Dialoghi Di Diritto Rio

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IVAN PARADISI

LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO (parte speciale)

Facoltà di Economia, “La Sapienza” sede di Latina Anno accademico 2007/2008

e-mail: [email protected] . Sito web: www.freewebs.com/ivanparadisi

Premessa Contenuto di queste pagine sono lezioni di Diritto Tributario. Per questo motivo il presente lavoro non ha le pretese di sistematicità e di organicità di un manuale o di un trattato, ma è pensato specificatamente come supporto didattico per gli studenti ed in particolare di una facoltà di Economia. L’autore

a Fernando

CAPITOLO PRIMO LE IMPOSTE SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE

1.1 Nozioni economiche di reddito. In sostanza, esistono tre diverse nozioni di reddito dal punto di vista economico: REDDITO-PRODOTTO. Si intende, con ciò, il reddito derivante da una fonte produttiva; REDDITO-ENTRATA. E’ un concetto piu’ ampio del precedente che considera, appunto, reddito qualsiasi variazione incrementativa del patrimonio, qualunque sia la sua fonte. REDDITO-CONSUMO. Teorizzato per far fronte alla necessita’ di evitare una “doppia imposizione” del risparmio.

1.2 Patrimonio. Nozione

Per patrimonio intendiamo il complesso delle situazioni soggettive a contenuto economico che fanno capo ad un determinato soggetto, in un determinato momento (crediti, debiti ecc.). Esso, quindi, a differenza del reddito e’ un concetto “statico”: il patrimonio rappresenta cio’ che si ha (stock) mentre il reddito cio’ che si acquista (flusso). Il legislatore si preoccupa, pero’, di tassare non gia’ ogni incremento di patrimonio, ma soltanto cio’ che non rappresenta una mera reintegrazione di esso: esiste, quindi, una differenza tra’ quelle che sono “entrate patrimoniali” ed “entrate reddituali”. Il legislatore, stabilisce infatti che sono tassabili “i proventi conseguiti in sostituzione di redditi o le indennita’ conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi”. Sono, quindi, tassabili i proventi o le indennita’ che “sostituiscono” entrate reddituali mentre non lo sono i proventi e le indennita’ che “reintegrano” entrate o perdite patrimoniali. Quindi, e’ certamente tassabile il risarcimento per il c.d. lucro cessante e non quello per il danno emergente.

Il legislatore fiscale non fornisce una sua definizione di reddito ma si limita, infatti, ad indicare sei categorie reddituali ordinate in base alle loro “fonti” quali: -

REDDITI FONDIARI; REDDITI DA CAPITALE; REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE; REDDITI DA LAVORO AUTONOMO; REDDITI D’IMPRESA; REDDITI DIVERSI;

Il lettore puo’ facilmente intuire che il criterio utilizzato dal legislatore fiscale e’ fondamentalmente quello del REDDITO-PRODOTTO (almeno per le prime cinque categorie) ma, data l’esigenza di ricomprendere tutta la materia imponibile egli utilizza, in via residuale, anche il criterio del REDDITO-ENTRATA.

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1.3 Il presupposto del prelievo fiscale.

1.5 Il “trattamento” fiscale degli interessi.

Con il termine presupposto si vuole indicare il “fatto”, o meglio la “condizione” che, verificatasi, giustifica il prelievo di ricchezza da parte dell’amministrazione finanziaria. Ebbene, presupposto per l’IRPEF e l’IRES, in base al nostro ordinamento, e’ il “possesso” di reddito. Possesso che non va’, pero’, inteso nel senso “civilistico” del termine: si tratta di un rinvio ai criteri di imputazione soggettiva e temporale riferiti alle singole categorie di reddito. Per possesso, quindi, intendiamo cio’ che “determina” il prelievo, come la “percezione” (per i redditi tassati secondo un “principio di cassa” quali i redditi di capitale, da lavoro e diversi), nonche’ il possesso di una apparato produttivo o di un immobile/terreno per le altre categorie.

Il testo unico precisa:

1.4 Il reddito di provenienza illecita.

Una particolare categoria e’, infine, rappresentata dal reddito proveniente da una attivita’ illecita. Ebbene, in passato si riteneva, per varie ragioni, che tali redditi non potessero essere suscettibili di imposizione fiscale: il legislatore, infatti, riteneva che una attivita’ illecita non potesse essere una fonte di reddito e poi, tra l’altro, i redditi da attivita’ illecita non potevano ritenersi “posseduti” perche’ soggetti a sequesto o confisca (veniva meno il pressupposto). Il legislatore e’ attualmente intervenuto sul punto stabilendo che “devono intendersi ricompresi, nelle categorie di reddito considerate dal Testo Unico, anche i proventi derivanti da fatti od atti qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo, se non gia’ sottoposti a sequestro o confisca penale*”.

___________________________________________________________________ *In quest’ultimo caso verebbe meno il “possesso”.

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“Gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati” Un trattamento diverso, invece, e’ riservato ai c.d. interessi compensativi. Il diritto di tributario ne riconosce due categorie: quelli maturati su tributi erroneamente versati e quelli che maturano sul deposito cauzionale. Entrambe non vengono tassati in quanto si ritiene che siano delle mere reintegrazioni patrimoniali. E’ dubbio, invece, se questo tipo di interessi debba essere tassato quando percepiti da un imprenditore.

1.6 Soggetto passivo e residenza “fiscale”.

Soggetto passivo (del rapporto tributario) e’, di regola, il contribuente. In via generale, infatti, soggetto passivo e’ colui che viene “colpito” dal prelievo fiscale. Ovviamente, per essere “soggetti passivi” nel rapporto tributario col fisco italiano bisogna che siano soddisfatte alcune condizioni* in capo al soggetto quali: -

COMUNE DI ISCRIZIONE ANAGRAFICA ITALIANO; DOMICILIO (CIVILISTICO) IN ITALIA; RESIDENZA (CIVILISTICA) IN ITALIA;

Queste tre condizioni non debbono essere rispettate contemporaneamente e per tutto il periodo d’imposta: e’ necessario, infatti, che sussista una sola di queste condizioni, per un periodo di tempo che rappresenti la maggior parte del periodo di imposta, per essere considerato soggetto passivo dal fisco italiano.

4 Inoltre, nel caso del domicilio (che puo’ essere anche il posto di lavoro) tra gli “interessi” contemplati dalla definizione civilistica del termine, secondo la cassazione, rientrano anche quelli “affettivi”: quindi, un emigrato italiano che risiede all’estero potrebbe essere considerato domiciliato in italia se e’ in Italia che risiede la sua famiglia. Interessanti, infine, sono i principi in base ai quali l’amministrazione finanziaria “tassa” i residenti e i non residenti (1.7). 1.7 World-wide principle e source-based taxation (segue).

I residenti sono tassati, sul complesso dei loro redditi ovunque prodotti (in italia e all’estero, quindi) secondo il principio c.d. world-wide income taxation, mentre i non residenti sono tassati soltanto per i redditi prodotti in italia (source-based taxation). Il lettore puo’ facilmente intuire il problema relativo al primo dei due principi: si potrebbe, infatti, incorrere in una “doppia imposizione”, una volta quando il reddito e’ tassato dal paese in cui il contribuente non e’ residente e una seconda quando verra’, in seguito, tassato dal paese in cui e’ residente.

5 1.8 Doppia imposizione: economica e giuridica.

Si ha doppia imposizione “economica” quando la tassazione dello stesso reddito avviene in capo a due soggetti diversi, mentre si ha doppia imposizione “giuridica” quando il reddito e’ tassato piu’ volte in capo ad un solo soggetto. La prima delle due appare poco chiara...faccio un esempio: Supponiamo che vi sia una societa’ di capitali “A”, che possiede l’intero pacchetto azionario di “B”, societa’ di capitali che ha chiuso l’esercizio con 100.000 euro di utile: si avra’ che i 100.000 di utile verranno tassati al 33% nel paese di “B” e poi come reddito nel paese di “A” quando saranno assegnati come dividendi agli azionisti della stessa. E’ ovvio che in questo caso la doppia imposizione avviene in capo a piu’ soggetti: e’, quindi, un caso di doppia imposizione economica*.

