«Signori, Dio è morto!» annunciò Jean-Paul Sartre a un gruppo di giornalisti sbalorditi. Era da poco finita la Seconda Guerra Mondiale. Ci si chiedeva: che fine aveva fatto il Creatore mentre tanti innocenti venivano massacrati, le donne violentate e i bambini inceneriti ? Da nessuna parte, rispondeva Sartre. Per Sartre, il compito della filosofia esistenzialista consisteva proprio nel liberare l'uomo dall' “idea” di Dio, porlo nell’essere «senza dei». Secondo Giovanni Paolo II, invece, “Dio si astiene dall'assistere gli uomini perché disgustato dal loro comportamento”. È il vecchio dilemma, quello dell'inconoscibilità di Dio, affrontato da Sant'Agostino, fiore all'occhiello di ogni ateismo: se Dio ci ha creati volontariamente, perché non ha fatto in modo che fossimo buoni e giusti, a sua immagine e somiglianza? (e se Dio fosse un malvagio?, ndr). È questo l'argomento che rende irriducibili gli atei più convinti: se Dio è onnipotente, buono e giusto, come può permettere lo scempio quotidiano degli innocenti, come può permettere qualsiasi atteggiamento vendicativo nei confronti dell'uomo da Lui stesso creato. Evidentemente, non c'è nessun Dio. Nel saggio “Quel che resta di Dio”, Armando Torno prova a raccontare la storia della morte di Dio - il principio primo, il “non nato”, l' “increato”, proclamata da filosofi, politici e teologi, ma ogni volta rimessa in discussione. Ciò che è proprio morto e stecchito, secondo Torno, non è tanto l'urgenza metafisica, il bisogno di trascendente, la voglia di “numinoso”, che seppur cacciata dalla porta rientra sempre sotto diversi travestimenti, ma il suo contrario: l'ateismo. Torno, da un lato, denuncia la drammatica scomparsa del divino dal mondo; allo stesso tempo però delinea il superamento del presente attraverso una nuova era, sulle tracce del poeta Hoelderlin («gli dei “già stati” ritorneranno») o del filosofo Heidegger («l'annuncio della morte di Dio è un nuovo inizio»). È un punto, questo, che ha il suo naturale interlocutore nel filosofo Emanuele Severino. Più volte richiamato nel saggio, Severino concorda con l'autore nel constatare il decesso dell'ateismo dogmatico, quello materialistico e illuministico di d'Holbach o Helvétius, neopragmatista alla Rorty, neomarxista, legato ai processi cerebrali come in Davidson: «Questo ateismo, sviluppatosi già come dogma, e dunque nato morto, non tiene conto di quello autentico: che va oltre Nietzsche e Leopardi, che include Gentile e Pierce, che nega radicalmente la tradizione e il valore divino che non è affatto scomparso, anzi sta progressivamente invadendo e determinando le sorti del pianeta». Non ha dubbi, Severino: «Questo ateismo, se vogliamo chiamarlo così, possiede un nucleo d'acciaio, un argomento distruttivo, perché dimostra che se Dio esistesse, per il fatto stesso di essere onnisciente, renderebbe impossibile il divenire».
