Vicenzaabc N 2 - 26 Marzo 2004

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vicenzaabc la città a chiare lettere

venerdì 26 marzo 2004, numero 2, anno III

SETTIMANALE DI INFORMAZIONE, CULTURA, POLITICA, ASSOCIAZIONISMO, SPETTACOLO

Via Piazzon 82/28 - 36051 Olmo di Creazzo (VI) Tel. 0444 349611 - Fax 0444 349510 www.svec.it - email: [email protected]

Editore: VicenzaAbc scarl, Corte dei Molini 7, 36100 Vicenza. Partita Iva 03017440243. Telefono 0444.305523. Fax 0444.314669. E mail: [email protected]. Spedizione in abbonamento postale 45% Comma 20/B, legge 662/96 - DC Vicenza Redazione: Corte dei Molini 7, Vicenza. Telefono 0444.504012. Fax 0444.314669. E mail: [email protected] www.vicenzaabc.it

Dal tramonto all’alba Anche per l’economia del Nord Est è giunta l’ora del tramonto? Gli ultimi dati congiunturali su produzione industriale e export stanno soffiando come un vento gelido sulle aspettative di una rapida ripresa. Del resto, un modello di sviluppo che è stato a lungo identificato con la forza degli indicatori statistici piuttosto che attraverso una consapevole riflessione sul proprio passato e la chiarezza di idee per il proprio destino, non può che sentirsi vulnerabile di fronte al cambiamento dello scenario competitivo. Perché di questo si tratta: il mondo nel quale l’economia vicentina è cresciuta a ritmi sostenuti negli ultimi trent’anni non c’è più. Non c’è più quel mondo diviso in blocchi che escludeva intere aree geoeconomiche, come l’Europa dell’Est e la Cina, dalla divisione internazionale del lavoro. Non c’è più la moneta nazionale che consentiva, attraverso ricorrenti svalutazioni, di recuperare i margini di competitività erosi dalle inefficienze del sistema paese. Non c’è più uno Stato che poteva giocare con allegri deficit di bilancio e ridotta pressione fiscale. Non c’è più nemmeno quell’abbondanza locale di risorse di lavoro, imprenditorialità e ambiente che poteva alimentare a basso costo il meccanismo di accumulazione. Non c’è più, soprattutto, un quadro tecnologico stabile, che valorizza i saperi applicativi e favorisce forme di innovazione incrementale. Tutto questo è finito da un pezzo. Per un po’ di tempo abbiamo tuttavia potuto contare sulla capacità di adattamento all’interno di una congiuntura mondiale tutto sommato favorevole. Ma adesso, quando anche Germania, Francia e Usa – che insieme fanno oltre la metà del nostro export – stanno tirando i remi in barca, cosa resta da fare? Eppure, se sappiamo guardare oltre la congiuntura, Vicenza e il Nord Est possono mettere in campo ancora elevati potenziali di crescita. Possiamo infatti contare su un nucleo di medie imprese di valore mondiale, su un tessuto di piccole aziende industriali e artigiane in grado di organizzarsi in reti innovative e flessibili, su una radicata cultura del lavoro che rimane una risorsa decisiva per lo sviluppo. Ma affinché queste risorse possano competere nel nuovo scenario dell’economia globale è necessario che anche le istituzioni locali facciano la loro parte, aiutando società ed economia ad investire di più nelle risorse fondamentali per il futuro: conoscenza, creatività e innovazione. Certo, si potrà dire che Vicenza da sola può far poco. Ma quel poco può essere importante. Pensiamo all’Università, alle politiche culturali, ai servizi di accoglienza che possono favorire la partecipazione attiva della città ai circuiti internazionali del sapere. Circuiti che non sono formati solo da tecnologie ma anche da persone intelligenti e creative, che scelgono di vivere e investire in una città perché sa offrire servizi efficienti, un ambiente di qualità, una cultura originale, aperta al nuovo e tollerante nei confronti della diversità. Ma è questo, oggi, Vicenza? Giancarlo Corò economista

Nostra inchiesta. Il modello vicentino cede su tutti i fronti: oro, tessile, terziario

Il lavoro ha fatto crac Dal crollo dell’export a quello delle idee: persi migliaia di posti in un anno Viaggio tra i numeri, le prospettive e gli umori settore per settore Le stime del sindacato parlano di quasi diecimila posti di lavoro persi solo nel corso del 2003. E il peggio deve ancora arrivare, considerando il bollettino giornaliero delle situazioni critiche. Abbiamo raccolto le voci dell’industria vicentina in molti dei suoi settori trainanti. Dall’oro al tessile, dalla meccanica al terziario è un pianto continuo: calano gli ordini, calano le prospettive, salgono le possibilità di perdere, ogni giorno, dozzine di posti di lavoro. Ma quello che più stupisce è la rassegnazione della maggior parte delle imprese. Che propongono, è vero, qualche timida soluzione per uscire dalla crisi. Ma che appaiono, nello stesso tempo, sfiduciate e quasi rassegnate. Forse è vero che una crisi così vasta non si era mai vista. Ma come gli stessi protagonisti spiegano, bisogna trovare la forza di uscirne con proposte coraggiose e investimenti che coinvolgano la politica e, non ultimi, i lavoratori. Nel mare della crisi, ci sono anche i buoni esempi: il comparto alimentare ad esempio, si mantiene nel suo complesso, ma le aziende appaiono floride grazie a scelte innovative e strategiche. Quelle che è lecito aspettarsi anche dai settori attualmente in fondo al baratro. Lo ammettono gli stessi protagonisti: le idee ci sono magari a lungo termine - ma ci sono. Tutto sta a crederci. A pagina 4-5

Esportiamo sempre meno oro, moda, pelli e meccanica. Ma ci possiamo consolare. Tempo un mese e potremmo forse raccontare di essere riusciti a esportare qualcosa di molto più prezioso: la pace. In tempi in cui qualcuno pretende di esportare la democrazia, parlare di export della pace sembra un’enormità. Ma l’azienda vicentina Said, sede a Isola Vicentina, va decisa per la sua strada. Proverà a favorire il processo di pace tra Israele e Palestina con la prima joint venture tra arabi, ebrei e italiani. Obiettivo, realizzare a Gerico il primo insediamento agricolo senza bisogno di terra. Un pomodoro che cresce senza humus non si era mai visto. Ma dobbiamo abituarci: “Siamo i primi al mondo a puntare su questo tipo di coltura – racconta Giancarlo Costa, responsabile del progetto – Si chiama aeroponia e permette di coltivare in serra senza l’uso della terra. Suona strano ma è perfettamente realizzabile e soprattutto ha vantaggi precisi: si ottengono enormi incrementi della produzione con pochissima manodopera, una percentuale minima di

Strategie contro la crisi. Da Vicenza la prima joint venture che unisce israeliani e palestinesi: un’azienda darà le tecnologie per coltivare senza bisogno... della terra

Se l’oro non va più esportiamo la pace fertilizzanti e una drastica riduzione del consumo d’acqua.” Un esempio, per chiarire: per produrre un chilo di pomodori su terra occorrono, in Italia, 200 litri di acqua. Con questo sistema bastano dai 6 ai 10 litri. Un vantaggio incolmabile per i Paesi dove la siccità è una costante. “Per il momento – concludono in azienda – siamo riusciti a ridurre i trattamenti antiparassitari di circa il 75% ma stimiamo, entro un paio d’anni, di arrivare al prodotto biologicamente puro.” Immaginare delle piante che

crescono senza terra è difficile, ma alla Said è cosa normale: i fusti sono piantati su delle basi in polistirolo e le radici traggono i sali minerali necessari alla crescita da una miscela liquida. “La cosa più difficile è stata coniugare la scientifica con l'organizzazione aziendale - dicono in azienda – per ottenere il giusto equilibrio costi-benefici. Diversamente, l'aeroponia sarebbe rimasta confinata eternamente nel limbo della pura dialettica scientifica”. Oggi nello stesso impianto si possono produrre il maggior numero possibile di specie ridu-

cendo drasticamente l'uso di pesticidi, modernizzando l'organizzazione del lavoro agricolo e aumentando la salvaguardia ambientale. Ma il punto forte rimane il risparmio di energia, manodopera e soprattutto acqua: 80-90% rispetto alle tradizionali coltivazioni. Anche la qualità di vita dell'operatore agricolo è migliore: si opera in un ambiente salubre, pulito e dignitoso. L’ ideale per riavvicinare i giovani all'agricoltura. Ma la speranza, nella terra di Israele e Palestina, è quella di riavvicinare palestinesi ed ebrei

alla pace. Se è vero che il primo nemico da sconfiggere, per vincere le guerre, è la miseria, procurare cibo per tutti a costi abbordabili sarebbe un vantaggio senza pari. “Alla joint venture – racconta Costa - partecipano sia il Migal, il prestigioso istituto di biotecnologie israeliano, che il Narc, il corrispondente palestinese del nostro Cnr. Ci siamo messi attorno a un tavolo e abbiamo deciso di lavorare assieme. Tra un mese la firma ufficiale e l’avvio del progetto.” m.r.

questa settimana

politica

cronaca

ritratti vicentini economia

cultura

Assalto alla Fiera: c’è un business da milioni di euro

Da targhe alterne a targhe... eterne

Birne, l’uomo che volle restare ragazzo

Borsa addio investo in paradiso

Renato Cevese “Vicenza, il mio grande fallimento”

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Un anno per parlare col sindaco Hüllweck più prezioso di una Tac. Unica possibilità, telefonate brevi

Il lasciapassare per parlare con il sindaco che Hüllweck distribuiva generosamente in campagna elettorale. Ma la realtà è ben diversa: anche dieci mesi di attesa

Quasi un anno per vedere il Sindaco. È questa l’incredibile storia di alcuni cittadini che hanno tentato, ripetutamente, di contattare il primo cittadino di Vicenza. A denunciare la situazione una sconsolata Giovanna Dalla Pozza, presidente della sezione vicentina di Italia Nostra: “La mia prima richiesta all’ufficio risale a gennaio del 2000. Ho richiesto un incontro con Hüllweck, appena insediato a Palazzo Trissino, sperando nella sua disponibilità, ma ho atteso ben dieci mesi inutilmente. Alla fine mi sono sfogata con l’architetto Bressanello che ha provveduto, bontà sua, ad accelerare i tempi. Così ho potuto incontrare il Sindaco ‘solo’ un mese e mezzo più tardi. In totale undici mesi e mezzo di attesa.” Quello della presidente di Italia Nostra è certamente un caso limite ma sono altri i cittadini che, privatamente o a nome di

associazioni ed enti, lamentano attese ben più lunghe di quelle, proverbiali, necessarie per una tac o una visita specialistica. Eppure Hüllweck sul contatto con i suoi cittadini aveva puntato la sua prima campagna elettorale. Il documento che riportiamo qui a fianco parlava chiaro: distribuito a go go, prometteva di spalancare le porte di Palazzo Trissino. Purtroppo si trattava unicamente di una trovata pubblicitaria: dopo l’insediamento a palazzo, delle promesse indicate sul lasciapassare non è rimasta traccia. Lo confermano alla segreteria del Sindaco, l’ufficio dove si può fissare un appuntamento con Hüllweck. In molte città italiane i sindaci riservano parte del proprio tempo per un contatto diretto con i cittadini: iniziative edificanti, che tastano direttamente il polso della città e aiutano, decisamente più

di ogni studio o statistica, a capire le necessità degli abitanti. E a Vicenza? Non c’è nemmeno un giorno o un orario fisso dedicato all’incontro con i cittadini. Di volta in volta - spiegano in Comune - il primo cittadino ‘dispensa’ il suo tempo alla cittadinanza compatibilmente con i suoi impegni pubblici e privati. Eventualmente, per ridurre le attese, si può optare per un breve colloquio telefonico. “I tempi d’attesa sono minori spiegano - ma se si vuole un incontro faccia a faccia bisogna saper aspettare”. È la legge della domanda e dell’offerta: se il tempo concesso è minore delle richieste la fila si allunga. Al momento, per fortuna, bastano otto mesi d’attesa. Ilario Toniello

sette giorni di politica

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E mentre si discute di privatizzazione cresce il rischio di restare schiacciati tra i colossi Verona e Padova

50 milioni di euro da investire così la Fiera diventa un business Si aprono i giochi in via dell’Oreficeria: da una parte la presidente della Provincia Dal Lago, dall’altra gli industriali. Obiettivo, gestire i ricchi finanziamenti per il rilancio dell’ente. Che intanto affonda, tra crisi dell’oro e mancanza di idee Quale sarà il destino della Fiera di Vicenza? Come andrà privatizzata? Sarà ancora incardinata al comparto orafo o vanno trovati nuovi sbocchi? Gli investimenti devono puntare sulla espansione edilizia o sul know-how e le risorse umane? Sono questi gli interrogativi sul futuro dell'expò berico presenti sul tavolo della politica vicentina dopo che l'argomento è finito negli ultimi giorni nell'agenda del consiglio comunale e di quello provinciale. E la questione è politica in primis perché l'ente di via dell'Oreficeria è una struttura particolare, che si muove seguendo logiche di mercato ma che è per due terzi in mano a soggetti pubblici (un terzo al comune, un terzo alla provincia, il rimanente alla camera di commercio).

