Vicenzaabc N 5 - 16 Aprile 2004

  • April 2020
  • PDF

This document was uploaded by user and they confirmed that they have the permission to share it. If you are author or own the copyright of this book, please report to us by using this DMCA report form. Report DMCA


Overview

Download & View Vicenzaabc N 5 - 16 Aprile 2004 as PDF for free.

More details

  • Words: 16,344
  • Pages: 8
Euro 0,80

vicenzaabc la città a chiare lettere

venerdì 16 aprile 2004, numero 5 , anno III

SETTIMANALE DI INFORMAZIONE, CULTURA, POLITICA, ASSOCIAZIONISMO, SPETTACOLO Editore: VicenzaAbc scarl, Corte dei Molini 7, 36100 Vicenza. Partita Iva 03017440243. Telefono 0444.305523. Fax 0444.314669. E mail: [email protected]. Spedizione in abbonamento postale 45% Comma 20/B, legge 662/96 - DC Vicenza Redazione: Corte dei Molini 7, Vicenza. Telefono 0444.504012. Fax 0444.314669. E mail: [email protected] www.vicenzaabc.it

La guerra che non si può vincere

Inchiesta. Come uscire dalla trappola irachena a testa alta. I vicentini la pensano così

Giuseppe Pupillo presidente di Vicenza Riformista

Le contrapposte sicurezze (l’una fondata sull’intensificazione dell’azione militare, l’altra sul ritiro delle truppe) che molti continuano ad ostentare di fronte all’imprevisto inferno dell’Iraq, sono entrambe frutto di semplificazioni, ostinate a non tenere conto della estrema complessità, e pericolosità per tutti, della situazione di quel paese e del mondo arabo. Non ho bisogno di ribadire né la contrarietà all’intervento statunitense della scorsa primavera né che il proseguire su quella rotta, tracciata con la forza militare, conduce a ulteriori disastri. Tra l’altro, il diffondersi nei popoli arabi, a causa di quella guerra, dell’odio antioccidentale rende maggiormente aleatorie sia la sconfitta del terrorismo jiahidista che una intesa, indispensabile a tale fine, con i governi arabi moderati. Come persona di sinistra, quotidianamente impegnata a dibattere con tanti amici che militano nelle organizzazioni pacifiste, mi chiedo se la mobilitazione di massa per un ritiro immediato del contingente italiano (e di tutte le truppe) sia utile, non solo come espressione di una sacrosanta volontà di risolvere i problemi del mondo con mezzi pacifici e spirito di solidarietà, ma per favorire, in concreto, un exit strategy che non lasci nel caos l’Iraq, ma gli garantisca l’avviamento ad una qualche forma di democrazia e la transizione verso la pacificazione, la stabilizzazione, l’autonomia. Sono processi, questi, dannatamente complessi, sempre più insidiati da disegni opposti, egualmente basati sull’uso della forza militare e, su scala crescente, del terrorismo, che puntano ad un Iraq in cui destabilizzazione e impantanamento in conflitti di ogni sorta servano a espungere dal mondo arabo le componenti moderate. Processi che richiedono, a mio avviso, una presenza sopratutto politica ma anche militare della comunità internazionale, riportata sotto l’egida dell’Onu e nell’alveo del diritto internazionale, e quindi con una”missione di polizia” completamente diversa dal ruolo esercitato dai comandi statunitensi. Mi chiedo, davvero con timore, se un insieme di organizzazioni internazionali, di governi e opinioni pubbliche abbia ancora il tempo per correggere una rotta totalmente sbagliata e far sì che le armi si subordinino alla politica che a sua volta deve chiaramente individuare, con il consenso delle forze moderate irachene e di altri paesi arabi, il perché stare in Iraq. continua a pagina 5

Facciamo la pace “Il guaio l’avete fatto voi che in guerra ci avete portato per fare bella figura con Bush. Adesso tiratevi fuori da soli.” Alzi la mano chi - contrario alla guerra fin da quando non era ancora cominciata - non l’ha pensato almeno una volta. Perché sarebbe bello potersela cavare così e mettersi alla finestra con la coscienza pulita di chi aveva detto no. Ma sappiamo bene che è una soluzione fasulla. Nella guerra in Iraq ci siamo dentro tutti. Anche chi l’ha sempre avversata, chi ha marciato per la pace e chi ha esposto le bandiere. Di fronte a questa guerra tutti siamo chiamati, nel nostro piccolo, ad agire o quanto meno a ragionare su come uscire da quello che sembra sempre più

un Vietnam. Restare a Nassiriya o richiamare i soldati? Rischiare la vita per gli iracheni che credono in noi (ma ce ne sono davvero?) o lasciare che “se la cavino da soli”, frase ripugnante solo a pensarla? A tutto questo proviamo a rispondere parlandone con chi la guerra la conosce. Da chi l’ha vissuta in prima persona ieri (ex

partigiani) a chi l’ha vissuta oggi (don Albino Bizzotto, in prima fila nel conflitto dei Balcani); da chi conosce bene l’Iraq a chi conosce altrettanto bene il popolo mediorientale e cerca di spiegarci la sua mentalità. E ne parliamo anche con chi, come la maggior parte di noi, segue il tutto a distanza, attraverso i giornali e la tivù. Sperando che tutto questo serva. Se non a trovare una soluzione, almeno a chiarirci un po’ le idee. Sarebbe già un passo avanti per non trovarci del tutto impreparati un domani, che a un simile problema dovremmo rispondere di persona. Alle pagine 4 e 5.

Vietnam alla vicentina L’ex partigiano: “I nostri soldati? Occupanti, non liberatori”

Giulio Vescovi è il presidente dell’Associazione Volontari per la Libertà. Partigiano nella guerra di Liberazione, oggi ha 82 anni e una lucidità da far invidia a un ventenne. A lui chiediamo un parere da esperto. Quella degli iracheni è una sorta di guerra di liberazione o sono atti di terrorismo che vanno contro il volere della popolazione? “Una guerriglia non può avere spazio se la popolazione non la appoggia. Lo dico per esperienza diretta. È ridicolo negare

che migliaia e migliaia di iracheni appoggino la rivolta. Dico di più: questa è addirittura una sollevazione. Sostenuta dalla popolazione in massa”. Crede che gli americani, e gli italiani di conseguenza, siano visti come cinquant’anni fa gli occupanti nazisti? “Non è giusto fare paragoni. Certo è che sono occupanti, non liberatori. Sono stranieri. Sono ben armati, ben sostenuti, ben pagati. Gli iracheni non vedono i liberatori: vedono la ricchezza dell’Occidente che pretende di soffocare

la loro civiltà. Questo è quello che io vedo, ma confesso che non ho una profonda conoscenza della cultura islamica.” L’Onu può essere una soluzione? “Non credo proprio. Penso che stiamo andando incontro a una disfatta tipo Vietnam. Dall’esperienza che ho della guerra (ho combattuto in Jugoslavia, in Bosnia, nel Montenegro) ho capito che un esercito in terra straniera è sempre visto come il peggiore dei mali. E noi, in Iraq, non siamo solo stranieri: siamo degli extraterrestri. La soluzione potrebbero essere delle truppe Onu mediorientali.” Gli italiani debbono andarsene o restare? “Non voglio e non posso dare consigli a nessuno. Ma so che gli iracheni non hanno chiesto la democrazia nè hanno mai fatto una guerra per ottenerla. Noi allora avevamo dei valori che si rivolgevano alla democrazia popolare. Avevamo una coscienza diversa. Quante sono oggi in Iraq le persone disposte a capire? Io credo pochissime. E noi rischiamo di farci odiare ogni giorno di più dalla stragrande maggioranza del popolo, altro che esercito della salvezza”. “Eppure non possiamo ritirarci ora. Sarebbe una fesseria. Insomma, dobbiamo riconoscere che ci siamo imbarcati in una follia solo per far piacere a Bush. E adesso paghiamo il conto”.

questa settimana

reportage

idee

cultura

Siam diventati neri come il carbon: cronaca di una giornata all’Albera

Un sotfware per capire lo straniero

Fare, ascoltare (e rubare) musica ai tempi di Internet

3

6

8

Pronto il palazzo della discordia

Light-Lease da

Parlano volontari, storici, addetti ai lavori, esperti di Medio Oriente, politici e persone comuni. “Il guaio è fatto, ora rimediamo”

€ 119

al mese*.

Conclusa l’opera di Albanese in pieno centro. Pugno nell’occhio o moderno Palladio?

(200 battiti al minuto)

(150 battiti al minuto) (100 battiti al minuto)

Classe C Kubanite. Lasciati contagiare. Light-Lease da

€ 119 al mese*.

*L’esempio si riferisce alla nuova C 180 Kompressor TPS Classic, versione Kubanite, prezzo chiavi in mano € 30.340 (esclusa IPT). Anticipo € 13.787,41 o eventuale permuta e 35 rate mensili da € 119 e possibilità di riscatto € 13.653,00. Spese d’istruttoria € 218,40. T.A.N. 2,69% e T.A.E.G. 3,25%. Iniziativa valida fino al 30 aprile 2004. Salvo approvazione della DaimlerChrysler Servizi Finanziari S.p.A. Consumo (l/100 Km.): urbano 12,2 - extraurbano 6,6 - combinato 8,7. Emissioni di CO2: 209 g/Km.

Concessionaria Ufficiale

Mercedes-Benz

TORRI DI QUARTESOLO 0444/250710

BASSANO DEL GRAPPA 0424/886000

THIENE 0445/380020

ARZIGNANO 0444/450011

BOLZANO VICENTINO 0444/351290

LONIGO 0444/436271

www.trivellato.it

Mancano solo gli ultimi ritocchi, poi sarà presentato alla città. Dopo 11 anni di lavori e di polemiche bollenti, è pronto il nuovo imponente edificio, firmato da Flavio Albanese, che sorge sul retro di palazzo Festa di contrà Porti. Piaccia o meno, è una delle opere più controverse e nello stesso tempo importanti della città. Non solo perché lo firma un artista di valore mondiale ma soprattutto perché è l’unica opera nuova – ovvero non un semplice restauro – sorta in pieno centro storico negli ultimi cinquant’anni. Nelle intenzioni del suo progettista, il palazzo raccoglie le “suggestioni” palladiane che cita nell’impostazione degli spazi. Una dichiarazione d’intenti forte e sufficiente, già undici anni fa, per attirare sull’opera gli strali dei puristi. È stato solo l’inizio. Approvato nel 1993, il progetto di Albanese è stato subito amato e

odiato con la stessa intensità dai giorni della sua presentazione, nel 1989. Vuoi perché mettere le mani nei dintorni di Palladio a Vicenza è una specie di sacrilegio, vuoi perché scavare metri di fondamenta a due passi da un palazzo palladiano è cosa da far tremare I polsi. Tra vincoli, ricorsi al Tar, blocchi e sblocchi, ci sono voluti anni per arrivare al rilascio della concessione edilizia. Si giunge così al 1998. Ma c’è solo il tempo di iniziare ed ecco subito lo stop. Gli scavi mettono in luce resti archeologici di epoca romana e paleoveneta. Tutto fermo per un anno e mezzo, rimozione dei reperti e ripresa degli scavi. Nel frattempo le polemiche fioccano. Basta scorrere I giornali che hanno accompagnato la vicenda negli anni. Citiamo a caso: “Spettri di speculazione sfrenata”, “Le mani sulla città”, “Caccia al tesoro”, “Far West normativo”, “Città terra di

Il nuovo edificio nel cortile di palazzo Festa

conquista”. L’ultimo attacco è firmato da Italia Nostra, che nel gennaio 2003, proprio attraverso questo giornale, si scaglia contro i progettisti, l’attuale sindaco e gli ex-amministratori di centro sinistra per aver permesso quello che viene definito uno scempio edilizio. Alla città la risposta. Palladio è stato tradito o valorizzato?

