Vicenzaabc N. 3 - 2 Aprile 2004

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vicenzaabc la città a chiare lettere

venerdì 2 aprile 2004, numero 3, anno III

SETTIMANALE DI INFORMAZIONE, CULTURA, POLITICA, ASSOCIAZIONISMO, SPETTACOLO Editore: VicenzaAbc scarl, Corte dei Molini 7, 36100 Vicenza. Partita Iva 03017440243. Telefono 0444.305523. Fax 0444.314669. E mail: [email protected]. Spedizione in abbonamento postale 45% Comma 20/B, legge 662/96 - DC Vicenza Redazione: Corte dei Molini 7, Vicenza. Telefono 0444.504012. Fax 0444.314669. E mail: [email protected] www.vicenzaabc.it

Inchiesta. Primari cacciati, tagli milionari: ecco cosa succede

San Bortolo tra utopia e realtà di Andrea Tramarin* Il San Bortolo moderno è stato ideato da Igino Fanton, un amministratore illuminato che ha dato, prima di tutto, un ruolo all’ospedale. Fu durante gli anni settanta, infatti, che furono attivate tutte quelle specialità ancora assenti nei poli universitari vicini: la Chirurgia maxillo faciale, l’Ematologia, la Fisiatria e molte altre ancora. Il fatto di avere un ospedale dotato, come si usa dire nell’odierno politichese, di “centri di eccellenza” era, ed è evidentemente ancora oggi, qualcosa che soddisfa la psicologia dei vicentini. Furono quelli gli anni che il prof. Dini, uno dei decani ed ex-primario di questo ospedale, definisce ancora come i “golden twenties”. Il San Bortolo non solo prese forma, ma assunse anche un ruolo ed un peso nel panorama della sanità veneta. In effetti, la sfortuna storica di questa città è quella di essere sempre oscurata dalle più blasonate città vicine che, nel caso della sanità, sono pure due poli universitari. D’altra parte, perché mai Vicenza non dovrebbe avere un ospedale di rango? Il San Bortolo, bene o male, è il punto di riferimento di un territorio vastissimo. E c’è in questa città un umore, un vigore, un’ inventiva, un sangue e dei muscoli che in certe metropoli non possono neppure sognarsi. La recente storia del san Bortolo è stata caratterizzata da alcuni leitmotiv che, tediosamente, sono stati ribaditi per mesi nella stampa locale: il buco nel bilancio, la bocciatura del piano industriale, il commissariamento. A mandare in rosso il bilancio dell’ospedale sarebbero state diverse iniziative, tra le quali, l’acquisto di una attrezzatura d’avanguardia per il trattamento dei tumori: il cyberknife, una tecnologia unica in Europa. La bocciatura ha riguardato, e in un certo senso umiliato, anche la città stessa ed il suo ruolo. Il peso di una città in un ambito regionale, come quello sanitario, non è certo un aspetto trascurabile. Non si tratta infatti dell’identità da campanile. E’ l’efficienza dei sistemi di allocazione delle risorse della regione e la copertura del territorio ad essere posta sotto la lente d’ingrandimento. Il San Bortolo ha recentemente vissuto un inattesa rivoluzione: da

una politica di investimenti e di crescita si è passati ad una politica di austerità e di contenimento della spesa. Un passaggio dal mondo della fantasia a quello della realtà. L’entusiasmo e la voglia di fare che la precedente amministrazione aveva creato sono ormai solo un ricordo. Purtroppo, in queste cose bisogna essere più realisti del re e una cosa è certa: le regole attuali danno ragione a chi, nel bene e nel male, tiene fede al mandato che gli è stato conferito. Chi investe in sanità trova sempre popolarità e consenso. Chi risparmia, o cerca di razionalizzare l’esistente, invece, si ritrova ad interpretare un ruolo oscuro ed impopolare. Alla domanda sulla bontà dell’attuale e trascorsa amministrazione del San Bortolo non c’è quindi risposta. Sono le regole generali del sistema che vanno cambiate. Non esiste, infatti, un modo oggettivo per giudicare l’operato di un direttore generale e non c’è alcun equilibrio, a tutt’oggi, tra il potere sanitario regionale e il potere sanitario locale. Un bilancio, poi, non è certo un parametro che, da solo, possa bastare a definire come efficace la gestione di un ospedale. Paradossalmente, infatti, per mantenere un bilancio in pareggio può bastare, in teoria, un atteggiamento improntato alla totale indolenza ed alla più completa passività. Bisognerebbe, quindi, ripensare al modello di valutazione degli ospedali rendendolo più trasparente e democratico. Una pagella con voti e materie, così sono valutati, ad esempio, gli ospedali in Inghilterra. Se i direttori generali fossero giudicati sulla base della riduzione delle liste di attesa, sulla qualità del servizio alberghiero, sull’igiene dell’ospedale; se fossero resi espliciti il numero degli interventi chirurgici saltati, la prevalenza delle infezioni ospedaliere, la soddisfazione degli operatori sanitari (anche i dati sull’assenteismo sarebbero sufficienti a tal scopo); se al posto della spesa sanitaria calcolata sul numero di abitanti ci fosse la misurazione del reale fabbisogno finanziario di un ospedale; beh, allora si, si potrebbe cominciare a ragionare e ciò che sembra utopia potrebbe essere, chissà, una realtà. *infettivologo ed economista sanitario

Stanno distruggendo

l’ospedale Servizi a pagg. 4 e 5

Cos’altro potrebbe turbare il sonno ai vicentini preoccupati per lo stato di salute della Sanità, oltre ai tagli sulle spese correnti, la riduzione di investimenti, le polemiche infinite tra primari e direttore generale? Ad esempio, la presenza in città di un cacciatore notturno di ambulanze che con la sua auto si incolla dietro alle sirene e, con spericolate manovre, tenta poi di bloccarle lungo la strada. Stiamo parlando del misterioso pilota di una coupé rossa che in queste notti d’inizio primavera (l’ultima lunedì scorso) si apposta davanti al Pronto Soccorso del San Bortolo. Motore acceso, mano sinistra saldamente sul volante,

Incontri ravvicinati del terzo tipo. Da qualche giorno i mezzi di emergenza del San Bortolo sono tallonati da una coupé rossa che non c’è modo di seminare

L’incubo notturno delle ambulanze destra sul cambio pronta ad ingranare la prima, appena l’ambulanza esce con i lampeggianti accesi, parte la caccia. E così che un’uscita di servizio si trasforma in una sfida all’ultimo pistone, tentando di seminare il cacciatore che insegue, affianca, precede l’ambulanza frenando e accellerando all’improvviso per cercare di

bloccare i poveri sanitari del 118. A raccontare il bizzarro episodio sono gli stessi operatori del servizio, preoccupati dalla sfida lanciata dal fantasioso emulo del film Duel. “Gli autisti dell’ambulanza fanno di tutto per seminarlo e per far perdere le proprie tracce. Ma una volta rientrati in sede l’uomo è di nuovo lì, appostato nell’ombra –

questa volta a piedi – ad attenderli. Il singolare personaggio si è avvicinato ma appena l’autista gli ha rivolto la porola chiedendo chi fosse, ha girato i tacchi dandosela a gambe” raccontano al Pronto Soccorso. “Ancora non siamo riusciti a scoprire esattamente chi sia. Ma abbiamo allertato la Questura, che ci ha tranquillizzato: pare si

tratti di una persona ben nota ai servizi psichiatrici, convinto che le ambulanze siano navicelle aliene e che l’ospedale faccia da copertura ad una base marziana. Insomma, nulla di cui preoccuparsi veramente”. Si rasserenino dunque i vicentini, il “cacciatore” non è certo il più grave dei problemi che assillano la sanità.

questa settimana

politica

cronaca

dibattito

ritratti vicentini economia

cultura

Alta tensione per l’Alta velocità

Pensionati “Contro Silvio serviamo noi”

Il quarto potere dello smog

Giorgio Casara il prof più amato dagli studenti vicentini

Vicenza riscopre la campagna

“Goffredo amico mio” Giulio Nascimbeni racconta Parise

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Rossi ci prova con la velina Il presidente di Aim “sgrida” il Giornale di Vicenza ma viene sbugiardato Ha appena promesso un grande accordo con l’Agsm di Verona, ma sarebbe bene che cominciasse col mettere d’accordo se stesso. Giuseppe Rossi, presidente di Aim, è riuscito a litigare con se stesso, con il Giornale di Vicenza, con Silvio Fortuna e con il suo partito, Alleanza Nazionale. Contemporaneamente. Tutto nasce da un pezzo scritto dai consiglieri di centrosinistra Ubaldo Alifuoco e Marino Quaresimin e pubblicato dal Giornale di Vicenza. I due, che hanno spulciato nei bilanci di Aim, evidenziano i loro dubbi per una situazione non proprio rosea. Al pezzo segue una reazione - a dir poco scomposta - di Giuseppe Rossi, che dopo aver letto le osservazioni di Alifuoco e Quaresimin avrebbe preso carta e penna e scritto una lettera sdegnata non già alla redazione, a Quaresimin o ad Alifuoco ma all’amministratore delegato del Giornale di Vicenza, Alessandro Zelgher, lamentando una presunta informazione scorret-

ta e puntando l’indice sul direttore, Giulio Antonacci. Colpe che Antonacci si scrolla facilmente di dosso: a controbattere la tesi del centrosinistra sulla questione Aim, il suo giornale ha dato spazio nella stessa pagina all’assessore al bilancio del Comune Carla Ancora (forzista), a un comunicato delle municipalizzate e a una lunga intervista allo stesso presidente Rossi (che tra parentesi, con un ardito paragone, aveva confrontato Aim e Parmalat). A far infuriare tutti però non sono solo gli ingiustificati lamenti di Rossi ma anche e soprattutto l’indebita pressione sul dirigente dell’Athesis, la società editrice del giornale. Pare che Rossi sia diventato “rosso” (il che è tutto dire per uno di Alleanza Nazionale) quando gli stessi esponenti del suo partito gli hanno fatto notare di essersi mosso come un elefante nella cristalleria. Al che, il coraggioso presidente delle Aim avrebbe sbugiardato se stesso

scaricando la colpa sul suo consigliere (e, a suo dire, vero autore-ispiratore della lettera), Silvio Fortuna. Sparare su Fortuna è facile e ingeneroso: l’imprenditore vicentino (amministratore delegato dell’ArcLinea di Caldogno) sta passando un momentaccio: non solo per la situazione in Aim ma anche per essersi schierato contro Montezemolo e Calearo in Confindustria. Scelte che oggi gli fanno traballare poltrone e carriera politica. In questo senso, l’imbarazzante lettera inviata all’amministratore delegato dell’Athesis sarebbe dunque l’ennesimo affondo di Fortuna nei confronti di Massimo Calearo, presidente dell’Assindustria vicentina (azionista di riferimento del Giornale di Vicenza). In ogni caso, lo scivolone ha provocato più di qualche nervosismo anche ai piani alti di An. Una tirata d’orecchio per i protagonisti - assicurano i ben informati - è assicurata.

sette giorni di politica

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Intanto l’Aim tiene banco: l’alleanza con Verona, presentata qualche giorno fa, resta ancora un mistero

Alta Velocità: Cicero va di corsa ma i sindaci fermano il treno Tapparello e Cicero contro gli amministratori dell’Area Berica che hanno ricorso contro la procedura velocizzata per il Tav: la paura è quella di indispettire il ministro dei Trasporti Lunardi e soprattutto di perdere i finanziamenti legati alla grande opera Alta velocità e Aim sono stati i grandi temi dell'agenda settimanale della politica vicentina. Ma è il progetto del supertreno che, in questi giorni, registra le novità più importanti.

