PER UNA CULTURA DELLA SOSTENIBILITA’ CONTRIBUTO ALLA COMPRENSIONE E ALLA REALIZZAZIONE DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE Il termine: “Sviluppo Sostenibile”, è oggi molto usato ed abusato. Quasi mai, chi afferma di operare nell’accezione dello Sviluppo Sostenibile, realmente realizza lo S.S.. E’ un termine inflazionato il cui significato ed i relativi contenuti sottesi sfuggono ai più; in particolar modo a chi dovrebbe operare scelte ed ipotizzare lo Sviluppo. Uno dei motivi principali, è riconducibile alla errata comprensione della definizione di Sviluppo Sostenibile o meglio alla parziale e iniziale definizione. La fase divulgativa della teoria si è esaurita nel comunicare solo l’aspetto intergenerazionale del termine e ciò ha comportato una presa di coscienza sommaria e ideale che ha sollevato tutti, dall’operare e dalla coerenza metodologica del fare S.S., facendo si che il solo atteggiamento conservativo delle risorse ambientali fosse bastevole nell’immaginare e programmare le trasformazioni. L’aspetto della crescita nel fare, è rimasto prioritario, mentre quello dello sviluppo disatteso. Ovvero niente è mutato nel progettare, ma il solo aspetto enunciativo e coinvolgente l’ambiente, ha permesso di fregiare e annoverare gli interventi, tra quelli di Sviluppo Sostenibile. La definizione a cui mi sono riferito precedentemente e che ha limitato l’impulso di cambiamento metodologico e culturale è: RAPPORTO BRUNDTLAND 1987 Per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo che risponda alle necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie esigenze. E’ da questa e solo da questa definizione, è stato divulgato lo Sviluppo Sostenibile. Tutta la comunicazione mediatica e didattica, si è esaurita nella esemplificazione, con lo spot del bambino nella culla in cui un adulto buttava tutto ciò, che avrebbe significato per la generazione in culla, il peso ambientale ed il relativo costo da sostenere, meramente riduttiva. La sensazione di tutti è stata quella di sentirsi in dovere individualmente, solamente di risparmiare, di non sprecare, di limitare; ovvero avere comportamenti corretti. Ma tutto ciò è materia di educazione civica non di Sviluppo Sostenibile. Bisognava aspettare il 1991 per capire meglio ed entrare più propriamente e con pertinenza nello specifico con la definizione data dal: WORD CONSERVATION UNION 1991 Per sviluppo sostenibile si intende un miglioramento della qualità della vita, senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi alla base. Ma come tutte le cose serie, queste, non si prestano a facili spot emotivi. Le variabili enunciate, pongono l’attenzione al rapporto tra miglioramento della qualità della vita e gli ecosistemi. Per capire fino in fondo questa definizione, bisogna comprendere gli ecosistemi, il loro funzionamento ed il limite entro cui possono riprodursi. Inoltre la definizione chiarisce, che gli individui, la popolazione nella sua organizzazione sociale, sono parte dell’ecosistema determinandone l’efficienza e la qualità del suo funzionamento. Si capisce bene, in questa seconda definizione, che lo Sviluppo, per essere Sostenibile, deve essere coerente con alcuni requisiti. Il primo e più importante è insito nel definire un ecosistema; ovvero, l’ecosistema è finito e quindi ha un limite fisico. Non tutto è infinitamente possibile. Si introduce quindi il concetto di limite: quel’è il limite dello sviluppo? Nello stesso tempo il secondo requisito a cui sottostare è: il carico possibile che l‘ecosistema è in grado di sopportare.
