UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO “CARLO BO” FACOLTA’ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE Corso di Laurea in Lingue e cultura per l’Impresa
IL RUOLO DEL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE NELLA RECENTE CRISI ARGENTINA
Relatore:Chiar.mo Prof. MARCO MARINI
Tesi di Laurea di: STEFANO BERTUCCIOLI
______________________________________
ANNO ACCADEMICO 2002-2003
INDICE Capitolo I
Il Fondo Monetario Internazionale
1.1 La Nascita del Fmi
1
1.2 Obiettivi e funzioni
2
1.3 Gli organi decisionali
6
1.4 Le quote
7
1.5 Le forme di prestito
8
Capitolo II
La crisi economica argentina del 2001
2.1 La storia politica ed economica dal 1880 al 1989
10
2.2 Le riforme
12
2.2.1 La Legge di convertibilità e la riforma del sistema bancario
14
2.2.2 La riforma finanziaria
16
2.2.3 Le privatizzazioni
17
2.3 La crescita iniziale
18
2.4 Il primo squilibrio: la crisi messicana
18
2.5 L’inizio della recessione: la svalutazione del real
19
2.6 Dalla recessione alla crisi
20
2.7 Le cause della crisi: le implicazioni del tasso di cambio sulle esportazioni e sul sistema produttivo
23
2.7.1 L’ambito fiscale
26
2.7.2 Il debito estero
27
Capitolo III
Conclusioni
3.1 Il ruolo del Fmi nella crisi argentina
29
Riassunti tesi italiano e inglese
34
Bibliografia
37
Appendice
I 3
4
Capitolo I
Il Fondo Monetario Internazionale
1.1 Nascita del FMI Durante la seconda guerra mondiale, a seguito delle conferenza monetarie e finanziarie tenutesi a Bretton Woods, nel New Hampshire, a partire dal primo luglio del 1944, furono istituite il Fondo Monetario internazionale e la Banca Mondiale. La Banca Mondiale (nome ufficiale “Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo”) concesse i primi prestiti per la ricostruzione degli stati europei distrutti dalla seconda guerra mondiale. Quando l’Europa ebbe terminata la sua ricostruzione la banca volse il suo sguardo verso i paesi più poveri del pianeta, facendo del loro sviluppo e della promozione del loro progresso il suo obiettivo centrale. Oltre alla creazione del FMI e della BM nello statuto si richiamava la necessità di raggiungere al più presto possibile anche un accordo per ridurre gli ostacoli al commercio internazionale, e più in generale, per promuovere lo sviluppo vantaggioso delle relazioni commerciali tra i paesi. Questo era un riferimento implicito alla nascita del WTO (World Trade Organization) o OMC (Organizzazione Mondiale per il Commercio) avvenuta il realtà molto più tardi nel 1995. I delegati che parteciparono alla conferenza avevano ben presente la depressione globale degli anni Trenta. Quasi settantacinque anni fa, il capitalismo affrontò la crisi più buia fino ad ora. La Grande depressione avviluppò tutto il mondo e portò ad un aumento della disoccupazione tanto che un quarto della forza lavoro statunitense era disoccupata. L’economista britannico John Maynard Keynes, autore del famoso trattato "Teoria generale dell'occupazione dell'interesse e della moneta" in cui affronta anche le questioni sulla crisi del '29 e le politiche per il suo superamento, offrì una spiegazione semplice e una serie altrettanto semplice di indicazioni: la mancanza di una domanda aggregata sufficiente spiegava le contrazioni economiche; le politiche di governo giocavano un ruolo determinante e potevano aiutare a stimolare la domanda aggregata. Nei casi in cui la politica monetaria fosse stata inefficace, i governi
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avrebbero potuto fare ricorso a politiche fiscali, aumentando le spese riducendo le imposte.1 Sebbene i modelli kynesiani siano stati poi criticati e perfezionati abbiano spiegato come mai le forze di mercato non operavano velocemente per portare l’economia alla piena occupazione, la lezione base rimane valida. Il FMI fu incaricato di evitare la nuova depressione a livello mondiale esercitando una pressione internazionale sui paesi che, non facendo la loro parte nel mantenere la domanda globale, lasciavano sprofondare le loro economie. Quando fosse stato necessario, avrebbe anche fornito liquidità sotto forma di prestiti di breve termine ai paesi vittime di una contrazione economica e incapaci di stimolare la domanda aggregata con risorse proprie. L’Fmi si basava sulla consapevolezza che i mercati spesso non funzionavano a dovere ed era basilare aiutarli a risollevarsi. Per raggiungere una stabilità economica globale, era necessaria un’azione collettiva a livello globale. Lo statuto venne ratificato il 27 dicembre 1945 da 29 paesi su 45 che avevano partecipato
alla
conferenza
un
numero
legalmente
sufficiente
a
dar
vita
all’organizzazione. La prima riunione ufficiale si tenne nel maggio 1946 a Savannah, nello stato delle Georgia (USA) in cui si decise di fissarne la sede permanente a Washington, la capitale del paese che deteneva la maggioranza del capitale dell’istituzione.
1.2 Obiettivi e funzioni del Fmi Gli obiettivi del Fondo vengono definiti all’articolo 1 dello statuto (vedi allegato 1a), il Fondo Monetario, nel suo sito Web, li riassume così: •
Favorire la cooperazione internazionale
•
Facilitare l’espansione e la crescita equilibrata del commercio internazionale
•
Mantenere la stabilità dei tassi di cambio
•
Mettere a disposizione le proprie risorse ai paesi membri con difficoltà nella bilancia dei pagamenti (Diritto al prelievo)
1
“Keynes immaginò un meccanismo di spesa dello stato, anche improduttiva, (ricordo l’esempio storico della squadra di operai ingaggiata per aprire una buca per terra, e di un’altra squadra ingaggiata per chiudere quella stessa buca), che però aveva la funzione di far ripartire l’economia. Gli operai spendevano il loro reddito e questo consentiva alle imprese di produrre altri beni e di assumere altri operai che, a loro volta, avrebbero speso il loro reddito. In questo modo si innescava un circolo virtuoso di reddito-spesainvestimento che faceva ripartire l’economia. Keynes disse che questo era un rimedio temporaneo contro la crisi, poiché occorreva poi ripagare il debito aggiunto che lo stato assumeva. Per aumentare il denaro in circolazione le banche centrali abbassano il tasso di sconto per rendere più facili i prestiti. “C. Napoleoni, Il pensiero economico del 900, Einaudi Editore, TO, 1963, pag. 102)
6
•
Promuovere la piena occupazione, la crescita del reddito e lo sviluppo delle risorse produttive
Semplici corollari sono : mantenere o di stabilire nel caso non ci fosse, la stabilità economica, evitare le crisi, aiutare a risolverle quando non si riesca a prevederle, aiutare la crescita ed eliminare la povertà. Per arrivare a questi obiettivi il fondo impiega tre meccanismi principali: sorveglianza, assistenza tecnica, assistenza finanziaria.2 La sorveglianza è senza dubbio la principale ragion d’essere del FMI. Secondo alcuni questa è la sua funzione base dalla quale si possono ricondurre tutte le altre compresa quella finanziaria. Normalmente si distingue tra un’azione di sorveglianza bilaterale, mirata a valutare politiche economiche del singolo paese, e una di tipo multilaterale, in cui si valuta la congruenza della sua politica in ambito globale. Il primo compito della sorveglianza bilaterale consiste nell’assicurarsi che i paesi membri non introducano restrizioni contrarie all’articolo VIII, ovvero “l’obbligo di garantire la convertibilità delle proprie partite correnti ”. Il secondo attiene all’adeguatezza delle politiche economiche del paese membro in rapporto alla situazione della sua bilancia dei pagamenti e del cambio. Questa funzione si ricava dall’articolo IV dello statuto che impone ad ogni paese di collaborare col FMI e con gli altri paesi membri dell’organizzazione al fine di assicurare l’ordinato funzionamento e la stabilità del sistema dei cambi. Ne discende l’obbligo di fornire al Fmi un costante ampio flusso di informazioni e di dati statistici sulla propria situazione economica. Per quello che concerne la sua sorveglianza multilaterale (o esterna) questa trova fondamento dal fatto che la posizione esterna del paese è il riflesso delle politiche messe in atto al suo interno. L’attenzione nel corso degli anni non è rimasta meramente macroeconomica, e quindi bilaterale, ma si è estesa al funzionamento dei mercati e delle istituzioni e a tutti quelli che vengono chiamati aspetti strutturali, visto che possono influire sia sulla stabilità interna ed esterna contribuendo a regolare l’offerta, sia sulle norme che regolano i rapporti tra i principali attori economici (il grado di indipendenza dalla banca centrale, le regole sulla vigilanza del sistema bancario, la politica fiscale). 2
citazione dal sito ufficiale del Fmi http://www.imf.org/external/pubs.htm
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Negli ultimi anni il Fmi si dedica ai sistemi di sicurezza sociale al fine di verificare che il paese sia in grado di coprire sia i bisogni delle fasce più deboli della popolazione, sia anche perché la spesa sia sostenibile per i conti pubblici. Più in generale possiamo dire che il Fmi e le autorità locali esaminano le attuali politiche in atto dal governo in carica e suggerisce, secondo il punto di vista dei suoi esperti, le politiche migliori per arrivare alla stabilità
cambiaria e una economia
mondiale prospera ed in crescita. Questi possono essere definiti come pareri e non sono, in linea generale, vincolanti. Possiamo immaginare, però, quanto un parere, positivo o negativo, di un’istituzione di questa portata possa essere preso in considerazione sul piano internazionale. I tecnici del FMI conducono quindi delle periodiche consultazioni con i paesi membri, (almeno una all’anno in ogni paese membro) redigono un rapporto contenente le loro analisi e le loro raccomandazioni che sarà approvato dai vertici dell’organizzazione e reso noto alla comunità mondiale tramite pubblicazione di documenti, studi e rapporti. La funzione di sorveglianza multilaterale è legata al concetto di cooperazione internazionale fra i paesi sotto molti punti di vista. Questa esigenza nasce dal riconoscimento che le economie sono interdipendenti, che quindi gli sviluppi di una possono influenzare le altre. Non dimentichiamo che è molto semplice che certe misure correttive appropriate a livello nazionale, che apparentemente non andrebbero a danno della comunità risultino incoerenti a livello internazionale, magari con politiche restrittive della domanda, che ostacolerebbero l’espansione del reddito della crescita economica e dell’occupazione3 ( non in linea con l’articolo 1 dello statuto). Analizziamo ora quella che viene chiamata in più modi funzione finanziaria,assistenza finanziaria, attività di prestito o DIRITTO DI PRELIEVO 4. Esso attribuisce ogni paese che aderisce al sistema, nel caso di difficoltà momentanee (solitamente della bilancia dei pagamenti), la possibilità di ottenere un credito automatico dal Fmi attraverso un prelievo che possa provvedere ad eliminare squilibri nelle loro economie. Questo serve ad evitare il ricorso a misure drastiche oppure costi troppo alti dal punto di vista del reddito e dell’occupazione. Quando un paese ottiene un prestito dal Fondo, le autorità del paese si impegnano ad applicare certe politiche economiche e finanziare, requisito noto con il nome di 3 4
Art. 1, comma 4, Statuto del Fmi Art. 1, comma 5, statuto del Fmi
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condizionalità5 che dà al Fondo la certezza che il prestito concesso si utilizzerà per far fronte alle difficoltà economiche del paese mutuatario e che il paese potrà rimborsarlo in maniera opportuna in modo che i fondi dell’istituzione possano essere a disposizione degli altri paesi che ne abbiano bisogno. Il Fmi concede il prestito solo a condizione che il paese adotti politiche adeguate per fronte a difficoltà della bilancia dei pagamenti(ovvero circa al debito estero), gettare le basi per una crescita economica solida e sostenuta nel tempo arrivando ad avere una stabilità economica più alta (per esempio misure per contenere l’inflazione e ridurre il debito pubblico), cercare di risolvere anche i problemi strutturali che ostacolano una crescita solida, come ad esempio cercare di liberalizzare il commercio, altre misure per rafforzare il sistema finanziario o migliorie nell’ambito della gestione del governo. Tutto questo con il presupposto di rimborsare il prestito al Fondo nei termini stabiliti fra il Fondo e le autorità del paese. I contenuti dei documenti dell’attività di prestito non differiscono da quelli oggetto dell’attività di sorveglianza, soltanto che in questo si concretizzano degli obiettivi più precisi. (politica monetaria, fiscale, cambiaria, modifiche strutturali). Negli ultimi anni, il Fmi ha cercato di razionalizzare e focalizzare le condizioni alle quali è soggetto il finanziamento dell’istituzione in modo da incrementare l’identificazione dei paesi con politiche solide ed efficaci del Fmi. I prestiti non vengono mai emessi in un’unica soluzione, bensì in più esborsi o tranches a cadenza solitamente trimestrale. Ciò consente di volta in volta di verificare i progressi compiuti nel mettere in atto il programma di risanamento concordato. Se alcuni obiettivi non vengono raggiunti saranno i tecnici e gli organi esecutivi del FMI (solitamente in Consiglio Esecutivo) a decidere se proseguire, sospendere o interrompere
il
programma. Il Fondo svolge da sempre un ruolo molto importante anche nel campo delle statistiche internazionali, tanto che si potrebbe parlare di una funzione statistica del Fondo. Come già esposto, i paesi sono obbligati a comunicare una serie di dati, reali e finanziari, sulla loro situazione economica e pertanto il Fondo si trova a disporre di una
5
Solo a partire del 1954, con due finanziamenti S.b.a., rispettivamente a favore del Perù e del Messico, il Fondo cominciò a vincolare la concessione delle proprie risorse al soddisfacimento di particolari condizioni, dando vita alla pratica della condizionalità
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quantità enorme di informazioni che mette a disposizione della comunità internazionale su numerose riviste. Voglio sottolineare che con il passare degli anni e con l’ingresso dei questi tutti i paesi del mondo, oramai 184, il Fondo, come leggerete, ha subito dei cambiamenti all’interno delle sue funzioni infatti è passato da semplici consultazioni macroeconomiche a pareri riguardante l’aspetto strutturale, la politica fiscale e tanti ambiti che da sempre sono di competenza del singolo paese. Da istituzione finanziatrice di squilibri di breve termine, della bilancia dei pagamenti e commerciale è passata anche a finanziatore di medio e lungo periodo. (vedi par 1.5) Da organismo che avrebbe solamente dovuto occuparsi della convertibilità delle monete e della stabilità dei cambi ed evitare le svalutazioni competitive, ci sono stati numerosi cambiamenti nella sostanziali.