Alta velocità: sindaci contro locomotori Il Tar del Lazio la settimana scorsa è stato chiaro. Entro una ventina di giorni si saprà se sulla applicazione della legge obiettivo alla Verona-Vicenza-Padova esistono profili di incostituzionalità. In soldoni si saprà se sul percorso occidentale della tratta veneta dell'alta capacità si potrà far valere la procedura sprint scelta dal Gruppo Fs o se i rilievi mossi dalla conferenza permanente dei sindaci dell'area berica verranno presi in considerazione proprio dalla magistratura amministrativa, che potrebbe chiedere l'intervento dell'Alta Corte. Questa decisione potrebbe cambiare completamente lo scenario sulla Tav, che attualmente pende dalla parte del Gruppo Fs, il quale non ha mai gradito le resistenze incontrate nel Padovano, nel Vicentino e nel Veronese. Resistenze che hanno impedito al gestore ferroviario di presentare un progetto che invece è già pronto per il resto della tratta Milano Venezia. L'ipotesi però che Tar e Corte costituzionale surgelino il contenzioso mettendo a rischio la prosecuzione della progettazione, ha fatto imbufalire il presidente della commissione Territorio Beppe Tapparello (An), che come il suo compagno di partito Claudio Cicero (assessore ai trasporti) non condivide che i comuni della cintura berica (della Cdl, come dell'Ulivo) abbiano ricorso contro l'applicazione della legge obiettivo al progetto voluto dalle Ferrovie dello Stato. La questione è complessa. Sia Vicenza, sia i comuni dell'hinterland hanno sposato un progetto alternativo che prevede la realizzazione di un tunnel sotto il capoluogo che si ricollega poi a Torri in direzione

Padova e ad Altavilla in direzione Verona. Conferenza e capoluogo sostengono che l'opera (800 milioni di euro in preventivo) è assai meno invasiva sul piano sociale ed economico, perchè l'interramento - sostiene il consulente scientifico della conferenza Erasmo Venosi - eviterebbe sventramenti inimmaginabili ed un uso quanto meno poco assennato delle risorse del territorio locale. Cicero ed il consiglio comunale del capoluogo sono sempre stati su una posizione simile, ma quando si è passati al ricorso al Tar (a Roma pare che ci siano buone possibilità l’applicazione della procedura sprint sia messa in un angolo), la maggioranza non ha gradito. Cicero soprattutto teme che un affronto del genere possa indispettire il ministro dei Trasporti Lunardi, il quale potrebbe essere meno propenso ad aprire i cordoni della borsa per il progetto meno impattante e per dare l'ok a quello di Fs, che costa la metà. Il fatto è che Cicero non lo ha mai detto apertamente, ma teme che una volta bloccato l'intero progetto Vicenza dovrà dire addio anche alla nuova stazione e ai finanziamenti che rimarrebbero impigliati all'opera principale e che potrebbero essere adoperati per opere da realizzare in città.

Ma Cicero non vuole perdere il treno Ma a che cosa servirà realmente il supertreno? Inizialmente si doveva trattare di una linea che avrebbe garantito sulle direttrici principali (Napoli-Roma, Torino Trieste in primis) collegamenti ancor più rapidi degli attuali Eurostar. Insomma treni che si voleva assomigliassero un po' nelle prestazioni ai Tgv francesi e agli Ice tedeschi. Poi però il super treno Tav (treno alta velocità) è diventato un sogno troppo costoso, sicché dal cilindro di Fs è uscita la Tac (treno alta capacità). Un treno che possa garantire medie un po' più elevate, un alto flusso di passeggeri e merci. Ma quali sono le differenze allora tra risistemare l’attuale linea e

costruirne una nuova se non c'è bisogno di grosse punte di velocità? "Non vorrei mai - sottolinea Venosi - che alla fine della fiera il gioco sia semplice. Le proiezioni sugli aumenti dei viaggiatori e delle merci presentate per il prossimo decennio dallo stesso Gruppo Fs a lavori conclusi parla di piccole cifre percentuali (2% per i passeggeri; 0,6% per le merci, Ndr) perchè spendere tanto allora? Non vorrei mai che la vera utilità dell’alta capactà sia il gigantesco volume di affari e di appalti generato con soldi pubblici al 100% e controllato dal management del Gruppo Fs".

Treno ad alta velocità ancora fermo. Per la gioia di migliaia di vicentini preoccupati dai danni ambientali e dalle spese folli attorno al progetto

Diversa invece la questione della alleanza di Aim con la veronese Agsm. L'ipotesi di accordo è stata prospettata dal presidente della spa berica Giuseppe Rossi, che non ha però voluto entrare nei dettagli. Il sindaco Enrico Hüllweck ha accolto molto positivamente la proposta; lo stesso giudizio proviene da Vicenza Capoluogo che plaude alla prospettiva. Sulla testa del sindaco però incombe ancora la brutta figura rimediata tre anni fa quando in pompa magna il governatore veneto Gianfranco Galan, lo stesso Hüllweck e gli allora sindaci di Padova e Verona annunciarono una santa alleanza delle tre più importanti multiutility venete. Alleanza che poi si è sfarinata nei mesi a seguire. Il patto in via di definizione quindi è in attesa anche dell'ok politico della

giunta scaligera, che ora esprime un sindaco di centrosinistra. Marco Milioni

Identikit del potere. Marco Zocca ha tenuto lungamente in scacco la sua maggioranza e perfino l’accordo che piace a Berlusconi

Il golden boy azzurro che gioca anche per gli avversari Golden boy della politica vicentina o ragazzetto obbligato ancora ad ascoltare i consigli (politici si intende) di papà? Uomo chiave della svolta forzista in città o capo di una fronda finita male? Sono queste le domande che escono dai muri e dai corridoi di palazzo Trissino quando si parla di Marco Zocca. Trentasei anni, figlio di Alberto, uno dei Dc in voga ai primi degli anni Novanta, Marco aveva messo sotto scacco il sindaco Enrico Hüllweck durante la scorsa estate guidando la fronda interna al gruppo azzurro con l'aiuto di Fiorenza Dal Zotto. Manovrando con abilità, Zocca era riuscito a farsi

LABIRINTI

nominare a capo della presidenza della commissione territorio facendo uno sgarbo al primo cittadino e ad An, i quali per la poltronissima avevano designato il più mansueto Beppe Tapparello, proprio di Alleanza Nazionale.

Operazione vendetta o voglia di pulizia? I sostenitori di Zocca pensano che fosse la mossa giusta per fare un po' di repulisti all'urbanistica, per dare il via ad una nuova fase di trasparenza. I detrattori pensano invece si sia trattato di una vendetta a danno del sindaco, reo, secondo lo stesso Zocca, di non avergli assegnato una sedia in

giunta pari al peso dell'attuale consigliere, il quale seccato per la "misera" proposta di un referato al decentramento dopo le elezioni di giugno avrebbe sbattuto la porta in faccia all'esecutivo. Il giochino però si è rotto in mano a Zocca quando, pressato da una parte dei consiglieri, è stato obbligato a mollare la presidenza a favore di Tapparello.

Quando Marco fece tremare Hüllweck E ancora una volta i giudizi si sono divisi: mancanza di appoggi politici forniti da papà; poco stomaco per giocare duro quando il gioco si fa

ACQUE MOSSE

DI PALAZZO

duro, la ragione dei maldicenti. Fiducia nel partito, volontà di dialogo con gli alleati, è la tesi cara agli amici. Ma c'è stata un'altra occasione in cui Marco ha avuto in mano il bottone per “spegnere” Hüllweck.

E quando “controllò” Berlusconi A fine anno quando si è votata la maxi delibera sul Cotorossi e sul nuovo tribunale, un affare per qualche centinaia di milioni di euro (un piano molto gradito anche al premier Silvio Berlusconi, fino a poche settimane fa proprietario dell'area) Zocca controllava un pugno di voti con i

quali, assieme alla minoranza avrebbe potuto far saltare continuamente il numero legale, mandando all'aria un accordo che doveva essere votato entro il 31 dicembre. Gli anti Zocca sostengono si trattasse del solito bluff per ottenere qualcosa, magari la promessa di un posto di pregio in giunta. Altri non dubitano della volontà del golden boy (di professione commercialista) di dare una ventata di novità al partito, dal quale però sembra siano arrivate minacce di espulsione qualora fosse saltato per aria il progetto gradito al gran capo in persona. m.m

IN LAGUNA

Era stato voluto da Hüllweck ma ora del progetto dell’ingegnere non c’è più traccia

Dalla Regione. Il voto degli emigrati divide i partiti: la Lega in Brasile, An in Argentina

Crocioni? Metteteci una croce sopra

A caccia di voti nella pampa

La Vicenza del nuovo millennio: una city da 250 mila abitanti, la metropolitana. Una università con 10 mila studenti, un nuovo teatro, un parco tecnologico a Vicenza est. Ecco il disegno per la Vicenza di domani voluto dall'ingegner Giovanni Crocioni, uno degli urbanisti più conosciuti nel Paese, il quale fra mille squilli di tromba aveva preparato due anni fa una bozza di nuovo piano regolatore che avrebbe regalato a Vicenza il salto di qualità atteso da cinquant'anni. Ma che fine ha fatto Crocioni? Ufficialmente la sua bozza è in attesa di un’ulteriore valutazione del consiglio, ma si vocifera ormai da un anno che l'insigne professore universitario non sia mai stato gradito alla direttrice del Territorio Lorella Bressanello. Sembra che la

È cominciata la corsa per accaparrarsi un po’ di voti degli italiani che vivono all’estero da quando, finalmente, potranno votare a partire dalle prossime politiche del 2006. In Veneto sono due i partiti che si sono mossi per primi e che, una volta individuata nell’America Latina la riserva elettorale da sfruttare, si sono accuratamente spartiti le miniere di voti. La Lega Nord punta al Brasile dove moltissimi sono i veneti emigrati mentre Alleanza Nazionale si è specializzata nell’Argentina anche questa una buona piazza dove i cittadini con doppio passaporto sono tantissimi. Due partiti e due strategie diverse. La Lega Nord ha scelto la discrezione, il basso profilo, ed ha affidato al Presidente del Consiglio regionale Enrico Cavaliere il ruolo di apripista. Spesso e volentieri il numero uno dell’assemblea legislativa veneta prende il volo verso Rio Grande Do Sul che è un po’ la sua base operativa. I primi viaggi avevano qualche motivazione ufficiale come l’inaugurazione di un leone di San Marco in pietra donato dal Consiglio veneto alla città di Rio Grande; in seguito le missioni si sono fatte sempre più “top secret”. Alleanza Nazionale ha, invece, scelto una via più visibile con l’assessore Raffaele Zanon, a cui Galan ha affidato la delega ai flussi migratori, che fa la spola tra Venezia e Buenos Aires forte anche del suo incarico di consulente del ministro per gli italiani nel mondo Mirko Tremaglia. Ma per Zanon sono

visione dell'urbanistica di Crocioni, una visione di largo respiro, si sia dimostrata appunto di respiro eccessivamente ampio rispetto a quello che aleggia da almeno trent'anni sugli uffici tecnici cittadini.

Tant'è che da mesi di Crocioni non parla più nessuno. Se si domanda dove sia a qualche esponente della giunta, la cosa provoca una orticaria. m.m

presto cominciati i guai. Ci si è accorti, innanzitutto, che gli aiuti del Veneto agli argentini travolti dalla crisi economica (soprattutto vestiti usati e medicine non omologate per il Sudamerica) non vanno bene. E così Zanon ha recentemente annunciato il “contrordine”: la destinazione dei fondi veneti per l’Argentina (1,5 milioni di euro) cambierà e sarà indirizzata verso attrezzature ospedaliere e polizze assicurative per coprire le spese sociosanitarie di chi non può permetterselo. Unico particolare: Zanon “dimentica” di dire che questa nuova destinazione dei fondi è già stata illustrata proprio a Buenos Aires dal suo ideatore e cioè il collega di Giunta assessore alle Politiche sociali Antonio De Poli (Udc). L’agitarsi di Zanon nei pressi delle pampas argentine non è passato inosservato anche per altri motivi. L’assessore di An viene, infatti, accusato dal Comitato delle Associazioni dei Veneti Argentina (Cava) di lavorare per creare una struttura parallela e alternativa di stretta osservanza An con un obiettivo che non è difficile immaginare :sostenere alle elezioni le liste “Tricolore Italiani nel Mondo”. Allarmato da tanto attivismo dei suoi assessori il Presidente Galan ha deciso di occuparsene personalmente e, infatti, la scorsa settimana ha fatto un salto a Buenos Aires (con giornalisti al seguito) per calmare le acque, mettere un po’ d’ordine e incoraggiare i poveri veneto-argentini che non ci capiscono più niente. Forza Argentina, anzi, no, Forza Italia.

cronaca

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Domani la grande manifestazione a Roma. Protagonisti di primo piano gli anziani, che si scoprono più idealisti dei loro nipotini

