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vicenzaabc la città a chiare lettere
venerdì 19 marzo 2004, numero 1, anno III
SETTIMANALE DI INFORMAZIONE, CULTURA, POLITICA, ASSOCIAZIONISMO, SPETTACOLO
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Editore: VicenzaAbc scarl, Corte dei Molini 7, 36100 Vicenza. Partita Iva 03017440243. Telefono 0444.305523. Fax 0444.314669. E mail:
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Ricominciamo Nostra inchiesta: ecco perché non ce la raccontano giusta
Vicenza Abc riparte. L’obiettivo: diventare una voce autorevole nel panorama dell’informazione cittadina. Un obiettivo che solo a scriverlo fa tremare le dita sulla tastiera. Ma abbiamo ottime ragioni per crederci. Ripartiamo grazie alla fiducia di 230 soci (ma il numero continua a crescere e le porte sono sempre aperte) che hanno investito risorse per un’idea: dare una nuova voce a Vicenza. Ci sono giovani e meno giovani, industriali e operai, studenti e pensionati. Ci si può specchiare l’intera città. Ripartiamo con la forza dei numeri: la bellezza di oltre 400 abbonati che hanno sottoscritto questa avventura quasi a scatola chiusa. Fondamentali, perché assicurano al giornale uno zoccolo duro per almeno un anno di vita. Vero è che qualcuno ha accettato solo per sfinimento. Ma c’è chi ha acquistato venti abbonamenti per regalarli a parenti e amici. C’è anche chi, per fortuna, non ha voluto saperne, a scatola chiusa. A scatola aperta, li aspettiamo ogni venerdì in edicola. Ripartiamo con la forza del passato: 2000 copie settimanali. Diretto da Stefano Ferrio, questo giornale aveva stabilito un record: 2000 copie vendute. Bisogna risalire a Nuova Vicenza di fine anni Ottanta per trovare un settimanale vicentino capace di tanto. Se questi numeri un po’ ci spaventano, una certezza ci stimola: Vicenza ha voglia di un giornale alternativo. Faremo il possibile per essere all’altezza. Buon viaggio, assieme a noi. Matteo Rinaldi
Vicenza Abc ritorna all’appuntamento settimanale con i lettori dopo una sosta che ha consentito di recuperare convinzione e risorse. Ritorna profondamente rinnovato. Al direttore Matteo Rinaldi e alla sua redazione va l’augurio di buon lavoro e successo. Li affianca un Comitato editoriale, nelle persone di Gianfranco Candiollo, Paolo Gurisatti e Gianni Zulian, scelti da autorevoli rappresentanti dei soci in pieno accordo con il Cda, i quali ricopriranno il ruolo di garanti delle finalità politiche e culturali della nostra Società. Vicenzaabc è nuovamente in edicola, in giorni duramente segnati da tragedie, nel panorama sempre più ravvicinato del mondo. A tali vicende, che coinvolgono le nostre vite e il nostro futuro, il nostro giornale non si sente estraneo e, nella dimensione territoriale che gli spetta, saprà dare un contributo alla comprensione e al dialogo, ricercando chiarezza e verità. L’editore
Inquinamento: le sette bugie dell’amministrazione Iniziative boicottate e mancanza di responsabilità: così a Vicenza vince lo smog Ci aspetta un periodo difficile dal punto di vista ambientale. Con l’arrivo della bella stagione infatti, dobbiamo mettere in conto anche un fisiologico aumento dello smog e dei conseguenti rischi per la salute. Motivo in più per affrontare a muso duro la realtà: l’inquinamento a Vicenza aumenta di giorno in giorno (i dati sulle PM 10 sono solo la cartina tornasole di un malessere molto più ampio) ma le amministrazioni - locali, regionali e nazionali - stanno facendo poco o niente per risolvere il problema. In particolare, l’amministrazione cittadina non solo è incapace di proporre idee e soluzioni, ma addirittura dà l’impressione di rema re contro qualsiasi iniziativa. Da mesi sentiamo gli amministratori criticare ogni provvedimento anti smog con mille motivazioni, talvolta sensate, spesso molto meno. In questa inchiesta abbiamo raccolto tutte le teorie con cui l’amministrazione difende il suo immobilismo o comunque lo scarso entusiasmo per dare ai vicentini una città più vivibile. È vero che più delle auto inquinano le caldaie? È sensato supporre che il fumo delle sigarette fa più male di quello che esce dalla marmitta di una moto? È vero che le targhe alterne non servono a nulla? È realistico pensare che finchè le misure antismog non saranno prese da tutti i comuni che circondano Vicenza non ci si deve aspettare alcun miglioramento? A tutto questo abbiamo cercato di dare risposte precise. Ma anche tutte le possibili alternative per costruire, un po’ alla volta, una Vicenza più sana e vivibile. A pagina 4-5
I dati sono impietosi: 60 autobus vicentini su 130, la metà del parco macchine, inquina come migliaia di auto messe assieme. Uno studio sull’impatto ambientale dei mezzi pubblici ha messo in fila numeri impressionanti: respirare il fumo di un bus che corre lungo Corso Padova è come aspirare gli scarichi di 600 auto catalitiche. Avete letto bene: 600. Altro dato da brivido: nell’ipotesi (tutt’altro che improbabile) che i 60 vecchi bus percorrano contemporaneamente la città, l’inquinamento prodotto sarebbe pari a quello di 70 mila vicentini al volante. Un scena da
Incredibile ma vero: neanche tutti i 70 mila patentati vicentini inquinano quanto 60 vecchi automezzi Aim sulle strade
E il bus si scoprì pericolo pubblico inferno dantesco, per fortuna irrealizzabile, non foss’altro perché i patentati vicentini non sono sufficienti. Neanche mettendo al volante i minorenni faremmo più danni. “Sparare sui bus in questo periodo è un po’ come sparare sulla croce rossa – dice Matteo Quero, coordinatore di Vicenza
Riformista che per primo ha reso pubblici questi dati - Non vorrei passare per quello che invita la gente a disertare i mezzi pubblici. Però bisogna guardare in faccia la realtà. Tanto più che questi bus sono pieni soltanto nelle ore di punta. Per il resto della giornata viaggiano vuoti.”
I dati sembrano così incredibili che qualcuno ha preteso conferme dall’Aim. Puntualmente arrivate: “Quanto a PM 10, le polveri sottili più dannose per la salute”, ha spiegato l’ex dirigente del settore trasporti Aim Gianfranco Rodighiero, un vecchio bus inquina per chilometro quanto
600 auto catalitiche.” “Le soluzioni esistono – insiste Quero – e di buoni esempi è piena l’Italia. Cominciamo col riconvertire i vecchi bus e affianchiamo alle 60 macchine ecologiche nuovi minibus elettrici da 25 posti: costano 100 mila euro l’uno”. Ma intanto per noi cittadini crolla un’altra certezza. Fino a ieri a salire in bus ci si sentiva persone migliori: oggi facciamo due conti e scopriamo che, a ritrovarsi in cinque sui sedili di un vecchio bus arancione, equivale a viaggiare con 100 auto ciascuno. Per scaricarsi la coscienza, meglio scendere e proseguire a piedi.
questa settimana
politica
cronaca
ritratti vicentini
cultura
economia
Parla il cronista del sexgate berico: “Avanti fino in fondo”
Reportage: il rally di San Felice
Gianantonio Stella, dal liceo Pigafetta al Corrierone
Sponsor, fuga dal centrodestra
Massimo Calearo galeotto fu quel viaggio in Maserati
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Crescono rapidamente nelle forze di polizia e in tutti i ruoli tradizionalmente riservati ai maschi. Nel corpo dei vigili urbani la media italiana di agenti al femminile è salita in pochi anni dal 10 al 25 per cento. Clamoroso l’exploit a Bologna, dove le donne sono addirittura maggioranza con il 60 per cento. Molto più lentamente crescono anche in politica: siamo solo al sette per cento tra i sindaci, saliamo a otto tra i consiglieri comunali, c’inerpichiamo all’undici tra gli assessori e svettiamo al dodici per cento in parlamento. Ma c’è un baluardo di resistenza, proprio sotto casa, dove le percentuali al maschile restano bulgare: è l’istituto tecnico industriale Alessandro Rossi. Tra le aule dell’immenso complesso, fiore all’occhiello delle scuole tecniche vicentine, le donne continuano a essere una rarità. “Dieci anni fa la percentuale era dell’1,2 per cento – racconta la preside Zeila Biondi - Cinque anni fa siamo cresciuti all’1,7. Quest’anno, delusione, siamo scesi all’1,3 per cento: 19 donne su 1450 studenti.” La domanda è: perché? “Non esiste un solo valido motivo per tenere le donne lontane da questa scuola. Il Rossi offre un’adeguata
preparazione per la facoltà di Ingegneria o l’alternativa di un posto di lavoro immediato. Non so quanti altri studenti ricevano ottime proposte di lavoro prima ancora di ottenere il diploma. Purtroppo c’è ancora chi crede che in questa scuola servano i muscoli. Ma oggi si lavora col computer, mica col martello. Il fatto è che i miti sono duri a morire: ho sentito io stessa insegnanti delle medie sconsigliare, scandalizzati, le alunne che volevano iscriversi qui”. La preside Zeila Biondi - tra parentesi la prima donna a guidare l’istituto nella sua lunga storia – ha le idee chiare su come invertire la tendenza. “Stiamo studiando iniziative per portare più donne al Rossi. Dobbiamo far capire che questa è una scuola adatta a tutti. Bastano I dati: su venti ragazze diplomate lo scorso anno, la metà si è iscritta a ingegneria e l’altra metà ha trovato lavoro subito”. Sarà una sfida lunga e laboriosa ma le donne, si sa, non mollano mai. E l’esempio arriva proprio dal Rossi: “La prima ragazza che s’iscrisse all’istituto non ebbe vita facile. Il preside di allora non voleva saperne. Ma lei fu più testarda: fece i primi due anni in un'altra scuola e si trasferì al Rossi al terzo anno. Furono costretti ad iscriverla. Era il 1972”.
sette giorni di politica I nodi che l’amministrazione non riesce a sciogliere. E quelli che si crea da sola
Grandi manovre attorno al Dal Molin o decollano i jet o si alzano i palazzoni La grande e appetibile area dell’aeroporto al centro di molti interessi: da una parte chi crede ciecamente nello scalo cittadino dall’altra chi farà di tutto perché gli aerei restino a terra. Potrebbe diventare una zona residenziale dal valore inestimabile
Il futuro dell’aeroporto, i veleni sulla gestione del personale municipale, targhe alterne e servizi bus, sono gli ultimi nodi della settimana politica vicentina. Dal Molin, aerei in difesa dell’ambiente. La riunione del consiglio di amministrazione dello scalo berico ha prodotto la soluzione che molti si aspettavano. Il cda ha di fatto chiesto ai soci, per l’ennesima volta, di ripianare la perdita di
500.000 euro che ogni anno grava sulla struttura di via Sant’Antonino in attesa che possa decollare il piano del presidente Beppe Sbalchiero che, con cinquantamila voli annui e l’affitto degli hangar ai privati, punta a ritornare in pareggio entro 20 mesi. La struttura (il socio di maggioranza è la Camera di Commercio col 60%) ha però dovuto patire l’astensione pesantissima dei rappresentanti della società autostradale Brescia Padova e soprattutto della Provincia. Da mesi, infatti, si parla in termini negativi dell’aeroporto come di un ente che genera solo perdite e pochi voli. Ma la vera questione, qualora la struttura fosse chiusa, non è di tipo commerciale, ma urbanistico, e riguarda direttamente il Comune capoluogo. Se al Dal Molin fosse tolta la concessione aeroportuale, l’area potrebbe immediatamente diventare interessante per una serie di appetiti edilizi cospicui, perché costituisce l’ultimo grandissimo comparto di pregio rimasto in città. La zona a Nord di Vicenza infatti è rimasta sostanzialmente verde, non è densamente abitata, e sotto il profilo commerciale costituisce un’ottima possibilità. Non a caso l’associazione Parco Perraro, anche se in termini di insediamenti sportivi, ha già cominciato a parlare di possibile urbanizzazione dei lotti. Una eventualità che però tre anni fa era stata giudicata inaccettabile dall’allora assessore all’ambiente azzurro Sandro Bordin (“se qualcuno pensa a tirare su un solo mattone, dovranno passare sul mio cadavere”). Sullo stesso piano si muovono i Ds che a palazzo Trissino hanno già messo le mani avanti contro ogni tipo di lottizzazione. Così la situazione rimane in stallo soprattutto all’interno dei vertici di Assindustria e della Camera di Commercio. Una parte degli imprenditori infatti, non vuole la morte dello scalo berico e ne chiede il rilancio con l’aiuto del governo, perché anche le casse delle imprese in questo momento patiscono.