1.3 Gli organi decisionali La struttura decisionale del FMI non differisce molto da quella di una normale società d’affari. Gli “azionisti“, cioè i ministri delle finanze o governatori della banca centrale dei 184 paesi membri, fanno parte del Consiglio di Governatori (Board of Governors). Quest’organo si riunisce solo una volta all’anno e discute aumenti delle quote o ammissione di nuovi membri. Gli indirizzi
strategici
vengono formulati da un organo consultivo più ristretto
chiamato Comitato Monetario e Finanziario internazionale a cui partecipano solo 24 governatori che invece si riunisce due volte all’anno. L’amministrazione vera e propria e le operazioni quotidiane sono affidate invece al Consiglio Esecutivo, (Executive Board) composto da 24 Direttori esecutivi, (in principio nel 1947 ne aveva solo 12) e sono così ripartiti: otto paesi hanno un rappresentante ciascuno (Cina, Francia, Germania, Russia, Arabia Saudita, USA, Inghilterra e Giappone) ognuno dei restanti 16, che rappresentano i restanti 178 paesi, è a capo di una costituency, ovvero vota a nome di un gruppo di paesi6. Ogni direttore esecutivo dispone di un numero di voti in proporzione alla quota del paese o alla somma delle quote dei paese, nel caso di una constituency. Il Consiglio esecutivo funziona in “sessione continua” questo significa che i suoi componenti hanno sede fissa a Washington e possono riunirsi in ogni momento. E’ 6
La quota dell’Italia da 3.36% ma sale a 4.23% visto che la constituency è formata da Grecia , Portogallo, Malta, Albania e San Marino.
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d’obbligo ricordare che Keynes si batté vivamente affinché la sede del Fmi fosse stabilita in Europa o almeno a New York, questo perché temeva l’organizzazione avrebbe avuto il controllo politico del Governo degli Stati Uniti. Il quorum necessario all’approvazione di una decisone è del 70% o del 85% a seconda delle decisione. Per tradizione non si ricorre mai ai voti formali ma si decide “per consenso”. E’ bene ricordare che ogni decisione in ultima istanza viene sempre approvata dai paesi membri tramite il Consiglio Esecutivo o direttamente dal Consiglio dei Governatori (più raro). Il consiglio è presieduto dal Direttore Generale (Managing director) che esercita in prima persona la funzione di sorveglianza, approva gli accordi di prestito e discute preliminarmente qualsiasi proposta che richiede una decisione dei Governatori. Egli è anche il capo del personale del Fmi, è colui che rappresenta l’istituzione e può parlare a suo nome, cosa che non possono fare né i Governatori né i direttori, il suo mandato è di cinque anni e alla sua scadenza può essere rieletto. Si è oramai stabilita una tradizione per cui al capo del Fmi ci debba essere un europeo e a capo del Banca mondiale uno statunitense, questo è il riflesso di un patto tra “azionisti di maggioranza”, frutto degli equilibri scaturiti durante la secondo guerra mondiale.
1.4 Le quote Le quote hanno due funzioni principali: danno accesso alla somma massima che può essere richiesta in prestito e stabiliscono il numero di voti all’interno delle istituzioni del Fondo. Quando un paese decide di diventare membro del Fmi vi è una quota base che deve essere versata, che si determina in modo da riflettere la situazione economica in relazione agli altri paesi membri. Per quanto concerne il pagamento, il 25 % della quota che il paese versa deve essere in moneta di ampia accettazione come dollaro, euro, yen) mentre il restante 75% in moneta del paese membro. Questa quota permette di avere 250 voti, ovvero un numero di voti minimo che permette semplicemente di poter votare, in futuro il paese potrà procedere al versamento di altre somme. Un voto in più viene dato in base a 100.000 Dsp (Diritto speciale di Prelievo), la moneta utilizzata dal Fondo. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno una quota di 37.100 Dsp ( 51.200 milioni di dollari) pari al 17,14 %, e Palau con una quota di soli 4.3 milioni di dollari è lo stato con minor numero di voti (0,013%). Chiarito l’ambito delle quote concernente l’ambito
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istituzionale, arriviamo a quello del finanziamento. La somma delle quote di tutti i paesi membri costituisce il capitale complessivo del FMI, a cui attinge per le operazioni di prestito. Lo Statuto prima della sua modifica prevedeva che si potesse prelevare annualmente il 25% della sua quota, ma non poteva superare il limite massimo del 200% della quota stessa. Oggi la somma massima che un paese può ottenere la Fondo è in relazione alla quota versata. In base agli accordi sul Diritto speciale di prelievo un paese adesso può ricevere il 100% annualmente e il 300% in maniera accumulata. Bisogna sottolineare che ogni richiesta viene decisa di volta in volta dal Consiglio di Amministrazione e che sono frequenti i prestiti per somme molto maggiori al limite massimo del 300%. Maggiore è la quota versata maggiore sarà il potere di voto e maggiore sarà la somma prelevabile. Nel 1947 i due paesi che avevano guidato i negoziati avevano quote pari al 35.6% per gli USA e al 16.84% per la Gran Bretagna (in questa quota era inclusa anche quella delle colonie che al tempo possedeva), poi vi era la Cina con 7.12% e la Francia con 6.80%. Oggi, le percentuali sono molto diverse certamente dovute al fatto che i paesi aderenti al Fondo non sono 45 bensì 184. Lo statuto prevede di rivedere le quote ogni cinque anni, ma solo in caso di necessità.
1.5 Le forme di prestito Il principio fondamentale dei prestiti del Fondo è che non sono mai intesi a soddisfare pienamente i fabbisogni finanziari del paese richiedente, ma cercano di fungere da catalizzatore delle altre fonti di finanziamento, pubbliche o private. Questo è possibile in quanto il Fondo fornisce ad alcuni paesi mutuatari un attestato di credibilità sulla propria economia, che può essere richiesto gratuitamente, che lo rende più attraente per i potenziali creditori. A volte il Fondo viene convocato da un paese solo per questo motivo, per poter avere, questo "marchio di affidabilità". Il primo paese in via di sviluppo a cui fu concesso un prestito fu il Perù ed il Messico nel 1954, l’ultimo prestito richiesto da parte di un paese industrializzato fu nel 1983. Da quella data solo i paesi in via di sviluppo hanno attinto dalle casse del Fondo.
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Ecco le tipologie più note delle forme di prestito: -
Stand-by arrangement (Sba)
Questo tipo di strumento è mirato a fornire assistenza nei casi di deficit temporanei o ciclici della bilancia dei pagamenti, che si ritiene abbiano breve durata, pertanto i rimborsi devono avvenire entro cinque anni. -
Extended Fund Facility (Eff)
Istituito nel 1974 è un prestito a più lungo termine mirato agli squilibri esterni la cui causa sia essenzialmente da ricondurre a problemi strutturali. I rimborsi in questo caso possono avvenire in dieci anni. La somma concessa ai singoli paesi non può superare il triplo della sua quota di capitale salvo il parere del Executive Board . Il tasso di interesse è di solito inferiore a quello che il paese troverebbe a pagare sul mercato, ma normalmente vi è l'onere per il paese debitore della condizionalità. -
Supplemental Reserve Facility (Srf)
E’ uno sportello di emergenza che il FMI utilizza per soccorrere paesi membri in piena crisi finanziaria. Il Fondo in questo caso è prestatore di ultima istanza. L'ammontare del fondo erogato viene stabilito caso per caso, il tasso di interesse è penalizzante e crescente nel tempo in modo da favorirne un rimborso accelerato. -
Contingent Credit Line (Ccl)
E’ una linea di credito che viene impiegata in maniera assolutamente preventiva, a questo possono usufruire solo paesi che soddisfino dei requisiti molto stretti. Poverty Reduction and Growth Facility (Prgf) Nata nel 1987 come Esaf (“Enhanced Structural Adjustment Facility”) è uno strumento "concessionale" creato per sostenere nel medio termine i programmi di riforma e di
riduzione della povertà nei paesi in via di sviluppo.
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Capitolo II La crisi economica argentina del 2001 2.1 La storia politica ed economica dal 1880-1989 Nella mia analisi mi soffermerò principalmente sui dieci anni che hanno anticipato la grande crisi economico-finanziaria del 2001. Penso però che sia d’obbligo analizzare, per quanto velocemente e non esaustivamente, la storia argentina caratterizzata da una instabilità economica e politica, divisa da sempre fra peronisti, radicali, militari, iperinflazione, deficit pubblico e debito estero. La situazione attorno al 1880 era quella di un paese ricco di risorse dal punto di vista dell’agricoltura, del bestiame e del sottosuolo. Dal 1930 il suo miglior partner commerciale, il principale investitore e il riferimento politico e culturale sarà la Gran Bretagna. Il modello economico che si afferma ha il suo perno nell’agricoltura e nell’allevamento di bestiame e nelle industrie agroalimentari ad esso collegate. Intanto si afferma sempre più una classe borghese legata alle esportazioni e al commercio internazionale. Nel 1940 grazie alla “Unión Industrial Argentina”, un circolo di professionisti e agrari, nasce il “Pian Pinedo” il cui scopo era quello di favorire un processo di industrializzazione a forte connotazione di capitali pubblici per cercare di diminuire la dipendenza dalle importazioni, sostituire il modello basato sull’esportazione di beni agricoli puntando sull’esportazione di beni manufatti e come ultimo consolidare l’industria manifatturiera. I risultati furono apprezzabili, sia in termini industriali che infrastrutturali. Durante il periodo peronista, un grandissimo sforzo in termini d'aumento del potere d'acquisto delle classi lavoratrici ed ambiziose politiche in materia sanitaria, educativa e sociale portarono ad una significativa crescita della qualità della vita di tali classi, su cui Perón aveva fondato il suo consenso. Le presidenze trionfali di Perón, in particolar modo la prima (1946/51), crearono l'illusione di un Argentina come potenza con ambizioni mondiali, ma in realtà la situazione positiva era dovuta non alle solide fondamenta di un sistema industriale in crescita e che godeva di buona salute bensì alla particolare situazione congiunturale post-bellica, che stava mettendo a dura prova soprattutto l’Europa. A conferma di ciò la bilancia commerciale argentina sarà infatti in permanente disavanzo dopo questo periodo.
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Nel dopo Perón il modello della sostituzione delle importazioni viene implementato da una apertura verso le grandi imprese multinazionali. Sarà il radicale Fronzini eletto nel 1958, a sostenere una linea fortemente orientata allo sviluppo dei settori di base come l’industria petrolchimica e siderurgica, necessari alla crescita, fino a fare dell’industria pesante il vero cuore pulsante dell’economia argentina. Si consolidava così una sostanziale diversità organizzativa e tecnologica fra la grande impresa (multinazionale o nazionalizzata) e la piccola media impresa locale. Ma Fronzini rimarrà in carica solo per 46 mesi fino al 1962. La situazione cambia e si passa in pochi anni ad un clima di guerriglia, ad una serie di colpi di stato, ad un clima fortemente instabile ed esplosivo. Nel marzo del 1976 il generale Videla, instaura una dittatura militare scaturita da un ennesimo colpo di stato e lancia un ambizioso programma di denominato “Proceso de Reorganización Nacional”. La risposta militare alla crisi si fondava su un’apertura unilaterale dell’economia, eliminando l’organizzazione politica e istituendo un governo di tecnici militari per cercare di riorientare l’economia del paese. Il fulcro passava dal settore industriale a quello finanziario mentre i conti pubblici andavano fuori controllo. Fino al 1978 assistiamo ad una ripresa della produzione soprattutto dei beni di consumo durevoli e degli investimenti, sostenuta da una riduzione del costo del lavoro interno, ma il peso del deficit pubblico stava diventando insostenibile e la soluzione riposta in una politica monetaria restrittiva che tagliava la spesa pubblica, stipendi e pensioni, aumentava la pressione fiscale alzava i tassi di interesse portò in poco tempo alla completa stagnazione dell’economia, ad un impoverimento delle classi più deboli e un’inflazione in continua crescita. Nel dicembre, nell’intento di risolvere la crisi il governo aprì di colpo l’economia togliendo ogni protezione doganale, preannunciando la svalutazione della moneta, liberalizzando il mercato dei capitali. Si generò una sospensione dell’entrata di capitali esteri, una fuga di capitali da parte delle multinazionali straniere e anche dei capitali nazionali (denazionalizzazione del risparmio)7 e l’avvio di un’attività intensissima di speculazione finanziaria. Fra il 1981 e il 1982 il governo decise addirittura di
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Nel lungo periodo questa manovra espose le imprese nazionali alla concorrenza diretta delle imprese internazionali molto più competitive. La maggioranza delle imprese non disponevano né di liquidità né di credito e coloro che non riuscirono a rinnovare i loro impianti ( la quasi totalità), ridussero la produzione al minimo o diventarono semplici importatori o intermediari o addirittura fallirono.