Soldi vicentini potere Veneto? La definizione degli assetti proprietari di via dell'Oreficeria da un anno sono diventati oggetto di un contenzioso complesso. Da una parte c'è la presidente della provincia e della fiera Manuela Dal Lago la quale fa un ragionamento semplice: la struttura è per due terzi pubblica, in quanto rispecchia ancora gli assetti costituiti subito dopo la Seconda Guerra mondiale. Una eventuale trasformazione in spa dovrebbe avere la naturale conseguenza di conferire le quote in forma eguale agli attuali fondatori, ovvero un terzo ciascuno. Le categorie economiche però non ci stanno; non ci stanno perché negli anni il fatturato della fiera è stato garantito dagli affitti che gli espositori pagavano alla fiera stessa per potere esporre i prodotti durante le esibizioni. Una condizione che ha assicurato introiti cospicui e costanti, sino a poco tempo fa erano garantiti per tre quarti dal settore orafo. E l'altra grande questione riguarda la possibilità che Vicenza finisca nel circuito fieristico veneto. Come si ottimizzano le strategie comuni senza essere schiacciati da Padova o da Verona? Detto in termini brutali, è

pensabile che si affidino alla sfera politica regionale le chiavi di una struttura pagata con soldi vicentini?

Le faraoniche fiere dell’oro paiono destinate a tramontare. Largo a nuove iniziative e a investimenti milionari. Ma in attesa di decidere, si scatenano i giochi di potere

La crisi dell’oro riapre i giochi Durante gli ultimi diciotto mesi poi è arrivata la crisi del comparto orafo e non solo. I produttori locali, soprattutto vicentini, hanno cominciato a sentire il fiato sul collo della concorrenza orientale. Hanno cominciato a chiedere interventi più decisi e soprattutto un maggiore supporto promozionale da parte dell'ente. Si è cominciato a parlare di investimenti per rilanciare il settore, investimenti che dovrebbero ammontare a una cinquantina di milioni di euro. Non è ancora stabilito se si tratterà di interventi mirati alla semplice espansione degli spazi espositivi (di recente l'Immobiliare fiera ha acquisito il terreno confinante della Baggio spedizioni) o di interventi che puntino pure su un potenziamento del marketing. Ma il pacchetto degli investimenti futuri ha cominciato a destare l'interesse dei politici e delle categorie economiche.

Cento miliardi di buoni motivi Una fiera trasformata in spa e con cento miliardi di vecchie lire da spendere ha posto sul tappeto la questione della privatizzazione, perché il controllo sulla futura assemblea dei soci significa la possibilità di controllare il futuro cda, il che equivarrebbe a poter decidere chi far sedere sulle poltrone di un ipotetico consiglio di amministrazione. E controllare il cda significherebbe anche decidere come investire il piccolo tesoro della fiera. A chi assegnare gli appalti, come impostare le strategie, a chi affidare le consulenze. L'altro aspetto però riguarda la presenza degli stranieri. Se è vero il ragionamento sostenuto dagli industriali (in soldoni, in Fiera deve contare chi ha pagato e può continuare a pagare per gli affitti degli stand),

allora i vertici dell'ente dovranno capire come comportarsi con gli stranieri. Aprire massicciamente a loro (sempre che siano ancora interessati alla fiera berica) e garantire gli incassi dell'ente o limitarne l'accesso col rischio di impoverire le entrate? Ma c'è un altro interrogativo che riguarda la natura della Fiera. Questa deve rimanere la kermesse per antonomasia del gioiello o va inventata un'altra formula (un Motorshow come quello bolognese, per fare un banale esempio)? In altre parole la fiera deve rimanere una vetrina per la promozione del made in Vicenza qualsiasi esso sia o deve trasformarsi in un efficiente contenitore in grado di promuovere qualsiasi evento che generi profitti? E soprattutto Vicenza esprime ancora un terreno economico e produttivo vitale, tale da rendere necessaria una grande kermesse? Su questo versante sia i politici (comune in primis) sia gli imprenditori non si sono espressi; o se lo hanno fatto, non si sono espressi con la chiarezza dovuta. Marco Milioni

Il chi è della Fiera: numeri che fanno gola Chi la controlla 1/3 il Comune di Vicenza, 1/3 la Provincia, 1/3 la Camera di Commercio Cosa fa Nel 2003 ha organizzato 19 manifestazioni e ne ha ospitate 6. I visitatori sono stati circa 169.000. Chi investe Gli operatori italiani sono stati 41.500. Gli stranieri oltre 20 mila. Quanto incassa Il fatturato del 2003 è stato di oltre 25 milioni di euro. Gli spazi L'area del quartiere fieristico è di 62.500 mq: 52.000 in via dell'oreficeria, 7.500 mq a fianco del casello autostradale di Vicenza Ovest e 3.000 mq di fronte all'ingresso Ovest del quartiere.

Identikit del potere. Maurizio Franzina, assessore all’urbanistica, è tra i pochi azzurri con le carte in regola per studiare da sindaco

Il fedelissimo di Hüllweck. Che un giorno lo tradirà

LABIRINTI

A Palazzo Trissino qualcuno già lo dipinge come l'erede di Enrico Hüllweck per la poltronissima di primo cittadino, presto o tardi che si votasse. Lui l'assessore all'urbanistica Maurizio Franzina fa spallucce, sorride. Dice di «volere far squadra col resto della giunta». Dice che c'è bisogno «di lavorare con costanza», ma l'ipotesi non l'ha mai smentita.

Hüllweck. I suoi sostenitori sostengono che la cosa dipende dal peso specifico e politico acquisito in giunta e nell'amministrazione: dai galloni acquisiti sul campo, insomma. I suoi detrattori sostengono invece che è solo grazie alla delega all'urbanistica - e l’accesso a tutte le sue carte - che ha ottenuto il privilegio di trattare alla pari con la first lady di palazzo.

Effettivamente Franzina i numeri ce li ha. È l'unico che in giunta tratta alla pari col sindaco. È l'unico che a palazzo degli Uffici tratta alla pari con la potentissima direttrice del territorio, Lorella Bressanello, la moglie di

I vantaggi della scuola Dc Franzina, a differenza di Hüllweck viene dalla vecchia scuola della Dc. E la differenza si vede; l'assessore sembra non litigare con nessuno, parla

con tutti; è sempre cordiale, ma non lo è a volte con i suoi compagni di maggioranza in circoscrizione, quando senza andare per il sottile bypassa i presidenti e scandisce senza se e senza ma il diktat della giunta. A differenza di Hüllweck non parla mai di innominati, di complotti orditi da fantomatici nemici della città.

Sotto al saio di fra ‘Nzina Rispetto al sindaco ha uno spiccato sense of humor, alle volte un po' annacquato da quell'aria seminariale che caratterizza tanti ex Dc. Qualcuno, nei corridoi di palazzo, lo chiama per questo

ACQUE MOSSE

DI PALAZZO

fra' Nzina. In Forza Italia si muove come una sorta di battitore libero ben sapendo che nemici e amici si creano a seconda delle circostanze. È uno che i voti se li è guadagnati sul campo (oltre cinquecento; il primo nelle liste, un ottimo risultato per uno che non appartiene ad alcuna corrente). Frutto delle duemila mani strette a ridosso delle elezioni presentando il Bando degli interessi diffusi, sostengono maligni i detrattori. Franzina, che fa parte della schiera dei quarantenni rampanti di Fi, appare come unico opponibile alla eventuale candidatura di Manuela Dal Lago

come primo cittadino qualora quest'ultima fallisca l'appuntamento con le europee e le regionali (proprio la presidente della provincia verrebbe data in avvicinamento dalla Lega a Fi). Ma Franzina, assessore ed ingegnere elettronico, è anche l'uomo dai mille risvolti. Alla fine degli anni Novanta come presidente della zona 6 e membro del comitato cittadino contro gli abusi edilizi menava fendenti contro la giunta di centrosinistra, scagliandosi contro i re e reucci locali del mattone. Altri tempi: di questa furia oggi si è persa ogni traccia. m.m.

IN LAGUNA

La presidente della Provincia stoppa il consiglio comunale: deve andare alla partita

Dalla Regione. Il nuovo Statuto fa litigare tutti. E resta ancora al palo

Il Vicenza cancella la tassa sui rifiuti

Anche i montanari stoppano Galan

Manovre di corridoio, schieramenti trasversali che si disfano e si ricompongono nel volgere di un minuto, patti segreti. Di solito sono queste le indiscrezioni che escono da palazzo Trissino, anche se di tanto in tanto gli scenari sono più caserecci. Giovedì 18 il consiglio doveva chiudersi prima del previsto. Molti lo prevedevano a causa della difficoltà di parte della Cdl a votare la delibera per aumentare l'importo della tariffa sui rifiuti. Ma il consiglio non è saltato solo per questo motivo. Pare che il capogruppo leghista

tarte il potere lo si è capito anche quando, dopo anni di prassi consolidata, ha de facto obbligato il consiglio a riunirsi di giovedì e non più di martedì. Colpa del Vicenza? No, il motivo stavolta è serio: martedì è anche giorno di consiglio provinciale. Manuela Dal Lago, molto attaccata ai colori del Vicenza, avesse intenzione di chiudere entro le 20,15. Giusto in tempo per sedersi in tribuna ad assistere alla partita serale al Menti. Ma che la presidente della provincia sia persona che sa eserci-

A palazzo Trissino hanno mormorato: nessuno obbliga la presidente ad essere sempre in municipio. Perché il primo cittadino ha dovuto piegarsi alla volontà della sua dirimpettaia di palazzo Nievo? m.m.