Come si risolve il problema? Il credito d’imposta attribuito ai contribuenti permette di evitare il problema della doppia imposizione di tale reddito estero, in quanto prevede il recupero delle imposte pagate all’estero in via definitiva fino alla concorrenza della quota di imposta italiana* (c.d. principio del credito ordinario). Il credito d’imposta e’ quindi dato dalla seguente equazione: creditod ' imposta 

redditoesteroimpostaitaliana redditocomplessivo

___________________________________________________________________ *l’onere della prova e’ a carico dell’amministrazione finanziaria

___________________________________________________________________ *C’e’ anche doppia imposizione giuridica dato che i dividendi che escono dal territorio sono soggetti a ritenuta alla fonte.

6 1.9 La tassabilita’ del reddito di impresa in base al principio della stabile organizzazione.

L’art. 162, comma 1, del nuovo Tuir introduce nell’ordinamento italiano, in termini chiari ed esaustivi, il concetto di stabile organizzazione, ovvero “una sede di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato (c.d. stabile organizzazione materiale)”. E’ importante chiarire che per aversi tassabilita’ del reddito d’impresa, la stabile organizzazione deve essere impiegata per lo svolgimento di attivita’ che non hanno carattere preparatorio o ausiliario (ricerche di mercato, pubblicita’ ecc.). E’ prevista, inoltre, una fattispecie di stabile organizzazione personale, la quale presuppone l’esistenza di un soggetto (di cui, appunto, si avvale il soggetto non residente) che in Italia conclude abitualmente contratti, in nome e per conto del non residente, che non abbiano ad oggetto l’acquisto di beni.











Sede per mezzo della quale l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato.

 materiale  



Stabile organizzazione

 



 



personale







Soggetto per mezzo del quale l’impresa non residente si avvale per concludere abitualmente contratti, nel nostro territorio, che non abbiano ad oggetto l’acquisto di beni.

7 1.10 Criteri di localizzazione del reddito.

Dopo aver introdotto il concetto di residenza fiscale, ci rimane da chiarire quando un reddito è considerato prodotto in italia (o altrove). In estrema sintesi, l’art. 23 T.U.I.R., stabilisce che sono prodotti in Italia i -

-

REDDITI FONDIARI, se i terreni o gli immobili a cui si riferiscono si trovano nel nostro paese; REDDITI DI CAPITALE, se il soggetto che li eroga è residente nel nostro paese; REDDITI DA LAVORO, quando l’attività lavorativa da cui derivano è svolta in Italia (anche se il soggetto non è residente); REDDITI DI IMPRESA, prodotti dalle imprese non residenti che siano dotate di una stabile organizzazione; REDDITI DIVERSI, come ad esempio i c.d. capital gains, sono prodotti in Italia se derivano dalla cessione di titoli di società italiane;

1.11 I redditi prodotti in forma associata. Il principio di trasparenza.

Le società di persone (di tutti i tipi, previste sia dal legislatore che dalla dottrina) e le associazioni tra professionisti non sono considerati soggetti passivi d’imposta poichè i loro redditi sono imputati pro-quota a ciascun socio (a prescindere se questo utile sia realmente stato distribuito). Nel caso specifico delle società estere si ritiene, invece, che queste siano soggette ad IRES. Inoltre, la trasparenza è stata prevista in via opzionale anche per alcune società di capitali quali: -

S.R.L. con una compagine sociale composta da massimo dieci soci; S.R.L., S.p.A., S.A.p.A. partecipate da altre società di capitali la cui partecipazione si colloca tra il 10 ed il 50%;

8 Con la trasparenza viene risolto il problema della doppia imposizione: il reddito di impresa è tassato soltanto una volta, quando cioè viene attribuito (ripeto, a prescindere se questo avvenga o meno) al socio sottoforma di reddito. Per quanto riguarda le perdite, queste sono attribuite ai soci nella stessa maniera degli utili e, se il loro ammontare supera i redditi dell’anno, la differenza può essere dedotta negli anni successivi, ma non oltre il quinto. Infine, se vi sono state ritenute sui redditi della società queste vengono scomputate dall’imposta dovuta dai soci. Infine, per quanto riguarda, i redditi prodotti dalle imprese familiari, questi vengono attribuiti per il 51% all’imprenditore e per il restante 49% ai suoi collaboratori (pro quota) ad eccezione delle perdite (che sono interamente attribuite all’imprenditore).

1.12 Iter di determinazione dell’imponibile e dell’imposta.

In primis, devo quantificare i redditi di categoria (dopo averli qualificati, ovviamente) e sommarli algebricamente tenendo conto delle perdite: in particolare, se si tratta di imprese c.d. minori e di lavoratori autonomi tali perdite non possono essere “portate in avanti” ma possono soltanto essere compensate, nell’anno in cui si verificano, con i redditi di altre categorie. Per le società di persone (commerciali e agricole) e delle associazioni professionali, le perdite sono attribuite a ciascun socio pro-quota secondo il principio della trasparenza: se nel corso dell’anno la perdita attribuita al socio è superiore ai redditi della stessa categoria, tale differenza può essere “portata in avanti” per massimo cinque anni e compensata con i redditi della stessa categoria. Infine, se l’attività è “nuova”, nei primi tre anni di attività, le perdite possono essere portate in avanti per un periodo illimitato.

9 Il secondo passo, quindi, consiste nella deduzione* degli oneri, costituiti da “spese personali” che incidono sulla capacità contributiva del contribuente, quali, ad esempio: le spese mediche e quelle di assistenza specifica necessarie nei casi di grave e permanente invalidità, gli assegni periodici corrisposti al coniuge a seguito di separazione, i contributi previdenziali e assistenziali ecc. A questo punto si arriva ad un reddito netto su cui applico le aliquote previste dall’art. 11 T.U.I.R. ottenendo, così, un’imposta lorda su cui si dovranno detrarre alcuni importi tra cui, per esempio, gli interessi passivi su mutui per acquisto della prima casa, le spese sanitarie e di istruzione ecc. Otteniamo, quindi, l’ammontare dell’imposta netta da cui, però, dobbiamo scomputare ulteriormente i crediti per imposte pagate all’estero, i versamenti a titolo di acconto ed infine le ritenute alla fonte. In linea generale, il principio è quello per cui ad ogni periodo di imposta (corrispondente all’anno solare) corrisponde una diversa obbligazione tributaria (a se stante) anche se, a causa degli acconti (per esempio), potrei avere un credito per le imposte dell’anno successivo e, per questa ragione, il sistema è tale da non poter essere considerato a “compartimenti stagni”. Inoltre, se l’ammontare complessivo dei crediti d’imposta è superiore a quello dell’imposta netta sul reddito complessivo, il contribuente ha diritto a portarli in avanti e scegliere tra compensarli con altri debiti nell’anno successivo o chiederne il rimborso nella dichiarazione dei redditi.

___________________________________________________________________

* nel linguaggio comune deduzione o detrazione sembrano avere lo stesso significato ma, in realtà, la deduzione è una sottrazione di importi dal reddito complessivo mentre la detrazione è una sottrazione di importi dall’imposta lorda.

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Dagli schemi emerge chiaramente il motivo per cui, nel corso degli anni, abbiamo assistito per alcune voci al passaggio da “oneri deducibili” a “detrazione d’imposta”: si è voluto, cioè, evitare di avvantaggiare coloro che possiedono redditi più alti.

