterà servizio su tutta la Polonia e sarà gestita dall’organizzazione del Ministero Lotnicze Pogotowie Ratunkowe (LPR). Lutz Bertling, Presidente di Eurocopter, ha dichiarato: “Eurocopter è incaricata di equipaggiare i Servizi di Emergenza Sanitaria Polacca con moderni ed affidabili elicotteri sanitari entro il breve limite temporale stabilito dai Servizi per assicurare una delicata transizione con l’eliminazione graduale degli elicotteri della vecchia generazione attualmente in servizio. Eurocopter provvederà anche alla manutenzione degli EC135 in Polonia, nel proprio centro che era stato aperto nel 2005 a Varsavia proprio per fornire corsi pilota e manutenzione dell’aeromobile. Siamo convinti che questo contratto è solo un primo passo del nostro lungo rapporto societario con la Polonia.” Gli EC 135 della LPR saranno supportati dalla società Heli Invest di Varsavia, con la quale Eurocopter ha un accordo come Distributore che include i servizi di assistenza al cliente e di manutenzione in conformità al regolamento Part 145. Il servizio di Heli Invest per gli EC 135 della LPR include un servizio di urgenza 24 ore su 24 per 7 giorni in lingua polacca, l’ assistenza in garanzia, servizi di manutenzione completa anche in caso di assistenza al cliente presso le basi LPR presenti in tutto il paese. Con la selezione degli EC 135 da parte del Ministero della Sanità Polacco, la Polonia sarà ora in grado di offrire ai suoi cittadini lo stesso elevato standard di servizi elicotteristici per l’emergenza sanitaria che offrono i paesi ad essa limitrofi all’interno dell’Unione Europea, in particolare Germania, Repubblica Ceca, Ungheria e Romania. Grazie alla sua versatilità e alle testimonianze delle eccellenti prestazioni in situazioni ambientali avverse, l’EC135, del quale più di 680 unità sono state consegnate a 160 clienti in 40 paesi su scala mondiale, da quando è stato introdotto nel mercato a metà del 1996 è divenuto l’elicottero di riferimento internazionale per le operazioni EMS. L’EC135 detiene l’80 per cento della quota del mercato a

livello internazionale dell’elicottero EMS all’interno della sua classe, inclusi gli Stati Uniti d’America dove è l’elicottero più venduto nel suo settore. L’EC135 è simbolo di modernità ed innovazione: in conformità al regolamento EMS per la sicurezza internazionale, è potenziato da due motori a turbina, con una velocità di crociera di 254 km/h e con un’autonomia media di 620 km. Il successo su scala mondiale di questo elicottero di Eurocopter è dovuto alla facile gestione dell’elicottero, alla sua eccellente manovrabilità e alla sua alta reperibilità (98%). Altri vantaggi dell’EC135 sono il suo rotore principale bearingless e il rotore di coda intubato Fenestron, che riduce al massimo il livello del rumore e le vibrazioni durante le operazioni. Il livello del rumore esterno dell’EC135 è di 7 db al di sotto dei limiti ICAO, un vantaggio nelle operazioni EMS che di frequente prestano servizio per gli ospedali in zone densamente popolate. Inoltre, Eurocopter ha minimizzato in modo decisivo i costi di manutenzione dell’EC135. Un EC 135 deve essere revisionato per la prima volta dopo 400 ore di volo. Questo è un assoluto punto di riferimento per gli elicotteri della sua classe. Unito alll’efficienza di carburante dell’aeromobile, questo è il maggior vantaggio di costo per il cliente.

La società fornitrice Fondato nel 1992, il Gruppo Eurocopter Franco-Tedesco-Spagnolo è una ripartizione di EADS, un leader mondiale nello spazio aereo, nella difesa e nei servizi collegati. Il Gruppo Eurocopter impiega circa 14.000 persone. Nel 2006, Eurocopter ha confermato la sua posizione come produttore di elicotteri N. 1 nel mondo con un fatturato di 3.8 miliardi di Euro, ordini per 615 elicotteri nuovi, e 52% di mercato nei settori civile e parastatale. Complessivamente, gli elicotteri del Gruppo rappresentano il 30% dell’intera flotta mondiale di elicotteri. La sua considerevole presenza su scala mondiale è assicurata dalle sue 17 filiali in cinque continenti, appoggiate da una densa rete di distributori, agenti certificati e centri di manutenzione. Più di 9.800 elicotteri Eurocopter sono attualmente in servizio con oltre 2.500 clienti in 140 paesi. Eurocopter offre la più ampia gamma di elicotteri civili e militari su scala mondiale.

Eurocopter è rappresentata in Italia dalla società Aersud Elicotteri www.aersud.it

La diretta valutazione diagnostica quale ineludibile premessa alla certificazione medica

nell’ambito della criticità sanitaria Cimino L., Landuzzi F. - Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Sezione di Medicina Legale, Università di Bologna Izzi M., Monesi A., Musolesi S. - Infermiere specialista Area Critica, Ausl BO

Anche se l’organizzazione di servizi proiettati a fronteggiare criticità sanitarie dovrebbe sempre prevedere tutte le situazioni ipotizzabili come di probabile accadimento nella realtà territoriale ove essi incidono, non è però possibile escludere a priori ed in maniera assoluta l’eventuale rilievo in essi di condotte talora non del tutto giustificate da una legittimazione normativa, ma tuttavia di solito ritenute non punibili in quanto finalizzate a “salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”, sulla scorta di un dettame codicistico1 la cui applicazione nell’ambito specifico desta tuttavia negli scriventi qualche perplessità poiché, rilevandosi del tutto peculiare lo scenario operativo di detti servizi, situazioni altrimenti valutabili come eccezionali appaiono invece qualificabili ragionevolmente come normali per le figure professionali ad essi addette, essendo per queste previsto un rigoroso percorso formativo specifico, cui sarebbe peraltro correlabile pure il loro dovere giuridico di non potersi esimere dal prestare soccorso. In ogni caso, anche ritenendosi in ipotesi che una condotta qualificata dal codice come reato possa non essere punita se tenuta in un contesto di emergenza territoriale, non risulta assolutamente condivisibile la giustificazione di condotte illegittime in un ambito operativo caratterizzato da assenza di gravi ed immanenti pericoli per la vita di taluno, anche se in presenza di concrete e significative difficoltà gestionali e procedurali, quali quelle quotidianamente riscontrabili -ad esempio- in quei temporanei presidi sanitari di primo soccorso che seguono l’avanzamento cantierale di grandi opere pubbliche, a tutela della salute dei lavoratori ad esse addetti. Tali strutture ambulatoriali hanno spesso una autonoma gestione infermieristica e può accadere che ad esse i dipendenti delle ditte operanti nel cantiere si rivolgano anche per richiedere eventuali certificazioni inerenti a quadri patologici già in essere od insorti acutamente. In tali evenienze, non essendo prevista in loco una presenza medica per dare adeguata risposta a tali richieste, in base a direttive più o meno ufficializzate dall’organizzazione sanitaria cui sono affidati questi cantieri, all’infermiere presente in turno viene richiesto di contattare telefonicamente il medico referente territorialmente che, basandosi esclusivamente su di una indirettamente riferita sintomatologia e sui parametri vitali (TC, FR, SpO2, FC e PA) rilevati dall’infermiere, redige quegli atti di sua esclusiva competenza -quali la certificazione del quadro patologico e la relativa eventuale prescrizione farmacologica- provvedendo poi al loro immediato inoltro via fax e -successivamente- alla consegna degli originaOttobre 2008

li cartacei al presidio sanitario per il loro ritiro da parte degli interessati. Poiché un accurato esame obiettivo con diretta valutazione della sintomatologia rappresenta un ineludibile preliminare a qualsivoglia formulazione diagnostica e pertanto nel rilascio di una certificazione risulta essere così implicita l’affermazione dell’effettuazione di esso, nell’interrogarci sulla correttezza di condotte quali quelle cennate ed alla luce della inquadrabilità quale pubblico ufficiale di un medico inserito nel SSN nell’atto di redigere una dichiarazione fede facente, ragionevole è un raccordo concettuale con i delitti contro la fede pubblica e -in particolare- con la falsità in certificazione trattata al Capo II del Titolo VII del vigente Codice penale ove l’attestare falsamente che un fatto sia stato compiuto alla propria presenza2 è espressamente punito con la reclusione3. Nella fattispecie, peraltro, l’applicazione della pena della reclusione o della multa sarebbe ragionevolmente ipotizzabile anche qualora il medico referente venisse invece inquadrato giuridicamente come incaricato di pubblico servizio4 ovvero come esercente un servizio di pubblica necessità5. Pare opportuno qui ricordare come il termine “certificare” contenga già al suo interno (con riferimento alla etimologia latina “certum – facere”) il significato di “rendere certo”, nel senso di “dar prova di qualcosa”, e già alla luce del riferimento etimologico del termine il falso ideologico potrebbe quindi essere definito come un reato dovuto alla presenza di affermazioni non veritiere in un documento, distinguendolo il legislatore dal falso materiale, poiché il concetto di falso può assumere un duplice significato: quello di “non genuino” e quello di “non veritiero”. Si parla quindi di falso materiale quando il documento è stato creato in maniera illegittima o rappresenta una alterazione fraudolenta di un documento originale, mentre si tratta di un falso ideologico quando il contenuto non corrisponde a verità (Cimino et al., 2007). Senza dubbio alcuno, il certificato medico è l’esempio più rappresentativo di documentazione dell’operato del medico e -costituendo a tutti gli effetti una testimonianza scritta del quadro clinico di una persona e quindi anche della sua collocazione sociale- esso è in grado di determinare importanti conseguenze per l’individuo e per la collettività di riferimento, affermando -o meno- particolari diritti soggettivi aventi specifico valore giuridico e/o amministrativo. Pertanto, come già sottolineato, la certificazione deve sempre essere preceduta da una accurata valutazione clinica del paziente da tenersi distinta sia dalla sintomatologia rife-