Altri settori dell’imprenditoria locale (gruppo Mezzalira in primis) propugnerebbero invece una serie di nuovi insediamenti e, allo stato attuale, tali istanze sembrano appoggiate da palazzo Nievo. Caso Nicosia, un vero disaster. Completamente differente invece è il caso politico esploso attorno alla nomina di Tonino Nicosia come consulente specializzato per la protezione civile municipale (disaster manager). L’ingaggio dell’ex consigliere forzista, trombato alle municipali di giugno, era stato annunciato all’inizio di febbraio dall’assessore ai lavori pubblici Alberto Maron. Un mese fa la notizia non fece molto clamore, ad eccezione dell’attacco del responsabile provinciale della Direl Domenico Buffarini. Come rappresentante del sindacato dei funzionari infatti, quest’ultimo aveva sparato a zero sull’ennesima chiamata ad personam uscita fuori a Palazzo Trissino (Nicosia percepisce una retribuzione di 21.000 euro annui). Il vero caso però è esploso quando, ai primi di marzo, la Cdl che governa a palazzo Trissino si è trovata spiazzata dall’attacco dell’onorevole Giorgio Conte, in qualità di segretario provinciale di An, aveva definito l’ingaggio di Nicosia una marchetta politica pagata a Forza Italia. Sui media locali, l’assessore al personale Michele Dalla Negra (che, come Nicosia, se ne è andato tre anni fa da An per approdare tra i forzisti) e lo stesso Conte se ne sono dette di tutti i colori, con l’opposizione di centrosinistra che in aula ne approfittava per incalzare la giunta (“perché non si è scelta la via di un concorso pubblico? Perché Dalla Negra ha chiamato un suo amico?”). Una vicenda che subito si è legata alle rivelazioni di Canale 68 che, in contemporanea, mandava in onda una serie di reportage al vetriolo sugli emolumenti d’oro dei dirigenti comunali scelti dall’esecutivo. Un reportage in cui si puntava l’indice soprattutto
nei confronti di Lorella Bressanello, Direttore del Dipartimento Territorio e moglie del primo cittadino azzurro Enrico Hüllweck. Ma all’intera polemica se ne aggiunge un’altra. Lo stesso Buffarini annuncia una serie di azioni legali contro l’amministrazione per una serie di presunti comportamenti antisindacali del Comune nell’ambito della recente riorganizzazione del personale disegnata proprio da Dalla Negra e Marcolin. AIM. Su un piano diverso invece, va inquadrato lo scontro in atto tra la Cdl e il centrosinistra per quanto riguarda la multiutility berica. Il mese passato era stata Vicenza Capoluogo a rendere pubblico un sondaggio in cui gli intervistati bocciavano buona parte del servizio bus fornito dalla spa di San Biagio. Il dossier realizzato poi dai consiglieri Marino Quaresimin (Margherita) e Ubaldo Alifuoco (Ds), non ha fatto che alzare i toni della querelle. L’Ulivo parla di costi in calo e di “esagerata esposizione per gli investimenti nei confronti degli Istituti di credito (nel 2003 sono stati sottoscritti mutui per 60 milioni di euro, Ndr). Sulla sponda opposta però ci sono Hüllweck e l’assessore al bilancio Carla Ancora. I due accusano le minoranze di “dare una lettura errata di dati reali” e basano il loro ragionamento sul fatto che, sino al 2000, nel bilancio di Aim (che prima di allora non era una Spa) i canoni di affitto delle reti comunali (acqua, fognatura, sottoservizi) andavano conteggiati a parte. Lo stesso presidente di Aim Beppe Rossi è sceso in campo difendendo l’operato della compagnia e spiegando il massiccio ricorso al credito con la necessità di investire “in un mercato non più contraddistinto dal regime di monopolio”. Marco Milioni
Caso Baldinato: parla il giornalista che sta facendo tremare Palazzo Trissino con le sue rivelazioni
Di Natale: “Non mi fermerò davanti a nulla” Media, politica sesso e manovre di corridoio. Sembra che ci siano tutti gli ingredienti per il sexgate di palazzo. Il caso di presunte molestie in comune dopo l’incipit dell’inverno del 2003 è nuovamente esploso in consiglio dopo le rivelazioni shock di Canale 68 il quale, da giorni bombarda la giunta cittadina parlando di nastri che scottano. Ormai la vicenda in municipio la conoscono tutti. Ai primi dello scorso anno l’allora assessore azzurro al personale Gilberto Baldinato (uno dei fedelissimi del primo cittadino azzurro Enrico Hüllweck) venne indagato dalla procura vicentina per una serie di presunte molestie sessuali patite da alcune dipendenti del
LABIRINTI
comune. Il sindaco invece fu indagato per omesso rapporto. In pratica l’accusa sostiene che il primo cittadino, sebbene informato dei comportamenti di Baldinato, non avrebbe informato l’autorità giudiziaria come invece compete alla sua figura di pubblico ufficiale. All’epoca Baldinato si dimise e il sindaco passò indenne la buriana riuscendo a vincere tranquillamente le amministrative del giugno 2003. Il caso però è riesploso all’inizio del mese quando Canale 68 ha attaccato senza mezze misure l’esecutivo, parlando di nastri e soprattutto dando per certe le accuse su Baldinato e il sindaco. Autore del reportage dell’emittente di
Cornedo: Angelo Di Natale. Uno che di giornalismo d’inchiesta ne capisce. Quarantacinque anni ad aprile, ultimo incarico alla Rai siciliana prima di approdare nel vicentino, Di Natale si trova particolarmente a suo agio nel genere. Il suo curriculum parla chiaro. Nel 1993 vince, per la carta stampata, il “Premio nazionale cronista” per una inchiesta in 16 puntate sulla Gazzetta del sud che lo porta a scoprire una tangentopoli in provincia di Ragusa, sua terra d’origine. A consegnare il riconoscimento è l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro che, per la Tv, conferisce la stessa riconoscenza a Pino Scaccia della Rai,
premiandolo per un servizio sulla liberazione di Farouk Kassam. Qualche anno dopo, un altro reportage di Di Natale dà il là ad una inchiesta della magistratura che permetterà l’arresto di alcuni imprenditori del catanese appartenenti ad un consorzio che affida appalti a mafiosi latitanti. «A Vicenza - sottolinea Di Natale - ho trovato una realtà molto interessante per un cronista. E debbo dire di essere contento di essere a Canale 68 Veneto, una emittente veramente libera. È una condizione essenziale per noi giornalisti». Condizione che però Di Natale non riscontra in molti altri media locali, viste le sue punture di spillo nei confronti di altre testate.
ACQUE MOSSE
DI PALAZZO
Ma i primissimi riscontri sul seguito del Tg della Tv di Spagnago si sono già avuti a palazzo Trissino. Se durante il consiglio l’appuntamento di prammatica era quello delle 19,30 per vedere il notiziario di Tva Vicenza, adesso i consiglieri guardano anche quello delle 19,20 su Canale 68, in attesa magari di qualche lancio shock dell’ultim’ora che potrebbe tornar buono nell’agone politico. Ma c’è qualcosa di nuovo che bolle nella pentola della Tv di Cornedo? Di Natale fa sapere: «Ogni giorno andiamo a caccia di notizie e le rendiamo di dominio pubblico; i condizionamenti non ci interessano». m.m.
IN LAGUNA
Mentre tiene banco il problema dei tagli alla Sanità, a Palazzo Ferro-Fini c’è chi pensa a degustare il baccalà
La combattiva Franca Equizi tallona la compagna di partito Linda Favretto: “Quel negozio africano non paga le immondizie”. E in Comune volano le battute
Il bazar che piace all’assessore leghista L’ospedale chiude, la Regione ci mangia È possibile aprire un negozio, non dichiarare al comune la sua superficie e per quattro anni non pagare la tassa sulla nettezza urbana? A Vicenza è possibile, almeno secondo il retroscena svelato in sala Bernarda dal consigliere leghista Franca Equizi. La vicenda è quella arcinota del bazar africano di via Napoli, che da due anni riempie le cronache dei media locali. A margine del consiglio però, Equizi ha dipinto uno scenario curioso, spiegando che ogni volta che i vigili urbani intervengono per notificare ai gestori dell'esercizio qualche provvedimento del Comune, questi rispondo-
no "noi non pagheremo mai, perché in Comune abbiamo gli agganci". Effettivamente a dichiarare che il bazar di via Napoli non ha mai versato un centesimo di Tarsu (acronimo per tassa smaltimento rifiuti solidi urbani) al Comune, non sono stati i
comitati di zona, infastiditi dall'andirivieni di stranieri sotto casa. È stato l'assessore alle finanze in persona Linda Favretto, che incalzata dalla compagna di partito Equizi, alla fine ha dovuto ammettere ciò che tutti sapevano. Tant'è che a palazzo Trissino la battutaccia gira da settimane: ma come fa un assessore leghista a non far pagare i soldi delle immondizie ad un africano? Che cosa avrebbe fatto “il” sceriffo Giancarlo Gentilini a Treviso sapendo una cosa del genere? E chi sono questi misteriosi agganci? m.m.
Dalla sanità alle specialità gastronomiche del Polesine. Dagli ospedali che la Regione Veneto vuole chiudere al “bisato (anguilla) in tecia” o nella sua variante “rosto” (alla griglia). Due argomenti che, per dirla alla Di Pietro, non ci “azzeccano” molto. In apparenza. Perché il Consiglio regionale del Veneto ha saputo fare il miracolo. Ecco, infatti, che per giovedì 18 marzo a palazzo Ferro-Fini è stata convocata una seduta straordinaria dell’assemblea legislativa per discutere sui tagli agli ospedali decisi dalla Giunta veneta. Un’iniziativa partita dai gruppi dell’opposizione del centrosinistra decisi a capire come la Giunta intende rispondere alle sentenze del TAR che annullano la decisione di chiudere gli ospedali di Malcesine, Caprino Veronese, Tregnago, Isola della scala nel Veronese e di Auronzo nel Bellunese. E la gastronomia cosa c’entra? C’entra, c’entra, perché contemporaneamente alla seduta straordinaria sulla sanità nell’atrio di palazzo Ferro-Fini,
proprio accanto all’aula consiliare, è stata organizzata una kermesse dedicata ai prodotti tipici della gastronomia del Polesine preparati da cuochi polesani che hanno utilizzato per l’occasione la cucina della mensa del Consiglio. L’obiettivo, è stato spiegato dagli organizzatori, era quello “di far conoscere ai consiglieri regionali e alla stampa, attraverso una degustazione, i prodotti tradizionali della provincia di Rovigo opportunamente preparati e enunciati secondo un percorso gastronomico che rispecchi le vocazioni polesane”. A quando la “giornata del baccalà alla vicentina” sul Canal Grande o la “tre giorni” dei “casunzei al burro fuso” direttamente dalle valli dolomitiche a palazzo Ferro-Fini? Gli esperti dicono presto, se non altro per par condicio tra le varie province venete. abc
cronaca Reportage: in auto lungo una delle più trafficate arterie della città, oggi interrotta da un interminabile cantiere
San Felice non ride più Clacson, smog, file a perdita d’occhio e un tempo record di mezz’ora per fare poche centinaia di metri San Felice segna senza dubbio il record assoluto di traffico per la città di Vicenza. Medie così basse non si rilevano neanche a Milano o Istanbul. Per verificarlo, ci siamo messi in strada per una prova a cronometro. Percorso: piazzale Bologna - cavalcavia dei Ferrovieri e ritorno. Staremo sotto i trenta minuti?
autobus, sette eroici e forse un po’ incoscienti ciclisti (nessuno indossava una mascherina antismog) e più di una ventina di pedoni. Niente rispetto al numero di auto. Il percorso del rientro è più lineare ma meno scorrevole. Scendo il cavalcavia, Via Vaccari, Via Rossi, (freno-frizioneprima ancora freno, frizione, prima…), di nuovo il cavalcavia e colonna in Corso San Felice. All’altezza di BlockBuster si deve prendere obbligatoriamente a sinistra, per Via Torino, anche qui a causa dell’asfalto squarciato, e anche qui incrocio lo sguardo sconsolato di un addetto Aim, che in preda all’ira funesta degli automobilisti, sbandiera paletta rosso–verde cercando di rendersi utile (mentre torno nuovamente a chiedermi: ma dove sono finiti i vigili urbani?).
