Vicenzaabc N 6 - 23 Aprile 2004

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vicenzaabc la città a chiare lettere

venerdì 23 aprile 2004, numero 6, anno III

SETTIMANALE DI INFORMAZIONE, CULTURA, POLITICA, ASSOCIAZIONISMO, SPETTACOLO

Via Piazzon 82/28 - 36051 Olmo di Creazzo (VI) Tel. 0444 349611 - Fax 0444 349510 www.svec.it - email: [email protected]

Editore: VicenzaAbc scarl, Corte dei Molini 7, 36100 Vicenza. Partita Iva 03017440243. Telefono 0444.305523. Fax 0444.314669. E mail: [email protected]. Spedizione in abbonamento postale 45% Comma 20/B, legge 662/96 - DC Vicenza Redazione: Corte dei Molini 7, Vicenza. Telefono 0444.504012. Fax 0444.314669. E mail: [email protected] www.vicenzaabc.it

Inchiesta. Perchè il faraonico progetto è destinato a fallire

Il treno dei (loro) desideri

Il grande inganno dell’Alta velocità

Erasmo Venosi* Due sono le alternative. La conferenza organizzata a Vicenza sull’alta velocità aveva il solo scopo di gettare fumo negli occhi, oppure è stata una grande girandola di dati e congetture dove, in buona fede, sono state riferite situazioni e dati inesatti. Lascio a chi voglia approfondire la questione la libertà di formarsi un’opinione, di decidere chi ha ragione e chi ha torto. Io porto solo i fatti. Il primo, assolutamente inconfutabile, è il tempo. È da oltre dieci anni che le realtà locali discutono sul potenziamento della linea ferroviaria che attraversa la pianura padana. Se ne parlava ben prima che comparissero i nomi e i progetti in questione. Mentre ora arriva questa realtà, la Transpadana che, buona ultima, si presenta come promotrice e salvatrice unica. Un altro fatto è la natura del comitato promotore Transpadana. Tra i soci figurano Pininfarina (che i treni li progetta), gli Agnelli (che lavorano sulle rotaie), nonché i più grandi comuni del nord Italia (che hanno fame di finanziamenti pubblici per le infrastrutture). Si tratta chiaramente di una lobby dell’industria pesante e del potere che preme per la realizzazione di un’opera colossale. Una lobby che vede Bruxelles come una vacca grassa da mungere. Lo scopo palese della conferenza è quello, pure dichiarato, di influenzare la Ue sulla finanziabilità dell’opera. Questi intenti sono chiari soprattutto ora, all’indomani del voto del Consiglio dei Ministri che ha deciso la quick list, la lista delle grandi opere finanziabili da subito. E fin qua tutto bene. Perché è giusto che ciascuno esprima le proprie idee e pensi ai propri interessi. Più problematica è la gestione occulta di queste opinioni, farcite con dati inesatti o fasulli, affermando per certi dati che sono invece presupposti o, nella migliore delle ipotesi, preventivi. Transpadana ha anche annunciato la firma di un documento in cui le province e le regioni si impegnano a spianare la strada al progetto. Espropriando, di fatto, i poteri dei sindaci a cui spetta l’ultima parola su tutti gli avvenimenti che potrebbero sconvolgere o modificare il tenore di vita dei propri concittadini. Peccato che nessun sindaco dei piccoli comuni dove passerà il Tav sia stato invitato alla conferenza. Che sia stato uno spiacevole malinteso o il terrore di far perdere smalto alla scintillante manifestazione? *consulente scientifico conferenza dei sindaci Treno Alta Velocità

Lo ammettono, a sorpresa, anche i sostenitori dell’opera: i soldi per il supertreno non ci sono. Né ci saranno mai Ce lo siamo sempre chiesti ogni volta che vi abbiamo partecipato. Ma insomma, cui prodest (per dirla meno aulicamente: a che serve) un convegno? Dopo tanti anni, e altrettante partecipazioni alle kermesse più improbabili, la risposta è una sola: a poco. Dal punto di vista pratico: a niente. Siamo dolenti per una affermazione tanto draconiana e irrispettosa per chi si dà tanto da fare per organizzarli, ma siamo sempre più convinti che, in queste occasioni, il rapporto costi-benefici sia quasi totalmente a carico della prima voce. Naturalmente parliamo dal punto di vista del parterre. Per un relatore (meglio se anche promotore) la faccenda è ben diversa. Bastava osservare l’assessore Claudio Cicero al “suo” convegno sulla Traspadana felice come Gongolo per il successo dell’iniziativa. Per avere al suo fianco (un venti minuti circa) nientemeno che un Ministro della Repubblica (Lunardi), e prima ancora, personaggi della statura di Innocenzo Cipolletta o Stefano Parisi, Direttore Generale di Confindustria. Gioia che il sindaco Hüllweck si è premurato di sottolineare ringraziando l’assessore per l’impegno profuso che ha richiesto – a suo dire – tanto sudore e addirittura (alla lettera) “qualche goccia di sangue” (la Variante ematica è, lo ammettiamo, una novità anche

Anche se sarà realizzato, per essere competitivo il treno veloce avrà comunque bisogno del trasporto su gomma. Servizi a pagina 4-5

Lo schiaffo di Cipolletta Dietro le quinte del convegno vicentino sul Tav. Mentre l’organizzatore Cicero esulta l’ex direttore di Confindustria fredda gli entusiasmi: “14 anni di parole a vuoto” per noi, vecchi loggionisti da convegno). Come noto, a un convegno i migliori incontri si fanno al buffet, luogo sacro di ogni convenuto, fedele alla massima “mens sana in corpore sano”. Detta altrimenti: dopo un’abbuffata di parole il dado può dirsi tranquillamente tratto. Briochine, succhi, pasticcini, pizzette, biscotti e tramezzini ristorano la mente preparando-

la all’ondata dei successivi relatori, loro sì ancora freschi e pieni di tensione. E, a proposito di incontri, è proprio in prossimità del buffet che incontriamo l’assessore Franzina, certo molto meno entusiasta dell’esimio collega. La Transpadana? Sì, sì, s’ha da fare. E i costi? Ah sì, c’è un costo sociale, ma si recupera poi dall’altra parte. No, no: intendiamo i soldi. Chi paga?

Ah quelli? Beh, lo Stato. Comunque è meglio se ne parliate con Cicero. Ci proviamo. Ma è impossibile. Mentre Franzina si aggira solitario e ombroso tra sala congressi e hall dell’hotel Viest, Cicero è sempre impegnato con il vip di turno. In mezzo a tanto gaudio, l’intervento di Cipolletta (“anni che facciamo convegni e terra smossa ancora non ne vedo”) è parso davvero

fuori luogo, accigliando Cicero e – forse – regalando un sorriso a Franzina. Ma come sempre, finisce tutto a tarallucci e vino. Lunardi lo ha assicurato: la Transpadana è praticamente cosa fatta. Di più: il ministro si è dichiarato pronto ad una puntuale verifica su quanto da lui affermato in questa sede. Quando? Al prossimo convegno. Davide Lombardi

questa settimana

politica

cronaca

polemiche

economia

cultura

Fiera al bivio Turcato: cambiamo o si affonda

Vicentini in Iraq ”Perchè ci odiano”

Diamanti vs Galan chi ci perde è il centrodestra

Taplast: i tappi invadono la terra

Calcio Vicenza quando fioriva la nostra Primavera

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Hüllweck in crisi a caccia di neonati Il sindaco poeta per conquistare le neo mamme. Che rischio per la natalità!

A fianco, la lettera del poeta sindaco alle neo mamme vicentine. sopra, la scrittrice Liala, forse musa ispiratrice

La natalità a Vicenza è sempre in calo. Ma da quanto le neo mamme ricevono questa lettera i risultati sono assicurati: zero assoluto. “Sono venuto a conoscenza della Sua maternità: un evento carico di emozioni e di estrema importanza per Lei, per i Suoi cari e per tutta la cittadinanza. Grazie al Suo amore, alla Sua coraggiosa scelta di essere madre, alla fatica e al sacrificio (che tutti sappiamo far parte di ogni gravidanza), Vicenza può dare il benvenuto a una nuova vita, una piccola creatura alla quale auguriamo con forza ogni bene.” È solo l’inizio e l’autore di tanta grazia appare evidente: è il poetapediatra Enrico Hüllweck, tra le altre cose sindaco della città, che trova sollievo dai dissidi di una maggioranza sempre

più spaccata e litigiosa vergando di proprio pugno queste ispirate prose. Le neo mamme si vedono recapitare la lettera di Hüllweck all’indomani del parto, assieme ai fiori, alle suocere premurose e ai parenti petulanti. “Da parte mia, come uomo e come Sindaco, la mia ammirazione per il suo impegno materno si unisce alla promessa di compiere ogni sforzo possibile affinchè chi oggi apre gli oggi della vita, riposando sul Suo cuore di mamma, possa vivere, nei prossimi anni, in una città sempre più bella e più amabile. Auguri a Lei e alla Sua creatura.” I parenti, al confronto, sono una benedizione. Detto che il sindaco ci piace comunque di più quanto esprime se stesso con la poesia piuttosto che quando svicola dalle

interrogazioni in Consiglio, due domande al lirico che c’è in lui. Prima: buona parte delle neo mamme vicentine è di origine straniera: Nord Africa, Asia, paesi dell’Est. Non crede che la sua prosa possa apparire più criptica di una bolletta del gas? Seconda: non è la forza politica a cui le appartiene quella che attacca duramente i manifestanti della sinistra quando “sfruttano gli innocenti bambini portandoli contro la loro volontà alle manifestazioni di piazza”? Quelli almeno possono difendersi con le boccacce. Questi, poveretti, si trovano in campagna elettorale che non hanno ancora assaggiato la Nutella. Matteo Rinaldi

sette giorni di politica

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vicenzaabc

Dalla grande offensiva delle rassegne concorrenti agli attacchi del settore orafo in piena crisi

La Fiera all’ultima chiamata: o cambia registro o si muore Andrea Turcato, segretario generale dell’Ente: “Dobbiamo evolverci e offrire nuovi prodotti Ma a chi si lamenta della situazione dico che la concorrenza non si batte chiudendo le frontiere” Dove va la Fiera di Vicenza? Dopo un decennio d'oro in cui ha registrato un tasso medio di crescita del 12 per cento l'anno, nel 2003 c'è stato un calo di oltre il 5 per cento e le previsioni del 2004 non sono molto migliori anche se la "Vicenzaoro1" di gennaio ha portato una boccata d'ossigeno. Ma il problema è la crisi che il settore orafo sta attraversando e che rappresenta la spina dorsale storica e attuale della Fiera vicentina, dato che le tre rassegne orafe di gennaio, giugno e settembre valgono il 75 per cento del fatturato complessivo. Intanto il contesto internazionale vede in forte crescita i mercati fieristici del Sud-est asiatico, Europa dell'Est e Sudamerica. Vale a dire che la concorrenza cresce. L'Europa brilla ancora, e il leader per i quartieri fieristici è la Germania - che ha investito cifre nove volte superiori a quelle italiane ed ha aumentato il suo primato - seguita dall'Italia, che peraltro è il fanalino di coda come percentuale di espositori e visitatori stranieri e registra nei suoi eventi internazio-

nali una percentuale di pubblico molto più alta rispetto a quella degli operatori. Ma anche gli spazi attuali della Fiera vicentina hanno i loro problemi: solo 27 mila metri quadri su 63 mila sono utilizzabili per gli stand, e i padiglioni non sono tutti collegati tra loro anche se il livello di qualità delle strutture è buono ma inferiore rispetto a quello garantito dai maggiori concorrenti internazionali per le fiere orafe. Esistono però le opportunità per ottimizzare la gestione degli spazi (il piano di sviluppo già avviato) e il calendario (attualmente la Fiera viene utilizzata in media solo per cinque mesi e mezzo all'anno). E a fronte di queste esigenze c'è una lista di attesa di nuovi espositori orafi e di ampliamento di stand che arriva alla necessità di almeno 20 mila metri quadri in più, c'è un bilancio in sostanziale pareggio e una crescente competizione a livello regionale per le fiere "non orafe". Come si sta "armando" la Fiera di Vicenza di fronte alla sfide del futuro? Ne parliamo con Andrea Turcato, segretario generale.