Il concetto di crescita quindi è coniugabile nel limite dell’ecosistema entro cui si svolge; ovvero la crescita oltre una certa quantità non può avvenire. La crescita, quindi, può essere solo quella prodotta dallo sviluppo. Ancora oggi si fa una grande confusione tra crescita e sviluppo, tanto da enunciare lo sviluppo pensando azioni da compiere che hanno la sola variabile di crescita. Difficile smentire che dalla rivoluzione industriale ad oggi, gli esempi di sviluppo sono minimi in rapporto alla sommatoria di moltissime azioni di brutale crescita. In pratica, il territorio con gli insediamenti umani piccoli o grandi che siano, con gli elementi naturali insieme alla flora e alla fauna sono l’ecosistema. Nel suo essere limitato e nella capacità di carico che può sopportare, si dovrà configurare la qualità della vita. Tanto più si è efficienti all’interno del limite e della capacità di carico, tanto più la qualità della vita sarà alta. E’ paradossale ma se si riflette è proprio così. Traslato il ragionamento in termini del fare e quindi nei termini della risposta politica, la logica e la proposta di sviluppo non può essere una elencazione di cose da fare, bensì un sistema che ha un suo raziocinio e propri obiettivi, entro cui ci sono le cose da fare. Di per se ogni proposta progettuale può essere valida e avere anche i connotati della sostenibilità, ma quando viene inserita in un sistema potrebbe non essere più sostenibile in quanto potrebbe essere detrattore nei confronti di un altro pezzo dello sviluppo. In modo più pratico: programmare impianti di produzione eolica in aree del territorio, di per se è sostenibile, perché si produce energia da fonte rinnovabile, non si emette co2, si crea economia indotta per chi ospita le pale eoliche, si incrementa l’occupazione. Ma se non c’è di contro un piano energetico che individua il limite entro cui l’eolico può svilupparsi, ovvero quale percentuale di produzione energetica è affidata all’eolico, si rischia di non essere più sostenibili, ma anzi detrattori di altre risorse ambientali che nel bilancio eco sistemico complessivo sono necessarie. Mi riferisco al fatto che se per ragioni diverse, tutti vorranno realizzare impianti eolici, perché in questo momento convenienti e finanziati, l’insediamento dei campi eolici dovranno necessariamente sottrarre territorio e quindi sottrarre le attività, che su quei territori si sarebbero svolte: biomassa, agricoltura, ripristino e recupero ambientale, qualità del paesaggio, ecc.. Quindi si capisce bene che non basta elencare le cose da fare facendo passare l’elenco stesso per il progetto strategico dello sviluppo, ma invece, individuare qual’è lo sviluppo opportuno, considerando i limiti dell’ecosistema e del carico che lo stesso può sopportare e poi individuare di cosa è composto l’elenco delle cose da fare e che servono. Una politica che non programma ovvero che non ha gli elementi di analisi e di conoscenza del territorio, non potrà mai svilupparsi, ma solo crescere quindi, sommando appunto gli interventi da mettere in atto. E’ chiaro quindi che se la qualità della politica non è rapportabile alla qualità dello sviluppo auspicabile non c’è termine che tenga si continuerà a stare nella fascia di definizione sociologica ed economica, del ritardo di sviluppo, col conseguente ulteriore appesantimento dell’ecosistema. Il trend della crescita in mancanza di viluppo, sarebbe rappresentato da una curva, che sale fino al limite possibile, dopo di che si entrerà nella zona che rappresenta l’emergenza. Per essere didascalico e pedante fino in fondo immaginiamo la crescita come il rapporto tra il contadino e la sua gallina che vuole far crescere. Parte che la gallina pesa 500 g, comincia a darle da mangiare e la fa crescere fino a 700 g, poi ancora fino ad 1 kg, lui vorrebbe che crescesse ancora, così potrebbe monetizzarla meglio al mercato, ma dopo una certa crescita correrebbe il rischio che la gallina scoppi, perdendo anche tutto ciò che ha investito per portarla a quel livello di crescita. Invece immaginiamo lo sviluppo come i passaggi attraverso cui un contadino a partire dall’uovo, passando per il pulcino ottiene una gallina che potrà valorizzare con un ulteriore valore aggiunto, non indifferente, perché potrebbe vantare la qualità bioecologica dello sviluppo che il processo, per far crescere la gallina, ha avuto fino a quel punto. Come si capisce bene la crescita è una variabile piccola dello sviluppo. Nello stesso anno, la terza definizione di Sviluppo Sostenibile è quella del:
