Diritto Di Comparsa

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Diritto di comparsa Felice del progetto ad arte studiato, siedo ai piedi del letto nella stanza sparuta e rifletto. Io ho sempre letto che uomini saggi e molto colti hanno detto che ognuno su questa terra ha diritto ad avere un “quarto d’ora” di rinomanza. Penso e ripenso alla mia vita anonima e vuota di fatti ed eventi, ai quindici lustri vissuti senza alcun apprezzamento di amici e parenti o personaggi importanti. Ora, diventata di peso, dopo anni spesi a lavare e lustrare, congiunti e parenti hanno pensato che era giunto il momento del meritato riposo. Con grande accortezza sono venuti a proporre ed imporre ricoveri ameni e gaie compagnie in luoghi scelti con cura. Serve la casa… e lasciare sola una vecchia indifesa potrebbe dare preoccupazioni e gravi contrizioni. Allora, con dire suadente ed affetto coinvolgente obbligano me, ormai fuori uso, al requie dovuto. Con quattro carabattole in valigia lancio lo sguardo finale all’angolo sbrecciato della testiera del letto, al materasso affossato, allo specchio scurito dal tempo, che aveva rifranto dalla prima all’estrema ruga, alla poltrona sdrucita che porta ancora l’impronta del corpo invecchiato. Anche il lavandino è macchiato dell’ultima acqua e gli armadietti ingrigiti della cucina dallo sportello minuto lasciano ancora vedere le ultime briciole di un pane da tempo indurito. Allegre voci argentine invitano a mettere fine alle ciance, ad affrettarsi perché scade l’ora richiesta al capo pignolo e, inoltre, le brave suorine aspettano ansiose l’anziana signora. Una lacrima scivola, presto asciugata, ed un sorriso radioso illumina il viso che si proietta in quel futuro di fulgore splendente. Lì, nella casa del lungo riposo l’aria è amena e il giardino pulito e le giornate monotone e vuote. Ma le gambe sono ancora buone e il pensiero brillante. Aspetto da anni il mio momento di notorietà, ma non vedo come ci possa essere una sola possibilità. Un giorno… brilla, fibrilla, scintilla un pensiero. Con un unico gesto posso sollevare prole e discendenze da visite affettuose ad una vecchia barbosa e strappare un favore alla vita affannosa. Penso allora di organizzare il mio gran funerale e vedere, finalmente protagonista, il vero volto dell’umanità. Il giorno dopo l’illuminazione, mi vesto con calma, prendo borsa e cappotto e con accortezza anche l’ombrello. Poi, esco sicura dal cancello della casa del meritato riposo. Armata di cellulare compongo il numero delle auto pubbliche. Chiedo alla voce cortese una macchina scura con cui mi faccio presto accompagnare all’agenzia che organizza i più bei funerali. Cortese un signore mi accoglie con un sorriso, tanto quello non costa, o forse sì, viste le cifre. A lui espongo il mio caso. Fa un passo indietro stranito dall’insana richiesta e poiché la vita mi ha insegnato che col denaro tutto si può conquistare, e quindi anche un funerale, aggiungo alla somma pattuita un altro milione. 1