Ci sono voluti quasi tre anni per cominciare, ma già dopo pochi mesi è chiaro che sarà molto difficile portare a termine il lavoro. Ci riferiamo al nuovo Statuto regionale. I lavori avrebbero dovuto partire subito, già da inizio legislatura (anno 2000 d.c.). Invece la commissione preposta è rimasta paralizzata perché la maggioranza non riusciva a mettersi d’accordo sul nome del Presidente. Sciolto faticosamente questo primo nodo con l’investitura di Tessarin - doroteo di lungo corso approdato a Forza Italia, la corsa ad ostacoli non si è affatto conclusa. Il primo a metterla giù dura è stato il Presidente del Consiglio, il leghista Cavaliere, che, senza mezzi termini, ha dichiarato che si può pure mettere in soffitta l’elezione diretta del Presidente della Giunta: il compito di nominare il capo dell’esecutivo sarà dell’Assemblea eletta. E addio Governatore. A Galan - che di quel potere si è abbondantemente servito - deve essere venuta l’ulcera. Ma il nodo della nomina non è l’unica carta che la Lega pare avere in serbo. Innanzitutto c’è il problema della definizione di “popolo veneto” che Cavaliere insiste sia precisata dallo Statuto. Apparente dettaglio simbolico che cela un confronto politico: l’opposizione di centrosinistra vorrebbe in qualche modo ufficializzare la presenza massiccia di extracomuni-

tari in Veneto. Apriti cielo, per la Lega: “Non se ne parla neppure”. Non di soli padani, però, soffre il parto statutario. Dalla Provincia di Belluno, calano in laguna anche i montanari. Oggetto di un documento firmato dalle locali forze politiche (tutte), le associazioni - guardiacaccia, maestri di sci e guide alpine comprese: riconoscere statutariamente alla provincia una buona dose di autonomia. Non proprio come Trento e Bolzano, ma siamo lì. Ipotesi a cui hanno risposto più che tiepidamente i consiglieri (almeno quelli della bassa) di Forza Italia. Il timore è che dando un dito ad uno, ben presto tutti vogliano un braccio (da anni, sul tema, morde il freno tutto il Veneto orientale). Lo Statuto non è questione popolarissima: non si può dire che nei bar - da Rovigo a Belluno - sia tra gli argomenti più dibattuti. Tuttavia è fondamentale per il futuro della nostra regione. Così come una “carta costituzionale” della regione ha senso solo se approvata all’unanimità. Le regole del gioco, se non condivise da tutti, valgono poco. Per questo Variati (vicepresidente della commissione e rappresentante dell’opposizione) ha dichiarato: “ Se entro fine mese non si trovano intese significative, meglio lasciar perdere. Concludere i nostri lavori con la brutta copia dell’esistente, non rientra minimamente nei nostri interessi”.

cronaca

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Targhe eterne Fallito l’esperimento targhe alterne, si torna a respirare (veleno) come sempre. Al palo le idee per combattere lo smog, crescono solo le contravvenzioni Vicenza dà l’addio alle targhe alterne e si prepara a tornare alla normalità: migliaia di auto nelle strade, polveri sottili sempre più concentrate, salute sempre più a rischio. L’amministrazione ha deciso che le limitazioni del traffico non servono. “Hanno creato moltissimi disagi e portato a risultati scarsi o nulli” ha detto Valerio Sorrentino, vicesindaco e assessore all’ecologia. Quello che Sorrentino non spiega è il motivo del fallimento. Non può farlo perché dovrebbe chiamare in causa se stesso e la sua amministrazione. Come si evince chiaramente dai servizi di questa pagina, le targhe alterne hanno dato scarsi risultati principalmente perché il governo della città non solo non ci ha mai creduto (comprensibile) ma

ha remato contro il provvedimento. Nel frattempo, altrove, si agisce. A Verona, dove la situazione dell’aria è malata come da noi, gli scarsi risultati delle targhe alterne non sono state solo un pretesto per alzare le mani. Al contrario, Verona ha già messo in atto misure antismog, a cominciare dallo speciale lavaggio delle strade che elimina le polveri depositate sul terreno, per arrivare all’uso di furgoni elettrici che forniscono di merci i commercianti del centro città. Così, invece di cento furgoni mezzi vuoti e inquinanti, ne circolano meno della metà, pieni e a emissioni zero. Restiamo in attesa che anche Vicenza, bocciate le targhe alterne, faccia al più presto scelte che altri hanno già sperimentato con successo.

Il blocchetto dei vigili ai raggi X

Quando la multa riempie le casse

Anche Enrico Rossi, critico su alcune

L’ex comandante dei vigili Enrico Rossi analizza la situazione: ma com’è difficile Vicenza

“Manca il coraggio di cambiare” Enrico Rossi, 63 anni, è stato comandante della Polizia Municipale di Vicenza dal 1990 al 1997. Chiamato a guidare il prestigioso corpo di Bologna, si è fatto apprezzare da due amministrazioni: quella di centrosinistra di Vitali e la prima, storica, di centrodestra di Guazzaloca. Nel 2000 ha rifiutato la riconferma e ha scelto di andare in pensione. È tornato a vivere a Vicenza, dov’è un attento osservatore della realtà, non senza quegli spunti polemici che lo hanno sempre caratterizzato. Con lui una chiacchierata sulla situazione attuale: la querelle vigiliamministrazione, il problema viabilità, l’inquinamento, lo sviluppo sostenibile della città. Comandante Rossi, permette un paio di domande? “La prima la faccio io. Lo sa quale dovrebbe essere l’obiettivo dei vigili urbani?” Tolleranza zero, comandante Rossi? “Sbagliato. Contravvenzioni zero.” Qualcosa non quadra. L’amministrazione ha messo in bilancio un bel po’ di euro dai verbali del 2004. Anzi, parecchi in più rispetto all’anno precedente. C’è da rimboccarsi le maniche. “Filosofia sbagliata. I vigili non possono ragionare con questa logica. Al contrario: il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di svolgere

un servizio preventivo affinché, un domani, non ci sia nemmeno un’infrazione.” Perdoni comandante, ma il bilancio parla chiaro: dai vigili ci aspettiamo migliaia di euro. Dovessimo dare l’impressione di spingere gli agenti a fare contravvenzioni avremmo grossi problemi e non solo d’immagine.” D’altra parte il Comune ragiona secondo proiezioni precise. E il trend dice chiaramente che le multe aumentano anno dopo anno. “Ma i vigili non sono esattori. La logica dovrebbe essere diversa. Se con i soldi incassati dalle contravvenzioni si riescono a coprire dei buchi tanto meglio. Ma non può diventare un’abitudine.” Tanto più che poi vi lasciano soli. “In che senso?” La nostra impressione è che l’amministrazione abbia una posizione equivoca. Pretende di difendere a spada tratta gli interessi degli automobilisti, ma chiede ai vigili di multare senza pietà. “Il fatto si commenta da solo.” La nostra impressione è che i vigili si siano un po’ stancati e non ne possano più di stare in mezzo all’incudine. “L’impressione è quella. D’altra parte è molto più facile gratificare la maggioranza delle persone che una percentuale minima. E la macchina la adoperiamo tutti. Qui poi siamo abituati ad accompagnare il

bambino a scuola in auto anche se dista trecento metri. E pretendiamo di parcheggiare a mezzo metro dal banco.” Ma perché è così difficile fare un salto di qualità nella viabilità di Vicenza? “Fare una pista ciclabile sembra facile. Ma poi bisogna risolvere problemi enormi per garantire la sicurezza di tutti, a partire dalle bici stesse. Basta pensare agli incroci” Le piacciono le rotatorie? “Di certo creano meno inquinamento rispetto a un semaforo. Su questo non ho dubbi. Ma Vicenza è una città difficile: quando venni assunto in Polizia Municipale, nel 1966, la prima cosa che mi chiese il comandante Danchielli fu uno studio sulla circolazione tra i due estremi della città. Questo per dire che il problema è sempre esistito.” Per cominciare a cambiare le cose ci vorrebbe molto coraggio. “Penso a quando chiudemmo al traffico Corso Palladio. Fu una battaglia, con grandissime opposizioni. Ma oggi nessuno tornerebbe indietro”. Lei è stato in Emilia Romagna. Percorsi ciclabili, abbattimento dell’inquinamento, spazi verde, mezzi pubblici efficienti… “C’è una sensibilità maggiore. Ma hanno anche avuto più fortuna. Avevano strade concepite in modo più lungimirante negli anni passati: noi abbiamo perso fior di occasioni

ogni volta che ne abbiamo avuto la possibilità. Ferrara ha privilegiato circonvallazioni e tangenziali, noi no. Ma attenzione: non hanno un’industria sviluppata come noi. Nel bene e nel male, è questo che fa la differenza”. Un consiglio all’amministrazione per il migliorare la viabilità. “Impossibile. È un problema troppo complesso perché possa risolverlo un’amministrazione, pur con tutta la sua buona volontà. Deve essere affrontato dall’alto. L’impressione è che nessuno voglia farsene carico. ” Torniamo ai suoi ex uomini. Costretti a fare fatturato, da oggi anche di notte. “Abbiamo una città a misura d’uomo, che non dovrebbe avere bisogno di servizio notturno. D’altra parte c’è un esigenza percepita di sicurezza che chiede risposte.” Percepita? “Porto Bologna come esempio. Non vi rendete conto di quale paradiso sia Vicenza rispetto a Bologna e molte altre città italiane, dove bisogna fronteggiare gare notturne di velocità con scommesse clandestine, una criminalità che prende in ostaggio interi quartieri e tanti altri problemi che qui neanche ci immaginiamo… Qui al massimo c’è l’incidente stradale. Eppure sono d’accordo con l’amministrazione quando vuole il servizio notturno. Ci sono molti servizi

notturni - a cominciare proprio dall’incidente stradale - che la Polizia Municipale potrebbe svolgere liberando le forze dell’ordine per altri compiti.” Ma I vigili non vogliono saperne. “A Bologna lo stesso problema si era posto negli anni Novanta. È stato risolto subito” E com’è stato risolto? Con la logica: più lavoro, più soldi. Il Siulp dice che I vigili non sono preparati per il servizio notturno. “Sono preparatissimi per tutto. Ci sarà bisogno di corsi di specializzazione, ma la Polizia Municipale sa il fatto suo. E poi sono convinto che il servizio notturno rappresenta un salto di qualità e di immagine. Certo non si può pretendere questo sforzo in cambio di niente.” Le piacerebbe riprendere il comando oggi? “Non scherziamo. Dall’Aglio è bravissimo, oltre che un amico. Un comandante che sa fare anche il manager, come vogliono I tempi. Io per me tornerei a Bologna: quando Guazzaloca mi chiese di restare, dissi di no perché avevo 61 anni compiuti e 40 di servizio. Mi sembravano un’eternità. Ma adesso che ne ho 63 mi mangio un po’ le mani: sento che potrei ancora dire la mia.” Matteo Rinaldi

Le misure antismog, da gennaio ad oggi, hanno portato nelle casse dell’amministrazione comunale la ragguardevole somma di 72 mila euro. Tolte le spese di organizzazione (posizionamento e aggiornamento della cartellonistica stradale informativa riguardo le targhe alterne) che ammontano a circa 12 mila euro, il guadagno netto rimane comunque considerevole. Dal primo gennaio 2004 ad oggi sono stati 1308 gli automobilisti colti in fallo e multati a seguito delle misure antismog. Il totale e’ la somma di tre addendi: mancanza del bollino blu, non rispetto dell’ ordinanza sostitutiva 1127 (le targhe alterne) e violazione dell’articolo 80, che obbliga alla revisione periodica del veicolo. Conseguente “condanna” al pagamento di 68,25 euro nel caso delle targhe alterne, 137 euro e ritiro della carta di circolazione nel caso di violazione dell’articolo 80. Altalenante la curva disegnata dal parziale settimanale dei verbali delle targhe alterne: raggiunge la vetta di 100 contravvenzioni l’otto gennaio, giorno dell’entrata in vigore dell’ordinanza, scende a 41 il 6 febbraio, risale a 139 il 12 febbraio. Viceversa, in costante aumento sono le contravvenzioni tradizionali: l’ufficio contravvenzioni del Comando ha elaborato nel 1999 un totale di 44.040 infrazioni al Codice della Strada, ai Regolamenti Comunali ed alle altre varie disposizioni normative. 46.803 l’anno successivo, 49.740 nel 2001 e, incredibile exploit, ben 61.541 nel 2002. Un trend in costante ascesa. Ma il Comune ha già messo in bilancio che nel 2004 vuole molto di più. Anna Manente

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la nostra inchiesta

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La situazione del Vicentino dal crollo dell’export alla crisi del mercato interno.

