Prefazione Fraine Restart

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  • June 2020
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PROGETTO “FRAGINE RESTART”

Premessa Questo progetto, per quanto potrà apparire visionario, è il risultato di una serie di riflessioni seguite ad una attenta analisi della attuale situazione di Fraine, forse eccessivamente condizionata da una irrefrenabile passione per la mia terra, ma certamente dettata da una discreta conoscenza del nostro passato, delle tradizioni e della nostra gente. Non è un programma politico di parte da “regalare” all’Amministratore di circostanza che è posto al alla guida della Comunità poiché la sua possibile attuazione (anche parziale), non essendovi contenuti politici o per meglio dire partitici, non può e non deve essere condizionata dalla “appartenenza” dei gestori del potere istituzionale, (cosa che normalmente avviene per i programmi politici), ma può essere un punto di partenza per tutti quelli che, guidati dalla passione e dall’amore per la loro terra intendono realizzare un percorso di sviluppo che si presume sensato e che tenga conto delle tradizioni, storia e cultura della gente . E’ una guida per il futuro ovvero per i prossimi decenni (da cui trarre almeno qualche spunto) a prescindere dai colori del potere. E’ mio desiderio esprimere la mio personale convincimento che il progetto può essere preso in considerazione da qualsiasi Amministratore purché questi ami smisuratamente, incondizionatamente in modo anche estremamente campanilistico, la propria terra a rischio persino di apparire spropositato nella difesa passionale e sanguigna della Comunità che l’ha eletto come propria guida. Egli è chiamato a scelte, a volte anche impopolari, con l’obiettivo unico ed imprescindibile del bene comune e del progresso sociale, economico e culturale della propria gente. Egli ha il dovere di abbattere tutti gli ostacoli posti in essere, solo per ragioni di parte, che minano l’interesse comune; tali situazioni si manifestano con l’evidente rifiuto dei “guastatori” a partecipare in modo attivo e costruttivo alle discussioni dei progetti nelle sedi istituzionali e a contribuirvi con idee e suggerimenti realistici. Anche l’anteposizione di progetti mirati all’esclusivo interesse di parte (conflitto d’interesse) costituisce un riprovevole atteggiamento che si scontra con l’interesse comune; mentre far coincidere gli interessi (anche di parte) con quelli generali della comunità è un obiettivo da perseguire. Quando emerge prepotente il rifiuto a collaborare, poiché è molto semplice capire gli intenti di chi lo pone, non bisogna avere esitazioni e procedere con decisione alla realizzazione dei progetti stessi rifiutando ogni “presunto” suggerimento agendo spediti nell’esercizio dell’azione di governo che compete a chi è legittimato dal popolo. Egli combatterà anche suo fratello, se necessario, poichè è chiamato a vedere con gli occhi di tutti ed a difendere l’interesse collettivo sacrificando quando necessario quello del singolo o privato. Se a questa passione si aggiungerà il carisma, quale dote personale, oltre la capacità di caricare, anche nelle fasi di difficoltà, i suoi collaboratori e le piccole organizzazioni di supporto, se anche si dimostrerà dotato di ottima capacità menageriale e di umiltà (che esige di affidarsi a persone oneste e competenti quando non si ha le giuste conoscenze specifiche di settore in fasi progettuali), i suoi risultati non potranno che essere eccezionali. Risponderà al popolo intero, a fine mandato, e soprattutto alla sua coscienza che non dovrà mai avere il benché minimo dubbio che nulla fu intentato per il bene della sua comunità.

(Duilio MARTINO) 1

CENNI STORICI (Le informazioni sono tratte dal sito www.santuariomaterdomi.it e dal sito Ufficiale del Comune di Fraine con alcune aggiunte ed ipotesi scaturite da analisi individuali del sottoscritto). CENNI STORICI DI FRAINE