Sia Torno che Severino concordano su un punto: il continuo risorgere, il riproporsi del bisogno di Dio, va di pari passo con la decadenza delle istituzioni religiose, cominciando da quella cattolica: «La distruzione di ogni sapere assoluto - dice Severino - è connessa alla crisi delle chiese. Il distacco dalla pratica religiosa in Occidente si può toccare con mano, è un fenomeno planetario. Altrove, nel mondo indù o in quello musulmano, il sentimento religioso è certo molto forte, ma non si può parlare di una sua rinascita, piuttosto di un permanere nel passato. Da noi, invece, Dio ritorna di moda nei momenti difficili, come un’ancora di salvezza. Però la gente comune non sa in realtà di che cosa stia parlando: va in cerca di “qualcosa che la salvi”, semplicemente e genericamente». Dunque, come risolvere la contraddizione tra la «morte di Dio» e la sua continua resurrezione? Severino suggerisce l'ipotesi che «il bisogno di una divinità sia solo un'increspatura del grande oceano» e non cambi «la tendenza generale a una sua scomparsa». Torno segue invece un'altra via: la presenza del male nel mondo gli suggerisce la considerazione che «il progresso non evita il male, anzi in molti casi lo conforma all’epoca». Per cui, «se Dio non ha tolto il male dal mondo, il male non è ancora riuscito a negare definitivamente Dio». In quanto alla tanto proclamata «secolarizzazione delle coscienze», rileva che: «gli uomini non riescono a pensare senza di lui», tanto da arruolarlo di volta in volta nei loro dibattiti sul senso del lavoro, della politica e della stessa democrazia. Certo, rileva causticamente, il messaggio religioso è stato banalizzato in un «massaggio». Eppure, tutti, senza saperlo, stiamo giocando «il gioco di Dio che dà un senso alle nostre scelte». Compresa quella della fede. Purché si ammetta che essa è principalmente «emotiva» e precede la logica. La ragione, avverte Torno con una provocazione che sarebbe piaciuta a Nietzsche, «arriva sempre dopo e fa il suo mestiere: conferma con la sua forza quello che il nostro cuore ha già abbracciato».
L' ateismo è morto. Si torna a cercare Dio Corriere della Sera 08 novembre 2005 (pubblicato su Ecplanet 21-12-2006) […] Non avete mai sentito parlare di quell'uomo pazzo che, in pieno mattino, accesa una lanterna, si recò al mercato e incominciò a gridare senza posa: “Cerco Dio! Cerco Dio!” Trovandosi sulla piazza molti uomini non credenti in Dio, egli suscitò in loro grande ilarità. Uno disse: “L'hai forse perduto?”, e altri: “S'è smarrito come un fanciullo? Si è nascosto in qualche luogo? Ha forse paura di noi? Si è imbarcato? Ha emigrato?”. Così gridavano, ridendo fra di loro... L'uomo pazzo corse in mezzo a loro e fulminandoli con lo sguardo gridò: “Che ne è di Dio? Io ve lo dirò. Noi l'abbiamo ucciso - io e voi! Noi siamo i suoi assassini! Ma come potemmo farlo? Come potemmo bere il mare? Chi ci diede la spugna per cancellare l'intero orizzonte? Che facemmo sciogliendo la terra dal suo sole? Dove va essa, ora?
Dove andiamo noi, lontani da ogni sole? Non continuiamo a precipitare: e indietro e dai lati e in avanti? C'è ancora un alto e un basso? Non andiamo forse errando in un infinito nulla? Non ci culla forse lo spazio vuoto? Non fa sempre più freddo? Non è sempre notte, e sempre più notte? Non occorrono lanterne in pieno giorno? Non sentiamo nulla del rumore dei becchini che stanno seppellendo Dio? Non sentiamo l'odore della putrefazione di Dio? Eppure gli Dei stanno decomponendosi! Dio è morto! Dio resta morto! E noi l'abbiamo ucciso! Come troveremo pace, noi più assassini di ogni assassino? Ciò che vi era di più sacro e di più potente, il padrone del mondo, ha perso tutto il suo sangue sotto i nostri coltelli. Chi ci monderà di questo sangue? Con quale acqua potremo rendercene puri? Quale festa sacrificale, quale rito purificatore dovremo istituire? La grandezza di questa cosa non è forse troppo grande per noi? Non dovremmo divenire Dei noi stessi per esserne all'altezza? Mai ci fu fatto più grande, e chiunque nascerà dopo di noi apparterrà per ciò stesso a una storia più