Storia Della Prostituzione

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Gli antichi spiegavano la nascita e l'esistenza della prostituzione sacra con un racconto mitico che narra di una vendetta: al tempo in cui la Lidia viveva anni di pace e prosperità, nacque tra gli uomini l'idea di disonorare delle donne straniere. Tra esse c'era Onfale, futura regina delle Amazzoni. Costei non si perse d'animo e attaccò la Lidia col suo esercito, sconfiggendo la nazione. Per vendicarsi, costrinse le figlie dei Lidi a prostituirsi nel luogo stesso in cui questi avevano violentato le donne straniere (Ateneo: 50,13). Probabilmente, si tratta di una “spiegazione” artefatta ideata per andare incontro all'abito mentale dei greci dei tempi cosiddetti classici (di vero vi è sicuramente l'uso tra i fallocrati di disonorare le donne straniere, ndr). In realtà, la cerimonia ieropornica costituisce l'eco di più antichi rituali rigenerativi, in cui la donna-sacerdotessa era vista congiungersi anche con figure zoomorfiche, come nell'antica Creta, dove l'accoppiamento fra donne e minotauri non aveva nulla di sorprendente, si pensi a Pasifae (la sorella della maga Circe che concepì il Minotauro dopo l'accoppiamento con un toro, ndr). L'effettiva unione sessuale tra la donna e l'animale era puramente simbolica: essa si presentava nuda di fronte al toro e tutto finiva lì. Alla base della pratica rituale doveva esserci senz'altro un significato magico-religioso. Solo in seguito a bieche letture materialiste e pseudostoriche del simbolismo si potè assistere ad effettivi accoppiamenti, cosa che risulta storicamente dalle severe proibizioni che alcuni popoli antichi prevedevano nei confronti della zoofilia. “Non vi sia prostituta fra le figlie d'Israele, né vi sia prostituto tra i figli d'Israele. Non portare mercede di meretrice o prezzo di cinedo nella casa del Signore, tuo Dio, per alcun voto, perchè ambedue sono in abominio al Signore, tuo Dio” (Deuteronomio 23,18-19). Tra i Cananei della Palestina, la prostituzione sacra era un rito di fecondità indispensabile e correntemente praticata fuori degli stessi templi, nelle campagne per esempio, come pratica di supporto per la buona riuscita degli innesti delle piante da frutto. Solo con la formazione del popolo d'Israele la pratica venne proibita. Erodoto (Storie: 1,199), ci informa dettagliatamente su com'era, esteriormente, la prostituzione sacra a Babilonia: “D'altro canto, la più riprovevole delle abitudini che ci sono fra i Babilonesi è questa. È obbligo che ogni donna del paese, una volta durante la vita, postasi nel recinto sacro ad Afrodite, si unisca con uno straniero. Molte che disdegnano di andare mescolate alle altre, in quanto orgogliose della loro ricchezza, si fanno condurre al tempio da una pariglia su un carro coperto, e là se ne stanno, avendo dietro di sè numerosa servitù. Per lo più il rito si svolge così: se ne stanno le donne sedute nel sacro recinto di Afrodite con una corona di corda intorno al capo: sono in gran numero, perché mentre alcune sopraggiungono altre se ne vanno; tra le donne si aprono dei passaggi, delimitati da corde e rivolti in tutte le direzioni, per i quali si aggirano i forestieri e fanno la loro scelta. Quando una donna si asside in quel posto, non torna più a casa se prima un qualche straniero, dopo averle gettato del denaro sulle ginocchia, non si sia a lei congiunto all'interno del tempio. Nell'atto di gettare il denaro, egli deve pronunciare questa