In migliaia contro Berlusconi “Ma che forza noi pensionati” In pullman e in treno gli “over 60” vicentini si mobilitano per difendere le pensioni contro le strategie del Governo “Ormai siamo noi il vero collante del sindacato” E per farsi pubblicità, la politica conquista anche le pagine della terza età Hanno unito i tre sindacati Cgil, Cisl e Uil: su tutto possono litigare, ma sui temi cari pensionati l’unione è massima. Ma soprattutto, sono ormai così importanti, anche numericamente, che per conquistarli si fa di tutto e di più. Come hanno appunto fatto i tre sindacati confederali che, per portarli alla grande manifestazione di Roma domani, hanno comperato una pagina nello speciale Terza età del Giornale di Vicenza. Segno dei tempi: laddove una volta c’erano solo reclame di apparecchi acustici, oggi arriva la politica. “Siamo tanti, siamo importanti - dice Sandro Lanzarin - pensionato che domani “pioggia o vento che sia” a Roma ci sarà. Finalmente cominciano ad accorgersi di noi. Anche perchè, rispetto ai nostri figli e nipoti, siamo molto più idealisti. Strano ma vero, tocca a noi lottare per un’Italia migliore per i nostri nipoti”. Non a caso, da Vicenza partiranno pullman organizzati proprio per loro, i pensionati. “Noi ne abbiamo raccolti quasi una decina” dicono in Cgil. “Noi solo qualcuno

di meno” aggiungono in Cisl. E la Uil è a ruota. Partiranno nel corso della notte (chissà se canteranno Azzurro, coi tempi che corrono o Bandiera Rossa) e si sentiranno, questo è certo, molto più giovani dei loro figli. “Ormai siamo in maggioranza, all’interno delle sigle sindacali - spiega Giorgio Lombardo, trent’anni nel settore pubblico Io la prendo in allegria, ma per la maggior parte siamo persone che non ce la fanno più. Traditi dalle riforme del Governo, con la vita che costa cara e le spese sanitarie in aumento, non chiediamo una previdenza da nababbi ma solo il minimo indispensabile per una vita dignitosa.” Marina Trentin, segretaria della federazione pensionati Cisl di Vicenza, ci illustra il piano della manifestazione. “Se l’anno scorso abbiamo protestato soprattutto per i tagli del trattamento sociosanitario, il 3 aprile saremo a Roma anche per l’inflazione reale, sfuggita a qualsiasi controllo delle istituzioni.” Da una parte l’aumento delle spese sanitarie, dall’altra la diminu-

zione del potere di acquisto. È per questo che il nostro obiettivo è portare 500 mila persone a manifestare.” Noi della Spi-Cgil Vicenza saremo 350-400 – incalza Gino Ferraresso – e tengo a specificare persone e non pensionati perché si tratta di problemi di tutti. Anche se è vero che all’interno dei sindacati noi pensionati siamo sempre di più. Allo Spi sono iscritte 26650 persone, quasi il 60% del totale Cgil”. Un altro tema scottante sono le spese per gli anziani non autosufficienti. Mario Dalla Valle, dei pensionati Uil, gira il coltello nella piaga: “Chiederemo anche l’istituzione di un fondo per questo problema: l’allungamento della vita comporta un maggior numero di invalidi. Si tratta di una spesa enorme per le famiglie sia nel caso di ricovero in casa di riposo, sia nel caso di assistenza in casa attraverso badanti.” Dello stesso parere è Marina Trentin: “Negli scorsi mesi abbiamo organizzato presidi contro il bilancio regionale. Il Governo non sembra capire che l’aumento

dei ticket ospedalieri e la diminuzione dei contributi per le case di riposo non creano solo problemi agli anziani. Diminuendo l’autosufficienza dei pensionati si intacca anche il potere d’acquisto delle famiglie.” Dunque, gli anziani più agguerriti dei lavoratori nel difendere i loro diritti. “Forse perché hanno avuto altre esperienze – considera Trentin – Gli avvenimenti degli anni ‘40, la guerra e il dopoguerra, il boom economico e il desiderio di offrire una vita migliore ai figli.” I ‘vecchi’, insomma, si scoprono più idealisti dei giovani. E diventano anche un collante per le parti sociali. “A questa manifestazione partecipano tutte e tre le sigle sindacali in modo compatto. Non ci saranno solo pensionati ma anche tanti lavoratori preoccupati per il loro futuro”. Tra i pensionati famosi del vicentino anche Mario Rigoni Stern. Che però - fanno sapere in segreteria - non parteciperà alla manifestazione. “Troppi acciacchi - spiega - ma virtualmente sono lì con voi”. i.t.

L’assessore spiega le rotatorie in Circoscrizione 1: poco pubblico, tanti dubbi

Solo una dozzina a scuola da Cicero

Il sindaco fa ammenda

“I vicentini stanno imparando e poi le rotatorie arredano: vederete come saranno belle” E intato c’è chi, ispirandosi alle sue creazioni, ha inventato un nuovo movimento artistico Il professor Cicero in cattedra affascina solo una dozzina di vicentini. Sarà il tema un po’ abusato (le rotatorie), sarà l’ora (20,30 di lunedì 29 marzo, Oratorio dei Proti) ma la pubblicizzata relazione dell’assessore non ha riscosso grandi entusiasmi. Eppure, in difesa dell’impegno di Cicero, bisogna ammettere che di lezioni di guida i nostri concittadini ne avrebbero bisogno. I vicentini infatti non ci hanno ancora capito granché: preferiscono stare al centro e quando possibile, come nel caso del rondò davanti alla stazione, tagliare il cordolo come i piloti di Formula 1. Lo hanno testimoniato i filmati presentati dall'assessore, in collaborazione con gli istruttori berici delle Autoscuole Seat Italia. Telecamere fisse sono state sistemate per un'ora in ognuna delle pricipali rotatorie cittadine con risultati tragicomici: automobilisti che continuano a dare la precedenza a destra, altri che si muovono in continuazione da una corsia all'altra, quasi sempre senza usare la freccia, altri ancora che non trovano il coraggio di immettersi nel circolo. E' la prova che i vicentini sono negati per le rotatorie o che le rotatorie

sono negate per i vicentini? “I vicentini stanno ancora imparando” risponde ottimista Cicero a una platea invero un po’ dubbiosa. Qui in Circoscrizione 1 l’assessore ha fissato il primo di una serie di incontri (ma chissà se avrà voglia di farne altri) per spiegare l’uso e i vantaggi delle rotatorie ai cittadini. Nel dubbio però, l’assessore la butta anche sul lato estetico. “Le rotatorie poi, arredano. Vero è che per adesso, a parte quella di Ponte degli Angeli, sono ancora brutte e spoglie. Ma presto verranno abbellite e i bidoni mobili bianchi e rossi lasceranno il posto a strutture fisse”. Però non ditelo a pedoni e ciclisti: loro, clamorosamente assenti o forse intimoriti nel corso dell’incontro, le rotatorie non riescono ad amarle. Seccati di dover allungare i loro percorsi per raggiungere i passaggi a loro dedicati (leggi “strisce”), terrorizzati da auto che arrivano da tutte le parti, faticheranno ad accorgersi della meravigliosa oasi verde che si fa rimirare all’interno. Se non altro, vista la difficoltà a raggiungerla, non c’è rischio che qualcuno ci porti il cane a fare i bisognini.

Per il resto, l’assessore si è limitato a un’esposizione lineare e tecnica delle sue creature. “Le rotatorie con precedenza ad anello, così si chiamano tecnicamente quelle che sono entrate in uso a Vicenza, sono conosciuta anche con il nome di “alla francese”, ma in realtà le hanno inventate gli inglesi”. Entrambi le apprezzano perchè permettono all'automobilista indeciso e birichino di continuare a girare intorno indisturbato, forte della precedenza che tutti gli altri devono dargli sempre e comunque. Dopo un paio d’ore di incontro, assieme ai dodici bravi della Circoscrizione Uno, ce ne torniamo a casa con gli stessi dubbi di prima. Per fortuna abbiamo in tasca il volumetto sulle rotatorie pubblicato dal Comune di Vicenza: “Quando il pedone vuole attraversare la strada, deve posizionarsi davanti alle striscie pedonali e cercare il contatto visivo con il veicolo che sta sopraggiungendo, non lasciando così dubbio sulle sue intenzioni”. Roba da brivido. Enrico Soli

e il rotatorismo divenne arte Che le rotatorie ispirassero simpatie e antipatie, lo sapevamo. Che potessero ispirare arte è una novità assoluta. Eppure sono proprio le rotatorie di Cicero ad aver spinto un gruppo di giovani artisti a fondare il Rotatorismo, movimento tutto vicentino che canta, in stile futurista, il dominio della macchina sul pedone. Con una differenza fondamentale dai maestri: l’ironia. “A Vicenza, la linea più breve che congiunge due punti è un circolo – spiega Romeo Alfa, fondatore del movimento – per questo cantiamo con irriverenza futurista le rotatorie, la velocità febbrile, la morte del codice della strada, l’audacia e la competizione. Per molti Vicenza è ancora una terra di ingorghi, una piccola Venezia lampeggiante di semafori: nella città dei neopatentati vanno invece moltiplicandosi i Nuvolari. Abbiamo in cantiere mostre, incontri, parate rotatoriste che attraversino in lungo e in largo la città. Ma il nostro vero obiettivo resta liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di vigili, uomini in cappello, lavavetri e antiquari.

Movimento

la rotatoria è la nostra giostra del combattimento, è il portento della vitalità fiammeggiante nel fulcro storico della città. Non è il destino l’arbitro d’essere o Nulla -divino!questo lo crede il pedone, è l’oppio del ciclista cretino. E’ la potenza del motore Specchio del cuore, del furore impavido, che si fa giudice del darwinismo automobilistico, boia dell’autista inferiore, spappolatore del pilota artistico.

Corteo

Banco di sardine che Attende d'esser stipato In scatole arancio: Dai banchi alle greggi! Pensammo, nel vedervi sfilare Distratti davanti alla vostra fine. Non capite che sarà un servizio Concepito a rete ad avvinghiarvi Fino a farvi mancare l'aria? Dedicate i vostri eroismi ad opere Ben più nobili. Affossate definitivamente Il vecchiume municipalizzato. Allora solamente sarete liberi! Liberi di raggiungerci dove Le correnti si fan vortici circolari E da sarde sarete squali.

LOTTA SENZA QUARTIERE

Se quaranta persone fanno la maggioranza Fa discutere a San Pio X il progetto che vede l’imminente realizzazione di una pista ciclabile. Tutti si schierano a favore della sicurezza dei ciclisti, ma sono le condizioni ad essere fonte di malumori. Il Consigliere di Circoscrizione Antonio Lora fa presente che la decisione é stata presa nel 2001, durante un’assemblea. Ad essa erano presenti quaranta persone, il cui parere é stato ritenuto da Cicero indicativo del volere di un quartiere di 12.000 abitanti. Il progetto (già in fase di attuazione) prevede una restrizione di carreggiata oltre alla creazione di un dosso per la diminuzione della velocità in Via Calvi. Peccato che la cosa, così com’é, non funzioni. Gli autobus, di passaggio in quel tratto, non riescono a passare

contemporaneamente nei due sensi. In secondo luogo, nessuno può guidare a filo marciapiede. Ma, cosa più grave, all’uscita dagli stop si é costretti ad invadere la carreggiata opposta. E’ pur vero che la circoscrizione aveva deliberato su quel tratto di pista, ma oltre ai problemi già elencati, Cicero – sottolinea Lora – ha deciso di prolungare il progetto fino in via Giorgione. Dallo studio eseguito, è questo uno dei tratti con meno incidenti della zona. Vi sono altre strade, invece, che sono molto meno sicure. E’ stata fatta richiesta di un semaforo “intelligente” in via dalla Scola. Nessuno lo ha mai visto. “Ora la nostra strategia é quella di ottenere un dibattito per evidenziare tali punti critici. Se ciò non dovesse portare a

E a Settecà tiene banco il problema del passaggio a livello: promesso da tempo ma ancora irrealizzato

nulla, siamo pronti ad indire una manifestazione in loco e, eventualmente, a recarci in Consiglio Comunale.”

Una passerella per il Paradiso Recarsi in Chiesa a Bertesina richiede una grande fede. Tutti coloro che intendono farlo, infatti, sono costretti ad attraversare i binari. Il quartiere é tagliato in due dalla ferrovia e (per un accordo tra le FS e i Comuni che prevede la costruzione di sottopassaggi ove possibile) il passaggio a livello é stato chiuso. Tuttavia non si intravede alcun lavoro per la realizzazione di un sottopassaggio. Questo poiché pare che in quel tratto debba uscire l’Alta velocità. La proposta

alternativa caldeggiata dai cittadini e dal Consigliere Lora é una passerella stile quartiere Ferrovieri, anche se più semplice e meno onerosa. La richiesta é stata avanzata ad inizio dicembre. A tutt’oggi non vi sono riscontri. In alternativa é

stata posta una bretella che serve solamente quattro abitazioni. Pressoché inutile quindi. C’é da sottolineare che si parla di un problema di prim’ordine dato che l’attraversamento ha già provocato un decesso.