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rita che dalle informazioni anamnestiche, sottolineandosi al proposito come anche il codice deontologico imponga al medico di attestare dati clinici direttamente constatati6 (De Ferrari et al., 1999; Feola et al., 1999). Parimenti, ben può essere la ricetta medica ritenuta anch’essa un atto certificativo a tutti gli effetti, congetturando essa al suo interno uno stato di malattia o di sofferenza del soggetto -che quindi necessita di una terapia per la cura della patologia di cui è portatore- e così contestualmente sia esprimendo il diritto dell’assistito a ricevere quei farmaci sia autorizzando l’amministrazione del servizio farmaceutico a fornirgli la prestazione richiesta7. Tale duplice valenza riguarderebbe ovviamente anche le prestazioni diagnostiche richieste dal medico per il suo assistito ed assume particolare rilevanza qualora venga compiuto un illecito, risultando esso sanzionabile sotto molteplici aspetti. Non raramente la Suprema Corte ha preso in considerazione la falsità ideologica in atti pubblici, anche qualificando come tale una attestazione di conformità a leges artis da parte di un pubblico ufficiale8, affrontando così una tematica considerata tra le più complesse del diritto penale, tanto da essere definita da autorevole dottrina (Antolisei, 1995) come una “enigmatica sfinge” e alla quale numerosi autori hanno dato i loro contributi (Mancini, 1983; Brancaccio-Lattanzi, 1990; Iadecola 1993). La sentenza citata pone la propria attenzione sulla nozione di atto pubblico rilevante ai fini della configurabilità di un delitto e sul falso ideologico negli atti pubblici. Anche se l’atto pubblico è definito sinteticamente dal codice civile agli articoli 26999 e 270010, tale sintesi non si riscontra in quello penale ove il già citato art. 493 amplia -rispetto all’art. 2699 c.c.- la nozione di atto pubblico sotto il profilo soggettivo, stabilendo che le norme sulla falsità in atti “si applicano altresì agli impiegati dello Stato, o di un altro ente pubblico, incaricati di pubblico servizio, relativamente agli atti che essi redigono nell’esercizio delle loro funzioni”, così da individuare quali possibili autori di tali delitti anche individui che non ricoprano la funzione di pubblici ufficiali. Nella prassi quotidiana, cui fa riferimento l’esempio citato al principio di questa breve dissertazione, la considerazione appena formulata ci fa porre quindi l’attenzione sul fatto che, parimenti al medico che, nella sua veste di pubblico ufficiale (art. 357 c.p.), redige una certificazione senza aver prima valutato clinicamente il paziente, anche all’infermiere, giuridicamente inquadrabile nel contesto riferito quale incaricato di pubblico servizio (art. 358 c.p.), richiedendo la compilazione di tale documento sulla base delle sue osservazioni e della rilevazione dei parametri vitali, potrebbe essere addebitabile tale reato11. L’art. 476, comma 2, c.p., amplia poi -rispetto all’art. 2700 c.c.- il concetto di atto pubblico sotto il profilo oggettivo, prevedendo un aggravamento della pena nel caso in cui ad essere contraffatti siano degli atti pubblici fide facienti; ciò a riprova del fatto che la falsità in atti, nel diritto penale, si configura anche in relazione agli atti pubblici non fide facienti. La Suprema Corte, quando ha dovuto individuare gli elementi che distinguono un atto pubblico da un certificato amministrativo, ha affermato che “l’atto pubblico (...) è caratterizzato, in via congiunta o anche solo alternativa, dalla produttività di effetti costitutivi, traslativi, dispositivi, modificativi o estintivi rispetto a situazioni soggettive di rilevanza pubblicistica, nonché dalla documentazione di attività compiute dal pubblico ufficiale che redige l’atto o di fatti avvenuti alla sua presenza o da lui percepiti”12. Quindi, è possibile affermare che la nozione di “atto pubblico” contenuta nel codice penale, secondo l’usuale interpretazione della giurisprudenza, risulta fondarsi su un requisito formale (il documento è redatto da un funzionario pubblico: pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio o impiegato della pubblica amministrazione) e su di un requisito di carattere teleologico (l’atto è destinato ad una funzione pubblicistica) (Grande, 1991). Pare opportuno poi qui ricordare che il medico incorre nel reato di falso ideologico se il giudizio espresso nel certificato è basato su fatti esplicitamente dichiarati od implicitamente contenuti nel giudizio stesso e non corrispondenti al vero, sempre che ciò sia conosciuto dallo stesso medico redigente13. Questo concetto può essere più semplicemente espresso affermando che il reato di falso ideologico si verifica quando si attestano fatti non rispondenti al vero e coscientemente diversi da quelli altrimenti rilevati, così che da vedersi confermata la punibilità di un medico che aveva stilato un certificato di morte senza aver prima visitato la salma14. Tuttavia è opportuno sottolineare che il reato in questione può sussistere, oltre che nel caso di attestazione di fatti falsi, anche nell’ipotesi in cui il sanitario, sulla base di dati clinici veritieri, estrinsechi una valutazione che risulti all’evidenza ed inconfutabilmente difforme dal vero, sempre che si verta in situazioni estranee all’opinabilità dal punto di vista scientifico in ordine alla significatività della sintomatologia rilevata. La falsità, dunque, può riguardare il fatto o i fatti at-

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1 Codice Penale (RD 19 ottobre 1930 n.1398) (GU 28 ottobre 1930, n.253. SO). Art. 54 (Stato di necessità): “Non e’ punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessita’ di salvare se’ od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, ne’ altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessita’ e’ determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo.”. 2 Codice Penale. Art. 479 (Falsita’ ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici): “Il pubblico ufficiale che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto e’ stato da lui compiuto o e’ avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto e’ destinato a provare la verita’, soggiace alle pene stabilite nell’articolo 476.”. 3 Codice Penale. Art. 476 (Falsita’ materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici): “Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, e’ punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsita’ concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione e’ da tre a dieci anni.”. 4 Codice Penale. Art. 493 (Falsita’ commesse da pubblici impiegati incaricati di un servizio pubblico): “Le disposizioni degli articoli precedenti sulle falsita’ commesse da pubblici ufficiali si applicano altresi’ agli impiegati dello Stato, o di un altro ente pubblico, incaricati di un pubblico servizio relativamente agli atti che essi redigono nell’esercizio delle loro attribuzioni.”. 5 Codice Penale. Art. 481 (Falsita’ ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità): “Chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria o forense o di un altro servizio di pubblica necessita’ attesta falsamente in un certificato, fatti dei quali l’atto e’ destinato a provare la verita’, e’ punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire centomila a un milione. Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto e’ commesso a scopo di lucro.”. 6 Codice di Deontologia Medica (FNOMCeO, 16 dicembre 2006). Art. 24 (Certificazione): “Il medico è tenuto a rilasciare al cittadino certificazioni relative al suo stato di salute che attestino dati clinici direttamente constatati e/o oggettivamente documentati. Egli è tenuto alla massima diligenza, alla più attenta e corretta registrazione dei dati e alla formulazione di giudizi obiettivi e scientificamente corretti.”.

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testati nel loro complesso, ovvero circostanze giuridicamente rilevanti, la cui falsità influisca sull’essenza dei fatti predetti (Parodi et al., 1996). Per quanto concerne il profilo soggettivo, ricordiamo che il delitto in esame è punibile esclusivamente a titolo di dolo, consistente nella volontà cosciente e libera e nell’intenzione di attestare il falso in un certificato redatto nell’esercizio della professione medica. Il capoverso dell’art. 481 c.p. aggrava il delitto “se il fatto è commesso a scopo di lucro”. Questa aggravante viene in essere ogni qualvolta il medico abbia commesso il fatto per procurarsi un vantaggio economico; non è necessario pertanto l’aver agito per ottenere un diverso profitto e non occorre neanche che tale profitto si sia conseguito, in quanto la circostanza ha carattere soggettivo, riguardando l’intensità del dolo (Manzini, 1983; Parodi et al., 1996). Concludendo, ciò che nel caso riferito appare censurabile non è ovviamente la trasmissione del certificato di malattia e della eventuale ricetta per via telematica (valendo, per analogia, quanto espresso in una esplicita previsione normativa relativa alla trasmissione telematica dei certificati di malattia da parte del medico curante all’I.N.P.S.)15, ma la compilazione di tali atti da parte del medico in assenza di un suo preliminare ed accurato esame diretto del paziente, assolutamente non sostituibile da altra forma di valutazione del quadro clinico, pur mediata da altri professionisti sanitari, configurandosi, quindi, detta procedura, anche qualora ci si trovasse ad operare in un contesto di criticità sanitaria, come una modalità assolutamente censurabile e che non potrebbe essere neppure avvallata dalla presenza di protocolli eventualmente adottati dal sistema organizzativo di appartenenza, non trovando essi fondamento in alcuna normativa di riferimento. Bibliografia Antolisei. Manuale di diritto penale - Parte speciale, vol. II, 9ª ed., Milano, 1995; pag. 56. Brancaccio-Lattanzi. Esposizione di giurisprudenza sul codice penale dal 1976 con riferimenti di dottrina. Milano, 1990. Cimino L, Landuzzi F. Considerazioni medico-legali in relazione all’inosservanza del periodo indicato dal MMG. Professione 2007; 10: 24-30. De Ferrari F, Pagni A, Ciuffi M, Birbes MG, Polizza P, Restori M. Problemi medico-legali in Medicina Generale. Mediserve, Milano, 1999; pag. 103. Feola T. Responsabilità legale del Medico di Medicina Generale. Edizioni Minerva Medica, Torino, 1999; pag. 204. Grande. Falsità in atti. In: Dig. Disc. Pen., 1991; pag. 52 Manzini. Trattato di diritto penale italiano, 5ª ed, Torino, 1983. Marin M. La gestione del rischio professionale in medicina generale. Passoni Editore, Milano 2006; pag. 48. Parodi C, Nizza V. La responsabilità penale del personale medico e paramedico. UTET, Torino, 1996; pag. 493.