frase: 'Invoco per te la dea Militta' ”. Militta o Mylitta è il nome che gli assiri-babilonesi davano ad Afrodite, equivalente greca di Ishtar-Astarte. A Babilonia, dunque, tutte le donne, ricche o povere, avevano il dovere, una volta nella loro vita, di sottoporsi all'abbraccio di uno straniero nel tempio di Mylitta e dedicare alla dea i denari guadagnati con la sacra prostituzione. Il “sacro recinto” era affollato dalle donne che attendevano di compiere il rito. A Eliopoli, o Baalbek, in Siria, famosa per i suoi giganteschi templi, ogni vergine doveva, secondo l'uso, prostituirsi a uno straniero nel tempio di Astarte (fu l'imperatore Costantino. convertito al Cattolicesimo, ad abolire il culto, distruggere il tempio e a costruire sulle sue rovine una chiesa). La quantità di denaro poteva variare. Non c'era da temere che la donna lo rifiutasse: non le era permesso, perché quel denaro diventava “sacro”: le ierodule seguivano il primo che glielo gettava e non rifiutavano nessuno. Dopo essersi data, fatto il sacrificio espiatorio alla dea, la ierodula se ne tornava a casa, e da quel momento nessuno poteva offrire mai tanto da poterla avere di nuovo. Le donne dotate di un bel viso e di una figura slanciata se ne tornavano presto. Quelle, invece, più brutte, rimanevano lungo tempo senza poter soddisfare la prescrizione di legge; alcune aspettavano anche tre o quattro anni. L'attesa di tre o quattro anni era dovuta al fatto che la "ieroporneia" avveniva solo in alcuni giorni dell'anno. A Biblo, al tempo dell'annuale lutto di Adone, la gente si rasava la testa e le donne che rifiutavano di sacrificare i loro capelli dovevano darsi a degli stranieri in un giorno determinato e il denaro che guadagnavano veniva consacrato alla dea. Una iscrizione greca trovata a Tralles, in Lidia, attesta che la pratica della prostituzione religiosa durò sino al secolo II della nostra era. In Armenia, le più nobili famiglie dedicavano le loro figlie al servizio della dea Anaitis nel suo tempio di Acilisena, dove le vergini, prima del matrimonio, si prostituivano per un lungo periodo. A Comana, nel Ponto, un gran numero di prostitute sacre rendeva i suoi servigi alla dea: uomini e donne accorrevano in folla da tutte le città vicine per assistere alle feste biennali nel santuario e sciogliere i loro voti alla dea. Nella Grecia continentale, la prostituzione sacra ebbe lunga vita nella città portuale di Corinto, grazie ai fitti scambi commerciali intrattenuti con le città del mediterraneo orientale, dove era accettata senza scandalo. Qui sopravvisse fino al 146 a.c., quando i Romani distrussero la città. Altri luoghi famosi furono Paphos, a Cipro, il monte Erice in Sicilia e Locri in Italia. A Corinto, a detta di Strabone, c'erano più di mille ierodule che ospitavano i pellegrini che dalla città e dal Peloponneso si recavano ad Atene. Il santuario di Afrodite era infatti situato sull'Acrocorinto, un'altura strategica per il passaggio dei traffici di terra. Per dare un'idea del buon nome e della notorietà di quel tempio, basti citare il fatto che il corinzio Xenofonte, vincitore delle olimpiadi del 464 a.c., donò al tempio cinquanta schiave per ringraziare Afrodite della vittoria. Pindaro, scrivendo la 5ª Olimpica, parla di Afrodite (e del suo tempio) come di colei “che permette alle giovani donne ospitali di far cogliere senza affanno sul loro amabile letto il frutto della loro tenera giovinezza”.