Mi metto al volante. È venerdì 12 marzo, sono le 11 e 11 minuti. La partenza non è delle migliori: nel parcheggio di piazzale Bologna fanno la fila davanti a me altre 5 automobili. Solo alle 11 e 54, dopo tre minuti di attesa a motore acceso, riesco ad immettermi nella strada. Ingrano finalmente la seconda ma le mie speranze vengono subito deluse: Viale Milano è una giun- Visto l’attuale stato della viabilità la maggior parte dei cittadini rimpiange, con nostalgia gla urbana a scorrimento lento, un i tempi in cui l’auto era un lusso e non una necessità biscione ininterrotto di auto che si susseProseguo il percorso alternativo forzato (freno-friguono fino al gran finale, la maxi-rotatoria. Armata di pazienza proseguo, (freno-frizione- zione-prima ancora freno, frizione, prima…), all’in- Siamo al rush finale: senza mai riuscire ad ingranaprima; ancora freno, frizione, prima…), sono le 11 crocio con Via dei Mille sono obbligata a prosegui- re la terza affronto l’ultima prova: la svolta contie 58, in sette minuti ho percorso la considerevole re diritta, svolto in Via Legione Antonini e final- nua che traghetta il biscione da Via Torino in Viale distanza di circa 200 metri. Infilo la rotatoria tra mente arrivo all’incrocio con Corso San Felice, nel Milano. E qui vengo fagocitata da una massa di colpi di clacson e stridore di freni. Sebbene la svol- punto più critico del percorso. Davanti a me ben automobili distribuita su tripla fila. ta a sinistra in Corso San Felice sia vietata, a causa nove auto in coda. Il motivo: a quest’altezza di La svolta continua esiste da un po’, ma evidentedegli scavi, qualche automobilista riesce ad intrufo- Corso San Felice si è optato per un senso unico mente la sindrome da ingorgo ha contagiato tutti. larsi, probabilmente dopo aver pronunciato all’o- alternato. Anche qui, a dirigere il traffico, un addet- Mi divincolo fra le auto, guadagno terreno (frenorecchio dell’operaio Aim, intento a regolare il traffi- to dell’Aim munito di paletta (ma che fine avranno frizione-prima ancora freno, frizione, prima…): co, qualche parolina magica che purtroppo io igno- fatto i vigili urbani?). Una volta riuscita l’operazio- centimetro dopo centimetro raggiungo la meta, ne di inserimento (e rischiato il tamponamento con piazzale Bologna. Sono le 12 e 20, obiettivo ragro. un autobus proveniente dal senso opposto), percor- giunto in 13 minuti. In totale, 29 minuti. Ce l’ho Via al secondo giro di rotatoria quindi, e svolta ro finalmente San Felice fino al punto d’arrivo: il fatta. Registro anche un’impressionante quantità di obbligata in Viale Mazzini, dove, all’incrocio con cavalcavia dei Ferrovieri. polveri sottili prodotte e respirate (chissà perché Via Carlo Cattaneo (che raggiungo alle 12 e 02), non ci sono centraline anche qui), e una dose di trovo la seconda rotatoria e il secondo ingorgo: Sono le 12 e 07. Sedici minuti netti, per percorrere stress che vi raccomando. E per fortuna che non era colpa di un restringimento della carreggiata, anche la metà del percorso: una distanza irrisoria in linea l’ora di punta. questo causato dai lavori, che ha cancellato una cor- d’aria. A piedi ci avrei messo probabilmente meno tempo. Durante il viaggio ho incrociato quattro sia per chi arriva dalla Questura. Anna Manente
Un tram chiamato desiderio ciale per gli autobus doppi (quelli a fisarmonica, lunghi ben 18 metri, con una capienza di 160 passeggeri), ha appena concluso il suo turno sulla linea 12. Com’è andata la giornata nel traffico di San Felice? “La situazione e’ pesante, ma lentamente migliora. Dopo il primo giorno di caos assoluto, gli automobilisti hanno capito che da queste strade è meglio stare alla larga. Cosa ne pensa della viabilità, a partire dalle rotatorie? “Per quanto riguarda il mio lavoro le rotatorie ci hanno agevolato: generalmente sono dotate di corsie preferenziali per gli autobus e que-
sto ci consente di “tirar dritti” senza problemi. Capisco però i problemi di chi viaggia in bicicletta e dei pedoni” Torniamo a Corso San Felice: quali sono i punti nevralgici di questo cantiere? “L’incrocio tra via Legione Antonini e Corso San Felice. Il senso unico alternato non risolve affatto il problema” Perché? “Perché se a incrociarsi sono due auto si passa. Ma con due autobus sono dolori! Manovre su manovre e incolonnamenti. Figurarsi poi con il mio 18 metri” Secondo lei sarebbe stato possi-
bile realizzare un percorso alternativo migliore? Gli addetti ai lavori dicono che senza autobus lavorerebbero meglio. “Anche noi, senza cantieri. Ma bisogna convivere senza tante polemiche” Perché i vicentini viaggiano sempre meno sui mezzi pubblici? Forse i biglietti sono troppo cari? I quartieri non sono serviti tutti allo stesso modo? Roberto non risponde, si limita ad un sorriso, saluta e se ne va.
Reliquiariodel capo di Santa Prassede (part.), Musei Vaticani.
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con il patrocinio del Ministero per i B eni e le Attività Culturali
“Al lavoro anche di notte” La pazza idea dei residenti Non ne possono proprio più i residenti del quartiere di tutti questi problemi: traffico, smog, polveri sottili, rotatorie, cantieri. Florio Capponi, il presidente del comitato residenti, fa il punto della situazione. “Il cantiere di Corso San Felice ha causato ulteriori problemi ad una zona di residenza, la nostra, già provata da mesi di lavori per la viabilità, gli interventi per la realizzazione della rotatoria, il cambio del senso di marcia”. Ritiene che dare inizio ai lavori in questo periodo di “polveri sottili” alle stelle sia stata una scelta sbagliata? “Il problema è la logica seguita nella realizzazione dei lavori: prima lo stravolgimento della viabilità, poi i lavori cominciati in ottobre che non sono ancora terminati. Infine la situazione rotatoria del tutto provvisoria. Ora tutto è stato sospeso in vista della posa delle nuove tubature e dei cavi. Terminati questi lavori, riprenderanno quelli per rendere definitiva la
nuova viabilità. Intende dire che sono stati sbagliati i tempi? “Logica vorrebbe che prima si realizzino cavi e tubature e poi viabilità e arredo urbano. Sembra che tra comune e Aim manchi coordinamento se non proprio il dialogo. Che richieste fate voi residenti? “Chiediamo che vengano rispettati i tempi prestabiliti: un mese, come promesso. Potrebbero appaltare parte dell’opera a ditte private, o fare ore straordinarie. Lo sa che il turno degli operai dell’Aim comprende anche i trasferimenti dall’azienda al cantiere e ritorno? Si perde un quarto d’ora ogni trasferimento, mezz’ora di lavoro perduta ogni giorno quindi, ed il venerdì pomeriggio non si lavora. Non sarebbe male se i lavori si facessero anche durante la notte e nei fine settimana. Magari si riuscirebbe a concluderli nei tempi prestabiliti”. a.m.
Dal gas ai cavi ottici è un lavoro infinito
Se le auto passano a fatica, per gli autobus (e i loro autisti) sono dolori
A una settimana dall’inizio dei lavori, chi per cause di forza maggiore non può evitare di imboccare la statale 11 per Verona ha oramai sperimentato tutti i percorsi alternativi per raggiungere la meta. Ma c’è chi le scorciatoie non le può imboccare ed è costretto a seguire i percorsi obbligati: gli autisti dei mezzi pubblici. E di mezzi pubblici in Corso San Felice ne transitano tanti ogni giorno: le linee 1, 12 e 14 percorrono il tratto in media ogni dodici minuti da mattina a sera, in entrambi i sensi di marcia, senza contare le corriere Ftv. Sono le 18: Roberto, 33 anni, da nove anni autista con patente spe-
Gli abitanti della zona sarebbero disposti a sacrificare anche il sonno. “Ma tra Aim e Comune manca collaborazione”
a.m.
Il maxi-cantiere di Corso San Felice è entrato in funzione martedì 9 marzo. Obiettivo dei lavori: posa di nuove tubature per acqua e gas, nuovi cavi per l’elettricità e per le fibre ottiche, anche in funzione del completamento dell’opera di rinnovo della viabilità del quartiere, iniziata lo scorso ottobre ed ancora allo stadio di provvisorietà di strutture ed arredo urbano. È forse singolare iniziare i lavori il secondo giorno della settimana e non il lunedì, come logica vorrebbe? Apparentemente sì, ma di distorsioni ed illogicità il cantiere
O pere appartenenti a Fondazione G iorgio Cini, Fondazione Q uerini Stampalia, G allerie dell’ Accademia, Musei Vaticani, Museo B agatti Valsecchi, Museo Poldi Pezzoli, Pinacoteca Ambrosiana, T esoro di San Marco e altre istituzioni culturali e religiose del Veneto e della Lombardia, restaurate grazie a B anca I ntesa in collaborazione con le Soprintendenze per i B eni Archeologici e per il Patrimonio Storico, Artistico e Demoetnoantropologico del Veneto e della Lombardia.
perpetuo “Viale Milano-Corso San Felice” ne suggerisce molte. Il primo rallentamento all’opera, a onor del vero, è avvenuto solo per cause meteorologiche: in giornate di maltempo, infatti i lavori si bloccano, perché la pioggia non permette il regolare svolgimento di scavi ed asfaltature. Dopotutto i residenti della zona sono abituati ai rallentamenti, al caos e allo smog: il nodo viabilistico più caotico della città, versa infatti da quasi sei mesi in gravi condizioni di stress dovute a sovraffollamento da mezzi in transito.
Gallerie di Palazzo Leoni Montanari Vicenza, S. C orona 25 dal 20 marzo al 20 giugno 2004 da mercoledì a domenica dalle 10 alle 18 ingresso libero
la nostra inchiesta
Iniziative boicottate e mancanza di responsabilità: ecco perché stiamo perdendo la battaglia per u
Inquinamento: le 7 bugi 3
L’emergenza inquinamento non può essere risolta da misure prese nel solo comune di Vicenza.
Lo sostiene da sempre l’assessore Sorrentino: a nulla serve la limitazione del traffico in città quando i comuni limitrofi non vengono coinvolti. La decisione – continua Sorrentino – dev’essere presa a livello regionale se non addirittura nazionale.
Vero a metà.
Una possibile causa di inquinamento. Vicenza è circondata dalle zone industriali dei comuni limitrofi. La stessa area ai limitidi S. Agostino e i colli berici presenta – in controtendenza rispetto alle piccole-medie città italiane ed europee – un aumento della concentrazione di attività ad alto impatto ambientale
Messe alla sbarra una per una tutte le teorie del Comune. Smentite dai dati, dagli esperti e dal buon senso
Gli amministratori vicentini lo hanno detto chiaramente: per loro le misure contro l’inquinamento portano più svantaggi che vantaggi. In questi mesi di emergenza, con il livello delle polveri sottili costantemente sopra i livelli massimi (cioè pericolosi per la salute di tutti) l’amministrazione cittadina non ha mai nascosto le sue perplessità su targhe alterne e domeniche a piedi. Anzi, in più occasioni gli assessori competenti hanno dichiarato che le cause dell’emergenza sono altre. Più delle auto, secondo loro, inquinano le caldaie e i fumatori di sigarette. Decine di studiosi (e fortunatamente migliaia di cittadini) non sono affatto d’accordo. E restano convinti che le misure antiinquinamento siano indispensabili. Perciò, prima di sentirvi in colpa perché fumate la pipa o accendete il caminetto, valutate con noi se l’atteggiamento di sindaco e assessori è sensato o completamente sbagliato. In sette punti principali, ecco le ragioni che l’amministrazione porta a sostegno delle sue teorie e un’analisi il più possibile oggettiva sulla loro fondatezza.
1
L’inquinamento è dovuto non solo alle auto ma in gran parte anche alle caldaie.
Lo sostiene l’amministrazione, e l’assessore Cicero in particolare, facendo suo un ragionamento lanciato dall’Agener, l’Agenzia che raggruppa gli installatori e i manutentori degli impianti per riscaldamento domestico. Secondo questa teoria le polveri sottili PM10 sono dovute in gran parte ai fumi del riscaldamento.
Falso.