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7 In ambito giuridico la ricetta costituisce una certificazione amministrativa e non un atto pubblico; pertanto una siffatta qualificazione si risolve in modo più favorevole per il medico in caso di falsità ideologica nella sua compilazione in quanto la sanzione prevista è più lieve rispetto la falsità in atto pubblico. 8 Cass Pen, V sez, 21 novembre 2003 (pres Morrone, est Fumo; ric D’Ambrosio, sost Proc Gen Corte d’Appello Salerno): “Costituisce falsità ideologica anche l’attestazione del pubblico ufficiale che consapevolmente sostenga essere conforme a parametri (anche di carattere non normativo), indiscussi e determinati da una comunità tecnica o scientifica (cc.dd. leges artis), un elaborato a carattere tecnico che tali caratteristiche non abbia. E’ certo, infatti, che anche un atto atipico possa essere inquadrato nella categoria degli atti pubblici, ai fini di cui all’art. 479 c.p., atteso che, in base al tenore letterale della norma, è atto pubblico ogni documento redatto dal pubblico ufficiale per uno scopo inerente alla sua funzione, purché dotato della capacità rappresentativa dell’attività svolta o percepita. Pertanto, non rileva affatto che il documento redatto dal pubblico ufficiale contenente la falsa attestazione non sia previsto da un’espressa norma che ne indichi i requisiti di forma.”. 9 Codice Civile (RD 16 marzo 1942, n 262) (GU 4 aprile1942, n 79). Libro sesto (Della tutela dei diritti). Titolo II (Delle prove). Capo II (Della prova documentale). Sezione I (Dell’atto pubblico). Art 2699 (Atto pubblico): “L’atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato.”. 10 Codice Civile. Art 2700 (Efficacia dell’atto pubblico): “L’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formata, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.”. 11 Cfr. Cass. Pen., Sez V, sent. N. 4451 del 20.01.2008: “Il certificato rilasciato dal medico è destinato a provare la verità di fatti morbosi a qualsiasi terzo interessato e presuppone necessariamente, anche se implicitamente, che il medico stesso abbia proceduto direttamente all’accertamento della malattia mediante visita del paziente. Per conseguenza risponde di falso ideologico il medico che attesti una malattia senza aver compiuto la visita, anche se di essa non abbia fatto esplicita menzione nel certificato (sez. 5, sen. N. 9191/19872; sez. 5, sent. N. 2659/1982)”. Nel caso specifico detta sentenza sottolinea che integra il reato di falsità ideologica commessa dal p.u. in atto pubblico (art. 479 c.p.), e non quello di falsità ideologica commessa dal p.u. in certificati o autorizzazioni amministrative (art. 480 c.p.), la condotta del medico di base che rediga una proposta di trattamento sanitario obbligatorio nei confronti di un paziente del quale attesti falsamente l’alterazione

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psichica, senza sottoporlo a visita, considerato che il provvedimento che dispone il t.s.o. di un infermo di mente è adottato dal sindaco su proposta motivata di un medico, convalidata da un altro medico della struttura sanitaria pubblica, che si inserisce nell’attività della P.A. disciplinata dalla legge n. 180 del 1978 quale atto di impulso di natura costrittiva (derivando da esso l’obbligatoria soggezione del paziente ad ulteriori visite) di un procedimento ammisitrativo. 12 Cass, Sez Un, 10 ottobre 1981 (Foro It, Rep., 1982, n 79); Cass, sez V, 17 maggio 1987 (Foro It, 1988, n 34; Cass, sez V, 27 settembre 1995 (Foro It, 1996, n 12); Cass, sez V, 10 marzo 1997 (Foro It, 1998, n 15). 13 Cass, sez. VI, 24 maggio 1977, n 11482. 14 Cass Pen, 14 dicembre 1977. 15 D.P.C.M. 26 marzo 2008, G.U. 28/05/2008, n. 124 “Attuazione dell’articolo 1, comma 810 c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in materia di regole tecniche e trasmissione dati di natura sanitaria, nell’ambito del Sistema pubblico di connettività”. Art 1 (Principi generali relativi alle modalità di trasmissione) 1. La trasmissione telematica dei dati delle ricette al Ministero dell’economia e delle finanze e delle certificazioni di malattia all’INPS avviene nell’ambito del Sistema pubblico di connettività (SPC) previsto e disciplinato dagli art. 72 e seguenti del Codice dell’amministrazione digitale in conformità alle relative regole tecniche. (…).Sezione III (Trasmissione telematica dei dati delle certificazioni di malattia SAC) art. 6. (Finalità e oggetto) 1. La presente sezione disciplina la trasmissione telematica dei dati delle certificazioni di malattia dei lavoratori, nei casi di infermità comportanti incapacità lavorativa, da parte del medico curante al Sistema centrale di accoglienza, ai sensi dell’art. 1, comma 810, della legge n. 296 del 2006 e dell’art. 1, comma 149, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. 2. Le modalità tecniche di acquisizione e trasmissione dei dati di cui al comma 1 sono stabilite nell’allegato disciplinare tecnico, nel rispetto del Sistema pubblico di connettività. 3. Le modalità procedurali e i relativi aspetti operativi riguardanti l’inoltro dell’attestato di malattia da parte dell’I.N.P.S. e del lavoratore al datore di lavoro dono stabiliti dall’I.N.P.S. (…). Art. 8 (Dati del certificato di malattia telematico) 1. La trasmissione dei dati del certificato di malattia telematico comprende l’inserimento, da parte del medico, dei seguenti dati obbligatori: a) dati anagrafici del lavoratore; b) codice fiscale del lavoratore; c) residenza o domicilio abituale e domicilio di reperibilità durante la malattia; d) diagnosi e codice nosologico; e) data di dichiarato inizio di malattia, data di rilascio del certificato, data di presunta fine malattia nonché, nei casi di accertamento successivo al primo, di prosecuzione o ricaduta della malattia; f) visita ambulatoriale o domiciliare. 2.Il medico curante rilasci, al momento della visita, al lavoratore copia cartacea del certificato telematico di malattia e dell’attestato di malattia, ai sensi dell’art. 23 del codice dell’amministrazione digitale. (…).

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Eurocargo 4x4 140 q dotato di shelter autoscarrante

Panoramica dei mezzi che compongono l'unità regionale

Grandi emergenze: pronto l’ospedale mobile Potrebbe sopraggiungere un’epidemia, un terremoto o verificarsi un incidente in uno stabilimento chimico: la Lombardia si troverebbe pronta ad intervenire per contenere l’emergenza. E’ stata presentazta martedì 22 luglio, sul piazzale d’ingresso dell’Ospedale Niguarda Cà Granda, la nuova Unità Regionale Grandi Emergenze della Regione Lombardia. E’ un PMA di se-

condo livello, progettato per spostarsi rapidamente sul luogo dell’emergenza e garantire la massima efficienza nell’intervento sanitario. La struttura è composta da 7 grandi tende pneumatiche, 3 shelter in alluminio autoscarranti, 3 autocarri 4x4 e un automezzo NBCR. Nelle tende trovano posto un area triage (valutazione e attribuzione codice di gravità) un area degenza per coVista completa dall'elicottero dell'unità regionale grandi emergenze installata il giorno della presentazione nel piazzale del Niguarda

dici verdi e gialli ed infine di un area codici rossi dotata di 8 letti di terapia intensiva. Sono inoltre compresi nella struttura: il laboratorio analisi, la centrale operativa, il produttore di ossigeno ed il laboratorio tecnico. All’interno dei container trovano posto le tende dedicate ad ospitare lo staff impegnato nella grandi emergenze, 20 operatori tra medici infermieri e tecnici. Pasquale Cannetelli (direttore generale Ospedale Niguarda) presente all’inaugurazione – Il Niguarda avrà il ruolo di coordinatore dell’Unità Regionale Grandi Emergenze, voluta dalla regione Lombardia in linea con il crescente livello d’attenzione nazionale e internazionale rivolto ai disastri sanitari. L’unità speciale verrà inserita nella colonna mobile regionale della Protezione Civile-. Mentre Roberto Formigoni (presidente Regione Lombardia) dichiara -siamo orgogliosi di presentare una struttura mobile che farà fare un grande salto di qualità alla nostra Protezione Civile e al nostro sistema dell’emergenza urgenza-. Incarichi dell’Unità Regionale Grandi Emergenze: Responsabile del Progetto: Carlo Nicora Responsabile Sanitario: Giovanni Sesana Responsabile Operativo: Cristiano Cozzi

Modulo shelter

Da sx Cristiano Cozzi (direttore operativo unità regionale grandi emergenze) Roberto Formigoni (Presidente Regione Lombardia) Pasquale Cannatelli (Direttore Generale Ospedale Niguarda)

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La Defibrillazione precoce nell’Arresto Cardiocircolatorio Uso del DAE e BLSD negli ambienti di lavoro

La Morte Improvvisa Cardiaca (MIC) rimane uno dei piu’ drammatici problemi sanitari irrisolti: ogni anno in Italia l’arresto cardiocircolatorio (ACC) colpisce circa 60.000 persone, risultando da solo la principale causa diretta di morte. A causa dell’imprevedibilità con cui l’ACC colpisce, molte delle vittime muoiono prima di raggiungere l’ospedale o di poter essere soccorse da una equipe sanitaria territoriale dotata di defibrillatore ed abilitata ad usarlo. La Fibrillazione Ventricolare (FV) è una condizione in cui gli impulsi elettrici cardiaci divengono caotici causando una brusca interruzione dell’azione di pompa del cuore. Le vittime collassano e perdono coscienza in breve tempo, il più delle volte senza preavviso. Se il ritmo cardiaco fisiologico non è ristabilito, la morte segue in pochi minuti. La terapia è la defibrillazione, l’applicazione cioè di uno shock elettrico al cuore attraverso il torace del paziente, effettuata con uno strumento chiamato defibrillatore. Il defibrillatore è in grado di eliminare la FV e permette la restituzione di un ritmo cardiaco corretto e la conseguente funzione di pompa al cuore. Ma solo se la defibrillazione è effettuata entro i primi minuti dall’ACC, il tasso di sopravvivenza dopo una VF può essere significativamente elevato.

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Dott. Antonio Destro- Presidente di IRC-Comunità

SVILUPPO STORICO DEL DAE (AUTOMATED EXTERNAL DEFIBRILLATOR-AED) egli anni ’60 i medici riconobbero l’importanza di fornire alla comunità una rapida defibrillazione sotto forma di unità coronariche mobili. Nei primi anni ’70 queste unità mobili furono fornite di personale paramedico e il tasso di sopravvivenza salì dal 7 al 17% durante questo decennio. Sempre in questi anni iniziò il training di tecnici sanitari nel riconoscimento della FV e nell’operazione di defibrillazione manuale. Il tasso di sopravvivenza salì in questo modo fino al 19%. I defibrillatori automatici esterni furono introdotti nel 1979; furono distribuiti in modo tale che anche le persone “laiche” ma con una adeguata formazione fossero in grado di fornire una defibrillazione precoce. In studi multipli, è stato dimostrato che questi dispositivi permettono a personale minimamente formato di convertire una FV in un ritmo cardiaco regolare. In Italia l’uso dei DAE da parte di personale NON sanitario è consentito dalla legge n.120\2001 (e successive modificazioni). Il Defibrillatore semi\automatico è uno strumento sicuro, poco costoso, facile da usare, determinante nel soccorso cardiorianimatorio.