Anche in Sicilia, sul monte Erice, si esercitava la “porneusis sacra”; quegli stessi romani che, per motivi militari, avevano raso al suolo Corinto, rispettavano invece l'istituzione templare sacra a Venere Ericina. “In Grecia, la prostituzione rimase a lungo legata al sacro. Le prostitute che partecipavano ai culti erano venerate al pari delle dee. Contribuivano al rafforzamento delle credenze, al rispetto degli Dei, a volte anche alla prosperità delle città grazie ai doni che le venivano fatti” (Violaine Vanoyeke, “La Prostitution en Grèce et à Rame”, Paris 1990). Ad esse ci si rivolgeva con rispetto per avere delle preghiere e dei sacrifici in aiuto ad imprese politiche e militari, come in occasione delle guerre persiane contro il re Serse. Quando la battaglia arrise ai Greci, le ierodule di Corinto vennero onorate come dee; si eressero statue ed ex voto in loro onore, i loro nomi furono scolpiti in un'epigrafe posta nel tempio assieme a un'epigramma che gli dedicò il poeta Simonide. Più di duecento anni dopo la distruzione del tempio di Corinto, i cristiani eressero sul posto una chiesa. San Paolo, nella Lettera ai Corinzi, li rimprovera per averlo fatto su dei luoghi... infami. Sacerdotesse o semplici ierodule che fossero, le ministre di Afrodite erano rispettate in tutta la Grecia certamente di più di quanto non lo fossero le donne normali. Non c'era festa o cerimonia ove non fosse reclamata la loro presenza. Avevano posti riservati nei teatri assieme alle più alte cariche della magistratura. Ad Atene, le prostitute frequentavano assiduamente i sommi filosofi. Pare che Epicuro impartisse i suoi insegnamenti ad almeno sei “cortigiane”. Aristotele ebbe un figlio da una di queste, Erpillide. Il famoso libro di Aristotele “Etica Nicomachea”, così spesso commentato da arcigni quanto severi professori, era dedicato appunto a questo figlio: Nicomaco. Spesso, Socrate interrompeva volentieri i propri discorsi per andare a contemplare le grazie di Teodotea. Nei banchetti, i filosofi erano soliti circondarsi di queste cortigiane. Alle ierodule erano in particolar modo consacrate le feste Afrodisie e le Adonie. A Roma, le Floralia, e una delle due Vinalia, feste orgiastiche cui concorrevano le ierodule con la nudità rituale, retaggio degli antichi riti agrari a sfondo magico-sessuale. “La prostituzione non è in questo caso che un mezzo per favorire la fecondità. Con l'eccitazione sessuale, si stimola la fertilità generale” (Cit. supra).

Le prostitute sacre ormai esercitavano la “porneia” allo scopo di mettere da parte la dote necessaria per sposarsi. La “porneusis”, come anche veniva chiamata, era conosciuta pure per la sua virtualità pre-pro-nuziale. Strabone (Geografia: 11,14,16) riferisce di un tempio in cui si consacravano non solo ragazzi e ragazze di condizione servile ma anche le figlie vergini dei cittadini più abbienti e rispettabili. Giunto il momento del matrimonio, nessun uomo considerava sconveniente la possibilità di maritarsi con una di loro... (pubblicato su Ecplanet 28-01-2006) Negli antichi miti non vi è traccia di pornografia, perché essa è una invenzione della modernità. Nei miti, gli organi sessuali sono simboli del potere creativo-distruttivo, sacro e inviolabile, di Eros e Venere, veicoli di energie che mettono l'uomo in comunicazione diretta con Dio. Di fronte a immagini di pornografia, un cavaliere Jedi, così come un cavaliere arturiano, non avrebbe esitazioni a mostrare il suo orrore e il suo sdegno, a sguainare la spada, e fare a pezzi il pornografo di turno. La pornografia, come la prostituzione che rappresenta, è agli antipodi rispetto gli ideali di bellezza, nobiltà e armonia che persegue il cavaliere, per cui la donna è oggetto sacro di devozione e amore eterni, e l'uomo rappresenta un simbolo sì di virilità, ma anche e soprattutto di rispetto e dignità. Un cavaliere è pronto a dare la sua vita per difendere la propria amata, che, in cambio, gli promette fedeltà e si dedica al suo ruolo di madre e amante. Nel caso di donne-guerriere, queste aderiscono ugualmente allo stesso codice cavalleresco, e combattono a fianco dei cavalieri. Quando Lancillotto, innamoratosi perdutamente di Ginevra, sposa di Artù, consuma il tradimento, è consapevole di cosa stà facendo, è pronto ad assumersi la piena responsabilità, e abbandona la Tavola Rotonda. Tornerà solo quando il dovere lo chiamerà, a dare manforte in battaglia agli altri cavalieri. Morirà da eroe, espiando la sua colpa, con la benedizione e il perdono di suo fratello Artù. IEROPORNIA “È caduta, è caduta Babilonia la grande ed è diventata covo di demoni, carcere di ogni spirito immondo, carcere d'ogni uccello impuro e aborrito e carcere di ogni bestia immonda e aborrita. Perché tutte le nazioni hanno bevuto del vino della sua sfrenata prostituzione, i re della terra si sono prostituiti con essa e i mercanti della terra si sono arricchiti del suo lusso sfrenato”. Quand'è che l'adorazione universalmente diffusa e riconosciuta della Grande Madre - Signora della natura selvaggia e protettrice della fecondità,

