Tesina Tutela Del Diritto Di Non Discriminazione Razziale

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Università di Padova – Facoltà di Scienze Politiche Corso di Tutela Internazionale dei diritti Umani Anno Accademico 2005-2006

La lotta alla discriminazione razziale nel sistema internazionale dei diritti umani

Scattolin Fabiana

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Introduzione Fin dal XVIII secolo, in ogni Dichiarazione, è andato rafforzandosi un principio cardine necessario per l’affermarsi di ogni diritto: il principio di Uguaglianza. Ancora oggi però, risulta estremamente urgente una forte riaffermazione di questo principio. Sono all’ordine del giorno eventi di discriminazione, situazioni in cui gli individui si vedono negare le proprie libertà e i propri diritti. Le discriminazioni, che incombono sulla vita quotidiana, sono un attacco al principio fondamentale secondo il quale i diritti umani spettano a ciascun essere umano, senza distinzione. Vorrei qui approfondire in particolare, il principio di non discriminazione razziale, che ritorna con attualità nelle nostre società, o che forse non le ha mai abbandonate. Vediamo infatti come Il tema della discriminazione razziale divenga sempre più uno dei grandi temi globali del nostro tempo e anche uno dei più complessi da affrontare. Nonostante l’eredità lasciataci, si ripresentano continuamente delle situazioni di discriminazione che sembrano non aver dato ascolto al passato, a volte ci danno l’impressione di essere atemporali, di collocarsi fuori dal contesto in cui si trovano. Anche nel nostro paese è sempre più diffusa la convinzione che il concetto di razza sia scientificamente infondato, quando un tempo risultava essere invece, motore legittimante per atteggiamenti e politiche discriminatorie. Si sosteneva una presunta differenza delle razze umane per affermare la superiorità di una sulle altre. L’umanità ne ha subito le conseguenze. Come ben sappiamo l’apice della discriminazione razziale, è stato teorizzato e raggiunto nel cuore dell’Europa durante la Seconda Guerra Mondiale con la Shoah. Oggi il razzismo è un reato, ma gli ostacoli all’uguaglianza sono sempre presenti. Per la tutela dei diritti umani, appare allora importante ribadire il principio di non discriminazione razziale e quindi l’uguaglianza di tutti individui. Il suo percorso di affermazione parte da lontano, ma la notevole opera di codificazione inizia ad attuarsi proprio dopo le Guerre Mondiali. Credo sia importante ripercorrere le fasi di affermazione del principio di non discriminazione, per poter meglio analizzare i meccanismi di tutela attuale e le modalità con cui la comunità internazionale si fa promotrice di questo principio fondamentale. In questo breve elaborato, oltre a soffermarmi su questi ultimi punti sopra citati, intendo analizzare gli organi e le procedure di controllo, dando particolare attenzione all’operato dello Special Rapporteur on Contemporary forms of racism, racial discrimination, xenophobia and related intolerance.

Le fonti Come già detto, ritengo prima di tutto importante, soffermarmi sulle basi che hanno formato e codificato il principio di non discriminazione razziale, tanto da divenire una norma fondante dell’intero sistema internazionale dei diritti umani. Per la prima volta viene affermato con chiarezza all’interno dello Statuto delle Nazioni Unite; tra i suoi fini leggiamo: Articolo 1 3. Ottenere la cooperazione internazionale nella soluzione di problemi internazionali di carattere economico, sociale, culturale o umanitario e nel