Per tutti gli altri redditi, invece, l’imposta è calcolata applicando alla somma percepita l’aliquota che si applicherebbe alla metà del reddito complessivo netto del biennio precedente. 12 Alcuni redditi non debbono essere computati nel calcolo del reddito complessivo, in particolare: -

REDDITI ESENTI; REDDITI SOGGETTI A IMPOSIZIONE SOSTITUTIVA; REDDITI SOGGETTI A TASSAZIONE SEPARATA;

Per quanto riguarda i redditi soggetti a imposizione sostitutiva, bisogna distinguere se questi siano soggetti ad una ritenuta alla fonte a titolo di imposta o a titolo di acconto: nel primo caso, questo tipo di redditi è tassato in modo definitivo (non c’è un’ulteriore versamento a saldo da fare) mentre, nel secondo caso, il contribuente verserà una somma a titolo di acconto e, quindi, al momento della dichiarazione dei redditi sarà tenuto ad effettuare un versamento a saldo. Ad esempio, gli interessi attivi bancari sono soggetti ad una trattenuta a titolo di imposta (circa il 27%) da parte della banca (c.d. sostituto d’imposta) ed il correntista (contribuente) non è tenuto a versare più nulla. Come possiamo notare, l’aliquota è minore di quella prevista dagli scaglioni I.R.PE.F., questo avviene perchè il legislatore intende favorire alcune “attività”: i capital gain, ad esempio, sono tassati con un’aliquota pari al 12,5% e, molto probabilmente, perchè si vuole incentivare tali investimenti. Per redditi soggetti a tassazione separata, invece, si intendono tutti quei redditi che maturano in più anni e che vengono corrisposti tutti in un unico istante (nel momento in cui vengono percepiti dal contribuente). La tassazione è “separata” nel senso che questi redditi non entrano a far parte del computo per la determinazione del reddito complessivo: sono, infatti, tassati mediante un’aliquota distinta. Un importante reddito soggetto a tassazione separata è dato dall’indennità di fine rapporto: tale importo dev’essere ridotto delle rivalutazioni già tassate e l’aliquota ad esso applicata è quella che si ottiene dividendo l’imponibile per il numero di anni di durata del rapporto e moltiplicando il risultato per dodici.

13 1.13 Redditi appartenenti a figli minori e redditi del de cuius.

Nell’esporre i vari concetti chiave, ho tralasciato il chiarimento di alcuni concetti riguardo a questi due tipi di redditi: ad ogni modo, per quanto riguarda i primi, questi vengono imputati per metà del loro ammontare netto a ciascuno dei due genitori; nel secondo caso, invece, parliamo di redditi prodotti del de cuius ma ancora non incassati: in questo caso verranno tassati in capo agli eredi quando li percepiranno (sono tassati, cioè, come reddito proprio degli eredi). 1.14 Redditi derivanti da un trust. Il trust è un’istituto di origine britannica che si avvicina molto al nostro contratto fiduciario: il settlor, ovvero colui che istituisce il trust trasferendo (temporaneamente) i beni di sua proprietà al trustee , impone a quest’ultimo di esercitare il diritto reale (su quei beni) a beneficio di un’altro soggetto (o più di uno), detto appunto “beneficiary” . Ora accade che questi beni potrebbero essere produttivi di reddito e che tale reddito, su disposizione del settlor ovviamente, sia devoluto a beneficio di alcuni soggetti specifici (trust trasparente) o ad una categoria indistinta di soggetti (trust opaco). Nel primo caso (ad esempio, il beneficiario è individuato nel figlio del settlor) il reddito è tassato in capo al soggetto ben identificato come reddito da capitale, infatti, “nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti eguali” (comma 2 dell’art. 73 del T.U.I.R.) Nel secondo caso, invece, il reddito è tassato in capo al trust stesso (su cui paga l’I.RE.S.).

14 CAPITOLO SECONDO I SINGOLI REDDITI 2.1 I redditi fondiari. Nozione.

L’art. 25 T.U.I.R. definisce i redditi fondiari come quelli “inerenti ai terreni e ai fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio urbano” Quindi abbiamo due tipi di redditi racchiusi in un’unica categoria

Redditi fondiari



da terreni





da fabbricati



dominicale



agrario



Come possiamo notare dallo schema, il reddito derivante da terreni si scinde in altre due categorie: questo perchè, nel caso di affitto del terreno per uso agricolo la parte di reddito c.d. dominicale dovrà essere dichiarato dal proprietario (dominus) mentre la seconda (reddito agrario) dall’affittuario. La caratteristica comune dei redditi fondiari è che, se non vi è un canone riscosso effettivamente (quì mi riferisco in particolare ai fabbricati: per i terreni il reddito è sempre medio-ordinario (cioè un valore stimato), anche se vi è la riscossione di un canone effettivo), la rendita catastale assegnata è un reddito di tipo medio-ordinario ed il soggetto che li deve dichiarare è, di regola, il possessore a titolo civilistico (o l’usufruttuario se vi è più di un diritto reale) mentre, sotto il profilo dell’imputazione temporale

15 nel caso vi sia stata una cessione, bisogna dichiarare soltanto il reddito relativo al periodo in cui si è esercitato il possesso (ancora nei termini civilistici) sul terreno e/o fabbricato in questione. Quindi, come dicevo, nel caso dei redditi da fabbricati, se non vi è un canone di locazione effettivamente riscosso (da cui si può dedurre il 15% a titolo di spese forfettarie di manutenzione) il reddito soggetto a tassazione è quello medio ordinario, mentre, se c’è un canone effettivamente riscosso esso rappresenta anche il reddito soggetto a tassazione, tutte le volte che questo è superiore al reddito medio ordinario. Unica eccezione alla regola appena esposta, è rappresentata dal reddito derivante da fabbricati di interesse storico o artistico che, anche se locati, sono tassati in ogni caso sulla base del reddito medio ordinario. Ad ogni modo, l’art. 25 parla anche di fabbricati situati nel territorio dello stato che devono essere (ancora) iscritti nel registro catastale. Come mai? La risposta è semplice: se così non fosse, si avvantaggerebbero coloro che possiedono un immobile abusivo (dove per abusivo non mi riferisco soltanto a immobili costruiti in assenza di condono edilizio). Per questi immobili (non censiti), il reddito è determinato mediante comparazione con quello catastale delle unità similari. Inoltre, vale la pena ricordare, che il reddito della casa adibita ad abitazione principale (c.d. prima casa) non è tassato, mentre il reddito delle seconde case è maggiorato di un terzo.

Riassumendo...

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17 2.2 I redditi fondiari derivanti da immobili strumentali.

L’art. 43 del tuir recita: “Non si considerano produttivi di reddito fondiario gli immobili relativi ad imprese commerciali e quelli che costituiscono beni strumentali per l'esercizio di arti e professioni” La ratio sottostante a questa norma è che tale reddito fondiario concorre a formare il reddito d’impresa. La “strumentalità” enunciata nel primo comma dell’articolo è un requisito da non sottovalutare in quanto: se l’immobile è strumentale concorre a formare il reddito d’impresa a costi e ricavi effettivi e non produce reddito fondiario (a sè), mentre, in assenza di tale requisito il fabbricato (non strumentale) concorre a formare il reddito d’esercizio in base a quello medio ordinario. Il secondo comma dello stesso articolo continua specificando che: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano strumentali gli immobili utilizzati esclusivamente per l'esercizio dell'arte o professione o dell'impresa commerciale da parte del possessore ” Tale “strumentalità” c.d. per destinazione deve essere esclusiva (all’esercizio dell’impresa o dell’arte o professione): un fabbricato usato promisquamente non può essere considerato strumentale ai sensi dell’articolo 43. Inoltre: “Gli immobili relativi ad imprese commerciali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni si considerano strumentali anche se non utilizzati o anche se dati in locazione o comodato”

E’ questo il caso della strumentalità per natura: vi sono dei beni che non possono (per la loro natura, appunto) essere utilizzati in modo alternativo o promisquo rispetto a quello del loro utilizzo ordinario e per questo sono sempre considerati strumentali.

concorrono a formare il reddito a costi e ricavi effettivi e non più sulla base della misura media-ordinaria catastale.

18 2.3 I redditi diversi derivanti da fabbricati ubicati all’estero e da terreni dati in affitto per uso non agricolo.