depositaria di ogni seme e forza vitale - si trasformò in culto della prostituzione? Fu a Babilonia, nello splendore della moderna civiltà mercantile, patriarcale, feticista e fallocentrica, che la dea fenicia Astarte (chiamata Tanit a Cartagine), dea della fecondità e della voluttà, si trasformò in Ashtoreth, l' “indecente” (nella Bibbia le viene dato questo titolo dagli israeliti per le sue selvagge energie sessuali e per il “concepire senza dare figli ai suoi amanti”). Presso i sumeri, Astarte era adorata con il nome Inanna (“Regina del Cielo”). Quando i semitici accadi, guidati da Sargon il Grande, conquistarono tutta la Mesopotamia, le culture sumeriche ed accadiche si fusero, dando origine alla cultura babilonese. A questo punto, la dea Inanna assunse il nome Isthar. Come tale, ella raggiunse tutte le aree limitrofe, sino a raggiungere le coste più orientali del mediterraneo: qui assunse il nome di Astarte (o Ashtart). È provato che i cananei di Palestina (i fenici erano ritenuti i cananei del nord) adoravano una divinità praticamente identica alla Astarte/Isthar dei fenici: Asherat, la “Paredra di Yahweh”: il nome derivava dal palo sacro “asher” che le era dedicato, usanza testimoniata dalla stessa Bibbia, dove si dice che re Salomone fece costruire un tempio dedicato ad Asherat e a Moloch. Oltre al tempio, Salomone fece innalzare anche l' asher (palo sacro), davanti al tempio: un simbolo fallico, dal momento che la stessa divinità era considerata la dea della fertilità. (Nota: nella Bibbia è riportato che Salomone “derogò” dalle Legge dei padri innalzando templi alle divinità dei cananei e degli ammoniti, “giustificando” tutto ciò con il fatto che, Salomone aveva sposato molte donne, tra cui cananee ed ammonite: fu per questo che Salomone decise di innalzare tali templi “pagani”: nella fattispecie ad Asherat ed a Moloch. Tutto ciò non deve meravigliare dato che il culto ebraico, in origine, non era ancora strettamente monoteistico. Moloch (a cui non solo Salomone e Saul sacrificarono, ma anche altri re della tradizione biblica) non era altro che uno dei tanti attributi (signore, padrone, re) dello stesso dio adorato dagli ebrei, vale a dire Yahweh. Tanto gli Ammoniti, tanto i Beniamiti, tanto i Moabiti, tanto gli Ebrei adoravano lo stesso dio, seppur in forme diverse. Si trattava del dio Amon che il sommo sacerdote Mosè, insieme ad altri sacerdoti della stessa casta sacerdotale, aveva “esportato” in Palestina nel XIV secolo a.c., dopo aver abbandonato l'Egitto a causa delle persecuzioni scatenate dal faraone Akhenaton, adoratore del dio solare Aton, contro i sacerdoti del culto di Amon. Sappiamo che Yahweh non è il nome del dio degli ebrei, essendo tale parola formata dalla “vocalizzazione” del tetragramma YHWH, il quale altro non era se non l'acronimo che sottindeva le seguenti parole ebraiche: “Yo He Wa He”, il cui significato era: “Io Sono Colui Che È”. Ma anche Amon, in Egitto, era indicato da un trigramma: “NPN”, acronimo che sottende la frase “Nuk Pu Nuk”, il cui significato è: “Io Sono chi Sono”).