Fraine deve l’origine del suo nome a Fragine [m] (dal verbo latino frangere, rompere, frantumare ) come si può dedurre dalla remota esistenza, nel suo territorio, di antiche cave, per lo più padronali, di pietre adatte per pavimenti, caminetti e gradinate (la stessa cava di pietre del vicino comune di Liscia era nei boschi di Fraine; ed ancor oggi, visitando le abitazioni migliori, si constata l’ottima conservazione di queste pietre che fanno tuttora la loro bella figura). Nel sec. XII, nella zona odierna detta “Frainelle” venne costruito un insediamento difensivo con Torrione d’avvistamento (ne sono ancora ben visibili le fondamenta, mentre le pietre sono state successivamente riutilizzate per la costruzione delle nuove abitazioni nella attuale Fraine), intorno al quale i locali si strinsero per occupare le terre, difendersi, costruire le rustiche abitazioni e gestire la principale via di commercio; infatti Fraine nasce a Colle Castello verso Castiglione Messer Marino come avamposto di avvistamento e il suo obiettivo è di difesa attiva (offensiva e difensiva) e di controllo e coordinamento dell’antica via di scambio e transito commerciale legato ai tratturi. Era un paese di sentinella per la sua posizione geografica strategica. Nello stesso periodo si ha notizia di una chiesa Ecclesiam Sancte Trinitatis de Fragine in una bolla Alessandro III del 1173, con la quale si confermano gli antichi confini della diocesi di Chieti, il paese è citato ancora come Fragine nelle decime degli anni 1324-1325. Nella pienezza del dominio di Roberto D’Angiò, Fraine si componeva di due distinti Borghi detti Fragine Superiore e Fragine Inferiore (sec. XIII), poiché nella Generalis Subventio del 1320 risulta tassata per once 13, tari 21, grana 14 nella parte superiore, once 4 tari 10, grana 10 nell’altra. Successivamente Fraine risulta infeudata ai Caracciolo, principi di Santobuono, (il cui stemma è tuttora rinvenibile sul transetto della facciata dell’attuale chiesa parrocchiale), che la tennero probabilmente fino all’eversione della feudalità (tali possedimenti vennero ceduti poi al comune di Fraine, ad una famiglia potente, tra la fine del 1700 e il principio del 1800). In seguito gli abitanti si trasferirono nell’attuale insediamento urbano: Perché accadde questo? La tradizione ci parla di zona (antica Frainelle) infestata dai briganti, forse favoriti dai boschi circonvicini. Per questi malevoli, Frainelle e le sue proprietà costituivano un boccone allettante non trascurabile. Le loro ripetute incursioni, e le loro razzie erano piuttosto frequenti e dopo diverse diatribe e lotte non riuscendo a tenervi testa decisero di abbandonare il posto per sistemarsi in un luogo con una posizione più sicura ed aperta (oltre ad essere posizione centrale e dominante rispetto all’intero territorio). Leggende popolari, non si sa quanto attendibili, narrano di una presunta invasione di formiche che rendevano la vita impossibile agli abitanti.

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Ma forse, ragionando in modo più concreto, si può ipotizzare che le concause furono diverse; tra queste certamente il progressivo passaggio da una attività prevalentemente basata sulla pastorizia (Colle Castello si trova a ridosso delle montagne, pascoli ideali per la vicinanza alle al centro abitato) ad una agricola che imponeva la conquista di nuovi spazi per le coltivazioni dei prodotti che dovevano servire a sfamare un numero sempre crescente di Frainesi. Tra l’altro questa ipotesi è avvalorata dal fatto che nello stesso periodo e per la stessa ragione fu abbandonata anche la Rocca Vecchia il centro abitativo fu ricostruito più a valle con il nome che Roccaspinalveti. Altro motivo del trasferimento potrebbe essere stato quello che sia stato seguito un nuovo modello difensivo e strategico, (lo stesso per il quale hanno una collocazioni simile altri centri (San Buono, Carunchio, Liscia, etc) che comunque permetteva di tenere costantemente sotto controllo i campi possibili oggetto di furti e razzie. Sicuramente il passaggio dalla pastorizia ad una attività prevalentemente agricola tendente a rendere stanziale le popolazioni, verificatosi un po’ ovunque in quel periodo, ha contribuito a privare la vecchia “Frainelle” dell’importanza strategica per cui era stata costruita (che ricordiamo era quella del controllo del traffico della vie di comunicazione verso valle ovvero dei tratturi frequentemente percorsi dalle popolazioni “Nomadi” dedite principalmente alla pastorizia ed al commercio dei prodotti). Si collocarono quindi nell’attuale territorio, che circondarono di robuste mura con due porte d’ingresso alla Cittadina: la porta da Capo rivolta verso la via di commercio e quindi verso Castelluccio (attuale Castiglione Messer Marino) e la la porta da Piedi verso il Sobborgo di San Rocco (attuale via Roma) frequentata da pellegrini e lebbrosi. Siamo ormai al sec. XV, periodo in cui l’attuale Fraine, da zona con piccoli presidi rupestri diventa Societas dei fuochi e al 1550 risale anche la Chiesa parrocchiale San Silvestro Papa. Il Giustiniani, del Dizionario delle Due Sicilie”, a proposito di Fraine nota come la sua situazione fosse in una valle ove si respira buona aria e le donne vestono ormai vago, a segno che và stampato per mostrare ai forestieri le bellezze delle diverse fogge di vestir del regno (L. Giustiniani, 1797 – 1805). In effetti il costume popolare di Fraine interesserà distinti decoratori e acquerellisti da Michela De Vito (operante nell’ambiente Napoletano dei primi decenni del XIX sec. A Xavier Della Gatta pittore Napoletano (attivo tra il 1782 e il 1882) per incarico reale di re Ferdinando IV per il rilevamento delle fogge del vestire del regno.