Il lavoro ha fatto crac: Migliaia di posti persi nell’ultimo anno ma è il futuro che spaventa. Malissimo il tessile e l’orafo, male concia e meccanica, resiste l’agricoltura. “C’è troppa rassegnazione” C’era il lavoro. Oggi quel lavoro, anche nel mitico vicentino, non c’é più. Almeno come prima. Morale: la locomotiva economica del nord est non tira più. Lentamente, tra una crisi aziendale e l’altra, sta viaggiando verso il capolinea. Dati alla mano, nel giro di un anno, nel Vicentino si sono persi per strada – le stime sono quelle del sindacato – quasi diecimila posti di lavoro. E il peggio deve ancora arrivare, considerando il bollettino giornaliero delle situazioni di crisi. La provincia più industriale del Veneto sembra con le spalle al muro: in

molti stanno studiando la ricetta toccasana. Quella ricetta che, al di là di tanti convegni accademici, ancora non c’é. La crisi è vasta e investe quei settori che hanno sempre fatto da traino all’economia vicentina. A partire dal tessile dove tra cassa integrazione ordinaria, straordinaria e mobilità, sono circa un migliaio i posti a rischio o definitivamente persi. Decine le ditte che hanno chiuso i battenti o che hanno dichiarato fallimento. Questo bollettino grigio va a braccetto con quello del comparto metalmeccanico-orafo. Nel 2003 la

riduzione del personale è stata di quattromila unità nel metalmeccanico e oltre seimila nell’orafo. E sono in bilico altri duecento posti a breve termine. Il terziario é al momento attuale il comparto che pare assorbire meglio la crisi, ma anche qui si comincia a risentire della situazione. Il problema principale é quello del rinnovo dei contratti. Ma è lecito chiedersi da dove sia partita tale crisi e, soprattutto, come sia stato possibile arrivare alla situazione attuale. Il segretario provinciale della Cisl Giuseppe Benetti avanza l’ipotesi di un

grave ritardo nell’innovazione dell’economia nazionale. A suo avviso i sindacati, CISL compresa, hanno perso tempo prezioso sull’Articolo 18. Per la Cgil le cause vanno ricercate nell’irrigidimento di Governo e imprese. Ma tutti sono d’accordo su una cosa: è il mercato, soprattutto, a punire una mentalità scarsamente innovativa che sta mostrando la corda. La florida industria vicentina non si é mossa, credendo improbabile il crollo del proprio impero. Il risultato, nelle tabelle di questa inchiesta.

ORAFO

TESSILE

Un marchio vicentino doc per poter rivedere la luce

Dai griffati alle bancarelle si salva solo chi innova

“Turchia e Cina ci stanno schiacciando, ma il peccato originale sta nella poca lungimiranza: vende la novità, non la tradizione”

“Se l’euro non smette di correre, l’export non ha speranze Le soluzioni esistono, ma sarà un processo lungo e faticoso”

La situazione del vicentino è quella nazionale dove la grandi fabbriche fanno fatica a rimanere a galla. Con la differenza sostanziale che il Vicentino, “respira” oro come nessun altro. La crisi colpisce tutti, grandi e piccoli. Ad Arezzo, polo orafo simile a quello di Vicenza, è in difficoltà Unoaerre, il gigante del settore. Figuratevi le aziende tipiche del nostro territorio: piccole, piccolissime realtà, che realizzano spesso pezzi in subappalto, si trovano senza lavoro. Solo il vero lusso tiene sempre, mentre il problema maggiore è la concorrenza delle aziende cinesi e turche che presentano prodotti di qualità accettabile e di grande appeal nelle fasce di prezzo medio dove non viene ricercata la firma prestigiosa o la

tanto rinomata qualità italiana. Per di più, anche il mercato ci ha messo lo zampino, orientandosi non più sull’oro puro, vanto vicentino, ma su gioielli misti, dove al metallo e alle pietre preziose si mescolano il caucciù, i minerali meno nobili, l’etnico. Qui la maggior parte delle realtà di Vicenza non hanno visto al di là del proprio naso e ora ne pagano le conseguenze. Uscire dalla crisi non sarà facile. Secondo molti le imprese dovrebbero unirsi, creare un consorzio e un marchio di qualità vicentino, non scannarsi tra di loro. Ci vuole un vero dialogo tra aziende e parti sociali. In tempi bui si devono unire le forze. Questo non sta succedendo.

Vince la nicchia È difficile affermare con sicurezza quello che accade in un settore variopinto come quello orafo - dice Mirco Franzin, responsabile Fiom settore industria - Qui si trovano aziende di tutti i tipi. Il presidente della Federorafi ha tranquilizzato gli animi affermando che il mondo dell’oro vicentino è in lieve ripresa. Purtroppo si tratta di un segnale debole, vissuto da quelle poche imprese che hanno visto lontano e prevenuto la crisi grazie ad una clientela fedele, un prodotto di nicchia e una innovazione rapida. Non a caso, all’ultima Fiera hanno venduto solo aziende capaci di proporre proposte innovative

Ricette. L’economista punta sull’Unione per il rilancio

Dall’abbigliamento griffato alla biancheria più economica: é tutto il settore a risentire dell’ aria di crisi. Se infatti la cosiddetta “moda giovane” riesce ancora a reggere, poiché ditte come Diesel, Gas o Dalla Rovere si inseriscono nel mercato con prodotti competitivi e innovativi, quello artigianale e tessile non trova sbocchi. Il sistema dei comparti, che sembrava destinato a reggere, non funziona più e sono i dipendenti a farne le spese. Un impero come quello Marzotto è stato costretto a mettere in cassa integrazione duecento impiegati a Maglio, mentre a Schio la situazione è la stessa per un centinaio di dipendenti. Nella Filati per Maglieria circa settanta persone subiscono una cassa integrazione straordinaria e

gran parte di esse sono donne, il cui reinserimento nel mondo del lavoro è certamente più complicato. Hanno chiuso i battenti la Fara Manifatture del gruppo Coin e la Filatura di Isola e ad esse si aggiungono – come evidenziano i sindacati - la dichiarazione di fallimento della Binofil di Zugliano, oltre alla crisi del Gruppo Raumer di Valli del Pasubio. Ad affossare gran parte delle imprese locali é la concorrenza che arriva dall’Oriente che, quotidianamente, dà uno schiaffo all’attività di tante piccole imprese artigiane. Il tessile non é nuovo a crisi di tale portata, ma stavolta la situazione é più grave rispetto agli anni passati, dato l’affermarsi di un super euro e la conseguente difficoltà nell’esportazione.

Prospettive nere Se la situazione non é rosea, ancor meno tranquillizzanti sono le possibili soluzioni. “Appare chiaro che non si va incontro ad un anno meno difficile. Anzi. Se l’euro non rientrerà, sempre minore sarà la possibilità di esportare”. Così parla il Segretario della FEMCA CISL, Mario Siviero. “L’unica prospettiva utile é quella di un progetto di rinnovamento del settore. Non si tratta di nulla di immediato, ma di un percorso laborioso che miri al ripensamento del settore stesso. E’ necessario il massimo impegno per il raggiungimento di un prodotto di qualità, da cui non si può prescindere se si vuol competere con gli emergenti mercati orientali.”

Cipolletta: l’Europa ci salverà

Santini: solo un sindacato unitario potrà incidere sulle scelte che contano

“Non esiste futuro finché non guarderemo con gli occhi del continente”

“Il Nord Est ha capacità e mezzi per rimettersi presto in pista”

Un contributo alla soluzione della crisi prova a darla anche Vicenza Riformista, l'associazione di cultura politica nata per costruire un'area riformista a Vicenza, che la scorsa settimana si è presentata ai vicentini parlando proprio di economia. Per fare politica, insomma, cominciamo dal pil: e cominciamo ragionando sull’Europa, perché non esiste futuro della nostra economia finché non impariamo a guardare con gli occhi di un grande continente. Ne hanno discusso l'economista Innocenzo Cipolletta (presidente dell'Ubs e già della Marzotto, oltre che con significativi precedenti in campo economico e industriale) e il docente di economia all'Università di Roma Salvatore Biasco, a suo tempo presidente della commissione bicamerale per la riforma fiscale. Cipolletta e Biasco hanno celebrato i funerali del Patto di Stabilità - l'accordo che impegna i Paesi dell'Europa Unita a contenere l'indebitamento pubblico entro il 3 per cento del Pil – senza rimpianti e nostalgie: “Tanto più che nella sostanza è stato rispettato da ben pochi Paesi, mentre la maggioranza ha fatto ricorso a stratagemmi e sotterfugi - ha detto Cipolletta - Siamo un'area del mondo che ha tutti gli elementi per una crescita autonoma, più della stessa America, ma che è rimasta invece sempre al traino. Questo perché non abbiamo costruito una vera Europa unita. Questo è il grosso sforzo da fare”. Più valore all’economia europea darà molto più valore all’e-

conomia di casa nostra. Ma quando si potrà arrivare ad un effettivo governo europeo dell'economia? “Domanda difficilissima – spiega Biasco - anzitutto perché il disegno di Costituzione europea postula ancora un'Europa non federativa, senza una vera a propria cessione di sovranità ed autonomia dei singoli Stati. Al di fuori della Banca Centrale mancano gli organismi decisionali.” “L'Italia - ha concluso Cipolletta – è fondamentale in Europa. Se l'esigenza di questo Governo è dare risposte immediate senza ragionare in prospettiva, dev’essere chiaro che una autonomia della finanza pubblica oggi è improponibile senza uscire dalla moneta unica. Intanto abbandoniamo senza ripianti il Patto di stabilità”. Biasco: c'è una parte della sinistra italiana culturalmente adeguata, un'altra parte troppo realistica e prudente; e c'è una parte nostalgica della vecchia Europa dei padri fondatori, che aveva ideato una costruzione pezzo per pezzo di una Europa che oggi non c'è più. Oggi c'è una battaglia da combattere anche a livello internazionale per dare all'Europa una posizione e un ruolo anche militare. "E' bene che il centrosinistra prenda atto che lo scenario è nuovo - è il pensiero di Biasco - e che non si presenti all'elettorato con una posizione nostalgica, ma con una idea per il futuro dell'Unione e una elaborazione delle opzioni ideali e degli interessi nazionali ancorati in qualcuno degli esiti possibili".

“È il modello nord-est a essere in crisi. Per rilanciare non solo le aziende vicentine ma tutte quelle della nostra area, è necessario trovare una nuova strada. Sarà una strada in salita, lunga e difficile, non meno di cinque, dieci anni per approdare ad una soluzione. E l’unico vero punto dove bisogna fare perno è l’innovazione. Bisogna lavorarci tutti insieme. Non c’è più il tempo per sterili lotte interne tra le istituzioni politiche, i sindacati, gli imprenditori” Giorgio Santini di Schio, esponenente della segreteria nazionale della Cisl, non ha dubbi in proposito mentre fa a fette il “fare veneto” durante il direttivo provinciale dei comparti industriali al teatro Arena di Sandrigo. “Bisogna governare un processo di transizione, abbiamo una ottima manifattura, ma bisogna gestire meglio il know how, l’innovazione. In pratica bisogna procede-

re ad una terziarizzazione dell’industria. Il modello Veneto ha debolezze che vengono da lontano. Anche in una provincia virtuosa e dinamica dal punto di vista imprenditoriale come quella vicentina, sta emergendo sempre più forte la questione occupazionale. L’anno scorso si sono persi circa 4 mila posti di lavoro e il futuro preannuncia altri problemi.” Insomma, bisogna cambiare completamante il modello di sviluppo. E tra i punti che non vanno c’è anche la frammentazione dei sindacati: “ La Cgil, soprattutto con la stagione Cofferati, ha operato più come struttura politica che sindacale. Bisogna finalmente istaurare un dialogo trasparente con le associazioni imprenditoriali per mettere in moto nuove linee guida di crescita, a partire anche dal superamento delle attuali contraddizioni economiche.” Tra i punti di maggior contrasto, secon-

do Santini, la tigre cinese: “L’entrata di Pechino nel Wto è avvenuta violentemente, senza che alle autorità cinesi fosse imposto di sottoscrivere il rispetto di clausole sociali quali quelle relative al lavoro minorile. La verità è che ora ci si deve confrontare con una Cina emergente e prepotente, che certo non ci aiuta a stare tranquilli. Ma la scommessa del Nordest – ha aggiunto – deve passare per un nostro disegno: le capacità e le risorse non mancano. Anche il segretario provinciale Giuseppe Benetti, a fronte della difficile situazione occupazionale “che tocca principalmete il settore orafo e tessile- abbigliamento, ma che a convolge anche altri comparti dell’economia di casa nostra come il metalmeccanico”, ha rilanciato la proposta di un tavolo allargato “per mettere nero su bianco strategie di rilancio”. Augusto Dapò

la nostra inchiesta

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Settore per settore, problemi e prospettive a breve e lungo termine

: ecco cosa ci aspetta CONCIA

FARMACEUTICA

Ahi, tempo di mobilità

Si resiste nella paura

La crisi è latente - dice Mirko Lucio Balsemin, vicedirettore del settore di Assindustria - Il mercato si ridimensiona e con lui lo sviluppo del settore. Spuntano le prime mobilità e le prime casseintegrazioni ma siamo solo all’inizio. Inflazione, tasso di cambio sfavorevole col dollaro, moneta unica: i problemi sono tanti e non solo per il nostro settore in particolare. Per la concia, però, c’è un peso in più: tutti gli investimenti in qualità del lavoro e qualità ambientale effettuati negli ultimi anni vengono penalizzati dall’apertura del mercato a paesi in via

di sviluppo che non rispettano gli stessi parametri si sicurezza e limiti delle emissioni inquinati a cui noi siamo legati. I provvedimenti protezionistici non servono. Il tempo è l’unica medicina. Anche loro si assesteranno su sistemi che inglobano, tra i costi di lavorazione, anche quelli relativi a questi parametri. È necessario un intervento politico in tutto il sistema produttivo. Essere competitivi nei costi non basta più e nemmeno puntare sulla qualità. Se limiamo anche sull’innovazione rimangono ben poche speranze.