Il palo “sacro” veniva eretto sia in prossimità del tempio dedicato ad Asherat, sia nei luoghi aperti e, soprattutto, sulle verdi colline, gli “alti luoghi” biblici su cui sorgevano i templi di Astarte-Asherat, ove si praticava la “ieropornia”, la prostituzione “sacra” (sia delle sacerdotesse che dei sacerdoti eunuchi). Uno di questi luoghi fu la Foresta del Libano, dove fu eretto un tempio, sulla cima del Monte Libano, preposto alle pratiche ieroporniche delle hierodules (prostitute sacre). Ma come si è potuti giungere a far diventare sacra l'antitesi stessa della sacralità ? Erodoto narra che: “in tempi passati la prostituta era una sacerdotessa dedicata agli dei e dandosi a qualcuno essa compiva un atto di adorazione. Era trattata con rispetto e gli uomini nell'usare di lei la onoravano”. Presso i babilonesi era legge “che almeno una volta nella vita le donne dovessero recarsi al tempio di Ishtar e lì concedersi allo straniero che, scegliendole tra le altre, gettava loro delle monete”. In questi due passaggi Erodoto ci informa del sopravvenuto cambio di paradigma teologico e fallocratico: la Grande Madre, ridotta a Dea della Prostituzione, è stata asservita al volere-potere del Dio Maschio, Unico e Supremo: il Dio Denaro o Dio della Distruzione, che esige sacrifici umani, prostituzione e depravazione. (pubblicato su Ecplanet 21-03-2006)

LE 120 GIORNATE DI SODOMA Un particolare tipo di prostituzione sacra, il cui ricordo stesso si è quasi estinto, era la sodomia rituale degli uomini, che secondo il racconto mitico si esercitava a Sicione, nel Peloponneso. Qui erano gli uomini a prostituirsi. Pare che quest'uso fosse stato istituito da Dioniso: determinato a trar fuori dall'Ade sua madre Semele, dopo che era stata combusta dalla folgore di Zeus, Dioniso vagava alla ricerca di un ingresso al regno degli inferi; giunto nei pressi della palude di Lerna, incontrò un certo Prosimno, a cui chiese come trovarlo. Costui gli indicò le profondità del lago Alcionio ma, in cambio, pretese di consumare col dio un atto contro natura. Tornato dall'Ade, Dioniso si accinse a tener fede alla promessa ma, nel frattempo, Prosimno era morto. Deciso ad adempiere all'obbligo contratto, anche se in memoriam, il figlio di Zeus piantò sul tumulo di Prosimno un nodoso ramo

di fico, dopo averlo intarsiato a mò di fallo e, incredibile dictu, ci si sedette sopra acciocchè l'ombra del defunto godesse di lui. In quel luogo, in seguito, si andarono a prostituire numerosi Greci che accordavano alla sodomia un valore religioso e ne facevano il simbolo di una virilità trascendente. Lo conferma il testo di un'iscrizione ritrovata in un tempio di Apollo: “Crimone ringrazia gli dei per aver sodomizzato Bathycle, cogliendone così la sua purezza”. (Nota: vi è inoltre il caso del famoso “Hieros Lokhos”, il “battaglione sacro” dell'esercito tebano, corpo assai temuto, capace di sconfiggere perfino gli spartani, costituito da amanti omosessuali che tramite i loro rapporti sessuali si scambiavano coraggio e valore. Roberto Calasso ne ha adombrato il significato nel libro “Le Nozze di Cadmo e Armonia”). IL CULTO DELLA VENERE ERICINA Erice non sarebbe il luogo affascinante che è se non fosse anche per quel velo di magia che, compagna della nebbia, è stata trasmessa dal mito attraverso i secoli. Immutabile resta l'atmosfera incantata che ha fatto innamorare del posto poeti e viaggiatori, forse anch'essi sedotti dall'aleggiare dell'ammaliante dea sulla vetta della montagna sacra. Secondo la leggenda, la città di Erice sarebbe stata fondata da Eryx, figlio di Afrodite e del re Butes. Qui, in onore della madre, divenuta regina dell'isola di Licasta, egli avrebbe fatto erigere il celebre santuario della Venere Ericina. Durante un'impari sfida a pugilato con Eracle, figlio di Giove, Eryx morì dando seguito alla profezia dell'oracolo di Delfi che affermava che Erice, in quanto conquistata da Eracle, sarebbe appartenuta agli Eraclidi. Secondo Virgilio, invece, sarebbe stato Enea a far erigere sulla vetta del monte il tempio dedicato alla dea. Fatto sta che, sulla rupe cilindrica dai fianchi scoscesi ed inaccessibili, sull'area che oggi è occupata dal castello normanno, sorse il famosissimo tempio di Venere. citato anche da Strabone (il Castello di Venere), pieno di schiave che i Siciliani e gli stranieri offrono alla dea dopo aver fatto un voto. Il culto fu iniziato dai Sicani i quali elevarono una piccola ara, scoperta al cielo, nel centro del “Thèmenos”, ossia il recinto sacro alla dea (dove avveniva il rito della ieropornia). Successivamente, gli Elimi e i Fenicio-Cartaginesi accrebbero la fama del santuario, che divenne noto tra tutti i popoli del Mediterraneo. I Punici, che identificarono nella dea la loro Astarte, introdussero usanze tipicamente orientali come la prostituzione sacra, il mantenimento delle schiere di colombe e tutta la complessa figurazione simbolica dei culti orientali. Durante gli anni, gli abitanti fortificarono il sito fino a rendere pressoché

