In To Alla Citazione Di Papert S

  • June 2020
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In riferimento alla citazione di Papert S. “Fatti non foste a vivere come bruti, ma per seguire virtude e conoscenze”. Così scriveva il sommo poeta ed il tempo e la storia hanno sempre più confermato quanto è stato vera la citazione appena espressa, appena ricordata. Infatti, l’uomo, in quanto essere dotato di razionalità, di intelligenza, non ha mai abbandonato la sua ansia, la sua “sete” di conoscere. Ogni sua conoscenza, ogni sua conquista non è stata mai un punto d’arrivo, bensì sempre e soltanto un punto di partenza per nuove conquiste, per nuove conoscenze sempre più affascinanti, perché sempre più complesse se non addirittura impensabili o inimmaginabili. Un semplice, rapido e succinto excursus storico ci permette di incontrare l’uomo cacciatore, pescatore, agricoltore, “l’homo faber”, “l’homo sapiens”, che, con la sua intelligenza e con il suo tenace lavoro è passato da una società agricola ad una società industriale, da una società industriale ad una società post industriale e tecnologica. Quello stesso uomo che è stato capace di uscire dai suoi confini terrestri per esplorare e conquistare altri mondi, altri pianeti. Ha conquistato la luna, ha esplorato con i suoi mezzi Marte, Giove, Venere, Saturno ecc. ecc. Conquisterà cos’altro? Dove arriverà? Fin dove potrà e saprà spingersi? Mistero. Tutto è divenire. Noi viventi gustiamoci le conquiste sin qui raggiunte in questa era spaziale, in questa società telematica dove la nostra stessa comunicazione, il nostro stesso modo di relazionarci e di apprendere hanno avuto un profondo cambiamento, segnando una rivoluzione vera e propria. La stessa scuola è stata toccata da questa rivoluzione. Infatti, siamo passati nel tempo, da un apprendimento “uditivo” ad un apprendimento “visivo” sino ad arrivare ai nostri giorni ove la comunicazione e l’apprendimento avvengono sempre più tramite l’uso del computer, di Internet, frutto di quella società tecnologica cui sopra facevo riferimento. Un tempo apprendevano ed imparavamo sfruttando la nostra memoria uditiva, ascoltando i nostri nonni, i nostri genitori, i nostri fratelli, insomma ascoltando tutti i nostri simili, tra cui un ruolo primario e fondamentale per la nostra formazione e per la nostra informazione era esercitata dal maestro. Ci avvicinavamo al sapere, al suo sapere ascoltando le lezioni, prestando attenzione a quanto ci propinava. E, tanto più intensa era la nostra partecipazione, quanto più immediata era la sua comunicazione, quanto più capacità espositiva aveva. L’avvento della televisione e di altri mezzi visivi, poi, hanno fatto in modo che anche nella scuola entrasse l’immagine e si sviluppasse sempre più la memoria visiva. Lo stesso maestro è stato così portato a servirsi sempre più spesso di sussidi didattici visivi, onde rendere più partecipativa e partecipata la sua lezione. Oggi, nella scuola è entrato e si va sempre più diffondendo l’utilizzo del computer. E’ l’era dell’informatica con tutti i suoi vantaggi ma dirò anche con i suoi pericoli. Il tutto dipende non tanto dallo strumento in sé, quanto dalla sua utilizzazione ed in modo particolare dalla oculata scelta del software, proprio perché è il software l’aspetto predominante della nuova didattica nella scuola italiana. Secondo il mio modestissimo punto di vista, il computer deve avere nella scuola la stessa funzione del libro di testo perché un programma per computer a livello scolastico non è diverso per complessità alla qualità del lavoro delle pratiche necessarie per l’elaborazione di un buon libro di testo. Così come il compito di un insegnante è anche quello di saper adottare dei buoni testi per i suoi allievi, nel caso del software, il docente deve essere capace di scegliere i migliori “testi elettronici”. Dico questo, perché resto convinta che non esiste il problema di un primato del computer e dei programmi elettronici rispetto al docente e alla sua stessa lezione tradizionale, atteso che nessuno ha osato affermare e ha dimostrato in modo definitivo che l’insegnamento cosiddetto “tradizionale” è inferiore o meno efficace se messo a confronto con una strategia didattica computerizzata.

Usare il computer con buoni programmi scientifici significa, prima di tutto, mettersi in contatto con i modelli informatici della comunicazione, con i percorsi logici e le tecniche della simulazione scientifica dei problemi e con la più aggiornata metodologia della ricerca; tutto ciò comporta l’apprendimento dei nuovi linguaggi informatici che accanto alle lingue straniere più diffuse stanno occupando i primi posti nel mondo del lavoro e della scienza. Perciò dico: c’è un futuro che è già tra noi e parla la lingua dei computers. Per me, dunque, è un grave errore pensare al computer nella scuola esclusivamente come macchina ma esso è e deve diventare, sempre più, utile ausilio nei programmi personali dei docenti, strumento per “pensare”, per abituare gli allievi a “sperimentare”, “simulare”, “strutturare”, i problemi e risolverli, con propria diretta partecipazione. Resto, oltremodo, convinta che l’uso del computer non isola affatto i ragazzi, ma li avvicina fra loro, perché con la moderna tecnologia dell’informazione essi possono imparare molto di più facendo ricerca di gruppo. Il che, però, non esclude che possano imparare anche facendo ricerca da soli, scoprendo da soli. Resto, altresì, convinta che, all’interno della scuola, il docente non deve essere più l’unica fonte di informazione a cui attingono i ragazzi. Il suo ruolo, insomma, non è quello di fornire tutte le parti della conoscenza, bensì quello di creare delle situazioni in cui i ragazzi seguono le loro passioni col cuore, portano avanti progetti a cui sono veramente interessati, fanno scoperte prendendo da Internet le informazioni di cui hanno bisogno, lavorano insieme, realizzano cose difficili. Il docente deve sapere consigliarli, deve sapere guidarli. “Tutto è divenire”, dicevo poco avanti. Ebbene, non riesco a prefigurarmi il mondo di domani, di un domani ancora lontano, dal momento che viviamo continue rivoluzioni tecnologiche e non solo. Tra i tanti dubbi che assillano lamia mente, una certezza è forte in me: “l’uomo è arbitro delle proprie azioni, egli è arbitro del suo stesso destino”. Con la sua ragione, con la sua intelligenza, con un uso corretto, saggio e pacifico della tecnologia che si è data e che saprà ancora darsi, potrà esplorare e creare scenari ancora più impensabili ed inimmaginabili, facendo compiere all’umanità intera ulteriori grandi passi in avanti, verso un mondo decisamente migliore. Viceversa, se si lascerà guidare dall’egoismo, dall’uso distorto di una sana moralità, se annullerà nel suo stesso “io”, ogni umano sentimento, scriverà allora soltanto pagine di distruzione e di morte, come fu già per Hiroshima e Nagasaki e segnerà per sempre la fine dell’intera umanità. Così è anche per l’utilizzo del computer. Un suo uso corretto ed oserei dire etico uso, può formare ed informare intere generazioni. Al contrario, un suo uso distorto, può farci cadere nella più squallida depravazione o perversione, se non addirittura nella morte civile anche di giovani generazioni. Giannotti Adelaide

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