“Per noi che operiamo nella distribuzione del prodotto farmaceutico la crisi pare lontana – spiega l’amministratore delegato del Laboratorio Chimico Sella di Schio, Roberto Salviato – abbiamo per ora addirittura un piccolo incremento dei profitti rispetto al 2003. Il nostro settore é assimilabile a quello alimentare, non é toccato dalla crisi che tocca la maggior parte dei beni di consumo. I posti di lavoro non mancano.” D’altro canto, è anche vero che una terzo della forza lavoro della Zambon - ieri interamente dipendente - oggi è

AGROALIMENTARE

Ci salva la qualità composta da interinali. Ma il settore resiste - dice Fabrizio Nicoletti, sindacalista CGIL - anche se naviga un po’ a vista procedendo con le normali misure di ammortizzamento e qualche episodio di cassaintegrazione. Non pensiamo, però, che questo sia dovuto ad una nostra maggior organizzazione: la crisi procede più lenta unicamente grazie alla scarsa concorrenza nel settore. Non siamo concorrenziari rispetto ai paesi in via di sviluppo, mentre altri costi, come quello dell’energia, continuano a pesare sempre di più.

Sarebbe inprorio parlare di crisi” ci dice il presidente provinciale della Coldiretti Diego Meggiolaro, “piuttosto lo definirei un momento di attesa. Siamo perfettamente consapevoli delle sfide che ci arrivano dal mercato globale: prodotti a basso costo provenienti da paesi con una produzione industriale molto estesa. Per difenderci e rilanciare, puntiamo sulla tipicità e la qualità dei nostri prodotti. Dopo i danni derivati da vicende come la mucca pazza (si pensi che il Triveneto copre il 50% dell’intera produzione nazionale di carne) é necessario rinnovare

il patto con i consumatori. Offrire totali garanzie sul valore assoluto della nostra offerta é l’unica strada percorribile. Abbiamo però bisogno di un aiuto dalla politica. Nel senso che chiediamo con forza regole certe, ma soprattutto, che queste regole vengano applicate. Cosa che non sempre avviene, vedi l’esempio del latte. L’agricoltore vicentino é ormai un imprenditore. Certo i margini di guadagno sono troppo bassi. Ma il nostro settore ha la piena volontà di rialzare la testa e competere nel sistema globale”

METALMECCANICO

TERZIARIO

Dalla Fiamm alle piccole è una crisi di ordini e idee

Tutti pronti a impattare l’onda lunga della crisi

“La causa di tutto è il disinteresse diomostrato verso l’evolversi del mercato. La soluzione è una soltanto: prodotti innovativi”

“I problemi ci sono ma le aziende sono troppo rinunciatarie I primi a mollare sono le imprese a basso contenuto di qualità”

Sono oltre settemila tra metalmeccanici e orafi ad essere rimasti “ a piedi”. E questo soltanto nel 2003. L’ottimismo verso l’imminente futuro pare poi azzardato quando, in questi primi mesi del 2004, è la vertenza Fiamm a tenere banco. In essa si annuncia la chiusura di uno stabilimento che causerà la perdita di altri duecento posti di lavoro. E questa é solo la punta dell’iceberg. Il settore, in generale, soffre di una situazione di scarsa visibilità sul versante “portafoglio ordini”: si vive alla giornata con carichi di lavoro sempre più scarsi. Si lavora su ordini che non arrivano più con la frequenza di pochi mesi fa. Cullati dalle proprie certezze, non si é riusciti a capire per tempo il cambiamento del mercato. La situazione economica del comparto è grave quindi non solo per le piccole e medie aziende che hanno meno margini di manovra ma anche per quelle

grandi realtà che hanno fatto forti investimenti negli ultimi anni. L’attuale situazione di Fiamm e Salvagnini sono solo i casi più emblematici. L’attuale crisi è dovuta solo in parte alla situazione del mercato. In realtà le cause vanno ricercate nel rapporto troppo stretto con le banche. L’eccessiva sottocapitalizzazione strozza le imprese, in balia delle decisioni degli istituti di credito. Un altro grave problema è la dimensione media - piccola della maggior parte delle aziende che non permette di investire in innovazione. Il settore non riesce a creare reti e sinergie in grado di focalizzare gli investimenti. L’attuale struttura del mondo metalmeccanico è un gigante dai piedi d’argilla che è crollato alla prima crisi importante. Una crisi anomala, che si protrae nel tempo e che sarà sicuramente caratterizzata da una ripresa lenta e difficile.

Politica, aiuto! Come reagire? È difficile dirlo - spiega Gianpaolo Zanni, sindacalista Cgil - Sicuramente con un controllo dei costi e ristrutturazioni ma è il sistema generale che è in crisi. Bisogna che le parti politiche nazionali e locali si assumano la loro responsabilità. Noi siamo aperti al dialogo. Ma che sia un vero confronto delle parti sociali, non la solita misura d’emergenza. “Si deve cambiare velocemente marcia.” é il suggerimento del Segretario della FIM CISL Gianni Castellan. “Ciò che ci ha portato alla situazione attuale é stato il disinteresse verso l’evoluzione del mercato. Ora é necessario il massimo impegno da parte di una politica industriale che dovrà accompagnare il metalmeccanico vicentino verso prodotti innovativi. Altrimenti sarà un tracollo di cui nessuno osa davvero delineare i contorni”

L’unico comparto che ancora non è nel pieno dell’uragano è il terziario che, per ora, è solo in sentore di crisi. Il segretario generale della FISASCAT Costantino Vaidanis dichiara che le cose vanno meglio rispetto ad altri settori. Ma non c’é da stare tranquilli. Il terziario riesce ancora ad assorbire, ma il futuro è grigio se non si provvederà ad una vera politica dei redditi. A Vicenza non vi sono ancora grossi contraccolpi anche se esistono gravi problemi con i contratti, a partire da quello del commercio, scaduto da tredici mesi, per il rinnovo del quale il sindacato ha indetto uno sciopero di otto ore. Altra grande questione è il contratto UNEBA sulle case di riposo. Sono gli appalti pubblici a patire maggiormente la situazione, uniti alla vigilanza privata e ai contratti di pulizia. C’è bisogno di un cambiamento immediato poiché anche il terziario ben presto risentirà della crisi a livello nazionale e provinciale

La voce delle aziende: quanta rassegnazione Dov’è finita la nostra grande imprenditoria? Germano Cattelan, già presidente INPS, dirige attualmente un’azienda di fornitura di servizi alle imprese che si occupa di sicurezza ambientale e sul lavoro. “Come terziario – spiega – lavoriamo se le aziende di produzione sono in salute. Questo perché i,l tipo di servizi che noi offriamo è considerato da molti, erroneamente, solo accessorio. Dal mio osservatorio (ma molti altri colleghi lo confermano), posso dire che la crisi c’é eccome. Nel settore della concia ad esempio, ho perso di recente cinque clienti. Non sono andati da altri: hanno chiuso. Il dato é che i primi a cedere sono le imprese a basso contenuto qualitativo. Non ce la fanno più. Le lamentazioni sono le stesse per tutti: ‘mancano riferimenti concreti, siamo stati lasciati

soli, non c’é sostegno pubblico all’impresa. L’unica cosa certa é quello che dobbiamo pagare’. Crisi congiunturali ce ne sono sempre state, ma a preoccuparmi moltissimo é la rassegnazione che si percepisce in maniera evidente nei piccoli imprenditori. La sensazione é quella di una crisi di sistema, non semplicemente una fase negativa momentanea. E quel che é peggio, ad assumere questo atteggiamento rinunciatario, sono per lo più i giovani. Davvero un brutto segnale per il futuro”.

Servizi a cura di Sara Sandorfi Augusto Dapò Davide Lombardi Ilario Toniello



Sull’inquinamento e sul traffico Hüllveck sta sbagliando tutto. Ma allora fuori le proposte alternative, purché serie e praticabili. Altrimenti ci teniamo lo smog e la smettiamo di criticare. lettera al giornale, 22 Marzo 2004

La proposta radicale. “Basta solo un po’ di coraggio per rinunciare all’auto”



idee e persone

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Mai provato col parcheggio pertinente?

Il pedone dà scacco allo smog

L’alternativa morbida. Niente più soste lungo le strade del centro ci darà traffico più snello, un incentivo alle passeggiate e molto meno smog

Valentina Dovigo, consigliere comunale dei DS. Una soluzione possibile e facilmente praticabile al problema dello smog esiste?

Stefano Soprana, consigliere comunale di Vicenza Capoluogo. La situazione sembra sempre più diffice da sostenere per le famiglie e i commercianti. Chiudere al traffico il centro oppure no?

“Esiste e sarebbe praticabile fin da subito. Cominciamo coll’estendere le aree pedonalizzate, aumentiamo e migliorariamo la viabilità ciclo-pedonale, disincentiviamo in modo intelligente l’uso dell’auto privata. Tutto ciò non può che avere benefici effetti sia ai fini della riduzione del pesante inquinamento atmosferico che sta attanagliando la città, sia ai fini di un recupero e di una riqualificazione di numerosi spazi urbani, che verrebbero in qualche modo sottratti al predominio delle auto e restituiti alla godibilità di tutti i cittadini.” Facile a dirsi. Molto meno a farsi. “A Vicenza si continua a premiare e preferire il “modello italiano” basato quasi esclusivamente sulla motorizzazione privata, modello che sta già dimostrando tutta la sua drammaticità: dalla sempre più grave emergenza smog che grava come un macigno sulla città e su tutta l’area padana, alla crescente congestione delle nostre strade sia urbane che extraurbane al limite del collasso, dalla crescita dell’inquinamento acustico all’aumento degli incidenti stradali. Non c’è scelta, bisogna avere il coraggio di cambiare.” Com’è la situazione vicentina rispetto al resto d’Italia? In città risultano pedonalizzati poco più di 16 mila metri quadrati di superficie (fonte: Ecosistema Urbano 2004 di Legambiente, dati dei Comuni del 2002), vale a dire poco più della metà della media nazionale. Se riteniamo che la realtà italiana non

presenti dati confortanti, rispetto all’ Europa, Vicenza è quasi al fondo del fondo. Ma ciò che appare più grave è che non sembrano esistere affatto segni che preludano a qualche cambiamento di direzione.” Dare maggior spazio alle aree pedonali, anche a scapito della viabilità dei mezzi privati. È questa la soluzione? “Non è che la pedonalizzazione possa risolvere automaticamente tutti i nostri mali. Questo va subito chiarito. È uno degli elementi da integrare con altri per arrivare a progettare una diversa fase della mobilità urbana. Per uscire dalla morsa del crescente inquinamento è necessario sperimentare e mettere insieme tutta una serie di iniziative: interventi di moderazione del traffico, estensione delle aree pedonali e creazione di aree ZTL, regolazione della sosta, limitazione degli accessi, ottimizzazione dell’uso dell’auto (car pooling, car sharing), potenziamento delle reti di trasporto pubblico e della mobilità ciclopedonale. Non è una singola misura, ma l’insieme delle diverse possibilità, da inserire in contesti diversi e da condividere insieme fra più soggetti decisori. Il mondo del lavoro e del commercio devono sapersi avvicinare a questi temi con le loro esigenze e le loro proposte, puntando a realizzare quella serie di servizi aggiuntivi che permettano alle loro attività di “esserci” anche all’interno di ambiti diversi di mobilità.” Perché Vicenza non vuol saperne di cambiare? “A Vicenza probabilmente i progetti non si fanno non perché manchino i finanziamenti o i canali appropriati, ma perché non riusciamo nemmeno ad immaginarli, manca cioè alla cul-

tura politica che ci governa la capacità di prefigurare un sistema integrato di mobilità urbana, di prevedere uno scenario diverso per quanto articolato e complesso, e da ciò l’impossibilità di impostare un progetto funzionale e credibile, di investire sul mezzo pubblico e su tutti i servizi ad esso collegati.” Esistono esempi concreti di città che hanno lavorato in questa direzione? “La città di Ferrara si segnala per l’attuazione in tempi rapidi di una delle Zone a Traffico Limitato più ampie d’Europa. Dal 2002 al 2003 il centro è stato frazionato in più quartieri, con vincoli alla circolazione ed alla sosta, con regole più restrittive per la zona Duomo e con agevolazioni per i residenti nelle ZTL stesse. Sono stati introdotti sensi unici e variazioni del senso di marcia, creati posti auto gratuiti per i residenti, aumentati i servizi di collegamento con bus navetta fra i parcheggi esterni ed il centro cittadino, ottimizzate le frequenze delle corse e i costi del biglietto. Il successo di tale operazione è stato garantito dalla sua genesi: che è avvenuta infatti dal confronto aperto fra Amministrazione comunale ed associazioni di artigiani e commercianti, dalla sperimentazione progressiva. Tutto ciò ha determinato un cambiamento nelle abitudini dei cittadini, sollecitati a rispettare le nuove regole rispetto al parcheggio ed all’uso dell’auto nelle zone centrali, hanno scelto di adeguarsi alle norme grazie agli evidenti miglioramenti in termini di qualità dell’aria, di vivibilità della città, di minori livelli di rumore, maggiore sicurezza e grazie al coinvolgimento continuo della cittadinanza nelle varie sperimentazioni. Perché qui no?”