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SCOPO DEL DAE I defibrillatori automatici esterni emettono, attraverso ampli elettrodi autoadesivi, un impulso elettrico di larga ampiezza verso il cuore, in modo da restaurare il ritmo normale in pazienti in FV o in tachicardia ventricolare “senza polso”. I DAE differiscono dai convenzionali defibrillatori per il fatto che i DAE sono in

grado di analizzare il ritmo ECG e determinare con precisione ed assoluta sicurezza se la defibrillazione è necessaria. Questo elimina la necessità da parte del soccorritore l’utente di interpretare il ritmo cardiaco prima di emettere lo shock e di dover scegliere l’energia da erogare. DEFIBRILLAZIONE PRECOCE E LUOGHI DI LAVORO Le informazioni raccolte da vari studi condotti prevalentemente negli Stati Uniti e nel resto dell’Europa hanno dimostrato che il posizionamento di DAE in posti pubblici e il loro utilizzo da parte di personale “laico” ha ovunque portato

Il “Manuale di Primo Soccorso nei luoghi di lavoro” è una guida chiara e di facile comprensione sui principali aspetti organizzativi e di primo intervento in azienda, nata dall’esperienza dell’ISPESL (Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro) nel campo delle attività di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro. L’obiettivo è quello di fornire un valido supporto didattico ai corsi di formazione, anche tramite l’utilizzo di illustrazioni e schemi, preoccupandosi di approfondire tutte le fasi, gestionali ed operative, del Primo Soccorso in azienda. Il manuale è strutturato in sezioni, ognuna delle quali si occupa di approfondire aspetti diversi del Primo Soccorso aziendale. Nella prima sezione vengono trattate le procedure di organizzazione e di allerta del Sistema di Soccorso, la formazione dei lavoratori, la reperibilità e l’efficienza dei presidi sanitari.

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ad un rilevante incremento del tasso di sopravvivenza agli arresti cardiaci improvvisi. In tutti gli studi condotti l’incremento del tasso di sopravvivenza integra è associato al riconoscimento rapido dell’emergenza, all’inizio immediato della RCP e dall’uso del DAE entro 5 minuti dalla perdita di coscienza. E’ evidente che in gran parte dei luoghi di lavoro non ci si puo’ aspettare che il 118 giunga in tempo per erogare la scossa salvavita. Purtroppo il triste bollettino di guerra delle morti “bianche” ne offusca un altro, che parla di morti altrettanto evitabili, anche se con interventi più complessi: le morti per arresto cardiaco nei luoghi di lavoro. Le statistiche non dicono in chiaro che per ogni morto sul lavoro per causa traumatica, ce n’è almeno un altro (a volte addirittura due) che muore per arresto cardiaco in orario di lavoro. Le cause non sono solo legate all’insorgenza di occlusione coronarica complicata da arresto cardiaco. La folgorazione, il monossido di carbonio, lo stress esasperato e probabilmente altri agenti interni ed sterni, alcuni prevenibili ed altri addirittura ancora sconosciuti possono causare un arresto cardiaco da FV, Il DAE deve quindi essere presente, integrando ai sensi del DL n.81\2008le le

dotazioni di soccorso nei luoghi di lavoro complessi o poco facilmente raggiungibili per strutture architettoniche, ubicazione, complessità, numerosità di persone,. La formazione del soccorritore è semplice ed è garantita dal superamento di un corso (BLSDa) della durata di 5 ore, con le caratteristiche internazionalmente convenute (ILCOR 2005) sui contenuti didattici, sul rapporto allievi\istruttore, manichino, sulle forme di verifica e di retraining. I CORSI BLSDa L’Italian Resuscitation Council tenne il suo primo corso sperimentale ufficiale nel 1999, a Bellaria ( Rimini), in occasione del suo Congresso nazionale. Vi parteciparono 5 dipendenti dell’Enel, 3 istruttori medici della Scuola della Polizia Stradale di Cesena, 5 Vigili del Fuoco, 5 operatori Alitalia ( principalmente capocabina). Da allora questo corso ha formato centinaia di migliaia di Italiani, sia per la loro attività lavorativa (agenti delle forze dell’ordine, VVF, operatori di servizi di security) che per iniziative educative sociali (es. studenti delle scuole superiori ed inferiori, in varie citta’ italiane). Ma l’attesa piu’ forte e’ per l’inserimen-

to ufficiale in 4a superiore dell’insegnamento delle nozioni di gestione iniziale di una emergenza. E per l’integrazione con il BLSDa dei corri di primo soccorso aziendale (in applicazione del DL n.81\2008). Ma in quasi tutte le città si possono già frequentare questi corsi anche per iniziativa personale, in genere con un costo di 50-70 €. Ricorrendo ai siti di IRCComunità ( www.irc-com.org) e di IRC (www.ircouncil.it) si potranno trovare date, orari, sedi. E’ prevedibile e molto auspicata una sempre piu’ stretta collaborazione fra Conacuore ed IRC-Comunità per estendere questa rete, ma soprattutto per fare in modo che i cittadini del domani incappino in questa formazione in modo capillare ed obbligatorio, nella scuola, nel lavoro, nel mondo del volontariato e dell’impegno sociale. Programma e scheda d'iscrizione sul sito www.irc-com.org

B. Papaleo, A.Pera, M.Coscia, Editore: ISPESL Pubblicazione: 2007 Numero di pagine:130

Nella seconda sezione vengono forniti elementi di conoscenza di base sull’anatomia e fisiologia generale dei principali apparati coinvolti negli interventi di Primo Soccorso: apparato cardiovascolare, respiratorio, muscolo scheletrico, sistema nervoso centrale. Nella terza sezione vengono elencati i principi di comportamento del soccorritore, gli elementi per la valutazione delle condizioni dell’infortunato, le modalità di raccolta delle informazioni relative all’incidente fino all’organizzazione dei primi soccorsi. Nella quarta sezione il focus è posto sul riconoscimento dei principali quadri patologici che mettono a rischio le funzioni vitali per arrivare alle manovre di sostegno delle funzioni vitali di base (BLS – Basic Life Support). Vengono quindi approfondite le manovre rianimatorie atte a gestire correttamente le fasi iniziali di un arresto respiratorio, cardio-circolatorio, un’ostruzione delle vie aeree o una perdita di coscienza. Il metodo di esecuzione proposto fa riferimento alle Linee Guida di autorevoli associazioni scien-

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tifiche internazionali che, periodicamente, provvedono ad una revisione critica e ad un aggiornamento del metodo stesso. Nella sequenza di BLS, alla valutazione di ogni singola funzione vitale (attività di coscienza, presenza dell’attività respiratoria e cardiocircolatoria), fa seguito una specifica azione di Primo Soccorso, secondo lo schema VALUTAZIONE – AZIONE. Nella quinta sezione, il manuale offre una panoramica dei principali quadri patologici in grado di provocare un’alterazione dei parametri vitali, fornendo nozioni che permettono di riconoscerli o sospettarli in modo da prestare un soccorso adeguato e chiamare aiuto fornendo le necessarie indicazioni.

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4° Convegno nazionale IRC-Comunità

SE IL LAVORO UCCIDE PER ARRESTO CARDIACO

“RIFLESSIONI SU CRITERI E METODI DI VALUTAZIONE, ADDESTRAMENTO ED ESECUZIONE DELLE MANOVRE DI RIANIMAZIONE IN EMERGENZA NEI LUOGHI DI LAVORO”

20 novembre 2008 Roma, Aula Magna dell’Istituto Superiore Antincendi

9.15

Saluto e Benvenuto Michele Di Grezia Direttore Istituto Superiore Antincendi Saluto delle Autorità

9.20

PRIMA SESSIONE - Moderatori: Daniele Sbardella, Bruno Papaleo 9.40 Gli infortuni mortali negli ambienti di lavoro Giuseppe Campo, Armando Guglielmi Dipartimento Processi Organizzativi - ISPESL 10.00 Arresto cardiaco nei luoghi di lavoro. Dimensioni del problema: dalla prevenzione alla defibrillazione Maurizio Liberti - IRC-Comunità 10.20 Normativa attuale e relative criticità: ruolo del medico competente e dell’addetto al primo soccorso Bruno Papaleo - Dipartimento Medicina del Lavoro - ISPESL SECONDA SESSIONE - Moderatori: Manrico Gianolio, Pietro Dell’Agli 11.40 Contributo dei fattori di rischio professionali nell’insorgenza dell’arresto cardiaco Andrea Scapigliati - IRC 12.00 Esperienze del Defibrillatore semi-automatico: l’uso nei luoghi di lavoro Relatori vari 12.20 I casi del Cuore: premiazione dei casi prescelti Giovanni Spinella - Presidente CONACUORE Vincenzo Castelli - Presidente Fondazione Giorgio Castelli Antonio Destro - Presidente IRC-Comunità TERZA SESSIONE - Moderatori: Giancarlo Dolfin, Laura Verdecchia 14.30 Chi insegna, cosa, a chi? Ruolo della formazione al primo soccorso nei luoghi di lavoro Giovanna Cangiano - Dipartimento Medicina del Lavoro - ISPESL 14.50 Autodidattica e teleformazione Federico Semeraro - IRC 15.10 Il caso Mini Anne: report preliminare dello studio multicentrico Grazia Mannini - IRC-Comunità 15.30 Comocuore e la scuola Enza Rovelli - Comocuore Onlus 15.50 Evoluzione del ruolo degli Istruttori di Comunità: i veri protagonisti del cambiamento Antonio Destro - IRC-Comunità 16.10 Tavola Rotonda: UN PERCORSO COMUNE VERSO LA SICUREZZA Moderatori: Daniele Sbardella, Luca Venturi Invitati: INAIL, IPASVI, IPSEMA, ISPESL, Responsabile della sicurezza di grandi Aziende Commerciali e Bancarie, Confindustria, Confesercenti, Rappresentanze sindacali. 16.45 Conclusioni: Antonio Destro Presidente Irc-Comunità Antonio Gambardella Vice Capo Dipartimento Vicario Capo del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco Daniele Sbardella Vicepresidente IRC-Comunità

