Prospettive Panumane

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Facoltà di SCIENZE POLITICHE Curriculum: Relazioni Internazionali Diritti Umani Corso: Tutela Internazionale dei Dritti Umani Anno accademico 2004 - 2005

Prospettive panumane

Giovanni Cuccato

Introduzione Instabilità, incertezza, fanatismo. Ecco quali sono a mio parere le parole chiave del periodo che stiamo vivendo. Non si tratta della fina fine della storia (come paventato da qualcuno), ma di una fase transitoria in cui si stanno scontrando le paure di una parte del “vecchio occidente”, e i fanatismi di alcune frange del movimento islamico mediorientale. In questo inquadramento, forse troppo rigido, giocano un ruolo essenziale i fatti dell’11 settembre 2001. E’ infatti, da questo momento che si è innescata una spirale di eventi che, nell’arco di pochi mesi, ha portato George Bush e gli USA ad autoproclamarsi i “paladini della libertà mondiale” e a cominciare la crociata contro i paesi del cosiddetto “asse del male” (Afghanistan, Iraq e Iran). Nello stesso periodo, da parte dei movimenti islamici integralisti, si è assistito ad un rapido adeguamento alla situazione imposta dagli Stati Uniti, con un inasprirsi dei toni sul piano diplomatico e con il moltiplicarsi dei richiami alla Jihad da parte di personaggi come il Mullah Omar e l’Ayatollah dell’Iran Khamenei, che, grazie alla congiuntura creatasi, sono apparsi sulla ribalta internazionale (è il caso del Mullah Omar), oppure (come Khamenei) sono riapparsi sulla scena mondiale facendo da tramite a voci da qualche tempo sopite. In questo scenario, l’ONU, che incitava, e tuttora spinge, verso una soluzione mediata e pilotata attraverso il piano della legalità internazionale, è stato visto, da entrambe le parti, come una delle tante fastidiose e petulanti organizzazioni internazionali, senza nessun effettivo peso sul piano mondiale. Nonostante questo clima poco propizio, si è potuto assistere a dei grandi passi avanti compiuti dagli Stati di religione islamica, sul piano dei diritti umani e delle loro garanzie. Attraverso documenti come la “Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam” del 1990 e la “Carta araba dei diritti dell’uomo” del 1994, si è potuto assistere ad un graduale, ma continuo, processo di riconoscimento dei diritti umani nel mondo islamico, con interessanti prospettive di apertura (più o meno esplicita) verso l’ONU e le sue esternazioni in materia di diritti dell’uomo. Ciò vuol dire che i paesi promotori e sottoscrittori di questi importanti documenti, non si sono lasciati incantare dai “novelli sofisti” che come l’Ayatollah Khamenei, usando la demagogia e l’importante leva della religione, dichiaravano che “i diritti umani sono un’arma nelle mani dei senza Dio” (tratto da “Repubblica”), né si sono lasciati intimidire dai proclami guerrafondai provenienti oltreoceano, bensì hanno continuato nel cammino intrapreso decenni orsono che è cominciato con la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nell’islam” firmata presso l’UNESCO a Parigi nel 1981. Questi Stati hanno capito che “il futuro sta nel mezzo”, il futuro sta nell’”epieikeia” di cui parlava Aristotele. La strada dell’equità e della giustizia è quella dell’ONU: la via dei diritti umani.

Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nell’islam (1981) Questa, è la più datata tra le dichiarazioni sui diritti umani prodotte dagli Stati islamici. La sua firma, risale al 19 settembre 1981, presso la sede UNESCO di Parigi. La forma di questa carta, risulta particolare: il preambolo, non contiene riferimenti di alcun tipo alle carte internazionali sue diritti umani, e la sua struttura non si svolge intorno ad articoli, ma vengono elencati esplicitamente tutti i diritti che si intende proteggere e salvaguardare. Il preambolo inizia proclamando che “da oltre 14 secoli, l’Islam ha definito i diritti dell’uomo nel loro insieme e nelle loro applicazioni, con una legge divina”, è evidente come, essendo tali diritti umani immersi nella religione, questi non risultino connaturati all’uomo, ma a lui concessi per grazia divina. Poche righe dopo, come a voler riproporre l’origine divina dei diritti umani, si dice che il corollario delle garanzie necessarie alla loro protezione è già insito nel Corano. Di seguito si dipinge l’Islam come l’unica via per guidare e garantire agli 2