Sembra che il problema sia risolvibile solo attraverso una di queste due opzioni. Ma io dico che è sbagliato vedere tutto in bianco o in nero: c’è una terza via. Cioè? Lo sviluppo del centro storico di Vicenza è possibile se si svilupperà il turismo e la residenza. Lo sviluppo turistico richiede nuove strutture ricettive in centro, una estensione della zona ZTL , la realizzazione di piazza Matteotti (centro turistico d’eccellenza per la presenza dell’Olimpico e del museo Chiericati) cerniera per lo sviluppo dei quartieri storici S. Lucia e S.Pietro. La residenza necessita per il suo sviluppo l’aumento degli standard dove nel centro storico oltre al deficit accumulato nel tempo si sommano le nuove esigenze. I giardini e i cortili sono diventati posteggi, le piazzette sono occupate dalle auto e i negozi vengono sottratti al commercio per far spazio a garage. Anche il recupero dei sottotetti dà sviluppo alla residenza ma aumenta il deficit di standard in quanto viene solo monetizzato.

Come si può attuare questo cambiamento in termini di modifica della viabilità? Non potrà avvenire con lo sviluppo del mezzo privato, che ha già mostrato la sua saturazione, ma con lo sviluppo della mobilità con nuovi mezzi pubblici e sviluppando la mobilità ciclabile. Troppi posti auto lungo le strade non permettono la mobilità dei mezzi pubblici nel centro storico e la realizzazione di corsie ciclabili. Per questo servono nuove strutture, nuovi parcheggi, capaci di attrarre i mezzi privati localizzati in modo da non gravare sulla viabilità, in posizioni strategiche e con un basso impatto ambientale. Interdire completamente l’area del centro storico è un errore, significa condannare il centro ad una lenta agonia. Molti affermano che la città storica si sta trasformando in una vetrina, un centro commerciale all’aperto. Ma la realtà è opposta. Escluso corso Palladio, il commercio nel centro si riduce ogni giorno sempre di più. Allo stesso modo le aree di sosta autorizzata all’interno delle strette vie del centro strozzano la circolazione. Ma non pensiamo solo all’area storica di Vicenza. Provate a percorrere le zone limitrofe al centro nel mattino e poi verso sera, quando negozi e uffici sono chiusi. Capirete quanto è drammatica la situazione. La costruzione di parcheggi nella peri-

feria della città, anche se collegati con sistemi di trasporto pubblico, non sono una soluzione per residenti e albergatori. L’equazione è semplice: comodità è uguale a maggior residenza e flusso al centro, la scomodità la riduce. Sì al traffico in centro. No ai parcheggi in strada, tanto meno nei “park” periferici. Dove mettiamo le auto? La soluzione sono i parcheggi pertinenziali diffusi. Solo costruendoli si può operare una politica verso i residenti e seguire una linea di non posteggio sulle strade. Le strade, finalmente libere, favorirebbero il passaggio dei cittadini e dei turisti. Basterebbero una dozzina di posteggi meccanici automatici usufruibili anche dai non residenti per ottenere i 5000 posti auto attualmente spalmati per le strade del centro. Il turismo si crea anche sviluppando e sistemando le aree della città. Un piccolo aiuto alla città è stata la presentazione della mozione per realizzare un posteggio auto sotto l’area dei campi da tennis (ex GIL). Una scelta che è stata approvata, attraverso la firma della mozione, da quasi tutti i rappresentanti della maggioranza. Questo avrebbe anche contribuito a spostare i campi da tennis realizzando nuove e più moderne strutture per questa attività sportiva. Purtroppo, finora gli amministratori non hanno fatto seguito alla mozione. abc

Vicenza contro Ferrara: le mappe storiche del centro delle due cittadine a confronto. La città emiliana ha risolto molti dei suoi problemi con coraggio ma favorita anche da una viabilità meno complicata

L’attuale situazione in Corso SS Felice e Fortunato

L’ipotesi di Vicenwa Capoluogo. Con le auto nei parcheggi, più spazio per pedoni e bici

RITRATTI VICENTINI

Birne, l’uomo che scelse di restare ragazzo Da esuberante cannoniere nelle roventi canicole degli anni Settanta a mite custode dei campi di periferia. Sempre attaccato all’eterno sogno di un pallone Con affetto era Birne per i compagni delle mitiche squadre canicolari degli anni sessanta e settanta, quando il luogo delle sfide era lo sterrato sassoso del Patronato Leone XIII o i campetti, rigorosamente dietro la chiesa, di Ospedaletto o di Anconetta. Con apprensione era Birne per gli avversari che temevano quell'attaccante dalle movenze legnose ma dall’incredibile potenza fisica e dal devastante colpo di testa. Con semplicità è Birne anche oggi per I ragazzini che frequentano il campo sportivo di Sant’Andrea, dove il nostro è un tuttofare generoso e disponibile: custode, amico, consigliere nonché arbitro per i pulcini che hanno l’età di suo nipote Giovannino. La chiacchierata non può che aver luogo proprio qui, negli spogliatoi del campo sportivo seminascosto lungo Strada di Bertesina, donato dalla famiglia Pasin e sede per anni della mitica Juventina di Bortolo Brogliato. Strani scherzi del destino: colui che un tempo sfondava le reti oggi le ricuce con pazienza. Tutto è cambiato, a parte questo singolare soprannome ideato nella notte dei tempi da un tifoso di canicola. Neanche il nostro ricorda il perché: “Ma ancora oggi, a sessantasette anni suonati, rimango Birne per tutti”. Operaio orafo e per molti anni infermiere ausiliario (“Allora si entrava in ospedale senza frequentare scuole di specializzazione, soprattutto per le mansioni più umili a diretto contatto con gli ammalati”) Birne ha giocato così tante partite da far impallidire i tanto decantati

Fisico da John Charles e la stessa signorilità: ecco Birne mentre riceve uno dei tanti premi come capo cannoniere di un torneo

record dei professionisti. Ogni momento era buono per organizzare gli amici (i mitici fratelli Marchioretto, i Manfrini, i Morsoletto, i Beria) e correre a iscriversi alla canicola del momento. E che momenti: attorno ai campetti di periferia si ritrovavano famiglie intere a gustare un gelato e osservare divertiti le gesta calcistiche di giovanotti ruspanti o di attempati ex calciatori, impegnati soprattutto nell’impresa di entrare in pantaloncini e magliette sempre più strette. Birne era l’idolo, il cannoniere principe, il proto-

Birne accendeva la fantasia dei tifosi: allora i tornei estivi raccoglievano anche 1500 persone in festa. Con gli incassi nacque la piscina del Patronato

tipo del calciatore generoso ed inarrestabile. “Al Patronato si contavano anche millecinquecento spettatori in una serata - ricorda - E con gli incassi, ogni anno veniva costruito un nuovo stabile, una nuova ala della scuola”. Perfino la celebre piscina deve molto alle gesta dei ragazzi di allora. I tempi oggi sono cambiati, e non solo perchè 1500 spettatori fatica a metterli assieme anche il Menti. Solo il suo entusiasmo è rimasto quello di sempre: “Dopo aver giocato per tanti anni,

anche in Prima categoria con la Ronzani di Galvanin, Merlin, Pasqualin e Chiovati, ho attaccato le scarpe al chiodo”. Le scarpe, non la passione. Così Birne inizia a svolgere le mansioni più umili, come sempre: custode al Campo Federale, poi a Sant’Andrea, pronto a dare una mano, o anche solo un consiglio, ai giovani Birne di questi anni. Forse, spiega, nel tentativo di far capire loro lo spirito del gioco più bello del mondo. “Arrivo al campo alle sette e mezza, pulisco gli spogliatoi, passo il campo con il rastrello, riporto la sabbia nelle buche. Al pomeriggio torno per arbirare le partitelle dei ragazzi.” Da poco ha iniziato una nuova avventura con gli amici del Centro sportivo Italiano. Con loro va a portare il calcio fra le mura del carcere: “Con Mastella, Dalle Ave ed altri amici abbiamo aperto questa strada: organizziamo partite con i detenuti. Un raggio di sole nella vita di queste persone”. Lui, neanche dirlo, fa l’arbitro, il guardalinee, il massaggiatore. Nella vita dell’eterno ragazzo un solo momento fuori dal seminato: quando va al centro anziani della Rondine di San Pio X. “A fare due chiacchiere e una partita a carte” dice lui. E forse si sente solo un ragazzo gentile che va a trovare i nonni del quartiere. Federico Formisano

economia e società Clamoroso exploit dell’istituto di credito no profit: più 84% in un solo anno

Borse all’inferno? Investiamo in paradiso

7 “Ma non saranno mai una vera alternativa”

E Assindustria applaude: un segnale per la finanza

Banca Etica conquista i vicentini: “Vince la nostra trasparenza” Dalle speculazioni in borsa all’investimento etico il passo è breve. Disillusi dalla serie di scandali finanziari che scuotono il paese (Cirio e Parmalat su tutti), dall’aumento delle spese dei servizi bancari, dalla scarsa trasparenza del sistema creditizio (più volte sotto accusa) nel rapporto con la clientela, i vicentini investono sulla finanza etica. Che registra un clamoroso più 84 percento tra i suoi correntisti nell’ultimo anno. Attratti da costi di gestione competitivi ma anche, e forse soprattutto, dall’idea di investire in qualcosa di socialmente utile. Non si spiegano altrimenti i 446 mila euro raccolti sino ad ora dalla campagna, partita nel dicembre scorso dalla Cooperativa Insieme (www.insiemesociale.it) per la costruzione della nuova sede che sorgerà in Via Dalla Scola. Di questi, 60 mila vengono da Banca Etica (www.bancaetica.com), attraverso 'Certificati di Deposito dedicati al Fondo Investinsieme' con i quali i clienti della banca hanno scelto di destinare a questo progetto gli interessi maturati dai loro conti. Ad onor del vero, tanta sollecitudine a sostegno di iniziative sociali non è affatto nuova per Vicenza e provincia. A dimostrarlo, proprio la presenza della sede locale di Banca Etica, aperta nel 2001, terza in Italia dopo Padova e Milano. Insomma, al di là degli eventi contingenti, a Vicenza la finanza etica è sempre piaciuta. Quando nel 1997 rappresentanti del terzo settore, semplici cittadini, persone in cerca di un’alternativa al sistema creditizio tradizionale, cominciarono a raccogliere 12,5

euro fruisce delle stesse condizioni di tutti gli altri. Lo stesso dicasi dei progetti che decidiamo di finanziare. Non importa se partono da Vicenza o dal Brasile. Ciò che conta è il loro valore sociale e la loro attuabilità”. Ma, riconosciuti gli indubbi meriti propri di un’etica della finanza, può Banca Etica porsi in maniera realmente concorrenziale – dal punto di vista puramente finanziario - rispetto al sistema creditizio tradizionale? Secondo una ricerca del luglio 2003 dell’Adusbef (Associazione Difesa Utenti Servizi Bancari www.adusbef.it) sembrerebbe di sì: un conto corrente presso Banca Etica costa due terzi in meno rispetto a quelli (non convenzionati) delle altre banche. miliardi di vecchie lire (allora necessarie per mettere in piedi un nuovo istituto bancario), Vicenza fu la città italiana in cui, percentualmente, si raccolsero più soldi.