inespugnabile il territorio e grazie alla mano dell'uomo e alla natura, il santuario acquistò importanza militare e religiosa per tutto il Mediterraneo; il suo patrimonio si arricchì soprattutto grazie ai fedeli che recavano in omaggio i più svariati doni: oro, vasellame, statue. Il monte divenne la meta di tutti i marinai e dalla sua vetta era possibile veder sfavillare il fuoco acceso dalle ieròdule, le sacerdotesse votate alla dea, fuoco che indicava ai naviganti la vicinanza della costa siciliana. Essi appena giunti salivano sulla vetta per rendere omaggio alla divinità adorata e partecipare alle feste celebrate in suo onore, che attiravano grandi folle di ogni lingua e di ogni razza. Come l'ariete, simbolo della fecondità, la colomba era sacra a Venere. Attorno alle mura del santuario svolazzavano tutto l'anno grandi schiere di colombe bianche e solo verso la metà del mese di agosto esse si allontanavano ed avevano allora inizio le feste in onore di Venere, le Anagogie, che segnavano la fine dell'anno rituale. Durante il periodo di assenza delle colombe, il tempio veniva ornato in attesa del loro ritorno che avveniva puntualmente dopo nove giorni. Esse, guidate da una loro simile dalle penne rosse (Venere), si posavano sulle mura del tempio ed allora cominciavano con grande solennità i riti delle feste Katagogìe. Dopo le guerre puniche, la pax romana assegnò a protezione della fortezza e del rituale ieropornico un corpo di duecento legionari, i “Venerei”, che diciassette città siciliane ebbero l'onore e l'onere di mantenere. Negli anni che seguirono, il tempio conobbe il suo massimo splendore, la città fu meta di magistrati ed altre personalità che giungendovi non trascuravano di recare omaggio alla dea: lo stesso Verre, propretore in Sicilia nel I sec., offrì a Venere Ericina una statua argentea di Cupido che, sembra, fosse stata rubata. La cura del tempio spettò al questore di Lilibeo che aveva l'obbligo di risiedere ad Erice per buona parte dell'anno. Nell'anno 75 a.C. fu Cicerone a tenere la questura di Lilibeo e questo periodo fu particolarmente fiorente per la città e per il tempio. Durante gli scavi del 1932, sotto il castello sarebbero state ritrovate tracce di un camminamento e di una scala sotterranea. Venne scoperto anche un tratto di pavimento in mosaico oggi ormai scomparso. Sembra, inoltre, che il tempio di Venere fosse di modeste proporzioni e che fosse ubicato da oriente ad occidente. Ancora visibile oggi rimane il cosiddetto “pozzo di Venere” dove, secondo il mito, le belle sacerdotesse si immergevano prima e dopo il sacro rito... (Pubblicato su Ecplanet 13 settembre 2006)

Moloch (divinità) - Wikipedia ieraporneusis - Ιερά Πόρνευσις Ieropornìa

Prostituzione sacra - Wikipedia Erycina venus Venus (mythology) - Wikipedia SCHIAVE DEL SESSO CULTURA DELLO STUPRO STUPRI DI GUERRA ABUSO RAPPORTO PEDOFILIA PORN FOR THE MASSES PORNO IMPERO IL PORNO IMPERO COLPISCE ANCORA PORNOCULTURA RIVOLUZIONE SESSUALE

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