Hüllweck risponde al nostro servizio: è vero, non ho tempo per parlare con la città Giusto il tempo di uscire in edicola col numero scorso che il sindaco Hüllweck è corso ai ripari. Vicenza Abc aveva appena pubblicato un pezzo (“Un anno per parlare col sindaco”) in cui si raccontava dell’odissea di molti vicentini che non riuscivano a mettersi in contatto col primo cittadino. Non solo: mostravamo il “lasciapassare del sindaco”, pezzo forte della prima campagna elettorale, con cui Hüllweck prometteva di accogliere a Palazzo Trissino chiunque volesse conferire con lui. Giusto il tempo di arrivare in edicola, si diceva, che Hüllweck promette subito rimedi: chiama TvA e organizza una puntata speciale di “Zoom”, il settimanale dedicato al Comune. Martedì 30 marzo alle ore 19, in oltre venti minuti, il sindaco ammette i suoi errori. Dopo una breve scheda di presentazione con strette di mano, abbracci e sorrisi tra il primo cittadino e i passanti di Corso Palladio, spiega il suo lasciapassare. “All’epoca qualche aspetto di non conoscenza del problema l’avevo – commenta – Infatti non l’ho ripetuto nella seconda campagna elettorale, memore degli equivoci che aveva determinato. Le parole sono come pietre e qualche volta tutti noi le utilizziamo un po’ così. Sul lasciapassare c’era scritta una frase precisa: ‘venite a trovarmi se avete proposte, consigli e critiche’. Per rispondere a queste esigenze c’è una squadra composta dal Sindaco e da tredici assessori”. Insomma, un bravo al sindaco. Stimolato dal nostro servizio, ha ammesso l’errore e colmato una lacuna. Peccato che nella sostanza non cambi nulla: Hüllweck ha fatto capire che non dedicherà qualche mezz’ora in più del suo tempo al contatto con i cittadini, come sarebbe stato logico aspettarsi, ma invita caldamente le persone a rivolgersi ai suoi collaboratori. Se vi basta una stretta di mano, basta bazzicare per il Corso in presenza di telecamere.

la nostra inchiesta

4

Nostra inchiesta: primari allontanati, reparti a rischio chiusura, prospettive

2004, attacco al San B Scaricato il direttore generale Petrella per un buco miliardario la Regione ha chiamato il manager Alessandri: obiettivo tagliare E la città corre il rischio di rimanere senza un vero ospedale Chi sono i nemici che stanno cercando di distruggere l’ultima contrafforte della sanità pubblica? I primi segnali dell’attacco sono iniziati alla fine del 2002. Siamo andati avanti per mesi senza avere la minima idea di quale fosse realmente il deficit del San Bortolo e dell’Unità Sanitaria. Petrella, il direttore generale esautorato proprio in quel periodo, andava dicendo che il deficit era di 30-35 miliardi di vecchie lire. Per aver contenuto il disavanzo gli fu anche attribuito un premio! Il nuovo direttore Alessandri affermò

che il vero deficit si attestava sui 90 miliardi. Dopo qualche tempo emerse la realtà: il buco si aggirava sui 140/150 miliardi di vecchie lire. Nel frattempo, l’Assessore Regionale Gava affidava al nuovo direttore dell’Ulss Alessandri il compito di tagliare con grande decisione. Nove milioni di euro nel primo anno, anzi entro novembre del 2003, diciotto milioni nel triennio. Siamo ad aprile del 2004 e nessuno è ancora in grado di dirci quale sia la situazione di consuntivo alla conclusione del primo anno della politica dei

tagli attuata dal nuovo direttore generale; lui afferma che i risultati sono ottimi, ma nessuno né tra i primari, né tra i sindacalisti è a conoscenza dei veri dati del bilancio. Ed il nervosismo che serpeggia nella struttura comincia ad essere montante: perché - si chiede l’ex primario Maraschin, esautorato per i motivi che potrete leggere nell’intervista a fianco - nessuno conosce i dati di Treviso, un ospedale che non vanta le funzioni d’eccellenza del nostro San Bortolo? Forse perché la regione stabilisce il criterio di pagamento delle

quote ospedaliere secondo un meccanismo che non garantisce affatto chi opera su strutture d’avanguardia? Forse il vero obiettivo è quello di destabilizzare Vicenza, di portare il nostro Ospedale ai livelli di altri centri regionali privi di eccellenze? Forse il vero obiettivo è quello di creare tre grandi poli regionali della sanità (a Verona e a Padova, centri universitari e a Mestre)? Forse il vero obiettivo è quello di favorire il sistema privato ai danni di un pubblico che sapeva reggere ( e bene...) il confronto?

Operazioni urgenti a cinquanta chilometri lontano da casa Anche Vicenza Riformista in campo per capire il futuro

LA STRATEGIA DEL RAGNO

Dall’arte di ricucire a quella di... tagliare

Cosa rischiamo di perdere

Così la Regione sta declassando la nostra Usl

Dai trapianti a cardiochirurgia, la mappa a rischio

Non sappiamo quanto Petrella abbia operato con la copertura della Regione. Ma possiamo intuire che essendo egli un uomo dell’apparato regionale, non abbia agito in maniera autonoma, anzi. Come dire: allora le sue scelte andavano bene. Qualcuno, addirittura, aveva intravisto nelle sue azioni un ritorno al decisionismo di Igino Fanton, vecchio presidente democristiano degli anni Ottanta, uomo capace di attrarsi il ricordo positivo di molti. Allora l’Ospedale di Vicenza seppe acquisire grandi primari, conosciuti in tutto il paese, in grado di creare dei repar ti all’avanguardia: chi non ricorda la fama del Professor Belloli e della sua Chirurgia pediatrica, dei La Greca, dei Dini, dei Curioni, dei Caldana, degli Erle... Petrella aveva tentato un rilancio e l’acquisto del Cyber Knife andava in questa direzione.

Se alla nefrologia vicentina fossero tolti i trapianti, quali sarebbero le ricadute per la fama del San Bortolo? Se si giungesse all’accorpamento nel Veneto delle cardiochirurgie con la chiusura del reparto vicentino, quale potrebbe essere l’atteggiamento dei vicentini? Negli ultimi tempi, a Vicenza, sono stati eseguiti millecinquecento interventi al cuore l’anno; l’angioplastica è diventato un intervento assolutamente di routine, ma tantissime sono le persone che oggi sopravvivono grazie a questa terapia chirurgica d’avanguardia. E ancora: cosa potrà succedere al dipartimento cardiologico se fosse spostata a Padova o a Verona la cardiochirurgia? E quante persone

Oggi è già tutto cambiato e l’analisi fatta da molti osservatori è spietata: i tagli del prossimo periodo saranno notevoli. Il presidente della commissione Regionale, Padrin, in un’intervista ha affermato perentoriamente che le cardiochirurgie

nel Veneto rimarranno solo a Padova, a Verona e a Mestre. Nessuno dà le assicurazioni che le eccellenze vicentine vengano mantenute.

E’ una macchina così precisa da poter assumere 1200 posizioni diverse per colpire in pieno il bersaglio. Il Cyber knife è un robot radio chirurgico impegnato nella lotta contro i tumori che interviene solo con la certezza assoluta di rimuovere i tessuti malati, senza che il paziente subisca tagli di alcun tipo e senza degenza postintervento. Costa 6,5 milioni di euro, compreso l’ambiente che ospita l’apparecchiatura, un vero e

rischiano di morire prima di essere operate d’urgenza a cinquanta chilometri dalle loro case? Nessuno sa quali strategie d’alleanze fra i vari nosocomi della provincia di Vicenza potranno essere messe in atto se a Vicenza dovessero essere tolte tutte le funzioni eccellenti. Sono queste le domande che debbono assillare un osservatore attento alle vicende del nostro Ospedale. Sono queste le domande sul tappeto, alle quali cercherà di dare una risposta anche l’associazione Vicenza Riformista, che sotto il coordinamento di Luca Romano, sta lavorando per capire quali potranno essere gli interventi da attuare.

Cyber-knife l’anti tumori Il super robot che il mondo ci invidia proprio bunker con speciali pareti schermate. La macchina, ideata e sviluppata negli Stati Uniti alla Stanford University, è costituita da un acceleratore lineare miniaturizzato, da un braccio robotizzato che consente una elevatissima preci-

sione nel raggiungere il bersaglio e da un software che governa il sistema di guida, localizza la lesione patologica e pianifica l’intervento. Il Cyber Knife ha una tale precisione che può raggiungere anche zone quali il cervello e la colonna vertebrale, riuscendo ad intervenire anche in punti non raggiungibili con la chirurgia tradizionale. Finora nel mondo è stata utilizzata con successo in ben 7000 pazienti affetti da lesioni cancerogene.

Malato di tumore, aveva scelto la medicina di Stato: nacque una grande inchiesta nazionale

Ghirotti: “Che equilibrismi tra profitto e medicina” Medici, cure e malattie viste dal grande cronista vicentino, ricordato nei giorni scorsi a Santa Corona Gigi Ghirotti, celebre giornalista vicentino, ebbe per primo in Italia il coraggio di dire: ho un tumore e lo so. Ricordato giusto una settimana fa in un grande convegno a Santa Corona, scelse di curarsi esclusivamente con la medicina di stato. Ghirotti era convinto che i momenti decisivi della propria vita andassero vissuti come la stragrande maggioranza dei propri connazionali. Il morbo di Hodgkin, questo oscuro, cupo, sleale avversario, se lo portò via nel luglio del 1974. Prima di morire lasciò testimonianza della sua avventura umana e civile in una serie di articoli pubblicati per La Stampa - giornale in cui aveva lavorato per più di 25 anni - e in due celebri puntate trasmessa dalla Rai, “Lungo viaggio nel tunnel della malattia”. Molto è cambiato da allora, eppure riprendendo in mano quelle cronache, a trent'anni di distanza da quando furono scritte, qualcosa ci sembra ancora attuale.

dato da una equipe efficiente, assistito da subalterni volonterosi e capaci. Tutto nella vita ospedaliera sembra legato con un filo sempre prossimo al punto di rottura.[...] Anche gli amministratori arretrano davanti alla mole di debiti e dei costi che la moderna medicina ospedaliera richiede. Anche la comunità si tura volentieri le orecchie al sentirne parlare: tira ai rinvii, propende per le soluzioni del giorno per giorno, si affida alla mediazione tradizionale dei politici e delle categorie professionali, ben lieta che l'interlocutore numero uno, il malato, sia in definitiva messo nell'impossibilità di farsi rappresentare e ascoltare. La segregazione ospedaliera, tutto sommato, giova ad attutire le voci, a spegnere le tinte d'un tragico scandalo quotidiano: l'inefficienza del sistema sanitario, l'incapacità del potere pubblico di organizzare seriamente la domanda e l'offerta dei beni della salute attraverso la rete ospedaliera.

26 aprile 1974 La Stampa

3 maggio 1973, La Stampa

Il luogo pio è finito, ma la macchina per guarire è ancora lontana. Dobbiamo contentarci d'un'officina di riparazione che funziona come può. Non che sia raro l'incontrare un bravo medico, e anche bravissimo. E' difficile incontrarlo contento del proprio lavoro, secon-

Nei secoli scorsi, quando della malattia si aveva un concetto di espiazione, sorsero ospedali simili a penitenzierie. In epoca fascista, si trapassò ad uno smodato trionfalismo di tipo laico-basilicale: onusto di marmi, di atrii immensi, con corridoi a perdita d'occhio. Più di

recente, si perseguirono criteri di funzionalità. Ma piuttosto formali che sostanziali: in conclusione, gli ospedali si fanno standosene al di fuori del malato e della malattia. Si disegnano con il tiralinee, al tavolino, e avendo presente, chissà, un grosso armadio a muro entro cui stivare molti malati. Mai che si senta dire d'un gruppo di degenti che sia stato consultato in vista di un qualsiasi progetto riguardante il rapporto tra degente e struttura ospedaliera.

20 gennaio 1974, La Stampa Moltissimi dei medicinali iscritti nel Prontuario dei farmaci ammessi e pagati dall'Inam e da quasi tutti gli enti assistenziali minori, hanno identica formula chimica: cambia il prezzo, il nome, l'involucro. Tanto per non restare nel vago [ecco] il caso dell'acido ascorbico, Vitamina C. Nel famoso prontuario, se ne trovano di sessanta tipi: prodotti da sessanta case, sotto sessanta nomi, in sessanta differenti confezioni. Che cosa avrebbe dovuto fare l'Inam, se avesse voluto agire secondo l'interesse dei suoi assistiti e secondo le norme della Costituzione? Accertare il fabbisogno di acidum ascorbico, bandire un'asta, infine commissionare ad un solo produttore il quantitativo verosimilmente necessario all'ente. Chiaro [...] che un prezzo e

una qualità soddisfacenti si potranno ottenere più facilmente da una sola industria che da sessanta differenti industrie in gara tra loro per contendersi il mercato.