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promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali di tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione.1 Nell’importante documento quale la Dichiarazione Universale, fin da subito sembra chiara l’importanza del principio di uguaglianza. Nel momento in cui viene stilata la Dichiarazione l’umanità è appena uscita da un periodo di dolore, che è partito proprio da una condizione di discriminazione. Le premesse che vengono poste risulteranno essere fondanti per l’intero sistema: Articolo 1 Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. Articolo 2 1. Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.2 Non possiamo non notare l’estrema nitidezza di queste affermazioni; non vi deve più essere discriminazione se viene giuridicamente affermato, che a tutti gli individui “senza distinzione alcuna”, spettano gli stessi diritti e le stesse libertà. Le Nazioni Unite dopo pochi anni, ritengono che per la tutela dei diritti umani, sia necessario dedicare al principio di non discriminazione razziale, dei documenti ad hoc, che costringano gli Stati, grazie al carattere sempre più vincolante dei documenti, ad impegnarsi concretamente per l’eliminazione delle discriminazione. È così che l’Assemblea adotta la “Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale” all’interno della quale si sostiene la necessità di eliminare rapidamente tutte le forme e tutte le manifestazioni di discriminazione razziale in ogni parte del mondo, nonché di assicurare la comprensione ed il rispetto della dignità della persona umana. Leggiamo al primo articolo: Articolo 1 Discrimination between human beings on the ground of race, colour or ethnic origin is an offence to human dignity and shall be condemned as a denial of the principles of the Charter of the United Nations, as a violation of the human rights and fundamental freedoms proclaimed in the Universal Declaration of Human Rights, as an obstacle to friendly and peaceful relations among nations and as a fact capable of disturbing peace and security among peoples..3 Vi è una vera e propria condanna della discriminazione, tanto da arrivare ad affermare che essa è un’offesa alla dignità umana. Le Nazioni Unite, desiderose di dare quindi attuazione normativa alla precedente Dichiarazione, che non ha carattere giuridicamente vincolante, adottano la “Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale” (ICERD), strumento legalmente vincolante necessario per poter assicurare il più rapidamente possibile l’adozione di misure pratiche in materia. Tale Convenzione è 1

Carta di San Francisco del 26 giugno 1945, istitutiva delle Nazioni Unite Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, 10 Dicembre 1948. 3 United Nations Declaration on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination, Ris. Assemblea Generale delle Nazioni Unite 1904, del 20 Novembre 1963. 2

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composta da un preambolo iniziale e suddivisa in seguito in tre parti. La Parte I, all’interno della quale vengono affermati i principi fondamentali, dando poi particolare importanza agli impegni che si assumono gli stati, i diritti a cui dare particolare attenzione e gli ambiti d’implementazione; la Parte II, dove troviamo l’istituzione del Comitato, i meccanismi di attivazione e quindi le Procedure previste; la Parte III, in cui vi sono in particolare le modalità di adesione tramite firma, successiva ratifica ed entrata in vigore. Ritengo sia importante analizzare questa Convenzione, partendo dalla Definizione di Discriminazione Razziale che in essa viene data: Articolo 1 Nella presente Convenzione, l’espressione «discriminazione razziale» sta ad indicare ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica.4 Tale Convenzione presenta un approccio molto elaborato al fenomeno e prevede accanto al principio di non discriminazione, il divieto di propaganda razzista nelle diverse forme dell’incitamento e della diffusione. Articolo 4 Gli Stati contraenti condannano ogni propaganda ed ogni organizzazione che s’ispiri a concetti ed a teorie basate sulla superiorità di una razza o di un gruppo di individui di un certo colore o di una certa origine etnica Viene data una forte responsabilità agli Stati contraenti nella repressione e nella prevenzioni di fenomeni di discriminazione razziale. Leggiamo a tale proposito all’Articolo 2 della Convenzione: d. ogni Stato contraente deve, se le circostanze lo richiedono, vietare e por fine con tutti i mezzi più opportuni, provvedimenti legislativi compresi, alla discriminazione razziale praticata da singoli individui, gruppi od organizzazioni; e all’Articolo 7: Gli Stati contraenti si impegnano ad adottare immediate ed efficaci misure, in particolare nei campi dell’insegnamento, dell’educazione, della cultura e dell’informazione, per lottare contro i pregiudizi che portano alla discriminazione razziale e a favorire la comprensione, la tolleranza e l’amicizia tra le Nazioni ed i gruppi razziali ed etnici. Ritengo infine di particolare importanza la dettagliata definizione dei diritti che gli Stati devono garantire, presente all’Articolo 5. Questo articolo contiene appunto l’obbligo per gli Stati parte, di garantire il godimento dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali e delle libertà fondamentali, senza che vi siano discriminazioni razziali. Le categorie di diritti comprese in questo articolo sono: diritto ad un eguale trattamento davanti alla legge, diritto alla sicurezza personale, diritti politici (in particolare il diritto di partecipare alle elezioni); tra i diritti civili (ne elenco solo alcuni): il diritto di movimento, il diritto alla 4 Convenzione Internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, adottata dall’Assemblea Generale il 21 Dicembre 1965, entrata in vigore il 4 Gennaio 1969.