uomini “una vita serena e dignitosa, dove regnano il diritto, il bene, la giustizia e la pace”. Dopo aver già descritto la matrice divina dei diritti, si vuole renderli inattaccabili: viene detto che, in quanto eterni ed inscritti nel libro sacro (il Corano), questi no possono essere “soppressi, corretti, abrogati o invalidati. Si erge così una barriera adamantina intorno ai diritti dell’uomo, quello che, con una licenza, si potrebbe definire un cerchio di protezione perfetto. Si può notare come questa sia la prima Dichiarazione islamica avente come oggetto i diritti umani, da questa frase: “L’affermazione di questi diritti umani, è la condizione reale e preliminare per la costruzione di un’autentica società islamica”. E’ interessante notare come l’Islam sia considerato, i questa carta, l’unica via per l’affermazione dei diritti, il solo modo per fondare una società perfetta. Quindi, in quegli anni, la religione era vista come un “mezzo di espansione”, anche se in modo pacifico, si riscontra comunque una sorta di “volontà di dominio” espressa dai proclamatori del documento. Tramite la religione islamica, si vuole garantire l’assoluta libertà di ogni uomo. Si afferma che nella civiltà islamica sì “realizzerà un clima di libertà, al riparo da ogni costrizione, da ogni pressione, da ogni svilimento e riduzione ad una condizione di schiavitù”. Si afferma di desiderare una società che rifiuti qualsivoglia oppressione e che possa garantire a ciascuno sicurezza, libertà, dignità e giustizia. Se poi si passa all’analisi dei singoli diritti-articoli, si potrà notare come, si aggiungano i “diritti delle donne sposate” a quelli classicamente garantiti. Analizzando ogni singolo articolo, si potrà notare come i riferimenti alla religione islamica pervadano l’intera Dichiarazione, finendo poi per lasciare inalterata la situazione precedentemente vigente. Non si tenta di aprire qualche spiraglio, l’unica operazione compiuta, è il riportare passi del Corano, ai quali agganciare, o, intorno ai quali “costruire” la legalità dei diritti. Per avere un esempio di come, almeno in questa Carta, non si desideri alcun cambiamento, basta andare all’articolo 19, in cui si disciplina il “diritto di fondare una famiglia”. Questo diritto, preso nella sua sostanza è innegabile, ciò che è sotto accusa è una parte della sua formulazione. A metà del primo comma, si ha questa frase: “Ognuno degli sposi ha dei diritti e dei doveri nei confronti dell’altro che la legge islamica ha definito con esattezza – le donne hanno dei diritti pari ai loro obblighi, secondo le buone convenienze. E gli uomini hanno tuttavia una certa supremazia su di loro –“. Questo è uno degli esempi più evidenti di come, almeno nel periodo a cui risale questa Dichiarazione, non si voglia apportare alcun cambiamento allo status quo ante. Pur portando alla luce di stretta contemporaneità, come ad esempio il diritto di proprietà privata, il diritto di fede, pensiero e parola, o il diritto di resistenza, si hanno affermazioni che rimandano ad un’ottica puramente espansionista, ormai risalente ad un lontano passato. E’ il caso dell’articolo 14 che sancisce il “diritto all’invito all’Islam e di far conoscere il suo Messaggio”. Nonostante questi difetti di una certa entità, che tuttavia possono essere catalogati come incertezze dovute all’inesperienza in materia, il passo compiuto con questa Dichiarazione è stato importante. La proclamazione di questo documento, ha fatto sì che si portassero alla luce germi di novità in un ambiente che si pensava chiuso e refrattario a proposte esterne in materia di diritto dei diritti umani e che veniva ritenuto, sbagliando, incapace di elaborarne di proprie. Anche la sede della proclamazione: Parigi, l’UNESCO; ha contribuito a dare credibilità a questi fermenti che, nell’arco di meno di un ventennio da questa data, porteranno a dichiarazioni prive di riferimenti alla legge islamica, e ricche di riferimenti e aperture all’ONU e ai diritti umani modernamente intesi.

Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam (1990) La Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam, presentata il 5 agosto 1990 con risoluzione 49/19 P alla XIX Conferenza Islamica dei ministri degli esteri, costituisce una delle più importanti dichiarazioni di intenti e di principi, mai elaborate nel mondo islamico. 3

Nel suo preambolo, oltre ai classici riferimenti religiosi che tendono a dipingere la fede islamica, e la relativa comunità, come primus inter pares, si possono notare i primi, seppur timidi spiragli di apertura ai diritti umani. Sebbene, anche questi siano inquadrati nell’ottica religiosa della Sharia islamica, si afferma che la comunità islamica è desiderosa di contribuire allo sviluppo e alla protezione dei diritti umani con particolare riferimento alla libertà e a una “vita degna”. Ancora una volta, si fa riferimento alla religione, dicendo che “l’umanità…avrà sempre bisogno di fede per sostenere la sua civiltà”, si fa però un cenno anche all’automotivazione, che viene vista come la chiave per salvaguardare i propri diritti. La parte più significativa del preambolo, si ha poche righe dopo l’affermazione summenzionata, in quanto si afferma che “i diritti e le libertà fondamentali, nell’Islam, sono parte integrante della religione islamica”; di grande rilievo risulta essere anche quanto detto successivamente: “nessuno in via principio ha diritto di sospenderli in tutto o in parte o di violarli o di ignorarli, poiché essi sono diritti divini”. Come si può vedere, queste affermazioni sono di estrema importanza, sia perché si connaturano i diritti e le libertà fondamentali alla religioni islamica, sia, è questo è molto più importante, perché ad essi è addirittura conferita una matrice divina e se ne impedisce la violazione totale o parziale in quanto tali. Si è lontani dall’includere i diritti umani nelle espressioni naturali della persona in quanto uomo, ma si vede come, attraverso queste prime, tenere gemme, anche in una realtà che sembrava recalcitrante nei confronti di spinte esterne riguardanti questa materia, si stia facendo strada il percorso dei diritti umani. Questa Dichiarazione è composta da 25 articoli che non hanno raggruppamento alcuno. Vorrei procedere all’analisi del documento partendo dagli ultimi articoli (24 e 25), che per la loro natura, e per i richiami da essi operati, consentono di comprendere al meglio in che ottica si è operato per portare a compimento questo atto. Quanto affermato nel preambolo, con riferimento alla prospettiva religiosa con la quale si guarda ai diritti umani, oltre che in gran parte degli articoli della Dichiarazione, si ritrova nell’articolo 24, nel quale, si afferma che “Tutti i diritti e le libertà enunciate nella presente Dichiarazione sono soggette alla Sharia islamica”. L’articolo 25, invece, abbozza dei rudimentali, ma estremamente chiari, dispositivi d’attuazione: si dice infatti che “la Sharia islamica è la sola fonte di riferimento per l’attuazione di qualsiasi articolo della presente Dichiarazione”, va da se, che se la legge islamica è l’unica fonte a cui riferirsi per interpretare questo documento, gli unici modi per attuarla sono quelli previsti dalla stessa. Procedendo a un’osservazione degli articoli, si può notare come i diritti a cui si fa riferimento e a cui si danno attuazione e garanzia, sono numerosi. Partendo dall’articolo 1, si nota un riferimento abbastanza evidente alla Carta della Nazioni Unite, in quanto si afferma che “tutti gli esseri umani formano un’unica famiglia”, si dice altresì che tutti gli uomini (il sostantivo è usato in senso neutro) sono eguali, senza distinzione di sesso, razza o colore. Nell’articolo 2, si descrive la vita come un dono di Dio, garantito ad ogni essere umano. Interessante è, alla lettera B, l’espresso divieto del crimine di genocidio. Nel successivo articolo si vieta espressamente l’uccisione dei non belligeranti come donne, anziani e bambini. Uno dei punti più importanti della Dichiarazione è costituito dall’articolo 4, in cui si sancisce l’inviolabilità dell’essere umano (e non dell’uomo in senso stretto), sia durante la vita che dopo la morte. L’articolo 5, presenta quella che secondo questo documento è l’unità di base della società: la famiglia. Si dice altresì che l’unico modo attraverso cui questa può formarsi, è il matrimonio. Importante è l’affermazione dei diritti del bambino fatta all’articolo 7. Ancora volta, all’articolo 8, si sancisce, implicitamente, la parità tra uomo e donna: si dice infatti che “ogni essere umano (e non ogni uomo) gode di personalità giuridica” e di conseguenza questi è in grado di “contrarre obblighi giuridici”. All’articolo 10 si illustra l’obbligo, da parte dello Stato, di assicurare l’educazione. Gli articoli da 11 a 13, attestano alcuni diritti di libertà: libertà in quanto diritto per nascita e libertà di autodeterminazione (articolo 11); libertà di spostamento, scelta di residenza e richiesta di 4

