"terre Forti" Su "la Sicilia" Del 19 Aprile 2009

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DOMENIC A 19 APRILE 2009

LA SICILIA

CATANIA .39

l’inchiesta LIBRINO, QUALE FUTURO

All’inizio si chiamava «Terre forti» ed era una campagna coltivata bellissima, poi sono arrivate le case abusive e la grande speculazione edilizia, la città satellite costruita senza infrastrutture e servizi

Il racconto di un grande progetto razionalista fallito, anche per il mancato decentramento di uffici, ospedali, facoltà universitarie. Le voci e i progetti di chi lavora e crede nella possibilità di un diverso futuro

Dare valore alla nostra new town

Di Librino (qui accanto in una panoramica notturna) non si conosce neppure l’esatto numero di abitanti. I dati forniti dal Comune nel 2006 dicono che sono 43.599 contro i 70.000 delle stime date dalle ricerche sul campo. E anche il numero dei disoccupati è misterioso. Le tabelle ufficiali parlano del 29%, ma per i servizi sociali il tasso di disoccupazione è ben più alto, addirittura del 50%. Di sicuro c’è che, nel grande quartiere, per i giovani, le uniche opportunità di lavoro sono nella manovalanza edilizia, nel commercio ambulante e nella pesca. I centri sociali e l’osservatorio della Caritas, poi, dicono che i modelli familiari, in buona parte dei nuclei, relegano la donna al ruolo tradizionale di madre di famiglia e che le giovani ne ripercorrono ancora la strada, giovanissime, con la tradizionale «fuitina». Il flusso immigratorio, invece, non ha interessato il quartiere preferendo il centro storico di città

PINELLA LEOCATA

La «new town» a Catania c’è già, bella, enorme, popolosa e... messa ai margini. Come è avvenuto sempre, finora, nelle città costruite ex novo secondo un’utopia razionalistica. Allora, negli anni Settanta, per progettare la «città satellite» venne chiamato, dal lontano Giappone, uno dei più grandi urbanisti dell’epoca, Kenzo Tange. Perché Catania voleva essere, e si sentiva, la «Milano del Sud» e perché la nuova edilizia avrebbe dato una forte spinta allo sviluppo economico che mostrava segni di stanca dopo il boom del dopoguerra. E non importa che i terreni fossero argillosi e inadatti per un insediamento urbano. I prezzi erano bassi e questo era sufficiente. Kenzo Tange ideò una città bellissima, Librino, estesa su una grande area collinare che guarda il vulcano e il mare, un territorio immerso nel verde e attraversato dai letti prosciugati di due torrenti che rivivono nelle anse delle grandi arterie stradali. Pensò una città modernissima per 70.000 persone, ma articolata in dieci borghi di 7.000 abitanti l’uno. Progettò grandi circonvallazioni esterne per collegare i vari nuclei tra loro e strade in scala più ridotta per le comunicazioni interne. Pensò una città autosufficiente con un grande centro culturale attrezzato e con una zona congressi a servizio di tutti i nuclei residenziali e, all’interno di ognuno di questi, impianti sportivi, attrezzature collettive, centri di socializzazione e religiosi. Nella new town era stato previsto anche l’ubicazione di facoltà universitarie, di ospedali e uffici comunali. La metropolitana avrebbe consentito rapporti rapidi con la città storica. Sappiamo come sono andate le cose. La manicola ha lavorato a pieno ritmo, sono stati alzati palazzoni, torri e case a schiera e tutto è finito lì. Gli abitanti della città satellite hanno dovuto aspettare decenni per una sede della polizia, per un ufficio postale, per i servizi di prima necessità. I negozi, i bar e le botteghe artigiane stentano a nascere, di centri commerciali non se ne parla, eppure Librino sorge al centro di uno snodo strategico di autostrade. Né le istituzioni hanno fatto la propria parte, tant’è che il decentramento di servizi, uffici e facoltà è rimasto sulla carta. Senza centri propulsori di attività, senza luoghi di socializzazione, senza strutture dove fare sport e cultura, senza un cinema, senza un teatro, senza scuole superiori, senza alcuna attrazione per l’altra parte di Catania, il quartiere si è trasformato in un enorme dormitorio e, per certi versi, in un quartiere ghetto. Le famiglie a reddito fisso, quelle che hanno delle sicurezze, si proiettano fuori da questa città separata, mentre le altre, quelle più deprivate, vi si arroccano sviluppando un forte senso di deprivazione, di insicurezza, di disillusione. In queste condizioni la possibilità e il gusto per la partecipazione sono tagliati alla radice, e i politici che governano la città fanno la loro apparizione soltanto nei periodi preelettorali perché è qui, a Librino, che si elegge sindaco e maggioranza. A Librino il volto buono delle istituzioni è soltanto quello delle scuole dell’obbligo, dei docenti che si prodigano per educare i propri allievi alla cittadinanza e che da dieci anni s’impegnano nelle tante iniziative proposte da Fiumara d’Arte, la fondazione che, in questi giorni, sta ultimando la realizzazione della «Porta della Bellezza», prima parte del museo d’arte contemporanea e virtuale all’aperto che Antonio Presti si è impegnato a donare al quartiere. A Librino i modelli positivi, e gli unici spazi di aggregazione che non siano la strada e i terreni incolti, sono quelli offerti dal volontariato, dal gruppo Iqbal Masih con i suoi programmi d’impegno sociale e culturale per i ragazzi, dalle suore che mettono a disposizione le proprie strutture, dalla Caritas che, non senza rischi, ha aperto il centro sociale Talità Kun proprio a fianco del palazzo di cemento, contraltare legale della cittadella dello spaccio e delle armi. Ora tocca alle istituzioni. Tocca al Comune, all’Università e allo Stato creare i servizi e il tessuto sociale che, finora, ha negato a una quota importante della popolazione catanese, la più giovane. E tocca alla stampa, a noi, continuare a dare spazio alle voci, ai bisogni e ai diritti della new town di Catania, un’occasione di crescita e di ricchezza finora sprecata.