La trasformazione dell'Ente Fiera di Vicenza in società per azioni. E' in corso un arbitrato per la divisione delle quote, ma è chiaro che la nascita della Fiera spa è finalizzata alla privatizzazione. Vista però la crisi in cui versa il settore orafo c'è chi ritiene opportuno che resti la mano pubblica a gestire le rassegne e il futuro del centro fieristico. Qual è la Sua opinione? "La trasformazione in Spa non significa assolutamente privatizzazione, in quanto le quote saranno in larghissima maggioranza degli Enti fondatori che non mi risulta intendano per il momento cederle. Una parte delle quote sarà probabilmente delle Associazioni di categoria, ma per questo bisognerà attendere il lodo arbitrale e, peraltro, le Associazioni sono già presenti nell'attuale Consiglio di Amministrazione dell'Ente di gestione. Anche in questo caso ritengo molto improbabile che le quote possano essere cedute ad azionisti privati. La trasformazione in Spa dà una più precisa connotazione giuridica all'Ente e consentirà una gestione più snella ed efficace. La Fiera, pur essendo un Ente di interesse pubblico, necessita infatti di una gestione di tipo privatistico per poter competere sul mercato con le altre organizzazioni sia a livello nazionale che internazionale". Quale strategia per superare lo stallo attuale? Nel contesto internazionale sta crescendo la competizione a tutto campo e tutti i principali centri fieristici stanno ampliandosi puntando a diventare dei "contenitori" più che dei veri e propri organizzatori di eventi. Lo studio affidato dalla Fiera alla società di consulenza "Arthur D. Little" suggerisce tre strade: 1) la "continuità", cioè il sostegno del distretto orafo sfruttando al massimo gli spazi disponibili e aprendo anche

a nuovi espositori; 2) l'"internazionalizzazione" della presenza di espositori a Vicenza; 3) l'"innovazione": portare in vetrina a livello internazionale il "Made in Italy" orafo organizzando manifestazioni all'estero e puntando a sinergie (es. con la moda). In sintesi: insistere sulle rassegne orafe o allargarsi e differenziare il prodotto dell'attività fieristica? Lei ha maturato una opinione in proposito? "Innanzi tutto terrei a precisare che di stallo non è proprio il caso di parlare visto che l’andamento di tutte le manifestazioni del 2004 (orafe e non) sin qui svolte hanno dato risultati più che soddisfacenti. In secondo luogo non vedo una dicotomia così spinta tra “insistere sulle rassegne orafe” e “differenziare il prodotto dell’attività fieristica”. Si possono benissimo portare avanti entrambe. Sulla questione dell’internazionalizzazione poi vorrei ricordare come nella Giunta del 7 aprile scorso sia stata presentata una bozza di progetto della nuova società Vicenza Fiera International che si occuperà dell’organizzazione di manifestazioni fieristiche all’estero e del supporto alle aziende vicentine ed italiane che intendano partecipare a fiere estere". L'ampliamento del quartiere fieristico. L'ImmobiliareFiera, che con il "progetto Camerino" aveva già pro-

grammato l'ampliamento del quartiere fieristico allargato all'ex hotel Holiday Inn, si trova ora ad acquisire anche l'area Baggio e quindi a rivedere e aggiornare il piano di sviluppo. L'Immobiliare ha già dichiarato che farà quello che indica la Fiera. C'è un Suo suggerimento in proposito? "E’ stata chiesta dai tre Enti fondatori una consulenza alla “Sviluppo Sistema Fiera Spa” in merito al progetto di ampliamento del quartiere fieristico anche alla luce dell’acquisizione dell’area Baggio. I risultati sono al vaglio dei tre enti che, ritengo, in tempi brevi esprimeranno un parere che sarà ovviamente tenuto nel dovuto conto dall’Immobiliare Fiera. Il suggerimento che mi sento di dare è quello di accellerare il più possibile i tempi". In parallelo è arrivato ora il grido di allarme spedito dalle maggiori categorie orafe italiane alla Fiera di Vicenza. Si chiede in sostanza se la Fiera sta pensando solo a se stessa, e cioè a vendere sempre più spazi e ad espandersi, oppure se continuerà a difendere e sostenere la produzione delle imprese orafe vicentine ora che stanno attraversando un periodo di forte crisi. Un documento che critica anche l'apertura del padiglione Hong Kong dedicato alle aziende cinesi, che critica pure l'esposizione Luxury

China, la mostra specializzata dell'oreficeria realizzata a Shangai in jointventure con la Fiera di Monaco, e che chiede risposte su "chi e come" gestirà la Fiera con la scadenza del Consiglio di amministrazione (in maggio), la trasformazione in spa e l'approssimarsi (in novembre) dell'andata in pensione del segretario generale Andrea Turcato, da sempre il vero motore della Fiera. Lei ha delle risposte in merito?, e c'è eventualmente una Sua disponibilità a restare almeno finché non verrà individuato un altro manager giusto per la Fiera di Vicenza? "Il grido di allarme delle categorie orafe italiane è comprensibile proprio alla luce del periodo di difficoltà che sta vivendo il settore. Mi permetto tuttavia di ricordare che la concorrenza non si batte chiudendo le frontiere o, più modestamente, i cancelli della fiera, ma solo puntando sulla qualità del prodotto e sull’identificazione di fascie di mercato ragionevolmente difendibili. Nel contempo va salvaguardato il ruolo della Fiera di Vicenza come catalizzatore della domanda internazionale. Se per certe fasce di prodotto le aziende leader sono straniere, è alla Fiera di Vicenza che i buyers le devono trovare. Se non apre loro le porte la nostra Fiera sarà qualcun altro a farlo e senza tutte quelle cautele e quegli accorgimenti che solo noi siamo in grado di prendere. La Fiera di Vicenza è ancora leader nel settore dei preziosi a livello internazionale ma non è, ci tengo a ricordare, una condizione immodificabile. Come le grandi aziende italiane di successo, anche la Fiera deve saper evolvere nelle strategie di marketing e nella tipologia di prodotto offerta. Quanto al mio sostituto, il cui arrivo è prossimo, lo affiancherò sino alla fine del mio impegno in Fiera". Franco Candiollo

Dalla presidenza Amcps al consiglio di Aim, ecco le spine della giunta Hüllweck. E il futuro della città si discute al caffè

La guerra delle poltrone che fa neri gli azzurri Una maggioranza scombinata, che continua ad andare sotto in aula. Un'opposizione che graffia solo a tratti. La Cdl in cerca di unità, l'Ulivo in cerca di identità. A due mesi dall'election day di giugno la politica vicentina appare ancora frammentaria mentre pare che sarà l'esito delle europee a disegnare a cascata i nuovi assetti locali. La discordia nella Cdl sembra diventata la condizione dominante dal giugno del 2003 quando Hüllweck rivinse le elezioni in un clima teso che domina tutt'ora all'interno della coalizione che governa a palazzo Trissino. La scorsa settimana il centrodestra per la quarta volta in due mesi non è stato in grado di assicurare il numero legale. Lega tutta fuori dall'aula, An e Fi sguarnite, l'aula animata solo da qualche consigliere del centrosinistra. Non in sala Bernarda quindi, ma nei corridoi, davanti alla macchinetta del caffé, persino vicino alla toilette, le discussioni sul futuro politico della città. Il sindaco deve fare alcune nomine negli enti collegati. La poltrona che scotta è quella della presidenza di Amcps. Attualmente la carica è ricoperta da Stefano Barbi di An, ma dopo il giugno 2003 il manuale Cencelli vicentino prevedeva che il posto fosse destinato a Mario Bagnara dell'Udc. La postazione però fa gola anche al segretario cittadino azzurro Sandro Bordin, che la giudica un ottimo viatico per le elezioni regionali dell'anno prossimo. L'Amcps però, da Udc e Fi, viene comunque vista come una sorta di rifugio sicuro, qualora un esito rovinoso delle europee obblighi qualche big a ripiegare su posizioni più defilate. Inoltre da sistemare ci sono

anche gli equilibri all'interno di Aim (600 dipendenti, fatturato 180 milioni di euro). L'attuale presidenza di Beppe Rossi (area An, il suo incarico, includendo anche le altre poltrone delle società controllate dalla multiutility, vale 75.000 euro annui) non è in discussione. Ma in una compagnia che potrebbe a breve essere privatizzata, almeno in parte, la Lega è ansiosa di rompere un duopolio Fi An, che si era creato quando nel '98 i due partiti vinsero le municipali senza il Carroccio. Non è detto che la Lega pretenda posti nel consiglio (oggi non ne ha), ma vuole maggior potere per indirizzare le scelte. Così Hüllweck da mesi viene sottoposto al pressing degli

Amcps

ACQUE MOSSE IN LAGUNA

Mettete dei fiori nei vostri capannoni

Azienda municipalizzata, 100 dipendenti, fatturato 18 milioni di euro

Azienda municipale, 600 dipendenti, fatturato 180 milioni di euro

Quanto vale 25 mila euro l'anno

Quanto vale 75 mila euro l’anno

Perché fa gola Rifugio sicuro

Perché fa gola Stipendio, controllo dipendenti, potere, accordi futuri

Oggi siede Stefano Barbi (An) La reclamano Mario Bagnara (Udc) Sandro Bordin (Fi) alleati affinché si sblocchino le nomine e ogni segreteria di partito cerca di ottenere il massimo, ma arrivati a ridosso delle europee, il primo cittadino per non scontentare nessuno è rimasto immobile. Quando però ha presentato alla coalizione di governo un suo personale pacchetto

no meno agitate anche perché storicamente il ruolo dell'opposizione tende ad unire gli intenti. Rimane però in piedi il caso Ds. Il partito che nel polo progressista ha il maggior peso è alle prese con una crisi nella leadership cittadina, visto che a più riprese l'ala dalemiana che fa capo tra gli altri ad U b a l d o Alifuoco, ha cercato di mettere in un angolo il segretario cittadino Tommaso Rebesani, esponente del correntone e giudicato vicinissimo all'onorevole Lalla Trupia. In via Del Mercato Nuovo, sede del bottegone locale, l'ala moderata diessina da molti mesi ormai è critica nei confronti della leadirship berica, tant'è che le voci

Aim

Oggi siede Giuseppe Rossi (An) La reclamano La Lega per spezzare il duopolio Fi-An provvedimenti, ancora top secret, la Cdl, Fi inclusa, gli ha mandato un segnale, facendo mancare il numero legale, tanto che il primo cittadino stizzito ha sottolineato: «Frizioni in seno alla coalizione di maggioranza? Se la sbrighino i partiti». Nel centrosinistra le acque paio-

Regione. Lega contro le nuove aree industriali. Troppo brutte? No, troppi immigrati Ogni mito, si sa, prima o poi è destinato a cadere. Sta succedendo anche a quello del Nordest. Anzi Ilvo Diamanti nel suo ultimo studio parla già di post-nordest. In questo nuovo scenario che va delineandosi trova posto anche la legge urbanistica recentemente approvata dal Consiglio regionale. Nell’interminabile dibattito che ha preceduto il varo di questo pasticciato testo che scontenta un po’ tutti si è parlato molto di capannoni industriali. Bloccarli o no? Per la prima soluzione si è subito schierata la