Foto raffigurante il colorato costume Frainese di cui parla il Giustiniani.

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STORIA DELLO STEMMA E DEL GONFALONE L’importanza notevole dell’antico feudo trova oggi riconoscimento dall’ insegna cittadina nella quale la rappresentazione del leone, visto come coraggio e forza, è così evidente e, si può dire, immutato nel tempo, non solo quindi a ricordo del territorio del periodo passato, nel quale la città è stata infeudata dai Caracciolo (il c.d. Casacco delle Fraine). Il leone è d’oro, per non usurpare lo stemma gentilizio di una famiglia principesca ma, a seconda di quello che l’araldica porta a pensare, sembra che questa sia la prima volta, dall’inizio del Novecento, che si usi in uno stemma la mezza Croce. Può ritenersi che si riferisca a Regno d’Italia? È una spiegazione che può esulare dalla realtà, però, ci è stato insegnato che l’araldica non può basarsi su una “spiegazione certosina” ma per lo Stemma entra molto in gioco la fantasia, che è poi quella che ha animato questa Comunità non solo a “ricercare le proprie origini” ma ad evidenziare in questa splendida rappresentazione grafica, dalla quale traggono origine lo Stemma e il Gonfalone, ai quali il decreto del Presidente della repubblica del 5 giugno 2001 ha dato vita. Dalla lettura della storia risulta che i cittadini di Fraine votarono contro l’annessione al Regno d’Italia, per lo meno in numero più numeroso. È allora questa la spiegazione della mezza Croce? Infatti, sul fondo Bianco-Giallo (si riferisce ai colori del papato, di cui Fraine fu diocesi) si staglia il leone, ma, appunto d’oro (e non azzurro come quello dei Caracciolo). Il Gonfalone è riccamente ornato di ricami , quasi da contorno allo stemma sopradescritto ed evidenzia, con il drappo e la bordatura lo stemma stesso.