“I vostri soldi sempre a fin di bene” Istituto bancario a tutti gli effetti, Banca Etica differenzia la sua proposta creditizia con una serie di varianti che definire qualificanti è poco. Innanzitutto, l’assoluta trasparenza rispetto alle condizioni offerte all’utenza. In secondo luogo, la garanzia d’impiego etico del denaro investito dall’istituto. In pratica, un cliente sa esattamente per cosa e come vengono utilizzati i suoi soldi, ne condivide la destinazione d’uso, può persino sceglierla (come nel caso della Cooperativa Insieme). Ovviamente

i settori d’investimento hanno sempre valenza sociale: progetti ambientali e culturali, cooperazione sociale e internazionale, sono tra i destinatari dei finanziamenti etici. “Al momento - ci spiega il direttore della sede di Corso San Felice e Fortunato, Ippolito Rigoni - i clienti che hanno aperto un conto corrente o un libretto di risparmio presso di noi sono circa 1400. A questi vanno aggiunti i 1300 sottoscrittori del capitale sociale. Ottimo anche il trend di crescita, l’anno scorso, l’84 per cento in più rispetto al 2002. A parte il codice etico – del resto per noi irrinunciabile – credo che un ulteriore elemento qualificante di Banca Etica sia il fatto che proponiamo identiche condizioni a tutti. Non si privilegiano i grandi depositi. Anche il pensionato che apre un libretto di risparmio con pochi

“Competitivi? Non ancora, però...” “La nostra presenza sul mercato creditizio? Credo che la proposta di BE sia in anticipo sui tempi. Precorriamo ciò che dovrà diventare la finanza. Anche gli altri dovranno, prima o poi, adeguarsi a criteri di trasparenza non solo rispetto alle condizioni di credito, ma anche sull’uso che viene fatto del risparmio”. “Alcune banche, ad esempio il Credito Cooperativo o la Popolare di Milano, hanno sottoscritto con Banca Etica un protocollo d’intesa che accoglie i nostri criteri etici. - ci spiega Aldo Prestipino, coordinatore provinciale dei soci - Altre invece, si sono rifiutate. Il nodo era l’impegno a non finanziare la produzione e il commercio di armi. A riguardo, purtroppo, non tutti hanno la coscienza a posto”.

Dottor Nardi, come responsabile finanziario di Assindustria, ritiene che Banca Etica possa essere competitiva, se non alternativa, col sistema creditizio tradizionale? “Credo proprio di no. Sia chiaro, ne penso tutto il bene possibile, anche perchè riporta al centro il problema dell’etica degli affari. Tema che non dovrebbe mai essere fuori moda, visti anche i recenti crac finanziari. Ma se parliamo di sistemi macroeconomici, non credo possa essere competitiva. C’è poco da fare: l’economia di mercato si fonda sulla massimizzazione del profitto. Di qui non si esce. Banca Etica ha bisogno di finanziatori/risparmiatori che aderiscano pienamente al progetto, ad esempio, accettando dei tassi d’interesse ridotti in nome dell’obiettivo comune. Attenzione però: alla fine, i conti li devono fare anche loro”. Quindi, difficile pensare ad una collocazione credibile della “finanza etica” nel mercato? “Al contrario. Banca Etica è un’ottima idea per i risparmiatori “etici” o per il settore no-profit, ma ripeto, in generale può essere al più complementare al resto del sistema creditizio. Ecco, può ritagliarsi un suo spazio costituendosi come stimolo utile agli altri protagonisti finanziari. Già lo fa.” Eppure le banche vivono oggi una grave crisi di fiducia. Da una recente indagine Demos-Eurisko è emerso che i cittadini si sentono sempre più indifesi nella protezione dei propri risparmi. Addirittura l’80 per cento ritiene le banche corresponsabili dei recenti crac. Insomma, la diffidenza è tanta. Il cittadino medio pensa che invece di tutelare i suoi interessi, le banche facciano esclusivamente i propri. Lei che ne pensa? “Mi creda, non solo i singoli cittadini, anche noi come aziende abbiamo diversi appunti da fare alle banche. Il sistema bancario italiano ha compiuto diversi errori. Il più grave: la mancanza di trasparenza. In fondo la banca promuove un prodotto, vende denaro, e io cittadino voglio sapere esattamente quanto mi costa. Come aziende, ad esempio, non si sa quanto costa un’operazione di leasing. Il tasso non è mai precisato. Bisogna calcolarselo. E ancora: in questi anni le banche hanno pressato parecchio per collocare presso i consumatori prodotti inadeguati. Per intenderci, roba ad alto rischio. Hanno applicato una logica esclusivamente commerciale piuttosto che comportarsi da consulenti finanziari per l’utenza. Ma cosa vuole che capisca di certo linguaggio tecnico il cittadino medio? Il risultato è stato la perdita di fiducia”.

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Tuttinbici vuole raccogliere 11 nila firme per una Vicenza finalmente ciclabile: “Il futuro siamo noi”

La rivoluzione non russa. Pedala Associazioni d’idee è una rubrica che presenta, volta per volta, le associazioni vicentine. Un viaggio nel ricchissimo mondo dell’associazionismo cittadino che inizia da Tuttinbici, storico gruppo che da anni lavora per favorire l’uso della bici per una migliore qualità della vita. Stanchi di sentirvi in colpa ogni volta che, saliti in macchina, la radio trasmette il quotidiano bollettino di guerra sul tasso d’inquinamento in città? Preoccupati per il pessimo stato di salute della terra di cui vi sentite, sia pur in piccola parte, corresponsabili? Stufi di immaginarvi parenti stretti delle sardine – rinchiusi nella vostra scatoletta di latta – in coda lungo Viale San Felice? Se avete risposto positivamente a tutte queste domande, un modo per migliorare la vostra autostima (pericolosamente legata alla salita o discesa del livello di polveri sottili) c’è. A proporlo è Tuttinbici, associazione locale affiliata alla FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta), che da dieci anni – contro il logorio della vita moderna – predica (e pratica) l’uso sistematico delle due ruote. Avviso al centauro, furbacchione di turno, pronto a scantonare: le uniche due ruote di cui Tuttinbici fa uso, sono quelle a trazione muscolare. Non è gradito l’ausilio di bielle, pistoni e miscela.

la città a chiare lettere

Direttore responsabile Matteo Rinaldi Redazione ([email protected]) Davide Lombardi, Ilario Toniello Comitato editoriale Franco Candiollo, Paolo Gurisatti, Gianni Zulian Consiglio di amministrazione presidente Lorenzo Bernardi vicepresidente Matteo Salin consiglieri Marina Cenzon, Giorgio Sala, Stefano Soprana, Giorgio Stefani, PaoloTodescan Collegio sindacale presidente Margherita Monti sindaci Giampaolo Chiodi, Luigi Scarso Progetto grafico Michele Vezzaro Amministrazione ([email protected]) Gabriele De Rugna, Carla Toffolon Stampa Artigrafiche Urbani - Via Galvani, 30 Sandrigo(VI) 0444 659384 Registrazione Tribunale di Vicenza n. 1024 del 7/11/2002

Come ci spiega la presidente Annamaria Virgili, la strada scelta dall’associazione per favorire l’uso della bicicletta è assolutamento propositivo. Di qui le molte manifestazioni collettive (uscite “fuori porta” alla domenica, organizzazione di una giornata-evento dedicata ai bambini denominata “Bimbimbici, accoppiate treno più bici per gite in altre città, convegni), ma anche progetti e petizioni consegnate all’amministrazione perché le faccia proprie. “Siamo un gruppo apolitico” prosegue Virgili “il nostro intento è quello di cercare la collaborazione con le istituzioni per realizzare, ad esempio, più piste ciclabili. Non siamo ‘contro’ qualcuno, siamo sempre ‘per’. E vogliamo dialogare con tutti: del resto, la bicicletta non è né di destra, né di sinistra, ma un bene di tutti. Almeno, noi lavoriamo perché torni ad esserlo...”. Nulla a che fare, insomma, con movimenti di protesta tipo Reclaim the streets (www.reclaimthestreets.net/) o Critical mass (www.critical-mass.org) – quest’ultima presente anche in Italia - che impiegano le biciclette come armi di liberazione delle

strade invase dalle automobili. Attraverso improvvisi raduni di ciclisti in grandi arterie cittadine (clamorose alcune azioni compiute a Londra e Milano), gli attivisti mandano in tilt – solo con la loro presenza missiccia – il traffico. Obiettivo: “reclamare strade a misura d'umanità, per gridare che l'automobile non è l'unico mezzo di trasposto, ma soltanto il più dannoso”. Finalità in parte condivisibili da Tuttinbici, per il resto lontanissima dall’utilizzo di mezzi di protesta così vistosi. Il movimento vicentino pare più preoccupato di accedere a sempre maggiori spazi per pedalare, piuttosto che “urlare”. Diretta conseguenza di questa logica tanto poco gridata quanto pragmatica, anche la recente inziativa di raccogliere firme per sollecitare l’attuazione del "Piano dei Percorsi Ciclabili per la Città di Vicenza". Tra gli oltre novemila firmatari finora raggiunti (“ma la quota a cui vogliamo arrivare è 11.000, un decimo dell’intera popolazione”), è certa la presenza di nomi illustri, anche se la presidente non si sbottona, rinviando la sorpresa a obiettivo raggiunto. Ma tra le firme quasi certe –

aggiungiamo noi – si può includere l’ex campione del mondo di ciclismo Marino Basso. Se non altro, per curarsi il dente di sicuro avvelenato con l’automobilista che, circa un mese fa, l’ha investito (per fortuna senza gravi conseguenze) mentre pedalava tranquillo in campagna. “Al di là dei vip” – conclude la presidente “la vera sfida è far tornare la bicicletta al centro del modo di spostarsi di tutti i vicentini. Non solo uno strumento buono, al più, come svago domenicale, ma mezzo di trasporto normale e quotidiano. Solo in questo modo potremo aumentare la qualità della vita nelle nostre città soffocate ed inquinate da un traffico automobilistico ormai insopportabile”. Insomma, tutti in bici o barbarie? “Detta così è un po’ forte. Ma certo, cambiare si può e si deve. Purché lo si faccia in bicicletta...” Sede: piano superiore della Basilica Palladiana, presso la sede della GEV (Giovani Escursionisti Vicentini) Sito Internet: http://digilander.libero.it/tuttinbici/ Telefono: 0444-504776

d.l.