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nazionalità, il diritto alla proprietà, il diritto alla libertà di pensiero, coscienza, religione, opinione, espressione; tra i diritti economici, sociali e culturali: il diritto al lavoro, alla libera scelta del proprio lavoro, il diritto di fondare e di iscriversi ai sindacati, il diritto alla sanità, all’educazione e alla formazione; ed infine il diritto di accesso a tutti i luoghi e servizi destinati ad uso pubblico. Appare chiara la necessaria garanzia di questo ultimo diritto enunciato, guardando alle tristi vicende verificatesi in Sud Africa con l’Apartheid, politica di segregazione razziale istituita dal governo di razza bianca del Sudafrica nel dopoguerra e rimasta in vigore fino al 1990. La Convenzione esprime chiaramente la condanna di questo fenomeno, dedicandogli un intero articolo, l’Articolo 3 appunto, dove viene affermato: Gli Stati contraenti condannano in particolar modo la segregazione razziale e l’«apartheid» e si impegnano a prevenire, vietare ed eliminare sui territori sottoposti alla loro giurisdizione, tutte le pratiche di tale natura. Prima di ritornare all’analisi della Convenzione, vorrei concludere questa prima parte, in cui mi sono concentrata sui principi fondamentali della stessa, facendo notare come il principio di non discriminazione sia divenuto sempre più un caposaldo per l’intero sistema delle Relazioni Internazionali, una base importante per lo stesso paradigma dei diritti umani. L’importanza di questo principio ci viene testimoniata nel momento in cui, pochi anni dopo la formulazione della Convenzione, ad esso venne dato un ruolo fondamentale all’interno dei Patti del ’66. In entrambi, all’articolo numero 2, ritroviamo il principio di non discriminazione, fondante per la garanzia di tutti i diritti affermati in questi due Patti, di cui conosciamo l’importanza per l’intera Comunità Internazionale. Voglio qui riportare in particolare, l’Articolo 2.2 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, a mio avviso molto chiaro e preciso. Gli Stati parti del presente Patto si impegnano a garantire che i diritti in esso enunciati verranno esercitati senza discriminazione alcuna, sia essa fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l’opinione politica o qualsiasi altra opinione, l’origine nazionale o sociale, la condizione economica, la nascita o qualsiasi altra condizione.5

L’istituzione del Comitato Ritornando alla Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, nella Parte II, viene istituito il “Comitato per l’eliminazione della discriminazione” (CERD), “composto di diciotto esperti noti per il loro alto senso morale e la loro imparzialità, che vengono eletti dagli Stati contraenti fra i loro cittadini e che vi partecipano a titolo personale, tenuto conto di un’equa ripartizione geografica e della rappresentanza delle varie forme di civiltà nonché dei più importanti sistemi giuridici” 6 . Tale Comitato è l’Organo principale del Sistema di garanzia, previsto per monitorare l’implementazione della Convenzione da parte degli Stati parte. Tutti gli Stati parte sono obbligati a presentare regolari Rapporti al Comitato su come i diritti presenti all’interno della Convenzione siano stati appunto implementati. Gli Stati devono inizialmente 5

Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, New York, 16 dicembre 1966 Entrata in vigore : 23 marzo 1976 6 Articolo 8 della Convenzione Internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale.