asilo politico (articolo 12); libertà di scelta del lavoro – in quanto diritto garantito dallo Stato – (articolo 13). In questo articolo, viene altresì detto che non c’è differenza tra lavoro maschile e lavoro femminile e che questo, deve essere ugualmente retribuito a parità di prestazioni offerte. All’articolo 15 viene sancito uno dei diritti fondamentali: il diritto alla proprietà privata. All’articolo 18, viene palesato un diritto che indirettamente ne contiene altri: il diritto alla sicurezza personale. in questo diritto sono compresi il diritto alla privacy (esplicitamente menzionato alla lettera B di questo articolo), e il diritto, affermato alla lettera C, all’inviolabilità della propria abitazione privata. Agli articoli19 e 20, vengono descritte le garanzie individuali: l’uguaglianza di fronte alla legge e la presunzione di innocenza all’articolo 19, e il divieto di tortura e trattamenti disumani e degradanti, menzionato all’articolo 20. Un importante passo avanti nei diritti di libertà è costituito dall’articolo 22, in cui si afferma che ogni individuo può esprimere liberamente la sua opinione. Come si può vedere, le aperture, a volte nascoste, a volte visibili palesate e avanzate in questa Dichiarazione, forniscono un terreno fertile per quello che sarà il futuro dei diritti umani nell’Islam. In questo documento, possiamo altresì notare un importante passo avanti: i riferimenti alla religione, o ai passi del Corano sono notevolmente diminuiti. Anche se nel preambolo si afferma la natura divina dei diritti umani, nei successivi articoli l’impressione che si ha, è quella di voler riconoscere agli esseri umani, in quanto persone, i diritti prima loro attribuiti da un’autorità superiore. Notevoli passi avanti, sono stati fatti anche per ciò che riguarda i diritti delle donne che, in questa Dichiarazione, non sono più considerate come totalmente, o in parte sottoposte all’uomo. Come si potrà vedere nelle Carte successive, i virgulti, prima fragili, dei diritti dell’uomo, grazie a questa Dichiarazione, e all’ambiente che portò alla sua realizzazione, hanno avuto modo di crescere, fortificarsi, e infine radicarsi nei documenti e quindi nelle società successive.