9 maggio 1973, La Stampa ...ma il medico tipo mamma e cultura è assai raro. Più numerosi coloro che obbediscono al richiamo imperioso della legge della sopravvivenza e si agitano in improbabili equilibrismi tra la medicina pubblica, al mattino, e quella di profitto, al pomeriggio. Sentiamo i professor T., che al mattino presta l'opera per una clinica universitaria: Lo sa quanto guadagno? Duecentomila al mese. Mi bastano, sì e no, per l'affitto. E il resto, chi me lo dà . Glielo darà il suo ambulatorio privato, oppure uno mutualistico, oppure la clientela d'elezione, visitata a domicilio. Sta di fatto che dopo dieci o quindici anni di riforma sanitaria promessa (o minacciata) e mai fatta, e sempre tenuta in sospeso, siamo riusciti ad ottenere una generazione di medici insoddisfatti e malcontenti anche se arricchiti. Alessandro Baù

la nostra inchiesta

5

e nere: ecco cosa succede

Bortolo Le cinque stelle del San Bortolo

I vantaggi di oggi che rischiamo di perdere domani

1

Neuroradiologia

2

Cardiochirurgia

3

Ematologia

4

Nefrologia

5

Unità spinale

per le cure contro gli aneurismi cerebrali grazie al Cyber Knife

Per i suoi 1500 interventi l’anno al cuore

All’avanguardia per le sue terapie cellulari

Per i suoi rinomati trapianti di rene

Per l’eccellente riabilitazione dopo i traumi al midollo spinale

Tu non puoi far l’americano Franco Dal Maso: “Perché è un grave errore americanizzare il nostro sistema” Il professor Franco Dal Maso è stato per ventisei anni primario del reparto ginecologia ed ostetricia dell’Ospedale di Arzignano. In quegli anni quel reparto divenne uno dei fiori all’occhiello della realtà ospedaliera berica. E non è un caso che migliaia di nostri concittadini siano nati nella cittadina della concia (lui stesso sembra abbia stimato in trentamila il numero di nascite da lui direttamente seguite). Da qualche anno ha lasciato l’Ospedale per raggiunti limiti d’età, ma continua ad esercitare la professione e continua ad essere un punto di riferimento per i giovani ginecologi vicentini. Il Professor Dal Maso ha svolto anche importanti ruoli politici: è stato consigliere comunale a Vicenza e ad Arzignano e per due mandati consigliere provinciale. Negli anni Settanta è stato Presidente dell’Istituto Salvi di Vicenza. E’da sempre socialista (oggi è iscritto allo Sdi e all’associazione Vicenza Riformista). Perché oggi attraversiamo questa crisi del sistema sanitario italiano? “Perché abbiamo importato, a piè pari, dagli Usa il concetto di aziendalizzazione, ma questo sistema creato per razionalizzare e contenere la spesa ha fallito il suo scopo. E’ assurdo applicare questi concetti in Italia, dove si è sempre difeso il concetto della difesa della salute pubblica!” Sono state anche alcune scelte specifiche a far entrare in crisi il sistema? “Certo. Al fondo esiste la chiara volontà di penalizzare le strutture pubbliche. E lo si vede con la diminuzione dei posti ospedalieri, con l’introduzio-

ne dei ticket per le prestazioni specialistiche; questo fa sì che molte delle conquiste fatte stiano diventando solo un libro dei sogni” Qual è allora la sua ricetta? È possibile fare economie in modo intelligente nella sanità? “La sfida per la sinistra è quella di trovare il modo di mantenere il diritto alla salute, perché è una delle irrinunciabili conquiste ottenute con tanti anni di lotta e che hanno fatto del nostro Stato, uno Stato sociale, uno stato etico. Sono, tuttavia, possibili delle economie, distinguendo, ad esempio, fra la prevenzione e la cura. Io credo che sia opportuno creare delle diverse linee d’accesso alle analisi specialistiche. Se sarà creata una corsia per la prevenzione non si finirà con l’ostacolare i normali percorsi per le malattie conclamate. Una cosa è attendere una mammografia per sei mesi quando si fa prevenzione, una cosa quando vi sia il sospetto di una malattia. In secondo luogo bisogna essere pronti ad accogliere l’evoluzione della medicina, destinata a cambiare profondamente con le dinamiche delle diagnosi, sempre più connesse alla conoscenza delle funzioni dei geni e delle mutazioni. Lo stato deve sostenere sempre più la ricerca o mediante il finanziamento di chi opera ed investe nella ricerca, o addirittura attraverso un ruolo diretto in laboratori specializzati, sempre più attrezzati per la genetica e per la biologia”. Testi dell’inchiesta a cura di Federico Formisano e della redazione

“Mi diedero mezz’ora per firmare le dimissioni” Bruno Maraschin racconta il suo allontanamento Nel dicembre del 2003, a seguito di un duro scontro con il dottor Alessandri, il primario Bruno Maraschin racconta di essere stato obbligato a chiedere il pensionamento. Ora svolge la libera professione a Vicenza e nella zona di Montecchio e Trissino dove è ancora molto apprezzato nell’attività specialistica di medicina interna e di cardiologia. In questo testo, raccolto da Federico Formisano, racconta in esclusiva per Vicenza Abc le cause del distacco. “Con Alessandri (direttore generale dell’Usl n. 6) ci sono stati contrasti quasi da subito, sia di carattere organizzativo che di carattere tecnico. Io avevo intuito che il suo ruolo a Vicenza era quello di contenere le spese e di limitare la crescita del nostro ospedale e questo non era compatibile con il lavoro che stavamo svolgendo per rilanciare la struttura. C’erano state molte discussioni quando la struttura di dermatologia era stata accorpata alle Malattie Infettive. Io sostenevo che non era affatto una soluzione razionale. Ma la struttura dirigenziale decise di accorpare le malattie metaboliche alla Medicina Prima, senza incrementare la dotazione organica del reparto. Mi dissero che avevano consultato le Organizzazioni Sindacali e che era tutto a posto. Io sapevo che non era affatto così: scrissi allora una lettera alle sette sigle sindacali rappresentate in Ospedale e ciò provocò una vera sollevazione degli esponenti sindacali durante un incontro con il Direttore Generale. Alessandri mi mandò a chiamare ai primi di dicembre e mi diede mezzora di tempo per decidere se presentare le dimissioni immediate o se essere scalzato con decorrenza immediata dal ruolo di coordinatore del Dipartimento.

Dal silenzio della politica alla voce dei cittadini: mobilitiamoci per la salute

Non mi diede nemmeno il tempo di consultare i responsabili del mio sindacato, sostenendo che io lo avevo messo in cattiva luce davanti alle strutture del San Bortolo. Così decisi di sottoscrivere la lettera di dimissioni ed il venti di dicembre lasciai l’Ospedale con qualche mese d’anticipo rispetto alla data inizialmente prevista. Di seguito, inviai una lettera al Coordinatore della conferenza dei Sindaci, Dottor Pretzalis ( è il Sindaco di Camisano, ndr), all’Assessore Regionale, all’Ordine dei Medici. Nessuno mi ha mai risposto! Indiscutibilmente, i motivi del contendere erano molti. Io avevo, per esempio, sollevato spesso la questione dell’assenza di trasparenza. Vicenza era stata danneggiata dalla scelta della Regione di corrispondere i trasferimenti per quota capitarla anziché per DRG ( il sistema di calcolo basato sulla tipologia degli interventi e delle cure somministrate); io chiedevo conto di questo e sostenevo che non potevamo accettare questo tipo di politica. Ho più volte chiesto di vedere i dati dell’ULS e dell’Ospedale di Treviso senza poter mai capire l’esatta situazione. Ho denunciato il fatto che non si stava procedendo alla riorganizzazione interna, risolvendo il vecchio problema delle aree d’eccellenza e delle aree grigie, ovvero di quelle aree senza qualità. Gli interventi di riorganizzazione di cui il San Bortolo ha bisogno non sono certo il taglio nei settori di vertice: un ospedale di valenza provinciale non può non seguire tre settori strategici come quelli delle urgenze ( pronto soccorso e Suem) del cardiovascolare e dell’Oncologico. Intravedevo invece proprio il disegno di eliminare alcuni di questi settori trainanti e lo spostamento a Padova e Verona d’alcune prestazioni ( la laserte-

rapia per i tumori, ad esempio, la chirurgia toracica, l’endoscopia ed altre indagini diagnostiche, ecc.) Per contro io sostenevo la necessità di distinguere tra gli interventi cosiddetti sociali da delegare al territorio e quelli più prettamente ospedalieri da mantenere e da rafforzare. Io credo che alcuni settori possano essere considerati come dei rami secchi per l’Ospedale e considerati come interventi di tipo ambulatoriale ( per esempio la diabetologia, dove si può intervenire con strutture organizzate sulla tipologia dei day hospital); penso che certe forme di lungo degenza degli anziani infortunati o sottoposti ad interventi chirurgici debbano essere trattate presso strutture con questa tipologia, come Lonigo o Sandrigo. Non si possono abbandonare specialità di eccellenza come la cardiochiurugia, perché finisce con il decadere anche la struttura contigua, ovvero quella di cardiologia. I nostri limiti, in sostanza dipendono più da noi che dalla volontà di Padova o di Verona di stritolarci! Gli ultimi anni di politica sanitaria regionale sono stati disastrosi. Non hanno neppure impostato una selezione tra i centri trapianti puntando su quelli che servivano per qualità e soglia minima d’interventi per essere giustificati.”

Secondo Vincenzo Riboni primario del Pronto Soccorso, impegnato nel Sindacato dei Primari, Vicenza deve mantenere le funzioni che ha guadagnato con anni di lavoro e di ricerca. Ma l’americanizzazione del nostro sistema sanitario nazionale potrà essere impedita solo con la mobilitazione dei comitati di difesa dei nostri ospedali. I cittadini si renderanno presto conto dei disagi che stanno patendo perché i segnali ci sono tutti: voci continue di tagli al settore, ritardi nelle prenotazioni di visite e di esami,

paventate chiusure di ospedali e di reparti. Anche la classe politica però deve scendere in campo; finora è stata totalmente assente. È semplicemente imbarazzante il silenzio del sindaco Hüllweck su queste vicende. È il primo responsabile della salute dei suoi cittadini nonchè il coordinatore della conferenza dei sindaci che deve vigilare sul buon funzionamento dell’azienda sanitaria. Medico e già presidente dei medici, pare non rendersi conto che il suo intervento è necessario.

Il professor Bruno Maraschin è stato il più giovane primario del Veneto. Nel 1978 è promosso primario di Medicina a Montecchio Maggiore, dove rimane 15 anni prima di passare alla prima medicina del San Bortolo. Dopo molti anni d’onorata carriera quale primario è promosso direttore del Dipar timento di Medicina, dove coordina ben 10 reparti. E’ stato sindacalista di varie sigle fin dal 1966 l’anno del suo primo ingresso come assistente a Montebelluna. Ha alle spalle quasi quaranta anni d’attività ospedaliera.

idee e persone

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Le polveri secondo i media: niente più che una scocciatura

Gli esperti di pubblicità: “Stava al Comune crederci”

Il quarto potere dello smog

Ma per vendere un’imposizione bisogna comunicare i suoi vantaggi

Gli effetti delle pm 10 presentati come disagi, mai come pericoli

È meglio sapere se si può uscire con l’auto, o conoscere i danni che causano le pm10? Da un’analisi dei principali mezzi di informazione che si occupano di Vicenza, il livello delle polveri leggere non è un indicatore di pericolo ma una specie di semaforo: rosso quando supera i 55 microgrammi, verde quando sta sotto. Per i media, le pm10 influiscono più sul traffico che sulla salute.

LETTERE Ho visto Garibaldi a passeggio in Corso Caro Abc, ma che bella la nostra città! Mi pare proprio indovinata l’operazione “spostamento monumenti” rimandando sine die altri lavoretti inutili come la rappezzatura di strade e marciapiedi malridotti o la costruzione di fognature

Prendendo in esame i tre quotidiani che si occupano della città (Il Giornale di Vicenza, Il Gazzettino, Il Corriere del Veneto) nella prima settimana di febbraio – interessante in quanto la prima settimana, dopo una lunga pausa, in cui sono andate in scene le targhe alterne – un solo articolo ha parlato delle malattie legate alle polveri sottili. E non aveva un taglio importante. È del Gazzettino, datato 1 febbraio, e firmato da Roberto Cervellin. Nel pezzo si parla dei rischi di broncocostrizione, tosse, malattie respiratorie croniche e neoplasie. Viceversa, molto spazio viene dato al fatto che il divieto non riguarda i veicoli che trasportano pasti per le mense, e che lo zero è da considerarsi un numero pari. Chi dedica più spazio all’argomento, come il Giornale di Vicenza, dà notizie approfondite su contravvenzioni, telefonate ai vigili, commenti politici. Analizziamo qualche titolo e sommario, gli elementi che attirano e focalizzano l’attenzione. Giovedì 5 febbraio, primo giorno a targhe alterne, Il Corriere del Veneto titola “Targhe alterne, oggi circolano le dispari”. “Oggi potrà entrare in centro solo chi ha la targa dispari” è l’incipit del servizio. Il Gazzettino propone “Targhe alterne al via tra polemiche”. E, di seguito: “Hai l’auto con targa dispari? Oggi, giovedì 5 febbraio, puoi circolare”. Il Giornale di Vicenza: “Si parte, via alle targhe alterne: oggi circolano le dispari,

domani le pari”. Lungi da noi voler giudicare le scelte dei giornali. Tanto più che appare del tutto legittimo spiegare alla cittadinanza logiche altrimenti complesse. Il servizio dei quotidiani, sotto questo punto di vista, è insostituibile. Leggendo l’ordinanza pubblica del Comune infatti, neanche Einstein comprenderebbe, alla prima lettura, se con la sua targa che finisce con X potrebbe circolare nei giorni pari o dispari. Ci preme solo sottolineare come, agli occhi del lettore, un problema gravissimo come quello dello smog – che è poi il motivo centrale di tutto – passi completamente in secondo piano. A un livello successivo si pongono poi le considerazioni su l'utilità di un tale provvedimento, come fa Francesco Jori del Gazzettino in un bell’editoriale del 5 febbraio dove critica l'estemporaneità ("Magari sarebbe il caso di pensarci tutto l'anno, rendendo più appetibile il mezzo pubblico") e le troppe deroghe ("Poveri noi, in che mani siamo: linea dura, ma formato stracchino"). Ma questo è un livello, appunto, successivo. Diego Reghellin*

inesistenti. Assistiamo, dunque, al trasloco di illustri concittadini e personaggi famosi: Fogazzaro sta lungo viale Roma, sporco come uno spazzacamino, a custodire il parcheggio Verdi. Giacomo Zanella, sfrattato da piazza S. Lorenzo si consola aspettando la “fontana con giochi d’acqua e aiuola semicircolare” promessa (Giornale di Vicenza, 19/2/2004). Il buon Bepi Garibaldi è lì tra gli industriali e Galla, ormai senza spada. Solo l’ottimo Lampertico si frega le mani per il suo bel cantuccio all’ombra dell’Olimpico. Ho una proposta. Non è il momento

di mandare in discarica re Vittorio Emanuele II, residuato naftalinico in piazza Duomo? Nessuno si prende la responsabilità di nettarlo temendo l’accusa di filomonarchico in tempi di ritorno dei Savoia. Sostituiamolo con una bella statua di Bettino Craxi, con le tasche ricolme di soldi, come hanno fatto in un ridente paesino della Calabria. Incontrerebbe il favore di tutti e scaccerebbe il fantasma della crisi economica oltre a rispecchiare un po’ meglio questo nostro Paese.