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La storia dell'Apparizione La storia della Madonna, Mater Domini, che si venera in questo luogo da secoli, risale intorno all'anno 1000 d.c. In quei tempi, il paese sorgeva nella Fraine antica, situtata in cima al colle come cittadina di sentinella. Gli abitanti erano molto attivi, versati nella vita agricola e rupestre. Vi era allora a Fraine una fanciulla sordomuta, povera dalla nascita. Essa aiutava i suoi genitori che lavoravano i campi nell'agro di Tresandici, portando continuamente al pascolo il gregge.La piccola scorreva le sue giornate vegliando il gregge dall'alba fino al tramonto. Un bel giorno, mentre era seduta sola, con gli occhi attenti al gregge, fu colpita da un grande bagliore su una grande quercia e udì una strana voce... Era la prima volta che percepiva un suono, infatti sbalordita e spaventata scorse sulla quercia poco lontana da lei, una bella Signora, vestita di bianco con in braccio un bambino. La Vergine rassicurandola la invitò a chiamare i genitori. Intanto i genitori, occupati nel loro lavoro, pur udendo tali grida, non risposero (infatti non pensavano si trattasse della loro figliola sordomuta). La fanciulla confusa e risentita dall'indifferenza dei genitori, tornò dalla bella Signora. La Vergine confortandola le rispose: "Non disperare, torna da loro, fatti riconoscere, conducili qui e di che ho un messaggio per loro". La pastorella, tornata nuovamente indietro, si avvicinò ai suoi genitori chiamandoli. Essi meravigliati, a stento riconobbero la figlia e ansiosi la seguirono. Giunti sotto la grande quercia, rivolto lo sguardo verso l'alto videro una bella Signora con in braccio un bambino e le chiesero chi fosse. E qui si rivelò: "Io sono Maria, la Madre del Signore! Andate dal parroco di Fraine, mostrategli la bambina e riferite lui, di costruire qui, per mia volontà, una cappella, dove i devoti possano venire a pregare ed onorare il mio figlio". I genitori insieme alla piccola fanciulla, si incamminarono verso il paese e raccontarono al parroco l'accaduto, mostrando la figlia guarita dalla bella Signora rivelatasi la Madre del Signore.

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Il Documento Nel 1056, dai documenti dell'archivio privato dei principi di S.Buono che si conservano a Napoli si evince: Berardo e Mainero, figli di Giovanni duca di Bari, proposero all'erigendo Monastero di S. Maria Mater Domini in agro di Fraine il benedettino P.Alberto. Il Monastero sorse accanto alla Chiesetta omonima già eretta da tempo e ricca di venerazione. Da queste carte, correlate da mappa, elenchi di Abati e bolle pontificie si evince anche l'atto di donazione, redatto in tardo latino: "Nell'anno 1056 della incarnazione del Signore e Salvatore, cioè nell'anno IX dell'Impero di Enrico invittissimo Imperatore, e nell'anno quarantesimo-ottavo del presente signore Rodolfo fratello di quel Principe nella nona indizione del mese di settembre..." "Noi, Maniero e Berardo, figli legittimi del conte Giovanni, un giorno prendemmo a pensare come gli empi e i peccatori che hanno negletto i propri peccati saranno puniti in quella perpetua pena e saranno posti col diavolo, e come i giusti e gli eletti si glorieranno col Signore in quella eterna beatitudine; improvvisamente la pietà divina si illuminò e il nostro cuore fu compunto di tremore e calore. Cominciammo ansiosamente a chiedere consigli a sacerdoti e religiosi presenti come potessimo redimere i nostri peccati: nessun altro migliore (modo) che tra le virtù dell'elemosine avessimo costruito a nostre spese il Monastero che in quel medesimo luogo risulta secondo la regola a norma del beato Benedetto e sciolga i voti e in ogni tempo per le nostre anime preghi. Il loro consiglio fu ascoltato volentieri e interamente, e immediatamente col favore di Dio trovammo luogo che si chiama Fraine, presso il torrente che si chiama Treste, che vi è una Chiesa che sembra essere edificata in onore della Beata Madre di Dio e della Vergine Maria Madre di nostro Signore Gesù Cristo, e le affidiamo nelle mani del sacerdote e del monaco Alberto; e nello stesso luogo stabilimmo egli fosse abate e costruisse il monastero..."