Per il principio della tassazione sui redditi prodotti world-wide, se l’immobile di proprietà di un residente non è ubicato sul territorio dello Stato, i redditi che ne scaturiscono sono certamente soggetti a tassazione (secondo i principi già visti e secondo le regole di determinazione estere) ma con una particolarità: non si tratta, infatti, di redditi fondiari ma di redditi diversi. Unica eccezione è rappresentata dal caso in cui, tra i due paesi (quello di residenza del contribuente e quello d’ubicazione dell’immobile) sia stata firmata una convenzione che esclude il potere impositivo dello Stato di residenza del contribuente. Redditi diversi sono, inoltre, quelli derivanti dalla corresponsione di canoni per affitto di terreni ad uso non agricolo. Nel caso, invece, che il terreno destinato ad uso non agricolo non sia locato, il reddito tassabile è quello medio ordiario.

2.4 Il confine tra reddito agrario e di impresa

Le attività di coltivazione del terreno e di silvicoltura generano sempre reddito agrario (medio-ordinario), ma vi sono delle attività c.d. agricole per connessione i cui redditi possono classificarsi agrari o d’impresa a seconda che siano rispettati certi limiti. In particolare, si richiede che l’allevamento sia svolto con mangimi ottenuti per almeno un quarto dal terreno, mentre per le attività di manipolazione, trasformazione e alienazione di prodotti agricoli e zootecnici si richiede che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti per almeno la metà dal terreno o dagli animali allevati su di esso. Infine, è importante ricordare che i redditi agrari conseguiti da società commerciali con oggetto agricolo sono sempre redditi d’impresa e quindi

19 2.5 I redditi da capitale. Nozione.

Il legislatore non fornisce una sua definizione di redditi da capitale limitandosi, infatti, ad elencare all’interno dell’art. 44 del T.U.I.R. soltanto alcune delle fattispecie di reddito da capitale tra cui, ad esempio: -

gli interessi e altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti; gli interessi e gli altri proventi delle obbligazioni e titoli similari; gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all'imposta sul reddito delle società;

Quindi, in estrema sintesi, possiamo affermare che i principali redditi da capitale sono gli interessi e i dividendi (inoltre non è ammessa la possibilità di operare deduzioni: il reddito di capitale è già reddito netto e va tassato “per cassa”). Tra l’altro, nell’ultima fattispecie, il legislatore mensiona anche: “gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l'impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.” Per alcuni autori, la definizione di reddito di capitale è implicitamente contenuta in questa fattispecie, dove, per differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto si vogliono indicare le plusvalenze (redditi diversi). Per quanto riguarda gli interessi c.d. moratori, abbiamo già visto le regole per la loro qualificazione (1.5), mentre va detto che i redditi di capitale conseguiti nell’esercizio di impresa entrano a far parte dei redditi d’impresa.

Questo perchè, a seconda delle posizioni che il socio assume nell’operazione di finanziamento (a titolo di mutuo o a fondo perduto) si applicherebbe un diverso regime di tassazione del reddito in capo ad esso: nel caso del mutuo verrebbe tassato l’interesse percepito, mentre se fosse a fondo perduto 20 2.6 I dividendi azionari.

Se il soggetto che percepisce i dividendi è una società di capitali o un ente commerciale è tassato solo il 5% dell’ammontare del dividendo (aliquota 33%), ed è esente da tassazione nel caso di consolidato fiscale o regime di trasparenza. Se si tratta di imprenditori persone fisiche sono tassati sul 40% dei dividendi percepiti a prescindere che la loro partecipazione sia qualficata o meno. Sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta nella misura del 12,5% le persone fisiche (non imprenditori) che possiedono una partecipazione non qualificata mentre, sono tassati sul 40% dei dividendi percepiti, le persone fisiche (non imprenditori) che detengono una partecipazione qualificata.

2.7 Presunzioni in tema di mutui e versamenti dei soci.

L’art. 45 T.U.I.R. stabilisce che: “Per i capitali dati a mutuo gli interessi, salvo prova contraria, si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto. Se le scadenze non sono stabilite per iscritto gli interessi si presumono percepiti nell'ammontare maturato nel periodo di imposta. Se la misura non è determinata per iscritto gli interessi si computano al saggio legale” Inoltre, l’art. 46 precisa che: “Le somme versate alle società commerciali, dai loro soci o partecipanti si considerano date a mutuo se dai bilanci o dai rendiconti di tali soggetti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo”

21 non verrebbe tassato nulla, visto che a nulla ha diritto (il socio) in questo tipo di finanziamento. E’ ovvio che i soci tenteranno di eludere le norme tributarie in modo tale che gli interessi erogati dalla società nel finanziamento a titolo di mutuo sfuggano alla tassazione. Per questo motivo, ciò che decide se il finanziamento è a titolo di mutuo o a fondo perduto è la sua rappresentazione in bilancio.

2.8 Schema riassuntivo del regime fiscale dei redditi di capitale.

-

redditi di lavoro dipendente pubblico e privato; redditi da lavoro a domicilio; le pensioni e gli assegni ad esse equiparati; le somme che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore a seguito di sentenza di condanna del giudice del lavoro;

Il lavoro a domicilio si intende lavoro dipendente se vi è subordinazione tecnica del lavoratore rispetto all’imprenditore, mentre le pensioni devono comunque potersi ricollegare ad un precedente rapporto di lavoro dipendente (non può mai essere una pensione risarcitoria come quella di guarra o simili).

2.10 Il principio di onnicomprensività.

L’art. 51 T.U.I.R. recita “Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.” Da ciò si desume che sono tassabilit tutti i compensi attribuiti al dipendente, compresi quelli in natura (c.d fringe benefit). In particolare, per quest’ultimi, è necessario stabilire quale sia il loro valore monetario, il quale è definito dal legislatore 22 2.9 I redditi di lavoro dipendente. Nozione.

L’art. 49 T.U.I.R. precisa che i redditi di lavoro dipendente sono quelli che “derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro” Per questo motivo, nella categoria redditi di lavoro dipendente sono compresi:

23 nell’art. 9 T.U.I.R. come “il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d'uso”. Si sta parlando, quindi, del valore (o prezzo) di mercato.

Il legislatore ci tiene, inoltre, a precisare che “ Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui si riferiscono” Egli introduce, quindi, un principio di cassa “allargato”, che tiene conto anche delle somme corrisposte in parte del periodo di imposta successivo.

attività di impresa (e, quindi, da luogo a redditi d’impresa) anche se non organizzata in tale forma. Se si tratta di un’attività non prevista dall’art. 2195 (ad esempio un’agenzia di modelle) organizzata sotto forma d’impresa allora si avrà attività di impresa, mentre se non lo è si avrà un’attività di lavoro autonomo (e quindi i redditi da essa derivanti saranno di lavoro autonomo invece che d’impresa). Riassumendo... Attività commerciali ex art. 2195

 sempre attività di impresa¹

2.11 I redditi da lavoro autonomo. Nozione.

Secondo l’art. 53 del Testo unico “Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall'esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI, compreso l'esercizio in forma associata di cui alla lettera c) del comma 3 dell'articolo 5” Dal primo comma si capisce che i redditi derivanti da una professione c.d. liberale sono sempre considerati redditi di lavoro autonomo.

organizzate ad impresa²

  

Attività non previste dall’art. 2195



non organizzate ad impresa³



¹ si ha sempre attività di impresa quindi reddito d’impresa pur se svolte in modo autonomo. ² si ha reddito d’impresa. ³ si ha reddito da lavoro autonomo.

24 Andando avanti, emergono chiaramente quelle che sono le caratteristiche di una attività di lavoro autonomo, ovvero:

-

è svolta in modo autonomo; non è svolta in modo saltuario (altrimenti sarebbero redditi diversi); non è un’attività di natura commerciale ai sensi del 2195 c.c.;

Riguardo a quest’ultima caratteristica va detto che, qualsiasi attività che rientri nelle fattispecie previste dall’art. 2195 c.c. è sempre considerata

25 2.12 La determinazione dei redditi di lavoro autonomo (compensi).

