Commento alla citazione di DE KERCKHOVE D. Si sa i figli del digitale e della rete, i “digital natives”, sono diversi dalle generazioni dei loro padri, “digital immigrants”; per modalità di comunicazione e apprendimento. I media esercitano una pressione notevole rispetto all’atteggiamento nei confronti delle nuove tecnologie soprattutto se di grande impatto e se interessano le nuove generazioni. Oggi c’è una contrapposizione tra giovani digitali ed adulti analogici, tra i due c’è un gap generazionale. Nel 2001 Mark Prensky ha coniato il termine di Digital Natives, (nativi digitali) cioè coloro che sono nati tra la fine degli anni 90 e l’inizio del 2000, e sono stati i primi ad essere nati e cresciuti con le nuove tecnologie. Essi da una statistica si è visto che in 5 anni trascorrono 10000 ore con i videogiochi, si scambiano 200000 e-mail, parlano 10000 ore al cellulare, guardano per 20000 la TV e vedono 500000 spot pubblicitari e solo 5000 ore le dedicano alla lettura. A seguito di ciò Prensky ha concluso che una dieta mediale simile generia un nuovo modo di organizzare il pensiero, un nuovo linguaggio che modificherà la struttura celebrale dei nativi digitali formata da Multitasking, ipertestualità, interattività e questo probabilmente sarà solo l’inizio di una evoluzione. Genitori ed insegnanti dovranno solo adeguarsi, imparare il nuovo linguaggio, adottare un nuovo metodo di insegnamento e relazione e conquisteranno il titolo di “migrati digitali”. Usare la tecnologia significa usare in maniera diversa le nostre capacità cognitive, imparare a gestire abilità sottoutilizzate o svilupparle di nuove, ma i nativi di oggi non sono altro che gli uomini di domani; allora ci si chiede se siamo davvero davanti ad una nuova evoluzione del genere umano. Gary Small afferma che i nativi digitali hanno un linguaggio diverso, abitano un ambiente mediale complesso ed hanno persino un cervello diverso, ma spesso non ne sono consapevoli. Quello che noi vediamo come un modo “altro” per loro è una quotidianità. Per i nativi digitali, afferma Giovanni Boccia Artieri, sociologo dell’Università di Urbino, cambia o cambierà la percezione del senso della posizione nella comunicazione. Loro intendono degli spazi personali e quando gli adulti invadono i loro spazi e li presidiano, tipo myspace e facebook, “scappano”. Lo stesso Giovanni Boccia Artieri attesta:“Chi condivide riflessioni e filmati attraverso internet spesso si rivolge a una fascia di utenti ristretta, come gli amici. Ma è meno consapevole che esiste una fascia molto più estesa di persone che possono leggere o guardare quei contenuti”. Se si pensa ai social network, non si evince una grande voglia di condividere bensì una voglia di mostrare, si assiste ad una sorta di esibizionismo; infatti già dagli anni 90 la TV ha anticipato la tendenza all’esibizionismo della gente comune, prima come pubblico in studio e poi come protagonista di talent show. Spesso i ragazzi oggi si sentono di condividere con gli altri amici e non anche gesti brutali o “fesserie” non pensando a nient’ altro che alla diffusione immediata. Sperimentano le varie possibilità senza conoscere le conseguenze e alcune sono disastrose. In rete sono presenti tracce del nostro sé, quindi cambia anche il concetto di privacy. Ma oggi nessuno può sostenere di avere il controllo della propria privacy anzi è praticamente impossibile; bisogna avere il controllo delle informazioni che inviamo sul web, per impedire che certe informazioni diventino note ad altri. La prudenza non è mai troppa. Gilda Verone