Lega Nord che ha visto in questa scelta un esempio di “devolution” applicata e di uso responsabile e razionale del territorio. Non solo, la Lega ha perfino invocato criteri estetici perché, è innegabile, i capannoni sono brutti. Ma c’era anche un motivo inconfessabile: meno capannoni nella pianura veneta vuol dire meno operai e quindi immigrati. Tanto le imprese venete continuano a produrre. A Timisoara. E qui entra in ballo la famosa “delocalizzazione”. Alla Lega va bene. Il senatore Giuseppe Covre, il meno trucido tra i leghisti

veneti, il 2 settembre dello scorso ha scritto sul Mattino di Padova: “Un operaio rumeno che lavora a casa sua non è un emigrante. Sta meglio lui e ci sono meno problemi per noi di inserimento”. Più chiaro di così. Gli imprenditori veneti sul blocco dei capannoni hanno, invece, storto il naso. Sarebbe però opportuno che spiegassero perché è sempre più frequente vedere zone industriali con capannoni con la scritta affittasi o vendesi. (abc)

più o meno velenose nei confronti del deputato si sono accavallate a più riprese. Voci che dipingono una Trupia poco impegnata sul territorio e soprattutto poco impegnata a sostenere la battaglia dei consiglieri diessini negli scontri che contano. E il campionario delle voci di corridoio è vario. Come mai la Trupia si mosse due anni fa a sostegno dei centri sociali quando le tute bianche occuparono l'ex Lanerossi, mentre ora per il caso dell'Albera non ha nemmeno redatto una nota ufficiale indirizzata ai media? Dove era la Trupia quando scoppiò il caso delle molestie a palazzo? Come mai da donna e da deputato non si attivò con quella raffica di interrogazioni parlamentari in direzione della procura, che sul caso Baldinato certo non brilla quanto a celerità nelle indagini? Come mai non si sono fatti fuoco e fiamme quando Carla Marcolin è divenuta direttrice del personale o quando è stato approvato il Pp4-Pomari? Dov'era la Trupia (ma non va dimenticato l'onorevole Mauro Fabris dell'Udeur) quando in sala Bernarda la Cdl sembrava minacciare i consiglieri pur di far approvare il piano Cotorossi? E cosa sta succedendo nel contezioso che vede la Cgil opposta ai vertici dell'Ipab per l'aumento degli stipendi dei lavoratori? Come mai la parlamentare non ha alzato la voce contro il presidente dell'istituto (e suo grande amico) Gerardo Meridio? Frizioni che comunque sembrano attenuarsi perché dalle alte sfere del partito è arrivato l'invito a serrare i ranghi in vista del voto. Marco Milioni

cronaca

vicenzaabc

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“Benvoluti allo stesso modo da sciiti e sunniti purché ci si presenti in pace”

LOTTA SENZA QUARTIERE

Basta armi in Iraq Paolo Nicoli, volontario vicentino a Bagdad con la Croce Rossa: la popolazione ci rispetta, ma non ne può più di cannoni e fucili Da sette anni Paolo Nicoli è ispettore regionale dei volontari del soccorso. Originario di Barbarano Vicentino, risiede a Verona dove svolge le funzioni di ispettore di vigilanza dell’Unità Sanitaria. Per esercitare la sua attività presso la Croce Rossa Italiana, dedica tutto il suo tempo libero. “Quando un bambino arrivato da me spaventato e piangente, mi ha sorriso dopo che l’avevo curato, ho ricevuto il premio più grande per la mia attività”. Domenica scorsa a Bassano Nicoli ha coordinato un’assemblea a cui hanno preso parte i responsabili dei gruppi degli 8782 volontari del Veneto. Ma fino a pochi giorni fa è stato a Bagdad, nel pieno della “guerra, non guerra” dell’Iraq. Con lui questa chiacchierata sulla situazione. Cosa faceva a Bagdad? “Ho lavorato per due mesi all’Ospedale italiano della Croce Rossa, ubicato presso il Medical City di Bagdad. In questo grande centro ospedaliero usufruivamo al piano terra di una sala operatoria, di un pronto soccorso, dei gabinetti diagnostici. Inoltre al settimo piano avevamo a disposizione un reparto con quindici letti dove c’erano i casi di ustioni più gravi. Questi casi hanno opportunità di sopravvivenza molto basse e noi siamo stati gli unici ad occuparcene.” Qual è l’atteggiamento degli iracheni nei vostri confronti?

Eravamo sicuramente benvoluti dalla popolazione civile, sia dagli sciiti che dai sunniti. Abbiamo ricevuto encomi e attestati pubblici dagli stessi mullah iracheni. C’è una netta distinzione negli atteggiamenti che la popolazione ha nei confronti di quelle persone che si presentano senza armi e con i segni della croce rossa o delle altre organizzazioni di volontariato. La popolazione, invece, teme molto tutti coloro i quali si presentano armati. Sia che le armi siano di difesa che di offesa.” È possibile raggiungere in tempi brevi un livello di sicurezza accettabile?

“I poliziotti iracheni sono esponenti del passato regime e spesso sono attaccati da bande armate. Il governo provvisorio ha funzioni molto limitate e non è considerato molto credibile. Parlando con i medici o gli infermieri iracheni, si capisce che hanno una grande necessità di democrazia e autonomia. Molti di loro vedono gli americani come occupanti e si augurano che se ne vadano presto. Dichiarano di preferire l’autodeterminazione anche se sanno che i risultati della vera democrazia potranno goderli i loro nipoti, forse nemmeno i loro figli”. Com’è la situazione della sanità locale?

“Non ci sono risorse anche perché il problema delle medicine dopo anni di guerra e d’embargo imposto all’Iraq è gravissimo. Non potendo sprecare alcun medicinale, negli ospedali iracheni si stabilisce di non seguire quei casi dove la possibilità di sopravvivenza è minima!”. Quali i maggiori danni provocati dalla guerra alla popolazione di Bagdad? “Le ustioni. Anche se molte sono provocate da fatti accidentali. Ad esempio ci sono molti bambini che nelle situazioni di precarietà finiscono con il rovesciarsi addosso la pentola per il tè che gli iracheni consumano spesso e che, quindi, è perennemente accesa sotto improvvisati fornelli a benzina.” E le altre cause? “È molto difficile capire se le ustioni siano dovute a fatti connessi con la guerra. Negli altri reparti dell’ospedale c’erano moltissime persone moribonde con ferite d’armi da fuoco: lì era evidente la causa.” Com’è la situazione dei civili a Bagdad? “Nella città prima della guerra c’erano sei milioni di persone. Oggi, secondo i censimenti fatti dagli americani, ce ne sono nove milioni. Gli abitanti in più sono sfollati dai piccoli centri semidistrutti. Queste persone vivono in condizioni obiettivamente molto difficili, non hanno casa, non hanno lavoro, dipendono in tutto e per tutto dagli aiuti internazionali. Federico Formisano

“La soluzione per la pace esiste: una forza di caschi blu musulmani”

Se l’Onu parla arabo “Fare la guerra è facile, il difficile è gestire “il dopo”. Parole di Giorgio Muraro, 48 anni, insegnante di Geografia Economica, che come volontario di “Un ponte per Bagdad” conobbe per la prima volta l’Iraq nel ’94. Oggi confronta quella situazione con l’attuale. “Quando ci fu la Guerra del Golfo, gli americani si fermarono quasi inspiegabilmente – dice perché forse compresero che sarebbe stato più facile controllare il Paese con l’embargo, ponendolo in una situazione di

dipendenza.” “Adesso – prosegue – l’America di Bush si è mossa come reazione all’11 settembre senza analizzare a fondo quello che avrebbe trovato, non si sono considerate le conseguenze. In primo luogo andrebbe indagata con oculatezza questa recrudescenza di gruppi dell’integralismo islamico, che è un fattore che non appartiene alla storia dell’Iraq, che è di laicità per la molteplicità etnica e religiosa presente sul territorio, dove convivono sciiti, sunniti, cristiani caldei…Il grande

seguito di questi gruppi islamici e le disponibilità di mezzi vengono costruiti anche attraverso forme di solidarietà che ad esempio passano attraverso le moschee, quindi bisogna seguire anche questa pista per comprendere la loro crescita”. Quali vie percorribili ora? “Sul da farsi risulta troppo semplicistico appellarsi ad un intervento dell’Onu, la situazione ora è difficile perché anche tra la popolazione si è radicalizzata l’idea del nemico occidentale,

comunque, vedrei una possibilità nel ritiro delle forze occidentali e la creazione di una forza di interposizione con caschi blu dei paesi musulmani. Naturalmente accanto a ciò dovrebbe proseguire una seria azione di aiuti umanitari, completamente staccata dal discorso militare, sono d’accordo con Gino Strada quando afferma che la guerra umanitaria è priva di senso e che gli aiuti umanitari non possono essere veicolati con le armi!”. Milena Nebbia

Intanto ad Anconetta si sfida antenna selvaggia

Chi ha paura delle badanti? Il centro caccia lo straniero Chi ha paura delle badanti? I vicentini. O almeno così racconta il consigliere Maurizio Cucchiara (Ds) della Circoscrizione uno (Centro storico). Queste signore del “lontano” est solevano ritrovarsi la domenica presso Campo Marzio. Un comitato di abitanti di piazzale Bologna, tuttavia, ha gridato allo scandalo per un presunto traffico di merce clandestina. Insomma, lo scambio di cibo o bevande provenienti dai paesi d’origine delle badanti è stato visto come qualcosa di sospetto. Detto fatto. L’assessore Cicero (An) ha dato il via alla sistemazione di piazzale Bologna spostando il ritrovo delle signore nei pressi della dogana. Problema: la maggior parte delle badanti proviene da fuori Vicenza e usufruisce di pulmini organizzati per recarsi al consueto incontro domenicale. Al posto dei pulmini è stato istituito un autobus che, inizialmente gratuito, è poi diventato a pagamento. Inoltre, il servizio termina alle due, ora in cui generalmente le signore, cogliendo l’occasione dell’agognato riposo domenicale, pranzavano insieme. La circoscrizione ha così sollevato il problema per trovare un luogo vicino alla stazione ferroviaria. Giovedì 22 avrà luogo un incontro per trovare una posizione unitaria sull’argomento.

Su le antenne cittadini Si parla molto di problemi ambientali, ma si fa poco per risolverli. Anche quando il problema è sotto casa. La Circoscrizione sei (Villaggio del Sole, Pomari...)si trova a dover far fronte a tre casi di particolare urgenza: la rotatoria dell’Albera, l’ex area Zambon e il problema dell’inquinamento elettro-magnetico. Le pessime condizioni di chi vive nei dintorni

dell’Albera sono note. Il consigliere Andrea Tapparo (Ds) sta cercando di collaborare con i cittadini ( sia a livello di comitati, sia di piazza) per risolvere al più presto la situazione. Anche perché le proposte immediatamente attuabili per migliorare la viabilità ci sono: una legge del ’93 assicura finanziamenti per deviare i mezzi pesanti. Il secondo fronte su cui si lavora è l’area in cui si trovava la Zambon. E’ stata accertata la fuoriuscita di solventi organici da questo terreno. Terreno venduto per la costruzione di condomini. “L’amministrazione sta tergiversando – sostiene Tapparo – ma se è accertato il colpevole (ossia l’ex proprietaria Zambon) è urgente procedere ad una bonifica.” All’amministrazione manca inoltre un piano di dislocazione di ripetitori di telefonia mobile. Che siano dannosi o meno, il problema più urgente è la loro limitazione. Attualmente non c’è alcuna regolamentazione in merito. E’ questo un problema che accomuna anche la Circoscrizione quattro (Anconetta, Ospedaletto...) che con Luca Balzi, capo gruppo DS, ha proposto l’istituzione di una Commissione speciale a termine sul tema per poter dare risposte precise ai cittadini. Lunedì 19 si è votato a favore e il 4 Maggio, se tutto va bene, dovrebbe esserci l’approvazione definitiva con l’immediata attuazione della commissione per la durata di sei mesi. Un vero e proprio colpaccio: sarebbe la prima volta che una commissione, votata dagli stessi quartieri, avrebbe la possibilità di dare un parere importante su un problema troppo spesso trascurato, se non addirittura boicottato. Un bel segnale anche per tutto il resto della città. Sara Sandorfi

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All’indomani del convegno voluto dall’assessore Cicero per spingere la Tav a V

La grande bugia dell Primo: i soldi necessari non ci sono né ci saranno mai. Secondo: il territorio non può reggere l’impatto col supertreno. Ecco perchè il faraonico progetto è destinato a fallire. Cos’è

Le ragioni del sì

Le ragioni del no

• Tav significa Treno ad alta velocità. Studiato per trasportare passeggeri, peretterebbe di percorrere le tratte in meno tempo. • Tac significa treno ad alta capacità. Servirebbe a trasportare merci. Convivrebbero nella stessa linea.

• è necessario diminuire la quantità di merci trasportate su camion. • la rete viaria è ormai completamente congestionata. • lo sviluppo ha bisogno di velocità • per essere competitivi bisogna innovare anche le infrastrutture.

• ha un costo esorbitante. • la rotaia non basterà, bisognerà asfaltare lo stesso. • i tempi di realizzazione sono comunque lunghissimi. • i rischi di fare un buco nell’acqua sono molto alti.