La teoria non è supportata da alcun dato scientifico. Solo per il biossido di zolfo (SO2) si può parlare di preponderanza nelle emissioni prodotte dagli impianti di riscaldamento che usano combustibili fossili. Tuttavia le concentrazioni di SO2 nella nostra città non sono mai state rilevanti. L’inquinamento che crea i maggiori danni alla salute delle persone è quello che deri-
va dalle polvere sottili PM 10. Polveri che hanno superato più di cento volte in un anno i livelli di allarme. La legge ammette solo 35 superamenti. Le prove sono sotto gli occhi di tutti: d’estate, quando le caldaie sono tutte spente, l’inquinamento continua a restare sopra i livelli di guardia. Tra parentesi, l’Agener punta ad ottenere l’incarico dal Comune per la verifica biennale di tutti gli impianti sotto i 35Kw. In sintesi: che le vecchie caldaie inquinino è fuori di dubbio. Che siano le principali responsabili è una falsità.
2
Le auto potrebbero inquinare addirittura meno delle sigarette.
Un dubbio che l’assessore alla mobilità Cicero ha sollevato in un’intervista al Giornale di Vicenza, portando ad esempio un esperimento secondo il quale uno scooter ecologico a 4 tempi inquina meno del fumo delle sigarette.
Falso.
Un’altra frase a effetto che non aiuta a risolvere il problema ma, appunto, alza molto fumo per nasconderlo. A parte che chi fuma a casa sua non danneggia gli altri, il fumo delle sigarette non c’entra nulla con le PM 10. Le polveri sottili contengono piombo, nichel, zinco, rame cadmio, fibre di amianto, solfati, nitrati, idrocarburi policiclici aromatici, polvere di carbone e di cemento. Studi medici effettuati in 8 città italiane hanno stimato che abbattendo le concentrazioni medie di PM10 a 30microgrammi/metro cubo – il valore limite negli Stati uniti – eviteremmo 3.500 morti in un anno, oltre a migliaia di ricoveri per cause respiratorie e cardiovascolari e migliaia di casi di bronchite acuta e asma fra i bambini. In sintesi: le sigarette fanno migliaia di morti, l’inquinamento da smog anche. Ma sono due problemi totalmente diversi.
Sorrentino denuncia (ma solo tra le righe) le responsabilità della Giunta Galan che non risponde al decreto ministeriale (4 aprile 2002, n. 60) contro l’inquinamento. Il decreto obbligava le Regioni a predisporre il Piano di risanamento dell’aria entro un anno. Mentre Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Lazio lo hanno adottato, il Veneto demanda ai singoli capoluoghi di provincia ogni responsabilità e decisione. Scaricare le responsabilità però non risolve il problema: ovvio che i risultati sarebbero migliori se tutti i Comuni contermini assumessero contemporaneamente i medesimi provvedimenti, ma l’amministrazione ha dimostrato di non credere nemmeno nelle iniziative regionali e nazionali, boicottando (per esempio) le iniziative delle domeniche a piedi che lo scorso anno hanno coinvolto più di mezza Italia. E poi – molto banalmente – da qualche parte si deve pur cominciare. Una domenica senz’auto permette di scoprire a chi non ha mai rinunciato all’auto che in città ci si può muovere con mezzi alternativi. I dati, in ogni caso, danno torto a Sorrentino: le targhe alterne e le domeniche a piedi abbattono l’inquinamento e fanno respirare la città. E di fronte alla salute dei propri cittadini (prima di essere automobilisti infatti, questo siamo: cittadiini) l’amministrazione ha il dovere di fare scelte precise e coraggiose. Anche se impopolari. In sintesi: In attesa delle decisioni di Galan, Vicenza ha il dovere di risolvere il problema al suo interno. Non ci si possono palleggiare continuamente le responsabilità.
L’amministrazione ha il dovere di garantire la libertà di circolazione a tutti i cittadini. È un’altra frase-manifesto di Cicero, che all’ultimo Consiglio Comunale di febbraio ha dichiarato: “Quando le auto saranno tutte a idrogeno e non inquineranno più, i cittadini potranno circolare senza più limitazioni”.
Falso.
Ancora una volta Cicero confonde i cittadini con gli automobilisti. Ma soprattutto non tiene conto che esiste una precisa gerarchia nei diritti da garantire. E quello della salute viene prima di tutti. In ogni caso, anche per garantire il diritto alla circolazione, sarebbe necessario un progetto che prevedesse interventi precisi a breve, medio e lungo periodo. Qui, a parte il breve, non si vede nulla. E ancora: l’inquinamento non è solo quello che entra nei polmoni. C’è l’inquinamento acustico, quello visivo e quello architettonico. E c’è un dato inconfutabile: il traffico aumenta in modo percentuale anno dopo anno. Tra dieci anni rischiamo di trovarci tutti in coda, da Vicenza est a Vicenza ovest, con o senza i nostri motori a idrogeno. Non è a questo che dobbiamo puntare. In sintesi: L’amministrazione ha prima di tutto il dovere di garantire la salute.
5
La limitazione del traffico automobilistico va contro gli interessi della popolazione.
È il concetto che meglio spiega la scarsa sensibilità dell’amministrazione verso il pro-
Quante polemiche quando Corso Palladio fu vietato alle auto: costretto a piedi perfino il comandante della base americana
La prima chiusura al traffico: che scandalo fu Sembrano foto di un altro mondo: Corso Palladio percorso in lungo e in largo da auto, camion, furgoni, bus e filobus. Uno scatto dei primi anni Settanta mostra l’incrocio con corso Fogazzaro straripante di Fiat (allora in Italia le auto straniere erano una minoranza: pensate quanti secoli sono passati). Tra i vecchi bus verdi con due sole porte cercano di farsi strada Cinquecento, vecchie 850, Millecento e via numerando (allora per dare il nome alle auto bastava un ragioniere, non una squadra di marketing). Nelle immagini che corredano questo servizio i tempi erano ancora più remoti, ma le poche auto facevano già da padrone nel centro della città. “Decidemmo di chiudere perché cominciava a farsi strada, in Italia, l’idea che le zone stori-
che della città dovessero tornare libere dal traffico - racconta Giorgio Sala, allora sindaco della città - Ma non fu affatto semplice. Ci furono grandi polemiche e discussioni. ci furono proteste dei residenti e soprattutto dei commercianti, che paventavano la morte del Corso e della città. Senz’auto come faremo, si chiedevano. Insomma, gli stessi dubbi e le stesse domande di oggi.” Siamo andati a recuperare l’ordinanza di allora. È la numero 20090 del 4 dicembre 1972 e s’intitola “Esclusione dei veicoli privati dal transito in Corso Palladio nel tratto da piazza Castello a Contrà Santa Barbara.” Interessante la motivazione ufficiale con cui il Corso venne chiuso alle auto: “Per la protezione dell’ambiente dai nocivi gas di scarico dei motori e per il contemporaneo miglioramento del pubblico trasporto.” E ancora tra le motivazioni: “Esiste la possibilità di dirottare il traffico sulle strade laterali migliorando la circolazione mediante l’istituzione di sensi unici e di sistemi a rotatoria.” L’assessore Cicero non è stato il primo a scoprire le loro potenzialità. A questa seguì un’ordinanza di disciplina particolare per I residenti in corso Palladio, tesa a favorire i loro spostamenti. Nell’ottobre ’74 un’ulteriore disciplina placò i malumori dei negozianti del Corso. “Ma non si pensi che queste deroghe fossero di manica larga - ricorda ancora Sala - Per dare un’idea della severità della norma, ricordo un episodio significativo. Il comandante americano della caserma Ederle, in visita ufficiale all’Amministrazione comunale, dovette farsi tutto il Corso a piedi per raggiungere Palazzo Trissino. Non gli fu permesso passar in auto, comandante o non comandante. D’altro canto erano tempi diversi: nemmeno l’auto del sindaco poteva passare.” In realtà, come hanno dimostrato i fatti, è bastato accettare l’idea per
scoprirne gli innegabili vantaggi. Soprattutto da parte dei commercianti, che temevano la morte del Corso e hanno scoperto invece la sua rinascita.
la nostra inchiesta
una città più vivibile
ie dell’amministrazione È giusto pensare alle necessità degli automobilisti ma ci sono diritti importanti che vogliamo tutti: la salute e la qualità della vita blema. Per il centrodestra cittadino è sbagliato fare scelte che vanno contro gli interessi della città.
Falso.
Quando negli anni Settanta Corso Palladio venne chiuso al traffico automobilistico, l’amministrazione (democristiana) di allora fece una scelta tutt’altro che populista: si mise contro migliaia di cittadini (contrari) e centinaia di commerciali (contrari e incazzati) secondo i quali il centro sarebbe morto di lì a poco. Il centro non morì. Anzi, in seguito, si decise di chiudere anche ai mezzi pubblici. Se qualcuno ancora si lamenta, è perché vorrebbe chiuderlo anche alle bici. Nessuno tornerebbe indietro. In buona sostanza: dove il traffico è stato interdetto o limitato, in breve tempo abbiamo imparato a riconoscerne tutti i pregi. La scelta di allargare sempre più la zona pedonale è l’unica possibile per la vita della città. Se davvero l’amministrazione volesse fare gli interessi della popolazione dovrebbe spingere verso questa soluzione. In sintesi: la limitazione del traffico risponde agli interessi della popolazione.
6
“Abbiamo fatto tutto quello che dovevamo”
Altra frase-manifesto di Sorrentino, che dopo i fine settimane di targhe alterne non perde occasione per scusarsi con la città (“Ci dispiace crearvi disagi: è la legge che ce lo impone”).
Falso.
L’impressione è che l’amministrazione faccia di tutto per boicottare ogni iniziativa contro l’inquinamento. Anzitutto ha sempre espresso la sua contrarietà alle targhe alterne e alle domeniche a piedi, che non è il metodo migliore per convincere le persone. Fatto ben più grave, ha lasciato sola la Polizia Municipale, che aveva il compito di controllare la riuscita dell’iniziativa. I vigili – già in polemica con l’amministrazione per la questione del servizio notturno – si sono sentiti abbandonati. In questi anni l’amministrazione non ha fatto granchè: ha investito ogni risorsa disponibile solo sulle rotatorie, assecondando la tesi della fluidificazione del traffico, ma i risultati sono all’evidenza di tutti. L’inquinamento, anziché diminuire è progressivamente aumentato, gli utenti deboli della strada sono sempre più a rischio, la fluidificazione funziona nelle ore di morbida, ma nei momenti di punta si registra una maggiore congestione veicolare. In sintesi: l’amministrazione ha remato contro e in modo molto evidente.
7
Non esistono ricette alternative valide e percorribili.
È la parola d’ordine dell’amministrazione. Per fare qualcosa servirebbero iniziative nazionali, investimenti miliardari e comunque le priorità sono altre.
Falso.
Naturalmente non esistono ricette predefinite. Ma sarebbe già molto trarre esempio da quello che altre città, anche in Italia, stanno sperimentando da tempo con risultati apprezzabili. Attualmente tutta la politica dei trasporti vicentina dipende per la gran parte dai convincimenti e dagli umori dell’assessore Cicero. Che come abbiamo dimostrato, hanno ben poco di scientifico e alle volte anche di razionale. Per cominciare, basterebbe aggiornare il piano urbano del traffico e dei parcheggi, ponendo al primo posto l’implementazione delle corsie protette per bus e centrobus, la realizzazione di percorsi ciclabili che costituiscano una rete viaria alternativa e sicura e l’estensione della zona a traffico limitato in centro storico, la creazione di nuovi parcheggi d’interscambio all’ingresso della città e la realizzazione di percorsi protetti casa-scuola in ogni quartiere. Tutto questo non costa molto e dà risultati sicuri come dimostrano le esperienze di altre città italiane. In sintesi: le alternative esistono, basta informarsi e soprattutto crederci.
L’INTERVISTA
L’OGGETTO DEL DESIDERIO
Pensiero Verde: le soluzioni ci sono
Ti conosco mascherina
“Bisogna far capire ai cittadini che il trasporto pubblico è una valida alternativa”
Senza iniziative serie, c’è chi si arrangia con sistemi semplici ma tutt’altro che pratici
Ciro Asproso, consigliere comunale dei Verdi, di idee per migliorare la qualità dell’aria e della vita ne ha a valanga. Ma scordatevi consigli semplicistici tipo “tutti in bici e pedalare”. Sensibile al problema inquinamento ma tutt’altro che integralista, Asproso chiarisce subito che la soluzione deve tener conto delle esigenze di chi l’auto la usa per lavoro e necessità. “Una prima idea è istituire la figura del mobility manager. Si tratta di un professionista della mobilità con l’incarico di riorganizzazione e mettere ordine negli orari della città: uffici pubblici, scuole, grandi aziende, trasporti urbani, resi finalmente armonici come gli strumenti di un’unica orchestra.