Gli edifici abbattuti per far posto al nuovo erano un “dignitoso palazzetto fine ottocento” com’è stato sostenuto o pezzi di ”un'edilizia disordinata ed insignificante” come dichiarava il prof. Lionello Puppi, illustre vicentino, membro del Centro Internazionale di Architettura A. Palladio ? Si tratta di “una proposta rispettosa del monumento palladiano capace di esaltarlo e riscattarlo dalla deprimente pressione di quanto nel tempo le si è cumulato intorno” (favorevoli) oppure di “un edificio completamente fuori scala nel contesto del centro storico” (contrari)? Il dibattito è aperto. Scriveteci le vostre impressioni. Per ridare un’anima al centro storico, ben vengano anche nuove e aspre polemiche. Dal paradiso degli artisti, Palladio ascolterà con piacere.

sette giorni di politica

2

vicenzaabc

Incontri. A colloquio con gli esperti per capire dove ci sta portando l’attuale politica

Globalizzati e mazziati L’industriale ed europarlamentare Massimo Carraro denuncia le logiche economiche italiane “Imprenditori senza etica e senza coraggio. Chiudono le aziende perché non sanno investire”

Da un lato la crisi profonda e diffusa della nostra economia, dall'altro i grandi scandali che in Usa, Francia, Italia (Cirio, Banca 121, Parmalat…) hanno mandato in fumo i risparmi di una vita di migliaia di cittadini, soprattutto pensionati, denunciando non solo una smobilitazione dei grandi gruppi produttivi ma anche problemi di tipo etico, di responsabilità sociale delle aziende. Incidenti di percorso o segnali di un malessere più profondo? Insomma, come e quanto è cambiato o sta cambiando il capitalismo nazionalglobalizzato nostrano? Sono le domande che hanno tenuto banco agli incontri di approfondimento tenuti ogni primo lunedì del mese ai Carmini, promossi da un gruppo di sedici associazioni e movimenti volontaristici fra cui Cgil e Cisl, e che Marina Bergamin della Cgil ha posto lunedì scorso a due interlocutori d'eccezione: Massimo Carraro, imprenditore padovano a capo di una azienda leader in Europa, già vicepresidente della Confindustria veneta e parlamentare europeo eletto come indipendente nella lista Ds, e Riccardo Realfonzo, docente di economia monetaria e collaboratore del Manifesto. Una denuncia vera e propria quella di Carraro: ciò che sta accadendo non è altro che il percorso prevedibile ma non previsto dei processi di globalizzazione generati negli anni '90 e di cui raccogliamo gli effetti negativi. Una logica di globalizzazione selvaggia che ha generato una cultura imprenditoriale senza etica, del successo a tutti i costi, e nei casi Enron, Parmalat e delle stesse società di calcio anche veri e propri comportamenti criminali. E la creazione di strutture di

mercato monopolistiche difficilmente controllabili. Largo di esempi, Carraro ha richiamato anche il caso Laverda a Breganze, con la Fiat uniche produttrici di mietitrebbiatrici in Italia. Ora che la Fiat ha scelto di produrre in Polonia, non potendo chiudere ma obbligata per la legge antitrust a vendere l'azienda di Breganze è chiaro che, per non avere concorrenza, sceglierà di metterla in mani precarie destinandola a morire. E la Marzotto che delocalizza nell'Est europeo è chiaro che deve farlo perché non può produrre a costo cento quello che in altre parti del mondo fanno a costo dieci. Tutto questo spiega perché l'economia italiana va peggio delle altre economie europee. E d'altra parte, come reagisce il grande capitale a questo spostamento delle attività manifatturiere in altre aree del mondo? Ci si ritira, ha spiegato Carraro, nei settori non globalizzati: telefoni, energia elettrica, autostrade, aeroporti, massmedia, cioè servizi locali collocandosi in aree protette. Berlusconi è l'esempio di questo capitalismo italiano, ha detto Carraro; il quale non vede per l'Italia una inversione di tendenza ma ritiene anzi che il sistema economico vada aiutato a collocarsi in aree di mercato non globalizzate, e con politiche economiche da affrontare a livello europeo. Sul declino industriale del nostro Paese si è soffermato anche Riccardo Realfonzo. La cosa che fa più riflettere è l'andamento della bilancia commerciale, con un calo delle esportazioni superiore addirittura a quello delle importazioni. La ricetta di Realfonzo è monetaria: agire nel senso di una crescita significativa dei salari e della spesa pubblica ottenendo una svolta anche nell'assetto dell'unione monetaria europea. Esaminando i salari reali, i dati ci dicono che dal '92-93 in poi c'è stato un sostanziale processo di freno e calo, e considerando che la produttività è cresciuta vuol dire che c'è stato un processo gigantesco di redi-

Cosa mettere in valigia per conquistare l’Europa

Lavoro in fabbrica negli anni ‘50

stribuzione dai salari al profitto, con in più il freno alla spesa pubblica per il rispetto dei parametri di Maastricht. Per Realfonzo il controllo della spesa pubblica e dell'inflazione sono due gambe che non fanno correre l'economia, e l'Italia ha in più un problema di declino industriale avendo sviluppato un modello di industrializzazione su reparti tradizionali senza investire in ricerca e sviluppo. Carraro però non ha condiviso la revisione del patto di stabilità, per non ricadere nel baratro della spesa pubblica: una strada che non porterebbe beneficio al nostro sistema industriale; ha insistito invece per il sostegno dei salari reali anche con interventi di welfare, come il risparmio su tariffe e consumi energetici familiari, esigenza espressa anche dagli interventi di un pubblico molto attento e preparato. Franco Candiollo

Anche se ha deciso di non ricandidarsi alla prossime elezioni europee ("Non ho più tempo”) Massimo Carraro crede nell’esperienza europea". Cos’è indispensabile nella "valigia" di un europarlamentare? "Almeno la conoscenza di un po' di inglese e francese, non tanto necessaria in aula dove ci sono i traduttori, ma indispensabile per i rapporti interpersonali. E tanta convinzione ed entusiasmo sul fatto che il processo di integrazione europea possa andare avanti. Prodi ha fatto molto in questo senso". Quali auspici per la Costituzione europea? "Vorrei sperare che ci si arrivasse entro l'attuale semestre di presidenza irlandese, ma è più probabile che si dovrà aspettare fino al successivo semestre olandese. Il voto che ha capovolto la politica della Spagna fa comunque ben sperare in un rapido traguardo, ma è il governo di Berlusconi a mettersi ancora di traverso. E quello che l'Italia potrà fare sarà ancora merito di Prodi". WHO’S WHO: CHI È CARRARO. Padovano, 45 anni, avvocato e docente universitario, ha lasciato nel 1987 l'attività accademica e forense per rilevare la Morellato spa di Padova oggi leader europea nel settore dei cinturini per orologi. E' stato presidente dei Giovani imprenditori del Veneto e vicepresidente della Confindustria veneta. Dal 1998 al 2002 presidente dell'Interporto di Padova spa è attualmente presidente della Nord Est Terminal spa, società mista costituita con FS Cargo per gestire i terminal merci ferroviari del Nord Est. Nel 1999 è stato eletto deputato al Parlamento europeo (indipendente Ds) e fa parte delle Commissioni industria, commercio estero, ricerca ed energia; ambiente, sanità pubblica e politica dei consumatori; per la politica regionale, trasporti e turismo.

La presidente della provincia Manuela Dal Lago promette di liberare le strade dal traffico. Ma non vuole scontentare i padroncini

La salute in fondo alla lista: porta più voti il camionista Lo scenario politico della settimana vicentina pare interamente focalizzato sull'inasprirsi della tensione tra i comitati antismog e l'esecutivo cittadino. Gazebo all'imbocco della Pasubio, annunciata occupazione pacifica del consiglio comunale, nuovo presidio all'Albera. I cinque comitati hanno scelto questa strategia anche se il sindaco Hüllweck e la sua giunta sembrano essere non l'avversario o l'interlocutore dei comitati, ma piuttosto il segnalatore, la spia ottica, sul quadro di comando degli eventi. Il vero tavolo di gioco infatti è tra i comitati stessi e la provincia. Per di più i comitati sono ora spalleggiati in modo organico da una parte del centrosi-

LABIRINTI

nistra, visto che i consiglieri Gianni Rolando (Ds) e Sandro Guaiti (Margherita) hanno cominciato a lavorare al fianco delle cinque associazioni (Maddalene, Villaggio del Sole, Pecori Giraldi e Motta; quest'ultima, ricadendo sotto Costabissara, ha dato una dimensione intercomunale all'intesa). Un lavoro che nel giro di alcune settimane si è concretizzato in un salto di qualità rispetto alle manifestazioni saltuarie organizzate negli anni passati. La presidente della Provincia Manuela Dal Lago ha cercato di spostare l'attenzione sulla necessità della bretella, contenzioso dormiente da oltre vent'anni. A pochi mesi dalle elezioni infatti, la leghista punta

ACQUE MOSSE

DI PALAZZO

ad incassare un riscontro d'immagine. Senza scontentare nessuno però: contro il rischio di un passaggio obbligato in autostrada o di ticket, la presidente cerca anche la benedizione degli autotrasportatori, visto che i padroncini sono tanti e che in vista del voto potrebbero mobilitarsi. Perciò l'iniziativa dei comitati e la proposta di una convenzione per il passaggio dei tir sulla A31 ha spiazzato la Dal Lago, che non ne vuole sapere e che rischia di trovarsi isolata, qualora Hüllweck, per il pressing del collega azzurro Maurizio Franzina (suo il referato al territorio) sposi la posizione dei comitati. Di fronte ad una situazione tanto delicata il centrosinistra

ha cominciato a macinare iniziative. E non ci sono solo Rolando e Guaiti, pure il verde Ciro Asproso continua il suo lavoro nella stessa direzione. Unico problema: in un momento tanto delicato infatti, quando ci si aspettava un aiuto concreto dai deputati (la diessina Lalla Trupia in primis), gli stessi onorevoli paiono essere alla finestra. Sul fronte della circolazione intanto, l'assessore all'ambiente Valerio Sorrentino (An) contraddice la sua posizione di un anno fa aprendo alle domeniche ecologiche. Ma i livelli altissimi di Pm10 delle ultime due settimane rischiano di non dare tregua all'esecutivo a meno di soluzioni radicali. Marco Milioni

IN LAGUNA

Scusi, lei concilia? In aula consiliare vietato parlare di problemi che disturbano la Giunta

Dalla Regione. Approvata la nuova legge urbanistica per il Veneto. E subito accantonata

An cancella la discussione sui vigili

Metti l’urbanistica in ghiacciaia

Stando alle dichiarazioni ufficiali della maggioranza la discussione consiliare sul quarto turno per i vigili è stata bloccata, la scorsa settimana, perché in corso c'era una trattativa sindacale. A parte il fatto che non c'è alcuna trattiva in corso - visto che i sindacati sono andati al muro contro muro con la giunta - il mistero a palazzo rimane da chiarire. Certo la trattativa in atto, pure se vera non è una motivazione sufficiente; primo perché l'aula aveva in oggetto un semplice approfondimento; secondo perché in mille altre occasioni dal parlamento al consiglio comunale si è dibattuto su argomenti che sono

oggetto di trattativa sindacale. Se fosse veramente così la vita politica ed amministrativa del Paese sarebbe paralizzata. Ma allora perché in aula non si è potuto parlare? Paura. La spiegazione starebbe lì, in quella frasetta del capogruppo di An Luca Milani: «Non vogliamo che la discussione assuma una piega demagogica». Forse perché la giunta e il vicesindaco di An Valerio Sorrentino non erano in grado di reggere il confronto verbale. Ma An non era il partito, per tradizione anche storica, di chi ha le palle? O di chi le racconta? m.m.

Ci sono voluti quasi due anni (i lavori in commissione sono iniziati nel giugno 2002) e alla fine il Consiglio regionale ha approvato la legge urbanistica destinata, almeno nelle intenzioni, a sostituire quella attualmente in vigore che risale al 1985. Ma c'è un ma. Questa legge oggi è solo sulla carta perché per il momento tutto rimane congelato nel freezer di palazzo Balbi sede del governo veneto. Il testo approvato con tutte le sue innovazioni (come quella che affida alle Province e non più alla Regione il potere di approvare i piani urbanistici dei Comuni) sarà operativo a pieno titolo solo quando, entro 180 giorni dalla sua pubblicazione, la Giunta regionale con proprie delibere avrà definito le numerose attività di indirizzo: 1) verifica di sostenibilità e compatibilità relative alla VAS (Valutazione Ambientale Strategica); 2) suddivisione dei territori comunali in zone territoriali omogenee; 3) dimensionamento dei piani e degli standard di aree per servizi; 4) metodologia per il calcolo del PAT (Piano di Assetto del Territorio); 5) specificazioni sull'edificabilità nelle zone agricole; 6) modalità di affidamento esterno degli incarichi pubblici;

7) criteri per l'omogenea applicazione della perequazione e dei crediti edilizi e dell'elaborazione del Piano Territoriale di coordinamento Provinciale). Insomma è il caso del famoso proverbio della montagna che partorisce il topolino. Questa legge - hanno fatto sapere in aula nei loro interventi i consiglieri Achille Variati e Claudio Rizzato - è un buon documento di intenti. Traspare un'attenzione nei confronti dello sviluppo sostenibile e dell'ambiente che prima era assente. Però è mancato il coraggio di definire fino in fondo la situazione. Troppa confusione tra i diversi livelli di pianificazione.” Si rimedierà, forse, tra sei mesi: 1) se il Governo regionale lo vorrà e lo potrà fare 2) se non saranno richieste altre proroghe oltre i 180 giorni 3) se non riprenderanno i veti incrociati all'interno della maggioranza. C'è da dire, inoltre, che se una volta scaduti i 180 giorni le norme di indirizzo non saranno state approvate da parte della Giunta regionale, le Province si troveranno titolari di praticamente tutti i poteri in materia urbanistica. Esattamente quello che la Lega ha sempre detto di volere come dimostrazione di avvenuta devolution.

cronaca

vicenzaabc

3

Reportage. Una giornata all’Albera: tra smog e camion a migliaia ce n’è abbastanza per diventare neri, in tutti i sensi