Carta araba dei diritti dell'uomo (1994) La carta araba dei diritti dell'uomo, è stata adottata il 15 settembre 1994 con risoluzione 5432 dal consiglio della Lega degli Stati arabi, ma non è mai entrata in vigore. Fin dal preambolo, si può notare come in questo documento, si faccia insistente riferimento alla dignità dell'uomo; infatti si riafferma il "diritto dell'uomo ad una vita degna, fondata sulla fratellanza, la giustizia e la pace". Importante, nonostante questa carta sia stata elaborata quasi 10 anni orsono, è il richiamo alla "fratellanza", subito seguita dalla "pace", infatti, in queste due espressioni, si può notare come da parte della lega Araba, ci sia stata un'apertura nei confronti delle Nazioni Unite, che, di riflesso, può essere considerata un'apertura verso tutto il mondo. Subito dopo, si afferma che tali principi fanno riferimento alla "Sharia islamica", non come Dichiarazione di superiorità di una religione o una legge (in questo caso quella coranica) su un'altra, ma come insiti in essa stessa. E' interessante notare il richiamo alle "altre religioni celesti"; si ha quindi un'apertura, non solo nei confronti delle nazioni Unite, ma un'importante "dichiarazione di intenti" nei confronti delle altre religioni. verso la fine del preambolo, si enuncia il principio forse più importante presente nella carta: si dice, infatti, che "nel godimento da parte dell'uomo della libertà, della giustizia e dell'uguaglianza di possibilità, si misura l'autenticità di qualsiasi società". Ancora una volta si richiamano la giustizia e l'eguaglianza, in questo caso, però, in relazione all'interesse della società, e le si lega alla misura di quella che si potrebbe definire la qualità della società stessa, in cui vengono assunti come valori fondanti l'eguaglianza e la giustizia. Poco dopo, viene fatto espresso rifiuto nei confronti di razzismo e sionismo. Nell'ultima parte, oltre a ricordare la stretta correlazione tra pace e diritti umani, viene fatto esplicito riferimento alla Carta delle Nazioni Unite, alla Dichiarazione universale sui diritti dell'uomo e alle disposizioni dei due Patti delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici, 5

richiamandosi poi a quanto precedentemente affermato nella Dichiarazione del Cairo sui diritti dell'uomo nell'Islam. Oltre al citato preambolo, la Dichiarazione si compone di 43 articoli raggruppati, a loro volta, in 4 capitoli. Capitolo primo: di questo capitolo fa parte solamente il primo articolo, nel quale si enuncia il diritto all'autodeterminazione e al controllo delle risorse naturali presenti su un dato territorio. A questi due diritti, viene fatto risalire a sua volta, il diritto di un popolo di darsi liberamente un'identità politica e di perseguire una propria via di sviluppo economico e culturale. Nel secondo paragrafo, si individuano, come limitazione della libertà, il razzismo, il sionismo e la dominazione straniera, e si fa esplicito voto di operare per eliminarli completamente. Capitolo secondo: in questo capitolo sono inclusi gli articoli che vanno dal 2 al 39. E' questa la parte della Carta in cui vengono enunciati i principali diritti, inerenti alle singole persone, che che questo documento si propone di garantire e proteggee. Una delle affermazioni più importanti, si ha all'articolo 3, nel quale si dice che nessuno potrà stabilire deroghe ai diritti umani stabiliti in questa Carta. L'articolo 4, disciplina eventuali eccezioni al principio stabilito all'articolo 3; si dice, infatti, che solo in caso di "pericolo per la nazione" ed esclusivamente per un limitato periodo di tempo, si potranno prendere provvedimenti di revoca degli obblighi per gli Stati parte, derivanti dal presente documento. Dall'articolo 6 all'articolo 12, vengono riconosciuti e disciplinati i diritti relativi alla giustizia e all'equo processo. In particolare, si noti come viene enunciata la retroattività, favorevole al condannato, della presente carta (articolo 6). Da notare sono: la presunzione di innocenza (articolo 7); il diritto di uguaglianza davanti alla legge per tutte le persone (articolo 9). Interessante, a questo proposito, è l'uso del termine "persone" e non "uomini", perchè, in questo, si può ravvisare un distaccamento dalla prospettiva maschilista. Ben tre articoli vengono dedicati alla pena di morte (10, 11, 12). Questa viene ammessa solo per reati di estrema gravità (articolo 10), non è ammessa in nessun caso per i crimini politici (articolo 11) e non può essere comminata ai soggetti elencati all'articolo 12 (minori di 18 anni, donne incinte o con piccoli di età inferiore a due anni). Agli articoli 13 e 15, vengono ripudiati i trattamenti disumani o degradanti nei confronti di tutte le persone (compresi i detenuti) presenti sul territorio degli Stati firmatari di questo Documento. Molto importanti sono gli articoli 17 e 18 ch sanciscono rispettivamente l'inviolabilità della sfera privata (articolo 17), e l'attribuzione di personalità giuridica a ciascun individuo (articolo 18). Gli articoli da 19 a 22 enunciano i diritti connessi alla cittadinanza e alla residenza. All'articolo 23, viene garantito, a tutti i cittadini, il diritto di chiedere asilo politico contro le persecuzioni; al secondo comma, si dice che i rifugiati politici non possono essere estradati. Molto importante è l'articolo 25 nel quale si rende palese il diritto alla proprietà prvata, mentre, agli articoli 26 e 27, vengono predisposte la garanzia e la tutela della libertà di pensiero e di opinione personale (articolo 26) e della libertà di culto (articolo 27). All' articolo 29 si garantiscono il diritto di costituire sindacati e il diritto di sciopero. L'articolo 32 sanciscono la parità delle possibilità di lavoro e l'uguaglianza di retribuzione (per le donne), per il lavoro di uguale valore. Questo segna un importante punto a favore delle donne e delle minoranze, che, grazie a quanto detto nel presente articolo, smettono di essere considerate minus habens. Negli articoli da 34 a 37, viene descritto il diritto all'istruzione: si riconosce come doverosa, da parte dello Stato, la lotta all'analfabetismo, si abbozzano le garanzie per "un'atmosfera intellettuale che possa essere fiera del nazionalismo arabo"; si dice che ogni persona deve poter partecipare liberamente alla vita culturale e si garantisce, anche alle minoranze, il diritto alla prorpia identità culturale e religiosa. All'articolo 38, la famiglia viene elevata al rango di entità fondamentale della società; nello stesso articolo, si riconosce particolare tutela alla famiglia stessa, alla maternità e alla vecchiaia.