alta di ogni altra trascorsa”. A questo punto l'uomo pazzo tacque e fissò nuovamente i suoi ascoltatori; anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Quindi gettò a terra la sua lanterna che andò in pezzi spegnendosi. “Vengo troppo presto, disse, non è ancora il mio tempo. Questo evento mostruoso è tuttora in corso e non è ancor giunto alle orecchie degli uomini. Per esser visti e riconosciuti lampo e tuono hanno bisogno di tempo, la luce delle stelle ha bisogno di tempo, i fatti hanno bisogno di tempo anche dopo esser stati compiuti. Questo fatto è per loro ancor più lontano della più lontana delle stelle e tuttavia sono loro stessi ad averlo compiuto!” Si racconta anche che l'uomo pazzo, in quel medesimo giorno, entrò in molte chiese per recitarvi il suo Requiem aeternam Deo. Condotto fuori e interrogato non fece che rispondere: “Che sono ormai più le chiese se non le tombe e i sepolcri di Dio?” [… ] Nietzsche, “La Gaia Scienza”, Aforisma 125 - L'Uomo Pazzo L'annuncio della Morte di Dio è drammatico, perché implica il crollo di una Weltanschaung, una visione del mondo, quella metafisica, che nel rapporto col divino aveva fondato l'esistenza della società umana. Rinnegando la fede in Dio, in una entità trascendente che governa il destino degli uomini, proclamando l'avvento della ragione (illuminismo), della scienza (positivismo), dell'evoluzione (darwinismo), l'umanità vede crollare quel sistema di valori che per tanto tempo ha retto, nel bene e nel male, l'ordine socio-culturale. La Morte di Dio coincide con la fine di tutta la metafisica. In particolare, secondo Nietzsche, di quella platonica, che aveva eletto come vero il mondo iperuranico delle idee e il mondo sensibile come apparente. Questo crollo di valori implica un forte senso di vertigine e smarrimento. L'uomo folle conclude di essere venuto “troppo presto”, perché l'umanità non è ancora pronta ad affrontare questo evento traumatico, in progress, che tutt'oggi stiamo vivendo. La pretesa di laicità da parte dello Stato, il permissivismo, il liberismo, il nichilismo della tecnica, la “mistica del DNA”, la ricerca dell'immortalità fisica, la violenza generalizzata come regressione allo stato primitivo, sono tutte conseguenze della Morte di Dio. Cioè dell'esclusione della dialettica tra sacro e profano dal continuo processo di costruzione e ordinamento socio-culturali. L'Età della Ragione assegna alle Chiese il compito di ammaestrare il rigurgito metafisico delle masse, ma esclude Dio dalle decisioni politiche, sociali, economiche (si pensi, ad esempio, alla grande importanza che nel mondo antico rivestivano la divinazione e gli oracoli, ndr). L'Età dei Lumi elegge la scienza a nuovo Dio. Ogni credenza nel magico e nel soprannaturale viene relegata nell'ambito della
superstizione. «Noi filosofi e spiriti liberi - scrive Nietzsche ne “La Gaia Scienza” - alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presentimento, d'attesa, - finalmente l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, - finalmente possiamo di nuovo scioglier le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell'uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così aperto». «Morti son tutti gli dèi: ora vogliamo che il superuomo viva», esclama Zarathustra. Nietzsche era ottimista. Sperava che la dimensione traumatica fosse solo un momento di passaggio in vista dell'avvento di un uomo nuovo: l' “oltreuomo” o “superuomo”, ovvero un nuovo modo di esistere dell'uomo, in base ad una trasformazione (transvalutazione) di tutti i precedenti valori morali: libero dall'illusione di verità eterne, di una vita ultraterrena, dell'uguaglianza tra gli uomini, libero dalla legge di Dio. Dal momento che non c'è più un Dio che dice all'uomo che cosa fare, l'uomo avrebbe raggiunto, con un balzo, più che con un'evoluzione graduale, un superamento dell'uomo, fino a diventare Dio egli stesso, facendosi creatore di nuovi valori. Ma come non ha potuto accorgersi Nietzsche che è proprio questo il senso della Rivelazione cristiana: Gesù porta la spada del Logos, rinnega la Legge, scaccia i