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presentare un Rapporto (un anno dopo avere aderito alla Convenzione) e in seguito ogni due anni. Il Comitato avrà il compito di esaminare i Rapporti degli Stati ed inviare loro in seguito, le “preoccupazioni” e le Raccomandazioni nella forma delle “Concluding Observations”. Sono stabiliti inoltre altri tre meccanismi, attraverso i quali il Comitato possa eseguire le proprie funzioni di monitoraggio; questi meccanismi possono logicamente essere attivati solo successivamente all’esperimento delle vie di ricorso interne. I meccanismi in questione sono: •



le cosiddette early-warning procedures. Rapporti che vengono formulati dal Comitato per prevenire il formarsi di determinate situazioni rischiose, in cui potrebbero verificarsi eventi di discriminazione razziale. Possono molte fare riferimento a situazioni di conflitto in cui è necessario un intervento preventivo urgente; l’esame delle Comunicazioni/Ricorsi interstatali. Tale procedura di ricorso viene prevista: “Qualora uno Stato contraente ritenga che un altro Stato contraente non applichi le disposizioni della presente Convenzione, può richiamare l’attenzione del Comitato sulla questione. Il Comitato trasmette allora la comunicazione allo Stato contraente interessato. Entro un termine di tre mesi, lo Stato che ha ricevuto la comunicazione manda al Comitato le giustificazioni o delle dichiarazioni scritte che chiariscano il problema ed indichino, ove occorra, le eventuali misure adottate da detto Stato per porre rimedio alla situazione.” 7



Nel caso in cui entro sei mesi il problema non sia stato risolto con soddisfazione di entrambi gli stati, la Convezione prevede di poter inviare nuovamente notifica al Comitato, che dopo aver raccolto tutte le informazioni supplementari necessarie, si occuperà di istituire una “Commissione conciliativa ad hoc” (come previsto dall’Articolo 12 della Convenzione), che svolge il suo lavoro sulla base delle notizie fornite dagli Stati e raccolte dal CERD; al termine dell’esame, la Commissione sottopone al presidente del Comitato un proprio rapporto nel quale sono contenute le raccomandazioni ritenute utili per giungere ad un composizione amichevole. Il Presidente trasmette così il rapporto agli Stati, i quali, entro tre mesi, devono comunicare se accettano o meno il rapporto. Scaduto il termine verrà comunicato il rapporto e le risposte degli Stati, a tutti gli altri Stati Parte; l’esame delle Comunicazioni/Ricorsi Individuali. Facoltà del CERD prevista dato l’Articolo 14: “ Ogni Stato contraente può dichiarare in ogni momento di riconoscere al Comitato la competenza di ricevere ed esaminare comunicazioni provenienti da persone o da gruppi di persone sotto la propria giurisdizione che si lamentino di essere vittime di una violazione, da parte del detto Stato contraente, di uno qualunque dei diritti sanciti dalla presente Convenzione”.8 Questo meccanismo prevede che un individuo (o un gruppo di individui) che si ritiene vittima di una violazione, esaurite le vie di ricorso di fronte agli organismi previsti dagli ordinamenti interni, possa appunto presentare una Comunicazione al Comitato. Questo ultimo svolte gli adeguati accertamenti, trasmette la

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Articolo 11.1, Convenzione Internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale. Articolo 14.1, della stessa Convenzione..

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Comunicazione in maniera confidenziale allo Stato aderente interessato, che ha tre mesi di tempo per fornire spiegazioni e proporre misure per far fronte alla situazione denunciata. Nel momento in cui il Comitato avrà le osservazioni dello Stato, sommate alla comunicazione individuale ricevuta in precedenza, esaminerà il caso per rivolgere poi i propri suggerimenti allo Stato e all’individuo.