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EMERGENZA GIOVANISSIMI, BEVE UN UNDER 18 SU 5 Gli incidenti stradali sono la prima causa di morte tra i giovani italiani fra i 21 e i 29 anni e la mortalita' per incidente e' stimata come correlata all'uso di alcol per una quota tra il 30% e il 50% del totale degli incidenti. Il dato e' stato evidenziato in occasione della prima conferenza nazionale sull'alcol tenutasi a Roma e promossa dal ministero del Welfare. Assumere una quantita' di alcol anche limitata, hanno sottolineato gli esperti, puo' essere molto pericoloso per la guida: in Italia il limite legale di alcolemia per chi guida e' stato per questo portato, con una legge del 2001, dallo 0,8 allo 0,5 per mille. Nel 2006 sono stati rilevati dall'Istat 238.124 incidenti stradali che hanno provocato 5.669 morti e 332 mila feriti. Nel periodo 2000-2006 si e' pero verificato un decremento del 7,2% degli incidenti. Nonostante questo miglioramento della situazione, hanno sottolineato gli specialisti, in Italia il tasso di mortalita' per incidente stradale, pari a 95 morti per ogni milione di abitanti, e' quasi doppio rispetto a paesi come Gran Bretagna, Olan- “30%-50% MORTALITA' da e Svezia, dove il INCIDENTI STRADALI A tasso e' pari a 50 mor- CAUSA ABUSO ALCOL” ti per milione di abitanti. I conducenti della fascia di eta' tra 25 e 29 anni (con 452 morti e 31.451 feriti) e fra 30 e 34 anni sono quelli piu' colpiti. La mortalita' e' pero' molto elevata anche tra i guidatori tra 21 e 24 anni (379 morti e 24.302 feriti). Tra i giovani sotto i 18 anni si registra un 'boom' di consumo di bevande alcoliche. I giovanissimi, consumano soprattutto birra, ma anche superalcolici e drink ''mascherati'', ovvero ''apparentemente innocui, e venduti anche nei supermercati, ma che in realta' hanno un alto contenuto alcolico. A preoccupare, e' anche il fatto che ''e' cambiata la modalita' di consumo di alcol nel nostro Paese: se negli anni scorsi, infatti, si consumava soprattutto vino ed ai pasti, ora si registra invece un calo nel consumo di vino ed un aumento dell'uso di superalcolici fuori pasto. Quello che i giovanissimi cercano, e' innanzitutto lo ''sballo e l'ubriacatura, abitudine che si riscontra maggiormente nei maschi''. Sono questi, comportamenti relativamente nuovi per il nostro Paese e rappresentano importanti fattori di rischio. Data l'alta percentuale (la maggiore in Europa, appunto) di babybevitori under-18, e' fondamentale, pensare a nuove strategie di azione soprattutto sul fronte della prevenzione, rafforzando ad esempio i controlli sui luoghi del bere e di ritrovo dei ragazzi, anche se le sole politiche repressive non sono sicuramente sufficienti e bisognera' anche agire, ad esempio, sul fronte della regolamentazione della pubblicita. Siamo di fronte ad un'emergenza educativa: i ragazzi sono, cioe', sempre di piu' fuori dal controllo dei genitori e della scuola, mentre aumentano i contatti via Internet. A cio' si aggiunge anche una sorta di 'vuoto normativo'. La legge italiana, infatti, prevede il divieto di somministrazione di alcolici ai minori di 16 anni, ma non e' previsto alcun divieto di vendita agli under-18. Ottobre 2008

CARDIOVERSIONE ELETTRICA EXTRA-OSPEDALIERA nella tachicardia emodinamicamente instabile Il caso. Alle 8.10 giunge alla C.O. del 118 una richiesta di soccorso per un uomo di 65 anni che ha perso coscienza al domicilio. All’arrivo dell’ambulanza, il paziente è vigile, seduto su una sedia nel cortile di casa. Si presenta pallido e diaforetico, ma riferisce di sentirsi già meglio. Era appena uscito di casa in quanto si stava recando ad una visita cardiologica programmata, quando ha avvertito una sensazione di mancamento improvviso con cardiopalmo. Viene disteso dai soccorritori sulla barella e sistemato in ambulanza. All’arrivo dell’automedica, il paziente si trova già a bordo dell’ambulanza, ferma davanti al domicilio, e i soccorritori stanno rilevando i parametri vitali. Il paziente riferisce “peso” toracico, senza dispnea. La PA è 80/50, la FC 220/m’, la Sat O2 95%, la FR 20/m’. Il monitor presenta una tachicardia a complessi larghi 220/m’, confermata anche dall’ECG a 12 derivazioni (vedi Fig.1). La documentazione sanitaria del paziente riporta due pregressi episodi di tachiaritmia a complessi larghi, trattati in ambiente ospedaliero una volta con la cardioversione elettrica, una volta con l’amiodarone. Il paziente si presenta diaforetico, vigile, eupnoico, con incremento della sensazione di “peso” toracico. Non vi sono rumori polmonari patologici all’auscultazione del torace. La PA è ancora 80/50. Viene reperito un accesso venoso periferico con fisiologica 250 cc e si somministra ossigeno in maschera con FIO2 50%. Vista la presenza di segni di instabilità emodinamica (ipotensione, dolore toracico, diaforesi), il paziente viene informato della necessità di eseguire immediatamente una cardioversione elettrica della tachiaritmia. Si provvede alla sedazione con midazolam 5 + 2 mg ev. Dopo avere preparato e verificato il materiale per una eventuale gestione avanzata delle vie aeree (pallone di ventilazione, materiale per intubazione tracheale), viene erogato uno shock sincronizzato bifasico a 100 J, con ripristino del RS alla frequenza di 95/m’(vedi Fig.2). L’ECG a 12 derivazioni eseguito dopo la cardioversione evidenzia un RS con BBDx e deviazione assiale sin.(vedi Fig.3). I parametri del paziente sono: PA 120/70, FC 95/m’, Sat O2 98% in O2 con maschera facciale, FR 18/m’, GCS 8 (per sedazione farmacologica). Si trasporta il paziente in Pronto Soccorso. All’arrivo in PS, il paziente è vigile, eupnoico, con parametri emodinamici stabili; riferisce scomparsa del peso toracico precedentemente riportato.

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Rita Previati, Luca Ricchi C.O.118, Unità Operativa di Medicina d’Emergenza-Urgenza, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara

Discussione Indicazioni alla cardioversione elettrica in emergenza La cardioversione elettrica sincronizzata, sia in ambito extra che intra-ospedaliero, trova indicazione nei casi di tachiaritmia con instabilità emodinamica. La valutazione della presenza o meno di instabilità emodinamica richiede la valutazione di eventuali segni e sintomi connessi con una scarsa perfusione tissutale e d’organo, come ad esempio il dolore toracico, l’obnubilamento del sensorio, la dispnea, il pallore cutaneo con diaforesi, l’ipotensione, la presenza di stasi polmonare. In assenza di instabilità emodinamica, il trattamento della tachicardia può essere farmacologico o, se ci si trova in ambito extra-ospedaliero, può essere anche rinviato ad un ambito intra-ospedaliero o specialistico. E’ importante però che, di fronte al riscontro, in sede anche extra-ospedaliera, di una instabilità emodinamica, non venga rinviato il trattamento con la cardioversione elettrica, ad esempio per attendere l’effetto di un farmaco o il rientro in PS, se il personale d’emergenza presente sul posto ha le competenze necessarie per effettuarla. La cardioversione elettrica può essere effettuata sia in caso di tachicardie ventricolari che sopraventricolari. Una tachicardia a complessi larghi può essere sia ventricolare che sopraventricolare. In emergenza, una diagnosi differenziale precisa è spesso non necessaria in caso di instabilità emodinamica, in quanto potrebbe ritardare il trattamento. Nel caso presentato, alla luce dell’elevata frequenza d’esordio della tachicardia (>200/m’), della morfologia del QRS, che presentava un aspetto a tipo BBDx, e dell’aspetto dell’elettrocardiogramma registrato dopo il ripristino del ritmo sinusale, la tachicardia a complessi larghi del paziente era una tachicardia verosimilmente a genesi sopraventricolare e non ventricolare. Questa considerazione, però, anche se corretta, di fronte alla instabilità delle condizioni cliniche presentate dal paziente e in accordo con le Linee Guida internazionali attuali sul trattamento delle tachiaritmie, non avrebbe cambiato la scelta del trattamento d’emergenza più indicato, cioè la cardioversione elettrica. La diagnosi differenziale di una tachicardia a complessi larghi, raccomandata ai fini della scelta del trattamento ottimale nel paziente stabile, non deve ritardare la cardioversione elettrica se si è in presenza di instabilità emodinamica.

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CARDIOVERSIONE ELETTRICA EXTRA-OSPEDALIERA

Fig.2 - “Sincronizzazione” prima dell’erograzione dello shock bifasico a 100 J, con ritmo rilevato nella fase immediatamente “post-shock”

Fig.3 - ECG a 12 derivazioni registrata dopo la carioversione elettrica

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nella tachicardia emodinamicamente instabile Come si esegue una cardioversione elettrica. Dopo avere provveduto alla sedazioneanalgesia del paziente cosciente, senza ritardare la cardioversione, se eseguita in condizioni di emergenza, si effettua la “sincronizzazione” dello shock elettrico, cioè si spinge l’apposito tasto sul defibrillatore per “sincronizzare” la scarica con il complesso QRS dell’elettrocardiogramma (evitando cioè che una scarica non “sincronizzata” venga erogata in un’altra fase del ciclo cardiaco, ad esempio durante la ripolarizzazione ventricolare, il che porterebbe ad un aumentato rischio di indurre una fibrillazione), accertandosi che compaiano gli appositi marcatori sui complessi (vedi Figura 2). Si eroga poi lo shock, iniziando da 100 J e aumentando progressivamente in caso di insuccesso dopo la prima scarica. In caso di TPSV certa (tachicardia parossistica sopraventricolare) o Flutter atriale, la prima dose può essere più bassa (50J). In età pediatrica la dose consigliata per il primo shock è di 0.5-1 J/Kg di peso corporeo. Questi dosaggi riportati dalle Linee Guida si riferiscono ai defibrillatori “monofasici”. Per i defibrillatori “bifasici” si parla di “dosi equivalenti”, secondo le indicazioni fornite dalle ditte costruttrici. In mancanza di indicazioni specifiche, i Joules consigliati rimangono comunque gli stessi anche in caso di strumenti bifasici. La sequenza di azioni raccomandate per eseguire una cardioversione elettrica esterna è riassunta nella Tabella 1. Esistono alternative farmacologiche alla cardioversione elettrica? In condizioni di instabilità emodinamica non esistono alternative farmacologiche alla cardioversione elettrica. I farmaci antiaritmici sono comunque pro-aritmici, spesso inotropi negativi e necessitano di tempo per agire. I farmaci costituiscono una alternativa ( e spesso sono di prima scelta) rispetto alla cardioversione elettrica solo quando le condizioni cliniche del paziente sono stabili. La valutazione del-

la stabilità-instabilità di un paziente con tachicardia è quindi un passo importante, soprattutto in sede extra-ospedaliera o quando non sono immediatamente disponibili risorse specialistiche, perchè è alla base ad esempio della decisione di trattare subito o rinviare la decisione terapeutica ad un ambito intra-ospedaliero o specialistico. Come già riportato in precedenza, un paziente è instabile emodiFase