Sull’ormai celebre (se ne parla dal lontano1990) TAV (Treno ad Alta Velocità) o TAC (Treno ad Alta Capacità, e la distinzione, come vedremo, è questione fondamentale) si gioca una fetta importante del futuro sviluppo del nord Italia e del Nord est in particolare. Su questo sono (quasi) tutti d’accordo. O almeno lo sono tutti coloro che lunedì 19 aprile hanno partecipato alla mega kermesse sul tema organizzata dall’assessore Cicero al Centro Congressi dell’Hotel Viest. Presenti, tra gli altri, il Presidente del Comitato Transpadana Innocenzo Cipolletta, Stefano Parisi Direttore Generale Confindustria, Riccardo Illy Governatore del Friuli e, dulcis in fundo, il Ministro dei Trasporti Pietro Lunardi. Tutti d’accordo, dicevamo, con parecchi distinguo e preoccupazioni più o meno sotterranee.

Tutti sottoterra Sciolto il nodo di Vicenza che aveva bloccato per lungo tempo la questione della tratta Verona-Padova (la linea, per buona parte, sarà interrata – con grande soddisfazione del Ministro Lunardi che, come noto, di tunnel se ne intende avendo moglie e figlie saldamente in mano la Rocksoil, società leader nell’ingegneria civile per la progettazione delle gallerie), la novità sta nel fatto che finalmente sono disponibili le date (del tutto presunte) in cui le varie tratte dovrebbero essere completate. La Verona-Padova si dà per buona nel 2011. Anche se il progetto del tunnel è solo in fase di stesura da parte di Rfi (Rete Ferroviaria Italiana, società per la gestione delle infrastrutture di proprietà del Gruppo Fs) che dovrà presentarlo al Cipe (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) per l’approvazione.



14 anni di inutili tavole rotonde Innocenzo Cipolletta

copresidente Transpadana

Vero è, come ha confermato l’assessore della Regione Veneto Renato Chisso, che la Regione ha già dato il

suo assenso tramite apposita deliberazione. La corsa contro il tempo, con la definizione di queste date più o meno teoriche, viene dalla paura di essere scavalcati (in realtà si sta già lavorando solo sul tratto Torino-Novara e qualcosa sulla Padova-Venezia. Per un totale – ha detto Cipolletta – di soli 100 km di lavori in corso rispetto agli 800 necessari). Da due concorrenti, addirittura.

Sfide dal nord A nord troviamo infatti il parallelo progetto francotedesco (che, passando a Nord delle Alpi, congiungerebbe Parigi, Berlino, Budapest e Kiev). O anche dal corridoio 10: Monaco-Salisburgo-Vienna-LubianaZagabria-Belgrado-Salonicco che potrebbe essere pronto quattro anni prima della Transpadana (così si definisce la parte italiana del corridoio 5). E allora, l’aver mantenuto l’opera nella quick start list (opere prioritarie da finanziare subito) della UE potrebbe non essere sufficiente. Visto che – ha ribadito Cipolletta – “da 14 anni facciamo tavole rotonde, ma io di terra smossa ne ho vista ancora poca”.



Abbiamo un contributo UE del 20% Pietro Lunardi

ministro Trasporti

Al di là della date e della cronica litigiosità italica che frena e impedisce lo sviluppo del progetto, i veri nodi (emersi più o meno velatamente tra le righe dei vari interventi) sono altri. Almeno due. Il principale: non ci sono i soldi per questo progetto davvero faraonico. In secondo luogo (ma in realtà in strettissima connessione con il primo): se il progetto sarà più TAC o TAV. E non è questione di una semplice lettera, ma di un modello di sviluppo radicalmente diver-

Naturalmente si punta (come sempre casi) su fantomatici investimenti di alt “privati”.

so per il futuro.

Il ballo delle cifre Vediamo nel dettaglio la prima questione. Il ministro Lunardi, nel suo intervento a chiusura del convegno, si è lanciato in affermazioni buone per la campagna elettorale in corso. A dar ascolto al suo balletto di cifre sembrerebbe che i soldi siano stati già stanziati, se non del tutto, almeno in larga parte. Peccato che ciò a cui fa riferimento il ministro siano, per lo più, soldi compresi in vari DPEF (Documenti di Programmazione Finanziaria ed Economica). Insomma, più che moneta sonante, tante belle intenzioni. Con anche la (gustosa) variabile del contributo UE a fondo perduto.



Il contributo dell’Unione non supera Paolo Costa il 10% CommissioneTrasporti

Secondo il presidente della Commissione Trasporti nonché sindaco di Venezia, Paolo Costa (collegato in video da Bruxelles) tale contributo non sarà superiore al 10 per cento salvo diventare, solo pochi minuti più tardi nell’intervento di Lunardi, “intorno al 20 per cento”. In realtà, per un progetto che costerà (in sede di previsione) 30,3 miliardi di euro, una tale differenza percentuale significa milioni e milioni di euro. Che saranno stanziati o forse no. Quel 20 per cento sbandierato da Lunardi come dato certo, si riferisce a una richiesta stilata da alcuni amministratori provinciali e comunali da presentare a governo e UE. Come dire: ancora una volta, nulla più che una bella intenzione.

Soldi zero, no idee Ma non finisce qui. Smentendo per tutto il pomeriggio la sicumera preelettorale del ministro, la preoccupazione per il problema del reperimento dei fondi è emersa in quasi tutti gli interventi, anche i più entusiastici. Il governo, al momento, non ne ha.



Dall’85 finanziamenti pubblici crollati Stefano

Direttore

Ma Parisi di Confindustria di soldi, pi ne, ne ha chiesti. Ricordando che dall menti pubblici sono crollati e focalizza vento sulla necessità di coinvolgere i p gestione della logistica intorno alla gra “Perché”, ha spiegato, “molte banche puntano sulla nostra logistica come po investimento e sviluppo”. Dunque, ne spettato da Parisi, i soldi dovrebbero a ste grandi banche estere. Vedremo.

Ingrata Sloven

A ciò si aggiunga che i miliardi di eur reperire solo per noi ma anche, ha rico Slovenia che va “aiutata” nel mettere di sua competenza (Trieste-Lubiana-B Lubiana ha dichiarato senza mezzi ter 2010 i soldi parte non ci problema è u veni si sono ti tiepidini ne Transpadana smo lo conse il corridoio 1 Lubiana-Salo Insomma, se vogliamo la collaborazio (essenziale per Trieste e il Friuli tutto) re. Infine, una delle soluzioni più cont te in almeno un paio di interventi): a p Transpadana saranno (anche) gli auto attraverso un adeguamento delle tariff Cosa che ha già sollevato la reazione i diretti interessati (si veda l’intervista q sintesi: tutti vogliono la Transapadana sono, nessuno li vuole tirar fuori. In r meno, pura fantasia.

Da Grumolo a Grisignano il no del Vicentino. “Non siamo contro l’Alta velocità ma così crea soltanto problemi”

I sindaci: “Tav più dannoso del ponte sullo Stretto di Messina” Contro il progetto, giudicato uno scandalo dal punto di vista dell’impatto ambientale, sono sempre compatti i sindaci dei comuni vicentini interessati dalla tratta ferroviaria. “Nella migliore delle ipotesi, il progetto sarà completato tra oltre dieci anni. Al di là dei legittimi dubbi sull’impatto ambientale ed economico che quest’opera-monstre avrà sulla vita di tutti i cittadini delle aree coinvolte, non c’è nulla oltre uno schizzo di massima. Non ci sono nemmeno i fondi. Come possiamo organizzare le nostre zone urbane? Da Stato e Regione arrivano segnali contraddittori”. Spenti i riflettori dell’incontro in stile Hollywood all’hotel Viest, un’altra piccola conferenza si è tenuta in un

bar in centro a Vicenza. Al posto del buffet a cinque stelle di Cicero solo quattro caffè e un’acqua minerale. Ma la sostanza delle parole non è mancata. Erasmo Venosi, Maria Luisa Teso e Mirco Bolis, rappresentanti della conferenza permanente dei sindaci dell’area berica sul TAV, non portano belle parole ma numeri e fatti. Come uno studio promosso dalla Cattolica e dal Politecnico di Milano dove, dati alla mano, risulta che il rapporto tra costi e benefici totali della maxi-opera determinerà un danno ai cittadini quantificabile in 2,76 miliardi di euro. Quasi il doppio rispetto alla perdita causata dall’ipotetica realizzazione del ponte sullo stretto di Messina. “In pratica –

afferma Veloso – questo studio calcola il valore di tempo, energia spesa e impatto ambientale. Risultato? Solo due grandi opere sulle sette proposte dalla legge obiettivo sono promosse”. Ma non è l’unica prova che il comitato porta in esame. La Corte dei Conti denuncia la mancanza di finanziamenti. A tutt’oggi solo una piccola parte dei fondi richiesti sono stati trovati per la tratta Verona-Padova mentre le tratte Milano-Verona e Milano-Genova sono ancora scoperte. Anche analizzando il volume degli investimenti pubblici previsti dalle delibere Cipe i conti non tornano. “Sembra che il progetto non consideri l’effettiva portata dell’interscambio commerciale in Europa – interviene

Bolis – i dati Istat a proposito sono chiari. Il traffico al sud delle Alpi non è così irrilevante da giustificare un investimento di questo genere.” Certo, lo scopo di questa nuova via è di moltiplicare la portata di merce trasportata. L’intero progetto, inoltre, deve essere visto nel suo insieme, nel suo carattere internazionale. “Ma è proprio qui il problema – s’infiamma Maria Luisa Teso – l’intero progetto è frammentato in molte tratte che verranno realizzate alla chetichella. E oltre l’Italia? Più si va verso est e più i contorni del progetto diventano meno nitidi. La Slovenia è stata chiara: prima del 2010 i soldi non li avrà per completare la sua parte. E se manca anche solo un pezzo tutto il

progetto sarà fortemente compromesso”. Alla questione sono decisamente attenti Teso e Bolis, rispettivamente sindaci di Grumolo e Arzignano: “Non siamo contro l’alta velocità ma contro la mancanza di informazioni e decisioni. Siamo disposti a eventuali disagi se ci sarà il rispetto del territorio ed un effettivo vantaggio dell’operazione. Ma il tracciato dovrebbe passare all’interno dei nostri comuni e ancora non sappiamo come si svilupperà nel dettaglio e, soprattutto, come interagirà con il sistema di infrastrutture esistente. Come possiamo progettare il futuro del nostro territorio? Per noi è un problema di oggi, non di domani”. Ilario Toniello

la nostra inchiesta

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Vicenza, emerge la realtà: il faraonico progetto è ancora una grande incompiuta

l’alta velocità

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Parisi e Confindustria

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Il tratto italiano del supertreno e le date (presunte) del completamento dei vari tratti. Nel nostro territorio i lavori dovrebbero concludersi tra 7 anni. Ma nessuno ci crede Nelle foto, da sinistra a destra: Innocenzo Cipolletta, Pietro Lunardi, Paolo Costa, Riccardo Illy, Mercedes Bresso.

Veloci o capienti? Seconda questione. TAV o soprattutto TAC? Perché la differenza non è poca. Uno sviluppo incentrato per lo più sul trasporto passeggeri depotenzierebbe, se non del tutto almeno di molto, l’impatto progettuale dell’opera. Va bene: impiegare pochissimo tempo per percorrere il tratto da Torino a Venezia sarebbe forse utile per qualche manager. Ma poi? E soprattutto, chi mai prenderebbe il treno (e non l’aereo) per andare da Lione a Budapest (per non parlare dell’intero tratto ipotizzato: Lisbona-Kiev) una volta completato il corridoio? Ovviamente nessuno. Infatti il TAV è solo una conseguenza. L’obiettivo è molto più ambizioso: il cosiddetto “riequilibrio modale” ovvero, ribaltare la modalità di trasporto delle merci che oggi, almeno per l’Italia, gravita quasi tutto su gomma (congestionando le nostre fragili infrastrutture), mentre nel futuro dovrebbe essere massimamente indirizzato verso la rotaia garantita dalla TAC.



Rischiamo di costruire cattedrali nel Mercedes Bressa deserto Pres. Provincia Torino

realmente efficace, dinamica, complessa. Di fatto, riorganizzando radicalmente il territorio intorno ai vari nodi. Lo ha detto, senza mezzi termini, la presidente della Provincia di Torino Mercedes Bressa. Altrimenti il rischio sarebbe quello di costruire vere e proprie “cattedrali nel deserto”.

L’incubo viabilità Tanto per fare un esempio banale: le merci arrivano velocemente (anche se a costi ancora tutti da definire) da Lione a Venezia per poi bloccarsi nell’imbuto della tangenziale di Mestre. A che servirebbe? Il rischio è che, alla fine, per un’azienda sia più conveniente servirsi ancora delle strade nonostante il TAC. Infatti da più parti è arrivato l’appello per una programmazione infrastrutturale assolutamente integrata. Ma riprogrammare la rete viaria (e urbana) intorno al TAC è questione tutt’altro che semplice, soprattutto per un territorio già disastrato e intasato come quello del Nordest.