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Capitolo terzo: comprende gli articoli 40 e 41. in questa parte viene disciplinata la machinery e successivamente, viene predisposto l’invio a un apposito comitato di esperti sui diritti umani, di appositi rapporti triennali per monitorare la situazione sui diritti umani negli Stati membri. Capitolo quarto: comprende gli articoli 42 e 43, esso illustra le modalità di ratifica e i dispositivi di attuazione della presente Carta. Rispetto agli altri documenti redatti da paesi arabi, aventi come oggetto i diritti umani, questo, sembra avere una spinta e una portata maggiori, frutto, sia dell’evoluzione cui la materia è stata sottoposta, sia del contributo, in questo caso dato dagli esperti delle Nazioni Unite, che hanno partecipato alla realizzazione del presente documento.

Carta araba dei diritti dell’uomo (revised charter 2004) Quando i capi delle nazioni appartenenti alla lega araba si incontrarono a Tunisi, venne loro chiesto di considerare numero si emendamenti alla carta araba dei diritti umani del 1994. Le variazioni apportate alla Carta, riguardano il diritto individuale alla vita, il diritto al giusto processo, lo stato legale dei crimini e delle loro punizioni, il diritto all’asilo politico senza estradizione, la proibizione di tortura, deportazione, e revoca della cittadinanza. In questo revised charter, viene fatto riferimento più esplicito al diritto uguale retribuzione per lavoro di uguale valore di uomini e donne. Nonostante alcuni Stati non considerino, le modifiche apportate, di grande valore, l’importanza degli emendamenti apportati non deve essere sotto valutata. Va considerato il fatto che la maggior parte degli emendamenti è stata fatta sotto proposta di un comitato indipendente di esperti arabi sui diritti umani. In ogni caso, le varianti adottate, devono incrementare la “vita dei diritti umani”, pena l’impossibilità di costruire un sistema regionale integrato efficace. Nonostante il lavoro svolto dagli Stati sia degno di nota, ci hanno, in questo “revised charter”, alcune ombre: non tutti i pareri degli esperti arabi sono stati trasformati in modifiche, specialmente nelle parti in cui veniva richiesto ai governi di non sospendere le garanzie riguardanti i diritti umani derivanti da questo documento, nemmeno in caso di “di sicurezza nazionale ed economica, ordine pubblico e pubblica emergenza”. Inoltre, la “nuova carta” deficita di innovazioni per quanto riguarda la machinery attuativa che rispetto al documento del 1994, non è stata modificata e rinforzata. Anche se le modifiche apportate da questo “revised charter” possono sembrare ben poca cosa rispetto alle aspettative e ai bisogni della regione, va comunque considerato il fatto che se ratificati, questi emendamenti costituiranno un importante passo per la democratizzazione della regione araba. Durante il vertice che ha portato a questo nuovo atto, è stato detto che “il nuovo capitolo dei diritti umani, è stato scritto dagli arabi per gli arabi”, la ratifica degli emendamenti alla “Carta araba dei diritti dell’uomo” del 1994, potrebbe significare un serio passo avanti, di questa regione e degli Stati in essa presenti, verso i diritti umani. Gli strumenti di ratifica necessari per l’entrata in vigore di questo documento sono sette (come lo erano per la Carta emendata), Tunisia e Marocco hanno già depositato i loro strumenti adesione, se altri cinque, o più Stati dovessero riconoscere questo “revised charter”, l’effetto sarebbe quello di dimostrare che il punto di vista dell’ammistrazione Bush è sbagliato e che, per portare la pace e i diritti umani nel medio oriente islamico non è necessaria la guerra, è solo necessario che le varie situazioni si evolvano e che i diritti dell’uomo vengano legalmente incanalati nella loro direzione naturale.