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Azione Se non già effettuato, somministrare ossigeno, reperire un accesso venoso, monitorare il ritmo ECG (ossigeno-vena-monitor) Sedare il paziente (se cosciente): es : midazolam 0.05-0.1 mg/kg Verificare il materiale per la gestione delle vie aeree Premere il pulsante “sinc”del defibrillatore, per attivare la modalità sincronizzata Controllare la presenza dei marcatori su tutte le onde R. Se non presenti, eventualmente aumentare l’altezza dei complessi finchè non sono riconosciute tutte le onde R Scegliere il livello di energia appropriato Caricare il defibrillatore, prestando attenzione alla sicurezza Erogare lo shock (con le piastre manuali o con quelle adesive), prestando nuovamente attenzione alla sicurezza e facendo allontanare dal paziente gli altri membri dell’equipe. Controllare il monitor: se persiste la tachicardia, prepararsi per un secondo shock ad un livello di energia superiore Controllare il paziente.

Tabella.1. Procedura per la cardioversione elettrica: sono indicate le fasi raccomandate per eseguirla in sicurezza

Conclusioni La cardioversione elettrica, con erogazione di uno shock sincronizzato, è indicata sia nella tachicardia stabile che instabile. Nel primo caso, costituisce una alternativa al trattamento farmacologico o viene utilizzata in caso di non efficacia del farmaco. Nella tachicardia instabile, invece, costituisce un trattamento d’emergenza, praticabile già al domicilio del paziente. Bibliografia ACC/AHA/ESC Practice Guidelines. Guidelines for management of patients with ventricular arrhythmias and the prevention of sudden cardiac death. Executive summary. Circulation 2006; 114:1088-1132. AHA/ACC. Guidelines for CPR and ECC. Circulation

"Staying Alive" cantavano i Bee Gees nel tormentone di fine anni 70 nonché colonna sonora del film "La febbre del sabato sera" in cui un giovanissimo Tony Manero, alias John Travolta, sfida la grande mela delle feste e dello spettacolo partendo dai sobborghi e armato solo di talento. La canzone ha un ritmo di 103 battute al minuto. I Bee Gees non lo potevano sapere ma 100 compressioni per minuto è esattamente la frequenza da rispettare quando si va ad eseguire una rianimazione cardio-polmonare (RCP). E allora perché non usare "Staying Alive" (che in italiano in una delle sue accezioni si potrebbe tradurre con "rimanere vivo") per insegnare ai giovani medici e agli operatori sanitari la frequenza corretta di compressioni del torace nella rianimazione? La singolare ma a suo modo Ottobre 2008

namicamente in presenza di segni e sintomi di scarsa perfusione tissutale, come: obnubilamento del sensorio, pallore, diaforesi, dispnea, dolore toracico, ipotensione. E’ compito della prima equipe sanitaria che soccorre il paziente effettuare questa valutazione ed agire di conseguenza, in base alle proprie competenze e in accordo con i protocolli di Centrale Operativa.

2005; 112:IV AHA. Manuale di ACLS. Centro Scientifico Editore. 2008. European Society of Cardiology. The ESC Textbook of Cardiovascular Medicine. Blackwell Publishing. 2006

brillante idea è venuta a David Matlock del College of Medicine di Peoria, in Illinois. Quindici studenti hanno imparato a rianimare il paziente muniti di i-Pod, cuffie e mp3 di Staying Alive; prendere il ritmo, imparare a tenerlo e soprattutto riprodurlo è stato relativamente semplice: dopo tre settimane di corso tutti i partecipanti avevano imparato bene la tecnica. Pensare che un medico possa rianimare una persona mentre mentalmente nella sua testa echeggia la voce in falsetto che urla "Staying Alive" è, quanto meno, divertente. Una trovata singolare che aiuta anche a togliere in modo benevolo l'aura di sacralità di cui si tende a rivestire l'insegnamento della medicina e la pratica medica. Fonte. Tanner L. CPR study suggests 'Stayin Alive' lives up to name.

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prima parte

>>> il CONSENSO INFORMATO

in AREA CRITICA e in EMERGENZA EXTRAOSPEDALIERA:

LUCI E OMBRE SUL RUOLO DELL’INFERMIERE Clementi Enrica - Infermiere Aguzzi Alessandro, Scoppetta Federica - Infermiere Coordinatore Scafi Danilo - Infermiere Coordinatore/Area Critica

Cenni di Storia Il principio del consenso informato rivolto alla liceità dell’atto sanitario tende a riflettere il concetto dell’autonomia e della autodeterminazione decisionale della persona che necessita e richiede una prestazione sanitaria. Questa formula giuridica ha trovato negli ultimi anni uno spazio ed una valenza rilevante nell’elaborazione dottrinale e negli orientamenti ed interpretazioni giurisprudenziali, influenzando l’attività quotidiana di ogni operatore sanitario. Il consenso informato continua ad essere oggetto di continue esplorazioni non solo sotto l’ormai assodato profilo teorico quanto, invece, sotto l’ambivalente e talvolta ambiguo aspetto pratico, applicativo e consequenziale. Analizzando come è nato e come si è sviluppato il concetto ed il ruolo del consenso con gli itinerari più adeguati e ragionevoli per legittimarlo ed ottenerlo, non si può non considerare da un lato la sua lontana origine filosofica e dall’altro il suo condizionamento religioso con la sua impostazione morale ed accelerata evoluzione deontologica con percorsi paralleli alle esigenze ed ai progressi offerti dalle nuove terapie e dalle innovative applicazioni bio-tecnologiche. Il principio del consenso è una condizione relativamente nuova e non del tutto recente. Infatti, già al tempo della civiltà egiziana, di quella greca e romana si possono riscontrare delle documentazioni che dimostrano come l’operato del medico dovesse in qualche modo esser preceduto da una approvazione da parte del malato. Platone, aveva già individuato le problematiche, le procedure e le modalità informative che in sintesi sono alla base dei principi dell’attuale formula del consenso informato e correlava la pratica dell’informazione e del consenso con la qualità e la posizione sociale del malato.

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L’unica garanzia, che il paziente poteva avere, discendeva da un principio fondamentale della medicina di ogni tempo: “tendere nelle malattie a due scopi, giovare e non essere di danno”. Nel medico ippocratico si riconosce una figura che si preoccupava della sofferenza del malato, ma non tralasciava di provvedere anche alla propria sorte cercando di evitare di essere coinvolto nell’insuccesso e nella morte del paziente. Il concetto di consenso è inesistente, tuttavia traspare la presenza di una informazione precauzionale e preventiva. Nel comportamento degli antichi medici non risulta difficile individuare le reali motivazioni e le effettive ragioni che già a quell’epoca hanno dato origine alla necessaria “medicina difensiva”, soprattutto in relazione al ceto sociale dell’assistito. Sin dalle origini, continuando nella tradizione ippocratica, il rapporto tra medico e paziente si è consolidato su due precisi criteri rappresentati da un lato dal dovere professionale di far il bene del malato e dall’altro dall’obbligo di questi di accettare completamente le decisioni e l’opera del curante. Il medico ippocratico rispettava un principio di responsabilità professionale più religiosa e di tipo morale,che giuridica molto debole in quanto dipendente da normeelaborate da esseri umani. La convinzione e la certezza che il curante operasse sempre per il bene del suo assistito, si sono tramandate nei secoli conferendo al medico una autorità morale ed una sorta di impunità giuridica condizioni alle quali in maniera speculare corrispondeva il dovere di obbedienza e di sudditanza da parte del paziente. In questa consolidata visione della sacralità della medicina e della pratica medica si è innestato il cristianesimo che non ha modificato in sostanza l’etica comportamentale di tipo ippoOttobre 2008

cratico. Non solo la popolazione ma anche il medico cristiano sentiva l’importanza religiosa della sua attività intesa come missione e paragonata ad un particolare tipo di sacerdozio nel salvaguardare la salute intesa come bene di Dio. Pertanto, investito dall’autorità che derivava dalla sua posizione professionale e dalla sua opera, riteneva suo preciso compito guidare il paziente, decidere e scegliere per lui. Il malato è un ignorante che non possiede le conoscenze, la capacità intellettuale né l’autorità morale per opporsi e contrastare il volere e le decisioni del medico che, al contrario, per la sua dottrina sa perfettamente quale sia il bene per lui. In questo contesto, se si dovesse parlare di consenso alla prestazione medica esso deve venir considerato del tutto inutile in quanto implicito e compreso nella stessa richiesta di aiuto. Ogni fenomeno, dunque, ha una sua precisa origine, una sua ben definita storia e quando la sua incisività tende a condizionare significativamente le attività che riguardano l’uomo nasce il desiderio di conoscerne le origini e la storia. Come è noto a Norimberga, il 19 dicembre 1946, si apriva il processo ai medici nazisti e venne stilato un codice nel quale i giudici, tutti statunitensi, hanno voluto ribadire una visione della ricerca e della tecnologia medica molto chiara: la scienza non deve mai considerare o trasformare la persona umana in uno strumento utilizzato per raggiungere solo scopi scientifici. In realtà esistono documentazioni che qualche decennio prima della stesura del Codice di Norimberga sembrano mettere in evidenza, nella stessa Germania, l’esigenza di legittimare in qualche modo le prestazioni e le azioni mediche attraverso l’ufficio e la pratica del consenso. Gli Stati Uniti vengono reputati come il paese d’origine del consenso informato il cui scopo iniziale è stato quello di conferire la giusta dignità alla indipendenza del paziente in corso di decisioni e di scelte mediche. La casistica su questo argomento, infatti, in quel paese ha inizio nel XVIII secolo con problematiche rivolte e limitate al solo e semplice diritto da parte del paziente a dare il proprio assenso all’azione sanitaria per poi svilupparsi concettualmente, lungo le linee di un itinerario scandito da celebri casi giudiziari, fino a giungere, nel XX secolo, all’informed consent, criterio che, come è noto presuppone ed ingloba non solo l’importante e fondamentale autonomia decisionale del malato che discende dal diritto sulla propria persona, ma anche l’essenziale elemento oggettivo costituito dall’informazione. L’espressione informed consent è stata semplicemente trasposta in italiano e traslitterata in modo grossolano ed ambiguo nella locuzione consenso informato, per quanto, al contrario, dovrebbe dirsi “informazione per il consenso” nel rispetto non solo concettuale ma sicuramente per una decifrazione più corretta ed una interpretazione più precisa in rapporto ai notevoli concetti che presuppone e racchiude. L’informazione ed il consenso possono essere paragonati alle due facce della stessa medaglia. Sono i due importanti pilastri che coincidono e si unificano dando contenuto alla responsabilità medica in tema di consenso all’atto sanitario: da una parte l’acquisizione del consenso, dopo corretta e sincera informazione interpretata e decifrata come una importante fase ed essenziale indicatore della buona condotta e diligenza medico-professionale Ottobre 2008