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nazionalizzare il debito privato finanziandolo con debito internazionale, il che vuol dire che tutto il peso degli investimenti esteri delle multinazionali ricadeva sulla classe media. Nei 7 anni di dittatura militare: il debito estero era cresciuto da 8 a 44 miliardi di dollari che servirono ad importare beni di consumo. Nel 1975 gli interessi del debito estero assorbivano solo il 5% delle esportazioni dieci anni dopo il 60% delle importazioni serviva per ripagare i soli interessi. Il principale introito dello stato era dato dai dazi sulle esportazioni. La povertà aumentò così tanto che nel 1975 il prodotto nazionale lordo per abitante era di 3.500 dollari, dopo 10 anni ammontava a solo 2.950 senza contare i continui tagli alla spesa pubblica alla sanità e alla scuola. Il 1983 è l’anno della fine della dittatura e dell’elezione democratica del radicale Raúl Alfonsín che rimase al potere dopo essere rieletto fino al 1989. Alfosín però non riuscì a risolvere gli svariati problemi come la crescente iperinflazione, il deficit pubblico, la continua svalutazione della moneta, tanto meno riuscì ad impostare una politica fiscale in un paese senza risorse e al collasso. Anche il “Piano Austral”, di riduzione del debito in accordo con il FMI e gli Stati Uniti, non portò miglioramenti8. Gli effetti congiunti della megainflazione e dell’instabilità istituzionale furono un chiaro processo di deindustrializzazione. Tra il 1980 e il 1990 le attività manifatturiere calarono dal 7.1 % i consumi del 15.8%, le importazioni del 58.9%, gli investimenti del 70.1% e solo le esportazioni aumentarono del 78%. Il settore meccanico unito a quello tessile, dell’abbigliamento, del mobile, estrattivo e della macchine utensili contava nel 1977 il 31.6% della produzione industriale nazionale, nel 1990 solo il 19.7.
2.2 Le Riforme Nel 1989 la megainflazione aveva toccato dei livelli record, agli inizi degli anni ‘80 era nell’ordine del 600 – 700 % ma nel 1989 e 1990 arrivò a ben 4 cifre (vedi allegato n 8). La situazione era assolutamente insostenibile il paese aveva una produttività, descritta precedentemente stagnante, un forte deprezzamento del peso argentino nei confronti di tutte le monete e i mercati finanziari erano totalmente scettici. Nel gennaio scoppiò la crisi: gli organismi internazionali (Fmi e Bm Banca Interamericana di Sviluppo) tagliarono i finanziamenti. La finanza pubblica, deteriorata 8
Da una parte si tagliava la spesa pubblica, con una manovra di bilancio restrittiva, e dall’altro creava nuova moneta (l’Austral) senza aver risolto i problemi strutturali sottostanti generando una spaventosa inflazione.
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dalla crisi iperinflazionistica, collassò e l’incertezza legata alla prossimità delle elezioni presidenziali provocò una fuga generale della moneta nazionale verso il dollaro, il cui valore, in soli sei mesi, aumentò di 25 volte. Si verificarono scontri fra cittadini e polizia, saccheggi veri e propri dei supermercati, cortei dei pensionati, marce di protesta, la repressione della polizia in tenuta antisommossa (14 morti e 800 feriti da fonti ufficiali), indignazione verso il governo contro i politici e i banchieri. Alfosín fu costretto a dimettersi cinque mesi prima della fine del suo mandato. Con un programma populista, promettendo salari dignitosi, una “rivoluzione produttiva”, viene eletto a maggio il peronista Carlos Menem. Accortosi della grave situazione lascia da parte il suo programma, (anzi direi meglio che agì in maniera completamente opposta alle sue promesse elettorali) e insieme al ministro dell’Economia Domingo Cavallo, capiscono che l’unico modo per risollevarsi è far si che i mercati finanziari internazionali e le grandi potenze industrializzate ritrovino una crescente fiducia nell’Argentina. Le idee da seguire erano racchiuse nel Washington Consensus che delineava l'approccio sostenuto dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, ed al traino di questi anche dalla Banca Interamericana di Sviluppo. Il forte riorientamento a favore di politiche di apertura unilaterale, con aggancio al dollaro delle economie locali e contestualmente di deregolazione e privatizzazione interne, delineava uno schema di interventi ispirati ad un liberismo sperimentato non solo in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, ma anche in Cile, cosi come nei paesi del sud-est asiatico. Proprio questi paesi furono oggetto di uno studio della Banca Mondiale che esplicitamente parlava del «miracolo del sud-est asiatico» ; un miracolo che del resto doveva ascriversi largamente alla liberalizzazione del mercato dei capitali, che aveva permesso in pochissimo tempo la crescita a ritmi molto sostenuti di mercati finanziari locali in grado di attrarre capitali dall'esterno, rafforzando continuamente le monete locali e quindi azzerando l'inflazione9. Possiamo quindi dire che la via individuata era opposta al modello ortodosso che si basava sulla svalutazione per il rilancio dell’export, ma rivalutazione della moneta per l’attrazione dei capitali esteri il tutto per garantire una discreta crescita al fine di avere un consenso elettorale verso le politiche neo-liberiste. 9
Rapporto Banca Mondiale, 1993
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Comincia quindi un lavoro molto lungo del governo argentino che nel 1991 vara la “Ley de reforma del Estado” (Legge di riforma dello Stato). Furono privatizzate buona parte delle proprietà industriali della Stato, in modo da coprire le spese correnti, fu ridotta la struttura burocratica, con licenziamenti nella pubblica amministrazione in modo da rendere più efficienti le funzioni pubbliche, venne attuata una riforma fiscale basata su un aumento dell’IVA e della base imponibile (si definì un accordo fra stato centrale e province a cui vennero trasferiti i servizi relativi alla salute, assistenza sociale ed educazione)10. Con la riforma commerciale, intensa come liberalizzazione degli scambi, furono abbassate le tasse sull’importazione in modo da favorire il commercio di beni stranieri sul territorio argentino. Il sistema bancario venne riformato, fissando la base monetaria con le riserve valutarie, favorendo l’inserimento di nuovi istituti di credito nel territorio argentino, liberalizzando il mercato dei capitali per favorire una crescita immediata trainata dagli investimenti diretti esteri. Il cambio della moneta locale venne ancorato ad una moneta forte (in questo caso il dollaro) e come ultimo, venne varato un programma di credito del FMI per la rinegoziazione del debito estero con il nome di Piano Brady.
2.2.1 La Legge di convertibilità e la riforma del sistema bancario Per quanto concerne l’ambito monetario-valutario e indirettamente anche quello bancario venne varata, all’interno della “Ley de Reforma del estado”, una legge costituzionale, approvata dal Congresso della Nazione il 27 marzo 1991, (entrata in vigore il 1 aprile 1991) chiamata “Ley de convertibilidad”. Con questo nuovo sistema, il Banco Central della Repubblica Argentina (BCRA) si impegnava a scambiare senza limitazioni la base monetaria (monete-banconote), denominata nella valuta nazionale (peso argentino) in dollari secondo un tasso di cambio irrevocabilmente fissato in ragione di un rapporto di conversione di 1 peso per 1 dollaro. (Decreto 2.128 del 1991). La BCRA doveva detenere riserve in valuta estera (dollari) per un ammontare pari al 100% della base monetaria. In sostanza, l’effetto fu simile a quello di collocare 10
La meta prioritaria del finanziamento era la bancarotta quindi considerazioni di lungo periodo della riforma, come la progressività della nuova struttura tributaria, gli incentivi al risparmio e agli investimenti, non costituirono una preoccupazione centrale per il governo.
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l’Argentina in un regime di gold standard, limitando la natura della Banca Centrale a semplice “cassa di cambio”11. Venne stabilito anche un moderno criterio di controllo e supervisione dei sistema bancario, un modello di "prudential regulation" (supervisione bancaria). La BCRA non poteva più agire come ultimo prestatore in caso di corsa ai depositi. Si trattò quindi di una rigida impostazione di politica monetaria e cambiaria. La BCRA rinunciava ad importanti strumenti di politica macroeconomica, come quella dell’uso del tasso di cambio, (spesso usato per rendere competitive le esportazioni svalutando la propria moneta nei confronti di un’altra), del tasso di sconto per la definizione del costo del denaro, (per cercare di rendere più o meno accessibili le richieste di credito quindi per un rilancio dell’economia) e per ultimo la creazione di moneta. Il governo rinunciò a questi strumenti per colpire l’iperinflazione e per rendere più credibile il suo compromesso con la disciplina fiscale e monetaria e riconquistare la fiducia degli investitori. Nel breve periodo, questo tipo di cambio portò i suoi frutti vista la diminuzione dell’inflazione, la riduzione dei tassi, le riduzione delle aspettative alla svalutazione e una stabilizzazione dei prezzi sul livello di quelli degli Stati Uniti. Questi primi risultati, congiuntamente ad un programma di credito del FMI e alla rinegoziazione del debito estero sotto il Piano Brady, migliorarono le condizioni di fiducia. Nonostante i cambiamenti la maggior parte delle transazioni continuarono ad essere fatte in dollari questo mostrava il persistente grado di sfiducia nei confronti della moneta locale. Con il passare del tempo, si consolidò l’idea che la stabilità del sistema monetario costituisse un fattore chiave per il funzionamento dei mercati di credito.
2.2.2 La riforma finanziaria La riforma finanziaria non è un argomento che interessa esclusivamente l’Argentina, bensì quasi tutti i Paesi dell’America Latina. Durante gli anni ’90 i sistemi finanziari latinoamericani si caratterizzarono per una serie di tendenze comuni, la cui articolazione rappresentava un grave ostacolo per la modernizzazione e per l’efficienza della struttura economica nel suo complesso. 11
Le riserve potevano essere in forma di depositi o altri strumenti del debito, buoni del governo argentino o di governi stranieri; la Ley de Convertibilidad non fissò limiti alla quantità di buoni del governo. Allo stesso modo, si fissarono forti limiti di credito al governo e si rese indipendente la Banca Centrale. Fu vietato alla BCRA di finanziare i deficit dei governo
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La prima e più distintiva caratteristica dei sistemi finanziari sudamericani era il bassissimo indice di sviluppo; il permanere durante tutti gli anni ’80 e ’90 di una forte volatilità macroeconomica e di alti tassi d’inflazione ostruì la crescita dei flussi di finanziamento, impedendo in questo modo l’istituzione di una cultura finanziaria nell’intera regione latinoamericana. Un indicatore strettamente rilevante è il tasso di depositi bancari in relazione al PIL, nei Paesi del sud America generalmente tale indice non arrivava a valori superiori al 30% a fronte di percentuali molto più alte per i Paesi del resto del mondo maggiormente sviluppati. Un altro fondamentale problema che ha inciso sullo sviluppo dei sistemi finanziari di quest’area e sull’evoluzione dei mercati dei capitali, era la configurazione assolutamente distorta della regolamentazione prudenziale, diretta al controllo del rischio del sistema bancario, elemento praticamente inesistente nella storia finanziaria dell’America Latina. Le caratteristiche del mercato finanziario Argentino, (e più in generale quelle dei paesi latinoamericani), la ricerca di regolamentazione e stabilizzazione del sistema finanziario, unita alle forti pressioni e alle influenze di organismi internazionali, quali il Fondo Monetario Internazionale, l’impossibilità di sottrarsi alle tendenze che si stavano imponendo con forza in tutti i mercati internazionali dei capitali, hanno spinto l’Argentina verso l’attuazione di una radicale riforma finanziaria, intorno a tre punti fondamentali: -
Liberalizzare completamente i mercati finanziari
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Concedere facilitazioni per l’instaurazione di istituti bancari
-
Facilitare l’introduzione di procedimenti moderni di “regolamentazione prudenziale” e supervisione bancaria.
La stabilità del sistema finanziario fu il principale motivo di questa riforma cercando di eliminare parte dei rischi, prevedendo le insolvenze bancarie e minimizzando gli effetti di trasmissione al resto dell’economia. Il forte grado di liberalizzazione (l’Argentina detiene oggi il primato per il sistema finanziario più liberale del mondo) diede origine ad una maggiore instabilità in campo internazionale; in linea generale, è infatti possibile asserire che la liberalizzazione dei
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mercati dei capitali aumenta il rischio di contagio internazionale, quando si producono crisi valutarie significative.