Mercanti dal Tempio e proclama la venuta del figlio di Dio. È Gesù stesso ad annunciare la Morte di Dio e l'avvento di un Uomo Nuovo, terrestre, umano e divino al tempo stesso, alla cui forza, sapienza, generosità, umiltà, compassione, è affidato il compito di portare il Regno di Dio sulla Terra. “La religione è l'oppio dei popoli”. Dopo Nietzsche, un altro grande filosofo (ottimista), Karl Marx, ha proclamato l'avvento di un Uomo Nuovo: l' “Uomo Totale”, libero dalle costrizioni-alienazioni religiose ed economiche, che, attraverso il socialismo comunista, si pone come padrone del proprio destino. All' “uomo economico”, ossessionato dall’avere, Marx contrappone un oltreuomo che esercita in modo creativo le sue potenzialità: “Ciascuno secondo le sue capacità; a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Sulla scia di Nietzsche, Marx attacca la religione in quanto vede nella Morte di Dio la necessità per l'uomo, specie quello oppresso, di abbandonare le illusioni metafisiche e riappropriarsi della propria sovranità. “La critica della religione, dunque, è, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l'aureola. La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l'uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi. La critica della religione disinganna l'uomo affinché egli pensi, operi, dia forma alla sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si muova intorno a se stesso e, perciò, intorno al suo sole reale. La religione è soltanto il sole illusorio che si muove intorno all'uomo, fino a che questi non si muove intorno a se stesso. È dunque compito della storia, una volta scomparso l'al di la della verità, quello di ristabilire la verità dell'al di qua. E innanzi tutto è compito della filosofia, la quale sta al servizio della storia, una volta smascherata la figura sacra dell'auto-estraneazione umana,
smascherare l'auto-estraneazione nelle sue figure profane. La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica. La critica della religione approda alla teoria che l'uomo è per l'uomo l'essere supremo”. Marx, “Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico” Ne “La Terza Morte di Dio”, Andrè Glucksmann sostiene che in Europa, attualmente, si celebra la terza morte di Dio. Se la prima è quella narrata nei Vangeli ed avviene sulla Croce, la seconda è quella filosofica, inaugurata e gestita, sebbene attraverso diverse modalità e dunque differenti traiettorie, da Friedrich Nietzsche, Karl Marx e dai rispettivi discepoli o epigoni, la terza si materializza nella storia attraverso forme di nichilismo spirituale, etico, politico. Assistiamo, ai nostri giorni, agli effetti sul lungo termine della Morte di Dio e, contemporaneamente, del fallimento dell'utopia cristiana (di un mondo pacifico e non-violento), di quella comunista-socialista (di un mondo egalitario neo-primitivo), di quella “post-umana” invocata da Nietzsche (di un mondo governato da liberi spiriti). Assistiamo al trionfo del nichilismo, cioè alla negazione di tutti i valori, alla distruzione, all'annullamento. La Morte di Dio si sta compiendo oggi come Morte dell'Uomo, in quanto uccidendo Dio l'uomo ha ucciso la sua parte divina, in connessione con il trascendente. «Ciò che io racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può fare a meno di venire: l'avvento del nichilismo. Questa storia può già ora essere raccontata; perché la necessità stessa è qui all'opera. Questo futuro parla già per mille segni, questo destino si annunzia dappertutto; per questa musica del futuro tutte le orecchie sono già in ascolto. Tutta la nostra cultura europea si muove in una torturante tensione che cresce da decenni in decenni, come protesa verso una catastrofe: irrequieta, violenta, precipitosa; simile ad una corrente che vuole giungere alla fine, che non riflette più ed ha paura di riflettere». Nietzsche, “Wille zur Macht” - “La Volontà di Potenza” Più cresce il progresso della scienza e della tecnica, più l'uomo sprofonda nel nichilismo, regredisce ad uno stadio primitivo, animale, mostrandosi incapace di una vera convivenza civile.