e dall’altra il consenso stesso direttamente concepito come obbligo finalizzato al pieno rispetto del diritto all’autodeterminazione, all’indipendenza ed alla autonomia del malato visto come persona. In Italia l’evoluzione giuridica e dottrinale del consenso informato, pur seguendone un po’ più rapidamente le tracce, le tappe, le problematiche e le interpretazioni dei vari aspetti che lo hanno delineato, caratterizzato ed applicato negli Stati Uniti, non solo è avvenuta in epoca successiva, ma, pur raggiungendo gli stessi significati, le stesse considerazioni, le medesime valenze e, purtroppo, gli stessi inconvenienti, ha avuto presupposti, itinerari ed articolazioni non uguali. A tal proposito è sufficiente porre l’attenzione alle dissimili tradizioni culturali e radici religiose, ai differenti patrimoni dottrinali, alle particolari origini storiche e ai singoli ordinamenti giuridici profondamente diversi uno dall’altro. Non è difficile mettere in evidenza come nel nostro contesto sociale hanno agito prevalentemente mentalità e radicati sentimenti culturali, tradizionali, religiosi e morali orientati da un lato a respingere concettualmente l’autonomia del malato in relazione alla sua salute ed alla sua vita e di conseguenza dall’altro a relegare il consenso e a mettere quasi in disparte la volontà del paziente che, fino a qualche decennio fa, aveva il solo dovere di curarsi e l’obbligo di farsi curare. In epoca antecedente alla Costituzione la dottrina ed il diritto considerava la chirurgia di per sé una pratica “illecita ma non punibile” se attuata con il consenso dell’assistito che veniva considerato in qualche modo ricompresso nell’aiuto che veniva richiesto da chi versava in uno stato di vero bisogno. I principi esposti nel Codice di Norimberga relativi alla necessità del consenso all’atto sperimentale medico vennero in qualche modo ripresi, filtrati e sanciti dall’art. 32 della Costituzione e si sono gradualmente affermati con la sempre più valorizzazione del contenuto di questo articolo che ha fatto porre maggior attenzione nei riguardi dei diritti della persona. La loro progressiva considerazione ha avviato nell’ambito medico nuove elaborazioni e particolari interpretazioni sui principi di responsabilità penale e sul fondamentale confine ed obbligo civilistico del “neminem ledere”. Ciò ha portato a valutare, di base, illecito l’atto medico solo per il fatto che il chirurgo lo ritenesse utile. Il consenso del paziente, in sintesi ed in concreto, rappresenta non solo una garanzia nei suoi riguardi, ma anche uno dei fondamentali limiti alla concezione unilaterale e all’attuazione di qualunque intervento se non in casi di estrema, ben evidente e ben documentata necessità. Le origini del consenso informato Inteso in generale e nel suo doppio ruolo etico e giuridico, il principio del consenso informato rivolto alla legittimazione ed alla liceità delle azioni sanitarie, tende, meritando profonda attenzione, a riflettere fondamentalmente il concetto dell’autonomia della persona ed in sostanza il criterio della autodeterminazione decisionale di chi necessita e richiede una prestazione medico-chirurgica o sanitaria in genere. Se da un lato questa formula giuridica ha trovato negli ulti-

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mi anni uno spazio sempre maggiore ed una valenza ancor più rilevante nell’elaborazione dottrinale, negli orientamenti e nelle interpretazioni giurisprudenziali, influenzando non poco e in modo contraddittorio l’attività quotidiana del sanitario, dall’altro continua ad essere al centro di continue esplorazioni dirette verso tutte le sue componenti ed i relativi risvolti analizzati non tanto sotto l’ormai assodato profilo teorico quanto, invece, sotto l’ambivalente e talvolta ambiguo aspetto pratico, applicativo e consequenziale. Nell’ultimo ventennio non c’è stato argomento sul quale e per il quale non siano stati organizzati centinaia di congressi, non siano state presentate e dibattute numerose interpretazioni, non siano stati proposti indirizzi ed una quantità innumerevole di consigli e di obiezioni, non siano stati prodotti contributi scientifici e non siano state profondamente esaminate e criticate una moltitudine di differenti e, talvolta, non univoche, decisioni e sentenze giudiziarie. Tra i suoi importanti, specifici, basilari elementi determinanti, in grado di sollevare problematiche e sostenere ancor più ampie problematicità, si registrano anche non poche e singolari riserve nonché interessanti e particolari luoghi comuni che sono all’origine di stereotipi culturali e di convincimenti distorti. L’esperienza, infatti, insegna che non tutti i medici hanno ben riflettuto sull’importanza del consenso informato e dimostrano ancora di avere una concezione sfumata del suo intimo significato, anzi tendono a stupirsi quando si rammenta loro che questa formula giuridica, divenuta per molti luogo comune, ha un intendimento del tutto differente e ben lontano da quello che viene dato per ovvio e scontato. Tuttavia va detto che alcune concezioni appaiono del tutto particolari e di tal portata da giungere, come qualche autorevole giurista ha affermato, alla considerazione che, seppur visto nella sua ampia complessità, assolutamente ritenuto necessario ma non sufficiente ed anche pieno di una quantità di difetti, il consenso informato rappresenti un “falso problema” tanto da essere esplicitamente qualificato come “una finzione legale”. Se oggi è opinione comune e convincimento incondizionato che il consenso informato per forza giuridica sia necessario sotto il profilo operativo sorge la domanda se, in concreto ed in pratica, si possa raggiungere da parte del paziente ed in breve tempo un livello di consapevolezza conoscitiva di tal portata da poter sempre esprimere e prendere imparzialmente la decisione migliore. Infatti qualche medico legale continua a chiedersi se il consenso informato in qualche caso particolare non sia un “rifiuto ragionato”. Tra l’altro, più di quarant’anni fa, il vicepreside della facoltà di Medicina di Harvard affermava che “la fiducia costituisce la base fondamentale del consenso e richiedere la firma di un consenso scritto potrebbe insospettire il paziente e provocare la richiesta di spiegazioni per chiarire la ragione di tanta formalità”. Sotto il duplice contesto della ricerca sperimentale sia di ordine medico che chirurgico e del relativo impiego terapeutico, analizzando come è nato e come si è andato sviluppando il concetto ed il ruolo del consenso con gli itinerari più adeguati e ragionevoli per legittimarlo, conseguirlo ed ottenerlo, non si può perdere di vista da un lato la sua lontana origine filosofica ed etica e dall’altro il suo innegabile condizionamento religioso e la sua inevitabile impostazione morale ed accelerata evoluzione deontologica con percorsi e passaggi del tutto paralleli alle esigenze ed ai progressi sperimentali e scientifici nei confronti delle nuove terapie e delle innovative applicazioni biotecnologiche.

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Informazione, comunicazione e consenso informato: Lo scenario attuale Ben oltre l’apparente semplicità che sembra caratterizzarlo nei suoi determinanti costitutivi, ancorché spesso stereo tipizzati nella pratica clinica ed assistenziale, il “consenso informato” è un tema non facile da affrontare, ambiguo sul piano sia linguistico che morale, intriso di ampie difficoltà ed è un continente che, a tutt’oggi, non è stato ancora completamente esplorato. Le difficoltà cui accennavamo sono da ricondurre ad una serie di fattori che agiscono, tra loro, in maniera inter-dipendente e sinergica: tali fattori risultano essere di ordine linguistico, di ordine culturale, di ordine tecnico-professionale e sociale. Sul piano linguistico dobbiamo subito osservare la diversità del significato etimologico che il vocabolario della lingua italiana assegna alla parola informazione ed alla parola comunicazione: mentre la prima esprime significati che spaziano in ambiti molto diversi tra loro e può essere interpretata, secondo la definizione che proviene da un grande studioso della comunicazione, come la percezione di una differenza, la seconda esprime, invece, un processo di costruzione collettiva e condivisa di significato ed è un processo - come tale - dotato di livelli diversi di formalizzazione, di consapevolezza e, soprattutto, di intenzionalità. Sempre sul piano linguistico la parola “consenso informato” è una locuzione composta, palesemente tautologica (il consenso,evidentemente, non può che essere informato) che a ben vedere predispone a biases cognitivi che sostengono a loro volta le ampie ambiguità che caratterizzano il comportamento dei professionisti sanitari, ampiamente note ai medici legali. Prima di tutto per la circostanza che il termine “consenso informato” è un lemma che è entrato, in epoca del tutto recente, a far parte del patrimonio linguistico utilizzato dai professionisti della salute e del quale si sono, prioritariamente, enfatizzati gli aspetti di stretta rilevanza giuridica (civile e penale) nell’ipotesi di consenso invalido: ciò è avvenuto, in particolare, dopo la sentenza di condanna (sentenza della Corte d’Assise di Firenze, 1990, confermata dalla V Sezione della Cassazione penale il 21 aprile 1992) di un chirurgo fiorentino che aveva sottoposto un’anziana paziente ad un intervento chirurgico demolitivo dalla stessa non consentito (nella specie la resezione addomino-perineale dell’intestino con confezione di una colostomia definitiva sinistra) in completa assenza di necessità ed urgenza terapeutica che lo giustificassero, con l’addebito del delitto di omicidio preter-intenzionale e l’innesco, parallelo, di un procedimento disciplinare che si concluse con la radiazione del medico dall’Albo professionale. In secondo luogo perché non esiste, nel pur amplissimo patrimonio linguistico italiano, una rappresentazione chiara, coerente e, dunque, di immediata trasferibilità sul piano applicativo di tale locuzione: questa, essendo la trans-litterazione della parola inglese informed consent, si compone di due parole tra loro diverse (la parola “consenso” e la parola “informato”), poste in associazione, sullo stesso piano sostanziale, a formare una parola composta. Fatta eccezione per i dizionari delle scienze mediche (nel Dizionario Enciclopedico delle Scienze Mediche di Taber il “consenso informato” è definito come il “consenso accordato dal soggetto dopo essere stato informato sulla natura e gli scopi dell’intervento o del trattamento proposto; sull’esito preOttobre 2008