2.2.3 Le Privatizzazioni Per quanto concerne le privatizzazioni, il ritmo imposto dall’amministrazione Menem fu tanto serrato che il 90% delle imprese pubbliche selezionate per la privatizzazione nel periodo 1990-1998 furono trasferite al settore privato prima della fine del 1994 12. Le imprese nazionali parteciparono al processo di privatizzazione anche se nel periodo compreso fra il 1990 e il 1994, più del 60% degli investimenti nei settori privatizzati era di origine estera; i flussi provenivano principalmente dagli Stati Uniti, dalla Spagna e dall’Italia, ma anche da Cile, Francia, Canada e Gran Bretagna e si concentravano maggiormente nel settore dei servizi piuttosto che in quello delle imprese produttive. Tutto questo portò ad una maggiore concentrazione del sistema industriale già molto ristretto.(Vedi allegato n° 11 tab. 3) . Dal punto di vista del comportamento delle condizioni di offerta, si osservarono, in molti casi, significativi miglioramenti rispetto alla tipologia dei beni, in altri no . In letteratura e nell’esperienza internazionale di privatizzazione dell’impresa pubblica, esistono sufficienti argomentazioni in favore al mantenimento di una parte delle azioni in mano allo Stato, alla realizzazione delle privatizzazioni in maniera graduale, alla valorizzazione dell’impresa attraverso un preventivo risanamento e, sicuramente, alla garanzia della libera concorrenza. Nessuna di queste raccomandazioni fu seguita. Il risultato di tali politiche fu dunque un semplice “cambio di mano”: un cambio di proprietà ma non un cambio delle relazioni tra imprese e mercato.
2.3 La crescita iniziale La situazione argentina ha cominciato a mostrare i primi consistenti segni di squilibrio a partire dalla metà del 1998 e in particolar modo dalla prima metà del 1999. Precedentemente a questa data la situazione è stata abbastanza positiva. Gli effetti del Piano Brady di rinegoziazione del debito unito alle numerose riforme, la stabilità apportata dal cambio ancorato avevano portato l’Argentina ad una crescita senza precedenti del Pil dell’ 8% annuo nel periodo 1991/94, una disoccupazione che era 12
Le privatizzazioni rappresentarono il 44% delle entrate nette di capitale accumulate tra il 1990 e il 1993.
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arrivata ai minimi storici ma comunque in continua crescita, un‘inflazione da cinque cifre ridotta a meno del 4%, l’afflusso di capitali diretti esteri e quindi la loro importanza per l’economia del paese rimaneva alta e dopo anni si assisteva ad un rilancio dei consumi e della domanda con il reddito procapite in crescita a ritmi molto elevati.
2.4 Il primo squilibrio: la crisi messicana La prima battuta d’arresto per l’economia argentina si verificò nel 1995 quando il peso messicano, nel dicembre del 1994, si trovò costretto a svalutare la sua moneta nei confronti del dollaro (“effetto tequila”). É possibile affermare che, nonostante la fuga di capitali13 realizzatasi tra dicembre '94 e marzo '95, l'Argentina riuscì a superare questo momento grazie all'aiuto del Fondo Monetario Internazionale e alla precedente riforma del sistema bancario che imponeva alle banche riserve legali più elevate. La nazione sud-americana infatti riuscì a recuperare i capitali "persi" e a riassicurasi ben presto la fiducia degli investitori esteri. In più la credibilità della stabilizzazione fiscale e valutaria, unita alla liberalizzazione finanziaria, alle decise modifiche strutturali e il forte consenso sociale interno ed internazionale verso un governo stabile avevano abbassato la percezione del rischio in questo paese. I dati comunque confermano questa situazione difficile del 1995 con il calo del PIL e delle riserve monetarie, l’aumento della disoccupazione e una stabilità nelle importazioni (vedi allegato n° 2). Il 1996 fu un anno di ripresa con una crescita del PIL fino al 9.2% nel quarto trimestre, dovuta alla credibilità del policy-making, l’inflazione si mantenne stabile (attorno allo 0.1%), la bilancia commerciale accennò un timido surplus, in più la fiducia dei mercati favorì il rientro dei capitali. La crescita però non si accompagnò ad un miglioramento nelle condizioni inerenti l’occupazione: il governo cominciò a studiare programmi ufficiali di occupazione e in 13
Questo fenomeno prende forma quando gli investitori, siano essi grandi imprese o piccoli risparmiatori, perdono fiducia nel sistema bancario, e decidono di investire i propri risparmi non nel proprio paese, non nelle proprie banche bensì all’estero in banche estere o più in generale di ritirare i depositi. Si parla del fenomeno già descritto di denazionalizzazione del risparmio. L’elemento principale per una banca, è la fiducia, visto che in caso di corsa ai depositi nessuna banca sarebbe in grado di rimborsare tutte le richieste di prelievo questo perchè il totale del capitale circolante è formato da una parte monetaria, (liquidità o cash) e da una parte di moneta virtuale supera la quota delle riserve liquide che ha una banca che rappresentano solo una piccola parte del totale. La vita della banca si basa proprio sul fatto che le persone abbiano fiducia nella banca da non sentire l’esigenza di ritirare i depositi. In caso di shock o di perdita di fiducia sia nella banca, ma più in generale nelle istituzione del paese, possono accadere fenomeni da fuga di capitali o di psicosi da “ritiro depositi” (uniti a disordini sociali) che possono portare al collasso del sistema bancario.
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poco tempo si fece registrare una discreta diffusione di contratti a tempo determinato; in questo modo il tasso di disoccupazione calò di 4 punti percentuali, fra l’ottobre 1996 e l’ottobre 1998, anche se il livello si mantenne sempre mediamente alto senza raggiungere i livelli registrati precedentemente al 1994 ovvero sotto il 10%. (Vedi allegato n° 9)
2.5 L’inizio della recessione: la svalutazione del real La crisi del 1995 venne superata sia perché i legami reali tra l’Argentina e il Messico non sono mai stati molto ampi (Vedi allegato n°5 tabella 1), sia perché l’effetto negativo era controbilanciato dal centro di gravitazione costituito dai paesi del cono meridionale e soprattutto dal Brasile 14. A partire dai primi anni ’90, il Brasile cominciò ad assorbire una percentuale sempre maggiore delle esportazioni argentine. Questo scambio veniva aiutato dal fatto che anche il Brasile stava seguendo una politica deflazionistica e il suo cambio era ugualmente agganciato al dollaro anche se meno rigidamente. Inoltre il tasso di inflazione brasiliano era significativamente maggiore di quello argentino per cui il Real subiva, in effetti, una rivalutazione stimolando le importazioni dall’Argentina (Vedi allegato n°5 tabella 1). Da una parte la politica deflazionistica brasiliana aiutava le esportazioni argentine dall’altra, la relazione paritetica tra il peso e il dollaro minava le esportazioni verso gli Usa e la zona del Nafta stimolandone invece le importazioni. La fine degli anni Novanta fu un periodo di grande volatilità nei mercati emergenti a causa del manifestarsi di diverse crisi finanziarie che si succedettero a partire dalla svalutazione in Asia (ottobre '97), seguita dalla dichiarazione di insolvenza della Russia sul suo debito pubblico (agosto '98). Alla fine dello stesso anno la crisi investì l'America Latina, colpendo dapprima l'Ecuador, poi il Cile, la Colombia, l'Honduras, l'Uruguay il Paraguay, il Venezuela ed infine il Brasile. Per evitare il dissesto della maggiore economia latino-americana il Fondo Monetario Internazionale intervenne con un prestito di 41,5 miliardi di dollari a favore del Brasile il quale si trovò costretto a svalutare la sua moneta e a fluttuare contro il dollaro il 14 gennaio 1999 deprezzandosi
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Nel 1989 circa l’11% delle esportazioni argentine era diretto alla zona dell’odierno Mercosur – prevalentemente verso il Brasile. Nel 1995 la proporzione era salita al 31,7%. Quando alla fine del 1998 toccò al Brasile di crollare, la regione assorbiva oltre il 35% dell’export argentino.
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del 35% toccando anche punte del 50%15. Dopo una crescita quasi nulla nel biennio 98-99, il Brasile realizzò una significativa crescita nel 2000 (+4.4%), prima di frenare per il rallentamento della congiuntura internazionale (+1.8 % nel 2001), mantenendo l’inflazione tuttavia a livelli relativamente contenuti.16 L’entità della crisi è confermata da numerosi dati fra questi il tasso di cambio pesoreal e le esportazioni argentine verso il Brasile. (vedi allegato n° 4 e 5). Fra il 1996 e il 1997 il cambio è rimasto stabile fra 0.92 e 0.95 garantendo una crescita media annua degli scambi del 24%. Nel 1998 c’era stata una lieve tendenza al ribasso sia del cambio sia delle esportazioni verso il Brasile (- 2%), nel febbraio 1999, il valore del cambio toccò il minimo annuo arrivando a quota di 54.7 e le esportazioni verso il Brasile diminuirono del 28.42%. Le importazioni totali del Brasile cominciarono a diminuire già dal secondo trimestre del 1998 per crollare al primo trimestre del 1999 segnando -26%. (vedi allegato 4 tab.2) La crisi delle esportazioni argentine non si limitò al mercato brasiliano infatti le esportazioni totali, in crescita negli anni precedenti, registrarono una caduta del 14.4%. In aggiunta tra il 1999 e il 2000, il dollaro si apprezzò notevolmente nei confronti dell'euro e questo produsse un'ulteriore caduta di competitività
visto che il 20%
dell'export argentino era rivolto verso l'Europa. Era iniziata la recessione Argentina.
2.6 Dalla recessione alla crisi Il clima di incertezza era accentuato dalle elezioni presidenziali che si sarebbero svolte nel dicembre 1999 e che furono vinte dal radicale Fernando De la Rua sul quale venivano riposte le speranze di ripresa per l’anno seguente. I buoni propositi di De la Rua di far ripartire l’economia piacquero al FMI che, il 10 febbraio 2000, approvò una linea di credito di 7,2 miliardi di dollari che andava a sostituire un vecchio credito di 2,8 miliardi stanziato nel febbraio 1998. Il FMI richiedeva però una crescita del PIL fra il 3,5% - 4% per i 2 successivi anni e una riduzione del deficit pubblico.
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Vedi Bortot 2003 Vedi Bortot 2003
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Le autorità nazionali pensarono di raggiungere questi risultati con un più efficiente utilizzo delle risorse pubbliche e con l'introduzione di nuove tasse su bibite, tabacco, automobili e redditi. Nel 2000 la situazione divenne ancor più critica. I consumi restavano scarsi, la disoccupazione era aveva rincominciato a salire arrivando al 15%, le imprese esportatrici avevano subito una forte contrazione dei propri margini di redditività, quindi dei profitti, riducendo così la loro propensione a investire. L'aggiustamento verso il basso dei prezzi e dei salari non fu sufficiente per riportare l'Argentina su un sentiero di crescita positivo, essendoci riflessa sui conti fiscali la crisi economica interna. Il 10 Novembre 2000 il governo annunciò l’intenzione di voler attuare una serie di misure di emergenza prima fra tutte alzare il target fiscale. Il Governo rivedeva il suo obiettivo per l'anno 2000 passando da 4,1 miliardi di dollari (1.4% del PIL) a 6,4 miliardi di dollari (2.1% del PIL) sperando che questo contribuisse parzialmente a riavviare la crescita economica. In più si decise di alzare l’età pensionabile, deregolamentare il sistema sanitario al fine di favorire un mercato più competitivo ed efficiente nell'erogazione di servizi sanitari. Visti i buoni proposti del governo il FMI nel dicembre 2000 stanziò un’altra linea di credito da 40 miliardi di dollari. Nonostante tutto la situazione restava critica a causa del pessimismo dilagante che provocava l'aumento dei tassi di interesse, deprimeva la crescita, indeboliva la posizione fiscale, complicava ancor di più la situazione del debito estero, giustificando l'iniziale pessimismo e creando un circolo vizioso. Nel 2001 la situazione si deteriorò ulteriormente, nonostante tutti gli sforzi non si riusciva a restaurare la fiducia per dare impulso agli investimenti. Nonostante i dubbi sul protrarsi della parità del currency board a marzo l’abbandono della parità restava fuori discussione sia per il forte sostegno popolare e soprattutto, in caso di svalutazione, il debito estero contratto in dollari sarebbe come minimo raddoppiato. Il 21 marzo, dopo due anni di assenza, venne posto come ministro dell’Economia Domingo Cavallo, che dichiarò immediatamente l'intenzione dell'Argentina di non richiedere nuovi prestiti.
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Numerose speranze erano state riposte sul suo “Piano di competitività”
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,varato il 28
marzo, con il quale si decideva di aumentare i dazi sull’importazione dei beni di consumo e ridurre quelli sull’importazione di capitali, una tassa sulle transazioni finanziarie per migliorare il bilancio fiscale, riformare il mondo del lavoro e creare più di 2 milioni di posti di lavoro entro il 2005, concentrare alcuni ministri per ridurre la spesa pubblica e tagliare gli stipendi. Proprio quest’ultimo provvedimento porterà a seri problemi di sostenibilità politica. Intanto l’incertezza sui mercati non cessava. Gli investitori cominciavano ad esprimere dei dubbi sia sulla capacità di ripagare il debito estero (che nel 2000 aveva superato 146 miliardi di dollari) sia sulla capacità di mantenere ancora il cambio fisso. Infatti dal Dicembre 2000 era ricominciato il fenomeno di fuga dei capitali: i maggiori correntisti iniziarono a ritirare i loro capitali dalle banche, a convertirli in dollari e a investirli all'estero causando un notevole efflusso di capitali dal sistema. I depositanti stavano esplicitamente fuggendo dalle banche e dal paese. Le riserve internazionali si contrassero del 40 % nei primi sette mesi del 2001 e di circa un quarto nel solo luglio. Tutto ciò accresceva ulteriormente le pressioni per una svalutazione e l'incertezza mostrata da Cavallo, nel decidere l'abolizione del currency board, aumentava l'apprensione dei mercati. In luglio si tentò la restituzione di una parte del debito - 29.5 miliardi di dollari – mentre continuavano i tagli alla spesa pubblica. Con la legge del “deficit zero”, del mese di agosto, la situazione peggiorò ulteriormente visto che venivano decisi altri tagli questa volte alle pensioni e ai salari del 13%. Il 7 settembre il FMI stanziò un’altra linea di credito di 21,7 miliardi di dollari e intanto richiedeva come condizionalità altri tagli alla spesa pubblica. Dalle elezioni parlamentari del 14 ottobre uscì vincitore il partito peronista che riuscì ad ottenere la maggioranza dei rappresentanti sia al Senato, sia alla Camera dei Deputati. L'esito delle elezioni rifletteva un forte disgusto per l'amministrazione De la Rua che aveva acuito in misura maggiore la recessione, affrontandola nel modo sbagliato, con un continuo taglio alla spesa sociale e con un aumento di tasse che aveva contratto i consumi, 17
Si parlò di una svolta keynesiana per Cavallo, che ora insisteva per stimoli fiscali alla produzione, mentre avanzava la proposta di legare il peso oltre al dollaro all'euro, di fatto svalutando rispetto alla divisa americana.