Oggi sono adoperate soprattutto dai vigili urbani di servizio agli incroci, ma crescono i vicentini che le adottano per pedalare lungo le trafficate strade cittadine. “Ne vendiamo da sempre – raccontano alla ferramenta Sorio di Ponte degli Angeli – e ne proponiamo di vari tipi. Le più semplici costano 30 centesimi, le più raffinate 7 euro. Ma le preferite sono proprio quelle più economiche, le stesse adottate dalla Polizia Municipale. Hanno una durata limitata: si usano fino a tre volte poi si buttano via. Ma visto il costo non è un problema”.
Far scendere i vicentini dall’auto è già difficile. Farli salire su un bus poi… “Basta crederci. Partendo da una campagna di sensibilizzazione nelle scuole e nelle aziende, con politiche di marketing e investimenti in favore del trasporto collettivo. Contemporaneamente bisogna ammodernare il parco mezzi con la sostituzione dei veicoli inquinanti, rendere affidabili gli orari e razionalizzare i percorsi. E ancora: arricchire le fermate dei bus con messaggi informativi sui tempi d’attesa; istituire corse a chiamata nelle zone periferiche e in determinate fasce orarie. Si può anche pensare a un titolo unico di viaggio Aim-Ftv. Dicono: ma dove troviamo i soldi? Unifichiamo il settore trasporti con quello della sosta. Beneficiamo di parte degli incassi dei parcheggi per investire a favore del trasporto pubblico e per contenere i costi del biglietto. I soldi ci sono, basta cercarli: il Ministero dell’Ambiente ha già stanziato 9 milioni di euro per il Car Sharing, ossia l’utilizzo dell’auto in affitto. E la metro di superficie? La metropolitana di superficie è una soluzione ideale perché unisce la comodità e la rapidità della metro, alla flessibilità del bus. Alla condizione che non riguardi solo Vicenza, ma che unisca quantomeno Torri di Quartesolo con Montecchio Maggiore, passando per il centro e la stazione FS del capoluogo. Il Comune vuol puntare sulla tecnologia. Siamo d’accordo. Ci sono tecnologie d’avanguardia nella lotta alle polveri, quali il Biofix, l’asfalto che resiste meglio all’usura e cattura il PM10 o l’Ecopaint, una vernice a base di sostanze catalitiche che assorbe i gas di scarico. Ma l’inquinamento si combatte anche guardando alla bio edilizia, a una migliore coibentazione degli edifici, allo sviluppo di impianti solari e fotovoltaici per la produzione di elettricità e calore. Vicenza è inquinata anche fuori dalle mura. Vicenza è fortemente penalizzata da un notevole traffico di attraversamento di mezzi pesanti. In strade come la statale Pasubio si possono introdurre portali automatici a pedaggio per i Tir e per i veicoli commerciali oltre i 35 q.li. Questo indurrebbe molti autotrasportatori a servirsi della Valdastico per raggiungere l’autostrada Serenissima.
Via internet l’alternativa: con una semplice ricerca trovate aziende americane o nord europee che offrono mascherine di tutti i tipi. L’ultimo grido è la mascherina trendy, abbellita da immagini colorate. Per pedalare con un fiore in bocca, due orsacchiotti sulle guance o un bello slogan che grida “Lasciatemi respirare”. È consigliabile, comunque, non cedere alle tentazioni. Al posto della maschera in piume di struzzo e satin proposta anche da vari stilisti ma di dubbio effetto depurante, cercate maschere del tipo “Filtro Facciale Protezione 2” (FFP2): aiutano a proteggersi dalle polveri tossiche (i subdoli PM10). Ce ne sono anche con valvole che favoriscono l'espirazione e linguette di metallo e gomma che aderiscono con facilità alla forma del viso. Per chi vuole il massimo basta affidarsi alle maschere professionali. In plastiche particolari rivestono perfettamente il viso. L’effetto filtrante è assicurato da cartucce sostituibili mentre il “corpo” della maschera è riutilizzabile. L’unico neo è l’alto costo e la difficile reperibilità nei negozi tradizionali.
Tutti in auto appassionatamente Le stime regionali riferite alla nostra città attribuiscono al traffico ben il 60% delle cause d’inquinamento. A Vicenza 82 spostamenti ogni 100 avvengono per mezzo dell’automobile; il numero delle auto immatricolate in Italia è superiore a quelle di tutta l’America Latina; il traffico veicolare aumenta di circa il 2% ogni anno. Bastano questi pochi dati per comprendere che fin quando non assisteremo ad una radicale inversione di tendenza, con forti investimenti ed una più incisiva politica a sostegno dell’intermodalità e del trasporto collettivo, ogni progresso tecnologico sarà irrimediabilmente azzerato dall’aumento del parco circolante. Senza demonizzare l’automobile, che per molti è una scelta necessitata e per taluni uno strumento di lavoro, bisogna pur stabilire una gerarchia di valori tra gli interessi collettivi. Ipotizzare, come dimostrano gli atti di questa Amministrazione, che la mobilità sia un diritto acquisito e intangibile, mentre ciò non debba valere per il diritto alla salute, pare un assioma facilmente confutabile e persino immorale. In questi ultimi anni si è investita ogni risorsa disponibile sulle rotatorie, assecondando la tesi della fluidificazione del traffico, ma i risultati sono all’evidenza di tutti. L’inquinamento, anziché diminuire è progressivamente aumentato, gli utenti deboli della strada sono sempre più a rischio, la fluidificazione funziona nelle ore di morbida, ma nei momenti di punta si registra una maggiore congestione veicolare. Se vogliamo tutelare i cittadini servono investimenti e una diverso approccio al problema.
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idee e persone
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Nel corso del dopoguerra ogni giovane generazione è stata mossa dalla convinzione che avrebbe realizzato un destino migliore rispetto a quello degli adulti. Oggi non è così. Un giovane su due pensa che ad attenderlo vi sia una prospettiva meno gratificante di quella raggiunta dai suoi genitori. Ilvo Diamanti (da Repubblica del 22 febbraio 2004)
Più poveri di papà? Noi diciamo: era ora Se calano le aspettative economiche riscopriremo la qualità della vita Saremo (siamo) più poveri che in passato? Niente paura. Anzi, è il caso di dire: era ora. Forse siamo stati – fino a ieri – più ricchi di quel che il buon senso suggerirebbe. Per dirla altrimenti, il nostro stile ipercalorico oltre i limiti del buon gusto (e dell’obesità), ci ha fatto vivere immersi in una sorta di bolla speculativa. Inevitabile che prima o poi dovesse scoppiare. A questo punto, l’importante è che il botto non faccia troppo male. Che, con i tempi che corrono, non è solo una boutade linguistica. Dunque, in primis: evitare di rimpiangere un sistema che abbiamo creduto – troppo a lungo – essere il migliore possibile. Ormai lo affermano anche gli economisti più accorti: la felicità c’entra poco col PIL. E, ci permettiamo di aggiungere, la creatività ancor meno. Satolli, ci si siede in poltrona rimettendosi in moto quando – smaltita l’abbuffata – si fanno vivi nuovamente I morsi della fame. Mi rendo conto di quanto possa essere impopolare una simile affermazione, ma è solo la penuria ad aprire lo spazio a nuove possibilità. E ancora: riscoprire la parola chiave “necessità”, ovvero, ciò che è essenziale e non potrebbe essere altrimenti. Quanti degli oggetti che utilizziamo abitualmente sono davvero indispensabili? La verità è che abbiamo seppellito sotto una montagna di cose la lezione platonica: Amore è figlio di
Poros (ingegno) e di Penia (povertà), partecipa della natura e delle qualità di entrambi. Perciò è mancanza e bisogno, ed insieme capacità di soddisfarli. Terzo: considerare il fatto che progresso non è sinonimo di quantità, ma di qualità. Una dimensione etica ed estetica, non geometrica. Fermo restando che la pancia piena andrebbe comunque garantita a tutti. E per tutti, non intendiamo solo noi, ma davvero, l’intero pianeta: unica prospettiva possibile in un mondo globale. Quarto: eccetera. Va bene, con questi prodromi di un breviario per giovani generazioni impaurite e impoverite abbiamo (forse) scherzato. Sappiamo bene che le inquietudini di questa stagione, le paure quando non le angosce, raccontano di un’epoca di profondo cambiamento che – per la prima volta dopo oltre cinquant’anni di crescita – modifica radicalmente le nostre prospettive. E tuttavia, vi è una sola risposta possibile alle ansie reali aperte dal millennio appena iniziato: cambiare registro e, con un diverso passo, inventare un mondo nuovo. Perché magari non ce la faremo ad evitare di essere poveri, ma certo, potremo almeno tentare di esser belli. d.l.
Giampiero Dalla Zuanna: “Non confondiamo le percezioni con la realtà”
Il miracolo veneto non è finito se investiamo sull’innovazione Nelle società non toccate dallo sviluppo, le annate buone si succedono a quelle cattive, e il destino si prende gioco degli uomini, sconvolgendo i tempi della vita. Spesso sono i padri a seppellire i loro figli. Molte persone riescono a migliorare il proprio livello di vita, ma altrettante vivono drammatiche situazioni di impoverimento. Alla fine della corsa, la somma è zero, se non addirittura negativa: il reddito e la ricchezza crescono in modo impercettibile, oppure diminuiscono, per periodi anche molto lunghi. Inoltre, le classi sociali sono quasi cristallizzate, e i privilegi di pochi si realizzano a discapito delle sofferenze di molti: per quattro secoli, fra il Quattrocento e il Settecento, tutti i magistrati veneti – dal doge al podestà della città più remota – venivano da poche centinaia di famiglie, le stesse che hanno fatto costruire da Palladio le ville in campagna e d’inverno vivevano nei loro splendidi palazzi sul Canal Grande. Per secoli e secoli, vivere in questo modo è stato normale, e ancora oggi le cose vanno così nei paesi poveri. Chi, come noi, vive ormai da parecchie generazioni sotto un’altra prospettiva, fa fatica a sopportare la mancanza di progresso. Un sacerdote, missionario da trent’anni nei quartieri poveri di Rio, in Brasile, mi diceva sconsolato che la cosa per lui più dura da accettare è vedere che i figli, malgrado tutti i loro sforzi, non riescono a vivere meglio rispetto ai loro padri. Lo sviluppo degli ultimi due secoli vuol dire questo: da molte generazioni, i figli stanno meglio dei loro padri. Qualche numero sul Veneto può aiutare a comprendere l’imponenza di questi cambiamenti. All’inizio dell’Ottocento, solo l’1% dei nati veneti raggiungeva gli 80 anni, mentre oggi questa proporzione sfiora il 60%. A valori costanti, il reddito di un adulto veneto di oggi è superiore del 60% rispetto a quello di suo padre, di una volta e mezza rispetto a quello di suo nonno.
Grazie al prolungarsi nel tempo di questi cambiamenti positivi, per tutti noi la “normalità” coincide con il miglioramento continuo. Nel ricco Occidente, tutti i genitori ragionevoli si aspettano che i loro figli possano vivere una vita migliore rispetto alla loro. Quando il meccanismo si inceppa, subito sembrano vacillare le fondamenta stesse della modernità. Ceccarini e Diamanti, in una recente inchiesta pubblicata su Repubblica mettono il dito sulla piaga: i loro dati mostrano che i genitori hanno paura che la festa sia finita, che tutti gli investimenti fatti sui figli svaniscano, come sono svaniti i titoli dell’Argentina, della Cirio e della Parmalat. Invano il Primo Ministro si affanna a spiegare che – anche in questa fase economica stagnante – non siamo diventati più poveri, ma abbiamo mantenuto il nostro livello di reddito e di ricchezza. Con queste affermazioni Berlusconi ammette la sconfitta della sua politica. Nelle società moderne, basate sulla felice dialettica fra aspettative e realizzazioni di continuo progresso, fermarsi vuol dire aver fallito. In questa fase, la gente percepisce questo. Ma le percezioni rispecchiano la realtà? È proprio vero che la festa è finita? O ci troviamo, piuttosto, in un momento di pausa, che precede una nuova spinta verso il “progresso”? I dati sono controversi. Da un lato, la gente risparmia meno. D’altro canto, la caduta dei consumi è inferiore rispetto a quanto la gente dichiara al momento dei sondaggi, anche perché i prezzi – se presi nel loro insieme – sono aumentati meno rispetto a quanto percepito, a causa anche della concentrazione degli aumenti sui beni che acquistiamo ogni giorno. Quanto all’andamento generale dell’economia, il periodo di faticoso incremento di reddito non è – almeno per ora – eccezionale, se confrontato con quanto è accaduto in altri anni, come nel 1975, dopo la guerra fra Egitto e Israele, o nel triennio 1981-83.