La figura dello Special Rapporteur La Commissione dei diritti dell’uomo nella sua 49° sessione adottò la Risoluzione n.1993/20, con la quale venne istituita una nuova importante figura: lo Special Rapporteur on Contemporary forms of racism, racial discrimination, xenophobia and related intolerance. Dal momento della sua istituzione, due sono state le persone che hanno ricoperto questo ruolo: Mr. Maurice Glèlè-Ahanhanzo del Benin, in carica dal 1993 al luglio 2002 e Mr. Doudou Diène del Senegal, attualmente in carica dall’Agosto 2002. Lo Special Rappoteur svolge un importante ruolo di monitoraggio, approfondito tramite alcune missione che il Relatore compie, in quei territori nei quali il fenomeno della discriminazione ha assunto caratteri di grande pericolosità ed evidente trasformazione dei contrasti tra popolazioni in vere e proprie guerre civili. In queste missioni il Relatore ha la possibilità di verificare concretamente il livello di discriminazione raggiunto in ogni singolo contesto e cercare così di instaurare un dialogo con le competenti autorità nazionali. Importante strumento dell’attività di monitoraggio e dialogo dello Special Rapporteur, risulta essere l’elaborazione da parte dello stesso, di un Rapporto relativo ad ogni missione svolta; importanti inoltre i Rapporti più generali che permettono di comprendere dove e come debba proseguire la lotta alla discriminazione razziale. Credo che per poter meglio comprendere l’operato del Relatore Speciale sulle forme contemporanee di razzismo, xenofobia, e intolleranza, sia importante andare ad analizzare proprio questi Rapporti. Mi vorrei soffermare in particolare sul Rapporto pubblicato il 13 Gennaio 2006, durante la 62º sessione della Commissione dei diritti dell’uomo, relativo alle “Political platforms which promote or incite racial discrimination”. È la stessa Commissione che ha invitato lo Special Rapporteur ad approfondire lo studio sulla tematica delle piattaforme (platforms) politiche che promuovono o incitano la discriminazione razziale; questo rapporto è quindi il risultato di uno studio preliminare sottoposto dal Relatore alla Commissione dei diritti dell’uomo e verifica in maniera precisa come si stia attuando una “normalizzazione” del razzismo, della discriminazione razziale e della xenofobia per scopi politici, la penetrazione di “piattaforme” politiche razziste nei partiti di estrema destra, ma anche all’interno dei programmi politici dei tradizionali partiti democratici; la preoccupante crescita di una legittimazione intellettuale di queste “paltforms”. Fin dall’introduzione egli è chiaro nel sottolineare, che il suo lavoro vuole focalizzarsi sull’analisi del background intellettuale ed ideologico delle tematiche del razzismo e della democrazia. Al punto 3, chiarisce subito, che con l’espressione “political platforms which promote or incite racial discrimination” si intendono: “all political ideologies, statements, programmes or strategies that advocate racial discrimination or racial hatred and xenophobia in order to enable certain groups to gain political power and to marginalize others in any given country”. Prosegue, spiegando come la presenza del razzismo e delle relative discriminazioni, siano indicatori di una crisi dell’intero sistema. Riporto qui il punto numero 4 dell’introduzione:

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“Racism, racial discrimination and xenophobia provide significant indicators not only of the degree of a society’s internal social cohesion but also of the nature of the system of values by which that society is governed. The general resurgence of racism, which is appearing in new forms as well as in more acute traditional forms, may therefore be taken, at the start of this third millennium, to reflect a deep political, ethical and intellectual crisis. The growing political acceptance of racism, by revealing the loss or marked erosion of fundamental values and its popular impact, is shaking the intangible foundations of the democratic system in a growing number of countries”. 9 Sono puntuali le osservazioni del Relatore: il rinascere del razzismo è il riflesso di una profonda crisi politica, etica e intellettuale. Concentrandosi in particolari su due fattori, la normalizzazione e lo sfruttamento politico della discriminazione razziale e della xenofobia e la loro legittimazione intellettuale, egli denuncia apertamente come (riferendosi al primo fattore): “The most alarming aspect of the impact of the resurgence of parties and groups with racist and xenophobic platforms is their insidious penetration of the political agendas of democratic parties under the pretext of combating terrorism, defending the “national identity”, promoting “national preference” and combating illegal immigration. This penetration leads to a generalized acceptance of racist and xenophobic statements, writings and hence deeds”; già ribadito al punto 5, dove afferma che il contesto politico e ideologico di “lotta al terrorismo”, non sta semplicemente generando nuove forme di discriminazione dovute al suo potenziale sfruttamento per fini politici, ma sta anche riuscendo ad emarginare la lotta contro il razzismo a causa della priorità politica data all’anti-terrorismo. Si sta verificando nella retorica politica di alcuni partiti democratici, un graduale cambiamento di linguaggio, concetti e sistemi di valori, che fanno riferimento alle agente politiche di movimenti e partiti xenofobi. I concetti chiave di questa retorica politica si caratterizzano per l’uso di parole chiave quali: difesa, protezione e conservazione; la prima legittimazione si fonda sul concetto stesso di nazione. La discriminazione politica, sociale, economica e culturale che viene a verificarsi, costituisce l’espressione naturale di questa retorica di difesa e di protezione nazionale. La sua legittimazione è assicurata in quanto è accettata ed utilizzata dai tradizionali partiti democratici. Questa “normalizzazione democratica” della discriminazione, molte volte avviene per motivi elettorali e iniziano così ad avere maggior spazio quelle stesse frange di estrema destra portatrici di valori xenofobi. Gradualmente, l’intero sistema, giuridico, pubblico, educativo, sociale, si impregna dell’ideologia razzista e xenofoba. Ad esempio Mr. Doudou Diène, fa notare come, durante il dibattito riguardante le recenti tensioni nelle banlieues francesi, vi siano state delle dichiarazioni di carattere chiaramente razzista. Le due personalità politiche coinvolte fanno parte dei più alti ranghi intellettuali francesi: Ms. Hélène Carrère d’Encausse, segretario della più elevata istituzione