*scledense, 26 anni, laureato in Scienze della comunicazione a Verona (primo assoluto a conquistare il massimo di punteggio in sede di discussione ) con la tesi “Quanto i media e i destinatari possono mutare il significato originario del messaggio”.

Anna Lidia Borgo

I pubblicitari vicentini sono concordi: le targhe alterne sono state “vendute” in modo sbagliato e controproducente. “Anche un’imposizione può essere comunicata in modo positivo” spiega Marino Pegoraro dell’agenzia vicentina Studio Print. “Comunicare le targhe alterne in questo modo non ha aiutato le famiglie e ancor meno l’immagine del Comune” dice Mario Di Stefano, direttore creativo dell’agenzia di comunicazione Adas. Marino Pegoraro ammette che trovare vantaggi evidenti in un provvedimento come le targhe alterne è difficile: “I miglioramenti della qualità dell’aria sono stati scarsissimi. Perciò trovare un messaggio positivo sarebbe stato un problema. Non si può promettere alle persone che avrebbero respirato sano se questo non è affatto vero. Certo è che il Comune non ha dato l’impressione di credere nel valore dell’iniziativa: quando vuole pubblicizzare un’iniziativa culturale realizza grandi manifesti a colori, con un messaggio forte e chiaro. Qui si sono viste solo illeggibili locandine”. Mario Di Stefano dell’agenzia Adas ha ricevuto, da uomo di comunicazione, l’impressione che le targhe alterne siano state presentate come un atto subito, una imposizione della amministrazione pubblica. “Bisognerebbe invece convincere i vicentini a lasciare le auto nei parcheggi e nei garage, a muoversi a piedi e in bicicletta pensando di fare la cosa

Vicenza? Ha una febbre da cavallo Anche tra i vicentini dilaga il pessimismo. Chi è nato e vive in città, fatica a riconoscersi, in questo ambiente sempre più disastrato. Il sentimento è generale, misto a disagio, fastidio, per un “corpo senza anima e senza cuore” Una città smarrita, in centro e periferia. Se ti trovi fuori casa dopo le 20, sembri l’Uomo in frac che sviene guardando il Bacchiglione. Problemi risolti: nessuno. Il traffico: commercianti astiosi e incarogniti, la fanno da padroni, dettano legge, non sono più gli stes-

giusta, un bene per sé e per gli altri”. “Non si tratta - continua Di Stefano – di manipolare gli atteggiamenti o i dati acquisiti ma di mettere sotto la giusta luce le informazioni disponibili. Le targhe alterne sono viste come una limitazione alla libertà di trasporto e quindi alla libertà di esprimersi, di fare ciò che vogliamo. Quello che non viene detto è che la limitazione al traffico è un atto estremo ma dovuto per evitare pericolosi danni alla salute. Per il padre e la madre significa solo che non possono accompagnare i figli a scuola. Invece il messaggio da diffondere è ‘il tuo bambino eviterà una bronchite, un raffreddore e forse danni peggiori’. Bisogna essere drastici ma senza drammatizzare. In concreto, secondo Di Stefano il Comune dovrebbe agire inviando a tutte le famiglie una lettera e un opuscolo dove, con parole semplici ma esaurienti, si spieghi l’attuale situazione. Questa azione andrebbe integrata con una campagna di affissione pubblica per raggiungere tutta la cittadinanza. I vicentini devono essere al corrente di come e perché le autorità competenti agiscono. È necessario per instaurare una forma di coscienza collettiva. “Una cattiva comunicazione sul problema dell’inquinamento è comune a tutte le città venete.” Bisogna uscire da questo circolo vizioso e avvicinare gli abitanti all’amministrazione. Ilario Toniello

si, vivono fuori. Altro che Geremia! Una febbre da cavallo si è abbattuta su Vicenza e può trasformarsi in malattia dello spirito e della partecipazione. Basterebbe che il sindaco firmasse l’ordinanza di divieto ai Tir per la statale Pasubio e riceverebbe almeno 10.000 applausi: anche il mio. Questo sarebbe il primo passo per governare a favore dei cittadini e migliorare lo stile di vita. Ma non ha coraggio! I problemi vengono sempre rimandati con menefreghismo e incapacità a trovare la sintesi giusta per regolare i ritmi della città. A Parco Città non vogliono gli anziani ed al cimitero non c’è posto. I “vecchi”

al Laghetto; i morti a Casale. Abbiamo bisogno di qualcosa di più, ce lo meritiamo. Il disagio è forte: smog, traffico, Tir, pulizia delle strade, marciapiedi da sistemare, allagamenti, case popolari inesistenti, aumento dei prezzi, autobus... Eppure, gratta gratta c’è ancora tanto entusiasmo, in questa città diventata opaca, c’è ancora voglia di fare, di battersi per uscire da una gestione quotidiana della cosa pubblica, avvilente e mercantile. Luciano Parolin Responsabile cittadino Italia dei Valori

RITRATTI VICENTINI

Lei mi fa girar la testa, prof Piergiorgio Casara, insegnante di filosofia al Pigafetta, è tra i docenti più amati dagli studenti vicentini “Un buon professore dev’essere sempre un po’ attore” Ma quante resistenze tra i colleghi Professor Casara, sei uno dei professori più amati da intere generazioni di studenti. Al massimo sarò uno dei tanti. Ma è vero che ho sempre avuto ottimi rapporti con gli studenti. Molto più che con i colleghi. Qual è il segreto del tuo successo? I miei capelli, direi! Mi rappresentano: un po’ bohemien, un po’ marxiani, parlano di trasgressione e di un certo narcisismo, di un ’68 che ho vissuto con passione, e anche della mia ambizione. Insomma, sei modesto o ambizioso? Tutte e due le cose: la mia modestia è vera, e la mia ambizione è virtuosa, come insegna Hegel. E’ una spinta a migliorarmi professionalmente. Come sono cambiati gli studenti negli anni? I ragazzi di oggi sono più difficili da entusiasmare. E io trovo che il compito di un professore sia appassionare i ragazzi alla materia, trasmettendo loro vita ed esperienza. Le materie scolastiche sono degli strumenti per imparare a leggere il presente, a ragionare e a risolvere problemi. E per restare al passo con i tempi? Per restare giovani non servono lifting, bisogna essere dinamici. Per esempio, io devo guardare la televisione, per parlare il linguaggio dei ragazzi, che è quello dei Simpson o di “Camera Café”. Ma cosa c’entra la televisione con la filosofia? C’entra con i ragazzi, che sono un po’ figli della TV. E poi, per catturare l’attenzione, il professore è sempre un po’ attore. In classe chiedevi di darti del tu. Lo fai ancora? Per me è indifferente se mi danno del lei o del tu. Quello che io voglio è che il rapporto sia onesto e corretto, ciascuno nel proprio ruolo. Da parte mia, correttezza vuol dire professionalità, oggettività nel giudicare. Da parte dei ragazzi, è studiare ed essere preparati. Questa idea ha sem-

pre dato grandi risultati: gli studenti hanno un approccio sereno alla materia, niente tranquillanti per dormire prima della mia interrogazione.

Capelli lunghi e chitarra a portata di mano: ma non è solo per questo che Piergiorgio Casara è così bernvoluto dai suoi studenti: “Bisogna parlare la loro lingua per poterli appassionare”

Ma, prima o poi, arriva anche l’interrogazione. In quel momento sei il nemico… Spero proprio di no. Intanto, se ho fatto bene il mio lavoro, ho reso la materia semplice. Poi spiego come si svolge l’interrogazione e quali sono le mie aspettative, e interrogo quando sono preparati, finché non prendono sei. Ma sono proprio tutti bravi? Sono bravi, sono bravi! Mi trovo sempre a lavorare con un potenziale umano eccezionale. E questo mi dà molta soddisfazione. Hai fatto altri mestieri prima di insegnare? Sono sempre stato un professore, mi hanno chiamato a scuola appena tornato dal servizio militare. Certo, erano altri tempi. Dal 1980 insegno alle superiori: liceo classico a Schio, poi il Fogazzaro con la sperimentazione in scienze umane, tutta da costruire, e infine filosofia e storia al Pigafetta. Hai avuto maestri di stile? Farò due nomi: Gabriele Boschiero, mio insegnate di filosofia al Fogazzaro, e Giuseppe Faggin, che ricopriva la stessa cattedra che ho io oggi al Pigafetta. Da loro ho imparato il rispetto per gli studenti. Un apprezzamento che dovrebbe esserci anche tra colleghi. Il mestiere ti piace, dunque. Faccio il mestiere più bello del mondo! Insegnare è davvero un’attività che qualifica l’uomo, come insegna Marx. E poi mi diverto, ho tempo libero per potenziare la mia professionalità, sono creativo (che è il segreto anti-alienazione) e libero. Anche in un ambiente tradizionalista come il liceo classico? Certamente. Sono sempre stato libero in clas-

se. Che poi i colleghi condividano, è un’altra questione.

chiuso in una scuola sempre uguale a se stessa, poco vitale.

I tuoi metodi non piacciono ai colleghi? Non è su ciò che si fa in classe che ci si può trovare in contrasto. Premesso che stimo molti colleghi, devo dire che non tutti hanno la mia stessa visione della scuola e dell’insegnamento. Per me sono centrali l’aggiornamento continuo dei professori e l’apertura della scuola al contesto sociale. In questo, qualcuno dissente.

Parlando di cambiamenti della scuola, come vedi la riforma Moratti? Non la conosco nel dettaglio, ma mi pare dia segni preoccupanti di involuzione della scuola. Proposte come l’abolizione della teoria darwiniana dai testi scolastici equivalgono ad un ritorno al passato, in un atteggiamento antiscientifico. Da questo, temo che tutta la riforma sia inquinata da questo anacronismo. E pensare che la scuola italiana, se ne è parlato anche recentemente, ha molti pregi.