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aggravando ulteriormente la situazione. Alla fine del 2001, dopo tre anni e mezzo di recessione tutto era pronto per la crisi. L'efflusso di riserve accelerò a novembre a un ritmo così allarmante che il 1° Dicembre, il ministro dell'economia Cavallo decise di imporre “il corralito” ovvero una restrizione sul ritiro di depositi bancari secondo la quale ogni correntista non poteva ritirare dai propri conti correnti più dì 250 pesos o dollari ogni settimana. Il 5 dicembre quando il FMI non confermò lo stanziamento della nuova linea di credito, la situazione si complicò ulteriormente. Vedendosi messo alle strette, il Governo di Buenos Aires annunciò un nuovo taglio ai salari e alle pensioni e l'intenzione di attingere dalle riserve internazionali per adempiere agli obblighi previsti. Tuttavia la situazione precipitò, in quanto l'annuncio di un ulteriore taglio alla spesa sociale unitamente alla misura del corralito, particolarmente invisa alla popolazione, causarono violente tensioni sociali sfociate in saccheggi, proteste, cortei e atti vandalici. La "rabbia" della gente, sgomenta, affamata, colpita da improvvisa povertà e con i conti bancari bloccati, esplose in tutta la sua drammaticità, provocando circa quaranta morti e 800 feriti negli scontri con la polizia. Venne proclamato lo Stato d'assedio e la crisi politica e valutaria scoppiò in tutta la sua tragicità. Si presentò la stessa situazione del 1989. Si arrivò alle dimissioni prima di Cavallo e poi del Presidente che era rimasto in carica per quasi 2 anni. Venne deciso un “banking holiday” al fine di evitare l’assalto agli sportelli. Tra il 21 e il 31 dicembre si alternarono 3 diversi presidenti. Il primo gennaio 2002 venne nominato Presidente della Repubblica Argentina Eduardo Duhalde, ex-govenatore di Buenos Aires che decise subito per la svalutazione del cambio e dichiarò il default sul debito estero.
2.7 Le cause della Crisi: le implicazione del tasso di cambio sulle esportazioni e sul sistema produttivo L’idea del cambio fisso sostenuta dal Washington Consenus era che, abbandonando direttamente o indirettamente la moneta nazionale strutturalmente debole ed esposta ai ricorrenti fenomeni di iperinflazione18, per il dollaro, attraverso un sistema di parità più o meno flessibile di crawling pegging (come il Brasile ad esempio) di o Currency board 18
vedi Scanagatta 2001
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(Argentina e Hong Kong) si diminuivano i rischi di “crisi da contagio”. La crisi argentina dimostra invece il contrario di questo visto che il cambio fisso rese più vulnerabile la moneta argentina all’inizio del 1999. Analizziamo come il tasso di cambio accentuò ancora di più i problemi strutturali riguardanti le esportazioni e più in profondità il sistema industriale. L’effetto positivo della parità fu certamente l’abbattimento dell’inflazione che passò, come ho già esposto a livelli sconosciuti al paese argentino ad una cifra, stabilizzando i prezzi ad un livello molto alto. La conseguenza negativa fu che i redditi disponibili di larghe fasce sociali mostrarono l’incapacità di dare sostegno alla domanda che cominciò a calare in relazione all’elevato livello del costo della vita. Questa situazione, che portò a tassi di interesse sempre più elevati, si ribaltò sulle imprese argentine, in prevalenza medio-piccole a conduzione familiare, che stavano già sperimentando un calo delle vendite a causa della deregulation in ambito del commercio. Con la rivalutazione del dollaro un aiuto ancora minore poteva venire dall’export. La stabilità dei prezzi quindi venne pagata con la stagnazione dell’economia e l’aumento della disoccupazione. Ed è all’interno di questa situazione che si verifica la svalutazione brasiliana. L’inizio della recessione ha mostrato con chiarezza le peculiarità del sistema industriale argentino, spaccato fra un piccolo nucleo di gruppi familiari, da sempre il cuore pulsante dell’economia, e un ampio settore di piccole e medie imprese manifatturiere (vedi allegato 11 tab.2 ). In aggiunta a questo le privatizzazioni hanno avuto un duplice effetto: da una parte hanno permesso ai pochi gruppi famigliari di acquistare le imprese nazionali in vendita a prezzi bassissimi, dall’altro hanno attirato capitali stranieri spiazzando gli investimenti che potevano essere diretti verso le piccole imprese che erano già in difficoltà. L’afflusso dei capitali esteri sono stati impiegati per finanziare attività capital intensive e non labour intensive. La convertibilità 1 a 1, l’apertura commerciale e le privatizzazioni hanno esposto la piccola industria ad una concorrenza internazionale che per essere affrontata richiedeva continui aumenti di efficienza di una portata tale da non poter essere sostenuto da un sistema produttivo così fragile. In Argentina fino al 1998 vi è stata una crescita senza una reale industrializzazione in un contesto di privatizzazioni senza regole che ha accentuato i problemi delle piccole medie imprese nazionali.
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Le imprese maggiori continuarono a dipendere dal mercato internazionale dei capitali per finanziare le proprie attività mentre la mancanza di credito interno costituì un collo di bottiglia per le piccole medie imprese (vedi allegato 11 tab.5). Certamente un aiuto poteva venire dalla svalutazione della moneta. Il sistema industriale e la crisi di competitività delle esportazioni sono intimamente collegate al tasso di cambio perché se l’Argentina se non fosse stata legata al dollaro avrebbe certamente svalutato la sua moneta, ma questo non è stato possibile proprio la legge sulla convertibilità. Ma quello che mi preme sottolineare è che c’erano da tempo degli economisti che avevano illustrato i rischi di lungo periodo uno strumento così importante e destabilizzante quale il tasso di cambio, e che sottolineavano i costi di uscita dalla parità e i rischi di quella serie di riforme irreversibili. Mi riferisco a Kosacoff, Katz, Bercovitch e soprattutto Chudnovsky nel suo lavoro del 1996 intitolato “ Desentiendo con el consenso de Washington”. Essi ipotizzavano che “ l’apertura unilaterale e la deregulation dell’economia, stabilizzava il cambio e azzerava l’inflazione ma esponeva il paese al rischio di uno shock competitivo che avrebbe colpito un sistema industriale definito da una base produttiva molto ristretta, con un settore competitivo molto limitato e con una vasta gamma di imprese di piccole e medie dimensioni non in grado di sostenere la concorrenza internazionale. Senza un'azione di contestuale rafforzamento tecnologico dell'industria ed un ampliamento della base produttiva, l'apertura sarebbe stata retta solo con recuperi di competitività legati ad una drastica riduzione dei costi, che comunque sarebbe stata vanificata da una possibile rivalutazione del cambio”.
2.7.1 L’ambito fiscale La difficoltà nelle vendite sul mercato argentino condizionarono sempre più il flusso delle imposte indirette, che con la fine delle privatizzazioni attorno al 1994, costituirono la parte preponderante delle entrate dello Stato. Insieme a questo la parità del cambio aveva favorito anche la crescita del livello dell’indebitamento (e degli interessi) che cominciò a crescere spropositatamente nel periodo 1996-98. Gli errori commessi in materia fiscale durante gli anni '90 costituirono una notevole fonte di destabilizzazione nel lungo periodo che si fece sentire a partire dal 2000 e che è
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in gran parte responsabile dei disagi del presente. Per lungo tempo l'inefficienza delle istituzioni politiche e della pubblica amministrazione è stata trascurata grazie alle ottime performances in termini di flussi di capitali verso il paese (vedi allegato 10). Quando per una serie di motivi, il servizio degli interessi acquistò un peso rilevante in relazione alla spesa pubblica e al PIL, l'economia entrò in uno stato esplosivo perchè la politica fiscale fu condizionata in modo determinante dal flusso di interessi da pagare. Lo Stato stava perdendo il controllo della politica fiscale. Questa infatti è uno degli strumenti con i quali i governi tentano di gestire l'andamento della macroeconomia. Per poterlo fare, deve però riuscire a controllare ordinatamente tutte le variabili che definiscono la suddetta politica: imposte, spese correnti, oneri del debito estero, investimenti pubblici, pensioni. Quindi un aumento esorbitante del costo del debito, senza un aumento delle entrate fiscali, provoca la perdita del controllo della politica fiscale visto che la pressione fiscale deve aumentare ancora di più per ottenere risorse ancora maggiori in una situazione già austera. Il governo deve aumentare la pressione tributaria e l’elemento più colpito sono gli investimenti pubblici e considerato che, nelle economie in via di sviluppo latino-americane, gli investimenti pubblici stimolano quelli privati, il risultato finale è una caduta del livello delle attività ( vedi allegato 11 tab.1) riscontrabili nella caduta delle importazioni, con un miglioramento dei conti commerciali dato purtroppo dal calo della domanda. La stagnazione dell’economia è confermata dalla deflazione (vedi allegato 8). Infatti i maggiori oneri sul debito sono accompagnati da maggiori tassi, minor attività produttiva e quindi minori entrate fiscali per lo Stato. Questo circolo vizioso, può solo peggiorare, perché anche volendo correggere gli squilibri, l’economia non fa che allontanarsi
dalla
situazione
stabile.
L’esplosività
è
appunto
caratterizzata
dall'incapacità di chi governa a controllarla. Durante la fase esplosiva della convertibilità, nel triennio 1999-2000-2001, non era più possibile fare una politica fiscale austera per l'immediato effetto recessivo che essa aveva sull'economia reale. Infatti il presidente De la Rua non fu responsabile di un aumento del debito ma, dal Dicembre 1999, cominciò una politica restrittiva, per poter accedere ai finanziamenti a breve termine del FMI.
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2.7.2 Il debito estero Gia nel passato l’Argentina era stata pesantemente condizionata dalla crescita del debito; a inizio capitolo ho descritto infatti la situazione nel 1989, ma precedentemente la crisi da debito aveva colpito già nel 1982. Abbiamo già parlato del Piano Brady e suoi ottimi effetti che avevano fatto scendere il rapporto fra debito e PIL. L’indebitamento però è l’unica variabile il cui andamento è stato sempre in crescita ma specialmente è rincominciato a salire in modo impetuoso nel periodo 1995-998 nonostante la ripresa economica dopo l’effetto “tequila” passando la 99 a 142 miliardi di dollari (vedi allegato n° 6). La depressione del 1999-2001 ha inasprito la situazione. Nonostante l’arresto del debito in termini assoluti, gli alti tassi di interesse hanno trascinato l’onere da 142 a 146 miliardi, in forte crescita percentuale su un Pil declinante (51.6 % nel 2000). Per quanto riguarda la composizione notiamo che la parte pubblica dagli inizi degli anni ‘90 tende a diminuire sulla percentuale totale del debito, mentre un andamento opposto ha avuto la parte privata che invece tende a salire in maniera esorbitante ( + 671% dal 1991 al 2000) (vedi allegato 7). Il lieve declino sia del debito sia del Pil nel 2001, ha fatto salire ancora in rapporto fra queste due variabili, con oneri di interessi sempre meno sostenibili nonostante le spese fiscali ridotte drasticamente in tutte le altre voci per evitare il default che però è giunto negli ultimi giorni del 2001. Quello del debito fu il primo segnale di debolezza e le agenzie di rating cominciarono a dubitare fortemente della situazione debitoria argentina declassando di mese in mese lo stato argentino e alzando gradualmente il rischio. Oltre alla questione del debito, come si è visto, si unì la situazione fiscale che non stava dando i frutti sperati, il consenso sociale nei confronti dei policy makers stava scendendo sempre più (confermato dalle elezione dell’ottobre 2001). La situazione internazionale negativa riscontrabile nell’inizio della recessione mondiale dal marzo 2001, la restrizione del credito verso i paesi in via di sviluppo, un calo nell’afflusso degli investimenti stranieri sotto forma di “investimenti diretti esteri” e il grande shock dei mercati a causa dell’attentato alle torri gemelle nel settembre del 2001 portarono alla crisi irreversibile.
