Tumori Professionali

  • June 2020
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TUMORI PROFESSIONALI Si definiscono come neoplasie dovute all’azione causale o concausale di sostanze cancerogene presenti negli ambienti di lavoro. Esistono lavorazioni molto a rischio, come quelle che utilizzano la 2-naftilamina (nel 50-100% dei casi i lavoratori vanno incontro a carcinoma della vescica). Un altro problema è determinato dal fatto che alcuni cancerogeni vengono liberati nell’ambiente, con il possibile coinvolgimento oltre che dei lavoratori, anche della popolazione generale. Tipico al riguardo è l’esempio dell’asbesto; l’utilizzo di tale sostanza attualmente è stato abolito, ma rimane ancora oggi quello impiegato copiosamente in passato, con notevoli problemi riguardanti il suo smaltimento (molto costoso). Un dato da tenere presente è che la maggior parte dei cancerogeni professionali è conosciuta: grazie a ciò è possibile attuare delle efficaci misure preventive. Storicamente sono da ricordare varie tappe che hanno portato alla scoperta della cancerogenesi da parte di sostanze entrate in contatto con determinati lavoratori: •

1775: Pott è il primo che parla di cancro professionale, in particolare del cancro allo scroto degli spazzacamini inglesi dovuto all’elevata esposizione agli idrocarburi policiclici presenti nella fuligine (tali sostanze, data la loro pericolosità, sono menzionate a parte nella 626 e non necessitano nemmeno delle frasi di rischio, es. R45 o R49);



1820: Paris riscontra la comparsa nei lavoratori dello stagno di cancro dello scroto, determinato dalla esposizione all’arsenico;



1879: scoperta del cancro polmonare da radiazioni nei minatori;



In seguito scoperta della cancerogenicità della 2-naftilamina, dell’asbesto, del cloruro di vinile monomero (angiosarcoma epatico)

Una possibile classificazione dei tumori professionali prende in considerazione l’eziologia: •

Cause fisiche: o Radiazioni non ionizzanti (es. UV per chi lavora all’aperto) o Radiazioni ionizzanti (raggi X, radioisotopi; riguardano molto il ramo biomedico)



Cause chimiche: è un capitolo in continua evoluzione perché vengono prodotte sempre nuove sostanze; l’elenco dei prodotti cancerogeni viene costantemente aggiornato grazie alla vigilanza operata da varie organizzazioni (IARC, NIOSH, OSHA, CEE…). Una classificazione della IARC suddivide i composti chimici in tre gruppi: o Sostanze sicuramente cangerogene per l’uomo (Alluminio, 2-Naftilamina, Arsenico, Asbesto, Cloruro di vinile...) o Sostanze probabilmente cancerogene (Benzopirene, Cadmio, Berillio, Formaldeide) o Sostanze possibilmente cancerogene (Acetaldeide, Acrilamide…)

Un’altra classificazione valuta l’organo interessato: •

Cute: o Arsenico e composti (fonderie, pesticidi…) o Fuligine, catrame, olii minerali o Agenti fisici





UV (lavoratori all’aperto)



Radiazioni ionizzanti (medici, chimici…)

Vescica: o Derivati dell’amina (aminodifenile, 2-naftilamina…) o Auramina o Fuligine, catrame, olii minerali



Polmone (il suo interessamento è quello più importante): o Arsenico o Asbesto o BCME e CMME o Cloruro di vinile monomero (CVM) o Cromo o Ematite o Fuligine, catrame o Iprite o Nickel o Agenti fisici



Altri: o Naso: •

Nickel



Polveri di legno (da poco entrate per legge nel gruppo dei cancerogeni)

o Sistema emopoietico (leucemie): •

Benzene (abolito nel ’64, ma tutt’ora presente nelle benzine verdi al posto del Piombo)



Radiazioni ionizzanti

o Fegato: •

Cloruro di vinile

o Osso: •

Radiazioni ionizzanti

Per quanto riguarda la cancerogenesi, viene classicamente suddivisa in tre tappe: •

Fase di induzione: i cancerogeni agiscono con gli acidi nucleici direttamente o tramite i prodotti del loro metabolismo; ne consegue un’alterazione irreversibile del DNA, con la cellula che assume la potenzialità di formare un clone di elementi neoplastici. A questo punto tutto può fermarsi e non si ha il tumore, ma più spesso si passa alla fase successiva;



Fase di promozione: per vari stimoli (talora per la sostanza cancerogena stessa, oppure per fenomeni quali la flogosi…) si ha proliferazione delle cellule iniziate con formazione di strutture come polipi o papillomi;



Fase di progressione: si hanno nelle cellule ulteriori cambiamenti a livello gnomico con alterazioni del cariotipo e assunzione di un comportamento francamente maligno.

Lo studio dei tumori professionali prevede come approccio principale quello epidemiologico, che va ad analizzare quali sono le sostanze che determinano un aumento dell’incidenza di tumore nei soggetti esposti. Esistono tuttavia dei problemi da affrontare con tale valutazione: -

la sperimentazione può non essere corretta dal punto di vista etico;

-

sono presenti dei problemi di tipo tecnico: 

lunghi periodi di latenza (non è possibile fare una ricerca rapida)



spesso nell’ambito di una lavorazione ci sono più sostanze da testare



abitudini di vita confondenti (l’insorgenza di cancro polmonare in un lavoratore dell’asbesto che fuma, non è facilmente attribuibile dal punto di vista eziologico)

Lo strumento epidemiologico è invece utilissimo e affidabile per quanto riguarda lo studio di patologie rare, in particolare mediante studi caso/controllo (rispetto a quelli di coorte). Un’ulteriore metodica di valutazione è quella che sfrutta i test di laboratorio: -

a lungo termine: si applicano su modelli animali, e una sostanza cancerogena per essi viene automaticamente considerata tale anche per l’uomo;

-

a breve termine: sono rappresentati da test di mutagenesi su batteri o cellule di mammifero in coltura.

Riassumendo, per i tumori professionali i punti più importanti da valutare sono: •

lunghi periodi di latenza: per questo motivo esistono registri di esposizione che fanno seguire i soggetti nel tempo, anche anni dopo aver interrotto il lavoro a rischio;



sinergia tra cancerogeni professionali e non (es. asbesto e fumo);



prevenzione esclusivamente tecnica dei tumori professionali (?);



legge 626: fornisce l’elenco dei cancerogeni, segnalati con le frasi di rischio R45 e R49, per i quali i datori di lavoro devono effettuare la valutazione del rischio e attuare delle misure preventive;



settori a rischio: o industria o galvanica o conciaria o plastica o gomma o vernici o tessile o sanità o agricoltura

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