LA STORIA GIUSEPPE FARKAS

È cresciuto, e ancora ci abita, nel borgo Librino Vecchio, che è a Librino ma è anche altra cosa. Librino visto da Librino aumenta il rimpianto per ciò che poteva in parte essere la cosiddetta città satellite. Un posto ospitale, ma anche solidale; un quartiere con personalità. Un luogo che avrebbe saputo medicare l’emarginazione con la fantasia e la creatività. E per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, per fortuna, ci riesce in parte. Alfio Guzzetta ha 65 appena compiuti e portati più che bene. Ha lavorato sino alla pensione come assistente tecnico in un istituto professionale e poi, alla soglia dei 61 anni, ha saldato un debito che aveva con se stesso: si è laureato in Lettere. Coltiva la passione per il suo quartiere e quella per il teatro. Passioni in parti conciliabili, perché nei suoi spettacoli in un modo o nell’altro Librino finisce sempre per entrarci, ma in parte no. Non riesce quasi mai, per esempio, a recitare nel suo quartiere perché nel suo quartiere, che pure ha il doppio degli abitanti di molti capoluoghi di provincia, un teatro non c’è, Al Teatro Magma di Catania, a due passi da piazza Santa Maria di Gesù, sta dando gli ultimi ritocchi Magma allo spettacolo ’U cantu d’ò lapuni che ha scritto e diretto e interpreta assieme a un gruppo di librinesi doc, con alcuni dei quali ha anche creato l’associazione culturale Terre forti che ha sede a Librino, ma a casa sua. La passione per il teatro la coltiva da quando era un ragazzino. «Praticamente ho iniziato a 12 anni in parrocchia, poi ho proseguito a "teatricchiare" in seminario. Volevo farmi prete e ci sono rimasto tre anni e mezzo. Poi la vocazione è passata». Ma non quella per il teatro, che ha continuato a frequentare negli anni della sperimentazione e dell’avanguardia delle "cantine". L’associazione Terre forti nasce invece due anni fa, anche questa al culmine di un percorso di scrittura e di ricerca che parte da lontano. «Terre forti è nata dall’unione di un gruppo che, come me, abita a Librino e voleva far qualcosa nell’interesse del quartiere. Abbiamo allargato la nostra associazione anche a qualcuno che non abita a Librino ma che, come noi, vuole impegnarsi a favore del quartiere». Terre forti è il nome originale di Librino. Il quartiere lo chiamavano così quando ancora il cemento non aveva sfrattato i vigneti e i campi coltivati erano fertili. Terre forti, appunto. Librino, secondo tradizione, nascerebbe dal soprannome di un possidente, don Vito, che aveva il