Commento raffrontativo In questa finestra, che ha voluto tracciare un quadro generale della materia, la parola chiave è evoluzione. Proprio come avrebbe potuto fare un essere vivente, i diritti umani si 7

sono evoluti, percorrendo vari passaggi, scartando le realtà oggettive a loro inutili, adattandosi alle situazioni e, perché no, modificando l’ambiente circostante. Questo, grazie ai pochi spazi inizialmente concessi alla materia, attraverso un lento e delicato processo di incuneamento interstiziale. Se si parte dalla Dichiarazione del 1981, si può notare come questa si letteralmente intrisa di religione, completamente permeata di retorica islamica e da questa imbrigliata. Parte di questi “lacci” sono stati tolti infatti, pochi anni dopo, con la Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam, in cui si hanno ancora riferimenti alla religione e alla legge cranica, questi sono meno vigorosi: anche se negli ultimi articoli si afferma che tutta la Dichiarazione va letta e interpretata in base alla Sharia, si vede come i pochi spazi offerti dal precedente documento, siano stati sfruttati, per inserire in maniera tecnica e più credibile, principi di human rights. Questo a riprova del fatto che in qualsiasi ambiente si trovino, i diritti umani, finiscono per essere un fenomeno inarrestabile, che riesce a scalfire anche la più dura e intransigente delle opposizioni. Si approda, poi, alla Carta Araba dei diritti dell’uomo del 1994. Uno dei punti più importanti, è costituito dal fatto che questo documento è quasi del tutto scevro da riferimenti religiosi. Per dare attuazione a questa Carta, si predispongono specifici treaty bodies, e non ci si affida più a quanto detto dalla Sharia, come invece si faceva nei precedenti documenti. I riferimenti a quest’ultima, si hanno solo quando si vogliono riprendere i concetti di equità, pace e giustizia in essa presenti e, anche in questo caso, non si parla più solo ed esclusivamente della religione e della comunità islamica, ma si fa altresì riferimento alle altre “religioni celesti”. L’ultimo capitolo, per ora, della saga dei diritti umani nell’Islam, è costituito dal “Revised Charter” della Carta del 1994. Quest’ultimo documento, approvato nel Summit di Tunisi nel Maggio 2004, apporta sostanziali miglioramenti alle parti più sensibili del documento, portando così ad avere un sostanziale miglioramento delle garanzie prima previste dalla Carta Araba dei diritti dell’uomo del 1994. Importante, ai fini di questo “salto di qualità”, è stato il contributo di un gruppo di esperti, arabi indipendenti, in materia di diritti umani che, hanno proposto cambiamenti in materie quali il diritto individuale alla vita, il diritto al giusto processo, lo stato legale dei crimini e delle loro punizioni, il diritto all’asilo politico senza estradizione, la proibizione di tortura, deportazione, e revoca della cittadinanza. Evoluzione anche nel modo di intendere la condizione di determinati soggetti, come ad esempio la donna. Se si guardano i quattro documenti, non si può non notare come questa particolare categoria sia stata oggetto di un cambiamento di status quasi radicale: si passa da una condizione della donna caratterizzata da una sua subordinazione all’uomo (nel documento del 1981), a quella di un soggetto avente pari diritti e pari doveri rispetto all’uomo, a un soggetto, avente precisa personalità giuridica, a cui vengono riconosciuti, e rinforzati, oltre che uguali diritti a quelli spettanti all’uomo, anche uno status particolare derivante dalla sua particolare condizione. I cambiamenti riscontrabili sono molti, nei più diversi campi (anche nell’ordine stesso degli articoli), e tutti sono stati possibili dall’insistente spinta dei diritti umani. In una realtà particolare come quella islamica, i passi avanti operati in questi pochi anni sono stati più che apprezzabili. In questo contesto, in cui prevalgono le consuetudini (spesso pluricentenarie) sulla legge scritta, dove lo Stato è subordinato al diritto della legge coranica, e dove la religione è fortemente sentita e molto presente nella società, i risultati che si stanno avendo sono più che positivi. Ora, si tende a secolarizzare i valori religiosi e a concedere maggior voce ai movimenti che si fanno promotori di spinte innovative. Il Revised Charter della Carta Araba dei diritti dell’uomo, per entrare in vigore, richiede sette ratifiche, al momento, però, solo due Stati hanno depositato i loro strumenti di adesione: Tunisia e Marocco. Una volta che sette Stati avranno dato il loro consenso ad aderire al documento, si avrà un’intera area di importanza strategica, dedita alla protezione e alla garanzia dei diritti umani, un’altra “regione” a cui l’ONU potrebbe appoggiarsi per portare