I costi reali saranno più alti del 45% Studio statistico

Università di Aalborg

Riccardo Illy, presidente del Friuli, su questo è stato chiarissimo: “Anche chi si oppone all’opera per paura dell’impatto ambientale, chiede – per altro verso – che siano potenziate le infrastrutture che attualmente non riescono più a sostenere il volume di traffico. Ma cosa è di maggiore impatto? Una tratta ferroviaria o autostrade a tre/quattro corsie?”. Secondo Illy, a parità di merci trasportate, l’asfalto da far colare per tutto il nord Italia sarebbe molto di più. Dunque, anche dal punto di vista ambientale, la questione non si porrebbe (assunto il dato che così non si può più – davvero – andare avanti). Solo che il problema, a questo punto, diventa un altro. Per rendere economicamente conveniente il trasporto delle merci su rotaia bisogna costruire intorno ai vari nodi del sistema una rete infrastrutturale

Oltre a ciò si aggiunga che per farlo sarà necessaria un’ulteriore valanga di finanziamenti. Se teniamo conto che secondo uno studio di tre docenti e ricercatori dell'università danese di Aalborg, le grandi infrastrutture, sulla carta, costano sempre troppo poco (statistiche alla mano, nel settore ferroviario i costi si rivelano essere, in media, del 45% più elevati che nelle previsioni. Così per i ponti e i tunnel la percentuale è del 34%, mentre scende al 20% per le strade), è chiaro che i 30,3 miliardi di euro ipotizzati sono una cifra, se non irrisoria, quantomeno del tutto insufficiente. Con buona pace delle certezze del ministro Lunardi che, comunque vada, difficilmente vedrà portare a compimento (fine della corsa prevista per l’intero progetto: 2015) dalla sedia che attualmente occupa, il frutto “dello straordinario lavoro di questo governo, non più trainato, ma trainante nello scenario europeo”, dimenticando forse che i conti (quelli veri) si fanno soprattutto alla fine. Davide Lombardi

Lunardi: pagano i camion I trasportatori: “Follie” “Siamo già sfavoriti dalla Slovenia” Danilo Vendrame presiede la Confartigiani Trasporti del Veneto. Sull’ipotesi di aumentare le tariffe del trasporto su gomma per contribuire al finanziamento della TAC non ci sente proprio. Da più parti emerge che gli autotrasportatori dovranno dare un contributo importante alla realizzazione del progetto. “Una boutade alla quale sicuramente reagiremo. Siamo d’accordo: la modalità di trasporto su gomma è di gran lunga preponderante. Ma limitarsi a urlare ai quattro venti che oggi c’è uno squilibrio modale non basta. La situazione di impasse è sotto gli occhi di tutti, ma le arterie intasate sono un problema anche per noi, non solo per i cittadini automobilisti. Non dimentichiamo inoltre che, se oggi viviamo in una fase di benessere e di sviluppo, molto lo si deve a noi, al nostro impegno, al nostro lavoro. I governi, finora, cos’hanno fatto per migliorare il sistema infrastrutturale e di conseguenza il benessere collettivo?” Dunque non pagate. “A pagar di tasca nostra non ci stiamo. Anche perché non abbiamo le risorse.” Neppure voi? “Senta, dal primo maggio, con l’entrata di Lubiana nella UE, gli sloveni potranno fare cabotaggio terrestre esonerati da qualsiasi restrizione quantitativa di accesso al mercato. Ora, secondo uno studio effettuato dall’Istituto Superiore dei Trasporti dell’Università di Trieste, già oggi il costo di un autotrasportatatore sloveno è di 1.600 vecchie lire al km. Per un italiano è esattamente il doppio: 3.200. E’ chiaro che ben presto il regime di concorrenza per i nostri affiliati sarà ancora superiore. Forse insostenibile. Mi si spieghi come faremo a ridurre ulteriormente i costi per restare competitivi sul mercato. E con tutto questo si vuole far gravare sulle nostre spalle i costi dell’operazione TAC? Ma per favore….” Mica solo sulle vostre spalle. Anche su di esse. “Ah sì? Perché lei crede che le aziende pagheranno? Cioè che il costo dell’impresa verrà caricato direttamente sulle merci? Ma figuriamoci. Ci diranno semplicemente: questo è il carico, se lo volete, dovete contenere i costi sotto un dato livello.” Altrimenti? “Altrimenti vorrà dire che, in attesa della TAV, se mai sarà, il sistema del trasporto delle merci lo affideremo agli autotrasportatori dell’est. Alla faccia delle nuove opportunità…” d.l.

Franzina: una soluzione con più punti di domanda “La linea da sola non può bastare” Maurizio Franzina, assessore comunale vicentino. Anche lei è d’accordo sul TAV? La carenza infrastrutturale del nostro paese e del Nordest ormai è cronico. L’attuale rete viaria risale più o meno agli anni ’70. E’ chiaro che bisogna porre rimedio ad una situazione ormai insostenibile. Almeno se vogliamo mantenere il nostro paese ad un livello europeo. E se vogliamo evitare che le nostre aziende si delocalizzino. L’assenza di infrastrutture crea un imbuto allo sviluppo bloccando il processo di scambio delle merci. Credo che questo sia uno (certo non il solo) dei motivi per cui molte aziende finiscono per spostare la produzione altrove. Il problema non nasce certo adesso. Vero. Ma trovo molto positivo che, finalmente, a questo progetto siano state messe delle date. È un passo avanti. Il fine ultimo è quello di trasferire su rotaia buona parte della quota merci che oggi gravita sul trasporto su gomma. Occorre decongestionare. Diversificare. E’ chiaro però che per realizzare un progetto così ambizioso non basta la linea ad alta velocità. E’ necessario riorganizzare tutta la rete infrastrutturale che graviterà intorno ai vari nodi del TAC. Insomma: appena il treno arriva in stazione deve avere un’organizzazione tale che le merci possano essere smistate rapidamente. Si dovranno creare dei centri intermodali efficienti in grado di ottimizzare la gestione dello scambio tra le varie modalità di trasporto. Non c’è che dire: un bel sommovimento per il territorio. Inutile negare che ci sarà un certo costo sociale per questa operazione. Ma credo che comunque, una volta portata a compimento l’operazione, recupereremo da un’altra parte. Non crede? Credo. Ma a parte i costi sociali, ci sono anche quelli economici. Chi pagherà per questo progetto faraonico? Mah. Chi vuole che paghi: il Governo. Lo Stato. d.l.

città e persone

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Dibattito. Palazzo Albanese in contrà Porti: nuovo Palladio o bruttura?

Era ora: presa a schiaffi la dannata “vicentinità” “Finalmente un’operazione importante in centro storico” di Alberto Braghin* Sull’ultimo numero di Vicenza Abc ho trovato l’annuncio del completamento dei lavori nell’area di palazzo Festa “dopo 11 anni di di lavori e di polemiche bollenti”. Questo riferimento all’operazione immobiliare e alle relative polemiche mi ha suggerito alcune riflessioni sulla “vicentinità”, mitico termine d’uso pressoché quotidiano nella città di Vicenza. La “vicentinità” nei suoi cultori e sostenitori ha sempre voluto suggerire un quid di “valore aggiunto” a qualunque tipo di fatto fosse riferito. Le qualità antropologico-culturali dell’ homo vicentinus – ovviamente intese come eccezionali –attribuirebbero di per sé un valore particolare a quanto elaborato e/o messo in atto a Vicenza. In realtà a guardare la storia e non la mitologia della città ci si accorge che il riferimento alla “vicentinità” è sempre stato l’alibi dei conservatori di tutte le parrocchie per coprire la realtà corposa del loro rifiuto a priori del nuovo. Questo mi pare sia stato particolarmente vero soprattutto nel campo della gestione del territorio e quindi della politica urbanistica della città nel dopoguerra. In questo ambito – tra l’altro – non ci sono state soluzioni di continuità tra i sessanta anni di democristianesimo reale e l’attuale gestione forzitaliota. In realtà è tutta l’Italia del dopoguerra che –non potendo praticare anche in questo campo impossibili scelte “centriste” non ha mai voluto darsi una legislazione moderna per la gestione del territorio. A Vicenza all’ignavia legislativa nazionale si sono purtroppo aggiunte robuste dosi di “vicentinità”. Cito a caso alcuni episodi clamorosi di questo modo di procedere nel campo dell’urbanistica. Alla base di tutto c’è un PRG nato vecchio perché basato esclusivamente sulla “zonizzazione” mentre rifuggiva da qualunque volontà di dare una forma alla città nel suo complesso (eventuali scelte forti relative al disegno della città non avrebbero infatti potuto essere considerate compatibili con la “vicentinità”). Non sembrando sufficiente il risultato di una città ingessata a tempo indeterminato entro anguste e rigide previsioni urbanistiche, i fautori della “vicentinità” si sono successivamente

foto Pedon

dedicati con continuità alla politica del lasciar marcire i problemi urbanisticamente più rilevanti. Questo permetteva di portare avanti estenuanti ed oziose diatribe (suggerendo però l’idea di una eccezionale dialettica democratica) fino al momento di far uscire dal cappello una soluzione scadente (ma caldeggiata nei posti giusti) che non poteva più essere rifiutata se non da parte dei soliti, eterni inconcludenti. L’episodio più clamoroso di questo modo di agire mi pare sia quello relativo all’ampliamento dell’ospedale. Lo sviluppo accanto al vecchio San Bortolo entro l’ambito del centro antico era urbanisticamente demenziale, ma purtroppo era una soluzione perfetta per i fautori della “vicentinità” (analogo discorso potrebbe essere fatto per lo stadio Menti, per la sede degli Industriali in piazza Giusti – bocciata perfino da un noto critico prêt-à-parler - e per lo spostamento del Tribunale). La vicenda del teatro in costruzione nelle aree dismesse di via Mazzini è un altro caso di “vicentinità” in azione. Dopo lustri durante i quali nessuna Amministrazione ha avuto il coraggio di inserire queste aree in modo “polarizzante” nel ridisegno della città attraverso un PRG moderno, ora a qualcuno è venuta la brillante idea di chiudere il “ buco” con il teatro: ma tutto rigorosamente al di fuori di una idea e un progetto complessivo di città. Non per nulla tutto questo non risulta partito dal professor Crocioni, anche se si tratta del professionista incaricato di disegnare il futuro urbanistico di Vicenza. Mi pare anzi che il proget-

to di Crocioni – da quel che se ne sa poco attento alla “vicentinità” - sia ormai da iscrivere tra i desaparecidos d’Italia. Mentre succedevano queste e altre faccende urbanistiche poco edificanti la “vicentinità” si è anche espressa attraverso alcune figure con ruoli particolari, peraltro sempre finalizzati all’immobilismo operativo. Da un lato c’è stato l’aedo e il sostenitore della “buona architettura perduta” (anche se di solito poco preparato nel campo dell’urbanistica), che ha portato argomenti – in genere di tipo estetizzante – sul tipo dell’ adelante Pedro… già così caratteristico dei vicentini. Dall’altro ci sono state le vestali del “Centro Storico violato” per le quali sembra che il fatto stesso di intervenire nel centro antico sia un tabù inviolabile e che di fatto hanno spesso favorito il piccolo cabotaggio al limite della legalità.

In modo speculare a queste Cassandre fautrici dell’immobilismo hanno naturalmente operato personaggi pratici, disposti a “sporcarsi le mani” per conto proprio o per conto terzi. Con queste persone il cerchio della “vicentinità” si chiude: non importa che la latitanza di una pianificazione urbanistica degna del nome abbia impedito alla Vicenza del duemila di avere una forma complessiva degna del centro antico, quello che conta è di aver potuto costruire e di aver potuto fare il business, magari solo nelle aree periferiche e talvolta con operazioni non del tutto corrette rispetto alla normativa di Piano . La mia conclusione sulla querelle di palazzo Festa a questo punto non può essere che una: sono contento che a Vicenza sia finalmente riuscita all’interno del centro antico una operazione importante di architettura (e questo a prescindere dalla valutazione sulla qualità del prodotto). Se qualcuno trova da ridire su volumi, altezze o altri dettagli, non vorrei che lo facesse perché– nel nome della “vicentinità” - pretende di “finire” gli edifici palladiani sulla base dei disegni dei Quattro Libri. Sono fermamente convinto che l’urbanistica a Vicenza viva di queste polemiche perché gli strumenti urbanistici sono vecchi e obsoleti mentre la città avrebbe bisogno di idee rivitalizzanti e non di imbalsamatori in servizio permanente. *architetto, vive ad Arcugnano e lavora a Vicenza

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Galan sfida Diamanti: retroscena di un litigio Chi ci perde è il centrodestra E Assindustria si allontana...