Strizza l’occhio il correo e sciorina la lista delle casse da morto, che con un po’ di accortezza e sana ragione può dopo recuperare e guadagnare ancora parecchi milioni. Scelgo quella imbottita di piume e di un bel colore rosato, di legno di noce all’esterno e scolpita con croci e madonne e quattro lucenti borchie di rame tutt’intorno per rendere agevole non solo il trasporto ma anche la tumulazione. Non voglio proprio risparmiare ed ordino dei fiori: bianche orchidee intrecciate con cura alle rose. E per la chiesa tre preti in eleganti abiti talari, viola, per intonarsi all’imbottitura. Aggiungo qualcosa per il canto gregoriano, perché pretendo che la commozione prenda tutti alla gola. Organizzo nei particolari, compreso l’annuncio ai familiari: il giorno prima. Tanto nessuno vuole vedere una vecchia stecchita. Basta la parola di un becchino ben prezzolato. Conteggio le cifre. Il rendiconto ancora mi consente molte spese, quindi firmo non certo confusa tutte le carte e molto appagata torno in “convento”. La suora sorridendo mi offre il buon giorno ed io ricambio felice e contenta. Ma un altro pensiero brucia la mente. Nessuno aveva pensato nel trambusto del trasferimento che ori e brillanti, gioie e monili erano ancora nel bauletto che avevo nascosto sotto il letto e che furtiva avevo portato con me per donarli un giorno alle ragazze dei figli solerti. Così, il giorno appresso ripeto il cerimoniale. Col cellulare richiamo il tassista e con un’ auto di lusso mi faccio accompagnare dal gioielliere. Gentile e affettato mi apre la porta blindata. Dico che ad una vecchia stantia non servono gioie e che, pertanto, voglio disfarmi di gemme e pietre preziose. Il bottegaio tira sul prezzo con mille scuse, ma, io con astuzia sostengo che altri esercenti sono pronti ad offrire la cifra che chiedo. Tra un tira e molla, un sorriso e un litigio concludiamo l’accordo. Col portafogli rigonfio di biglietti al tatto scroscianti rientro soddisfatta in “convento”. Conto i giorni e le ore e intanto preparo le poche cose in valigia. Nell’ora fissata mi vesto con cura di nero e metto un cappello con la veletta molto fitta. Dico alla suora che vado ad un funerale e che accetto l’invito dei familiari per il pranzo d’addio al caro congiunto e, dunque, porto alcune cose nella mia sacca, per ogni evenienza. Richiamo il tassista ed indico la via dove voglio andare. Il brav’ uomo si imbroglia e si sbroglia, non so quanto ad arte, nel traffico confuso e con stridore di freni mi lascia davanti al duomo magnifico. Lascio una mancia munifica. Poi, girando lo sguardo, vedo appoggiate alle sei colonne della facciata del duomo, sei corone di fiori. Rattengo il respiro per lo stupore di tanta bellezza. Bianche orchidee screziate di rosa si intrecciano a ramoscelli di rosse rose canine di serra. Sono davvero uno splendore! Ho fatto bene a non risparmiare. 2

Il tutto, infatti, è adagiato su una corona di due rami di palma dalle foglie appuntite e piegate a formare un ovale. Sorrido di gusto sul venerabile simbolo. Prima di Cristo, di sapienza e bellezza. Dopo Cristo, di martirio e vittoria. A me si presenta impellente una scelta, e siccome voglio fare le cose in grande, li unisco tutti insieme. Tanto per l’estremo teatro tutto fa brodo. Davanti a quei fiori, inoltre, vedo un carro funebre lucidato di fresco di almeno sei metri, grigio metallizzato, già vuoto del suo contenuto. Qua e là gruppi di uomini in abiti scuri parlano fitto tra loro. Attratti dal nero lutto volgono appena lo sguardo a me, signora velata e addolorata e certamente straniera, forse sorella della cara estinta. Con passo imponente e animo compiaciuto mi dirigo all’interno. Già la nenia del canto gregoriano si diffonde nell’aria densa d’aroma d’incenso. Mi compiaccio dell’astuto espediente. Almeno una volta nella mia vita sarò al centro dell’attenzione di figli, amici dei figli, miei amici e parenti. Tutti in gramaglie. In fondo alla chiesa, proprio sotto l’altare, su quattro piedistalli istoriati, il feretro di noce chiara, su cui fa bella mostra un cuscino di soli lilium gialli. Bellissima chiazza di colore squillante tra il nero di visi e vestiti. Entro silenziosa, in tutto appagata dell’originale misfatto. In punta di piedi, per farmi poco notare, passo da una navata laterale e mi siedo compunta in un banco di terza fila, proprio in punta, in modo da avere sotto gli occhi tutto il grande dolore dei miei più vicini collaterali di sangue e di legge e potere ascoltare il dire afflitto e sconsolato, dopo un evento così inaspettato, visto che, nonostante i miei lustri, la salute non mi faceva difetto e visto che l’ultima recita che accompagna un’esistenza verso l’eterno silenzio sembrava ancora tanto lontana. “Eppure - penseranno in tanti - uno schiocco di dita e passa la vita degli altri, il respiro affannoso, greve di parole mai dette di frasi ormai sfatte, di illusioni rarefatte. Un passo da lì e l’oltre “li” inghiotte.” Una lacrima brilla, se pensi che tale evento è fatto anche per te, ma in questo momento la pena è lenita perché per fortuna la sorte è toccata ad un altro. Adesso, è necessario consolare il familiare che è stato privato di un affetto importante, almeno per il momento. Il canto gregoriano, intanto, risuona armonioso nelle navate, e i cuori pietosi sono oppressi da pena leggera. La povera salma aveva avuto una vita serena: lavoro conveniente, marito affettuoso, figli intelligenti, nuore pazienti che col tatto dovuto l’avevano condotta nella bella dimora per il conquistato ritiro dal mondo. Osservo, comprensiva, il catafalco elegante. La stessa idea fissa: “Almeno una volta sono al centro dell’attenzione, perchè il pensiero di tutti è rivolto all’estinta, non foss’altro che per il bel funerale!” Ognuno loda, ognuno apprezza e si consola. Intanto un suono argentino annuncia che la funerea funzione è vicina. Tre preti abituati al compianto iniziano il rito certo un po’ lungo, forse avrei dovuto dare un taglio più corto. Ma, non ho voluto privarmi di nulla. Finalmente uno dei tre, fra canti e preghiere, inizia il sermone che incanta gli astanti nel sentire decantare le virtù di quella santa. 3