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avanti un ambizioso progetto: mondializzare i diritti umani, per poi renderli coercitivi nei confronti degli Stati e completamente agibili da ogni individuo.

Conclusioni (…eppur si muove…) In un periodo in cui si sta facendo strada, sempre più prepotentemente, il regionalismo, è impensabile continuare a mantenere un modello di gerarchia strettamente verticale (frutto delle macerie del mondo bipolare della guerra fredda), in cui un’unica superpotenza vuole affermarsi in modo egemone sul resto del mondo, tendendo, e a volte tentando di soverchiare tutti gli organismi inter e sovra-nazionali. E’ in questo clima, anche grazie alla partecipazione e alla collaborazione di importanti enti regionali come il Consiglio d’Europa, la Lega degli Stati Arabi e l’unione Africana, l’ONU potrebbe trovare la via per un’integrazione orizzontale mondiale. A mio parere, i tempi sono maturi per attuare il progetto di universalizzazione dei diritti umani che, come si è visto, hanno attecchito anche in terreni che in apparenza erano ostici, come ad esempio quello arabo. L’ONU, guardando a tutto questo, potrebbe guidare questa “crociata per i diritti”, proponendosi, in virtù della sua caleidoscopica composizione, come unico e vero paladino della libertà, della pace e della giustizia. Quella che in molti definiscono come la “battaglia di Don Chisciotte contro i mulini a vento”, si sta rivelando in tutta la sua proponente realtà. La mondializzazione dei diritti ha avuto inizio, adesso è il momento di dare una svolta: ora è il tempo dell’ONU e dei diritti umani.

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Bibliografia essenziale 1. “Metodo, diritto, politica”, Franco Todescan; 2. “Stato del mondo 1998”; 3. “Raccolta di strumenti internazionali sui diritti umani”, Centro diritti Umani Università di Padova; 4. “Le relazioni internazionali nell’era dell’interdipendenza e dei diritti umani”, Antonio Papisca, Marco Mascia; 5. “La protezione internazionale dei diritti dell’uomo”, Claudio Zanghì; 6. www.arableagueonline.org 7. http://billfisher.blogspot.com/2004/03/opportunity-for-arab-league.html 8. www.centrodirittiumani.unipd.it 9. www.humanrightsfirst.org 10. www.studiperlapace.it

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