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cultura Grandi temi per grandi vicentini Renato Cevese. “Ho fallito in tutto, ma Vicenza è comunque da amare”

Il testamento del grande censore “Tornato da un breve viaggio a New York lasciai tutti di stucco. È una città bellissima, dissi. Mi guardarono come fossi un matto” ride il Professor Renato Cevese nel raccontare l’aneddoto: “Pensavano io fossi un dogmatico. Uno incapace di vedere oltre il Bello classico. Invece, la mia sola religione è l’armonia. E New York, nella sua impressionante dimensione verticale, ne è piena. E’ dominata da un’intima coerenza. Dappertutto, dalla periferia al centro. “Ah - sospira - beati loro…” Storico dell’arte appassionato di urbanistica e architettura, il Professore è uno dei padri nobili della cultura vicentina. Coautore, tra i vari volumi, di una famosa guida della città alla cui nuova edizione sta lavorando. Mi riceve nel grande salone della sua casa in Contrà delle Catene, viuzza storica dietro Piazza dei Signori. Di fronte, l’imponente Domus Comestabilis. Si definisce un liberale della scuola di Luigi Einaudi. “Per questo” dice “non posso essere berlusconiano. Il suo è un liberismo selvaggio. Ha frantumato quella disciplina cui ogni cittadino deve sentirsi obbediente: il bene comune. Un individualista sfrenato nella patria degli individualisti. Un disastro.”. Professore, non sono qui per parlare di politica. “E di cosa mai, allora?”. Sono qui perché Cevese mi racconti di questa città, di come è entrata nel nuovo millennio, del centro storico, della periferia, del traffico. Non il passato glorioso ma le complicazioni del presente. E ancora: il Veneto, “terra gioiosa e stupenda martoriata dalle sue stesse genti” come la definirà lui in seguito. Nominare Vicenza al Professore è come aprire il vaso di Pandora. Ce n’è per tutti. Nessuno è risparmiato dalla sua lingua antica nella forma, quanto tagliente e attuale nei contenuti. Questa città è il suo grande amore. E la sua pena. “Dopo la guerra fu chiamato l’architetto Mario Coppa. Aveva il compito di studiare uno sviluppo possibile per la città che voleva

crescere. Peccato di urbanistica non capisse nulla. Dopo i guasti architettonici del ventennio, si proseguì nella stessa direzione. Ahimè, l’urbanistica è una della arti più complicate: pretende un religioso rispetto per l’esistente antico; prevede un intervallo verde tra centro storico e nuove periferie ma, soprattutto, richiede una capacità intuitiva oltre il tempo. Si costruisce oggi, ma ciò che abbiamo realizzato sarà la nostra carta d’identità nel futuro. Che cosa stiamo costruendo per le generazioni che verranno? Prenda Viale Milano. Uno degli orrori più incredibili che io abbia mai visto. Non si è pensato che l’area verde intorno al Foro Boario era l’intervallo provvidenziale tra il centro e la proiezione della città verso occidente. Ed ecco il bel risultato…”.

“Stramaledetti i gusti del Duce” Si indigna l’anziano professore scorrendo mentalmente le brutture che hanno devastato l’armonia della città di Palladio. “Altro esempio. Di questo dobbiamo ringraziare il duce: il Palazzo delle Poste, uno scempio, sia stramaledetto. Lo scriva, proprio così: stramaledetto! Ma santo cielo, si vuol capire o no che una città è destinata a vivere nei secoli? Un edificio, qualsiasi edificio, non è un pezzo di plastica da produrre in catena di montaggio. Le case non sono funghi liberi di crescere laddove trovano terreno. Tutto ciò che viene realizzato deve essere contestualizzato nel suo tessuto, urbano o rurale. Per questo l’edilizia dovrebbe indurre, sempre, a profonde

riflessioni. Soprattutto da parte dei gestori della cosa pubblica, Ministero dei Beni Culturali in testa. E, veda un po’, Berlusconi chi ci ha messo? Urbani. Brava persona, per carità, ma assolutamente incompetente e incapace di capire queste cose”. Ma gli strali del Professor Cevese non mirano soltanto così lontano, troppo facile il gioco di scaricare ogni responsabilità su Roma. “I principali responsabili del disastro urbanistico? I vari sindaci che si sono succeduti negli anni. Nessuno escluso. Anche i migliori erano degli ignoranti in materia. Letteralmente: la ignoravano. In passato, come oggi Hüllweck. Ha presente il palazzo dietro la chiesa di San Felice? Quando seppi del progetto, andai dal sindaco di allora, Dal Sasso, e gli dissi: ‘Bepi, ma cosa stai facendo?’ E lui: Ormai è deciso, che posso fare? Licenziare gli operai?’ ‘No’, gli risposi, ‘mantienili per tre mesi che poi trovano un altro lavoro. Loro andranno altrove, quell’orrore resterà’. Ovviamente non mi diede ascolto” sospira Cevese “anche se bisogna ammettere che quegli anni, era il ’55, non potevano darci niente di meglio”. L’assedio del traffico? Contrariamente a quel che ci si potrebbe aspettare, il Professore è molto realista in materia. “Che vuole: un male necessario. Il centro storico non può diventare un museo a cielo aperto, di fatto abbandonato dai cittadini. Capisco ci debba essere anche uno sviluppo economico: negozi e botteghe ci sono sempre stati nel centrocittà. Semmai,

oggi, un pugno allo stomaco lo danno i vari supermercati e centri commerciali in periferia... Il traffico è un problema enorme, ci vorrebbero politiche oculate. Ad esempio sui parcheggi. Quindici anni fa ne avevo proposto uno nei pressi di Viale Eretenio. Per fare da polmone al centro storico. Come al solito, non mi hanno dato retta. Poi certo, chiuderei alle automobili, oltre a Corso Palladio, altre zone del centro storico. Ma, in generale, ho poche speranze: la storia, ciò che abbiamo realizzato e siamo stati, è la nostra memoria, le nostre radici, la nostra essenza. Lo abbiamo dimenticato in troppi. Che vuol mai si riesca a risolvere, noi, progenie bastarda (dice proprio così) di Palladio? Lasciamo perdere, che è meglio”. E il Veneto? Cevese si lascia consolare dalla poesia delle parole: “Ha perso ogni sua caratteristica di terra amabile traversata da una geometria di strade segnate da alberi protesi verso l’alto. Un tempo, un miracolo di armonia tra cielo e terra”. Immagini consegnate ormai al passato: “Campagne e città hanno ceduto all’offensiva dell’edilizia minore che oggi domina sovrana. Non c’è più nulla da fare. Solo cercare di non guastarlo oltre. Come se non avessimo già superato ogni limite….”. Un attimo di scoramento: il Professore si alza e guarda fuori dalla finestra il palazzone grigio che, di fronte alla Domus, scompone e violenta Piazza dei Bissari. “Ho fallito, ho fallito in tutto nella mia vita” sussurra appena percettibile, abbracciando con lo sguardo l’amata che, invano, ha cercato di proteggere con tutte le sue forze. Davide Lombardi Storico dell’arte, Renato Cevese è il fondatore del Centro Studi di Architettura Andrea Palladio. Ottuagenario, è una memoria storica della città. Ha speso una vita a combattere contro gli scempi edilizi e il degrado urbanistico di Vicenza

Il poeta e il designer raccontano a radio Rai la loro Palladio by night: “Meglio stare a casa”

BUONASERA

Dove vanno di notte Bandini e Albanese?

il locale mai banale

sorprese dietro l’angolo

La vera pizza napoletana val bene una Smorfia

Baeza e Morandini, le nuove strade dell’architettura

Se volete gustare l’unica vera pizza napoletana della città ecco il locale che fa per voi.

Un suggestivo allestimento che si avvale di teche luminose e schermi con proiezioni, illustra, nel salone della Basilica Palladiana, l’architettura dello spagnolo Alberto Campo Baeza, nuovo appuntamento sul tema organizzato da Abacoarchitettura in collaborazione con il Ministerio de Fomento e il Ministerio de Cultura spagnoli, il DARC (Direzione per l’Architettura e l’Arte del Ministero dei Beni Culturali) il Comune di Vicenza, l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. La mostra riassume l’intera esperienza professionale di Campo Baeza che, nato a Valladolid nel 1946, è oggi considerato uno dei più creativi progettisti che operano attualmente in Spagna e in Europa e che, già a partire dagli anni Settanta si imponeva all’attenzione internazionale per l’uso minimalista e tuttavia raffinato dei mezzi espressivi. La rassegna presenta un percorso dalle prime opere, come la scuola di San Fermìn di Madrid del 1985 fino alle realizzazioni più

Metti una sera a cena con Fernando Bandini, Vitaliano Trevisan e Flavio Albanese. Ma soprattutto il dopocena: l’ha organizzato Radio Tre Suite, trasmissione serale del terzo canale radiofonico, che ha chiesto ai tre di raccontare all’Italia la Vicenza di notte: cosa c’è da amare, cosa da dimenticare. Forte della sua esperienza di portiere notturno, lo scrittore Vitaliano Trevisan ha dato poca scelta: qualche bar, molte discoteche ma soprattutto la statale Vicenza–Verona, descritta come “boulevard dell’amore multietnico”. Il designer Flavio Albanese ha dato la colpa alla cupa incombenza delle architetture palladiane “che di notte incutono la loro massima soggezione”. Il poeta e docente universitario Fernando Bandini ha ricordato le sue passeggiate serali nella Vicenza deserta di tanti anni fa, occasione di brevi incontri con lo scrittore Goffredo Parise, e le piccole osterie nascoste, poco frequentate e ora completamente sparite. Ci si consola soltanto con un cineforum di alto livello e un buon programma di concerti classici, che non a caso vengono spesso trasmessi proprio da RadioTre. Già così la vita notturna della nostra città non dava una gran bella immagine di sé, ma le dolenti note non erano finite: a una domanda sulle offerte culturali della città Vitaliano Trevisan ha prontamente risposto: “Ottime, se avete la macchina: vi basta andare altrove. Quel poco che c’era, ad esempio il cinema all’aperto, è stato prontamente eliminato”. Fortuna che Albanese ha proposto la sua alternativa: “La mia casa è sempre aperta per chi vuole mangiar bene e stare in compagnia”. Però nei toni e modi usati dagli interlocutori si avvertiva verso la città un affetto sincero, che risultava difficile da comprendere ai non-vicentini, cominciando dal povero conduttore Zaccagnini. Quando ha proposto dei versi critici di Fogazzaro, che supponeva descrivessero la nostra città, è stato prontamente corretto da Bandini: “Quelle righe, fra l’altro brutte, Fogazzaro le scrisse da una residenza estiva che si affaccia sul lago di Como”. Alla fine tutti d’accordo su un happening cultural-culinario a casa di Albanese. Pietro Ferrer

La pasta è alta, morbida, profumata; la mozzarella è vera mozzarella e non quell’oscena materia fila e fondi con cui potreste stendere i panni da una parte all’altra della strada. Dopo i primi bocconi vi accorgerete di masticare e mugolare, masticare e mugolare. Un po’ per la pizza, un po’ per le gomitate che vi arrivano da ogni dove. Il fatto è che il locale è strettissimo e Vittorio ha una concezione tutta sua degli spazi: in un tavolino da coppietta innamorata pretende di sistemare una squadra di rugby. E pazienza se poi loro sistemano lui. Il locale si fa apprezzare anche per la capacità di andare controcorrente. In barba ai moderni listini da 300 pizze (dalla maionese-mango alla broccoli -smarties), qui trovate capricciose e margherite, quattro

stagioni e marinare. Curioso l’arredamento: le sedie sono spaiate, i tavoli pure, enormi poster di Totò vi guardano benevoli dalle pareti. Malevolo appare invece lo sguardo della signora che vi attende in cassa: al suo cospetto Margaret Thatcher era una velina. Ma è gentilissima e, dopo il conto tutt’altro che salato, vi offre pure il limoncello. NB: non chiedete mai a Vittorio se è un vero napoletano: vi reciterà tutta la Smorfia, dall’inizio alla fine, e guai a voi se non la ripetete parola per parola. Osvaldo Derocco Pizzeria da Vittorio Borgo Berga 52 (di fronte all’ex Cotorossi) telefono 0444.525059 cucina 8/10 servizio 10/10 prezzo 8/10

mature come il recente progetto per il museo Mercedes Benz in cui il suo linguaggio intensifica la complessità e i riferimenti storici (da Mies van der Rohe a Le Corbusier). La mostra rimarrà aperta fino al 2 maggio, tutti i giorni escluso lunedì dalle 10 alle 19. Altra esposizione da segnalare è in Contra’ Porta S. Croce, allo studio d’arte Valmore che espone fino al 12 giugno 2004 “Archigeometrie” di Marcello Morandini. Artista e designer di fama internazionale, Morandini (Mantova, 1940) inizia la sua attività espositiva nel 1963. esperienza artistica molto particolare. Essa, infatti, sintetizza arte, architettura e design e li accomuna con un linguaggio matematico-geometrico, in curiose prospettive neooptical, forzando i limiti dello spazio attraverso un uso ricercato del bianco e del nero. Gli orari di visita sono da martedì a sabato dalle 16 alle 19,30 o su appuntamento a 0444-322557 Tazio Cirri

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