La rotatoria dei dannati Siamo andati a vedere come si vive con un traffico insostenibile e i Tir quasi in cucina “Cicero dice che qui l’aria è meglio di Parco Querini? Allora venga a fare jogging” Un turista si farebbe facilmente ingannare da un nome come “Albera”. Un parco? Un’antica villa immersa nel verde? Invece, nel caos di una rotatoria attraversata ogni giorno da 2500 mezzi pesanti e un numero incalcolabile di automobili, di bucolico non c’è proprio niente. Solo quintali di polveri che ammorbano l’aria. Scaffali dei negozi, a fine giornata, neri dei depositi mefitici. Mobili che nelle case si spostano per le vibrazioni al passaggio degli enormi Tir. Un rumore tale, per cui si fatica a parlare al citofono con chi abita qui. Anche Vicenza ha il suo inferno: benvenuti all’Albera. Il posto di cui tutti, da anni, sanno. Il posto per cui tutti, da anni, non fanno niente. Tutto come al solito? Non proprio. Adesso, chi vive e lavora intorno a questo esempio di inefficienza e incuria, non ce la fa più. E ha deciso di bloccare il traffico, manifestando clamorosamente in mezzo alla strada. Sono gli eventi, noti, di questi giorni. Noi abbiamo passato una giornata in mezzo a loro, ai “marziani” che vivono in questo incrocio di cinque vie. Alla fine, abbiamo raccolto rabbia, tristezza, senso di impotenza. E quello che vedete nel box a fianco. Fortunatamente, per noi sono state solo poche ore. Eppure questa gente, da anni incassa la solidarietà di chi il problema dovrebbe (e potrebbe) risolverlo. Sul Corriere del Veneto del 19 gennaio 2003, il sindaco si

dichiarava prontissimo a bloccare il transito dei Tir in Viale Pasubio. Sue parole testuali: “i cittadini respirano gas, non aria”. Ancora sullo stesso giornale il 18 ottobre 2003: “Io sto con i cittadini dell’Albera”. Anzi, si spingeva oltre: “Se non fosse comico, andrei con loro in piazza e in Procura”. “Cer to sarebbe molto meno comico se invece di tali roboanti dichiarazioni” – ci dice Giuseppe Farina, portavoce del comitato di cittadini costituitosi per salvaguardare la propria salute - il sindaco apponesse la sua firma su un’ordinanza (prevista dalla Legge) di emergenza sanitaria e ambientale. Invece, tutto quello che Hüllweck ha fatto è stato un

Al cinema con “La passione”

Pasqua con Mel Gibson: che nostalgia di Pasolini!

timidissimo intervento, nel lontano luglio 2002, in cui ha cercato di bloccare il traffico pesante dalle 22 alle 6 di mattina, senza alcun richiamo ai danni per la salute e l’ambiente. Per un vizio di forma il Tar ha sospeso quell’ordinanza. Da allora afferma di avere le mani legate. Eppure il suo predecessore Variati, il 21 dicembre 1990, aveva chiuso ai Tir Viale Dal Verme. Blocco che tutt’ora resiste. Adesso pare si muova il Prefetto Tranfaglia. Ma sono anni che incassiamo promesse. Vedremo. Intanto la protesta continua”. La rabbia della gente si percepisce palpabile. Pesante quanto le polveri che sono costretti a respirare. “Secondo l’assessore

“Fin dalle prime immagini, è chiaro allo spettatore quanto il regista utilizzi a piene mani effetti speciali già visti, ad esempio, nel Signore degli anelli. Ampiamente giustificati nel capolavoro fantasy, qui rendono la narrazione del tutto priva di spiritualità e di afflato religioso. Anche il male viene incarnato e, guarda caso, ha le sembianze di una donna con occhi di tenebra. Tutto risulta eccessivo in questa evocazione, che sembra avere l’unico obiettivo di suscitare nello spettatore forti emozioni “contro”. In primo luogo contro il vero “assassino” di Gesù, il popolo ebraico, istigato dagli anziani del Sinedrio. Ecco riapparire quindi ancora una volta la vecchia idea antisemita degli ebrei colpevoli da perseguitare. Ciò che invece impressiona e inquieta è la violenza della massa che vuole la

Cicero questa zona in cer ti momenti è meno inquinata di Parco Querini” – racconta la signora Mirella, edicolante – Mi chiedo allora perché le persone non vengono qui alla rotatoria dell’Albera, a fare jogging o a portare a passeggio i bambini. La qualità dell’aria è garantita dall’assessore Cicero”. Tutti sembrano d’accordo, anche chi all’Albera ci viene solo a lavorare e la notte dorme tranquillo a casa sua, cosa vietata a chi abita nei dintorni. “La presidente della Provincia Dal Lago dice che il progetto per la bretella che dovrebbe bypassare la zona sarà pronto nel 2005. Il che significa che, se sarà realizzata, dovremo aspettare anni. Nel frattempo – continua Farina – che dobbiamo fare con il gas che, secondo lo stesso sindaco, respiriamo ogni giorno? Con le case che perdono i pezzi per le vibrazioni?”. “Eppure - ci spiega il titolare della concessionaria Honda, a due passi dall’incrocio – con la rotatoria il traffico è migliorato. Non ci sono le code chilometriche del passato. Solo che adesso i Tir sfrecciano a velocità assurde facendo vibrare ancor di più le case”. Sono le 18, il traffico è sempre più intenso. L’aria sempre più fetida. Ma per noi è ora di andarcene. Via di qui, alla ricerca di un po’ d’aria che possa davvero chiamarsi così. Davide Lombardi

morte di Gesù. Sono passati 2000 anni da allora, mi si dirà. Eppure la mente non può non correre alle immagini delle piazze mediorientali, che quotidianamente appaiono sui nostri teleschermi; al pericolo, anzi all’assoluta certezza, questa sì molto concreta, che le masse siano preda di facili strumentalizzazioni da parte dei fondamentalismi più esasperati. Un’ultima osservazione sul nucleo centrale del film, la violenza. Che nostalgia per il pathos suscitato dalle scene in bianco e nero del “Vangelo secondo Matteo” di Pasolini…. Marina Cenzon “Un film medioevale. Esprime una concezione manichea del mondo. Pericolosa in qualche modo, perché il buono, il giusto sono soltanto da una

Reliquiariodel capo di Santa Prassede (part.), Musei Vaticani.

Mostra promossa da

con il patrocinio del Ministero per i B eni e le Attività Culturali

Bastano poche ore: siam diventati come il carbon

il traffico alle 7 di mattina e alle 7 di sera: 12 ore di caos. Il passaggio dei camion è ininterrotto.

La nostra auto alle 7 di mattina (lavata il giorno prima) e alle 7 di sera. E chissà cosa ci è finito nei polmoni

Basterà la candeggina? Anche la camicia chiara, dopo una giornata all’Albera, ha bisogno di un lavaggio a 60°

parte. Non ci sono dubbi. Solo certezze. Che paura un film così. Un film, appunto, d'altri tempi. Di tempi che sembravano sepolti e invece si rivelano paurosamente vivi e presenti. Pericolosamente presenti. E' assai negativo, mi rendo conto, caricare di così tanto significato quello che è, o dovrebbe essere, soltanto un film. Ma non è quello che il pubblico era (è) chiamato a fare? Carla Cecchini “Un film da vedere o da non vedere? Dopo averlo visto mi sono chiesto: "Dov'è il mistero?" Dov'è il mistero di Dio fatto uomo?" Non c'è Dio in questo film: c'è solo l'uomo, con la sua fragilità, la debolezza, l'umanità... Potrebbe essere chiunque.

O pere appartenenti a Fondazione G iorgio Cini, Fondazione Q uerini Stampalia, G allerie dell’ Accademia, Musei Vaticani, Museo B agatti Valsecchi, Museo Poldi Pezzoli, Pinacoteca Ambrosiana, T esoro di San Marco e altre istituzioni culturali e religiose del Veneto e della Lombardia, restaurate grazie a B anca Intesa in collaborazione con le Soprintendenze per i B eni Archeologici e per il Patrimonio Storico, Artistico e Demoetnoantropologico del Veneto e della Lombardia.

Quanto sangue! E' questo il senso del film? Se è così, che c'entra Cristo? Alberto Petronio Il film non ha provocato in me sensazioni o emozioni. Il ricorso alle immagini forti, al sangue, alla violenza non lascia spazio alle suggestioni. Si assiste al tutto senza il minimo coinvolgimento emotivo, che dovrebbe essere naturale visto il soggetto del film. Dato che la storia è assolutamente conosciuta, e non si può quindi far leva sull'attesa del finale, la tensione narrativa dovrebbe essere fondamentale per la riuscita del film, ma ciò non accade. Solo maschere di sangue sullo schermo. Gianni Saccozza

Gallerie di Palazzo Leoni Montanari Vicenza, S. C orona 25 dal 20 marzo al 20 giugno 2004 da mercoledì a domenica dalle 10 alle 18 ingresso libero

la nostra inchiesta

4

vicenzaabc

Come uscire a testa alta da una situazione insostenibile: ne parliamo con chi a Bagdad c’è stato, con chi conosce la gue

Iraq: la pace secondo Marina Cremonese, ieri in Iraq “Prima ci stimavano. Ora ci odiano”

Don Albino Bizzotto “Via subito, siamo invasori”

i testimoni

i testimoni

Don Albino Bizzotto è un prete convinto che il sentimento cristiano dell’Agapé (Caritas in latino, Amore in italiano) faccia rima, senza se e senza ma, con la parola “pace”. Vicentino, classe 1939, don Albino è sacerdote dal 1963. “Ma - racconta - la mia vita è cambiata nel 1980”. In quell’anno visita Ecuador e Brasile. “In Sudamerica sono venuto a conoscenza di una realtà diversa dalla nostra e al tempo stesso drammatica. Da quel momento non ho più potuto dire: non so, non ho visto. E per me la pace è diventata una missione”. Il 12 novembre 1985, proprio a Vicenza, lancia un appello denominato “Beati i costruttori di Pace”. Da quella prima iniziativa nasce l’omonima associazione nazionale (BCP) che ha sede a Padova. Don Bizzotto, a cui abbiamo chiesto un commento sull’attuale situazione in Iraq, ne è ancora oggi il presidente. Don Albino, che ci facciamo noi italiani laggiù in Iraq? Premetto che io, naturalmente, non ci sarei neanche andato. Ma visto che ci siamo, credo sia importante sapere i reali motivi per cui siamo lì. Per realizzare i nostri interessi? Per avere la nostra fetta della torta irachena? Il petrolio? Perché? Ce lo dicano davvero. Siamo lì in missione di pace? Ebbene, pare che la nostra “pace” sia sparare sulla folla. Una missione cosiddetta umanitaria che si trasforma in aggressione. In realtà, sappiamo ben poco di quello che avviene. E poi, sempre a proposito di domande (e di risposte che non ci vengono date): mi si spieghi perché, se siamo lì in pace, viene applicato il codice di guerra. D’accordo, ma non crede che se andassimo via sarebbe peggio? Si dice che senza di noi, gli americani, gli inglesi, tutti quelli che ci stanno, sarebbe il caos. Io credo che se levassimo le tende, intanto ci sarebbe una bella festa. Che la nostra presenza sia oggi indispensabile è una sorta di mito. Ma davvero possiamo pensare che solo le armi possano risolvere i conflitti? Che la guerra porti sviluppo e innovazioni? La democrazia? Noi occidentali in Iraq siamo un esercito di occupazione. Bisogna che tutto passi nelle mani dell’Onu. Dunque, venir via subito. Il più presto possibile. Certo che sì. L’Iraq sembra un

pantano da cui è impossibile – o perlomeno molto difficile - uscire. Eppure dei segnali ci sono eccome. La Spagna di Zapatero sta dimostrando che è possibile una inversione di tendenza. Seguiamo quell’esempio. Pare che in quel pantano nemmeno le organizzazioni umanitarie facciano più da “cuscinetto”. Nella recente escalation del conflitto – i rapimenti – sono compresi anche membri di ONG, come due dei tre giapponesi rapiti. Che ne pensa? Purtroppo, esiste una logica militare che tenta di raggiungere un obiettivo ad ogni costo. Ma bisogna fare una grande distinzione tra bersagli diretti e indiretti. Molti cooperanti, tra quelli che sono lì, hanno un rapporto consolidato con le popolazioni. Un rapporto di amicizia che consente loro di attuare strategie difensive. Poi ci sono le eccezioni, come è accaduto per i poveri giapponesi. Credo tuttavia sia una sorta di pari e patta. Sia ben chiaro: non giustifico minimamente le azioni terroristiche. Ma neanche giustifico le azioni degli occidentali. Bisogna capire – attraverso una disamina fredda – cosa sta veramente avvenendo. Andare alle cause. Non è possibile separare il terrorismo dalla guerra. La guerra ne è l’inevitabile postulato. Ma attenzione: è con la politica che si affrontano i conflitti, non con le armi. Don Bizzotto, pensa che tra Occidente e Oriente, Islam se preferisce, sia in corso una sorta di scontro di civiltà come teorizzò nel suo famoso libro Samuel Huntington? Se continueremo a perseguire un modello occidentale come quello che portiamo avanti in Iraq e in altri parti del mondo, ciò che otterremo in cambio sarà un odio sempre più grande. Questo modello dominante aizza gli estremismi, dà loro pane, permette loro di definirsi in identità assolutamente chiuse. E lo stesso, di converso, avviene tra la nostra gente. Così è lo scontro. Una nuova crociata. Ma io credo che questo conflitto sia un problema di chi ci governa. All’interno dei popoli del mondo vi è un grande accordo trasversale e una sintonia per arrivare non solo a rigettare il neoliberismo, ma anche a cercare rapporti diversi. Tutto questo sta già accadendo. Oggi prevale l’immagine dello scontro. Prevale la notizia di chi prende le decisioni dall’alto. I vari Bush, Berlusconi, Blair. Ma la realtà è ben più articolata. Il mondo non è solo quello dei politici.

Io sono molto fiducioso. Si pensi solo a quanta strada ha fatto in questi anni la coscienza di pace. Un salto culturale enorme. Un tempo, era impensabile un movimento così forte! Eppure, per tutto ciò che sta accadendo, pagheremo le conseguenze per anni. Bisogna cominciare a porre il problema della pace come responsabilità penale dei potenti. Esiste una responsabilità morale, personale e politica dei crimini commessi. Una responsabilità davanti a Dio e agli uomini. Sto parlando di crimini contro l’umanità. In nome del petrolio. Don Bizzotto, Bush non è Milosevic, crede davvero che un giorno possa essere processato per crimini contro l’umanità? Il tribunale penale internazionale è nato per questo. Lo so: Usa, Cina e Russia non vi hanno aderito. Per ora. Ma ciò che sta succedendo adesso è un orrore. Io credo arriverà il giorno in cui certi potenti verranno incriminati da questo tribunale internazionale. Ci credo, sì.