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CAPITOLO III Conclusioni 3.1 Il ruolo del Fmi nella crisi argentina Numerose sono le critiche che vengono rivolte al Fondo Monetario Internazionale all’interno della vicenda argentina. La prima concerne le numerose riforme ( a carattere irreversibile) che sono state “consigliate” all’Argentina che erano contenute all’interno della “Ley de reforma del Estado” nel 1991. Più che consigli queste riforme erano state richieste come condizionalità per l’attuazione del Piano Brady, il programma di riduzione del debito iniziato nei primi anni ’90 e seguito dal primo stanziamento nel luglio 1991 per un ammontare di 1,05 miliardi di dollari. Le critiche non solo rivolte verso le riforme ma anche per non aver accolto neanche in parte le osservazioni sollevate da numerosi economisti ben prima dell’inizio della recessione, quali Katz, Chudnovsky e Kosacoff che avevano addirittura pronosticato una parte dei problemi futuri. La seconda critica riguarda la funzione di sorveglianza che ha il Fmi si è data nei confronti degli stati membri. Quando uno stato decide di entrate a far parte del FMI è obbligato a fornire delle informazioni riguardanti l’economia e i settori ad esso correlati al fine di poter ricevere annualmente le raccomandazioni, per quanto non vincolanti, sullo stato di salute dell’economia. Nel caso argentino il primo forte segno di allarme era il debito estero che, come ho detto, dal 1996 aveva rincominciato a crescere in maniera allarmante e subito dopo la fine delle privatizzazioni, anche il deficit pubblico. Il Fondo ha di fatto finanziato la spirale deficit-debito favorendo politiche restrittive. Nel novembre 2000 vide di buon occhio i tagli alla spesa pubblica, alle pensioni e ai salari quando il presidente De la Rua decise di alzare il target fiscale da 4,1 a 6,4 miliardi di dollari “sperando di riavviare la crescita economica”. Un anno e mezzo dopo, nell’agosto 2001, richiese addirittura come condizionalità allo stanziamento di settembre un altro taglio alla spesa pubblica. E come se non bastasse, il mancato stanziamento del 5 Dicembre fu dovuto al fatto di non aver raggiunto la riduzione del deficit fiscale al 2.4 % del Pil.
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I provvedimenti che un governo deve attuare sono, generalmente, politiche di bilancio restrittive che però possono causare effetti negativi a economie già deboli o in crisi. In effetti, imponendo questi forti vincoli anche all'Argentina, il FMI ha approfondito la recessione economica della nazione sud-americana accentuando il malumore delle classi sociali più deboli, sfociato, in una vera e propria rivolta. I "consigli" del FMI sono adatti a paesi con democrazie solide, ma risultano dannosi per Stati con strutture politiche e sociali fragili, poiché, mettendo in primo piano obiettivi di bilancio, distogliendo l'attenzione dai problemi sociali. Il Fondo non ammonì mai l'Argentina per gli errori che stava compiendo attuando politiche restrittive che mai avrebbero potuto migliorare la sua situazione, bensì fomentò questo tipo di politiche. Anche se il FMI e la maggior parte degli economisti ritenevano preferibile, una volta risolti i problemi dell'iperinflazione, tornare alla libera fluttuazione della valuta, non trovarono mai la forza e il coraggio per imporre una scelta di questo tipo alla nazione sud-americana, sperando che il sistema di currency board potesse essere una politica fattibile per un lungo periodo. Niente fu più sbagliato, come mostra la vicenda argentina. Il Brasile aveva abbandonato in tempo la parità nel 1999 e anche il caso della Turchia ci mostra come la parità sia durata solo per un anno e non dieci. I finanziamenti multi-miliardari del Fondo permisero all'Argentina di procrastinare i problemi economici, finanziari e di abbandono del tasso di cambio fisso. Quando il Fondo ha realizzato che, nonostante tutti i miliardi di dollari versati, la nazione argentina non migliorava le sue performance economiche, ha deciso di non concedere ulteriori prestiti. Oltre a non aver sorvegliato il debito estero e il deficit pubblico un’altra variabile mostrava i segni della recessione: l’inflazione che dal 1999 era addirittura negativa. Questo fenomeno chiamato deflazione è la conseguenza di politiche economiche permanentemente anti-inflazionistiche e sono il sintomo più evidente della stagnazione dell’economia. In aggiunta a ciò pongo in evidenza che, il tasso di disoccupazione in continuo calo fino al 1998 e poi in tendenziale aumento, era la conseguenza di una politica di governo a favore di contratti di lavoro a tempo determinato. Ciò che voglio ancora sottolineare è che la crisi non era né imprevista né imprevedibile per questo cito testualmente un articolo di Giovanni Scanagatta del maggio 2001 “Il
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Fondo Monetario Internazionale cerca in tutti i modi di evitare sia il default sul debito estero sia la svalutazione del peso. D’altra parte il prestito del Fondo di 40 miliardi di dollari concesso solo lo scorso Dicembre 2000, secondo alcuni analisti, non consentirà di evitare la crisi finanziaria argentina. Al massimo un nuovo prestito potrà rinviare il momento inevitabile in cui l’Argentina sarà costretta a dichiarare il default e/o richiedere la ristrutturazione del debito ai creditori internazionali”. Ma quando si parla di Fmi a chi si fa riferimento? Al Consiglio Esecutivo (Executive Board) che si occupa delle operazioni quotidiane e dell’amministrazione vera e propria. Ricordo brevemente che i voti sono divisi in base alla quantità di denaro versato da ogni Stato nella casse del Fmi. All’interno di questo Consiglio la somma delle quote di Cina, Francia, Germania, Russia, Arabia Saudita, USA, Inghilterra e Giappone raggiunge il 48,5% dei voti totali. I soli Stati Uniti sfiorano quasi il 18 % . Il fatto che Fmi abbia sede a Washington e che il suo Presidente sia da sempre uno statunitense, possono far pensare che i dubbi posti da J.M.Keynes nel lontano 1947, che “l’organizzazione sarebbe potuta essere influenzata dal controllo politico del governo statunitense”, potevano avere un fondamento? La cosa certa è che negli ultimi 10 anni, il Fondo non è riuscito ad evitare numerose crisi internazionali, in alcuni casi il suo intervento è stato addirittura dannoso, questo perché, concedendo prestiti in modo illimitato, si è posto in contrasto con le funzioni di sorveglianza che si è assegnato, e perché, talora, si è messo al servizio dei paesi occidentali o delle multinazionali. Perché il Fmi, la cui finalità era proprio quella di aiutare paesi come l’Argentina nel 1989, con squilibri nella bilancia commerciale con un bisogno di assistenza prima e di riforme poi, ha solo proposto teorie del Washington Consenus che la Banca Mondiale ha dichiarato valide per le economie del sud-est asiatico completamente diverse da quelle del latino-america? Esistono teorie generali che possano andare bene per paesi distanti migliaia di chilometri, con economie, punti di forza e problemi diversi? A mio parere no. Forse sarebbe stato utile favorire la nascita del Mercosur al posto di osteggiarla. Un’area di libero scambio fra Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay, l’inizio di
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processi di integrazione economica e monetaria e attivare una trasformazione produttiva sull'esempio della ormai passata Comunità Economica Europea poteva rappresentare un punto di arrivo. Guardando ai fatti degli ultimi anni si può affermare che il Fmi si deve dotare di nuove regole e nuove idee, che solo una reale riforma può apportare al fine di mantenere la funzione per cui fu costituito. Penso anche che sia gravissimo che un’istituzione internazionale, con il preciso scopo di tutelare la stabilità e prevenire le crisi economiche, finanzi un’economia malata e fragile accompagnando, passo dopo passo, un paese al collasso. Quando si parla di politiche economiche non si fa riferimento solo a numeri considerato che le decisioni vanno ad influire su di una nazione, nel caso trattato di 36 milioni di abitanti che a distanza di 12 anni ha rivissuto gli stessi avvenimenti di disordine sociale contando numerosi morti nelle piazze. La situazione in Argentina è drammatica, il tasso di disoccupazione nel 2002 ha toccato il 25%. Ogni 10 occupati ci sono 6.41 disoccupati, in Italia solo 1.74. Questo vuol dire che, dopo quattro anni di recessione, 10 argentini si devono suddividere il costo sociale di 6 disoccupati e mezzo. In questa situazione la pressione tributaria si divide fra i pochi occupati visto che i disoccupati non pagano le tasse. Quindi chi lavora non riesce ad aumentare i consumi o gli investimenti perchè il “reddito disponibile” (dato dal reddito lordo meno le tasse) è appena sufficiente a sfamare una famiglia. In Argentina i poveri finanziano i poveri, i costi della disoccupazione gravano sulla classe media, quella stessa classe media che è stata da sempre il propulsore di un paese dinamico e all’avanguardia. Vi erano persone che avevano una casa e l’hanno persa, che avevano un lavoro e l’hanno perso, che avevano la libertà di passeggiare in quartieri sicuri e tranquilli e l’hanno persa, che avevano un futuro per loro e per i loro figli e l’hanno perso, che avevano risparmi e li hanno persi. La crisi dell’Argentina è la crisi della classe media che meno ha fatto per provocarla e che più ha fatto per costruire la nazione. “Il Sole 24 ore” del 23 gennaio 2002, titola “Kohler ammette: in Argentina l’ Fmi ha fallito”. Penso che ammettere le proprie colpe in un trafiletto di un giornale, affermare che farà di tutto per garantire l’appoggio al suo “allievo modello”, prendere questa
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grandissima crisi economica, ma soprattutto sociale, come un modo per rivedere la propria posizione a livello globale come uno stimolo per far meglio per imparare dai propri errori, sia logico e forse scontato, anzi queste affermazioni sono arrivate troppo tardi a mio avviso. Non sono qui a scagionare le irresponsabilità politiche, la corruzione e il malgoverno, ma a 20 anni dall’inizio della democrazia l’Argentina deve fare ancora i conti con una politica restrittiva e con l’austerità. Nessuno mette in dubbio che per rialzarsi ci debbano essere degli sforzi ma il popolo argentino, a mio parere, ha già pagato.
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RIASSUNTO TESI
Il fine della mia tesi era duplice: da una parte far luce sui motivi che hanno portato l'Argentina alla recente crisi dall'altra analizzare le eventuali implicazioni del Fmi in questa vicenda. Prioritariamente ho preso in esame i motivi della nascita del Fondo, i suoi obiettivi e i suoi organi decisionali ed è emerso che la quasi totalità delle decisioni vengono prese dagli otto paesi (Cina, Francia, Germania, Russia, Arabia Saudita, USA, Inghilterra e Giappone.) che insieme detengono quasi il 50% dei voti. Per evitare giudizi parziali ho attinto tutte le informazioni sul Fmi dalle numerose pubblicazioni disponibili nel suo sito web. Per capire a fondo la recente crisi ho ritenuto opportuno analizzare la storia economica argentina in particolare dal 1989, data della penultima grande crisi. Ho analizzato le numerose riforme in ambito commerciale bancario e finanziario contenute, in larga misura, nella "Ley de reforma del estado" del 1991. Consultando numerosi dati dall' istituto nazionale di statistica argentino (INDEC) e svariati articoli sono arrivato a capire le principali cause della crisi argentina. Molteplici sono state le ragioni di questa grave sconfitta del neoliberismo ma la maggior parte delle responsabilità sono da attribuire al Fmi confermate dal suo Presidente Hörst Kohler in un articolo pubblicato ne " Il Sole 24 ore" del 23 gennaio 2002 che testualmente dichiara " In Argentina l' Fmi ha fallito". Come prima cosa ha suggerito ampie riforme istituzionali, in ambiti dell'economia e della finanza, che avevano un carattere irreversibile ed erano premature e destabilizzanti per un paese in via di sviluppo apportando cambiamenti rapidi e profondi. Il secondo punto concerne nel non aver preso nelle debite considerazione i suggerimenti di alcuni economisti che mettevano in dubbio le idee contenute nel Washington Consensus e che avevano pronosticato qualche anno prima i forti squilibri economici e il possibile inizio di una crisi. Il terzo, il più grave, è quello di non aver adempiuto ad una delle sue funzione principali, presenti nel suo statuto, quale la sorveglianza
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bilaterale e multilaterale delle variabili argentine. E ancora di aver finanziato per anni un debito estero enorme ed in continua crescita. Tutto questo, solleva la necessita, di una radicale riforma del Fmi visto che negli ultimi 10 anni non è riuscito non solo a pronosticare le numerose crisi che si sono succedute da una parte all'altra del globo, ma tanto meno è riuscito a soccorrere i paesi in difficoltà, perchè troppo spesso, ha concesso prestiti in modo smisurato, ponendosi in contrasto con le funzioni di sorveglianza che si è assegnato, e perché talora, si è messo al servizio dei paesi occidentali o delle multinazionali. Penso che non sia scusabile o ammissibile una mancanza di questa portata causata da una istituzione internazionale che è nata con il presupposto basilare di evitare crisi come questa che sempre più spesso, ha fomentato e accentuato oserei direi in misura macroscopica.