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Il Racconto sul miracolo del Romitorio La leggenda popolare, tramandata oralmente, narra il racconto di uno straordinario miracolo legato alla costruzione della chiesetta nel bosco. Anticamente i terreni del Romitorio di S. Domenico, erano possedimenti di Giuseppe Martino, uomo molto devoto e vicino alla fede: si narra di lui che prima di andare al lavoro dei campi partecipasse sempre alla S. Messa mattutina. Era proprietario di diversi possedimenti terrieri che lavorava insieme con i suoi mezzadri. Un giorno, durante il duro lavoro dei campi, sotto il sole aspro e cocente di agosto, mentre arava il terreno dove ora sorge la chiesetta, trainato dai due buoi il vomero dell’aratro s’inceppò stranamente come se bloccato da un duro ostacolo. Il contadino, che ben conosceva l’ impervietà del terreno, che spesso nasconde massi rocciosi, vibrando una ferma nerbata sul dorso delle bestie e premendolo con tutta la sua forza dalle stegole, riuscì a far avanzare l’aratro che sprofondando nella terra aprì una voragine nella quale il povero uomo cadde. Tal buco si rivelò per il mal capitato un grosso covo di orribili serpi nel quale si trovò immerso. A tal vista i buoi fuggirono spauriti abbandonando tra il morso delle serpi il lavoro dei campi il loro sfortunato padrone. Il misero mal capitato si trovò col corpo dentro la buca infesta dalle orridi serpi che, intanto col loro moto insinuoso, gli avvolgevano il corpo e gli entravano tra le vesti. In questa nefasta vicenda, col cuore stretto in gola dalla paura e il corpo tremante trovò, nella sua fede, la forza di alzare gli occhi al cielo e gridando a gran voce invocò l’aiuto di San Domenico facendovi voto. In quell’istante sentì una voce che rispondendo lo rassicurò: “Sono San Domenico. Ho ascoltato la tua voce, alzati la tua vita è salva”. Il povero contadino così venne fuori dalla buca, scrollandosi dagli abiti gli ultimi rettili insinuatisi nel cavallo dei pantaloni e nella camicia. Grazie a tal miracolo riuscì a fuggire a casa libero dal covo delle serpi senza rimanere ucciso dal morso velenoso né riportare alcuna ferita lui ed i suoi buoi. I giorni seguenti, ormai salvo e libero dalla cattiva sorte, raccontò l’accaduto e così, sciogliendo il “voto”, diede in dono al curato le sue sostanze ed i suoi beni per far costruire la chiesetta in onore del gran Santo Eremita e liberatore. Da allora sorse sul luogo dell’apparizione un romitorio affinché tutto il paese e i pastori del luogo, che in quelle terre portavano al pascolo le loro greggi, potessero trovar aiuto e protezione dal Santo Taumaturgo ed aver rifugio e consolazione nella fatica e solitudine legata alla vita dura del pastore di quei tempi.

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Cursus Storico La Chiesetta rurale di San Domenico collocata ai margini del bosco detto delle Vicenne non lontana dall’altra Chiesa anch’essa rurale di Santa Maria Mater Domini, fu voluta da Martino Giuseppe fu Innocenzo (come si evince dal registro parrocchiale del 1800) che la realizzò su di un suo sfondo e a sue spese dotandola dei beni necessari al proprio mantenimento negli anni immediatamente precedenti il 1840. (Emidio) Antonucci di Castiglione Messer Marino dichiara che Martino Giuseppe fu Innocenzo donava per San Domenico oltre ai tre tomoli per la costruzione, anche appezzamenti pari a cinque ettari di terreno, assieme ad altri benefici, per circa trent’anni rivendicato ingiustamente dal Comune. Lo scopo era quello di dare un luogo di culto accessibile agli abitanti della zona che ne erano sprovvisti trovandosi la Mater Domini più a valle e la stessa contrada in posizione decentrata rispetto all’abitato. Nell’aprile del 1842, deceduto il donatore, l’erede e nipote D. Concezio Tilli chiederà all’Intendenza l’autorizzazione, considerate le buone condizioni della struttura, ad aprire al pubblico l'edificio. Dopo circa un secolo, semiabbandonato e chiuso nel 1936, l’edificio, nelle parole dell’allora parroco Francesco Ugazio (lett. 8 luglio 1936), è in sfacelo e ridotto a rifugio di armenti e, dopo reiterate proteste, sarà ripristinato negli anni ’40 per poi tornare in abbandono completo. Possiamo ipotizzare, che il culto presso il santo eremita, Domenico di Sora, può essere accreditato sul territorio ad una origine antica risalente intorno al 1600: dato attribuibile in seguito al ritrovamento in parrocchia di una statuina in legno policromo con occhi in vetro, scolpita a mano di cm. 19xh44, con basamento anch’esso in legno databile intorno al 1600. Questa scoperta ci dà la possibilità di affermare che il culto del Santo Eremita e della sua protezione dai mali è antico quanto la statua e già preesistente alla costruzione della chiesa, come anche presso i registri del 1700 dell’Archivio Parrocchiale la presenza diffusa del nome Domenico, tutt’oggi anche se in maniera ridotta presente.