Marina Cremonese, vicentina di 30 anni, in Iraq c’è stata: e fino a poco tempo fa. Poi ha deciso di tornare a casa, a Vicenza, nel quartiere di Sant’Agostino, per riabbracciare genitori e famigliari; e nel frattempo la situazione ha cominciato a peggiorare e oggi pensa con nostalgia che, forse, non riuscirà più a rimettere piede in quel paese che l’aveva affascinata. E’ stata per due mesi e mezzo a Bagdad e per quasi sei mesi a Baquba, una cittadina del Nord Est (“ma non nel triangolo sunnita”precisa con prontezza) con un’organizzazione danese ( il DRC “danish refugee council”) che sta portando avanti un progetto di ricostruzione per i profughi. Lei - che di certo non può essere tacciata di antiamericanismo - ha una precisa idea di quello che sta accadendo: “L’atteggiamento del popolo iracheno è cambiato e questo cambiamento è avvenuto nell’arco di pochi mesi. Ricordo il momento in cui furono uccisi i figli di Saddam ( era la metà di Luglio) e a Bagdad migliaia di persone scesero in piazza a festeggiare, per tutta la notte ci furono canti e spari in aria in segno di giubilo. A metà dicembre quando fu catturato Saddam Hussein non ci furono che poche persone pronte a riprendere i festeggiamenti; gli altri rimasero per lo più incupiti nella loro paura e nella loro angoscia. In questi mesi la popolazione ha continuato ad essere contenta di non avere più Saddam come dittatore ma ha anche intuito che non era la democrazia imposta dagli Stati Uniti d’America quella che voleva. Non ha avvertito il passaggio ad una forma di governo diversa, non ha percepito la devoluzione effettiva dei poteri

Un saluto... militare da Marina Cremonese in Iraq

al nuovo consiglio di governo provvisorio. Soprattutto gli iracheni non si sono sentiti più tutelati, più garantiti. E hanno cominciato, decisamente, ad accogliere gli americani come occupatori del loro paese.” Ma gli iracheni se la prendono solo con gli americani? “Purtroppo non più: oggi tutti i rappresentanti militari dei paesi della coalizione sono visti come invasori! All’inizio gli iracheni sapevano che in Italia c’erano state molte manifestazioni per la pace e questo fatto li aveva colpiti favorevolmente nei nostri confronti, ci ritenevano veramente delle brave persone. Poi hanno capito che anche i nostri soldati facevano parte di quell’alleanza che era contro di loro, che non garantiva la loro sicurezza e hanno cambiato idea anche nei nostri confronti. Gli iracheni oggi vivono nel terrore, sanno che sono soprattutto i civili a rischiare più degli altri e non vogliono più avere nulla a

che fare con chi è responsabile di questa situazione. È fondamentale in questo momento il ruolo della religione? “Certo! Condivido l’analisi di chi afferma che oggi la comunità internazionale è priva completamente d’interlocutori attendibili al di fuori dei capi delle religioni e delle etnie dell’Iraq. E’ molto difficile intuire la reale portata delle divisioni religiose che scuotono in questo momento il paese. Con fazioni moderate e spinte che si contendono le città ed il potere… Ma è vero che oggi non esiste un potere alternativo a quello dei Mullah anche perché i membri del Consiglio di Governo sono stati tenuti in una condizione di totale vassallaggio dell’autorità Usa. E quindi hanno perso ogni possibilità di dimostrarsi in grado di condurre l’Iraq al passaggio verso la democrazia”. Federico Formisano

Davide Lombardi

le opinioni Emilio Franzina, storico e consigliere comunale di Rifondazione, attacca “il terrorismo del centrodestra”

Mentre là si muore qui si gioca con le parole Al tempo in cui le parole avevano un significato si sarebbe detto così. La guerra di aggressione scatenata dall’Amministrazione Bush contro l’Irak con l’appoggio degli inglesi di Blair e senza uno straccio di motivazioni plausibili, è stata - ed è tuttora - una tipica guerra di rapina coloniale finalizzata al controllo del petrolio, allo sfruttamento di risorse locali o localizzate (leggi ricostruzione dopo distruzione) e, in prospettiva, a esigenze di strategia geopolitica (leggi presidio del Medio Oriente e antemurale alla possibile espansione economica della Cina e dell’India). Gli Stati vassalli degli Usa vi hanno preso parte a posteriori (è la parola) infischiandosene, come i loro padroni, del diritto internazionale, dell’Onu ridotto ad una larva e, nel caso dell’Italia, anche dei rigidi divieti opposti a questo genere di belligeranza dalla propria stessa Costituzione (art. 11). Per motivi persino “privati” la crociata di Bush jr vendica l’incompiutezza di quella, parzialmente legalizzata, di Bush senior del 1991. La famiglia Bush infatti, era stata in relazioni d’affari per vent’anni con quella di Bin Laden. Non diversamente vari ministri neocons (Rice, Rumsfield,ecc.), spesso petrolieri anche loro, risultano dediti a speculazioni economiche in grande stile e tutte connesse agli orizzonti di guerra: Dick Cheney ,ad esempio, attraverso la Halliburton che controlla, è uno dei capi dell’agenzia di mercenari Brown&Root, la principale delle imprese di guerrieri a pagamento che rappresentano oggi, numericamente, la terza forza di occupazione del paese strappato al dominio di Saddam Hussein. Un dittatore senz’altro, ma con il quale gli Usa avevano intrattenuto in passato eccellenti rapporti e che per di più non aveva legami di nessun tipo col fondamentalismo religioso e con il terrorismo degli islamici radicali. La reazione innescata da più di un anno di occupazione violenta fra la popolazione civile irachena (nonchè da dodici anni precedenti di embargo ai suoi danni) e non solo, quindi, fra i nostalgici del Raìs, i bahatisti o gli uomini di Al Qaeda, assomiglia sempre di più a una rivolta di popolo (anche sciita) e si configura come lotta di resistenza a invasori stranieri. L’insofferenza dei civili nei confronti degli estranei, specie se arroganti e violenti, non è una novità nelle guerre e nei periodi di assestamento postbellici. Durante il dopoguerra seguito alla Liberazione ve ne furono parecchi esempi sanguinosi anche in Italia dove già nell’estate del ’45 furono frequenti le proteste popolari contro le truppe polacche occupanti in Romagna e dove, ancora nel dicembre del 1946, scoppiarono gravi tumulti di piazza a Padova contro le “provocazioni” dell’esercito inglese ai danni degli “indige-

ni”. Per valutare bene tutto ciò occorre dunque intendersi sul senso delle parole. E oggi se ne fa (del senso dico) strame e luame. La questione che si pone non è di carattere filologico: quando i fratelli Polo giunsero vicino a Mossul trovandovi “di tramontana… una fontana ove surge tanto olio in tanta abbondanza che cento navi se ne caricherebbono” e scoprendo che “egli non è buono da mangiare ma sì da ardere che vengono gli uomini molto dalla lunga per questo olio e per tutta quella contrada non s’arde altro olio”, non avevano più al loro seguito quei cacasotto dei frati carmelitani che ad Acri il legato pontificio (ed anzi prossimo papa Gregorio X) aveva incaricato di accompagnarli alla corte del Gran Cane. Soffiavano anche allora venti di guerra a “Bambellonia”: “per la qual cosa li due frati ebbero paura di andare piue innanzi e diedero le carte e i privilegi agli due fratelli”. Ancora si discute, fra gli esperti e maniaci, se uno dei due religiosi si chiamasse Niccolaio da Vinegia o non piuttosto, come opinava il Ramusio, Nicolò da Vicenza: prima o poi gli studiosi si metteranno d’accordo. Altra cosa che litigar sui nomi è barare però sulle parole e, dicevo, sul loro senso. Gli iracheni per il grosso della stampa reazionaria sedicente d’informazione, ma anche terzista e moderata, sarebbero tutti lieti dello stato di cose che regna nel loro paese e non avrebbero nulla a che fare con quelle canaglie dei cosiddetti “miliziani” (sciiti di al Sadr,o sunniti di Tikrit, o turcomanni del Nord ecc.) e soprattutto con la falange dei “terroristi”: costoro,infatti, sarebbero in azione o in agguato ovunque senza alcun sostegno da parte della popolazione. A parte il fatto che si vorrebbe sapere chi e perché ha suscitato o rilanciato su vasta scala con terribili ripercussioni in Occidente (vedi Madrid) le tristi gesta di questo genere di estremisti – io credo che ce ne sia anche per Oriana Bin Laden - la faccenda è però complicata, fuor dalla satira, dalla ignavia semantica, per non dir peggio, dei commentatori che da tempo ci hanno abituati, ad esempio, alla folle equiparazione, che so, dei no global e dei pacifisti alla galassia islamica del terrore. Ce n’è per tutti e pochi, nell’Italia mitridatizzata da Berlusconi, si salvano da quello che non è, si badi, un vezzo, bensì un vero e proprio delitto linguistico. Perché tanti giornalisti e cronisti si prestano a operazioni lessicali così equivoche e foriere, dio non voglia, di lutti? Una risposta ci sarà e forse la dava giusta Alberto Arbasino parafrasando in via generale, tempo addietro, un motto oltremodo appropriato dei latini: “si vis panem, para culum”. Ma per i nostri pennaioli non c’è problema e mentre restano convinti che anche quelle italiane siano truppe di pace (i 15 morti ammazzati

di dieci giorni fa a Nassirya sembrano quisquilie e la coalizione, in effetti, è riuscita a far fare pace tra loro a sunniti e sciiti: ergo…!) si esercitano frattanto nella distruzione programmata del vocabolario. Sia chiaro: personalmente non sono vegetariano e adoro anzi le chianine e le grigliate d’ogni tipo di carne. Ma cosa sta a rappresentare, di fronte alla opinabile campagna murale d’un manipolo d’ignoti animalisti attivi nei giorni scorsi nella nostra città, la maniera indecente e vigliacca con cui (alcuni) cronisti e (alcuni) politici si sono pensati di etichettare come terroristi e malviventi gli autori di graffiti e di imbrattamenti su parete anche a nostro avviso censurabili o passibili di sanzione? Ripresi dalle telecamere di Piazza S.Lorenzo costoro hanno inveito con lo spray contro una “carne omicida” in senso doppio e se la son pigliata, ovviamente, con Mc Donald’s. Pace all’anima di Scotolati e della sua rivoluzione colorista (uno dei pochi avvenimenti pittorici di rilievo da noi negli anni ’80). Sul Giornale di Vicenza dell’8 aprile scorso un articolo di Diego Neri (Filmati i vandali notturni) ha bollato i rei con parole di fuoco definendoli, senza se e senza ma, “terroristi ecologici”. Poi, come se non bastasse, ha raccolto l’illuminato parere del vicesindaco Valerio Sorrentino il quale ,bontà sua, ha inquadrato tendenziosamente il fatto in un contesto di presunta microcriminalità emergente e ha liquidato gli autori di tanto scempio come puri “malviventi”. Che sia per via delle sue competenze personali in materia di molestie notturne (e non penso solo a quelle che lo hanno indotto a candidarsi a fare il capo della polizia municipale imponendo ai vigili il cosiddetto quarto turno)? O non piuttosto perché, dopo aver messo in riga le “orde” dei mendicanti rompicoglioni (ma naturalmente quasi inesistenti), egli e con lui tanti altri si apprestano all’assalto finale alla vera decenza e al buon senso comune? Se degli scapestrati incisori di notte, come sempre nella storia ce n’è stati, possono prendersi impunemente i titoli di terroristi e di malviventi, cosa aspetterà a quelli che non la pensano, ideologicamente e politicamente, come Sorrentino e, deus avertat, come gli impavidi sostenitori delle ragioni della guerra alll’Iraq e soprattutto al suo popolo? In attesa di vedere arrestato per cospirazione terroristica e banda armata, se non di pistola certo di pistolino, il prossimo maleducato o malcapitato (meglio se tossico ed extracomunitario) colto a pisciare addosso a un lampione, attrezziamoci per fronteggiare una sempre più grave emergenza linguistica. Emilio Franzina

5

vicenzaabc

erra, con chi non l’ha mai voluta e con chi non la vuole più

o i vicentini

iÈtestimoni

Wilma Mazza due giorni di inutile attesa al confine con la Siria: “Entri solo se piaci agli Usa”

Wilma Mazza in Iraq c’è stata. O meglio, è arrivata fino al confine perché l’esercito americano non le ha permesso di proseguire. “Siamo partiti per l’Iraq lo scorso giugno con il progetto Carovana in Iraq – racconta Wilma, vicentina, rappresentante del centro sociale Ya Basta – Al progetto partecipavano anche rappresentanti delle amministrazioni comunali di Venezia e Roma e delegati delle università di Torino e Roma. Raggiunta Amman in aereo, abbiamo viaggiato in jeep fino al confine tra Giordania e Iraq. In quel momento, è giusto ricordarlo, la guerra era ufficialmente finita stando a Bush. E noi avevamo notificato il nostro passaggio a tutte le ambasciate. Ciò nonostante, dopo due giorni di attesa gli americano ci hanno fatti tornare indietro. Perché questa è oggi la

realtà dell’Iraq: a parte qualche giornalista, entra nel Paese solo chi è in perfetta armonia con gli americani. Abbiamo cercato anche di far intervenirte il nostro governo. Figurarsi.” Racconta Wilma che oggi è difficilissimo avere informazioni dall’Iraq non filtrate dagli americani e dai loro alleati. “C’è l’associazione Un ponte per Bagdad che cerca di tenere i contatti, ma la realtà è che gli iracheni non hanno nessuna possibilità di comunicare con l’esterno. Tanto per dirne una, internet è bloccato (solo i militari ne hanno accesso) e perfino i telefoni sono stati messi fuori uso: chi sta a Bagdad per esempio, non può chiamare Bassora. La qualità della vita peggiora ogni giorno. Naturale che aumenti, di pari passo, il disprezzo per gli invasori”.