Un esempio? Per esempio, io mi occupo di una funzione obiettivo che si chiama “Dal liceo all’agorà”. Come dice il nome, si tratta di attività di apertura del liceo alle altre realtà cittadine, associazioni culturali e associazioni di categoria, proprio per il rapporto che il liceo ha con le industrie e con il tessuto economico in generale. Si fanno convegni, si organizzano stage in azienda, in collaborazione con i privati, che finanziano molte attività. È una novità e forse per questo non tutti i colleghi sono favorevoli ai progetti. A me dispiace vedere certe resistenze, perché sono proprio contrario alla figura del professore

Di questo si parla poco. A cosa ti riferisci? Ho avuto modo di fare alcune esperienze in Paesi come Francia, Belgio, Spagna, Portogallo negli ultimi anni. I nostri colleghi, là, guardano alla scuola italiana come ad un modello da copiare per quel che riguarda la struttura, per la didattica in aula e il modo di studiare. Sarebbe un vero peccato impoverire questo aspetto così apprezzato anche all’estero. Speriamo bene! Anna Baldo

economia e società

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Il presidente Coldiretti: sul folle aumento dei prezzi non abbiamo responsabilità

Biologico sì, ogm no l’agricoltura fa boom Cresce la produzione verde, no alla genetica: “Inutile e immorale” Cibo sano dal campo al piatto. Potrebbe essere questo il motto dell’agricoltura vicentina, che vive un momento di grande attenzione verso la genuinità dei propri prodotti. E’ il presidente provinciale Coldiretti, Diego Meggiolaro, a testimoniare un vero e proprio boom del biologico: “oggi le aziende del biologico costituiscono il 13/14 per cento della produzione vicentina. Questo mercato ha avuto punte molto rilevanti negli ultimi dieci anni soprattutto a causa degli scandali alimentari. Il consumatore cerca giustamente una sicurezza maggiore che questo tipo di mercato può assicurargli.” Come Coldiretti cosa fate per potenziare il settore? “La nostra approvazione sta tutta nel Patto con il Consumatore di cui chiediamo la tracciabilità obbligatoria. Siamo coscienti di lavorare con quello che è il carburante dell’uomo, il cibo e pertanto abbiamo inserito nel nostro statuto il Valore dell’Etica. In base ad esso tutte quelle aziende che non rispettano i parametri determinati verranno allontanate dalla Federazione.” Quindi c’è sempre chi non rispetta le regole. Dobbiamo stare tranquilli? “La nostra soglia di attenzione è sempre molto alta.” Ad esempio non si parla più della “mucca pazza”. Problema superato? “Il silenzio da parte nostra non c’è mai stato. I nostri controlli sono gli stessi degli anni dello scandalo. Abbiamo un costante rapporto con il mondo veterinario in modo da poter controllare ogni bovino che superi i diciotto mesi. Dobbiamo anche sottolineare che noi in Italia siamo stati “vittime” di questa situazione, giunta dall’Inghilterra. Qui non è mai stato evidenziato un caso di malattia conclamata, ma solo presunta. Tanto basta comunque a mantenere la nostra attenzione alta. D’altra parte sappiamo che anche il consu-

matore non ha dimenticato.” Lei ha parlato del valore dell’etica come uno dei vostri capi saldi. Nasce spontanea una domanda sui famosi Ogm. “La nostra politica è molto chiara. Siamo contrari non alla ricerca scientifica, ma alla produzione che faccia uso di sementi geneticamente modificate. Oltretutto per noi non sarebbe economico. Noi non possiamo competere con mercati come quello USA o cinese. Essi si basano sulla grande quantità. Noi puntiamo alla qualità e gli Ogm non sarebbero affatto utili alla nostra strategia di mercato.” Economicamente parlando. Ed eticamente? “Qualcuno ha tentato di far passare questa produzione come una soluzione per la fame nel mondo. Ma chiunque si accorge della menzogna. Quello delle sementi modificate è un brevetto privato. Tale brevetto è in mano a quattro, cinque multinazionali. I paesi in via di sviluppo dovrebbero acquistare le sementi da esse. Il problema riguarda solo il lato ricco del mondo, non quello affamato.” Altro problema scottante degli

vicenzaabc

la città a chiare lettere

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ultimi anni è stato quello delle quote latte. Cosa pensa dei “ribelli” e delle loro proteste? “L’attuale ministro delle politiche agricole ha posto fine al problema. La corte di giustizia europea ha emesso una sentenza in cui definisce le quote e impone il pagamento degli esuberi. La sentenza impedisce inoltre ai tribunali amministrativi di accettare ricorsi. I tribunali, tra l’altro, hanno sempre sospeso i provvedimenti, non li hanno mai definiti. Ora finalmente viene fatta giustizia verso coloro che rispettavano le regole e subivano una concorrenza sleale.” C’è ancora chi mormora? “Più che altro c’è chi sparge false notizie dichiarando che sono solo il 3 per cento degli allevatori ad aver accettato la rateizzazione. In realtà le cifre parlano chiaro. Solo nel vicentino sono il 74 per cento quelli che hanno accettato l’opportunità concessa dalla Comunità Europea.” La siccità sarà ancora il “gossip” estivo? “Per fortuna quest’inverno è stato generoso. Le abbondanti nevicate hanno fatto sì che le falde

siano tornate a riempirsi. Abbiamo quindi un serbatoio più ampio.” Problema risolto? “Non direi proprio. Da una parte c’è il cittadino che fa un uso molto più ampio dell’acqua rispetto agli anni passati. Ma questo è un buon segno, l’igiene personale è in aumento. Dall’altra però ci sono le nostre industrie che ne fanno grande consumo. Il problema è che spesso non la riconsegnano, come avviene invece per l’irrigazione, ma essa deve essere posta in tubi ermetici e portata verso il mare. Vi è quindi un continuo prelievo. La necessità è quella di regolamentarlo in modo che i risultati siano gli stessi con consumi minori.” Ma il clima è davvero impazzito? “Non la penso così. Io credo che per chi sa leggere la storia questi allarmismi non funzionino. Certo, noi dobbiamo stare attenti perché rischiamo di modificare la natura con il nostro inquinare. Tuttavia, non penso che vi sia un mutamento climatico così repentino e devastante. Le annate di siccità e di maltempo vi sono già state in passato. Noi comunque dobbiamo mettere in atto tutte le prevenzioni possibili. In quanto Coldiretti cerchiamo di portare nuove idee e proposte per mantenere una natura sana.” Frutta e verdura hanno prezzi alle stelle. Ognuno scarica la colpa sugli altri. E voi? “Noi siamo tranquillissimi. Vi sono riviste specializzate che pubblicano settimanalmente i prezzi medi rilevati alla produzione dalla Camera di Commercio. Ad esempio l’Informatore Agrario riporta i prezzi medi di tutto il mercato italiano. Tutto ciò che riguarda la produzione è alla luce del sole. Per dirne una a gennaio le zucchine andavano da 0,80 a 1,20 euro. Quattro anni fa costavano, sempre alla produzione, 1.800/2.000 £. Ribadisco quindi la nostra tranquillità.” Sara Sandorfi

“Si può fare anche senza tradizione familiare”

Vado a vivere in campagna Giovani in trattore col pc Boom del biologico, ricerca del cibo più sano. Ma vi è anche un ritorno alla campagna che inverte una tendenza che pareva irreversibile. “Attualmente è soltanto il 3,5 per cento della popolazione ad essere impiegata nell’agricoltura. Il problema è che subiamo un notevole invecchiamento. Il 50 per cento dei nostri soci hanno tra i sessanta e i settant’anni. Questo significa anche che quel 3,5 per cento è in calo. In controtendenza, però, abbiamo molti giovani che scelgono questo mestiere. E molti senza averne tradizione familiare. Si comincia a vedere l’azienda agricola come un investimento, e il lavoro di agricoltore come un mestiere specializzato. Questi giovani sono preparati, vengono da studi adeguati e credono nella valorizzazione della tipicità del mestiere.” Scompare dunque l’idea del “povero contadino ignorante”. “Io non ci ho mai creduto a questa favola. Il contadino deve avere tantissime competenze. Magari non si sa esprimere, ma questo perché non deve vendere fumo. Non deve dimostrare di sapere quello che non sa. Oltretutto ogni imprenditore agricolo dedica un minimo di due, tre sere a settimana alla formazione. Deve tenersi informato sui prodotti in commercio. Quelli che vengono volgarmente denominati “pesticidi” infatti, comprendono in realtà prodotti svariati. Il contadino deve sapere che cosa usare. Noi siamo i primi a rimetterci se dovessimo usare fertilizzanti di cattiva qualità.” A chi deve rivolgersi un giovane per avviare un’impresa agricola? “Ci sono organizzazioni che possono indirizzarlo e presentargli le opportunità che la Comunità Europea e la Regione Veneto offrono. Non ci si deve aspettare un guadagno immediato, ma questo è un mestiere che permette di mantenere decorosamente la propria famiglia.” Nuove leve quindi. Altre novità? “Una curiosità è che abbiamo notato una grande crescita del numero di imprenditrici. Questo è un fenomeno recente e che permette di superare un’idea del contadino ormai obsoleta. Stiamo inoltre adoperandoci per poter utilizzare il marchio “Terre del Palladio”, di proprietà della Camera di Commercio, per le nostre produzioni (dall’asparago di Bassano, ai bisi di Lumignano, al sedano di Rubbio per dirne qualcuno...). Questo ci permetterebbe la vendita diretta e un reddito immediato.” s.s.

”La cosa più interessante è rendersi conto di come dal nostro lavoro dipenda la salute della gente”

Piacere Isabella, contadina del 2000 Ritratto dei moderni coltivatori diretti: c’è tanto da fare e tanto da studiare Il confronto tra le statistiche dell’agricoltura italiana e di quelle considerate migliori in Europa, come quella francese, tedesca, olandese, mostra che la percentuale di giovani imprenditori, inferiori ai 35 anni, sul totale delle aziende censite, in Italia è molto più bassa. Ma si tratta di un errore, che dipende dal fatto che le statistiche del censimento italiano annoverano ancora un numero di aziende di gran lunga superiore a quello delle effettive imprese (quelle registrate alle Camere di Commercio, che sono meno della metà delle aziende del censimento). Se rapportata a queste, la percentuale degli imprenditori giovani in Italia risulta anche più alta delle altre percentuali in Europa. Che tipi di giovani sono questi? Stefano e Isabella hanno un’età intorno ai trent’anni (un po’ meno lui, un po’ più lei), abitano rispettivamente in provincia di Verona e di Treviso, di professione sono imprenditori agricoli. Per la carica rappresentativa che ricoprono, lui delegato regionale dei giovani imprenditori Coldiretti del Veneto e lei responsabile regionale delle imprenditrici agricole Coldiretti del Veneto, devono spesso presenziare a incontri istituzionali, conferenze stampa, interviste. Giovanili e belli quali sono, spigliati nell’eloquio preciso e colto, suscitato a volte l’incredulità sul fatto che siano effettivamente agricoltori. In una recente intervista televisiva – in cui tra l’altro l’argomento era quello delle pensioni – il giornalista ha voluto premere la propria mano sulle loro

Under 35 in campagna Che impresa Numero di aziende 107mila (più di un quinto di quelle europee)

Conduzione femminile 25 % Superficie media per azienda 9,4 ettari (oltre 54% in più della media nazionale)

Fatturato medio per azienda 18.720 (75% in più della media nazionale)

Numero di occupati per azienda 0,9 unità

braccia, chiedendo se fossero veri, dei veri agricoltori. Lo sono, e sono rappresentativi di una generazione nuova che sta rinnovando le imprese agricole, nel Veneto come nel resto d’Italia. Perseguono con intelligenza intuitiva – che compendia gli studi con la sapienza tradizionale – l’attività d’impresa, attenta al mercato in cui i cittadini consumatori sono sempre più consapevoli, rispettosa e creatrice dell’ambiente, con l’etica della responsabilità sociale che l’impresa deve avere. “Parliamo di etica e di impresa – ha

dichiarato Stefano in occasione di un’intervista. Ci si chiede se sia possibile unirle. Si, in imprese di una certa dimensione, laddove il prodotto è garantito dalla professionalità. Quando ho portato a casa dal campo tre pere a mio figlio piccolo, mi sono reso conto di come la salute degli altri dipende dai nostri prodotti. Magari non ho guadagnato - mi sono detto - ma ho lavorato bene”. Domenico Dal Sasso direttore Coldiretti Vicenza

(50% in più della media nazionale)

Propensione al biologico 3,7% rispetto al 2,1% della media nazionale

Acquisto terra in proprietà 54% contro il 74% della media nazionale

Fonte: Elaborazione Coldiretti su pubblicazione Eurostat 2003

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cultura Giulio Nascimbeni, storica penna del Corsera e grande amico dello scrittore, racconta il suo Parise

“Che lazzarone il mio Goffredo” Lunedì 1 settembre 1986, il Corriere della Sera esce in prima pagina con la corrispondenza di Valerio Riva da Treviso: “Parise è morto”. A fianco, un corsivo di Alberto Moravia. E’ una breve, fredda, lucida analisi delle qualità letterarie del grande vicentino. Nessun accenno all’antica amicizia che aveva fatto confessare al più giovane dei due: “Ho imparato l’arte da Comisso e la vita da Moravia”. Il ricordo, il dolore per la scomparsa dello scrittore (collaboratore del Corsera per oltre trent’anni), viene affidato in terza pagina alle penne di Ettore Mo e Giulio Nascimbeni, giornalista, critico letterario, ma soprattutto, veronese di Sanguinetto e grande amico di Goffredo Parise. In occasione dell’apertura al pubblico della casa museo di Ponte di Piave, a lui abbiamo chiesto di raccontare il rapporto con lo scrittore. “Eravamo molto amici. Conservo ancora, gelosamente, dei suoi inediti. Questo dà la misura dell’intimità del nostro rapporto. Che vuole, anche se sono a Milano da quasi mezzo secolo, con Goffredo avevamo in comune l’origine veneta: quella luminosa solitudine che splende nei sogni della provincia. Credo che questo tratto ci avvicinasse naturalmente. Tra noi, per altro, si parlava quasi sempre in dialetto. A parte le occasioni particolari, come un’intervista. Allora, mi era indispensabile la distanza fisica e professionale dell’italiano. Sono entrato al Corriere il 15 dicembre 1960. Lui collaborava già dal ‘55, ma con l’edizione pomeridiana, che allora si chiamava ‘Corriere dell’Informazione’ ed era guidato da Gaetano Afeltra. Al Corrierone vero e proprio, Goffredo approdò più tardi, nel ’63, ma io lo conobbi solo due anni dopo. Curavo una trasmissione della Rai che si chiamava Tuttilibri. Parise aveva appena pubblicato da Feltrinelli “Il Padrone” che, quell’anno, era risultato vincitore al Premio Viareggio. Ma c’era anche stata la temporanea rottura con Livio Garzanti che si era rifiutato di darlo alle stampe (il padrone cui si riferiva nel libro era lui), e la polemica

Ci univa il nostro bel dialetto veneto: per placare la sua scontrosità bastarono un paio di battute

Mi chiese “Tu credi che esista l’aldilà?” Risposi di no. Si adombrò “Forse diventerò una foglia”

forse diventi una foglia’. Fu un brutto colpo per lui, già malconcio dopo l’intervento alle coronarie del giugno di quello stesso anno. Successivamente, venne sempre meno a Milano. Io, quando tornavo in Veneto, andavo per lo più a Verona dove abita mio figlio. Però ci sentivamo molto spesso al telefono. O attraverso i bigliettini con cui accompagnava i pezzi che ci arrivavano in redazione spediti da Ponte di Piave.