Non sembra invece corretto enfatizzare troppo l’idea che i giovani faranno lavori sempre più precari. I dati mostrano che, effettivamente, anche nel Veneto sono aumentati i lavoratori a tempo determinato, Tuttavia, questi nuovi posti sono aggiuntivi, piuttosto che sostitutivi, perché le posizioni di lavoro a tempo indeterminato non diminuiscono. Inoltre, molti lavori precari si trasformano, dopo pochi mesi o pochi anni, in posti fissi. Più in generale, la situazione demografica suggerisce che le prospettive occupazionali dei giovani saranno abbastanza rosee. Nel prossimo decennio, i nuovi pensionati saranno in numero nettamente superiore rispetto ai nuovi lavoratori, che diminuiranno anche per il forte incremento dei giovani universitari. Tuttavia, malgrado questi dati tranquillizzanti, è difficile essere troppo ottimisti sulle prospettive occupazionali di lungo periodo di giovani sempre più istruiti e, quindi, sempre più spesso alla ricerca di un lavoro con il “colletto bianco”. È difficile dire cosa accadrà al nostro sistema economico. Il discorso dovrebbe essere lungo e articolato, ma possiamo cercare di sintetizzarlo in poche frasi. Quarant’anni di progresso nel Veneto sono stati realizzati grazie a continue innovazioni di processo, allo sfruttamento della forza lavoro, alla possibilità di fare svalutazioni competitive, e a fattori ambientali favorevoli. È difficile pensare che, senza una decisa accelerazione verso l’innovazione di prodotto il nostro futuro economico possa continuare a essere migliore del passato. Quindi, il nostro slogan dovrebbe essere: ricerca, ricerca e ancora ricerca. Ma lo Stato, gli imprenditori e la società tutta ne sono veramente consapevoli? Sono disposti a fare investimenti in questo senso, dirottando risorse ora impiegate in altro modo? *professore di Teorie della Popolazione Università di Padova
RITRATTI VICENTINI
Stella, giornalista coi baffi Dalle sgomitate con i (celebri) compagni di banco del Pigafetta a firma prestigiosa del Corriere della Sera. Oggi fa il pienone nei teatri dove parla di immigrazione, solidarietà e futuro sostenibile Un’ottima ragione per stimare Gianantonio Stella – anche senza averlo conosciuto - sono i suoi baffi. In un’Italia dominata da sbarbati e pizzetti, chi ha ancora il coraggio di portare i baffi? Tra I pochissimi, si segnalano oltre a lui il testimonial della birra Moretti e Massimo D’Alema. Ma siccome uno dei tre è chiaramente finto, Stella ha un solo vero rivale: il testimonial della Moretti.
spazza via un secolo di manierismi: così irrompe Giovanni Verga”. L’attacco di Diamanti, classico con puntiglio: “Un sasso. Nello stagno. Della letteratura italiana. Paludata. Immobile. Così arriva Verga. Squarcia. Irrompe. Rivoluziona”. E l’attacco di Stella, classico con fantasia? Facciamo che oggi è assente. Facciamo che è a Parco Querini, in permesso speciale, a prepararsi per la campestre. Facciamo che così ci togliamo dai guai. Finito il liceo, Stella e Coltro esordiscono assieme nel giornalismo firmando su Veneto Sette, una delle trecento testate fondate dal poliedrico Franco Mognon. Testate in tutti I sensi: pochi soldi e querele dietro ogni angolo. Coltro tiene duro per molti anni, bernoccolo dopo bernoccolo, finchè mette la testa a posto entrando nel gruppo Espresso. Stella abbandona molto prima: “Gianantonio era ambizioso, com’è giusto esserlo: si trasferì presto a Milano e cominciò a collaborare con il Corriere.”
Praticamente coetanei (Stella è del ’53, l’uomo della celebre friulana appena più giovane) si assomigliano perché sanno divertire restando serissimi. Normale per una birra, più difficile per un giornalista. A parlare di cose serie in punta di penna c’è il rischio di essere poco credibili se non ridicoli: Stella ci riesce perfettamente e non a caso divide con Massimo Gramellini della Stampa il ruolo di giornalista più amato d’Italia. Quando presenta un libro riempie I teatri e riceve un’accoglienza più da rockstar che da opinionista: gente che fa a pugni per entrare, battimani, tifo da stadio, autografi: mancano solo gli striscioni e le ragazzine che piangono (ma con Gramellini ci andiamo vicino). I baffi di Stella non fanno piangere le ragazzine ma tengono altissima la bandiera vicentina del grande giornalismo. Perché Vicenza sarà pure una cittadina di provincia, chiusa, volgare, incapace di evolversi, tutto sbarrato la sera, dormitorio e pettegolezzi (scusate: con questo ho elencato tutti i luoghi comuni con cui noi vicentini definiamo per prassi la nostra città), ma ha sempre prodotto giornalismo di qualità: da Guido Piovene a Goffredo Parise per arrivare, in questi anni a Stella, a Giancarlo Padovan (oggi alla guida di Tuttosport), a Paolo Madron, direttore di Panorama Economy ma destinato a scrivanie più prestigiose. Un destino scritto fin dai tempi del liceo, quando Stella sedeva sui banchi del Pigafetta in una classe che avrebbe prodotto non una ma quattro firme della carta stampata. Con lui in ordine alfabetico: Paolo Coltro, oggi al Mattino di Padova; Ivo Diamanti, editorialista di Repubblica; Antonio Trentin, corsivista politico del Giornale di Vicenza. A guidare questo impressionante conflitto d’interessi in erba, il celeberrimo professore d’italiano Antonio Volpato. Avesse avuto l’intuizione di mollare tutto e fondare un giornale, sarebbe diventato milionario. “Ma il più bravo in italiano era Coltro, non lui” ricorda Trentin (che guarda caso stava in banco con Diamanti). “Ricordo di aver preso più di qualche quattro” si
difende Coltro (che guarda caso era in banco con Stella). “Gianantonio era già allora un bel rompicoglioni – ricorda Paolo – ma in senso positivo. Allora era magrissimo: culo basso e grinta da vendere, era un mostro nelle campestri. Adesso le campestri non le fa più però suona ancora la chitarra. A casa sua, a Noale, facciamo ancora grandi rimpatriate: otto pezzi su dieci sono di Lucio Battisti. Che Stella ama trasformare con testi improvvisati in dialetto veneto” Proviamo a immaginare i quattro ragazzi impegnati in un classico tema d’italiano: “Analizza le novità del linguaggio verghiano nella novella Rosso Malpelo”. L’attacco di Trentin, classico con brio: “Come un sasso nello stagno della letteratura italiana, così Giovanni Verga irrompe nell’immobilismo del nostro romanzo d’inizio secolo”. L’attacco di Coltro, classico con impeto: “Un meteorite accende la notte buia del romanzo italiano. Scende dal cielo paludato, squarcia il velo di falsità,
In questo giornale è praticamente cresciuto, scrive di suo pugno nella breve biografia che accompagna I suoi libri. E aggiunge: “Sposato, un figlio, cuoco dilettante di un certo talento e chitarrista di appassionata mediocrità, vivo un po' a Roma, un po' vicino a Venezia, un po' in giro.” Vicenza, come si vede, sparisce dalla sua vita. Resta però un veneto duro e puro, come dimostra scrivendo il notissimo "Schei", libro reportage sui riti e miti del Nordest. Pubblica poi "Dio Po: gli uomini che fecero la Padania" con cui si fa nemici tutti quelli della Lega; "Lo spreco", con cui si fa nemica mezza italia politica; "Tribù", il ritratto del Governo Berlusconi, con cui si fa nemica l’altra metà. Con "L’Orda, quando gli albanesi eravamo noi" si fa (finalmente!) qualche amico: il libro è un viaggio nella nostra storia recentissima, che quarant’anni di benessere fanno sembrare più lontana del medioevo. Scrive di lui Christian Rocca, corrispondente de Il Foglio: “Un tempo i cronisti li riconoscevi dalle suole
delle scarpe. Se erano lise, erano bravi, bravissimi. Gianantonio Stella è l'inviato speciale che cammina di più. Di scarpe chissà quante ne ha consumate. Ma oggi si sposta con la Vespa. Al G8 di Genova fregò tutti noleggiandone una. Una cosa banale, ma nessuno ci aveva pensato e quando scoppiò il finimondo fu l'unico cronista in grado di muoversi velocemente per la città. Il commento non è il suo pane, e non si fa distrarre dal fumo dell'opinione. Lascia agli altri anche l'arte del retroscena, lui che è il re del racconto della scena. È stato anche il re delle interviste politiche, nessuno era bravo come lui a far parlare un deputato o un sottosegretario”. Oggi potrebbe fare comodamente l’opinionista da poltrona eppure scrive ancora reportage da cronista d’assalto. La scorsa estate ha randellato il condono edilizio berlusconiano con un lungo viaggio tra gli abusi d’Italia. Ogni puntata aveva l’effetto che neanche quindici interrogazioni parlamentari. Ma si diverte anche bazzicando teatri e festival, dove si batte per un futuro più sostenibile della nostra terra, la piena integrazione degli immigrati e tante altre cose di sinistra. Lui che di sinistra non è. A farne un atipico infatti non sono solo I baffi, ma la capacità di scrivere, senza pietà, contro destra e sinistra, a seconda dei casi. Un metodo eccellente per farsi dare, a giorni alterni, del berluscones o del comunista, ma anche per andare a letto con la coscienza pulita. Oggi Stella chiede il diritto al voto per gli immigrati perché, spiega, “gli italiani emigrati, gli italo-americani, hanno cominciato a sentirsi pienamente americani quando hanno potuto vedere uno di loro, Angelo Rossi, diventare sindaco di San Francisco o Fiorello La Guardia diventare sindaco di New York”. E ancora: “Dobbiamo investire sui nostri cittadini di domani: vuol dire investire su noi stessi, sul Veneto, sull'Italia. È indispensabile in un momento in cui di investimenti sul futuro ce ne sono così pochi”. Da buon cronista che parla con la gente, ha risposte semplici anche per problemi complessi: “L'inserimento degli immigrati si è a poco a poco felicemente compiuto man mano che sono arrivate le donne, le vere protagoniste positive di ogni immigrazione, e i bambini, che poi sono quelli che trascinano i genitori all'interno della società.” Un figlio al posto di un poliziotto. Chissà se I nostri politici senza baffi ci hanno mai pensato. Matteo Rinaldi
economia
Ritratto dell’uomo forte di Assindustria vicentina ormai prossimo al balzo verso viale dell’Astronomia
Galeotta fu la corsa in Maserati così Montezemolo rapì Calearo eccellenza in casa”. “Inoltre”, ha spiegato, “sono i cervelli le nostre nuove risorse: le conoscenze devono restare in loco a differenza della produzione che può essere trasferita all’estero”.