le opinioni Benetti, Cisl: Pensiero “Dal petrolio alla palude” La realtà, in fondo, è molto semplice. In Iraq siamo andati con motivazione fasulle. Lo hanno chiaramente ammesso gli stessi americani. Perciò la vera motivazione era il petrolio. E il controllo del Medio Oriente. Ma adesso non è facile togliersi d’impaccio. Andarsene improvvisamente sarebbe un delitto: la prima a pagarne le conseguenze

sarebbe la popolazione. Credo sia assolutamente necessario passare i poteri all’Onu, concordando l’uscita delle altre forze. Tutto questo non risolverebbe i problemi, ma sarebbe un primo, decisivo, passo avanti verso una situazione migliore. Giuseppe Benetti segretario provinciale Cisl

UBALDO ALIFUOCO, DS

ADRIANO VERLATO, ULIVO

le opinioni

le opinioni

“Forza Europa e guai a scappare”

“La soluzione: meno America, più Onu”

Nel corso di tutto il periodo successivo alla seconda guerra mondiale, i conflitti potevano essere interpretati nel confronto-scontro tra due blocchi ideologicopolitici, tra due superpotenze che, coscienti di non potersi misurare direttamente con le armi (nucleari), lo facevano attraverso altri paesi ed altri popoli, in zone dove contrastavano gli interessi, dove le linee di confine dettate a Yalta non erano così nette o dove queste erano messe in discussione. Dopo il crollo di uno dei due imperi il quadro cambia radicalmente, le ragioni dei conflitti si allargano e il cuore dello scontro, che consisteva nel riconoscimento della superiorità della propria ideologia e del proprio sistema socio-economico, è oggi costituito dagli etnocentrismi. Le differenze economiche non bastano a spiegare ciò che sta succedendo. Non sono gli ultimi della terra a ribellarsi. Purtroppo non ne hanno la forza. La storia e la religione dei padri, le vittorie o le umiliazioni dei secoli passati costituiscono le radici profonde per declinare identità che gli eventi del secolo scorso avevano in qualche modo coperto. L’unità degli stati, sotto le grandi ideologie del Novecento, in molti casi è avvenuta con bibliche e forzate trasmigrazioni di popoli, come nell’Unione Sovietica stalinista o nei Balcani. Il fuoco delle identità nazionali e religiose ha covato dunque sotto la cenere e, dopo la caduta del muro di Berlino, le fiamme hanno ripreso ad ardere e stanno incendiando il mondo. Non può essere la risposta militare, anche se affidata ad armamenti d’incredibile superiorità tecnologica, ciò che ci aiuterà. Ma nemmeno la generica evocazione della pace, che spesso caratterizza alcuni movimenti o partiti, e tanto meno l’antiamercanismo, di cui è infarcita una diffusa cultura movimentista. Le risposte concrete vanno date a temi quali il fanatismo politico, il terrorismo, le povertà e gli squilibri economici, lo sfruttamento dei bambini e dei ragazzi a fini bellici, l’inaccettabile sottomissione della donna, l’assenza di libertà civili, ecc. Un medioevo presente che dobbiamo portare a confrontarsi con lo “stato di diritto” che, con tutte le sue imperfezioni, è cresciuto in Europa insieme con una diffusa “cultura dei diritti”. Se si potesse riscrivere la brutta

Iraq: una situazione molto difficile. Su quanto è accaduto e su quanto stà accadendo dirò alcune cose assolutamente personali. Prima dell'attacco all'Iraq mi sembrava che da parte del governo americano (non degli americani, che sono cosa diversa), ci fossero delle forzature preoccupanti. Ho fatto tifo acceso per gli ispettori Onu affinchè non trovassero armi pericolose di alcun genere che potessero giustificare un inizio delle ostilità. Purtroppo, ogni qualvolta vi era una relazione negativa sui loro controlli, i commenti del governo americano erano tali da far presagire che la guerra era comunque e oramai imminente. Una guerra è sempre orribile e oltremodo stupida, tuttavia, la velocità con la quale le operazioni si sono svolte, mi fece sperare in una rapida conclusione e nella formazione di un governo iracheno che potesse aiutare la ripresa di un paese stremato. Come tutti sappiamo il peggio venne dopo. E continua ad aggravarsi di giorno in giorno. Il nostro contingente in Iraq. Personalmente, visto come si sono comportati i governanti americani in relazione ai suggerimenti Onu, non avrei mandato alcuna rappresentanza italiana. Ora, però, che le truppe sono là, vista l'utilità delle operazioni compiute per i locali, visto che i patti vanno rispettati

storia degli ultimi dodici mesi, potremmo correggere molti errori nella posizione del governo italiano sull’Iraq, oggi evidenti a tutti. Ma ora non se ne può uscire solamente abbandonando il campo, vanificando un lavoro importante realizzato dai nostri carabinieri e dai nostri soldati, e lasciando pezzi della società locale, più deboli e indifesi, in balia dei molti professionisti dell’orrore. La storia recente dei Balcani ci ha insegnato bene che esiste un interventismo internazionale che è necessario per contrastare i massacri, e che ciò è cosa ben diversa dal concetto di guerra. Il carattere di questo interventismo è opposto a quello che ha guidato la politica del presidente Bush. Vorrei che il nostro governo rappresentasse queste aspirazioni con la massima autonomia politica ed in sintonia con la sensibilità della grande parte del popolo italiano. Vorrei che esso si battesse per un protagonismo dell’Europa dei diritti, in seno all’ONU, che imponesse politicamente di rendere attori principali i fautori della moderazione e del dialogo che sono presenti in tutti gli schieramenti, che si lavorasse per concordare un livello minimo di principi giuridici e di diritti che debbano valere sotto qualsiasi bandiera ideologica o religiosa. Mi piacerebbe che il governo del mio paese si battesse nel contesto internazionale per queste scelte, sulle quali non dovrebbe essere impossibile coinvolgere almeno gran parte dell’opposizione parlamentare in una posizione bipartisan. Perché oggi, dopo il dramma della seconda guerra mondiale, la guerra fredda, la fine dei blocchi ideologici, vi sono valori comuni che possono entrare nel patrimonio culturale di gran parte delle formazioni politiche dell’Europa. Se non si riconosce questa base di partenza non si riuscirà a contrastare l’orrore che ogni giorno si consuma in gran parte del mondo. Ubaldo Alifuoco consigliere comunale DS

anche quando farlo è difficile, vista la nostra tradizione militare che quanto a coerenza non è quasi mai stata brillante, io consentirei che il nostro contingente proseguisse il suo lavoro. Lo stillicidio continuo di vittime americane e non, l'espandersi di una guerriglia che non si sa dove porterà, mi fa ritenere che bisogna passare quanto prima il comando di tutta l'operazione all'Onu e sostituire, dove possibile, le truppe americane con altre di diversa nazionalità. Ci sono in nuce le premesse di integralismi religiosi quando è invece necessario che i riformisti laici prendano il sopravvento per evitare uno scontro di civiltà più cruento che mai. Vorrei anche rammentare ad alcuni amici di centrosinistra che non è corretto dire, ogni volta che le nostre truppe devono sparare, che siamo in guerra; si tratta solo di legittima difesa in caso di attacchi da parte di forze ostili. La situazione è, in ogni caso, molto preoccupante. Invece di una progressiva normalizzazione per il passaggio dei poteri, assistiamo ad una escalation di attacchi e imboscate, portati non solo dai sunniti, ma da sciiti, dagli ex di Saddam e, addirittura, da infiltrati islamici e da seguaci di Osama. Per l'Iraq è necessaria una nuova politica, irrobustita dall'apporto europeo e da tutte le Nazioni Unite e permeata di un gran senso di responsabilità verso una situazione che potrebbe estendersi anche ad altri paesi. Adriano Verlato coordinatore Ulivo

La guerra che non si può vincere continua da pagina 1 con quale prospettiva di pacificazione ed autonomia di quel paese; per quanto tempo; e soprattutto con che piani massicci di investimenti indirizzati allo sviluppo economico e sociale di quel paese. Tutto ciò comporta molte cose, complicatissime persino da avviare: premere con grande determinazione perché gli Usa, nel loro stesso interesse (di certo non mi auguro una loro sconfitta che avrebbe ripercussioni gravissime su tanti paesi ed economie del mondo) abbandonino l’unilateralismo, mutino strategia e facciano più passi indietro; creare le condizioni, oggi insussistenti, perché l’Onu possa intervenire sulla base di una nuova risoluzione; sollecitare l’Europa ( ed auspico che abbia finalmente un ruolo alto, adeguato alla drammaticità degli eventi), a superare le sue divisioni per garantire, nel senso che ho detto, una presenza militare e farsi promotrice di piani di sviluppo per l’Iraq; orientare diversamente la lotta al terrorismo. Il tempo stringe maledettamente, giorni da perdere non ce ne sono più. Giuseppe Pupillo

città e persone

6

vicenzaabc

Riflessioni. Un convegno al liceo Pigafetta spiega le nostre paure dell’altro

Nelle periferie rinascono dozzine di negozi abbandonati per colpa dei centri commerciali

Metti un cd nel cervello Un successone l’immigrato per capire lo straniero dietro al bancone

La diffidenza fa parte di noi ma è fondamentale vincerla Da una ricerca condotta presso gli insegnanti delle scuole italiane, la principale causa dei problemi di comunicazione che emergono tra gli alunni italiani e i loro compagni stranieri è che “gli stranieri puzzano”. Piaccia o meno, è quanto afferma la professoressa Luise, docente all’Università di Venezia. Argomento difficile da accettare, anche se sappiamo bene quanto i linguaggi non verbali condizionino fortemente la percezione che abbiamo dell’altro, e a maggior ragione se quest’ultimo è sentito come diverso da noi. La cosa avrà inevitabili conseguenze nella relazione che andremo a stabilire con lo straniero. Poiché più del 70% della comunicazione passa attraverso gli occhi, e solo il 30% attraverso l’orecchio, si capisce quanto la questione diventi importante. Allora prima “vediamo” e “ siamo visti” dall’altro – anche straniero – e poi comunichiamo verbalmente con lui. Ecco allora l’importanza di connotare subito il quadro di comunicazione interculturale. La prof. Luise parla di un “Software of the mind”, cioè di quel complesso di valori, di cui anche a livello sociale abbiamo stabilito una gerarchia, e del quale spesso non siamo consapevoli, che fa appunto funzionare – per continuare ad usare metafore prese dal lessico informatico – il nostro hard disk. Ma, ci si chiederà, come faremo a conoscere tutti i diversi softaware of the mind che ciascuna etnia possiede, dato che il Italia, e Vicenza non è da meno, su 194 paesi del mondo sono presenti 189 diverse etnie? Assolutamente impensabile. Diventa quindi indispensabile adottare un atteggiamento di reale apertura alla comprensione degli altri sistemi culturali e valoriali delle differenti etnie. Dunque si può vivere senza una lingua multiculturale, se tutti – italiani e immigrati - utilizzeremo in modo consapevole questo software of the mind per stabilire una vera comunicazione tra le culture. Parlare di comunicazione interculturale significa avere molto chiare quali sono le radici storiche della nostra cultura, ed essere aperti alla conoscenza e al con-

fronto con le altre con cui veniamo ormai quotidianamente a contatto. La scuola risulta essere a tutt’oggi il più potente mezzo per creare nei cittadini, futuri uomini di domani, questa disponibilità al rispetto e al confronto con l’altro differente da noi. Saprà la scuola italiana, in particolare, per quello che ci riguarda, quella vicentina, essere all’altezza della vera sfida di questo millennio appena iniziato?