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SUMMARY
The aim of my thesis was double: firstly I wanted to shed on the reasons that caused the recent crisis in Argentina and, secondly, to analize eventual involvements of the Imf in this event. In the beginning I examined the reasons for the birth of the IMF, its aims, and its decisional bodies and it emerged that almost all decisions are taken by eight countries (China, France, Germany, Russia, Saudi Arabia, the Usa and Japan) that together hold almost 50% of votes. In order to avoid unfair opinions I drew all the information about the Imf from its website where many publications are easily available. To understand in depth the recent crisis I analized the economic history of Argentina. I decided to beginnimg from 1989, the date of the last big crisis. I analyzed the main reforms about financial, commercial and banking matters mainly contained in the “ Ley de reforma del Estado”, an important law of 1991. After having consulted lots of data taken from the Argentinian Statistical Institute and various articles I was able to understand the principal causes of the crisis. There are a variety of reasons in this heavy defeat of neolibralism ideas but the main part of responsabilities must be ascribed to IMF. Even Hörst Kohler, the managing director of the IMF, declared in an article published in the Italian newspaper “Il sole 24 ore” on the 23 of January 2002 “The Imf has failed in Argentina”. A first criticism was that the IMF itself suggested the wide insitutional reforms adopted in the economic and financial field. These reforms had an irreversible nature and were premature and destabilizing for a developing country as they brought rapid and deep changes. The second criticism concerns not having taken into consideration observations from some economists that questioned the validity of the ideas fo the so called Washington Consensus. These economists had actually forecast some years before heavy economic imbalance and the possibility of a crisis. The third criticims is that the Fund didn’t respect one of its basic functions concerning bilateral and multilateral surveillance of macroeconomic variables.
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Furthermore the Fund has been accused for have financing for years the huge and ever- growing external debt. Are these reasons behind the necessity of a radical reform of the IMF as in the last 10 years it has been impossible not only to forecast the numerous crises that have happened around the globe but also beacause it didn’t assist countries with difficulties properly. That’s because, more and more frequently, has granted loans in an exorbitant way in clear contrast with the functions present in its statute and because sometimes it has placed itself at western countries’s service. This lack appears to be inexcusable, unjustifiable and inacceptable from an international institution created to avoid crises like this and that, more and more frequently, it has emphasized and fomented in a macroscopic way.
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APPENDICE ALLEGATI Allegato n° 1a Articolo numero 1 dello Statuto del Fondo Monetario Internazionale Gli obiettivi del Fmi sono: -
-
-
Promuovere la cooperazione monetaria internazionale attraverso un’istituzione permanente che provveda alla consultazione e collaborazione su problemi monetari internazionali Facilitare l’espansione e la crescita del commercio internazionale, contribuire alla promozione e al mantenimento di un alto livello di impiego e di reddito e sviluppare le risorse produttive di tutti i paesi membri. Questi devono essere i primi obiettivi di politica economica di tutti i paesi membri Dare impulso alla stabilità dei cambi, di mantenere fra gli stati membri dei regimi di cambio stabili e evitare le svalutazioni competitive. Assistere nella creazione di un sistema multilaterale dei pagamenti per le transazioni correnti tra i paesi membri e nell’eliminazione delle restrizioni sui cambi che possano risultare dannose alla crescita del commercio mondiale Dare fiducia ai membri facendo sì che le risorse del Fondo siano temporaneamente a loro disposizione con un adeguata tutela delle stesse, fornendo loro adeguate misure per correggere scompensi nella loro bilancia dei pagamenti senza dover arrivare ad adottare misure distruttive della ricchezza nazionale o internazionale.
In accordo con quanto sopra. Il Fondo sarà guidato in tutte le sue politiche e decisioni da questa serie di obiettivi contenuti in questo articolo.
Allegato n° 1b I prestiti del FMI all’ Argentina dal 1991 al 2001 TIPO DI PRESTITO Accordo Stand-by-Aggrement Accordo Stand-by-Aggrement Accordo Stand-by-Aggrement Accordo Stand-by-Aggrement Accordo Stand-by-Aggrement Accordo Stand-by-Aggrement Accordo Stand-by-Aggrement Accordo Stand-by-Aggrement Accordo Stand-by-Aggrement
PERIODO E AMMONTARE DELLA SOMMA Luglio 1991 Marzo 1992 1.05 miliardi di dollari Aprile 1992/1995 3.9 miliardi di dollari Aprile 1996 2.4 miliardi di dollari Aprile 1996 Dicembre1997 1 miliardo di dollari Febbraio 1998 2.8 miliardi di dollari 10 Febbraio 2000 7.2 miliardi di dollari Dicembre 2000 40 miliardi di dollari 14 Gennaio 2001 14 miliardi di dollari Settembre 2001 21.7 miliardi di dollari
Fonte: FMI 2002
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Allegato n° 2 Tabella riassuntiva 1991-1996 PRINCIPALI INDICATORI ECONOMICI 1991-1996 Dato
Unità di misura
Popolazione Livello delle attività
1991 33,0
1992 1993 33,4
33,9
1994
1995
1996
34,3
34,8
35,2
Prodotto interno lordo Milioni di $
189.594
Variazione real del Pil Percentuale
10,6%
9,6%
5,7%
5,8%
-2,8%
5,5%
Pil pro capite
Milioni di $
5.751
6.845
6.983
7.501
7.421
7.727
Investimenti Diretti esteri Disoccupazione (ottobre) Prezzi
Milioni di $
2.439
4.431
2.793
3.635
5.609
6.949
6,0%
7,0%
9,3%
12,1%
16,6%
17,3%
Inflazione (dicembre) % annuale
84,0%
17,5%
7,4%
3,9%
1,6%
0,1%
Panorama monetario Riserve internazionali Milioni di $
7.435
11.436 15.463
15.978
15.967
19.715
-0,1%
-0,5%
-1,9%
Percentuale
228.776 236.505 257.440 258.031 272.150
Settore Fiscale % del Pil
-0,5%
Esportazioni
Milioni di $
11.978
12.235 13.118
15.839
20.963
23.811
Importazione
Milioni di $
8.275
14.872 16.784
20.077
20.122
23.762
Saldo commerciale
Milioni di $
3.703
-2.637
-3.666
-4.238
841
49
Esportazioni / Pil
% del Pil
6,3%
5,3%
5,5%
6,2%
8,1%
8,7%
Importazioni /Pil
% del Pil
4,4%
6,5%
7,1%
7,8%
7,8%
8,7%
Debito estero Totale
Milioni di $
61.337
Debito estero Totale
Crescita %
Debito estero Totale
% del Pil
Debito estero privato
Bilancio Fiscale Settore Estero
0,6%
1,2%
Debito 62.972 72.425
85.908
99.146 110.614
2,7%
15,0%
18,6%
15,4%
11,6%
32,3%
27,5%
30,6%
33,4%
38,4%
40,6%
Milioni di $
8.598
12.294 18.820
24.641
31.955
36.501
Debito estero pubblico Milioni di $
52.739
50.678 53.606
61.268
67.192
74.113
Debito estero privato
% del Pil
4,5%
5,4%
7,9%
9,6%
12,4%
13,4%
Debito estero pubblico % del Pil
27,8%
22,2%
22,7%
23,8%
26,0%
27,2%
Fonte: CEI su base BCRA, Ministero dell' Economia e INDEC
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Allegato n° 3 Tabella riassuntiva 1997-2002 PRINCIPALI INDICATORI ECONOMICI 1997-2002 Dato
Unità di misura
Popolazione
1997 1998 1999 35,7
36,1
36,6
2000
2001
2002
37,0
36,2
36,2
Livello delle attività Prodotto interno lordo Milioni di $ 292.856 298.948 283.523 284.204 268.697 103.011 Variazione real del Pil % annuale 8,1% 3,9% -3,4% -0,8% -4,4% -10,9% Milioni di $ 8.210 8.277 7.751 Pil pro capite 7.675 7.418 2.846 Investimenti Diretti esteri Disoccupazione (ottobre) Prezzi
Milioni di $
Inflazione (dicembre)
% annuale
9.160
7.291 23.988
10.418
2.166
775
13,7%
12,4% 13,8%
14,7%
18,3%
17,8%
0,3%
0,7%
-1,8%
-0,7%
-1,5%
40,9%
Milioni di $ 22.439 26.524 27.831
26.491
19.425
10.485
-1,7%
-2,4%
-3,2%
-1,5%
Milioni di $ 26.431 26.434 22.626 Milioni di $ 30.450 31.377 25.535 Milioni di $ -4.019 -4.944 -2.909
26.341
26.610
25.353
25.280
21.001
8.988
1.061
5.609
16.365
Percentuale
Panorama monetario Riserve internazionali Settore Fiscale Bilancio Fiscale Settore Estero Esportazioni Importazione Saldo commerciale
% del Pil
-1,5%
-1,4%
Esportazioni / Pil
% del Pil
9,0%
8,8%
8,0%
9,3%
9,9%
24,6%
Importazioni /Pil
% del Pil
10,4%
10,5%
9,0%
8,9%
7,8%
8,7%
Debito Debito estero Totale Debito estero Totale Debito estero Totale Debito estero privato Debito estero pubblico
Milioni di $ 125.051 141.929 145.289 146.575 140.291 131.878 Crescita % 13,1% 13,5% 2,4% 0,9% -4,3% -6,0% % del Pil 42,7% 47,5% 51,2% 51,6% 52,2% 128% Milioni di $ 50.139 58.818 60.539 61.724 51.940 46.576 Milioni di $ 74.912 83.111 84.750 84.851 88.351 85.302
Debito estero privato
% del Pil
17,1%
19,6% 21,3%
21,7%
19,3%
45,2%
Debito estero pubblico
% del Pil
25,6%
27,8% 29,9%
29,9%
32,9%
82,8%
Fonte: CEI su base BCRA, Ministero dell' Economia e INDEC
51
Allegato n° 4 Il cambio fra peso e real nel 1998 realizza una lieve flessione per poi crollare nel febbraio 1999 con la svalutazione ….. Tab 1 Indice di cambio Peso-Real ( Base 1991=100) Gen. Feb. Mar. Apr. Mag. Giu. Lug. Ago. Set. Ott. Nov. Dic. Media 1997 1998 1999 2000 2001
93,6 90,5 68,7 62,9 62,1
93,0 90,1 54,7 63,9 61,1
93,5 90,1 56,3 65,6 58,7
94,0 89,9 63,4 64,7 56,0
93,5 90,1 64,1 62,8 53,7
93,1 89,5 61,2 63,8 52,7
92,5 88,5 60,4 64,8 51,5
91,7 87,3 58,3 65,3 51,1
91,4 86,3 58,1 64,6 48,3
91,2 86,2 56,6 63,2 47,7
91,0 85,9 58,4 61,5 52,3
90,8 85,4 61,7 61,4 56,7
92,4 88,3 60,2 63,7 54,3
Fonte: CEI su base Indec, Macrometrica e FMI
A conferma di ciò notiamo che le importazioni del Brasile sono in calo già nel 1998 per poi ridursi drasticamente l’anno seguente Tab. 2 Importazioni Trimestrali Brasile 1997-99 valori in milioni dollari Anno
1° 2° 3° 4°
1° 2° 3° 4°
1° 2° 3° 4°
1997 trim. 97 trim. 97 trim. 97 trim. 97 Totale 1998 trim. 98 trim. 98 trim. 98 trim. 98 Totale 1999 trim. 99 trim. 99 trim. 99 trim. 99
Totale Fuentes: CEI
52
valore reale
variazione reale rispetto al trimestre dell'anno precedente
variazione % rispetto al trimestre dell'anno precedente
13.120 15.404 16.939 15.884 61.347
2.382 2.927 2.703 49 8.061
22,18 23,46 18,99 0,31 15,13
13.745 14.063 15.277 14.648 57.733
625 -1.341 -1.662 -1.236 -3.614
4,55 -9,54 -10,88 -8,44 -6,26
10.858 12.207 12.735 13.418 49.218
-2.887 -1.856 -2.542 -1.230 -8.515
-26,59 -15,20 -19,96 -9,17 -17,30
Allegato n° 5 Il calo delle importazioni brasiliane è confermato dalla forte diminuzione delle esportazioni argentine verso il Brasile. (tab 1) Dettaglio esportazioni argentine 1992-2002 (milioni di dollari) Paese di destinazione
Mercosur Brasile
Comunità Andina NAFTA Canada
Messico Stati uniti Unione europea Resto del mondo Totale extra Mercosur Totale
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2.327
3.684
4.804
6.770
7.916
9.597
9.414
7.065
8.391
7.492
Var.% 01/02
5.590 -25,4%
1.671 2.814 3.655 5.484 6.615 8133 7.949 5.690 6.990 6.272 4.736 -24,5% 1.356 1.384 1.880 2.702 2.924 3.266 3.302 2.843 3.641 3.961