Il letterato-attore in cerca di un teatro ALFIO GUZZETTA

Una grande opportunità per l’associazionismo di Librino, ma il bando per accedere ai finanziamenti è pieno d’ostacoli. Per rendersi promotori di un progetto che possa aspirare a ricevere questi finanziamenti, e poter gestire il tutto in prima persona, occorre che l’associazione rientri in determinati parametri: deve essere stata costituita prima del 31 ottobre 2006 e deve avere sede (legale o operativa) nel quartiere. Inoltre deve avere un solida situazione finanziaria con bilanci pronti da essere esibiti. Requisiti che finiscono per penalizzare le piccole associazioni già operanti, con grandissimi sacrifici, nel quartiere. Tutto ciò costringe a cercare "alleanze" con associazioni in possesso dei requisiti e che però, meno delle altre, avrebbero bisogno di sostegno economico. Si finisce così spesso nel paradosso per cui a partecipare a questi bandi finalizzati allo sviluppo delle realtà svantaggiate siano proprio le realtà che già hanno una struttura finanziaria solida e che, forse meno di altre, hanno bisogno di sostegno. Ma capita anche che associazioni che Librino non sanno nemmeno dov’è, hanno cercato una "base" nel quartiere tentando fusioni a freddo con associazioni da anni sul territorio. «In questa situazione - spiega Alfio Guzzetta - invece di fare quadrato, siamo riusciti a complicarci la vita, a ostacolarci l’un l’altro. Purtroppo capita quando ci sono di mezzo interessi economici. In pratica è successo che le associazioni di Librino invece di tentare una strategia comune per ottenere il finanziamento della Fondazione per il Sud, si sono divise in tre raggruppamenti con tre progetti in concorrenza tra loro. In estrema sintesi, c’è il gruppo dell’associazionismo cattolico con capofila la Caritas; un gruppo che ha per associazione-guida quella che fa capo ad Antonio Presti e un terzo e ultimo gruppo che fa riferimento alla Cgil e all’Arci. Tutto questo significa, sempre in estrema sintesi, che molte associazioni che nel quartiere ci hanno speso una vita, sono destinate a continuare ad autofinanziarsi e fare sacrifici». - Un intervento concreto che può subito migliorare la vita a Librino? «Quello destinato a recuperare spazi, tutti gli spazi. Spazi per l’aggregazione, e penso alle numerose masserie già assegnate a enti e istituzioni che potrebbero però essere condivise con gli abitanti. Ma penso a spazi intesi come aree abbandonate, vere e proprie pattumiere tra un palazzo e l’altro. Librino è ancora pieno di contadini, quei terreni incolti, pur restando di proprietà comunale, potrebbero diventare orti, prati, aiuole...» - Siamo sotto elezioni, tra un po’ a Librino sarete costretti a un’intensa attività di pubbliche relazioni «Sono elezioni europee. In genere le Amministrative sono quelle che portano più movimento e candidati nel quartiere. La campagna elettorale per le europee è più politica che clientelare...».

Recuperare, subito, tutti gli spazi possibili per l’aggregazione. Penso alle masserie, penso ai terreni incolti che gli abitanti potrebbero trasformare in orti, prati, aiuole...

labbro leporino. Quel leporino, di storpiatura in storpiatura, divento librino. E siccome il fondo di «don Vito librino» era il più grande e popolato di Terre forti e, cosa non trascurabile, aveva anche una chiesetta privata che i proprietari avevano messo a disposizione di abitanti e contadini, tutta la vita della contrada cominciò a ruotare attorno a quel fondo che finì per dare il nome al quartiere che conosciamo oggi. - Ma chi, come lei, ha questa passione e quest’impegno nei confronti del quartiere, si considera librinese o catanese? «Catanese naturalmente, perché Librino ha sempre fatto parte di Catania, anche se ne è fisicamente separato. Un distacco che quando ero piccolo io era ancora più netto. Non c’erano strade ma mulattiere e "andare in città" era considerato un viaggio. C’erano le vigne, gli oliveti, casali e masserie e non arrivava l’energia elettrica. Ma era sempre Catania. E lo è ancora. O no?». - Insomma, era un privilegio vivere in un posto così bello. Ma quando ha capito che le cose cominciavano a cambiare in peggio? «Il primo segnale di cambiamento si è avvertito quando hanno cominciato a costruire il Villaggio S. Agata, nei primi anni Sessanta. Contemporaneamente è iniziato il fenomeno dell’abusivismo a Librino e S. Giorgio. Le case rurali sono state inglobate dai palazzi abusivi che cominciavano a moltipli-