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RACISM, RACIAL DISCRIMINATION, XENOPHOBIA AND ALL FORMS OF DISCRIMINATION Political platforms which promote or incite racial discrimination. Updated study by the Special Rapporteur on contemporary forms of racism, racial discrimination, xenophobia and related intolerance, Doudou Diène

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intellettuale francese, l’ Académie française, e Mr. Alain Finkielkraut, uno dei più importanti filosofi francesi. Mr. Doudou Diène scrive al punto 11 del Rapporto: “These two eminent personalities have opted for an ethnic interpretation of the recent unrest. In an interview with the Russian press, Ms. Hélène Carrère d’Encausse blames polygamy (among African families) as the main cause of the violence of young people in the suburbs. Mr. Finkielkraut is more specific, insofar as he asserted in an interview he gave to the Israeli paper Haaretz on 18 November 20052 that “the problem is that most of these youths are Black or Arabs, with a Muslim identity” and that “therefore it is clear that this is a revolt with an ethno-religious character”. When asked whether the crisis was a reaction to the racism of which Arab and Black youths are the victims, he replied: “I do not believe so … people say the French [football] team is very popular because it is ‘Black, White and Arab’. Actually nowadays it is ‘Black-Black-Black’, which makes it the laughing stock of Europe.” Alla fine del Rapporto ritroviamo le Conclusioni e le Raccomandazioni del Relatore. Voglio qui riportare la “dual strategy” da lui proposta per la lotta alla discriminazione razziale: “This fight must be built around a dual strategy: (a) a political and legal strategy based on the expression - at the highest level of political authority of Member States - of a political determination to combat racism, racial discrimination and xenophobia in all their forms, manifestations and expressions, accompanied by the ratification, implementation and legal transcription at national level of anti-racist international instruments and agreements, in particular the International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination and the Durban Declaration and Programme of Action; (b) an ethical, intellectual and cultural strategy, which must now be urgently implemented in order to eradicate, on the intellectual and moral front, the deep roots of the racist and xenophobic culture and mentality through education and teaching at all levels, through information and communication media (especially the Internet), through systems of value and representation, and by condemning racist and xenophobic revisionist literature”. Un Rapporto quindi all’insegna della denuncia, ma anche della piena affermazione di quanto sia importante la promozione e la protezione della diversità culturale.

Vorrei concludere citando un passo del Rapporto del 2003 di Amnesty International sulla Discriminazione, sottolineando così anche l’importanza dell’operato della Società civile organizzata contro il fenomeno della discriminazione razziale. “La discriminazione non è confinata unicamente all’interno delle istituzioni dello Stato ma può mettere radici in ogni settore della società. Contribuire a porre fine a tutte le forme di discriminazione spetta dunque a tutti: ognuno di noi può diventare protagonista di campagne contro il pregiudizio, l’ingiustizia, il bigottismo, la xenofobia; campagne per informare, per dare solidarietà alle vittime, per assisterle sul piano legale, fisico e psicologico […] dove c’è discriminazione non vi è libertà, dove c’è discriminazione non vi è giustizia. Dove c’è discriminazione non vi sono diritti umani”.10 10

Amnesty International, Discriminazione un attacco ai diritti umani, un Rapporto di Amnesty International, Roma, Marzo 2003.

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