PREFAZIONE
Un romanzo bello e intenso, in cui la dimensione culturale si sposa con quella fattuale, resa dall’autore prodigiosamente palpabile: l’incendio costiero, il paesaggio ligure del Levante, i nomi e i tipi di una terra che il lettore impara ad amare in modo preciso e consapevole. Come nel romanzo di esordio di Rovegno, Vigilia (ed. Marietti 1987), il cuore pulsante della narrazione è focalizzato nel rapporto padre-figlio, basilare anche in quest’ultimo libro, dove però il padre non è presente fino all’ultimo respiro, anzi è assente dalla vera vita del figlio fin dall’inizio della narrazione. Si crea così un forte legame fra questo testo e il remoto Vigilia, in cui il padre diventava per il figlio accompagnatore e tramite, aiutandolo ad affrontare la vita. Ma qui il padre ha abbandonato le sue cure e non accompagna il figlio: tanto più, dunque, il padrefuggitivo è ispiratore di una vita piena di eterna ricerca, dell’ambiguità di risposte non date e persino di domande non formulate. Il protagonista, Umberto, è in realtà un nuovo Ulisse, erede degli Ulissi della cultura mondiale. Suo figlio - alter ego del lettore - si associa a quella fuga, alla “regola del quasi”. Nel mito greco Odisseo, nipote di Hermes, è un prodigioso comunicatore, specialista della conversazione. E veramente a Umberto vengono raccontati o in altro modo svelati tanti misteri (tra cui la fantastica storia di Remo, che questa volta non viene ucciso dal fratello/amico fraterno, ma lo uccide... per diventare vittima, a distanza di anni, della vendetta del morto). Un eroe di tale fatta è un felicissimo tramite tra il lettore e il mondo complesso del vissuto e del subconscio. Un mondo, quello narrato da Rovegno, tragico, come appunto il milieu in cui naviga Ulisse: per l’antico eroe c’erano draghi, stregoni, forze indomate e feroci, come Poseidone e Polifemo... Per vincerli Umberto-Ulisse non ha dalla sua Atena, la ragione, ma nel fondo della sua disperata solitudine gli verrà offerto un aiuto imprevedibile e prezioso.
Tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo il soggetto omerico, come si sa, venne rivisto in continuazione sia da scrittori (ci limitiamo a citare Joyce) sia da pittori (Boecklin, Turner). Mi pare che oggi questo romanzo aggiunga un’altra frase a questo dialogo, naturalmente una frase distaccata dalle vecchie problematiche, e piena delle nuove. C’è del grottesco (un cuoco quasi cannibale), del tragicomico (l’incontro con la sirena...). C’è un eroe prigioniero dell’accidia, e il suo appuntamento con il drago è di quelli che non si possono dimenticare o rimandare: forse lo specchio dell’uomo del nostro tempo. È la nuova intonazione di un canto antico, che merita di essere captato e capito da tanti lettori. ELENA KOSTIOUKOVITCH