Non sarà da grande opinione pubblica. Ma la bella litigata, perché di questo si è trattato, fra Giancarlo Galan, governatore del Veneto, e Giulio Antonacci, direttore del Giornale di Vicenza, merita più che una attenzione. Oggetto del contendere il nuovo Rapporto, l’ottavo, sugli orientamenti della società vicentina. Tutto ben esposto sul quotidiano. Con due personaggi sullo sfondo (o in primo piano?), Ilvo Diamanti, responsabile scientifico del rapporto e primo studioso del fenomeno Nordest, e Massimo Calearo, presidente della associazione industriali che da anni promuove la ricerca. Non mancano divagazioni curiose. I complimenti fra i due contendenti all’apertura della disfida. Il direttore che rende onore a Galan “molto intelligente, pirotecnico, simpatico, il politico giusto per governarci”. Non da meno Galan: “il direttore persona gentile, garbo giornalistico raro”. Con l’aria che cambia quando il governatore passa ai “sociologi alla moda” e alle loro “complesse banalità”. O quando, durissimo, il direttore ricorda “l’antico livore” e “il pregiudizio” (di Galan, s’intende) “nei confronti di Diamanti”. Non eravamo abituati a scambi così rudi, fra personaggi di rilievo, e su un quotidiano che non manca di ufficialità, visto che l’associazione industriali ne è l’azionista di riferimento. Ma proprio qui la storia si fa interessante, e nuova. Una primaria associazione del mondo industriale italiano promuove e dichiara di condividere un rapporto che parla della crisi e della ricerca di un nuovo sviluppo per un postNordest. Perché la domanda diffusa è di “qualità della vita” anche a costo di ridurre

il ritmo della crescita economica. Perché occorrono meno capannoni, più salubrità dell’ambiente, più attenzione al benessere delle persone. Perché le istituzioni non danno più fiducia, perché la politica deve cambiare. Affermazioni pesanti, fatte proprie da un pezzo importante di quel mondo che, da anni, poteva apparire complessivamente appiattito sulle politiche del governo nazionale e regionale. Sulle politiche, dunque, del centrodestra. Qualcosa si muove. Non è un

caso che Galan abbia preso duramente cappello. Non è un caso, forse, che proprio l’Associazione Industriali di Vicenza si sia schierata con la nuova presidenza nazionale nella recente assemblea della confindustria. Sono in gioco i compiti che spettano ad una classe dirigente matura. Capire la complessità di un tempo di straordinari cambiamenti, le carenze strutturali e qualitative dell’attuale sviluppo, la domanda di nuove politiche, di onesto dialogo con tutte le componenti della società. La bella litigata vicentino-veneta comincia a segnare il distacco fra uomini e fra modi diversi di vivere questa stagione. Giorgio Sala

Foto in alto: l’edificio visto da contrà San Biagio. A sinistra: la facciata che dà sul retro di Palazzo Festa. Qui sopra: il governatore Giancarlo Galan

PARACADUTE sorprese dietro l’angolo

il locale mai banale

Una Quercia dov’è sempre ‘68 Una casa di legno e pietra immersa tra i colli, l’odore acre e inebriante dalla cucina. Primizie locali e la semplicità e il calore delle osterie di una volta, ma non solo. Che dire di una sera dedicata al ‘68 con un trio di “reduci” che propongono le canzoni di quegli anni, con una sigaretta in mano e un eskimo a mo’ di totem? Un gustoso happening con un’atmosfera à la Guccini. Anche al di fuori di questi eventi speciali si può capitare in mezzo a letture di poesia, prosa o monologhi teatrali. Per chi ama coltivare il palato e la mente, questa osteria di 20-30 tavoli sarà una felice sorpresa e un sicuro rifugio dal chiasso e dalla banalità. Ad appena una decina di chilometri da Vicenza, imboccando la Riviera Berica all’altezza di Longara, si gira a destra per una via fra vigneti e campi che conduce a Villabalzana di Arcugnano: incastonata tra i Colli Berici si trova l’Osteria alla Quercia In un grande unico piatto di legno vi verranno presentati assortimenti di carni, verdure, salumi e formaggi, in abbinamenti che l’oste vi proporrà secondo i vostri gusti, e che vi

dirà provenire dalle fattorie e dalle cantine dei contadini dei Colli. Qualche assaggio: pollo ruspante, salsicce, asparagi, verze, capussi e formaggi di vacca e di pecora. Il tutto innaffiato da vini berici e preceduto da un primo – pasta e fagioli, bigoli all’arna, risi e bisi e altri ancora – offerto dalla casa. Da provare le torte di propria produzione, semplici e ghiottissime. Sapori della tradizione veneta e vicentina in particolare, si alternano a volte ad appuntamenti speciali dedicati alle cucine etniche di tutto il mondo e a prodotti del mercato equo e solidale, secondo l’idea che la cucina sia uno dei modi migliori per coltivare il gusto della conoscenza. 15-20 euro il menù base (vino incluso) compreso il coperto, 25 con dolce o dessert. Alessio Mannino Osteria alla Quercia Via S. Rocco 25, loc. Villabalzana, Arcugnano (Vi) Telefono: 0444273663 Chiuso martedì Voti: Pietanze: 8 Vini: 8 Servizio: 6e1/2 Prezzo: 7

Incontrare Antonio Carta alla Stamperia d’Arte Busato, circondato dalla moltitudine delle immagini dipinte e incise nel corso di una vita e quasi sopraffatto da esse, sentire raccontare la genesi umana di quei prodotti artistici è un’esperienza arricchente. Lui che questa mostra non l’ha voluta –lascia intendere con un pizzico di civetteria, caricando intenzionalmente il suo personaggio di un un’aria travet- ma quasi subìta dal suo curatore, Claudio Rigon, sensibile e attento ai significati più reconditi del lavoro dell’amico pittore, lui non parla delle proprie opere nei termini di un percorso artistico bensì le utilizza in funzione ermeneutica della propria esistenza. E non c’è ombra di dubbio che per lui l’arte abbia avuto nel corso del tempo il valore forte di un’operazione etica, oltre che estetica, perseguita con un amore per la vita che chiunque, dopo cinque minuti di chiacchiere con lui, gli invidia. Il curioso è che ripercorrere insieme le sue opere in mostra sembra offrirgli l’opportunità di rilevare in alcune di esse ancora qualche aspetto appartato che per qualche motivo rinvigorisce la sua attenzione, forse persino il desiderio e la possibilità di nuovi interventi. Quest’idea di “opera aperta” è chia-

Ottanta incisioni, dipinti e sculture, dalla fine degli anni Cinquanta ad oggi

Venite a vedere l’amore per la vita Una antologica di Antonio Carta alla Stamperia d’Arte Busato rita anche dalla presenza di un paio di pannelli costituiti ciascuno da una serie di piccole immagini dipinte ad acquerello e disposte secondo una sequenza orizzontale, apparentemente casuale ma nello stesso tempo determinata da una associazione di motivi che si ripetono, un loop che mantiene il ritmo mutandone la figurazione. Dice Carta che la striscia di cartone la piegava a fisarmonica, in modo da avere a disposizione solo uno spazio alla volta, per non essere condizionato dalla visione dell’immagine precedente e poter procedere per associazioni libere in tempi brevissimi e senza ripensamenti. A queste “strisce” ha lavorato instancabilmente per quattro anni a partire dal 1979 e poi saltuariamente, fino a tempi recenti, mettendone insieme più di seicento, lavorate a china e acquerello, tecniche veloci per un film autobiografico. Il risultato di questi nastri di immagini è molto intenso perché essi racchiudono una successione paratattica idee germinali incessanti in cui i soggetti non vengono mai definiti in termini di rappresentazione. Vi manca quel processo di stesure, erosioni, ridipinture, cancellazioni, rimaneggiamenti e ricostruzioni, lungo anche decenni, che accompagna invece l’esecuzione dei dipinti a olio e anche le incisioni di

Toni Carta. Perché gli oli, le incisioni e anche alcune sculture riproducono il dialogo dell’artista con se stesso attraverso gli eventi e le figure di riferimento della sua vita. Una vita semplice, dura, ricca che comincia nel 1928 in una famiglia contadina dove i valori erano chiari e rassicuranti, ognuno aveva il suo ruolo e il piccolo Toni, in età prescolare, andava a portare le bestie al pascolo lungo il fiume, osservando, intanto, il mondo di quei limitati dintorni nelle sue variazioni e nei suoi suoni, felice di rincasare la sera. Poi vennero gli anni dell’officina meccanica dei Ferrovieri e delle scuole serali, alla Scuola d’Arte e Mestieri e da Otello De Maria, per imparare le tecniche pittoriche e poterle poi insegnare a sua volta. E poi i ventisei anni di cattedra di discipline artistiche e storia dell’arte nelle scuole pubbliche e private, affiancati da continui studi e ricerche e da una produzione ininterrotta lo portano agli attuali settantasei anni, raccontati a fiume sotto un fiero paio di baffi grigi che nascondono le labbra ma non il sorriso, con l’aiuto di un guizzare continuo dello sguardo vivo, intelligente, divertito: “ognuno ha dei talenti che gli vengono in dono da qualche parte. La serenità sta nello spenderli tutti”. E’ la sua

filosofia di vita che collude con quella d’artista. “La mia ricerca ha origine dove ogni giorno si vive e combatte per cogliere, al di là della realtà apparente, gli infiniti attimi che danno significato e spessore alla sorte comune… Non vi è Arte del nostro tempo, che non sia intrisa di partecipazione ai dolori e alle gioie degli uomini”. Dice. “La terra delle mie origini, la Resistenza, le officine artigiane e le fabbriche, le lotte operaie del dopoguerra e quelle civili, il tramonto della civiltà contadina sono tutti momenti direttamente partecipati e, con tutta l’umiltà che mi è possibile, puntualmente rivissuti”. Per questo i suoi quadri acquistano lo spessore materico del colore passato e ripassato in più strati e le figure appaiono spesso con il volto privo di lineamenti, cancellati dall’incalzare del tempo che non permette di fissare un’espressione per sempre; la semplificazione estrema dei corpi è racchiusa in campiture delimitate da grosse linee di contorno, confino della forma perché non cambi sembiante e possa riposarsi. Tazio Cirri La mostra, curata da Claudio Rigon, rimarrà aperta fino al 8 maggio tutti i giorni tranne lunedì, dalle 16.00 alle 19.30

economia e società

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La Vicenza che innova (1). Come una piccola azienda batte i giganti del settore

I tappi siamo noi

I camici bianchi: “Creare è un gioco”

La Taplast di Povolaro regina del mercato: “Innovare, che rivoluzione” I fornitori sono multinazionali, i clienti sono multinazionali, i concorrenti sono multinazionali. Loro un’azienda da 100 dipendenti. Come fanno a non affondare? “Con l’innovazione risponde Paolo Santagiuliana di Taplast - e puntando su una sola idea alla volta. Ogni anno lavoriamo su cento nuove idee. Con un enorme sforzo di volontà ne buttiamo via 99 e ci concentriamo su una. Solo così teniamo testa ai più grandi nomi mondiali con la nostra piccola realtà. Ma non si tratta di una strategia adottata per rispondere alla situazione attuale del mercato. Nel nostro settore. quelli piccoli, ‘i tappi’ insomma, siamo noi. È da quando siamo nati che sgomitiamo tra le multinazionali.”

stato del proprio ordine. Oggi sembra una banalità, perché tutti lo fanno, ma all’epoca si impose come standard.”

Innovare che banalità

Il segreto del successo Taplast produce oggetti molto particolari: i tappi di plastica presenti in tutte le case, dalle bottiglie degli bibite ai prodotti di pulizia della casa e della persona. “Il tappo è la parte più importante di una confezione – specifica Santagiuliana – provate a guardare i contenitori che trovate in un supermercato. Spogliateli delle etichette e delle confezioni cartonate: sono tutti più o meno uguali. Anonimi. Prendete una bottiglietta qualsiasi e cambiate il tappo. Via via vedrete dispenser per creme, saponi, detergenti oppure contenitori per medicine.” Se il vestito fa il monaco il tappo fa il prodotto.