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San Domenico e la sua Vita Domenico di Sora, abate Santo, nato a Foligno nella metà del sec. X, morì a Sora il 22 gennaio 1031. Ancora fanciullo fu consegnato dai genitori al monastero di S. Silvestro di Foligno per compiervi gli studi. Lasciata famiglia e patria, si recò nel monastero di S. Maria di Pietrademonte, dove fu ordinato sacerdote e dove fece la professione monastica. Desideroso di solitudine, cominciò ad alternare la vita eremitica a quella cenobitica. Portatosi sopra un monte presso Scandriglia, fu circondato da discepoli accorsi dai luoghi vicini, per i quali fondò il monastero di San Salvatore divenendone abate. Per sottrarsi al popolo, si trasferì in un’altra località, dove eresse il monastero di San Pietro del Lago (L’Aquila), accogliendo anche qui dei discepoli. Dopo un altro trasferimento in seguito alle preghiere di Borrello il Vecchio, fondava nel Sangro il monastero di San Pietro di Avellana. Dall’Abruzzo entrò nella Provincia di Campania, stabilendosi a Trisulti e rimanendo sconosciuto a tutti per tre anni. Scoperto da alcuni cacciatori e diffusasi la fama della sua Santità, fu un accorrere di malati qui costruì il monastero di San Bartolomeo di Trisulti riccamente dotato. In questo tempo avvenne un suo incontro con Papa Giovanni XVIII, per ottenere la sua fondazione la protezione Pontificia. Esortò tutti alla carità fraterna, alle buone opere e alla penitenza. La fondazione più importante legata al suo nome è quella di Sora. Qui egli si stabilì definitivamente, continuando a erigere Chiese ed oratori. Mentre si recava a Tuscolo per affari del proprio Monastero, si ammalò. Tornato indietro, morì a Sora e fu sepolto nella Chiesa del Monastero, dove ancora si conserva il suo corpo. Nel secolo X, durante il quale il il monachesimo italiano ha un periodo segnato da una serie di riforme di decadenza, Domenico rappresenta una delle figure più attive, teso ad allargare la vita monastica e a farla fiorire. La festa è celebrata con grande solennità dai sommi, dagli arpinati e dagli abitanti dei paesi vicini il 22 gennaio. Con uguale solennità si celebra il 22 agosto la dedicazione della Chiesa. Viene invocato dai fedeli contro la febbre e contro il morso dei cani arrabbiati e dei serpenti. Nel santuario del piccolo paese di Cucullo, si conserva un dente del Santo. Il suo sepolcro a Sora è meta di pellegrinaggi. Il martirologio romano lo ricorda il 22 gennaio.

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ALL’ESTERO Il culto e la devozione alla 'Mater Domini' si è diffuso ed esteso anche fuori l'Italia in Francia, in Svizzera ed oltre oceano in Nord America (USA), Argentina ed Australia. Questo fenomeno in particolare si è sviluppato sopratutto negli anni 30' e 60' con l'emigrazione dei fedeli locali che hanno portato la loro devozione ed il loro affetto alla 'Mater Domini ' nei luoghi dove si sono stabiliti. Di queste, la comunità che emerge maggiormente, per antichità, culto e prestigio e quella americana di Clifton nel New Jersey (Società Frainese di Muto Soccorso Santa Maria Mater Domini – contatto E-mail - [email protected] Febbraio ricorre l’Anniversario della fondazione della Società Frainese di Mutuo Soccorso "S.M. Mater Domini" festeggiato nel “DINNER DANCE” annuale con la presenza di circa 300 invitati al pranzo di fraternità durante e dopo il quale sono allietati da una serata danzante in stile tipicamente Italiano. Un sentito grazie a NiK Finamore ed a tutti i menbri della Società Frainese di Mutuo Soccorso “S.M. Mater Domini” per il costante ed appassionato impegno profuso nel tenere sempre viva nei cuori dei Frainesi d’oltreoceano la devozione per la Mater Domini e l’orgoglio di essere Frainesi ed Italiani.-

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