Se i confini non esistono più Che cosa avranno pensato nel 1500 i nativi aztechi, o gli incas, degli spagnoli arrivati nel nuovo mondo? Certamente li avranno considerati dei marziani, vestiti di quell’assurda rigida struttura metallica (leggi armature) e potenti come dei” racconta il professor Alfieri dell’Università di Urbino. “Ma a loro volta i conquistadores spagnoli per molti secoli hanno considerato gli indios esseri non umani – solo con l’eccezione del grande difensore degli indios, Bartolomeo de Las Casas – quindi privi di anima, per natura schiavi.” “Allora l’idea dello straniero coincide con tutte le figure dell’alterità – continua Umberto Curi, professore di Filosofia all’Università di Padova Straniero, dal greco xenos, e quindi anche ospite, come veniva sempre considerato nella cultura classica, ma sempre anche nemico,

colui che guardiamo con diffidenza, paura, sospetto, e da cui difenderci. Tuttavia sarebbe un errore tentare di risolvere questa ambivalenza, perché lo straniero, anche se è “cattivo”, mi è necessario per affermare la mia identità. Paradossalmente noi europei cerchiamo e rafforziamo la nostra identità non con una semplicistica separazione e chiusura verso colui che è “diverso” da me, ma nel confronto, che sarà talora anche scontro, con quest’ultimo. Partendo da questo presupposto, la questione si sposta sulla necessità di capire chi è l’altro. L’altro, lo straniero: dove traccio il confine? Uno dei confini, quello più semplice da definire è l’extracomunitario. Ma tra poco, pochissimo tempo, ci ricorda Ilvo Diamanti, l’Unione Europea si allargherà a 25 paesi. E allora l’altro chi è? Dove arriva il confine? E come faremo a chiudere le frontiere agli immigrati dell’est se con questi paesi entrerà in vigore il trattato di Schengen, con l’apertura delle frontiere per i cittadini appartenenti alla comunità europea? Perciò il vero problema di chi è l’altro, lo straniero, rinvia ad una dimensione geopolitica, e lo straniero è molto più vicino di quanto noi pensiamo. I 175 milioni di immigrati, più i 25 milioni di rifugiati nel mondo, sono cifre che non hanno bisogno di commenti, perché parlano da sole. Di questi circa 27 – 28 milio-

ni sono presenti solo nella UE; l’ampiezza e la velocità, finora sconosciute di questo fenomeno migratorio globale implicano necessariamente un radicale cambiamento di strategie, di clima culturale, sociale, politico – continua Diamanti. L’Europa, tutta, ha finora risposto con azioni che hanno, senza nessuna eccezione, mirato a scoraggiare i flussi migratori, mediante politiche di rimpatrio, di chiusura delle frontiere, di emigrazione temporanea. Politiche che hanno raggiunto solo in parte il loro scopo: è sotto gli occhi di tutti l’enorme afflusso di clandestini in tutti i paesi occidentali, anche in quelli che hanno approvato le politiche più restrittive a questo riguardo. In tutta Europa le soluzioni adottate sono state quelle di attribuire solo diritti di cittadinanza relativa allo straniero, che è, e resta, lavoratore di passaggio. Siamo globali, ma non certo per le persone. Perciò non è solo la legge BossiFini ad essere pensata con l’ottica dell’emigrazione di passaggio. E’ di qualche giorno fa infatti la decisione di Blair di adottare politiche di limitazione dei ricongiungimenti per i figli degli immigrati. La conseguenza di queste politiche è lo sviluppo abnorme delle associazioni che favoriscono l’entrata dei clandestini nei paesi occidentali. Solo due cifre per avere un quadro più chiaro: passare clandestinamente dalla Cina agli USA costa 30.000 dollari; per una badante arrivare da un paese dell’est circa 3.000 euro. In tale contesto l’unica alternativa politica possibile, che deve tradursi in azioni precise di governo, è quella di trasformare lo straniero, che si guarda con sospetto e di cui si ha paura, da nemico a cittadino, persona verso la quale mostrare rispetto, apertura alla conoscenza della cultura di cui è portatore, la quale, proprio perché è differente, ci arricchisce. La sola strada praticabile è l’attribuzione larga di diritti e di regole allo straniero: solo allora egli sarà non solo uno tra noi, ma uno di noi. Marina Cenzon

L’immigrato salverà le nostre periferie? Pare proprio di sì stando a quando dicono gli esperti. “Da una parte la presenza degli stranieri, ma soprattutto la velocità dell’afflusso immigratorio, crea disagio nell’urbanistica italiana, sia relativamente al problema dell’organizzazione del territorio, sia della strutturazione degli insediamenti. E’ in tal senso che vanno i tentativi di soluzioni urbanistiche che si stanno sperimentando in città come Milano e Torino e nel Bresciano, zone, com’è noto, che detengono il primato in Italia di presenze di stranieri” afferma Marco Lanzani, docente dell’Università di Milano nel corso del convegno organizzato dal Pigafetta di cui si parla nel pezzo a fianco “Dall’altra gli immigrati sono diventati importanti in un processo di rinnovo urbano, di riuso e di conservazione: si parla in questo caso di piani terra abbandonati, di piccoli negozi falliti a causa dell’esplosione dei centri commerciali, che gli stranieri hanno trasformato, sviluppando al loro interno piccole attività commerciali nel contesto di un’economia etnica. Le modalità insediative degli immigrati, mentre da un lato stanno mutando le nostre periferie (utilizzo, spesso per necessità, di edifici dimessi o abbandonati), d’altra parte possono diventare, attraverso adeguate politiche abitative, risorsa fondamentale nei processi di riuso, di rinnovo e di conservazione, specialmente delle zone periferiche delle nostre città. In tale contesto - continua

Lanzani – diventa fondamentale ripensare i luoghi di incontro, quali piazze, centri commerciali, parchi, stazioni. Gli stranieri, è vero, rompono i vecchi schemi, quale la nostra tranquilla passeggiata nel parco, e mostrano stili abitativi, vedi ad esempio le finestre e le porte sempre aperte - ormai per noi solo una nostalgia del passato che sono l’esatto contrario della nostra privacy. Ma allora ancora una volta gli stili di convivenza sono da inventare in molte città. Non si può volere che gli stranieri lavorino per noi nelle nostre fabbriche, nelle nostre case, nei ristoranti, e che poi diventino "invisibili" durante

il tempo libero. La città di Vicenza, con la sua ordinanza antibivacchi in Campo Marzo, e con il recentissimo allontanamento del mercatino dell’est nei pressi del Foro Boario, in un contesto di periferia peraltro quanto mai squallido, dimostra proprio questo. Le badanti, coloro il cui aiuto ci è essenziale perché curano i nostri vecchi e i nostri handicappati, le releghiamo ancora una volta ai confini della città, perché il loro “mercatino” ci dà fastidio. In tal modo però la città dimostra di stare adottando politiche autoritarie, di allontanamento, di ghettizzazione dello straniero. Ma questa è solo una risposta miope e poco lungimirante ad un problema molto complesso. m.c.

RITRATTI VICENTINI

Dal Vietnam all’Odeon, che maschera ragazzi Frank Falcone, siculo americano di 57 anni, ha scampato la sua Apocalypse now per approdare a Vicenza. Oggi strappa biglietti al cinema dopo una vita da far invidia alle migliori sceneggiature Da una mitragliatrice a un’obliteratrice il passo è breve. Frank Falcone oggi ha 57 anni e i cinefili della città lo conoscono bene: da 10 anni strappa biglietti al cinema Odeon di Vicenza. Ma la sua vita avrebbe potuto essere diversa, se quella volta non avesse rischiato il tutto per tutto pur di non partire per il Viet Nam. “Sono nato e cresciuto a Philadelphia - racconta Frank - che poi significa “la città dell’amore fraterno”. Vivevo nei pressi del campus, dove frequentavo Groover Washington, il famoso jazzista e Chubby Chaker, the twist king, ch’era mio vicino di casa. Allora conducevo ogni domenica un programma radiofonico con news e hit parade dall’Italia: Zibaldone ’74. Intervistai addirittura Walter Chiari e, dato che non potevamo essere in diretta, cercai d’ingegnarmi. Stretti come sardine, chiamammo da una cabina la segreteria telefonica della radio, trasmettendo l’intervista la domenica successiva: quando si dice il genio italico! Ma ho conosciuto tantissimi

cantanti italiani, anzi, ne ho incontrati più negli Usa che in Italia: Domenico Modugno, Nilla Pizzi, Claudio Villa, Carosone, Achille Togliani, i Camaleonti, Little Tony. Tutti artisti che venivano ad addolcire la nostalgia degli italiani d’America. Philadelphia in quegli anni era splendida, attiva culturalmente e in fermento. Allora non mancavo a una manifestazione, solidarizzavo con le Black Panters…erano gli anni di Dylan e di Joan Baez. Ero un kennediano di ferro, tanto che strinsi la mano a Bob Kennedy, prima del suo assassinio nel ’68. Andai persino a Woodstock: fu una grande pioggia, un grande fango ma soprattutto grande musica: il migliore fu senza dubbio Joe Cocker. Fortunatamente, comunque, riuscii a scampare il Vietnam. Allora il reclutamento era obbligatorio, sicché, quando vennero a chiamarmi nel ’67, tentai il tutto per tutto giocando sul fatto che i miei genitori non parlavano l’inglese e dovevo prendermi cura di loro. Quando venne la polizia militare per vedere se veramente il mio patrigno non capiva una

parola gli dissero “Hei, ti è caduto il portafoglio”. Lui si girò per controllare. Fu un gran colpo, ma per fortuna chiusero un occhio e finì a tarallucci e vino… Pensare che avevo già le valigie pronte sotto il letto.” “A volte penso a cosa sarebbe successo se fossi partito. Penso ad un mio amico, una persona d’una intelligenza incredibile che tornò letteralmente distrutto. Per fortuna la vita mi riservava di meglio. Cominciai a lavorare come consulente fiscale poi, inquieto, dagli Usa me ne partii per la Germania e successivamente giunsi a Vicenza, sempre come consulente fiscale. Fu la musa del cinema a portarmi qui all’Odeon. Allora sentivo la necessità di cambiare lavoro. Fortuna volle che all’Odeon cercassero una maschera. Il primo gennaio ’94 fu il mio primo giorno di ser vizio. Immaginate la mia gioia nell’esordire con... Wim Wenders. Il mio amore per il grande schermo, del resto, ha radici lontane, nacque all’ International house di Philadelphia, dove venivano proiettati film in lingua originale: fui

letteralmente abbagliato dal neorealismo italiano. Qui all’Odeon posso dire d’aver coronato un piccolo sogno facendo la maschera. E’ davvero uno dei mestieri più interessanti al mondo: mi dà la possibilità di seguire da vicino lo scenario cinematografico e di scambiare quattro parole con i clienti. In fondo, il mio è un lavoro di responsabilità e di public relation . Io, per esempio, ho seguito sempre la politica di John Wanomaker, l’inventore dei department store: “Il mio datore di lavoro sono i clienti”, ecco perché un sorriso e due parole non guastano mai. Anzi, ho sempre mantenuto un rapporto “romantico” con il mio lavoro, come avviene per esempio in Nuovo Cinema Paradiso, perché il cinema non sarebbe nulla senza le persone; anche quelle come me, che con il loro sorriso predispongono lo spettatore ad entrare in sala. E forse è per questo che tante persone si sono affezionate a me, come io a loro, del resto. Certo, sarebbe impossibile non affezionarsi ad un pubblico come quello dell’Odeon, un pubblico colto,

fedele all’amore per il cinema, che nella proiezione cerca la bellezza artistica, non il semplice divertimento. Del resto, in che altro cinema troverei gli spettatori di qui? C’è gente che pur di non perdere un film percorre, due volte alla settimana, 20 chilometri in autostop!” Francesco Marangoni

economia e società

vicenzaabc

(di)mostriamo chi siamo Viaggio nella Vicenza che innova di Paolo Gurisatti Un sistema economico avanzato come il nostro, che può vantare secoli di storia, affronta oggi due problemi rilevanti: il primo è quello della conservazione del patrimonio di competenze tecniche e imprenditoriali accumulato in tanti anni di irresistibile ascesa; il secondo è quello dell’innovazione, della creazione di nuove filiere e traiettorie tecnologiche che sostituiscano quelle obsolete, destinate a scomparire o a diventare patrimonio di altri popoli del mondo. Su entrambi i temi si è detto e scritto molto, anche negli ultimi anni, ma si dirà e scriverà ancora, perché si tratta di questioni vitali alle quali non abbiamo ancora trovato risposte confortanti. “Il ricco Nordest” soffre più di altri la dinamica della concorrenza internazionale e i rischi di involuzione del modello “diffuso” di organizzazione delle imprese e delle industrie. Il Nordest è un sistema economico che ha costruito la propria ricchezza sul mercato aperto, non ha goduto e non gode di speciali protezioni nazionali e ha sempre seguito un sentiero anomalo di crescita, basato sulla piccola dimensione, il capitalismo familiare e il gioco della rete di distretto. In una fase di rapidi cambiamenti nella divisione internazionale del lavoro, di variazioni significative delle condizioni macroeconomiche (si pensi anche solo alla forte rivalutazione del cambio rispetto alle principali monete concorrenti, come il Bath tailandese, lo Youan o Renmimbi cinese, il Real brasiliano…) questo sistema affronta più disarmato di altri i problemi fondamentali della continuità di impresa e dell’innovazione. Bene ha fatto, dunque, il gruppo di ricerca che si raccoglie attorno al consulente e formatore vicentino Toni Brunello, fondatore dell’Atelier StudioCentroVeneto per la continuità competitiva dell’impresa, ad approfondire almeno uno dei problemi fondamentali che abbiamo davanti. Il contributo offerto dal gruppo rappresenta un tassello importante nel quadro di iniziative politiche e strategiche che dobbiamo mettere in atto per superare la crisi attuale. Brunello propone due tesi: a) in primo luogo che è necessario creare le condizio-

ni ambientali per trasformare il tema della crescita di un’impresa o del passaggio di mano del controllo aziendale come “passaggi fisiologici” dell’economia, e non invece come traumi e momenti di tensione; b) in secondo luogo che è necessario predisporre un “corpus di conoscenze” che consenta di affrontare il cambiamento in modo organizzato, non improvvisato e all’ultimo minuto, con l’obiettivo di consolidare una cultura diffusa della continuità di impresa e dell’industria sul nostro territorio. Venerdì 16 aprile alle 18, al Galla Forum gli autori presentano un libro che riassume i risultati della ricerca compiuta (Passaggi Obbligati, a cura di T.Brunello e M. Bornello, Franco Angeli). Si può essere d’accordo o meno sulle tesi sostenute dal gruppo di ricerca vicentino, ma non si può che commentare favorevolmente l’impegno profuso e gli investimenti fatti per una questione importante della collettività. Il tema della continuità di impresa (e di industria) non è infatti questione esclusiva degli imprenditori e degli eredi. Il miglioramento delle competenze tecniche, delle conoscenze tecnologiche, la conservazione della rete di relazioni personali su cui si fondano le imprese e le stesse comunità professionali di un settore, sono obiettivo importante per i tecnici e i lavoratori dipendenti. L’impresa è una istituzione consolidata nel nostro territorio e coincide sempre meno con il patrimonio di singole famiglie. Comprendere i meccanismi e i processi che consentono al sistema del Nordest di generare nuove imprese, di trasferire la componente buona del patrimonio di imprese in crisi ad altre più vitali, di costruire nuove reti di persone, nuove industrie e nuova ricchezza per il territorio è molto più che un esercizio accademico limitato a pochi esperti o un problema interno alle sole famiglie industriali. Con l’intervista a Toni Brunello e Paolo Zaramella, Vicenza ABC inaugura una sezione specificamente finalizzata a pubblicare articoli e commenti sulle esperienze vicentine di successo nella continuità di industria e nell’innovazione.