Paolo Santagiuliana, imprenditore, “spicca il volo” da uno dei prodotti di Taplast: la pompa in plastica priva di molla, che ha reso l’azienda leader mondiale nel settore

è completamente chiusa. Anche gli scarti vengono fusi e riutilizzati, quindi non abbiamo un grande impatto ambientale. Per questo ci siamo concentrati sulla leggerezza dei prodotti a parità di resistenza. Questo assicura, tra l’altro, un minor costo energetico di creazione e di trasporto.”

Tecnologia batte paura gialla

Viva le tasse

I cinesi intimoriscono la maggior parte degli imprenditori ‘magnagati’? Paolo Santagiuliana fa spallucce: “Ci sarà sempre, in qualsiasi parte del mondo, un’azienda che realizza qualcosa di simile, di qualità minore ma ad un prezzo stracciato. Bisogna offrire un vantaggio esclusivo ai propri clienti. Prendiamo, per esempio, la nostra nuova linea di prodotti. Ci ha fatto vincere un sacco di premi internazionali. Il concetto rivoluzionario è un sistema di pompaggio privo di parti metalliche. Siamo i soli a farlo in tutto il mondo. Non si tratta solo di brevetti: gli altri non hanno la tecnologia per farlo.” Quel che stupisce da un’azienda che realizza prodotti in plastica è l’attenzione per l’ambiente. “La nostra catena di produzione

Imprenditori veneti e le tasse. Un binomio che non fa faville. Eppure anche in questo campo la risposta della Taplast è sorprendente. “Sono assolutamente a favore dei sistemi di tassazione. Ovviamente non parlo dei vari balzelli creati solo per spillar quattrini ma dell’idea di tassa che c’era all’origine: un modo per orientare la società, per farla crescere bene. Per esempio, nel nostro settore ogni produttore deve pagare una tassa per riciclaggio di quello che fabbrica. Tutti i nostri concorrenti pagano sia quella per la plastica, sia quella per il metallo (presente nelle molle delle pompe). I nostri tappi-dispenser pagano solo quella in plastica. Questo permette un risparmio e quindi la convenienza per chi spende gli

utili in ricerca.”

La cura dei particolari Il prodotto non è tutto. “Le aziende sono scelte anche per il servizio. Nelle realtà lavorative medie e piccole è spesso una di quelle voci che si sacrificano in tempi di crisi. La cura dei particolari, invece, si rivela sempre una strategia vincente. Noi abbiamo realizzato per primi un meccanismo che permetteva ai clienti, già nel 1995, di accedere al nostro sistema attraverso internet e verificare in tempo reale lo

Sembra la parola d’ordine per uscire dalla crisi. Ma per la Taplast l’innovazione è sempre stata una costante. “Sul modo di fare ricerca ho le idee molto chiare - conferma Paolo Santagiuliana - il problema dell’innovazione è che in Veneto è vista come un optional. Chi lavora nella ricerca lo fa su spazi recuperati e soltanto per un certo tempo, poi deve pensare anche al lavoro in fabbrica. Chi pensa al futuro non può occuparsi del presente. I miei ricercatori passano tutto il loro tempo a innovare”. Nella zona dei test nella Taplast, infatti, si respira un’aria diversa: lontano dai rumori della produzione – “ho dedicato un capannone solo per loro” ammette Santagiuliana – i creativi della pompetta pensano ai futuri prodotti. Una parete è completamente rivestita da riviste mentre una serie di scaffali contengono centinaia di barattoli e flaconcini “sono i cataloghi e i prodotti dei nostri concorrenti. Li analizziamo insieme ai nostri e proviamo, attraverso esperti e persone comuni, a immaginare un loro nuovo utilizzo o ad abbinarli a problemi diversi rispetto a quelli per cui sono stati creati. È così che nascono nuove idee. Poi, però siamo costretti a scartarne la maggior parte e sviluppare unicamente uno o due prodotti all’anno. Purtroppo la concorrenza feroce abbassa i margini di guadagno e quindi anche gli utili investibili in innovazione.” I recenti trambusti in Assindustria non sono passati

inosservati nemmeno qui. “La lotta per il potere tra Tognana e Montezemolo? Entrambi hanno pregi e difetti. Personalmente sono contento che Montezemolo sia stato eletto presidente di Assindustria. Ha più carisma, esperienza e riconoscimento internazionale. Tognana, da veneto, garantiva una maggior attenzione alla nostra situazione, ma quando andava a parlare agli industriali emiliani o piemontesi cambiava registro”. La coerenza garantisce maggior affidabilità.

La politica di Assindustria Fiducia anche per le promesse di Calearo, presidente di Assindustria Vicenza “Ha presentato un programma di sviluppo molto interessante ma ambizioso per l’attuale situazione. Spero che manterrà le sue promesse. Gli auguro buon lavoro.” Disoccupazione? “Qui non c’è problema per le figure altamente qualificate, anzi. Sto disperatamente cercando da diverso tempo tecnici specializzati. Ma è inutile, qui non si trovano”. Su gli altri problemi degli imprenditori veneti un’ultima risposta: “Qui tanti si lamentano sulla mancanza di infrastrutture, possibilità di sviluppo, limitata capacità di risposta da parte dell’amministrazione pubblica. Io non mi unisco al coro. Se tutti siamo ancora qui e ben pochi delocalizzano la loro produzione in altre aree un motivo ci sarà. Bisogna anche considerare la vicinanza con altre realtà del settore che fungono da fornitori o clienti. Esportare una fabbrica o una catena di produzione è inutile, ricostruire all’estero un intero distretto industriale è molto costoso. Il sistema veneto è ancora vincente”. Ilario Toniello

Un capodanno da cento tappi al secondo 24

ore al giorno di produzione, sette giorni alla settimana

media) delle aziende concorrenti

1 su 3

I dipendenti. Oltre un terzo stranieri.

I tappi/pompa Taplast sui prodotti acquistati nei supermercati in Italia.

1000 /10.000

1 su 10

104

i dipendenti (in

I tappi Taplast in

Europa

nel 2004

72%

3,6 miliardi

Il prodotto esportato

4 milioni

Il polimero (plastica) lavorato ogni anno

21 milioni

Il fatturato in euro

I componenti prodotti all’anno: più di cento al secondo.

13%

La ricerca: tra Einstein e l’Armata Brancaleone

Il personale che si dedica esclusivamente allo sviluppo.

Progettare con il cuore oltre che con la mente. È questa una strategia particolare, che nasce dall’arte tutta italica del saper arrangiarsi con risorse limitate e spiazza la concorrenza angloamericana anche se alla base della loro ricerca ci sono fiumi di denaro versato dalle multinazionali. Questa è la testimonianza di Franco Iannascoli, portavoce del settore ‘ricerca e sviluppo’ di Taplast. “Qui abbiamo strumenti e tecnologia all’avanguardia. Ma non sono la cosa più importante. Il nostro lavoro parte da un modo non convenzionale di vedere le cose. L’idea base parte sempre da un’osservazione che avviene sempre in modo imprevedibile, spesso nei momenti più impensabili. Lavoriamo anche quando sogniamo. La nostra fonte di ispirazione è la natura e ciò che ci circonda. Le radici, i rami, le foglie, i boccioli dei fiori, le articolazioni o le ali degli insetti. Sfruttano meccanismi semplici eppure sofisticatissimi. Sono un equilibrio, una ragione d’essere creata in migliaia d’anni di evoluzione. L’uomo spesso li ignora solo perché sono insignificanti ai suoi occhi. Che errore! Noi spesso partiamo da un particolare, per esempio il meccanismo della molla, oppure il meccanismo della chiusura a “clic” del tappo. Proviamo a inserire altri elementi, cambiare, sforzare fino a rompere tutto. Insomma, giochiamo. Dopo qualche mese in genere nasce l’idea nuova, innovativa. È un rapporto molto umano che si ha con la materia, diverso da quello analitico, freddo e calcolatore che si ha in laboratorio. Una particolarità del nostro gruppo è il fatto che non ci prendiamo mai troppo sul serio. Qualche volta siamo bloccati e non troviamo una soluzione? Tiriamo fuori la griglia dall’armadio, dove è sempre pronta, e ci facciamo un barbecue con il capo e gli amici. Le idee felici sono sempre quelle che nascono a valle, quelle che a prima vista sembrano stravaganti. Quelle che nascono davanti alla macchina del caffè. Sfido chiunque ad entrare nel nostro reparto di ricerca e sviluppo e di trovare gente in camice bianco. Piuttosto sembriamo l’armata Brancaleone.”

Lettere Alifuoco, la sinistra e il baco dell’ideologia Caro direttore, chi svolge ruoli pubblici deve accettare di confrontarsi con i giudizi degli altri. Per questo, nulla voglio dire sulle opinioni espresse nel pezzo titolato “identikit del contro-potere”, dedicatomi, bontà sua, dal giornale dello scorso 9 aprile. Sulla serietà di molte affermazioni giudicheranno poi i lettori. Ma due fatti sono inventati di sana pianta, e chi ne sostiene la versione pubblicata dovrebbe almeno uscire dall’anonimato. Il primo è sintetizzato in un passo, che quasi nessuno ha capito, secondo cui alcuni amici non mi avrebbero “perdonato la calata di brache nei confronti della Margherita per la vicenda dell’Hotel De La Ville”. Spieghiamo. Il Sindaco Marino Quaresimin e l’assessore Luigi Cappellari, insieme ad altri, furono denunziati per abuso in relazione alle vicende del noto albergo di viale Verona. In sei anni di calvario giudiziario, ne hanno subito le conseguenze sia finanziarie (le spese legali) sia fisiche. Un mese fa i giudici hanno riconosciuto la loro piena innocenza. Io ho firmato un comunicato di solidarietà nei loro confronti. Ne allego il testo dal quale si potrà vedere che lo hanno sottoscritto, tra gli altri, tutti gli assessori che fecero parte della Giunta Quaresimin (Albanese, Alifuoco, Lazzari, Tracanzan, Maule, Pilastro, Formisano, Melloni, Grison). Vorrei che mi si spiegasse dove sta la “calata di brache”. Il secondo fatto riguarda un’amicizia personale con la presidente della Provincia (che non è mia datrice di lavoro) la quale, come scritto nel pezzo, “… gli avrebbe suggerito di non attaccare il Carroccio su alcune questioni spinose come la risistemazione dell’area di San Felice.”. Invenzione totale. Il cosiddetto PIRUEA FTV (relativo all’area delle Ferrotranvie) non è mai

giunto in Commissione Territorio e personalmente non ne ho ancora letto una riga. Quando sarà all’ordine del giorno me lo studierò ed esprimerò un parere come ho fatto finora sui tanti temi dell’urbanistica cittadina. Liberamente. Senza il “baco” dell’ideologia che purtroppo alberga nella testa di qualcuno nella Sinistra. Ubaldo Alifuoco I rilievi mossi nel pezzo erano solo di natura politicourbanistica e non riferiti all’ambito processuale dell’hotel De la Ville. m.m.

Il nazionalismo per favore no

liani, nonché la carneficina di Cefalonia, risultano del tutto legittimi, e illegittima - naturalmente - sarebbe la Resistenza antifascista (mi scusi Verlato per la maiuscola). Questo malinteso senso dell’onore e della patria ("giusto o sbagliato è il mio paese") ha prodotto danni e stragi enormi in tutto il mondo negli ultimi secoli. La cultura democratica sta già incorporando (più o meno consapevolmente) elementi ideologici della destra: evitiamo almeno che tra questi vi sia il nazionalismo, che - qualcuno ha detto tanto tempo fa - "è l’ultimo rifugio dei mascalzoni": mi sembra una definizione appro-

priatissima a Bush e Berlusconi, e non vedo perché dovremmo contendergliela. Roberto Monicchia In estrema sintesi: la tesi sostenuta da Adriano Verlato è che non si può arrivare in pompa magna e poi andarsene alla chetichella. Verlato invita comunque a un rapidissimo intervento Onu che sostituisca le truppe presenti.