Chissà perché tutti da morti abbiamo avuto una vita giusta, retta ed onesta. Ora, ognuno compunto dà ragione al predicatore e annuisce con gesti graziosi della testa. Finita l’omelia i sacerdoti preparano la comunione. Si mettono in fila prima i miei tre maschi agghindati con abito scuro e candide camicie, a fianco le loro consorti in abito nero, forse acquistato per l’occasione, o forse riciclato da qualche altra più allegra situazione. Al seguito nipoti e pronipoti, amici e parenti. Inghiottita la bianca particola in requiem di una donna di specchiata virtù, tutti commossi tornano in fila al posto di prima. Dopo un minuto il mio vicino guarda il telefonino, quasi si strozza per lo sbadiglio bloccato. Nell’altra fila riconosco il parente che con fare prudente guarda il suo swatch all’ultima voga. Finita la messa, inizia la cerimonia della benedizione alla bara dell’estinta già tanto cara. Quindi, a funzione finita, sono tutti sollevati. Ma, comincia il ballo del bacio ai congiunti, il “Coraggio, la vita continua, è stata una buona donna ed una madre esemplare”, si sprecano, da parte di tutti. Ma niente è ancora concluso. I becchini, abituati alla coreografia, spingono il feretro verso l’uscita tra due ali di folla. Un fragore di mani battute sorprende anima e mente. “Com’è bello! - rifletto - Nemmeno ai compleanni nessuno aveva mai applaudito perché tutti, regolarmente, avevano dimenticato la fausta giornata. Ma oggi è giorno speciale. Almeno un battimani bisogna in cielo portare, altrimenti il buon dio come fa a capire che deve aprire il portone?” Poco dopo, tutti in ordine sparso vanno verso l’uscita, il feretro in testa. Lì nella strada ritorna l’assetto studiato, prima i figli in gran pianto, poi le nuore di nero vestite, ed infine i nipoti, i parenti, gli amici. Mi mescolo al tutto e attente le orecchie. Dice la vecchia alla cugina che la morta litigava ogni mattina con la vicina, perché, importuna, guardava con occhi adoranti il figlio virtuoso, anche se lei sulla virtù di colei che fu aveva un qualche dubbio preciso. Con beffarda agilità mi sposto un po’ più in là e chi ti vedo? L’avvocato di grido, anche lui molto invecchiato, che dice all’amico: “Gran bella donna nel tempo di scegliere fiore da fiore. Io l’ho sempre ammirata, anzi una volta con lei ho ballato e nel giro di danza l’ho stretta alla vita. Lei, forse, ci stava. Era nel pieno fulgore e fremeva nel frenetico ritmo. Come tutto passa e sfiorisce!” Lascio che ognuno vada avanti e mi trovo confusa col gruppo dei saggi. Dice l’amico sapiente all’amico: “Il mondo è creazione dell’io, che ha preso il posto di Dio. Ma è pure vero che il mondo sta lì, perché non c’è colore senza estensione, così come non c’è una nota senza durata. E se l’uomo non ha metro opportuno per misurare estensione e durata, la colpa non è di nessuno. Tocca alla mente inventare leggi e precetti che puntualmente altri soggetti si danno da fare a demolire e così fino alla fine. 4