Parla l’esperto Paolo Zaramella: “Trasformiamo il problema in opportunità”

Una poltrona per due Il passaggio padri-figli spesso letale per le nostre aziende: 2 su 3 chiudono. “Rischio da evitare per 118 mila imprese” Paolo Zaramella è consulente aziendale Apco (Associazione Professionale di Consulenti di direzione e organizzazione). Esperto in continuità d’impresa, partecipa a tali progetti come stretto collaboratore di Toni Brunello (vedi servizio seguente). Con lui una chiacchierata sul principale problema delle aziende vicentine e venete: la cosiddetta “continuità d’impresa”, ovvero il momento del passaggio di consegne tra il titolare e il suo successore: 2 aziende su 3, tra le piccole e medie imprese, non riescono a superare questo scoglio e falliscono. Come risolvere questo problema che rischia di aggravare la già pesante situazione delle nostre imprese? “Quello che tentiamo di fare spiega Zaramella - è sensibilizzare il più possibile le piccole medie imprese sul problema della continuità d’impresa. Abbiamo avuto notevoli risultati in questo senso: se nel ’98 in Italia erano soltanto il 37 per cento coloro che erano a conoscenza del problema, ora secondo i dati ISPO (istituto per gli studi sulla pubblica opinione) siamo al 56 per cento. Mentre sono del mese scorso i dati di un progetto del Fondo Sociale Europeo, di cui siamo partner, che portano la cifra addirittura all’ 80 per cento. Abbiamo scoperto anni fa che nel passaggio generazionale sono due su tre le aziende che chiudono i battenti. Questo è evitabile solo con una sensibilizzazione consistente sull’argomento e con la considerazione dell’impresa come un bene sociale. A questo proposito possiamo vantare la nostra indagine “Rilancio” effettuata

alla fine del 2001 e commissionata alla Regione Veneto in accordo con Union Camere Veneto; tale indagine è stata la prima in Europa a riguardare un’intera regione e ha messo in luce che 118.000 imprese sulle 400.000 iscritte in Camera di Commercio saranno coinvolte nella continuità d’impresa entro cinque anni. E solo il 6 per cento di esse ha pianificato in maniera strutturata la successione. Questo è un dato estremamente negativo, visto che in Austria è stato rilevato che un piano per la continuità riduce del 75 per cento le probabilità di insuccesso.” La regola dovrebbe essere pianificare. “Sì. Indipendentemente dalla qualità del piano bisognerebbe essere preparati strutturalmente. Quello che è importante capire è che la successione deve essere vista non come un obbligo, ma come una opportunità di crescita dell’azienda. Stiamo tentando di battere su questo chiodo anche attraverso il linguaggio. Prima si parlava di “trapasso” in termini legali, o di “passaggio generazionale”, ma sono termini che includono dei limiti e comunque un senso di rottura. Invece, la continuità suggerisce proprio il rinnovo.” Quali i risultati dell’indagine? “La Regione Veneto ci ha incaricati di studiare un disegno legge sulla continuità d’impresa. Sarebbe il primo esempio in Europa di legge regionale sul tema. Quello che teniamo a sottolineare è che è fondamentale una formazione in questo senso. Abbiamo intervistato 100 appartenenti al settore consulenza e abbiamo scoperto che l’85 per cento lamenta una mancanza di specializzazione.

Mancano i mezzi per assistere al meglio le imprese nel rinnovo e nel rilancio. Ad esempio, si parla tanto della Cina come di uno spauracchio. In realtà essa dovrebbe essere vista come un nuovo mercato in cui agire. Come uno stimolo a rinnovarsi.” Che cosa intendete in pratica per continuità? “La capacità di avere una leadership interna ed esterna forte. Competitiva e innovatrice. Dobbiamo assistere le imprese affinché riescano a inventare qualcosa di nuovo. Si parla di continuità competitiva, in cui il gestore non sia passivo ma intraprendente e professionalizzato. Il continuatore si trova spesso ad assumersi una responsabilità che è quasi un peso verso il predecessore. Ma fare impresa significa saper guardare al mercato e, se necessario, ripartire da zero o quasi. Spesso i predecessori sono stati

Innovare? È un’arte Il guru Toni Brunello: “Imprenditori, fermatevi a pensare” C’è chi in un mondo frenetico come quello odierno propone di soffermarsi a riflettere per raggiungere il successo. Sembra quasi un controsenso, e proprio per questo Toni Brunello – fondatore dello Studio Centro Veneto e autore del fortunato Kit Brunello e di Passaggi Obbligati, che verrà presentato da Galla venerdì 16 Aprile – è stato inizialmente tacciato di essere un visionario. Fatto sta che, mentre quasi tutto il settore consulenza è in crisi, lo Studio Centro Veneto non lo è affatto. Si trova anzi a vivere un ottimo momento, forse proprio grazie alla capacità del suo fondatore di fermarsi a riflettere, guardando in prospettiva verso un futuro

vicenzaabc

la città a chiare lettere

Direttore responsabile Matteo Rinaldi Redazione ([email protected]) Davide Lombardi, Ilario Toniello Comitato editoriale Franco Candiollo, Paolo Gurisatti, Gianni Zulian Consiglio di amministrazione presidente Lorenzo Bernardi vicepresidente Matteo Salin consiglieri Marina Cenzon, Giorgio Sala, Stefano Soprana, Giorgio Stefani, PaoloTodescan Collegio sindacale presidente Margherita Monti sindaci Giampaolo Chiodi, Luigi Scarso Progetto grafico Michele Vezzaro Amministrazione ([email protected]) Gabriele De Rugna, Carla Toffolon

7

Stampa Artigrafiche Urbani Via Galvani, 30 Sandrigo (VI) - 0444 659384 Registrazione Tribunale di Vicenza n. 1024 del 7/11/2002 Abbonamento Annuale Sostenitore 50 € C.C. Postale: 37233509 Intestato a: Vicenza Abc S.c.a.r.l. Corte dei Molini, 7 - Vicenza Bonifico: Unicredit C.so Padova c.c. 19719000 ABI 02008 CAB 11802 Intestato a: Vicenza Abc S.c.a.r.l. Corte dei Molini, 7 - Vicenza Contanti: Presso la sede di Vicenza ([email protected]) Corte dei Molini, 7 - il lunedì e il martedì

di innovazione. “Rinnovarsi significa fare qualcosa che, al momento, sembri un po’ assurdo, stridente. Ma bisogna saper rischiare per andare avanti. Il nostro motto è “anticipa e capovolgi” poiché tutto ciò che inizialmente appare nuovo viene poi assimilato. Un vecchio dépliant diceva che il successo in questo senso è dato da un 51 per cento di rottura degli schemi, 51 per cento di creatività, 51 per cento di realtà e 51 di utopia: fa un po’ più di cento, ma se tutto quadra...dove sta l’ innovazione?” In pratica, quali sono i mezzi grazie ai quali ci si può rinnovare? “Lungi da me anche solo l’idea di atteggiarmi a modello, tanto meno a solone saccente nei confronti di colleghi della consulenza o del terziario, e men che meno verso gli imprenditori. Anche noi abbiamo avuto i nostri momenti difficili, come forse ogni impresa: lo dice la parola stessa, che richiama il rischio di fallire. Possiamo però, senza pretendere di trarre una regola generale, dire qualcosa di questa particolare fase, nella quale abbiamo l’impressione di toccare con mano il valore dell’innovazione. Abbiamo una buona domanda di mercato e penso che questo deri-

vi dal fatto che stiamo proponendo servizi nuovi strettamente connessi alla tematica della continuità d’impresa, ossia del passaggio generazionale. Nel rinnovarsi due sono gli ingredienti essenziali: l’incrociarsi con le nuove tecnologie e l’internazionalizzazione. E magari, fermarsi a riflettere su cosa si sta facendo. Pochi lo fanno...” Quali sono i progetti che state portando avanti attualmente? “L’e-learning applicato ai non esperti. Cerchiamo di incrociare le nuove tecnologie con la pratica quotidiana (formazione e consulenza) per aumentare la clientela raggiungibile. Importante è la ricerca di scambi fuori porta, progetti internazionali, scambi con altri territori anche se ritenuti meno evoluti (per esempio Portogallo e Grecia, ma anche paesi ritenuti più avanzati come Finlandia, Norvegia, Austria); cerchiamo di spingere all’apprendimento delle lingue di questi interlocutori, insomma si tenta di avere sempre nuovi agganci in Europa. L’importante è andare sempre un po’ più in là di quello che sembra giusto e non essere gelosi dei risultati che si raggiungono, ma diffonderli il più possibile.” s.s.

più innovatori dei loro successori. Non deve essere così.” Che cosa si deve fare per raggiungere questo scopo? “Innanzitutto bisogna che il continuatore sia affiancato e formato professionalmente. In Italia siamo ancora un po’ indietro su questo. In Spagna, ad esempio, esistono 12 cattedre universitarie di impresa familiare, mentre la Francia è all’avanguardia per il supporto per la continuità e gestione della ripresa dell’attività nei casi in cui manca il successore. L’importante è che si pensi prima alla pianificazione della continuità e solo poi alla cessione economica. E’ proprio per far sì che questa lezione sia appresa facilmente che il libro “Passaggi obbligati” non ha un taglio tecnico specialistico, ma pratico-divulgativo, per sensibilizzare a tutto tondo.” Sara Sandorfi

10 regole per fallire Ecco le “regole d’oro” di Toni Brunello per fallire nella continuità d’impresa. Leggete al contrario per evitare gli errori più classici delle piccole e medie imprese vicentine.

1)Pensare “Noi siamo diversi. Quelle cose lì a noi non capitano.”

(Mai confrontarsi con colleghi in situazioni analoghe.)

2) “Abbiamo sempre fatto così ed è andata bene. Non vedo perché cambiare. (Mai essere chiusi a un taglio anche fortemente nuovo.)

3) “Io guardo solo in casa mia.”

(Bisogna capire che la chiave della continuità è esterna: comprendere, sorprendere, deliziare il cliente.)

4) “Ho trovato l’uomo chiave. Costerà, ma risolve tutto.

(Mai mettersi ciecamente nelle mani dei consulenti.)

5) “Quello che insegna a me a fare impresa non è ancora nato.

(Confondere l’esperienza d’impresa con l’esperienza di saperla trasmettere: non sapersi avvalere di consulenti esperti e non presuntuosi)

6) “Un progetto anche per la trasmissione? No grazie, qui si deve navigare a vista. (Non creare un piano evolutivo, consapevolmente pilotato.)

7) “Tutto sommato, siamo più avanti noi.” (Nell’era della conoscenza presumere di sapere già tutto.)

8) “Non vedo, non sento, non dico quel che lui fa che io non avrei fatto.” (Essere gelosi dei continuatori dei loro successi e risultati)

9) “La forma organizzativa è tutto.”

(Considerare le strutture e le procedure prima delle persone.)

10) “Meglio che banca, commercialisti e consulenti non si parlino tra loro.” (Non individuare sin dall’inizio un regista per governare la continuità).

8

cultura

vicenzaabc

“Sostituisce la radio”

Hacker, musicisti, produttori e negozianti sul futuro delle canzoni: “Dite addio al Cd”

Toh, i negozi non temono la rete: “È un aiuto alle vendite”

Fare, ascoltare (e rubare) musica ai tempi di Internet

Da Radio Varsavia a Casa del Disco critiche alle grandi case “Offrono poca qualità”

Dura la vita di chi vende musica. Se le case discografiche lamentano un crollo delle vendite, i primi a rimetterci sono i negozianti. Vicenza ne è un esempio dato che, a parte qualche eccezione, il rivenditore di musica è ormai più un negozio di telefonia. “La gente fa bene a scaricare – dicono Luca Romelli e Varner Zanon di Radio Varsavia - La crisi non è certo data da questo. Anzi. Una volta c’era la radio a divulgare le novità, ora la radio è pressoché inascoltabile; il suo posto è stato preso dalla rete. Il problema è il prezzo. Starebbe alle case discografiche abbassarli”. Nemmeno alla Casa del Disco – da poco rinnovata e divenuta anche rivenditrice di telefonia mobile – accusano i famosi Mp3: “Certo, come tutti gli abusi possono essere dannosi, ma sono solo un capro espiatorio. La verità è che non si può continuare a drogare il mercato con prodotti che non valgono. La maggior parte dei pezzi che vengono buttati in radio durano due-tre settimane. Solo il prodotto valido vende: Vasco Rossi in un giorno è esaurito. E la classifica dell’anno vede al secondo posto un classico come Guccini, una bella novità come Norah Jones e la sempreverde Mina.” L’album di Vasco Rossi è già esaurito anche al Saxophone. La conferma che il vero fan il cd lo compra, non lo scarica. “I classici che vanno sempre ci sono. Tuttavia bisogna proporre qualcosa di originale. Infatti i grandi centri – come la Virgin – sono in crisi perché non offrono una differenziazione del prodotto.” Internet è colpevole? “Sì e no. Le case discografiche dovrebbero correre ai ripari, invece mettono in commercio tutto a prezzi esorbitanti. Si danno la zappa sui piedi. Uno studente non può permettersi una spesa di 20 euro per dieci, dodici canzoni..” Assolta la musica scaricata. Colpevole la poca intelligenza economica delle case discografiche. s.s.