ITERNATIONAL COUNCIL FOR LOCAL ENVIRONMENTAL INITIATIVES 1991 Per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo che offra servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l’operabilità dei sistemi naturale, edificato e sociale da cui dipende la fornitura di tali servizi. Quest’ultima definizione, rende esaustiva la trattazione e finalmente chiarisce fino in fondo cos’è lo S.S.. Il lavoro politico e tecnico poi, della Comunità Europea, attraverso la legislazione recepita dagli stati membri, oggi cogente, chiarisce anche altrettanto bene il come fare. Questa terza definizione, che compendia e sintetizza le prime due, è anche di lettura politica, in quanto lega l’azione dello Sviluppo Sostenibile alle attività della quotidiana vita delle collettività sociali nell’ecosistema. La qualità della vita viene sostanziata nella qualità dei servizi erogati, e nell’eguaglianza da una stessa base di partenza, di tutti i membri di una comunità; quindi ancora una volta l’efficienza è la chiave di volta della questione. Posta così la problematica, cosa dovrebbe fare l’azione politica se non sforzarsi a realizzare lo Sviluppo Sostenibile? I distinguo politici sull’eguaglianza sociale, la solidarietà, l’efficienza della macchina amministrativa, etc,non hanno più luogo di essere se si lavora per raggiungere l’obiettivo dello Sviluppo Sostenibile perché i valori prima elencati, sono insiti dell’efficienza dello sviluppo stesso. La cultura politica e la conseguente azione della realtà che la esprime è in ritardo rispetto alla stessa normativa in essere che declina lo Sviluppo Sostenibile. Molte volte la classe politica, imprenditoriale e sociale, è inadeguata a far fronte alla richiesta di sostenibilità, si scontra immediatamente con la contraddizione di richiedere e/o promettere crescita mentre è necessario ed urgente proporre e realizzare lo sviluppo. Intorno a questo dibattito nella maggior parte delle amministrazioni, non si è quasi mai discusso entrando nel merito, ma opponendo allo Sviluppo Sostenibile, altre congetture: la scienza insieme alla tecnologia, sapranno dare risposte alternative alle conseguenze di una crescita smodata, la natura da sola riuscirà a riequilibrare i guasti, gli squilibri e il depauperamento delle risorse naturali, opporre allo S.S. altre metodologie, come quella della decrescita. Non c’è dubbio che in questo periodo in cui la politica si sta esprimendo, si sente come non mai l’inadeguatezza della classe dirigente. Nella nuova era, quella dell’ambiente, non si può giustificare che non ci sia corrispondenza tra l’obiettivo strategico di sviluppo individuato, la proposta politica da perseguire e il metodo da seguire insieme agli strumenti idonei, oltre che finanziari, per realizzare quanto proposto. Come tutte le categorie, nel tempo storico in cui si riproducono, anche la politica, nel proporsi, deve adeguarsi e dimostrare capacità ulteriori. Affiancare alla coniugazione politica e ai tatticismi, gli strumenti scientifici e della conoscenza, idonei al contesto culturale e alle contraddizioni da condurre a sistema. Le capacità individuali, la conoscenza, non si improvvisano, si formano nell’arco generazionale. I cambiamenti e le soluzioni auspicate, tardano a venire perché il gap culturale del fare politica in questa era, quella dell’ambiente è ancora molto ampio in Italia. Bisognava attendere l’avvento di Obama per avere la possibilità di coniugare l’ambiente e la sostenibilità in maniera trasversale in tutti i temi dell’agenda politica. Sarebbe interessante rispondere a queste due domande fondamentali: chi seleziona la classe dirigente, quali capacità e conoscenze deve avere la classe dirigente, per cominciare a schierare le truppe in grado di guidare le comunità sociali, al soddisfacimento della qualità della vita nel rispetto degli ecosistemi. Nei distinguo politici, per avere visibilità e consenso, si fanno schierare gli elettori, molte volte senza che la stessa proposta politica ha ragione di esistere, ma ha senso solo nell’antagonismo politico. Non è un fare politico finalizzato a rappresentare ciò che concretamente si fa per trasformare la realtà, bensì ciò che si pensa. Per esempio per quanto riguarda lo Sviluppo Sostenibile, uno dei distinguo che viene operato, è quello della teoria della Decrescita.
I sostenitori della decrescita, aggregano quelle frange della sinistra radicale e non solo, che sponsorizzando i contenuti, ne fanno un’azione politica. Ciò crea un ulteriore confusione oltre che rimanere nell’ambito degli enunciati e delle conquiste da realizzare. Invece di operare un antagonismo della proposta politica del che fare e come fare, si finisce a discutere solamente di modelli e mai di metodi e operatività, lasciando che nel frattempo tutto continui a realizzarsi nello stesso modo di sempre, nello stesso modo conosciuto e di cui si è capaci. Da ciò discende l’immobilismo politico, che è tale in quanto, la politica parla di se e per se e non per porsi obiettivi e usare i più efficienti, efficaci e congeniali metodi, per realizzarli. Ciò che renderebbe possibile gli stessi obiettivi, con legittimazione e metodologia acquisita, intanto viene disatteso: lo Sviluppo Sostenibile. La decrescita, è una posizione scientifico/culturale di una visione ideologica, vale la pena ribadire, che l’obiettivo non è Decrescere, ma praticare e realizzare lo Sviluppo Sostenibile. La decrescita, come categoria, si pone in antagonismo alla Crescita. Ma abbiamo visto precedentemente che lo Sviluppo Sostenibile non coniuga la crescita bensì lo Sviluppo. Parrebbe quindi che i sostenitori della Decrescita siano legittimati solo dal fatto che tutti si affannano a realizzare la Crescita. Il problema in effetti è invece quello di realizzare semplicemente ciò che la legislazione Europea impone e che gli Stati Membri hanno recepito. Quindi basta praticare il rispetto delle leggi, ovvero attuare azioni di legalità, perché non si cresca solo, ma si sviluppi soprattutto. Avellino, 16/03/2009
Arch. Raffaele Spagnuolo