carsi senza regole e senza controlli. Il paesaggio e la qualità della vita, è facile immaginarlo, si sono via via degradati. Altro brutto segnale è arrivato negli anni Settanta, quando è cominciata la costruzione degli insediamenti che hanno dato vita al nuovo Librino. Aumentava il numero dei palazzi, alcuni anche belli, ma non c’era traccia di servizi e infrastrutture. Si è pensato solo all’esigenza abitativa accantonando tutto il resto che nel progetto originale della "città satellite" era peraltro previsto, ovvero i luoghi e gli spazi della socializzazione. Che non ci siano le fogne è grave, ma è altrettanto grave non aver pensato a dare punti di riferimento agli abitanti». È anche per questo che a Librino l’associazionismo ha trovato terreno fertilissimo. Lo spazio lasciato colpevolmente vuoto dalle istituzioni è stato riempito dal volontariato. Il numero di associazioni che svolge attività a Librino è impressionante. «Ci sono associazioni culturali, ma anche quelle che hanno finalità sociali o che svolgono attività sportive. C’è un giornale, c’è una radio...Tutte queste iniziative sono nate spontaneamente perché gli abitanti di Librino hanno la necessità di realizzare qualcosa, di avere spazi culturali e mentali propri, di potersi esprimere come "catanesi di Librino" nel loro stesso quartiere». Tutto questo, però, ha un costo e molti sono sinora andati avanti autofinanziandosi. Un po’ d’ossigeno (anzi tanto, visto che si parla di finanziamenti complessivi per un milione e mezzo) potrebbe arrivare dalla Fondazione per il Sud, un soggetto privato nato il 22 novembre 2006 dall’alleanza tra fondazioni di origine bancaria e il mondo del terzo settore e del volontariato per promuovere l’«infrastrutturazione sociale» del Mezzogiorno.

E gli studenti donano tele ai bambini ricoverati al Vittorio Mercoledì 22, alle 10,30, migliaia di studenti delle scuole dell’obbligo di Librino doneranno all’ospedale Vittorio Emanuele le tele che hanno realizzato insieme agli allievi dell’Accademia di Belle Arti guidati da Anna Guillot. Un ponte simbolico tra i luoghi di bellezza, gioia e solidarietà e i luoghi di sofferenza. Promotore dell’iniziativa, diventata un appuntamento annuale, il presidente della Fondazione Fiumara d’Arte Antonio Presti. La cerimonia d’inaugurazione si aprirà con una conferenza stampa nell’auditorium del Centro servizi multimediali dell’ospedale "Vittorio Emanuele". Subito dopo, giornalisti, cameramen e fotografi potranno seguire il percorso

della "mostra" realizzato nei reparti dell’ospedale. Saranno presenti anche il direttore sanitario dell’azienda ospedaliera Salvatore Paolo Cantaro, la docente dell’Accademia di Belle Arti Anna Guillot e i dirigenti scolastici delle dieci scuole partecipanti: Emanuele Bellini ("Cirino La Rosa; centro educativo "Mary Poppins"); Simone Calogero (centro diurno "Primavera"); Cristina Cascio ("Musco"); Vincenzo Costanzo ("Dusmet"); Santo Molino ("Pestalozzi"); Brigida Borsellino ("San Giorgio"); Angela Santangelo ("Ungaretti"); Lino Secchi ("Campanella Sturzo"); Giuseppe Vascone (""Brancati"). Ogni anno i ragazzi delle scuole di Librino si confrontano con un tema legato ai grandi valo-

ri dell’esistenza e ad attività multidisciplinari che abbracciano la poesia, l’arte, l’educazione ambientale e civica. Tema dell’anno didattico in corso è quello della Grande Madre affrontato da tutte le scuole elementari e medie del quartiere. Una riflessione sul ruolo della donna nella società contemporanea che è parte di un più ampio progetto che include anche la «Porta della Bellezza», la trasformazione artistica del muraglione dell’asse attrezzato grazie alle opere in terracotta realizzate da scultori con la partecipazione dei ragazzi di Librino. «Le tele donate al Vittorio Emanuele - spiega Antonio Presti - rientrano nell’ambito di un progetto che, tra l’altro, tende a sensibilizzare i

giovani verso il valore della solidarietà. Nostro obiettivo è aggregare varie persone e istituzioni attorno ad un’idea, lavorare per la creatività e l’affermazione di un’identità culturale, gettare il seme di un ideale di bellezza che si radichi nei giovani, i cittadini di domani. In un luogo come l’ospedale, poi, il valore della bellezza assume un significato molto importante. Il valore del dono è la condivisione, e le opere all’interno della struttura ospedaliera sigilleranno questo impegno". Un’iniziativa verso la quale il direttore sanitario Cantaro ha mostrato grande interesse annunciando prossime iniziative nel quartiere in un rapporto di collaborazione.

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