Da un viaggio segreto tra Mestre e Bologna l’accordo che ha spaccato la Confindustria Veneta sul fronte Tognana Tutto comincia con un viaggio in Maserati: l’autista al volante e, sul sedile posteriore, Luca Cordero di Montezemolo insieme a Massimo Calearo. Ad arrancare dietro la fuoriserie di casa Fiat la Lancia blu dell’associazione industriali vicentina: a bordo l’autista e il responsabile delle relazioni esterne Stefano Pernigotti. È l’8 marzo scorso e Montezemolo ha appena incontrato un gruppo di imprenditori veneti a Mestre, poi ha fatto visita alla redazione del Gazzettino. Al momento di salire in auto per tornare a Bologna, l’invito a Calearo a fare un po’ di strada insieme. E due chiacchiere ovviamente. Il viaggio in realtà è solo la conferma del ruolo decisivo giocato da Calearo nella vittoria di Montezemolo per la presidenza di Confindustria. Il “nostro” ha avuto un ruolo importante, anzi decisivo, nel rompere il fronte veneto a favore di Tognana, che solo fino a poche settimane fa pareva compatto e a prova di bomba. Nell’abitacolo della Maserati, nei chilometri che separano Mestre e Bologna, non si è certo
Detto, fatto. Il nostro è tra i promotori del primo esempio di vero e proprio distretto industriale (500.000 metri quadri) in puro stile Nordest esportato oltre confine. Sorgerà in Slovacchia – paese oggi considerato ideale per gli investitori - a pochi chilometri da Bratislava, nel comune di Samorin. Vi si insedierà un gruppo di imprese di piccola e media dimensione tutte appartenenti al settore elettromeccanico. Per Calearo, prima che una necessità produttiva, una scelta strategica: “E' questo un modo concreto di rispondere all'esigenza di internazionalizzazione delle Pmi. Con il progetto Samorin intendiamo dimostrare che è possibile aggregare più piccole e medie imprese in vista di un obiettivo comune”.
parlato di forniture di antenne. È stata probabilmente siglata una promessa, un gentlemen agreement che prevede, per l’industriale vicentino, un ruolo di prestigio all’interno della federazione nazionale degli industriali. Si parla di una vicepresidenza o comunque di un posto nel direttivo. Più probabile la seconda possibilità, dicono gli economisti. Il ruolo di consigliere del bel Luca pare tagliato su misura per Massimo Calearo. Galeotto fu il Cuoa: storia di una amicizia potente Il patto d’acciaio tra Montezemolo e Calearo è nato proprio a Vicenza. Testimone dell’evento, guarda caso, Innocenzo Cipolletta (considerato uno dei registi dell’operazione presidenza, oggi presidente della Ubs Corporate Finance Italia), nonché membro di prestigio del Cuoa, Consorzio universitario con forte partecipazione dell’Assindustria. Qui Montezemolo era stato invitato per la consegna di un master. E qui ha probabilmente stretto il suo patto con Calearo. Erano tempi non sospetti, quando il fronte veneto sembrava
La pista orientale stretto intorno a Tognana. Ma la tattica ha funzionato alla perfezione. “Un uomo molto furbo, per certi versi spietato, ma purtroppo anche intelligente” dice di Calearo un imprenditore “nemico”. Vediamo di conoscerlo un po’ più da vicino. Tutto casa e chiesa (globale) Quarantotto anni, laurea in Economia e Commercio, tre figli, amministratore delegato dell'omonima azienda nata nel 1957 (200 dipendenti in Italia per 30 milioni fatturati dalla produzione di antenne per telefonini e auto-
mobili. Tra i suoi clienti, laFerrari), Massimo Calearo coniuga saldamente in sé il modello familiare veneto («Mantenere il controllo sull'azienda è una priorità») e un marcato accento verso l’innovazione. Con un investimento di oltre 4 milioni ha messo in piedi il centro di ricerca per le radiofrequenze e telecomunicazioni CeRCa (Centro Ricerca Calearo) con sede in una moderna palazzina su tre livelli di oltre 2700 metri quadrati ad Isola Vicentina. Obiettivo: dar vita ad una sorta di Silicon Valley nostrana. “Era necessario creare un centro di
Ma il presidente di Assindustria provinciale , nonché vicepresidente di Federmeccanica, guarda molto più lontano. Prossimo obiettivo: conquistare il mercato orientale. «La Cina? Piena disponibilità e grande interesse a verificare questa possibilità». Il commento riguarda la lettera con cui il sindaco di Shangai ha proposto all’imprenditoria veneta di investire nel suo territorio. Interessato sì, ma senza lasciarsi prendere da facili entusiasmi e, soprattutto, mettendo le mani avanti: «Stiamo realizzando una indagine seria e approfondita - dice ancora Calearo - dei fattori
chiave della produzione e del mercato cinese. Trasferire le produzioni in Cina per poi importarle in Occidente? Sono poco interessato». A proprio agio sia nel cortile di casa che nel mercato globale, Calearo sembra aver preparato la sua ascesa a Viale dell’Astronomia con qualcosa di ben più sostanzioso che il solo appoggio preventivo all’ex enfant prodige di casa Agnelli. Capofila di una nuova imprenditoria? Nella prima riunione operativa di pochi giorni fa (15 marzo) a Bologna, il neopresidente di Confindustria ha chiamato intorno a sé i più stretti collaboratori per mettere a punto programma e squadra che lo accompagneranno nei prossimi quattro anni. Assente giustificato (per impegni di lavoro), Massimo Calearo. Ma per lui, un posto di prestigio in Confindustria è ormai un assegno in bianco a firma Luca Cordero di Montezemolo. Si tratta solo di capire come verrà riempito. Il prossimo 29 aprile, data ufficiale di presentazione dell’intero “pacchetto della presidenza”, lo sapremo. Definito da alcuni un furbacchione molto scaltro, da altri un abile tessitore delle altrui (e proprie) fila, resta il fatto che Calearo è ormai ben più di una promessa dell’industria nordestina, e si candida a diventare (autorevolmente o meno, lo dirà il futuro) il capofila della nuova imprenditoria veneta ormai definitivamente entrata – a pié sospinto - nella seconda generazione. d.l. e m.r.
Per svolgere un ruolo da protagonista, Calearo dovrà trovare risorse tutt’altro che scontate
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Ma le idee per innovare sono poche: per il leader vicentino compito difficile La bocciatura di Tognana, come candidato a presidente della Confindustria, segna la fine di un’era. Lo ha già scritto Ilvo Diamanti, in un tempestivo editoriale sul Gazzettino, qualche settimana fa. Si è concluso quello scorcio di secolo nel quale il Nordest ha provato a diventare un laboratorio di innovazione per l’Italia. Il Nordest della piccola impresa che parlava di secessione e minacciava di trasferirsi in altri territori d’Europa, non solo con le aziende, ma anche con il proprio modello organizzativo di grande successo. E’ con la forza della “protesta” che Tognana è andato a Roma. Ha fatto l’accordo con D’Amato, spiazzando il candidato presidente della grande impresa del Nordovest, promettendo di trasformare la “protesta” in “proposta”, il modello dei distretti e della piccola impresa in un nuovo modello per il Paese. Vi ricordate di Manfredonia? Tognana aveva tentato di dimostrare che i distretti si possono trasferire al Sud e che la piccola impresa è più brava di quella grande a portare ricchezza dove non c’è. A qualche anno di distanza gli aderenti a Confindustria hanno decretato quanto segue: che il Nordest non è un modello interessante per l’Italia, che Tognana ha bluffato sull’alternativa e non ha un programma credibile da proporre. E non ha neppure una squadra compatta alle spalle, perché nello stesso Veneto ci sono molti associati che all’anomalia nordestina credono sempre meno. E’ in questo punto preciso che si inserisce il tentativo di Calearo di smarcarsi dall’amico Tognana, di rinnovare l’establishment del Veneto e del Nordest o almeno di tentare di proporre una faccia nuova ai colleghi delle altre regioni. Articoli e dichiarazioni su tutti i giornali, strette di mano, proposte di investimento nell’area cinese e nell’est europeo, per nome e per conto dell’intera Confindustria italiana. Tutte operazioni logiche, ma con due problemi non trascurabili. Il primo è politico. Se Calearo vuole entrare da protagonista sulla scena italiana deve avanzare proposte autorevoli, complementari a quelle messe in campo da Montezemolo. Cosa potrebbe contare a livello nazionale un leader periferico, cooptato sul carro del vincitore grazie al peso elettorale e contributivo di cui dispone, piuttosto che
per la forza delle sue idee? Vicenza è notoriamente la terza associazione territoriale di Confindustria (per numero di associati e forse anche per quote versate) e può legittimamente ottenere un posto nella squadra del Presidente. Ma essere un uomo del Presidente senza deleghe e senza idee non promette nulla di buono, anche per chi è abituato a vestire i panni del paziente gregario, in attesa di tempi migliori. Il secondo problema è di contenuti. Entrare in scena con una proposta autorevole per l’industria italiana significa avere in testa un modello di impresa e di politica, ed anche un modello di leadership personale, attraenti più di quelli scelti da Nico Tognana. Calearo deve ricordare che l’unica volta che il Nordest è riuscito a proporre qualcosa è stato quando ha scommesso sulla propria originalità, richiamando l’attenzione di Clinton e di molti esperti internazionali. Senza un modello e un’esperienza originali non si fa molta strada. E’ dunque importante andare a Samorin o Shangai con un gruppo di imprenditori entusiasti. E’ giusto studiare il modello americano della Silicon Valley o affidarsi a Repubblica o al Corriere per avere più audience. Ma non basta. Servono idee, progetti e capacità manageriali che gli altri non hanno. Bisogna organizzare investimenti in ricerca simili e forse migliori di quelli che può mettere in campo l’industria dell’Ovest. Su questo fronte Calearo si trova nella medesima maledetta posizione dei suoi predecessori, rappresentanti del Nordest come modello per il sistema Paese (oltre a Tognana dobbiamo ricordare che anche Cacciari e Carraro ci hanno, a suo tempo, provato). Deve indicare in che modo un popolo di piccole industrie e tecnici tradizionali può realmente arrivare a costruire grandi imprese competitive e distretti dell’innovazione. Ma non sa ancora come risolvere questo problema. Finita un’epoca se ne apre un’altra. Calearo, con la sua industria, può svolgere un ruolo da protagonista, ma deve costruire ambizioni e trovare risorse che non sono quelle tipiche di una città di provincia. p.g.
Il nuovo presidente designato di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo. Massimo Calearo farà parte della sua squadra e rappresenterà gli industriali del Veneto
cultura
Sorpresa dai dati sulla collaborazione con i privati: aveva più appeal il centrosinistra
La grande fuga degli sponsor Da 140 mila euro a poco più di 40 mila: crollano le sponsorizzazioni per le iniziative culturali del Comune. Così le aziende tradiscono il centrodestra Proviamo a sovvertire un luogo comune: gli industriali sono – per natura – vicini al centrodestra. Falso. Mettendo a confronto i finanziamenti per le attività culturali vicentine, gli sponsor privati erano molto più disponibili ad allargare i cordoni della borsa negli anni precedenti l’insediamento della attuale giunta.
tomobile, e andare altrove per assaporare qualche evento culturale di un certo rilievo”. Insomma, a cercarla con il lanternino, una elementare linea guida è possibile individuarla: puntare le poche fiches su progetti faraonici di là da venire. Nel frattempo, un messaggio – neanche tanto velato - ai vari promotori culturali: arrangiatevi. E sia. Ma almeno esercitare quel “ruolo di indirizzo e coordinamento” (anche rispetto alle sponsorizzazioni dei privati) promesso dal sindaco nel suo programma di governo?
Numeri inequivocabili: nel 1999 – ultimo anno di amministrazione del centrosinistra – gli sponsor partecipano alle spese per le manifestazioni culturali più varie con circa 148.000 euro. L’anno scorso, finanziamenti letteralmente prosciugati: 40.000 euro e spiccioli. Una miseria. In mezzo, un disamore progressivo che, di anno in anno, ha visto defilarsi uno dopo l’altro i sovventori di un tempo. Sulla breccia sono rimasti solo sponsor istituzionali come l’AIM. Come dire: null’altro che partite di giro. Colpa della recessione? Più probabilmente, gli sponsor abbandonano una barca, anzi, una barchetta, che ormai naviga senza timoniere, nonostante la delega alla cultura sia tenuta saldamente (si fa per dire) in mano dal sindaco in persona. “Hüllweck? Mai visto in commissione cultura” ci racconta Marco Dalla Pozza, responsabile di settore dei DS. “E mi risulta sia un fantasma anche in assessorato”. “La parola giusta è destrutturazione” sospira Guido Zovico, un tempo tra gli animatori delle estati vicentine: “Vicenza non ha mai brillato rispetto, ad esempio, una realtà molto più organizzata come Bassano. Ma certo bisogna dire che in passato si sono ottenuti risultati decisamente superiori alla capacità di investimento. Ora, invece, è calato il buio più totale. Scorrendo le programmazioni, anche cittadine come Thiene o Arzignano ormai lavorano meglio di noi. Purtroppo, manca una strategia complessiva. E se c’è, proprio non si vede. E’ vero, i comuni – Vicenza compresa - ricevono da Stato e Regione sempre meno risorse, ma proprio per questo sarebbe indispensabile una seria progettazione capace di coinvolgere i privati. Compenserebbe la riduzione dell’investimento pubblico. Invece, quel poco che è rimasto sembra seguire una logica del tutto estemporanea. Insomma, si fa un po’ a caso. E gli sponsor non ci stanno”. Impressionante l’elenco delle iniziative culturali cancellate dall’amministrazione di centro-destra: i concerti di musica leggera di “Vicenza Musica”, lo “Stivale delle sette note”, “7 volte libri”, la rassegna cinematografica dell’8 marzo, “Al di là del mare”, “Vicenza città Unesco”, “GiugnoFilmFesta”, sono scomparse dal cartellone. Ridimensionata anche la programmazione estiva. EstateShow/EstateFest che viaggiava sull’ordine di cento appuntamenti e 35/40.000 presenze, ha visto
Rincara la dose Dalla Pozza: “La cultura a Vicenza nell’era Hüllweck? Rispetto al 2001, i contributi da sponsorizzazioni sono stati il 73% in meno. A ciò si accompagna un costante calo delle risorse stanziate dall'Amministrazione a favore della cultura. Ci sono contributi che sfiorano il ridicolo come quello alla Fita (Federazione Italiana Teatro Amatoriale) o all'Accademia Olimpica, o che mettono in grave dubbio la prosecuzione dell'attività (come quelli alla Piccionaia, alla Biblioteca Bertoliana o alla Biblioteca Internazionale "La Vigna"). Il problema è che il bilancio del Comune è soffocato dalla spesa per il teatro e dagli sperperi (13 assessori, svariate consulenze, alcuni dirigenti pagati uno sproposito, i viaggi a Cannes...), e ovviamente la cultura è la prima a farne le spese”.