visto e le probabilità di successo;sui rischi; sulle alternative e informazioni relative; sull’effetto della mancata attuazione dell’intervento o del trattamento, tra cui l’effetto sulla prognosi e i rischi materiali conseguenti”) e per i dizionari giuridici(nell’Enciclopedia Garzanti del Diritto il termine “consenso informato” rinvia al termine “consenso dell’avente diritto” che è, a sua volta, definito come “causa di giustificazione in base alla quale non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne”), il vocabolario della lingua italiana non definisce la parola composta “consenso informato”, pur fornendo esplicite indicazioni per i lemmi “consenso” e “informato”. Alla parola “consenso” (che deriva dal latino consensus e dal verbo consentire), la lingua italiana attribuisce significati non speculari, tra loro del tutto diversi: nel linguaggio politico “consenso” significa,infatti, appoggio e/o favore espresso dai gruppi e strati sociali alla politica di chi è al potere; nel linguaggio ferroviario il “consenso” è, invece, l’autorizzazione necessaria per effettuare un’operazione connessa con la circolazione dei treni; nel linguaggio giuridico il “consenso” esprime, infine, l’elemento essenziale al negozio giuridico bilaterale o pluri-laterale,consistente nell’incontro delle manifestazioni di volontà di due o più soggetti contrapposti. Sinonimi di consenso sono la parola “approvazione”, “accettazione”, “assenso”, “beneplacito”, “benestare”, “licenza”, “permesso” e “placet”; contrari sono invece le parole “disaccordo”, “discordanza”, “dissenso”, “divieto”, “frizione” ed “opposizione”. La parola “informato” rinvia, invece, al verbo “informare”, rappresentandone il participio passato: quest’ultima parola deriva dal latino (informare: dare forma,formare, foggiare) e può assumere il significato di “ragguagliare”, di “modellare secondo una certa forma” e di “indirizzare secondo certe direttive”. Il termine “consenso informato”, ormai entrato nel gergo corrente utilizzato dai professionisti della salute, costituisce, dunque, un’“idea” che non trova conferma nella nostra tradizione linguistica pluri-secolare, con le ampie ambiguità che ne conseguono. Prima tra tutte la convinzione, del tutto errata, che informazione e comunicazione siano sinonimi e che entrambe vengano, per così dire, assorbite dal consenso informato mentre l’informazione rappresenta, non solo nella prospettiva medico-legale, un diritto soggettivo assoluto perfetto della persona, ha una portata

molto più ampia rispetto a quella che le viene normalmente attribuita (risultando doverosa anche quando non è finalizzata all’espressione del consenso) ed innesca un complesso processo che coinvolge la relazione tra almeno due soggetti, che ha un fluire non uni-direzionale (da “chi sa” a “chi non sa”) ma, bensì, bi-direzionale, che non può essere compiutamente realizzato se non è sostenuto da quella complessa funzione che è l’ascolto ed il feed back e che si pone, prioritariamente, l’obiettivo di soddisfare il bisogno di salute della persona e non già quello di raccoglierne, formalmente, la firma in un modulo scritto pre-formato. In secondo luogo per le difficoltà che esistono nell’inquadrare correttamente il tema della relazione comunicativa che, superando definitivamente l’ambiguità della locuzione “consenso informato”, deve confrontarsi, separatamente, con il problema dell’informazione(e, come correttamente, rileva il Codice deontologico della professioinfermieristica, anche con il tema dell’ascolto che, necessariamente, deve sostenere e completare il processo informativo) e con il problema del consenso che rappresenta, a ben vedere, ben oltre la legittimazione giuridica (causa scriminante o di giustificazione) dell’attività medica, l’espressione della compiuta realizzazione dell’istanza etica dell’autonomia della persona umana. Le ulteriori difficoltà che si incontrano nell’affrontare il tema del “consenso informato” possono essere identificate in almeno due altri ordini di fattori: a) il primo è da ricondurre a difficoltà che possiamo definire di ordine culturale, perché l’amplissima elaborazione dottrinale(giuridica e medico-legale) cui abbiamo poc’anzi accennato risulta troppo spesso concentrata a definire enfatizzandoli – gli aspetti giuridici del “consenso informato” e le conseguenze civili e penali del consenso invalido senza saper o voler cogliere quegli altrettanto indefettibili aspetti di piena umanizzazione dei rapporti tra la medicina e la persona cui aspira la società attuale e le indicazioni che provengono da altre scienze sociali; b) il secondo è, invece, da ricondurre a fattori di ordine tecnico-professionale e di ordine sociale, perché informazione e comunicazione (sostenute dall’ascolto) e consenso informato invece che assolvere ad una funzione rasserenante e di realizzare, concretamente, quell’auspicata alleanza terapeutica e di piena umanizzazione dei rapporti tra il professionista della salute e la persona.

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Le pubbliche assistenze Anpas premiate da Fondazione Crt

Aiut Alpin Dolomites BILANCIO INTERVENTI PER LA STAGIONE ESTIVA 2008 Durante la stagione estiva AIUT ALPIN DOLOMITES è stato operativo dal 22 giugno fino al 5 ottobre 2008; sono stati effettuati 266 interventi di elisoccorso. La maggior parte emergenze per il recupero di escursionisti in montagna ed alpinisti (117 i casi). Il resto per incidenti in altre attività di tempo libero, lavoro, su strade, emergenze sanitarie e ricerche.

Soccorsi per province:

225 19 22

Alto Adige Trentino Bellunese

279 Totale persone soccorse di cui 97 feriti 31 illesi 19deceduti Nazioni delle persone soccorse:

188

Italia (di cui 108 Alto Adige e 6 del Trentino)

59 28

Germania ed Austria Altre, Europa ed oltre oceano

Aiut Alpin Dolomites sottolinea anche la buona collaborazione con l’Elisoccorso della Provincia di Bolzano e la Centrale emergenza 118. Il servizio Aiut Alpin Dolomites riprenderà a metà dicembre 2008.

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Tredici pubbliche assistenze dell’Anpas sono state premiate dalla Fondazione Crt, insieme agli altri vincitori dei bandi per il 2008 di Missione Soccorso e Safety Vehicle, con undici nuove autoambulanze da adibire al servizio di emergenza urgenza 118 e due Panda 4x4. La consegna degli automezzi è avvenuta il 2 ottobre, presso la Margaria del Castello di Racconigi, in occasione della quinta edizione della Giornata del Soccorso, l’annuale appuntamento organizzato dalla Fondazione Crt. Un grande evento al quale hanno partecipato oltre 500 volontari del soccorso e della protezione civile del Piemonte e della Valle d’Aosta. Alla Giornata del Soccorso erano presenti numerose autorità, il coordinatore regionale del Sistema emergenza urgenza 118 Francesco Enrichens e il presidente di Anpas Piemonte Luciano Dematteis. «La collaborazione con il volontariato nell’ambito dei sistemi di emergenza – ha dichiarato l’assessora regionale alla Tutela della salute e Sanità Eleonora Artesio – ha raggiunto in Piemonte i livelli di copertura ed efficienza che oggi possiamo vantare grazie a tre caratteristiche: la continuità che è data dai rapporti istituzionali e dalle regole delle convenzioni, la competenza che consiste nella cura costante dell’attività di formazione dei volontari, il cuore che è rappresentato dall’adesione e dall’impegno che quotidianamente si riproduce nei volontari». Le Anpas premiate sono state: la Croce Verde di Casale Monferrato e la Pubblica Assistenza Avis di Valenza della provincia di Alessandria; la Croce Verde di Mombercelli e la Croce Verde di Nizza Monferrato della provincia di Asti; il Gruppo Volontari Ambulanza di Carrù e la Croce Bianca di Ceva della provincia di Cuneo; il Corpo Volontari del Soccorso di Ornavasso, la Croce Verde di Verbania e il Corpo Volontari Soccorso di Villadossola della provincia di Verbania; i Volontari del Soccorso di Caravino, la Croce Verde di San Giusto Canavese, il Gruppo Volontari Ambulanza di Verolengo e Anpas Sociale della provincia Torino. I bandi messi a disposizione da Fondazione Crt erano due: “Missione Soccorso” che agisce nell’ambito sanitario e assegna ogni anno autoambulanze alle organizzazioni di volontariato convenzionate con il 118 e “Safety Vehicle” che opera nell‘ambito della protezione civile e assegna risorse destinate all’acquisto di veicoli Panda a trazione integrale. «La qualificata presenza delle istituzioni regionali alla Giornata del Soccorso – ha detto Luciano Dematteis, presidente di Anpas Piemonte – testimonia l’attenzione e la sensibilità che la Regione pone nei confronti del volontariato sanitario e di protezione civile in Piemonte. Questa attenzione – ha continuato Dematteis – avvalorata dall’insostituibile sostegno assicurato annualmente dalla Fondazione Crt, ci sprona a proseguire nella nostra opera sapendo di poter fare affidamento su una rete efficiente ed efficace che pone, al primo posto, il diritto di tutti i cittadini a un servizio capillare e qualificato su tutto il territorio». L’Anpas Comitato Regionale Piemonte rappresenta oggi 82 associazioni di volontariato, 8.637 volontari, 11.179 soci, 329 dipendenti e 185 ragazzi e ragazze in Servizio civile che, con 403 autoambulanze, 91 automezzi per il trasporto disabili e 186 automezzi per il trasporto persone e di protezione civile, svolgono annualmente 370 mila servizi con una percorrenza complessiva di oltre 12 milioni di chilometri. Ottobre 2008

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