Allora perché tanta afflizione se tutto finisce con un funerale?” Ecco! Rifletto: “Se il mondo è creazione dell’io, a me tocca ideare l’estremo saluto. Almeno una volta nella mia vita, nel bene e nel male, sono una star.” Affretto il passo, costeggio il corteo e dritta punto sulle mie nuore in gramaglie. I fazzoletti di carta non fanno loro difetto sugli occhi arrossati. Contenta mi dico che forse ho lasciato un dolce ricordo. La prima della fila asciuga l’ultima stilla e dice all’altra: “La cara mamma, ricordo, teneva in cassaforte gioielli e brillanti. Tu sai se tuo marito è stato avveduto a nascondere l’oro quando l’anima buona viveva in casa ed era esposta al rischio del furto?” “Nulla io so - dice compunta – ma stasera chiederò.” E la terza: “Io ero affascinata dai due pendenti di rossi rubini e dalla spilla di diamanti splendente. Su via, stiamo zitte che non è il momento di pensare ai brillanti. Domani poi si vedrà.” I loro mariti ingrigiti dal grande dolore seguono muti il feretro chiaro, in cuore contenti che la loro mamma, con la previdenza che sempre in vita l’aveva distinta, aveva pagato di già quel funerale importante che non li faceva sfigurare per niente davanti agli amici e ai parenti. Faccio un passo indietro senza farmi notare e guardo la sfilza dei cari nipoti. Loro, scevri ancora di interessi e denaro, versano forse lacrime vere anche perché la scena vissuta ha per loro il sapore del nuovo ed è stata architettata per indurre a compassione gli animi non ancora traviati da interessi privati. Rincuorata da questo quadro, lascio che passino altre persone. “Io conoscevo da sempre quell’anima buona, che, spesso, non vista, dava denaro al povero cristo che lavava i vetri per strada. Di sicuro il marito era molto in vista e a fine mese portava una busta non certo carente di molti biglietti. Così va la vita! Chi fa opere buone non sempre è ricambiata col bene.” Dice la parente dell’amica all’altra amica. Mentre il dottore paziente, anche lui già avanti con gli anni, dice all’anziana signora: “Che donna magnifica! Io tante volte l’ho pure spogliata e qualche pensiero impudico mi è certo passato per la mente impaziente. Anzi una volta glielo ho detto persino e lei… ” Adesso, sono stanca del lungo percorso, dove, ciascuno a suo modo, è stato primo attore nella mia vita. Rallento il passo e lascio passare tutto il corteo in modo da guadagnare la strada. In fondo alla fila il mio sguardo si posa su un vecchio smagrito con un fazzoletto a quadretti nella mano tenuto e i calzoni sdruciti. Asciuga lacrime certo sentite. Faccio mente locale e… riconosco il ragazzo del primo amore, che non comprendo come è venuto a sapere della notizia ferale. Lo guardo nel sole coi neri capelli ricciuti. Lo sento nel vento in corse sfrenate su spiagge assolate. Lo tocco nel corpo su letti di piume. Lo strappo al destino. 5

Piange davvero per me, certo perché la realtà è stata vissuta solo a metà. Vorrei allungare una mano sulla spalla minuta, ma ancora una volta il caso ha detto di no. Giro lo sguardo e una lacrima sfugge. Intanto, la recita va avanti come se la cara estinta mai avesse occupato un punto qualunque di questa terra. Adesso, caso opportuno, c’è in fondo alla via un’agenzia di viaggi lussuosi. Il portamonete è fornito, il passaporto bollato. Entro decisa ed ordino un viaggio dispendioso per… No! Faccio ancora una volta mente locale. Guardo quell’ uomo smagrito che ha già lasciato il corteo e… ordino per due. Pretendo un momento. Alzo la veletta e corro incontro…

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