I redditi da lavoro autonomo sono dati dalla differenza tra i compensi percepiti in denaro ed in natura e le spese sostenute. Assieme ai compensi sono tassati i rimborsi spese (con esclusione di quelle sostenute in nome e per conto del cliente) e gli interessi moratori o quelli per dilazione di pagamento. Sono esclusi dalla tassazione i proventi derivanti dall’alienazione di beni strumentali.

Da queste “royalty” dev’essere dedotto il 25% ovvero il 45% se il soggetto a cui sono erogate è di età inferiore ai 35 anni.

2.13 Spese e costi pluriennali.

Il costo dei beni mobili e dei beni immateriali è deducibile mediante quote di ammortamento annuali dedotte secondo i coefficienti previsti dalle tabelle ministeriali per l’ammortamento ordinario dei beni delle imprese. Se il costo del bene non supera i 516,46 € il contribuente può dedurli interamente nell’esercizio in cui sono acquisiti. I canoni di leasing di beni mobili strumentali sono ammessi in deduzione nell’anno in cui maturano secondo principi di competenza economica, a condizione che il contratto di leasing duri più della metà del periodo di ammortamento. I costi di acquisto di beni immobili non sono deducibili; lo sono invece i canoni di leasing per la locazione di beni immobili, ma solo per l’importo corrispondente alla rendita catastale. Per quanto riguarda le spese relative all’ammodernamento, alla ristrutturazioone e alla manutenzione straordinaria sono deducibili per quote costanti in cinque anni; mentre il trattamento di fine rapporto dei dipendenti è deducibile anno per anno in base alla quota maturata. Infine, vale la pena ricordare che la deducibilità dei beni ad uso promisquo (es. cellulare, auto, portatile) è ammessa soltanto per metà del costo di acquisto.

Sono, invece, sempre redditi di lavoro autonomo “le partecipazioni agli utili quando l'apporto è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro²”e le “partecipazioni agli utili spettanti ai promotori e ai soci fondatori di società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata”nonchè “le indennità per la cessazione di rapporti di agenzia”

___________________________________________________________________ ¹ altrimenti sarebbero redditi d’impresa. ² non si tratta di dividendi ovvero di redditi da capitale, in quanto manca il capitale stesso nell’apporto, ma 26

di redditi di lavoro autonomo.

2.14 Redditi equiparati a redditi di lavoro autonomo.

L’art. 53 afferma che sono, inoltre, redditi di lavoro autonomo quelli “derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell'autore o inventore, di opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, se non sono conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali¹”.

27 2.15 Redditi d’impresa. Nozione.

Per l’art. 55 del T.U.I.R. sono redditi d’impresa “quelli che derivano dall'esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell'art. 2195 c.c., e delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell'art. 32 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d'impresa”.

Per la qualificazione dei redditi d’impresa vi è un criterio formale ed uno sostanziale. Formale, nel senso che produce reddito d’impresa qualsiasi attività che rientra in quelle elencate nell’art. 2195 c.c. siano esse organizzate o meno in forma di impresa; sostanziale, invece, nel senso che per le attività svolte dalle persone fisiche e dagli enti non societari (non organizzate sotto forma di impresa) si fa riferimento al tipo di attivà svolta (se rientra o meno in quelle all’art. 2195 c.c.) o al fatto che siano organizzate o meno sotto forma di impresa (nel caso non siano riconducibili alle attività di cui all’art. 2195). Inoltre, se non vè abitualità il reddito deve essere inquadrato tra quelli diversi.

2.16 Determinazione dei redditi d’impresa (imprese c.d. minori).

Si sommano i componenti positivi (ricavi, dividendi, interessi attivi e proventi immobiliari conseguiti nel periodo di imposta), le rimanenze finali (merci, materie prime, semilavorati, opere, forniture e servizi di durata ultrannuale, titoli), le plusvalenze patrimoniali realizzate mediante cessione a titolo oneroso e le sopravvenienze attive e dal risultato si sottraggono le spese deducibili documentate, le esistenze iniziali (rimanenze dell'esercizio precedente), le minusvalenze patrimoniali, le sopravvenienze passive e le perdite di beni strumentali e su crediti. Sono inoltre deducibili le quote di ammortamento di beni materiali ed immateriali (a condizione che sia tenuto il registro dei beni ammortizzabili o scrittura equivalente, nonché le spese di manutenzione e riparazione, ammodernamento e trasformazione relative a beni strumentali nei

28 limiti del 5% dei cespiti ammortizzabili, e le quote di accantonamento ai fondi di quiescenza e previdenza per lavoratori dipendenti e collaboratori coordinati e continuativi (a condizione che risultino iscritte nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell'IVA o nell'apposito registro per coloro che effettuano soltanto operazioni non soggette all'IVA). Non sono deducibili gli ammortamenti finanziari dei beni gratuitamente devolvibili, gli accantonamenti per rischi su crediti, gli altri accantonamenti di cui all'art. 107 del t.u.i.r., nonché, come per le imprese

ordinarie, le remunerazioni corrisposte in relazione a contratti di associazione in partecipazione e di cointeressenza con apporto di solo capitale o di capitale e lavoro. 2.17 Determinazione dei redditi d’impresa (imprese c.d. medio-grandi).

Si parte dal bilancio, in particolare dal risultato del Conto Economico (determinato secondo le regole ed i criteri civilistici) e si apportano ad esso variazioni in aumento ed in diminuzione derivanti dall’applicazione di norme tributarie in materia di redditi d’impresa. Vi è una variazione in diminuzione tutte le volte che, dall’applicazione di una norma tributaria ai fini della determinazione del reddito questo subisce una maggiorazione rispetto a quello civilistico di partenza (il contrario per le variazioni in diminuzione). Le plusvalenze da cessione dei beni posseduti da almeno tre anni possono essere, a scelta del contribuente (si tratta in questo caso di legittimo risparmio d’imposta, v. parte generale) ripartite in parti uguali per cinque anni oppure essere imputate (e quindi tassate) interamente nell’esercizio in cui sono state realizzate. Nel primo caso, si avrà una variazione in diminuzione il primo anno (si riducono i componenti positivi di reddito dato che civilisticamente la plusvalenza è sempre imputata interamente nell’esercizio in cui si verifica) mentre si avranno delle variazioni in aumento negli esercizi successivi. Infine, per le imprese che redicono il bilancio secondo gli IAS (principi contabili internazionali), tra il risultato civilistico e quello fiscale devo apportare le variazioni in aumento o in diminuzione per tener conto dei componenti imputati direttamente a patrimonio per effetto degli IAS stessi.

29 Essenzialmente, i due redditi d’impresa (civilistico e fiscale) divergono per i diversi fini perseguiti: -

del legislatore fiscale, di dare certezza sulla valutazione dei componenti economici positivi e negativi (riducendo la discrezionalità degli amministratori) onde evitare liti tra amministrazione aziendale e amministrazione finanziaria;

-

del legislatore civilistico, di essere prudenti e ragionevoli nella valutazione delle poste, al fine di perseguire quella chiarezza, veridicità e correttezza di cui all’art. 2423 c.c.;

Per il principio di onnicomprensività del reddito d’impresa, se non esiste una norma che mi impone di dedurre o meno un particolare componente di reddito allora questo è rilevante ai fini del calcolo dell’imponibile. Un esempio potrebbe essere quello di una impresa di trasporti, i cui mezzi siano affittati da una troupe cinematografica per girare un film: in questo caso, tali proventi non possono essere identificati tout court come ricavi, perchè non derivano dalla gestione caratteristica. Secondo l’art. 109 T.U.I.R. “i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme della presente Sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell'esercizio di competenza non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare concorrono a formarlo nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni”. Il legislatore tributario richiama al principio di competenza come criterio di imputazione temporale del reddito d’impresa. Non si tratta della vera e propria della definizione “aziendalistica” di competenza, in quanto certi componenti sono imputati nei vari esercizi secondo una serie di regole che mettono in relazione il tipo di operazioni ed il periodo in cui si verificano alcune condizioni.