Son vecio, diceva e fumava, fumava

proprio col Corriere. Goffredo c’era rimasto parecchio male per come Carlo Laurenzi, inviato a Viareggio come cronista, aveva raccontato l’evento. ‘Trovo il resoconto’, scrisse in una lettera al direttore di quel periodo, Alfio Russo, ‘velenoso’. Insomma, era abbastanza maldisposto. Di più: quando arrivò negli studi per registrare la trasmissione, era davvero scorbutico, scontroso, decisamente rude. Poi ci furono un paio di battute in dialetto e lui si sciolse. Nacque così la nostra amicizia. Che non si è mai interrotta fino alla sua morte.

Osvaldo vide per la prima volta la firma di Goffredo sul Corriere, rimase per alcune ore con lo sguardo fisso sulla pagina. Chissà se è vero. Comunque Nico la racconta così. Come quell’altra, sempre di Naldini, secondo cui Goffredo era solito, negli anni milanesi alla Garzanti, dormire in piedi addossato ad un muro durante la pausa di mezzogiorno, con un mendicante lì dappresso incaricato di svegliarlo dopo un’ora circa. Io però, lo giuro – ride Nascimbeni – non l’ho mai visto farlo. Né ho mai visto quel mendicante.





Perchè Spadolini lo amava tanto

Credo che certa sua ombrosità derivasse ovviamente dall’infanzia. La prima giovinezza solitaria e segnata dall’esser figlio di una ragazza madre. Poi, certo, ci fu il padre adottivo Osvaldo (da cui Goffredo, anni dopo, acquisì il cognome), giornalista del Giornale di Vicenza, che pian piano guadagnò il suo affetto. Tra i due si instaurò un ottimo rapporto. Al proposito, ricordo un aneddoto di Nico Naldini: quando

Straordinario fu il suo rapporto con il povero Giovanni Spadolini, direttore del Corriere dal ’68 al’72. I due si conoscevano, forse erano già amici, dal ‘55, quando il grande intellettuale fiorentino aveva voluto Goffredo al Resto del Carlino, da lui diretto in quegli anni. E’ incredibile come potessero andare d’accordo due uomini così radicalmente diversi tra loro: agli antipodi, direi. Spadolini era un uomo d’ordine, solenne, un monumento vivente. Goffredo?

Dormiva in piedi addossato a un muro

Un gran lazzarone! Forse per questo Spadolini lo amava tanto. I Sillabari furono una sua intuizione! Aspetti che cerco tra le mie carte un vecchio articolo. Ah, eccolo. Parise pubblicò la prima voce della raccolta, ‘Amore’, sul Corriere del 10 gennaio 1971. Insoddisfatto come sempre, Goffredo espresse qualche dubbio sulla soluzione grafica giocata sull’accostamento di sole due parole, Sillabari e, appunto, il titolo, Amore. Il Direttore gli rispose, cito testualmente: ‘Manterrei lo schema iniziale. Ormai il pubblico si è abituato al sillabario come occhiello: non lo turberei’. Ecco, questo era Giovanni Spadolini. Altra grandissima amicizia fu quella con Montale. Quando aveva lasciato Milano già da molti anni, ogni volta che veniva da noi in Via Solferino, Parise non mancava mai di passare in Via Bigli a trovare l’amico poeta. Quando Montale morì, il 12 settembre 1981, chiesi a Goffredo di mandarmi un pezzo di commemorazione. Allora io ero a capo della redazione cultura. Lui mi mandò cinque righe e nulla più, queste: ‘Una volta mi domandò a bruciapelo: tu credi che esista l’aldilà? Risposi di no. Egli sembrò riflettere profondamente e disse come tra sé:

Ricordo che le cartelle erano al limite della leggibilità, piene di cancellature. Inutile spiegargli le vecchie regole alle quali, per altro, era sempre stato riottoso (ogni cartella non deve superare le trenta righe di sessanta battute): ascoltava e poi brontolava qualcosa per me incomprensibile. Poi, parlava spesso della malattia. E della morte. Ma non ne aveva paura. Più che altro, a preoccuparlo era la possibilità di diventare cieco come sua madre. E in effetti perse quasi del tutto la vista. L’ultima volta che l’ho incontrato in Via Solferino è stato nel corridoio al pianterreno. Mi parlò della sua angoscia di non poter più vedere con i suoi occhi avidi le cose che più amava. Poi concluse mestamente, come spesso ripeteva anche nel corso delle nostre telefonate, ‘son vecio’. Cosa ricordo in particolare di quegli ultimi anni? Che fumava anche quando non avrebbe dovuto. Ecco. Questo. Quella maledetta domenica in cui Goffredo morì, il 31 agosto, mi trovavo a Cortina. Dovetti scrivere un pezzo in sua memoria. Fu pubblicato il giorno dopo. Non ricordo in questo momento come si intitolava (‘Una dolce voglia di rovesciare la provincia’ N.d.r.). Mi scusi, ma alla mia età non ricordo più tutto. Che vuole, ho quasi ottant’anni: son vecchio”. Davide Lombardi

Parise in Sillabari Semplicità Scrivere con parole molto semplici ed elementari; essere sinceri; scrivere solo quando si ama molto non soltanto le cose che si scrivono ma soprattutto coloro che le leggeranno. Il lettore sente subito che chi scrive vuol fare il furbo, vuol fare il professore, sente che l’autore non lo ama e non ci casca, non si commuove, non si emoziona. (da un’intervista del settembre 1972 a Claudio Altarocca)

Vicenza Perchè non ero tornato o non tornavo nella mia città? Non avevo parenti in quella città e per di più l’avevo per così dire “sfruttata” in quattro miei libri. Ora la ricordavo esattamente come si ricorda un sogno. Le grigie colonne palladiane in lunghe e alte fila come d’alberi della foresta malese, la piazza, il passato. (da G. Parise: “Veneto barbaro di muschi e di nebbie” sul Corsera del 1 gennaio 1984)

Ci sono voluti diciott’anni per trasformare in realtà le volontà di Goffredo Parise: trasformare l’ultima dimora, la casetta di Ponte di Piave, in un centro di cultura e studio del suo lavoro. Erano in più di duecento appassionati, sabato 27 marzo, a salutare l’apertura ufficiale del percorso museale ricavato all’interno. Acquistata nel 1984 da un Parise costretto dalla malattia ad abbandonare il rifugio di Salgarèda troppo esposto agli umori del Piave, la casa di Ponte, una barchessa restaurata circondata da un ampio giardino, è specchio fedele di chi l’ha abitata e amata. Visitando le sue stanze, è impossibile non rimanere affascinati dalla semplicità essenziale del luogo così come dai molteplici richiami ai tanti viaggi in giro per il mondo. Lo studio con l’Olivetti e gli occhiali ancora posati sulla scrivania, il salone reso luminosissimo dalle due pareti a vista sul giardino, la camera da letto incentrata sul lettino – un po’ triste – da una piazza e mezza, ma anche le lampade cinesi, le sedie in vimini così leggere, un’imponente zanna di elefante in entrata. Tutto è intatto, come Parise lo aveva lasciato. E’ vero, vi è qualche cosa di struggente o, più ancora, di tragico, nella celebrazione postuma di un uomo, nella logica museale che, per conservare, cristallizza. Forse è il contrasto inevitabilmente stridente tra la vivezza dell’opera e l’imperturbabilità un po’ polverosa di un luogo da cui si vorrebbero svelati i segreti del processo creativo. Eppure, al visitatore innamorato dell’autore dei Sillabari e di tanti altri capolavori, la congiunzione simbolica tra l’uomo e l’artista riesce perfettamente. Perché Parise

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con le gambe fresche come la gazosa per le punture del vento”. Dunque Salgarèda, e poi Ponte di Piave, come esiti naturali di quell’essere “profondamente veneto” (la definizione è di Alberto Moravia) che fu proprio di Goffredo Parise. Un’appartenenza di cui il piccolo comune del trevigiano ha raccolto l’eredità: motivo d’orgoglio, ma anche di grande responsabilità, come ci ha spiegato Francesco Tiveron, bibliotecario e membro del comitato scientifico. “Ponte di Piave è un comune di soli settemila abitanti, Parise un monumento della letteratura italiana. Troppa la sproporzione. Noi abbiamo fatto e facciamo il possibile, ma forse servirebbe dare ai luoghi che furono dello scrittore un respiro più ampio. Ad esempio, realizzando un parco letterario tra qui, Vicenza e Oderzo dove Parise era un habitué alla libreria Il Becco Giallo. L’apporto della Regione? Hanno dato qualche soldo per questo convegno e per il sito Internet. Non si può dire che vi sia indifferenza, ma certo, per valorizzare un gigante della cultura veneta come Goffredo Parise, si potrebbe fare qualcosa in più”.

Casa Parise

Aperta al pubblico in questi giorni l’ultima dimora dello scrittore: ospita un ricco archivio vive nei molti ritratti di amici artisti (Carlo Guarienti, Mario Ceroli, Giosetta Fioroni, accanto a tante altre opere di Schifano, De Pisis, Vacchi, Festa) sparsi ovunque, cucina compresa. Perché Parise riposa in quello stesso luogo, a pochi metri dal cancelletto d’ingresso, nella tomba appena accennata nel verde del prato e vegliata dal marmo bianco - Mademoiselle Pogany - di Brancusi (purtroppo, soltanto una copia, l’originale fu rubato nel 1996). In quel punto esatto, si riaccende il dialogo muto con l’artista che aveva deciso di ritornare nel suo “Veneto barbaro di muschi e di nebbie” (dal titolo di un imperdibile articolo di Parise pubblicato sul Corsera il 1° gennaio 1984) acquistando, già nel 1969, la casetta di Salgarèda, per poi trasferirsi a Ponte di Piave due anni prima di morire. Non un caso la data del rientro di Parise in Veneto dopo una vita randagia, ha

ricordato il critico Silvio Perrella (autore della recente monografia “Fino a Salgarèda”, Rizzoli. Euro 13,50) presente alla conferenza d’apertura dell’evento insieme a vecchi amici dello scrittore come Nico Naldini, il vicentino Fernando Bandini (presidente del Comitato scientifico Casa di Cultura Goffredo Parise) e Tommaso Tommaseo Panzetta. Piuttosto, una sorta di passaggio di consegne con l’amico e maestro Giovanni Comisso morto a Treviso proprio in quello stesso anno. Anche quando lontano, Parise non aveva mai rinunciato, men che meno rinnegato, il legame profondo, ancestrale, con la sua terra d’origine. Scriveva a Comisso in una lettera da Capri datata 22 agosto 1959: “Vorrei passare questo inverno sepolto nella nostra campagna, girando con una bicicletta e dormendo nei fienili e la sera ritirarmi a ‘filò’ con quelle belle campagnole

Casa museo di Goffredo Parise Via Verdi 1 (31047) Ponte Di Piave (TV) Telefono: 0422759995 Internet: www.goffredoparise.it Orario: dal lunedì al venerdì, dalle 14,30 alle 19,00. Su prenotazione il sabato mattina e la domenica mattina. Ingresso libero.

Maternità Se il Mediterraneo nasconde nelle sue profondità arte e cultura come i bronzi di Riace, in questa zona di terra veneta vivevano però con i loro elfi e coboldi le culture nordiche e barbariche, non più mediterranee ma boschive, fungacee, muschiose, gelate e nebbiose della fantasia di Andersen e dei Grimm, della steppa e delle sinagoghe russe. (da G. Parise: “Veneto barbaro di muschi e di nebbie” sul Corsera del 1 gennaio 1984)

Viaggiare Ma ci fu un ultimo viaggio, in Giappone, dove lo spirito di Salgari trionfò: l’unico paese al mondo dove l’America è messa sotto i tacchi, ogni cosa avendo l’aspetto e l’uso americano. Ecco, l’essenza, lo spirito ineffabile dell’esotismo in Giappone resisteva intatto: l’acqua non era stata inquinata. (da G. Parise: “Salgari: i miei viaggi” sul Corsera del 24 ottobre 1982)

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