Perché il progresso della tecnica invece di produrre un'epoca di pace ed armonia produce mostruosità come la bomba atomica? Perché racchiude in sé i germi del nichilismo. “Dal momento in cui la ragione divenne lo strumento del dominio esercitato dall’uomo sulla natura umana ed extraumana - il che equivale a dire: nel momento in cui nacque - essa fu frustrata nell’intenzione di scoprire la verità. Ciò è dovuto al fatto che essa ridusse la natura alla condizione di semplice oggetto e non seppe distinguere la traccia di se stessa in tale oggettivazione. […] Si potrebbe dire che la follia collettiva imperversante oggi, dai campi di concentramento alle manifestazioni apparentemente più innocue della cultura di massa, era già presente in germe nell’oggettivazione primitiva, nello sguardo con cui il primo uomo vide il mondo come una preda”. Horkheimer, “Eclissi della Ragione” La concezione scientistica di Bacone, di Newton, di Galileo e di Cartesio ha trovato nel ‘900 la sua realizzazione in forma di incubo, poiché, come mai prima d'allora, scienza e tecnologia, lungi dall'essere neutre (come le riteneva Marx) bensì pregne di ideologia, hanno dimostrato di non possedere alcuna forza emancipativa, ma, anzi, di essere per loro stessa natura repressive, in quanto esprimono una volontà di dominio. Esiste una malattia della ragione che è la volontà di potenza, cioè l'aspirazione a voler dominare la natura, ponendosi al di fuori di essa, o, peggio ancora, al di sopra. La ragione dovrebbe ricercare la libertà, la verità, la bellezza, invece agisce come strumento di morte. Husserl, ne “La Crisi delle Scienze Europee” (1936), vede la tecnica rivolgere alle cose uno sguardo distaccato, freddo, che tende ad “oggettivizzare” anche il soggetto che guarda, rendendo l'uomo “una cosa tra le cose”. Per Heidegger, la tecnica costituisce l'ultimo atto della metafisica: quando oramai il mondo, nella sua totalità, si identifica con ciò che può essere conosciuto, dominato ed utilizzato. Tale destino è nichilistico, ovvero si apre un'epoca dove “dell'essere non ne è più niente”. [...] rapporti di cose tra persone e rapporti sociali tra cose [...] dice Marx del “Feticismo della Merce”, del fatto cioè che il valore della merce, puramente economico, ha sostituito il valore d'uso, alienando il rapporto sociale (perché così si perseguono solo interessi privati). Una cosa ha valore non perché serve, ad es. per la sussistenza, ma solo se è scambiabile con altre cose, cioè se può essere acquistata sul mercato, se di essa esiste un equivalente in denaro. Gli altri significati della merce sono conseguenti a questo. “Il carattere mistico della merce [ovvero la sua natura 'sensibilmente soprasensibile']” dice Marx - “non deriva dal suo valore d'uso”. È il Dio Mercato che stabilisce se una cosa è utile o no, in base alla compravendita delle merci (la borsa), e in questo modo determina la socializzazione, sempre più mediata da merci, prive di valore d'uso, che finiscono per far accumulare immensi profitti e capitali a chi produce la merce che vende di più.
La società capitalista è dunque una società alienata e nichilista che non persegue il benessere collettivo ma solo interessi individuali, privati, che favoriscono il darwinismo sociale, la lotta tra classi, e alimentano una spirale di violenza infinita. (Pubblicato su Ecplanet 30-03-2008) Quel che resta di Dio Morte di Dio - Wikipedia Dio è morto - Wikipedia La terza morte di Dio Teoria marxiana del valore - Wikipedia STORIA DELLA MORTE DI DIO 3 STORIA DELLA MORTE DI DIO 4 NEUROTEOLOGIA BACCHANALIA THE FOUNTAIN The Jesus Myth La Violenza e il Sacro Apocalisse e Nolontà COSMOGENESIS 2 LA SOCIETA’ DELLO SPETTACOLO STORIA DEL DELITTO PERFETTO RIVOLUZIONE SESSUALE PORNO IMPERO Creazione Senza Dio Il secolo del gene MERCANTI DI IMMORTALITA' IMMORTAL AD VITAM L’UOMO MACCHINA
NATURA VS. CULTURA Il Regno Di Satana