Gli smanettoni: “Piratare canzoni non è mai stato così facile Ecco perché combattere il fenomeno è una battaglia inutile” La generazione Internet può stare tranquilla. E’ del 3 Aprile la notizia che scaricare musica o video per uso personale non è più sanzionabile nemmeno con un’ammenda amministrativa. La legislazione italiana si è di fatto messa sulla scia della normativa europea che sancisce soltanto l’utilizzo di tale materiale a scopo di lucro. Tuttavia, non sarà certo la nuova normativa ad interrompere i dibattiti che, ormai da qualche anno, si animano sull’argomento. E’ giusto scaricare musica? Se sì fino a che punto? E quali sono le conseguenze? Uno studio universitario americano ha confrontato le vendite dei cd con i dati dei brani scaricati: la condivisione di musica su internet non danneggia, se non in maniera impercettibile, il mercato discografico. Allora perché ancora tanta diffidenza? Nel parliamo con Piero (ma il nome è di fantasia: il nostro interlocutore lo pretende, almeno finché la legge in materia non sarà trasparente). Piero è un consulente informatico, ma al di fuori della sua professione avrebbe tutte le carte in regola per fare l’hacker. Uno di quelli che attraverso Internet arrivano ovunque, anche sfondando le porte (virtuali) di casa altrui. “Il problema sta nel capire che l’utente telematico che scarica musica non è un acquirente perso – spiega Piero. Innanzitutto l’appassionato di musica sa bene che ciò che viene dalla rete non ha la qua-

lità del prodotto originale. Diciamo che un cd autoprodotto fa oggi le veci dell’audiocassetta di una volta. Prova ne è che l’album di Vasco Rossi – in rete dopo sole tre ore dall’uscita nei negozi – non ha visto la vendita risentirne”. La legge tuttavia ha cercato di intervenire. Tutti ricordiamo l’estinto Napster. “Napster in realtà non è stato chiuso. Al processo si è giunti ad un accordo. Chi lo ha creato e messo in rete è stato poi assunto da una grossa ditta per studiare modelli di condivisione simili. Anche la legislazione è poco chiara. I processi poi, sono cause perse e spesso si interrompono. Il reato non sta nel possesso di materiale non ufficiale, ma nella sua diffusio-

ne”. Oggi tutti usano i programmi di condivisione. “Ma anche qui è difficile per le autorità agire. Un programma come Win-mix o eMule o Kazaa (i “sostituti” di Napster più diffusi) non mettono in rete materiale illegale. Anzi. Mettono semplicemente a disposizione altri terminali. Nel momento in cui si utilizza tale sistema, si mette in condivisione una parte del proprio hard-disk che risulta, per così dire, in chiaro. Il sistema fa sì che si possa attingere alle cartelle di tutti coloro che sono connessi in quel momento. Si arriva fino 100.000 utenti che scaricano alla pari. Quello che è importante capire è che non è Winmix o chi per esso a mettere a dis-

posizione il materiale. Ciò che si scarica proviene da altri pc.” Con i conseguenti rischi. “Purtroppo, la stragrande maggioranza delle persone che ne fanno uso credono di scaricare da Internet. Non è così. Se non ci si tutela si va incontro a vari problemi di sicurezza. Esistono sistemi “spionistici” di facile diffusione chiamati Troyan Horse, il cui funzionamento è quello di una microspia. Permettono di penetrare nell’hard disk del malcapitato senza che l’utente se ne accorga. Il funzionamento del Pc rimane invariato ma la “spia” può trasmettere o variare qualsiasi dato.” Come tutelarsi? Esistono programmi chiamati FireWall che tutelano l’utente. Ma le persone sono disinformate e non possiedono nemmeno il minimo presupposto tecnico per tutelarsi. Motivo per cui, ad esempio, non ci si fida del pagamento on-line, quando esso è in realtà più sicuro del più comune Bancomat.” Ci vorrebbe una maggiore informazione. “E’ giusto che Internet prenda il posto di altri sistemi di condivisione. È il più grande mezzo pubblicitario al mondo. Il passaparola telematico è la grande forza della rete: permette la trasmissione di informazioni e materiale a distanza di migliaia di km e ad una velocità che nessun altro mezzo possiede. Tutto sta nel difendersi dai rischi che si corrono con i semplici programmi che sono a disposizione.” Sara Sandorfi

I gruppi emergenti vicentini: “Sì ai pezzi scaricati gratis se poi portano le persone ai concerti”

Metti i Beatles ai tempi di Napster

Un cd in negozio costa attorno ai 20 euro. Ma per ottenere il prodotto (registrare le canzoni, produrre il packaging e operare il marketing) la casa discografica non spende più di 1,5 – 2 euro. A guadagnarci sono in molti, probabilmente in troppi: l’editore, la casa discografica, la Siae, il commerciante ed infine, chiaramente, l’artista. L’artista ultimo della lista e non a caso: su quei 20 euro il guadagno medio è di 1,2 euro. Un misero 6%. A completare il quadro della situazione si deve aggiungere il fenomeno pirateria: tra la musica scaricata praticamente a costa zero e quella venduta agli angoli delle strade a prezzi notevolmente ridotti (in media un cd piratato ce

lo si mette in tasca a 5 euro, non di più), succede che operazioni commerciali e di promozione delle grandi case discografiche internazionali risultino essere dei giganteschi flop. Un esempio su tutti: “Body Language”, l’ultimo album di Kylie Minogue, ha venduto 150.000 copie in tutto il mondo. Un nonnulla, a fronte di un’attività di promozione e marketing costata milioni di euro. Un evento, questo, che lo scorso anno ha segnato l’inizio della fine di un’era, quella del cd. Le case discografiche piangono ed i pirati ghignano, quindi. “Io sto dalla parte dei pirati”, dice Umberto Smaila, ex leader dei Gatti di Vicolo Miracoli, ex conduttore del fortunatissimo show Colpo Grosso e oggi

show man e produttore. Scendendo dal palco dopo un coinvolgente live, in un locale della provincia, spiega “Se il fenomeno pirateria esiste è perché il mercato musicale è malato. I prezzi dei cd sono gonfiati dalle case discografiche che non fanno altro che lucrare a discapito dell’artista. Il futuro della musica sono i concerti live”. Della stessa opinione anche Cristian Cortellazzo, voce dei Mistonocivo, gruppo vicentino emergente con tre cd alle spalle: due autoprodotti (il primo e l’ultimo) ed uno prodotto dalla Virgin Records. “Il vero danno la pirateria lo provoca alle case discografiche, non all’artista. Il guadagno di un artista dalla vendita di un cd è minimo. Per questo fiori-

scono le etichette indipendenti e le autoproduzioni, dal momento che al giorno d’oggi è possibile fare un cd in casa propria, con un buon PC”. In effetti i cd di etichette indipendenti costano veramente meno, in negozio si trovano a 14 euro circa. Ma Internet è il vero veicolo futuro della musica perché, dice Cristian, “il cd è solo un supporto; quello che facciamo è

quello che siamo dal vivo: la musica. Più gente scarica le nostre canzoni e più siamo felici, perché probabilmente verranno poi a sentirci suonare”. Il futuro della musica insomma è la rete globalizzata, entro breve tempo si potranno scaricare le canzoni, autoprodotte ed immesse nel Web direttamente dagli artisti, pagando una cifra irrisoria pari a circa 1 euro. E buona parte di questa cifra andrà direttamente ai cantanti, tagliando cosi’ quella catena pazza, fatta di tanti, troppi anelli, in cui gli ultimi a vedere i soldi sono proprio gli artisti ed i primi a doverli sborsare i consumatori. Anna Manente

7 sicure promesse (e realtà ) delle band di città e dintorni

La hit parade del sound Sinergia Vicenza, 1998

Genere: ethno popular funk Discografia, premi, concerti 2000: premiati dall'Accademia di Sanremo e seguito dal " Sanremo Rock & Trend" come migliore band. 2000: Telegatto di Tv Sorrisi e Canzoni 2001: rappresentano la musica italiana alla “Festa della Musica” ad Annecy, Francia

Mistonocivo Vicenza, 1996

Genere: xover, contaminazioni musicali rock, metal Discografia, premi, concerti Tre CD pubblicati: Mistonocivo, 1997, autoprodotto; Virus, 2002, Virgin Records; Edgar, 2004 autoprodotto, nei negozi dalla scorsa settimana. Spalla a Lenny Kravitz, Limp Bizkit, Audio Slave, Zucchero, Marlene Kunz

Vertical Vicenza, 1999

Genere: musica strumentale, acid jazz, funk, blues

vicentino

Discografia, premi, concerti Terzi alle finali regionali del concorso Arezzo Wave Veneto (2003). Nel 2002 spalla ai James Taylor Quartet e ai Sud Sound System. Stanno lavorando al loro primo CD.

a Bassano, Mestre, Padova. Nel giugno del 2003 esce "Quatro toki a Bassamba", mini cd prodotto da Carlo Casale (Carlito) e dai Bloko stessi, che contiene anche un mini film.

Vibra Vicenza, 1999

Bluesmakers Vicenza, 2001

Genere: rock alternativo Discografia, premi, concerti Nel 2001 esce il loro primo cd, Disturbi, distribuito dalla Self. Stanno lavorando alla loro seconda produzione. Premio per la critica al concorso “Voci per la libertà” di Villadose (Ro)

Bloko Maranhao Bassano del Grappa, 2002

Genere: 18 percussionisti suonano sul palco o in movimento samba e batucada brasiliana Discografia, premi, concerti Dal vivo in diversi locali della regione

Genere: blues elettrico. Propongono brani di Jimi Hendrix, Kenny Wayne Shepherd, Robert Johnson, Muddy Waters, BB King e John Lee Hoocker. Discografia, premi, concerti Cd “Blues for Stevie. A Tribute to Stevie Ray Vaughan”

Take Away Vicenza, 2003

Genere: rock elettronico Discografia, premi, concerti Demo Take Away. Il 30 maggio uscirà il loro primo vero cd, Sostanza acustica, mixato da Frankie HI-NRG MC, prodotto dalla Bass Department

Il discografico: il futuro è “fai da te” Alberto Angeli, vicentino di 29 anni con una laurea in Economia e Finanza Internazionale e specializzazione in Music Industry Management, è uno dei due titolari di Angels Conspiracy Network, etichetta indipendente nata nel 2003, che fornisce prodotti e servizi legati al mondo della musica e dell’entertainment. Gli abbiamo chiesto di chiarirci le idee riguardo la situazione del mercato musicale. “Sicuramente non è delle migliori, ma tutto è in evoluzione e destinato a cambiare. Le majors controllano circa il 75% dell’intero mercato internazionale ed essendo dei “goliath” del settore devono ridimensionare il budget. Questo vuol dire tagliare personale ma specialmente diminuire investimenti su nuovi artisti e prodotti.” E per quanto riguarda le etichette indipendenti? Le indipendenti, per problemi di struttura e di budget, hanno sempre avuto la tendenza a specializzarsi in generi di nicchia, coprendo piccoli settori del mercato discografico con pochi ma fedeli clienti. La loro struttura è snella, abituata a creare nuove strategie di vendita per rimanere a galla. La velocità di adattamento ai nuovi supporti digitali per loro è più immediata: ogni etichetta indipendente ha la propria strategia per combattere la pirateria che, anche se ha provocato considerevoli danni non da sottovalutare, non ha comunque condizionato totalmente il loro futuro come per le major”. A scaricare musica da Internet si risparmia, ma la qualità del suono dei cd fai da te è sicuramente inferiore. Perché allora quasi nessuno compera? “Perché gli ascoltatori di nuova generazione hanno perso la mania feticista di collezionare il prodotto musicale. Penso che la maggior parte delle persone che acquistano musica non siano dei “ricercatori attivi” cioè delle persone con una forte passione per la ricerca di nuove realtà musicali. La maggior parte sono “ascoltatori passivi”, indotti a comprare album esclusivamente dai bombardamenti pubblicitari. A mio avviso manca un interesse e una coscienza culturale di base per la musica in Italia. Scaricare la musica da Internet è semplice, gratuito ma illegale e scorretto per il futuro della cultura musicale di tutti i popoli. Come cambierà il mercato della musica, nel prossimo futuro? Penso che non esisteranno più negozi di dischi e formati di supporto per la musica. Si venderanno principalmente canzoni singole in formato mp3 da scaricare da portali musicali a pagamento e Dvd con contenuti audio/video. Il costo di ogni singola canzone sarà decisamente abbordabile ed una percentuale degli introiti andrà direttamente all’artista e all’editore del brano. La mia speranza è che chiunque decida di scaricare una canzone non a pagamento da Internet, si renda conto del danno che sta apportando alla cultura musicale ed al futuro degli artisti. a.m.

Related Documents