30 Ai fini della determinazione dell'esercizio di competenza, lo stesso articolo del Testo Unico preve che ” i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute, alla data della consegna o spedizione per i beni mobili”, mentre, ”i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate, ovvero, per quelle dipendenti da contratti di locazione, mutuo, assicurazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi”

Il primo comma parlava di spese e gli altri componenti di cui nell'esercizio di competenza non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare: in questo caso il momento di imputazione temporale slitta in avanti (nel periodo in cui tale componente sia certo e determinabile in modo obiettivo). Ad esempio, supponiamo che un’impresa si accordi per cedere una tonnellata di saponette ad un altra impresa ed ammettiamo che il prezzo di cessione sia affidato ad arbitri privati. L’impresa, quindi, provvede alla consegna ma gli arbitri si pronunciano dopo un anno: trattandosi della cessione di beni mobili il corrispettivo dovrebbe concorrere nella determinazione del reddito dell’anno in cui è avvenuta la consegna, ma che per l’oggettiva indeterminabilità concorrerà alla formazione dell’imponibile dell’anno successivo (quando vi sarà la pronuncia degli arbitri). Altro esempio, stavolta per quanto riguarda l’incertezza, è quello di una sentenza di inadempimento depositata nel 2007: per l’impresa vittoriosa il risarcimento è un componente positivo di reddito, ma la sentenza in questo caso è impugnabile e non è certa la vittoria in tutti i gradi di giudizio. Ulteriore principio è quello d’inerenza, ci dev’essere cioè un nesso casuale o funzionale tra costo e attività; per cui è deducibile il costo sostenuto per la produzione dei ricavi (tassabili). Inoltre, uno stesso imprenditore che sostenga costi per lo svolgimento di due diverse attività, che non necessariamente producano entrambe ricavi tassabili, può dedurre soltanto quei costi che astrattamente e specificatamente si riferiscono all’attività che pruduce reddito tassabile. 31 Infine, per chiudere il discorso sulla determinazione del reddito d’impresa, introduciamo il principio della previa imputazione al Conto Economico, per cui è deducibile il componente negativo di reddito che è stato imputato al C.E. di competenza. Tale principio soffre di parziali deroghe “sui generis” per quei componenti negativi di reddito che per legge sono deducibili a prescindere dalla loro previa imputazione al C.E. come, ad esempio, i compensi agli amministratori sottoforma di partecipazioni agli utili (ed è ovvio dato che se non determino prima l’utile non posso determinare il compenso

all’amministratore) oppure le quote fiscalmente deducibili annualmente delle spese di rappresentanza (che civilisticamente sono di norma imputate interamente nell’esercizio di sostenimento) . 2.18 I componenti positivi di reddito. Cominciamo dai ricavi. Secondo l’art. 85 TUIR sono considerati come tali “i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa”. Bisogna, quindi, fare una distinzione tra corrispettivi da cessione di beni e corrispettivi per la prestazione di servizi: generalmente, questa è effettuata sulla base dell’oggetto dell’obbligazione che scaturisce dal contratto (di dare per la cessione di beni e di fare per le prestazioni di servizi). Il leasing finanziario, tra l’altro, è un eccezione particolare a questo principio: fino ad un certo istante può essere considerata una prestazioni di servizi, ma, al momento del riscatto del bene assume la forma di una cessione di beni. Devono essere ricompresi tra i ricavi, inoltre, i “corrispettivi delle cessioni di materie prime e sussidiarie, di semilavorati e di altri beni mobili, esclusi quelli strumentali, acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione”, anche perchè la cessione di essi da origine a delle plusvalenze (o minusvalenze). La cessione dei titoli non iscritti tra le immobilizzazioni genera ricavi (plusvalenze se la vendita riguarda titoli iscritti tra le immobilizzazioni finanziarie).

32 Sono, infine, da considerare ricavi “i contributi in denaro, o il valore normale di quelli, in natura, spettanti sotto qualsiasi denominazione in base a contratto” compresi quelli “assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all'esercizio dell'impresa”. Infine, i contributi pubblici alle imprese, ed in particolare quelli in conto esercizio, devono considerarsi ricavi a norma dell’art. 85, comma 1, lett. h.

Per quanto riguarda le plusvalenze, invece, l’art. 86 TUIR dispone che queste concorrano a formare il reddito se realizzate dalla cessione a titolo oneroso dei beni la cui cessione non generi ricavi a norma dell’art. 85 ; dai risarcimenti, anche in forma assicurativa, derivante dalla perdita di essi; dall’assegnazione ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa. Nelle prime due ipotesi, la plusvalenza è costituita dal differenziale tra costo fiscalmente riconosciuto e corrispettivo percepito (se non c’è corrispettivo, la plusvalenza si intende costituita dal differenziale tra valore normale e costo fiscalmente riconosciuto) mentre nell’ultima, è data dal differeziale tra valore normale e costo non ammortizzato dei beni. Ad ogni modo, le plusvalenze possono, a scelta del contribuente, essere imputate “per l'intero ammontare nell'esercizio in cui sono state realizzate ovvero, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni in quote costanti nell'esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto”. Sono, invece, esenti per il 91% le plusvalenze, determinate secondo le regole già viste, che però riguardino azioni o quote di partecipazione a società di capitali e di persone con oggetto commerciale, con i seguenti requisiti: -

ininterrotto possesso dal primo giorno del diciottesimo mese precedente quello dell'avvenuta cessione;

-

classificazione nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso;

-

residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o territorio diverso da quelli a regime fiscale privilegiato;

-

33 esercizio da parte della società partecipata di un'impresa commerciale;

Senza possibilità di prova contraria si presume che quest’ultimo requisito non sussista relativamente alle partecipazioni in società il cui valore del patrimonio è prevalentemente costituito da beni immobili diversi dagli immobili alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta

l'attività dell'impresa, dagli impianti e dai fabbricati utilizzati direttamente nell'esercizio d'impresa.

32

IVAN PARADISI

1.1 Imposte, tasse e contributi.

LEZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO (parte generale)

Ciò che differenzia questi tributi è il presupposto, vale a dire il fatto o l’atto che, verificatosi, giustifica il prelievo. Il presupposto dell’imposta, ad esempio, è un fatto posto in essere dal soggetto passivo (infatti, la percezione di un reddito è presupposto per l’applicazione dell’I.R.P.E.F.) mentre il presupposto della tassa è la fruizione di un servizio pubblico o l’emanazione di un provvedimento amministrativo (ad esempio il rilascio di un passaporto). Per quanto riguarda il contributo, invece, c’è chi sostiene la sua riconducibilità all’imposta o la tassa e, quindi, non possa essere riconosciuto come tributo a sè.

1.2 La riserva di legge (art. 23 Cost.)

Facoltà di Economia, “La Sapienza” sede di Latina Anno accademico 2007/2008

L’art. 23 Cost. recita: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” Siamo, quindi, di fronte ad una riserva di legge (relativa) : alla legge spetta, cioè, la determinazione del presupposto e del soggetto passivo poi, per il resto, può anche intervenire (per regolare la materia) l’esecutivo con i suoi regolamenti. Per legge, quindi, si intendono, oltre alla legge ordinaria, gli atti aventi forza di legge (decreti legge e decreti legislativi), le leggi costituzionali, le leggi regionali, i regolamenti comunitarie e le direttive c.d. self-executing.

e-mail: [email protected] . Sito web: www.freewebs.com/ivanparadisi

CAPITOLO PRIMO

GLI ISTITUTI E LE FONTI

1 La riserva di legge si riferisce, in particolare, alle norme tributarie c.d. sostanziali, ovvero:

-

NORME IMPOSITIVE; NORME SULLA DETERMINAZIONE DELL’IMPONIBILE NORME AGEVOLATIVE;

che sono in vigore al momento dell’esplicazione di quel processo o quell’accertamento.