4.129 4,3%
1.638 1.562 2.084 2.030 2.297 2.555 2.679 3.142 3.708 3.561 55 64 73 82 105 135 227 232 272 224 234 219 274 144 248 216 261 282 326 488 1.349 1.279 1.737 1.804 1.944 2.204 2.191 2.628 3.111 2.849
3.633 183 665 2.785
3.784 3.675 3.922 4.466 4.560 3.993 4.602 4.713 4.691 4.581
5.120 11,8%
2.388 1.961 2.127 3.526 4.212 4.908 4.588 3.216 4.139 4.675
4.535 -3,0%
2,0% -18,2% 36,2% -2,2%
9.908 9.434 11.035 14.193 15.895 16.834 17.020 15.561 17.950 19.118 19.763 3,4% 12.235 13.118 15.839 20.963 23.811 26.431 26.434 22.626 26.341 26.610 25.353 -4,7%
Fonte: CEI su base Indec
L’export verso il Brasile ha toccato punte quasi del 31 % per crollare al 18 % nel 2002. Percentuale delle esportazioni argentine verso il Brasile 1990-2002 (valori percentuali) 30,8 % 30,1 % 27,8% 26,2% 25,1% 26,5% 23,1% 23,6% 21,5% 13,7% 11,5%12,4%
35% 30% 25% 20%
18,7%
15% 10% 5% 0%
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002
esportazioni rimanenti
esportazioni verso il Brasile
53
Allegato n° 6 Settore estero Settore Estero 1991-2002 1991 1992 1993 1994 1995 1996 Esportazioni Mil. di $ Importazioni Mil. di $ Saldo Mil. di $ commerciale Esportazioni % del Pil
11.978 12.235 13.118 15.839 20.963 23.811 8.275 14.872 16.784 20.077 20.122 23.762 3.703 -2.637 -3.666 -4.238
6,3% Importazioni % del Pil 4,4%
5,3% 6,5%
5,5% 7,1%
6,2% 7,8%
841
49
8,1% 7,8%
8,7% 8,7%
1997 1998 1999 2000 2001 2002 Esportazioni Mil. di $
26.431 26.434 22.626 26.341 26.610 25.353 30.450 31.377 25.535 25.280 21.001 8.988
Importazioni Mil. di $ Saldo Mil. di $ -4.019 -4.944 -2.909 commerciale Esportazioni % del Pil 9,0% 8,8% 8,0% Importazioni % del Pil 10,4% 10,5%
9,0%
1.061
5.609 16.365
9,3% 8,9%
9,9% 7,8%
24,6% 8,7%
Fonte: CEI su base BCRA, Ministero dell' Economia e INDEC
In questo grafico possiamo notare come in un periodo di recessione, sia nella crisi messicana del 1995 sia a partire dal 2000, si realizza sempre in surplus della saldo commerciale, che coincide con un calo della domanda. Importazioni, esportazioni e saldo commerciale 1991-2002 (milioni di dollari) 30.000 25.000 20.000 15.000 10.000 5.000 0 -5.000 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002
esportazioni
54
importazioni
saldo commerciale
Allegato n° 7 Debito Estero 1991-2002 (dati in milioni di dollari ) Il debito privato con il passare degli anni aumenta molto più rispetto al debito pubblico e dal 1999 il rapporto debito- Pil aveva superato il 50%. Debito estero totale Debito estero totale sul Pil Debito privato Debito pubblico Deb. pubb. sul totale Deb. priv. sul totale Rapporto debito Pubblico/debito privato Debito estero totale Debito estero totale sul Pil Debito privato Debito pubblico D. pubb. sul totale D. priv. sul totale Rapporto debito Pubblico/debito privato
1991
1992
1993
1994
1995
1996
61.337
62.972
72.425
85.908
99.146 110.614
32,3%
27,5%
30,6%
33,4%
38,4%
40,6%
8.598 52.739 85.8% 14.2%
12.294 50.678 80,5% 19,5%
18.820 53.606 74,0% 26,0%
24.641 61.268 71,3% 28,7%
31.955 67.192 67,8% 32,2%
36.501 74.113 67,0% 33,0%
6.13
4,12
2,85
2,49
2,10
2,03
1997
1998
1999
2000
2001
2002
125.051 141.929 145.289 146.575 140.291 131.878 42,70% 47,48% 51,24% 51,57% 52,21% 128,02% 50.139 74.912 59,9% 40,1%
58.818 83.111 58,6% 41,4%
60.539 84.750 58,3% 41,7%
61.724 84.851 57,9% 42,1%
51.940 88.351 63,0% 37,0%
46.576 85.302 64,7% 35,3%
1,49
1,41
1,40
1,37
1,70
1,83
Fonte: CEI su base BCRA, Ministero dell' Economia e INDEC
Il grafico sottostante rappresenta la composizione del debito fra pubblico e privato e l’andamento della percentuale del debito estero totale sul Pil. 140%
140.000
120%
120.000
100%
100.000
80%
80.000
60%
60.000 40.000
40%
20.000
20%
0
0%
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 Debito privato
Debito pubblico
percentuale debito totale sul Pil
55
Allegato n° 8 INFLAZIONE Inflazione 1989-2002 mag-89
dic-89
ago-90
dic-90
giu-91
dic-91
giu-92
764,7%
4923,0%
1696,0%
1343,0%
200,7%
84,0%
19,2%
dic-92
giu-93
dic-93
giu-94
dic-94
giu-95
dic-95
17,5%
12,3%
7,4%
3,0%
3,9%
3,7%
1,6%
giu-96
dic-96
giu-97
dic-97
mar-98
giu-98
dic-98
-0,1%
0,1%
0,9%
0,3%
0,8%
1,1%
0,7%
mar-99
giu-99
set-99
dic-99
mar-00
giu-00
set-00
-0,6%
-1,3%
-2,0%
-1,8%
-1,1%
-1,1%
-0,7%
dic-00
mar-01
giu-01
set-01
dic-01
mar-02
giu-02
-0,7%
-1,0%
0,3%
-1,1%
-1,5%
9,7%
30,5%
set-02
dic-02
gen-03
mar-03
mag-03
lug-03
set-03
39,7%
40,9%
42,8%
44,5%
44,0%
44,5%
44,6%
rilevazioni semestrali dal maggio 1989 al dicembre 1998; trimestrali dal marzo 1999 al dicembre 2002 rilevazioni bimensili per il 2003 fino al mese di settembre;
Fonte: INDEC Direzione degli Indici dei Prezzi al consumo
Inflazione 1989-1992. Il cambio fisso ha azzerato l’inflazione in pochi anni…. 5000%
4923,0%
4500% 4000% 3500% 3000% 2500%
1696,0%
2000% 1500% 1000% 500%
1343,0% 764,7%
0% mag-89
56
dic-89
200,7% ago-90
dic-90
giu-91
84,0% 19,2% 17,5%
dic-91
giu-92
dic-92
portandola quasi allo zero. L’evidente recessione è confermata dall’inflazione negativa, (la deflazione), che ha colpito duramente l’Argentina provocato la stagnazione dell’economia. L’inflazione è tornata a livello molto alti dopo la fine della parità. 44,6%
andamento dell'inflazione 1993-2003 39,7%
30,5%
12,3% 9,7% 7,4% 1,1%
lug-03
mar-03
dic-02
dic-01
giu-01
giu-02
-1,5%
-0,7% dic-00
-2,0% giu-99
dic-98
mar-98
giu-97
giu-96
giu-95
giu-94
giu-93
-0,6%
giu-00
0,3%
dic-99
1,6%
Prodotti che registrano i principali aumenti di prezzo rispetto all'Ottobre 2003 e rispetto al Dicembre 2001 Indice dei Prezzi al Consumo base 1999=100 Ultimo dato: novembre 2003
Variazione Ottobre 2003 Novembre 2003 Principali Aumenti Patate 22,0% 20,6% Zucca Limone 18,5% 15,1% Mela verde Olio di girasole 8,1% 4,2% Gassosa al limone
Variazione Dicembre 2001 Novembre 2003 Principali Aumenti Lenticchie secche Cacao in polvere Piselli in scatola Sardine Pomodori interi in conserva Riso bianco semplice Olio di girasole Gassosa in caraffa
245,3% 231,7% 167,5% 166,8% 161,1% 147,6% 135,8% 122,3%
Fonte: INDEC, Direzione degli Indice dei Prezzi al consumo
57
Allegato n° 9 Tab. 1 TASSO DI DISOCCUPAZIONE 1990-2002 mag-90
ott-90
giu-91
ott-91
mag-92
ott-92
mag-93
ott-93
mag-94
ott-94
mag-95
ott-95
mag-96
ott-96
mag-97
ott-97
mag-98
ott-98
mag-99
ott-99
mag-00
ott-00
mag-01
ott-01
mag-02
ott-02
8,6% 9,3%
16,1% 14,7%
6,3%
6,9%
10,7%
6,0%
12,1%
13,7%
18,4%
13,2%
16,4%
12,4%
18,3%
21,5%
6,9%
16,6%
7,0%
9,9%
17,1%
14,5%
13,8%
17,3%
15,4%
17,8%
Fonte: CEI in base a fonti nazionali, FMI e "The Economist"
Tab 2 Famiglie povere ed indigenti 1988-2001 (dati percentuali) Fam.povere Fam. indigenti Fam. povere Fam. indigenti
ott-88
ott-89
ott-90
ott-91
ott-92
ott-93
ott-94
24,1% 7%
38,2% 11,6%
25,3% 4,6%
16,2% 2,2%
13,5% 2,5%
13% 3,2%
14,2% 3%
ott-95
ott-96
ott-97
ott-98
ott-99
ott-00
ott-01
18,2% 4,4
20,1% 5,5%
19% 5%
18,2% 4,5%
18,9% 4,8%
20,8% 5,6%
25,5% 8,3%
Fuente: CEI en base a fuentes nacionales, FMI y The Economist
Andamento disoccupazione 1989-2003 25,0%
21,5%
22,5% 20,0%
18,4%
17,5%
16,6%
15,0%
12,1% 9,9%
12,5% 10,0% 7,5% 5,0%
8,6%
18,3% 16,4% 17,8% 15,4%
13,7% 10,7%
12,4%
13,8%
14,7%
9,3%
6,9% 6,3% 6,0%
17,3% 16,1%
7,0%
2,5%
58
gi u91 m ag -9 2 m ag -9 3 m ag -9 4 m ag -9 5 m ag -9 6 m ag -9 7 m ag -9 8 m ag -9 9 m ag -0 0 m ag -0 1 m ag -0 2
m ag -9 0
0,0%
Allegato n° 10 Il grafico evidenzia la dipendenza dell’argentina dagli investitori esteri i quali hanno massicciamente ridotto l’afflusso di capitali verso lo stato sudamericano. Fonte: CEI su base BCRA, Ministero dell' Economia e INDEC Investimenti Diretti Esteri 25.000
(milioni di dollari)
23.988
20.000 15.000 10.418 10.000 6.949 4.431
5.000
7.291
3.635
2.166
775
0
1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002
La crisi del sistema bancario è confermata dal calo delle riserve internazionali di moneta alle quali la Banca centrale della Repubblica Argentina ha dovuto attingere fortemente nel 2002. Fonte: CEI su base BCRA, Ministero dell' Economia e INDEC
Andamento delle Riserve Monetarie (in milioni di dollari )
30000 25000
27.831
26.491
22.439 19.425
20000
15.463
15.967
15000
10.485 10000
7.435
5000 0 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002
59
Allegato n° 11 Tab. 1 Dati congiunturali sulla produzione variazione percentuale su base annua dato di novembre 2001 Produzione industriale Consumi servizi pubblici Vendite al dettaglio Importazioni Esportazioni Prezzi al consumo Prezzi all'ingrosso
-11,10% -5,40% -21,20% -39,00% -2,00% -1,6 -6,9
Fonte: Indec,Istituto Nacional de Estadistica y Censos. 2002
Tab. 2 Indicatori di concentrazione dei maggiori gruppi economici nazionali in termini di vendite in milioni di pesos e di occupati (1997) vendite % vendite sul totale occupati
% occupati sul totale
principali 18 gruppi 26.275 economici prime 100 imprese 27.188 prime 500 imprese 31.629
81,8
111.924
86,5
84,7
93.535
72,3
98,5
125.476
97
prime 1000 imprese 32.110
100,0
129.353
100
Fonte Chudnovsky at al. 1999 Tab. 3 Grandi imprese argentine: quantità di imprese per attività principale 1993-2001 Attività principali di impresa
Quantità delle imprese 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001
Totale
500
500
500
500
500
500
500
500
500
Miniere e cave Industria manifatturiera Ind. Alimentare, bibite e tabacco Ind. Petrolchimica e plastica Ind. Meccanica Ind. rimanenti (1) Elettricità, gas e acqua Comunicazioni Restanti attività (1)
14 320 108 89 43 80 31 14 121
17 317 106 88 44 79 31 15 120
17 319 110 89 39 81 30 16 118
19 319 107 89 38 85 31 15 116
21 326 110 86 44 86 34 17 102
18 320 110 81 47 82 34 19 109
19 304 115 82 37 70 38 16 123
21 305 115 81 38 71 40 17 117
20 303 112 83 39 69 40 18 119
(1) Include Ind. Edile, Commercio, Trasporto. Fonte: INDEC, Inchiesta Nazionale sulle Grandi Imprese
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Tab.4 Grandi imprese in Argentina: quantità delle imprese per origine di capitale 1993/2001 Origine di Capitale
Quantità delle imprese 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 500
500
500
500
500
500
500
500
500
Nazionali 277 Con partecipazione straniera 223 Fino al 50% 69 Più del 50% 154
259 241 76 165
246 254 71 183
232 268 69 199
208 292 60 232
205 295 62 233
197 303 61 242
189 311 55 256
184 316 56 260
Totale
Fonte: INDEC, Inchiesta Nazionale sulle Grandi Imprese
Tab 5 Grandi imprese in Argentina: Tasso di investimento lordo a tasso fisso per origine di capitale 1993/2001 Origine di Capitale
Tasso di investimento fisso (miliardi di pesos) 1993 1994 1995 1996 1997 1998
1999 2000 2001
Totale
9.383 11.849 12.036 11.628 12.508 12.819 11.859 10.037 10.899
Nazionali
2.232 3.720 2.519 2.417 1.706 2.385 2.433 1.359 1.617
Con partecipazione straniera
7.150 8.129 9.517 9.210 10.802 10.433 9.425 8.677 9.282
Fino al 50%
4.807 5.094 4.175 3.050 1.760 1.818,4 1.293,2 741,9 1.458
Più del 50%
2.342 3.035 5.342 6.160 9.042 8.615 8.132 7.935 7.824
Fonte: INDEC, Inchiesta Nazionale sulle Grandi Imprese
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