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la città a chiare lettere

Cara Abc, quello che mi spinge a scrivervi è il dibattito pubblicato sull’Iraq nel numero di venerdì 16 aprile. Lasciamo pure stare le affermazioni di Benetti (Cisl) sul fatto che "andarsene improvvisamente sarebbe un delitto": pensiamo dunque che Zapatero sia un criminale? Quello che mi ha lasciato senza fiato è il passo dell’intervento di Adriano Verlato in cui tra i motivi che sconsigliano il ritiro italiano dall’Iraq si cita "la nostra tradizione militare che quanto a coerenza non è quasi mai stata brillante". Mi è venuto in mente Nanni Moretti ("ma che siamo, in un film di Alberto Sordi?"); poi ho smesso di ridere (del resto i film di Moretti sono tutt‚altro che comici). Simili affermazioni - anche se Verlato evita di specificare gli episodi cui si riferisce - costituiscono infatti la tradizionale giustificazione dei fascisti di Salò per continuare a combattere insieme ai nazisti (collaborando alle stragi di civili e alla deportazione di ebrei) dopo l’8 settembre 1943. Di più: secondo questa ottica la deportazione in Germania di migliaia di militari ita-

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cultura

In alto: l’autore mentre scocca un tiro con la maglia della Primavera. In centro: a lezione dal maestro Berto Menti. Sotto: uno dei grandi Vicenza nel ventennio in A

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Una testimonianza in prima persona della squadra giovanile che tanti talenti ha dato al calcio vicentino

La crisi del calcio non riguarda solo i grandi club. Problemi di bilancio e difficoltà societarie caratterizzano anche le squadre di provincia, magari in proporzioni più ridotte. Si lamentano costi di gestione sempre crescenti e di difficile contenimento mentre, per contro, i vivai giovanili non verrebbero sostenuti adeguatamente, non riuscendo di conseguenza ad alimentare come un tempo un ricambio meno gravoso, sul piano finanziario, tra i giocatori della rosa principale. Oltre a ciò, i pomeriggi allo stadio sono giunti a costituire, in maniera preoccupante, una delicata questione di ordine pubblico, come è emerso clamorosamente nel recente derby romano. Il governo stesso è chiamato in causa e provvedimenti efficaci per la salvaguardia dello sport nazionale sono invocati da più parti. Leggendo la cronaca di quella recente serata di disordini metropolitani la memoria è corsa, quasi automaticamente, alla metà degli Anni Sessanta, quando, adolescente, indossavo la fascia di capitano della “Primavera”, squadra emblema del vivaio del Lanerossi Vicenza, allora sotto la presidenza di Giacometti. Portavo il 6 sulla schiena e giocavo a metà campo in una formazione che, inconcepibile oggi in tempi di diffusa globalizzazione, schierava il primo anno tre soli “foresti”, ossia ragazzi non vicentini: si trattava di due friulani (uno ha fatto carriera, è Roberto De Petri) e di un veneziano. L’anno successivo, invece, ne vantavamo perfino cinque: oltre a Roberto, c’erano tre toscani e un padovano. Inoltre, quando si andava in trasferta a Milano, contro l’Inter o il Milan, non era raro incontrare dei vicentini tra gli avversari (un nome per tutti, Nevio Scala).

Il doping: risotto e spinaci. Pensando poi a tutte le polemiche che ci parlano di sostanze più o meno nocive, che sarebbero oggi di uso abbastanza generalizzato tra i calciatori, mi ricordo che, prima delle partite di campionato, c’era per noi sempre lo stesso

“Due paia di scarpe per tutto l’anno e il rimborso per la corriera. Ma che fascino quella erre sul cuore” menù: risotto di primo e filetto con spinaci per secondo. Se non sbaglio, si poteva bere pure un bicchiere di vino rosso. Di diete, neanche l’ombra: nella fase di avvio della preparazione, il mister ci prescriveva, è vero, di pesarci prima e dopo l’allenamento, ma il quaderno dove registravamo i nostri valori spariva dopo poche settimane. Quanto alla enfatizzata importanza strategica dello “spogliatoio” (che oggi, in senso lato, include spesso la figura dello psicologo), noi lo si usava esclusivamente per il suo fine specifico, intuitivamente per indossare la tenuta per l’incontro, e i locali a ciò adibiti al “Menti”, a dire il vero, non erano neanche particolarmente comodi: solo quello della prima squadra (allora in serie A) era più ampio e luminoso. A proposito di massaggiatori, noi eravamo seguiti da Vasco Casetto che, praticamente,

“Vasco Casetto, il massaggiatore, si rifiutava di scaldare i muscoli a chi non avesse almeno l’età di Vinicio”

COSÌ FIORIVA LA NOSTRA PRIMAVERA

era pressoché inattivo in quanto si rifiutava (e faceva bene!) di scaldare i muscoli a chi non avesse almeno l’età di Vinicio, in quei frangenti più che trentenne. Altra persona fissa dello staff , pronta a strigliarci, era il burbero ma simpatico Frieri (alias Bepi Luce): se qualcuno si azzardava ad abbandonare le scarpe da gioco fuori posto in magazzino o si dimostrava un po’ troppo difficile da accontentare doveva fare i conti con lui.

Quando le Tepa Sport erano un sogno. Ai piedi portavamo tutti scarpe prodotte artigianalmente dall’artista Boaretto, calzolaio in Porta Monte: arrivava, all’inizio di stagione, camice nero addosso, per prendere le misure a ognuno. Ce ne venivano poi assegnate esclusivamente due paia per tutto l’anno: quelle con la suola di cuoio e quelle in gomma, più adatte ai terreni duri. Circa lo standard atletico, la visita medica si effettuava, di prassi, durante una delle prime sedute d’allenamento. In seguito, il dottor Malaman (medico sociale) era scorto, da noi, solo in lontananza quando capitava allo stadio, con la sua andatura decisa, in occasione di incidenti o acciacchi ai titolari della prima squadra. Sul piano fisico eravamo ben preparati, come, del resto, su quello tecnico grazie al mister Vicariotto, che sapeva anche disporci ottimamente in campo, svolgendo così, in modo egregio, la duplice funzione di preparatore atletico e di allenatore vero e proprio. Ciò che, di questi tempi, a volte mi fa sorridere, è il gran discorrere di tattiche e di schemi, come se tutto il calcio fosse affare da eccelsi “strateghi” o da esperti in statistica. Allora, noi disponevamo, naturalmente, di alcuni meccanismi automatizzati di movimento in campo, ma poi non dovevamo ricorrere al computer per sapere qual era la nostra zona più sguarnita o per scoprire i punti deboli dell’avversario.

Insomma, si trattasse di affrontare l’Inter (mi rammento, in proposito, un pareggio 1 a 1, con rete di Ciccolo, contro le riserve dello squadrone di Herrera) o di incontrare la Spal di Ferrara, che militava in Serie B, noi si praticava il consueto e collaudato gioco, che era poi l’unico che sapevamo fare bene. Mi pare ancora di vedere Berto Menti, che ci diceva, con la sua caratteristica ed elegante serietà, appunto nello spogliatoio, prima di uscire:” Bene, ragazzi, mi raccomando, ricordate le solite cose; le punte, come sem-

pre, in movimento, a metà campo, siamo intesi, curiamo gli scambi e in difesa, stiamo attenti, non lasciamo spazi agli avversari. E buona fortuna”. Indubbiamente molti anni sono passati. La realtà sociale è profondamente mutata e ciò non può non riflettersi nel mondo dello sport. Nel periodo cui mi riferisco non era così invadente il fenomeno degli sponsor e i mass media (stampa compresa) dedicavano

molto meno spazio agli avvenimenti calcistici, trattandoli in maniera più sobria e collocandoli in un rapporto più proporzionato agli altri fatti ed ai problemi generali della società locale e del Paese. Il “Giornale di Vicenza”, quotidiano più diffuso da sempre, nell’edizione del lunedì dedicava al massimo una pagina e mezza, eccezionalmente due, alla cronaca e ai commenti sulla partita di campionato (“evento”, per la odierna comunicazione mediatica). Negli altri giorni della settimana, qualche mezza pagina poteva ancora scapparci in occasione di fatti particolari. Ma si trattava di aggiornamenti su infortuni subiti da un titolare o su qualche avvenimento importante riguardo la società. In quel contesto, i commenti e le osservazioni dell’allenatore sull’ultima fatica agonistica di solito si risolvevano nell’arco di un quarto d’ora. Poi via, a girare lungo i bordi del campo per il riscaldamento.

E Campana scriveva poesie. Il gentleman Savoini, il classico Campana, il roccioso Carantini, l’intelligente Gigi Menti, il baluardo Volpato, l’infaticabile De Marchi e l’efficace Zoppelletto erano nella piena maturità. Per qualcuno di loro si avvicinava la conclusione di una lunga attività in biancorosso e noi ragazzi del vivaio avevamo, confesso, una certa soggezione nei loro riguardi. Ci si allenava, infatti, nella tradizionale partitella del giovedì, contro dei veri professionisti (se l’espressione, oggi, ha ancora un suo reale significato nella nostra lingua), che ci trattavano, però, alla pari e sapevano, a volte, scherzare. Sergio Campana, avviato ormai alla laurea, aveva composto e riportato col pennarello una poesia in rime, di vaga ispirazione dantesca, sulla porta del bagno. Un tipo burlone era anche Luison, portiere

di lungo corso, ma la battuta spiritosa non mancava nemmeno a Nico Fontana, centrocampista dal tocco raffinato. Dei miei quattro anni di permanenza nella Società del resto, i compagni già affermati ma altezzosi si contano davvero sulle dita di una mano. E veniamo a un aspetto più terra terra: il trattamento economico. Si passava nella palazzina della sede, dove ci accoglieva l’indimenticabile signora Franca, sempre sorridente e gentile. Per noi vicentini della Primavera (i vari Menegatti, Stefanello, Dalla Rovere, Martinello, Fasolato, Vezzaro, De Rossi, Bianchini, Lorenzi, ecc.), la paga era costituita da un rimborso spese per il trasporto (molti venivano dalla provincia) e da un modesto premio partita quando si vinceva. Io ero contento così. Grazie all’abbonamento alla corriera di linea potevo recarmi da Caldogno (dove abitavo) all’Istituto Fusinieri che frequentavo in città, senza usare la bici, risparmiando in questo modo 20 chilometri al giorno di pedalate. La voglia di ben figurare comunque c’era sempre. L’impegno era fuori discussione e pure l’emozione, qualche volta, faceva la sua comparsa. Al debutto in campionato (eravamo nel 1966) contro i pari categoria dell’Inter, sotto gli occhi di Peppino Meazza, ricordo che il nostro libero steccò letteralmente il primo pallone che gli giunse, regalando agli avversari la rete iniziale. Adesso, per i giovanotti, con molta probabilità, è diverso, si emozionano per altro, ma noi a quel tempo avevamo la erre stilizzata della Lanerossi sulla maglia (vicino al cuore) e ne eravamo orgogliosi. Ci gratificava non poco l’appartenenza ad un club che esprimeva il meglio del calcio in Provincia di Vicenza. Il divismo non esisteva. Lo stesso Louis Vinicio, il leone brasiliano che, con i suoi determinanti goals a fine carriera teneva spesso a galla la prima squadra, non era oggetto di fanatismi pure se molto amato dai tifosi. Tutt’altra situazione è oggi, purtroppo, sotto i nostri occhi le domeniche in cui c’è la partita in città: sembra quasi che la zona stadio sia in stato d’assedio. Le sparute “forze dell’ordine” di servizio al “Menti”, negli anni ricordati, sembravano

“gli strateghi non esistevano. La tattica di Menti era semplice: fate movimento e buona fortuna” delle “belle statuine”, con funzioni prevalentemente coreografiche, poiché non erano mai chiamate ad intervenire: da notare che, già allora, erano molto sentiti certi scontri di Serie A, nei quali il tifo si scatenava in commenti e sottolineature verbali, di vario genere e tono, conditi, all’occasione, da bordate di fischi e da esplosioni di urla liberatorie, che arricchivano di colore e di viva partecipazione popolare lo spettacolo sportivo. Pino Contin Pino Contin, vicentino, è stato capitano della Primavera del Vicenza negli anni Sessanta. Già membro della Commissione del Museo del Risorgimento e della Resistenza, ha pubblicato “Realtà cattolica e Democrazia Cristiana. Vicenza 19601970 (1992) e “Il pallone, il pennino, l’incenso e il Far West” (1996)”

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