1.4 Due parole sull’interpretazione delle norme tributarie. 1.3 Efficacia delle norme tributarie nel tempo.

Di norma, la legge non dispone che per l’avvenire: essa, cioè, non ha effetto retroattivo. Vi sono, però, alcune norme tributarie retroattive: bisogna prima di tutto distinguere a quali delle norme sostanziali ci si riferisce, ovvero: - NORME IMPOSITIVE, possono retroagire solo in alcuni casi: a) la ricchezza tassabile c’è ancora (in questo caso, secondo la corte costituzionale conta il fattore temporale: una norma impositiva, cioè, può retroagire al massimo per qualche anno, dopodichè tale retroattività può essere considerata incostituzionale); b) la retroattività era prevedibile (contribuente Nostradamus); - NORME SULLA DETERMINAZIONE DELL’IMPONIBILE; la retroazione, in questo caso, è “impropria” e può verificarsi con una legge che, quasi alla fine dell’anno, stravolga le regole per la determinazione degli imponibili per l’anno (ancora) in corso; - NORME AGEVOLATIVE, possono retroagire: ad esempio, c’è una norma che dispone un’agevolazione per i prossimi dieci anni. Trascorso questo periodo si torna, perciò, a pagare le imposte in modo pieno (senza agevolazioni). Ebbene, può darsi che, tra due o tre anni, una nuova norma agevolativa (uguale alla precedente) prevederà che tali effetti si applichino anche ai due o tre anni passati (ci sarà, quindi, un rimborso per il contribuente). Inoltre, per quanto riguarda le norme sanzionatorie (quelle, cioè, che definiscono un illecito e lo sanzionano) non possono assolutamente retroagire. Vale la pena ricordare che, nel caso l’illecito si sia verificato in passato e, nel corso degli anni si sia susseguita una serie di norme sanzionatorie, al contribuente che lo ha commesso si applicherà la norma ad esso più favorevole (c.d. favor rei). 2 Infine, per quanto riguarda le norme sull’accertamento e sul processo si applica il c.d. principio del tempus regit actum, cioè si applicano in ogni caso le norme

A mio parere, ciò che interessa sapere riguardo a questo argomento (soprattutto ai fini di una prova orale) è la differenza che intercorre tra una circolare dell’amministrazione finanziaria od il parere di questa espresso a seguito di un’istanza di interpello. Andiamo per ordine... Dopo l’emanazione di una legge fiscale, l’Amministrazione, emana una circolare con la quale illustra agli uffici periferici il suo significato oppure, è questo il caso dell’istanza di interpello (ordinario), a chiedere il parere dell’Amministrazione è un contribuente o un associazione di categoria (ad esempio un sindacato) : questi possono porre una questione all’Amministrazione e restano in attesa di una risposta (che deve arrivare entro 120 giorni). La questione deve riguardare casi concreti e personali (prima che siano stati realmente posti in essere) che scaturiscono per l’obiettiva incertezza dall’interpretazione di una norma. Il parere può essere espresso o tacito (in questo caso vige il principio del silenzio-assenso). Il contribuente è comunque libero di conformarsi o meno al parere dato: in questo caso sarà poi il giudice a decidere quale delle due interpretazioni sia migliore. L’Amministrazione, invece, resta sempre vincolata dalla sua risposta: è, infatti, nullo qualsiasi atto posto in essere in difformita di essa. Infine, vale la pena ricordare che se due circolari esprimono pareri differenti ed il contribuente si è attenuto, con il suo comportamento, alla prima delle due, l’Amministrazione, in base al principio di tutela dell’affidamento del contribuente, non può pretendere nè il pagamento di una eventuale sanzione nè quello degli eventuali interessi.

3 CAPITOLO SECONDO

I PRINCIPI

2.1 La capacità contributiva.

L’art. 53 Cost. stabilisce che “tutti sono tenuti a contribuire alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva” dove per tutti si intendono anche i non residenti stabilmente inseriti nella nostra collettività. Si può affermare che da quest’articolo la capacità contributiva ne fuoriesce come presupposto, paramentro, limite e come norma di garanzia per il contribuente: si viene tassati se esiste capacità contributiva ed in base alla stessa. Ma che cosa si intende per capacità contributiva? Per capacità contributiva intendiamo l’idoneità economica alla contribuzione, che superi il minimo vitale (questo non è, infatti, manifestazione di capacità contributiva). Lo sono però il patrimonio, il consumo o il trasferimento di ricchezza, ad esempio. Sopra ho citato la capacità contributiva come norma di garanzia (per il contribuente): si ritiene, cioè, che il concetto di c.c. rechi in se i caratteri di ettualità ed effettività. Possono, quindi, essere colpiti dai tributi gli indici di capacità contributiva effettivi (effettivamente esistenti e non “presupposti”) e attuali (non posso, cioè, colpire retroattivamente un presupposto che si è verificato prima dell’entrata in vigore di una certa norma, anche se abbiamo visto che ci sono delle eccezioni v. 1.3). Dunque, la capacità contributiva può essere “presupposta” ma non in modo assoluto: si deve, quindi, dare la possibilità al contribuente di dare la prova contraria (riguardo la sua effettiva esistenza).

4 Parlare di uguale capacità contributiva e trattamento paritetico delle capacità contributive vuol dire che due redditi di eguale ammontare

debbano essere tassati allo stesso modo? Assolutamente no. Due redditi, infatti, possono non coincidere se le categorie in cui possono essere ricondotti non coincidono: nel caso, ad esempio, dei redditi da lavoro e dei redditi da capitale si ritiene che sia il possesso di quest’ultimo tipo di redditi un indice di capacità contributiva maggiore (sent. Cassazione).

2.2 Principio di progressività.

L’art. 53 al secondo comma stabilisce, inoltre, che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”: non il singolo tributo, quindi, ma il sistema tributario nel suo complesso deve risultare progressivo. Il sistema non deve, cioè, mirare soltanto a fornire mezzi finanziari allo Stato, ma anche a garantire finalità redistributive idonee al raggiungimento di obiettivi di giustizia sociale fissati dalla Costituzione. 2.3 Elusione fiscale e legittimo risparmio d’imposta. Nozione.

L’art. 37 bis D.P.R. 600/1973 al primo comma recita: “Sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.” Tali atti, fatti e negozi, civilisticamente mantengono la loro efficacia mentre sono inopponibili all’amministrazione finanziaria (che può considerarli come mai posti in essere).

5 Il comportamento elusivo si caratterizza per:

-

l’assenza di una valida ragione economica; sottostante al comportamento che sia differente da quella fiscale; ha come obiettivo l’ottenimento (anche implicitamente) indebito di un vantaggio fiscale;

Il primo comma parla, per tanto, di atti, fatti o negozi anche collegati tra loro e questo perchè “la caratteristica tipica dell'elusione [è] che in genere non si esaurisce in una operazione, ma si basa su una pluralità di atti tra loro coordinati. Il vantaggio fiscale non deriva quasi mai, ad esempio, da una mera fusione, da un mero conferimento o da un'altra operazione societaria, ma deriva anche da eventi preparatori o consequenziali, come l'acquisto o la cessione di partecipazioni sociali; è per questo che la norma pone l'accento sul disegno elusivo complessivamente architettato dal contribuente”. Come accennato in precedenza, l’Amministrazione finanziaria, in base alle disposizioni contenute nel secondo comma dello stesso decreto, “disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione.” Nel legittimo risparmio d’imposta, invece, non c’è aggiramento di una norma tributaria perchè “tra vari comportamenti posti dal sistema fiscale su un piano di pari dignità, il contribuente adotta quello fiscalmente meno oneroso. Non c'è aggiramento fintanto che il contribuente si limita a scegliere tra due alternative che in modo strutturale e fisiologico l'ordinamento gli mette a disposizione”.