Unanimi le critiche: “Troppa casualità nelle scelte l’indusrtria investe solo dove ci sono programmi precisi” calare drasticamente il sostegno del comune: per il 2003 appena 14.000 euro più il contributo AIM. Risultato: appuntamenti dimezzati. E, va da sé, pubblico pure. La scure dell’assessore Hüllweck è calata anche sulle feste rock autogestite dai gruppi giovanili di quartiere che rappresentavano un vanto a livello nazionale (100.000 presenze in quasi due mesi di eventi). Progressivamente privato di sostegno economico, il rock vicentino ha perso anche qualsiasi rilevanza nel progetto dell’amministrazione. Nulla di cui stupirsi: nelle “Linee programmatiche di governo per il 20032008”, alla voce “cultura”, la musica d’elezione delle fasce giovanili non viene neppure citata. Solo jazz, lirica, musica da camera e sinfonica sono degne di un fuggevole cenno. Generi di altissimo valore culturale, sia chiaro. Ma qualcuno spieghi all’assessore che, da almeno quarant’anni, i giovani di tutto il mondo (vicentini compresi) impazziscono per i vari epigoni di Elvis, piuttosto che per, il pur meraviglioso, Quartetto d’archi in Fa Maggiore di Ravel.
E francamente, discutere il valore culturale (e, perché no? commerciale) della musica impropriamente detta “leggera” è davvero questione obsoleta. Hüllweck invece, sembra inseguire il sogno di una supposta grandeur vicentina legandola quasi esclusivamente all’inaugurazione del teatro comunale di Viale Mazzini, pozzo vorticoso nel quale fluisce gran parte delle scarse risorse stanziate per la cultura (solo 960.000 euro nel 2003, quasi 500.000 in meno rispetto all’ultimo bilancio della precedente giunta di centro-sinistra. E per il 2004, ci conferma il presidente della Commissione Cultura, Mario Bagnara, è previsto un ulteriore calo del 3 per cento circa). “Il gigantismo non porta da nessuna parte” spiega il pittore Silvio Lacasella “il sindaco sostiene che è meglio essere primi in pochi cose che secondi in tante. Di qui, i continui accenni alla favolosa mostra su Palladio che dovrebbe tenersi nel 2006. Chissà se si farà mai. Intanto, assistiamo impotenti al rinsecchirsi dell’humus culturale cittadino. En attendant Palladio, i vicentini devono prendere il treno o l’au-
Da Aldo Zardon, vicentino presidente regionale della Fita, una voce parzialmente fuori dal coro: “A livello personale posso vantare un ottimo rapporto con l’amministrazione. Ricevo sempre grandi pacche sulle spalle... Soldi? Come Fita organizziamo da anni il Festival nazionale ‘Maschera d’oro’, considerato da tutti gli addetti ai lavori il più importante evento nazionale per il teatro amatoriale. Dall’amministrazione riceviamo 4.500 euro. Ma per quest’anno il sindaco me ne ha promessi 5.000. Il costo complessivo del festival? Tra i 56.000 e i 58.000 euro”. In attesa che la giunta stanzi 500 euro in più per un festival che ogni volta fa il pieno di pubblico al teatro San Marco, qualcuno si chiede come sia possibile uscire dal tunnel. Una risposta prova a darla l’ex assessore alla cultura della giunta Quaresimin, Francesca Lazzari: “E’ necessario ripensare e riorganizzare la proposta culturale in modo efficiente, tornando a dialogare – non occasionalmente - con privati e associazioni. E’ ora di finirla con una politica di investimenti casuali. Gli sponsor hanno un atteggiamento molto pragmatico: di fronte ad una politica seria e ben organizzata, torneranno”.
Alla libreria Librarsi con il grande autore italiano. Che s’improvvisa traduttore
ORA D’ARIA
Metti una sera con Stefano Benni
locale mai banale
la proposta di abc
Cucina in casa dei quattro fratelli
Gallerie di Palazzo Leoni Montanari
Ditelo in giro: in questi tempi veloci, c’è ancora qualcuno che ha voglia di far notte raccontando storie. Stefano Benni è uno di questi. Così, sabato 13 marzo, ha chiamato a raccolta i tiratardi vicentini da Librarsi. Il posto è piccolo. La gente tanta. Si sgomita per entrare e farsi largo fra la folla. Sopra un palchetto, parla Benni, di sé ma soprattutto di un tizio dall’aria losca e latina. Lui è Efraim Medina Reyes, uno che sembra tutto meno che uno scrittore: ceffo da pugile e ghigno da pirata caraibico. “Cosa ci si aspetta da uno scrittore sudamericano?” Benni dà il via alle danze. “Sesso” risponde sincera una signora del pubblico. La libreria parte a sghignazzare e il clima si scalda di fiati ed emozioni. La gente si libera di sciarpe e cappotti, ferrivecchi di un inverno che la serata vorrebbe spazzar via. Reyes mastica un misto di italiano e colombiano. Si presenta. E nessuno lo capisce. Saltatempo-Benni si offre di tradurre ma, dopo un rapido scambio di battute, risulta chiaro che lo spagnolo deve averlo imparato da Speedy Gonzalez. Chiede onestamente il cambio. Il sudamericano racconta il suo nuovo libro: “Tecniche di masturbazione fra Batman e Robin” (Feltrinelli - 10 euro. Traduzione di Gina Maneri). Come lo nomina, tre strani figuri, impermeabile lungo e occhiali del tipo fondo di bottiglia, si scambiano sguardi ciechi e allupati. Hanno però frainteso: la masturbazione non è il vero tema della serata. Il titolo prende spunto da un aneddoto che Reyes non tarda a render pubblico. E’ la singolare storia di una festa in cui due maschere, appunto quelle di Batman e Robin, si corteggiano vicendevolmente senza aver compreso di appartenere allo stesso sesso. Troppo tardi viene svelato l’inghippo, ché le due protagoniste si trovano ormai invischiate in una storia d’amore. Oltre, il libro si addentra nel pozzo dei rapporti umani fondati su un’intrinseca incomunicabilità. E’ forse a quest’impossibilità di conoscere se stessi e gli altri che Reyes deve la rabbia e la violenza che traspaiono dalle sue opere? O forse è la vita nei bassifondi colombiani che lo ha reso così crudo e provocatorio? Un passato da pugile suonato (14 incontri, tutti persi), figlio dei sobborghi di Cartagena de Indias dove gli sport degli adolescenti erano “rimorchiare gringas sulla spiaggia e rapinare gringos per le vie del centro”, Reyes è oggi lo scrittore culto dei giovani colombiani. Cresciuto a sesso, droga & rock ‘n roll, è ben lontano dai vari Sepulveda e Garçia Marketing, al quale rivolge accorate ingiurie. Benni lo stimola con domande puntuali e Reyes motiva le sue accuse: “Sarebbe sciocco non riconoscere la qualità letteraria di Marquez. Io però non mi identifico con lui. Io non leccherò mai il culo a un dittatore come Fidel Castro per andare a ballare la cumbia con Bill Clinton alla Casa Bianca due settimane più tardi. Marquez ha fatto fortuna descrivendo la magia dell’America Latina ma sono dieci anni che manca dal suo Paese, che non vive di scenari incantati ma di miseria e pallottole. Come la maggior parte della mia generazione, sono cresciuto con gli aneliti del primo mondo e senza nessuno dei suoi privilegi. Sono uno dei tanti figli bastardi dell’impero yankee, e non posso far altro che usare e assimilare le mie origini multiple per esprimere e difendere la mia possibilità di essere qualcuno”. E siamo certi che Reyes qualcuno lo stia diventando. Nicola Colpo
Via Btg Framarin si divide nettamente in due: nella prima parte “tira” un’aria di… cambiali per la presenza di più banche, nella seconda ritorna ad essere un quartiere residenziale. Non è difficile trovare questo palazzetto: è dipinto per metà di giallo, ivi compresa un’orribile merlatura. E’ in esercizio da molti anni: agli inizi degli anni ’90 aveva raggiunto un buon livello (c’era ai fornelli Bruno “Pansa” ora in quel d’Altavilla), poi cambiò la gestione e divenne un luogo più raccolto, con una cucina meno flamboyant e la fama si acquietò. Eppure questi quattro fratelli (Sabrina e Luca in sala e Manuel e Massimo in cucina) offrono con tranquilla semplicità una cucina che è l’esaltazione dei nostri piatti e dei nostri prodotti. Salumi, tanto per iniziare, per approdare poi a ravioli all’ortolana, pieni di profumi d’erbe fini con una pasta elastica. Ma abbiamo trovato anche bigoli all’anara o col ragù o un baccalà alla vicentina che sarebbe meritevole di riconoscimento
della Confraternita, sarde in saor servite come secondo, buone da fare il bis. Di valida esecuzione il coniglio in tegame e la griglia della quale troverete tutto il repertorio conosciuto dal vitello al manzo al maiale per braciole, costate, sparagagna, salsicce, al pollo quanto basta per un pranzo di pieno sapore.
Il progetto espositivo Restituzioni 2004. Tesori d’arte restaurati, ideato e promosso fin dal 1980 da Banca Intesa in collaborazione con importanti musei e collezioni pubbliche italiane, presenta la sua dodicesima edizione, particolarmente ricca sia in qualità che in quantità. Sono infatti novanta le opere restaurate che, selezionate da un comitato scientifico col coordinamento di Carlo Bertelli, rimarranno esposte alla Gallerie di Palazzo Leoni Montanari dal 20
Contorni? Verdure crude, ovviamente, ma sono valide anche le verdure cotte Terminate con un casalingo semifreddo all’amaretto o con il salame bianco, ma potreste provare anche la focaccia ai lamponi, con la stessa soddisfazione. Non più di 25 euro, vino a parte. Mastro Ghiottone
Trattoria Framarin Via Btg Framarin 48 36100 Vicenza Tel 0444 570407 Chiuso : domenica Carte di credito : tutte Voto 13/20 Palazzo Leoni Montanari in una foto del 1869 circa. Fonte: www.palazzomontanari.com
Davide Lombardi
marzo al 20 giugno prima di venire restituite alle rispettive sedi di provenienza (oltre che numerose chiese lombarde e veneziane, Galleria dell’Accademia, Tesoro di S.Marco, Fondazioni Cini, Querini Stampalia e l’isola di San Lazzaro degli Armeni di Venezia, Pinacoteca Ambrosiana, Museo Poldi Pezzoli e Bagatti Valsecchi di Milano, Musei Vaticani, ecc). Si tratta per lo più di capolavori dell’oreficeria di varie epoche, ma non mancano sculture antiche e rinascimentali, preziosi reperti archeologici, smalti di Limoges, dipinti straordinari di Bramantino, Pinturicchio, Veronese, Tintoretto, Maffei, Romanino, Peterzano che sono stati riportati all’originario splendore da scrupolosi restauri documentati scientificamente in un catalogo. Un motivo (campanilistico) in più per visitare la ricca rassegna è poi la presenza di alcune opere dell’incisore vicentino Valerio Belli (1468 c – 1546): una croce e una serie di tre medaglioni con scene della passione in cristallo di rocca provenienti dalle Gallerie Pontificie. Celebrato da Vasari nelle sue Vite, Belli rivestì un ruolo fondamentale nel Rinascimento nell’antica arte della glittica, cioè dell’intaglio delle pietre dure, ed ebbe tra i suoi importanti committenti personaggi della corte pontificia (Leone X, Clemente VII) e medicea. Tazio Cirri