II) A è una società per azioni con un immobile iscritto in bilancio per un valore di 100 che vende a B per 150. Ottiene così facendo una plusvalenza di 50 che andrà tassata al 33% (senza considerare l’I.R.A.P.). I soci, quindi, per aggirare (è questo il termine esatto) questo sistema di imposizione deliberano una scissione parziale, trasferendo questo cespite in una società B. Le azioni vanno ai soci della scissa che, in questo modo, compensano la perdita del valore delle azioni (conseguentemente alla vendita del cespite) con l’aumento del valore delle azioni della società B (di cui ora sono soci). A questo punto, vendono le quote della B agli acquirenti dell’immobile. La plusvalenza derivante dalla vendita di questi titoli (capital gains) subisce una tassazione più bassa di quella che avrebbe subito la plusvalenza derivante dalla vendita “diretta” del cespite. ...e di legittimi risparmi d’imposta: I) Supponiamo che vi siano due società: A, che svolge la sua attività negli USA e che possiede il 100% di B, che svolge la sua attività quì in Italia. I dividendi che B distribuisce ad A sono soggetti al 10% di ritenuta e, per evitarla, B compra le azioni di A: in questo modo il legislatore non prevede alcuna trattenuta. II) La società A possiede il 70% di B e C il 30%. C e B svolgono la loro attività in Italia mentre A in Francia. Supponiamo che A e C si accordano in modo tale che A ceda a C le quote di B in suo possesso. Ci potrebbe essere una plusvalenza che va tassata del 17% ca.: per ridurla A si fa pagare da B dei dividendi in modo tale che le azioni di quest’ultima perdano valore.

Riportiamo alcuni esempi di fattispecie elusive: I) A è una società che ha realizzato utili, mentre B ha conseguito delle perdite. A si fonde con B per mezzo di una fusione per incorporazione: non ci sono ragioni economiche se non quelle di farsi carico delle perdite di B in modo tale da ottenere un risparmio d’imposta.

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L’Amministrazione finanziaria può reagire all’elusione riqualificando l’operazione per gli interessi erariali. Ad ogni modo, abbiamo già esaminato le caratteristiche dell’interpello ordinario ex art. 11 Statuto del contribuente, ovvero quel particolare strumento con cui il contribuente può venire a conoscenza riguardo l’orientamento dell’Amministrazione sull’applicazione di alcune disposizione tributarie, derivanti da norme la cui interpretazione sia obiettivamente incerta, a casi concreti e personali. Può, anche, verificarsi il caso in cui il contribuente sia incerto sull’elusività o meno di una sua operazione (prima che essa sia compiuta) ed interpelli l’Amministrazione per conoscerne “ex ante” il suo orientamento. Si tratta, cioè, dell’interpello speciale, ovvero quel particolare strumento con cui il contribuente può inoltrare all’Amministrazione una “richiesta di parere” sull’”l'applicazione, ai casi concreti rappresentati dal contribuente, delle disposizioni contenute negli articoli 37, comma terzo e 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni.” La richiesta di parere, inoltre, “puo' riguardare, ai fini dell'applicazione dell'art. 74, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, la qualificazione di determinate spese, sostenute dal contribuente, tra quelle di pubblicita' e di propaganda ovvero tra quelle di rappresentanza”. Leggendo le risposte agli interpelli di questo tipo emerge chiaramente quanto l’assenza di valide ragioni economiche differenti da quelle fiscali sia sufficiente per determinare o meno l’elusività di un’operazione. Inoltre, l’8° comma dell’art. 37bis del DPR 600/73 preve che “le norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi.” Con l’interpello disapplicativo si chiede all’amministrazione di disapplicare una certa norma anti-elusiva in quanto si può dimostrare che sussistano, ad esempio, valide ragioni economiche sottostanti all’operazione.

8 2.4 Sostituto e responsabile d’imposta. Il rapporto tributario.

Il rapporto “obbligatorio” di tipo tributario può coinvolgere più soggetti passivi: in sostanza, possono esservi più coobbligati solidali. La solidarietà, in tal senso, può essere paritaria (o paritetica) o dipendente: nel primo caso il presupposto è riferibile indistintamente a più soggetti mentre, nel secondo, il presupposto è realizzato dall’obbligato principale, ma è obbligato anche un altro soggetto (c.d. responsabile d’imposta) che non ha partecipato alla realizzazione del presupposto, ma è tuttavia obbligato (in solido), perchè ha posto in essere una fattispecie collaterale. Nei confronti dell’obbligato principale (o degli obbligati principali) il responsabile d’imposta ha diritto di rivalsa (per l’intero) per il semplice motivo che, nei confronti del Fisco, egli non è altro che un’obbligato “paritetico” e, quindi, può essere chiamato a rispondere per l’intero. Classico esempio è quello del notaio rogante che assume la posizione di responsabile d’imposta nell’ambito del rapporto tributario, per aver iscritto un atto facendosi carico dell’imposta di registro (principale). Un altro esempio, invece, è quello della società i cui utili siano stati distribuiti ai soci sotto il regime della trasparenza: quì ogni socio è obbligato per la sua parte (obbligato principale) ma la società è, in questo caso, responsabile d’imposta per le imposte, le sanzioni e gli interessi dovuti dal socio. Si ha sostituzione, invece, quando alcuni soggetti (ad esempio, le società, i lavoratori autonomi ecc.) sono obbligati dalla legge a trattenere parte delle somme da loro erogate verso altri soggetti (ad esempio, lavoratori dipendenti, soci ecc.) per versarle all’erario a titolo di imposta o di acconto. In particolare, si ha ritenuta a titolo di imposta se la somma trattatenuta è poi versata all’erario a estinzione del debito: si applica, cioè, un’aliquota (generalmente più bassa di quella previste dall’IRPEF) all’imponibile (reddito soggetto a tassazione separata) e l’importo così calcolato è versato all’erario che non può pretendere più nulla utleriormente. A differenza della trattenuta a titolo di acconto quindi, dove le somme sono trattenute e versate come acconto sul totale (che però deve ancora maturare) delle imposte, il versamento delle trattenute a titolo di imposta ha come conseguenza l’estinzione del debito (limitatamente allo specifico presupposto che lo ha generato). Cosi facendo, quindi, il reddito tassato con ritenuta alla fonte a titolo di imposta sfugge alla progressività dell’IRPEF.

9 2.5 Conseguenze della omissione delle ritenute d’acconto.

Il sostituto (e soltanto lui) è obbligato nei confronti dell’erario in luogo a colui che ha posto in essere il presupposto, con l’obbligo di rivalersi su quest’ultimo. Il sostituto, in sostanza, si rivale attraverso la trattenuta che poi dovrà versare all’erario. A questo punto, possono aversi due situazioni: il sostituto

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effettua le ritenute ma non le versa; in questo caso il Fisco può agire soltanto nei confronti del sostituto. non effettua nè ritenute nè versamenti; quì il sostituito deve dichiarare l’intero reddito senza scomputare le ritenute ed il Fisco può agire nei confronti del sostituto chiedendogli di versare ritenute e sanzione (vi è una duplicazione dell’imposta).

2.6 L’accertamento delle obbligazioni solidali.

L’amministrazione non è tenuta ad emettere l’avviso di accertamento nei confronti di tutti i coobbligati: è sufficiente, infatti, che l’atto esplichi i suoi effetti su un solo coobbligato che, stante la solidarietà passiva potrà poi agire in regresso nei confronti degli altri coobbligati. Supponiamo che l’amministrazione notifichi a tutti gli avvisi di accertamento che impugnano solo alcuni dei coobbligati: in questo caso, ognuno di loro (compresi coloro che non hanno impugnato) può eccepire all’amministrazione finanziaria l’eventuale giudicato favorevole ottenuto da altro coobbligato, semprechè il coobbligato che lo eccepisce non abbia una sentenza passata in giudicato in via definitiva in cui risulta soccombente. Normalmente, se un coobbligato riceve soltanto la cartella di pagamento (senza un precedente avviso di accertamento) allora può impugnarla non solo per i vizi propri (della cartella) ma anche per vizi che riguardano il merito del rapporto tributario. Gli effetti che derivano da una sentenza sfavorevole emessa nei confronti di un coobbligato non si estendono agli altri coobbligati, mentre si possono estendere quelli favorevoli (ad esempio, una sentenza favorevole nei confronti di uno dei coobbligati).

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