Rivoltella 2003 Parte 1

  • December 2019
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  • Words: 2,035
  • Pages: 5
Si può guardare ad ogni tentativo di comprendere il cyberspazio e la cybercultura come a delle storie che noi raccontiamo a proposito di questi fenomeni. (DAVIDBELL)

Un dato di ricerca: rappresentazione vs uso «(Beh, io prima, ce, poi quando

vedere che ti metti ((Forse danno provarlo

vedendo

l'ho preso

sui giornali

ho capito

lì, schiacci

cosa...

un 'idea sempliin Tv te lo fanno

e vai».

un'immagine

iniziale

ma per capirlo

fino

in fondo

devi

tu stessa».

Si tratta di passaggi delle interviste seconda

e in Tv mi ero fatto

che è un'altra

di 15.

preadolescenti

Sono

stralciati

(Rivoltella,

di due ragazzi,

da una ricerca

2001b)1

che cercava

il primo

sul rapporto di profilare

di 16 anni, la

tra Internet

e i

su un campione

La ricerca è stata condotta su un campione di ragazzi di età compresa tra gli II e i 17 anni (corrispondente, nella tradizione di scuola del mondo francofono, alla frequenza del Lycee) da un'equipe internazionale di cui facevano parte, oltre all'ltalia, il Canada (l'idea della ricerca nasce nelle università di Montreal e Sherbrooke), la Francia, il Belgio, la Svizzera, la Spagna e il Portogallo. Tutta la documentazione (strumenti metodologici, dati grezzi, trascrizioni delle interviste) è consultabile in Internet, URL: httR:/ /ceRad.unicatt.it/ragazziweb/. Una sintetica presentazione dell'impianto e dei risultati è fornita, sempre in Internet, all'URL: htt : www.form r .rickson.it archivio iugno/lstoria.html eh www.formare. ric n.it r hivi iu n 2risultati.html.

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COSTRU7TlVISMO E PRAGMATlCA DELLA COMUNICAZIONE ON L/NE

decisamente qualitativ02 le modalità attraverso le quali i preadolescenti rappresentano, usano e si appropriano della Rete. Questi ragazzi hanno risposto a una delle domande che il ricercatore ha posto loro nel contesto di una intervista in profondità (la ricerca la prevedeva come seconda fase dopo che in una prima fase all'intero campione era stato somministrato un questionario). La domanda era: «II modo in cui i giornali e gli altri media parlano di Internet ne facilita la comprensione?». La risposta è molto interessante, perche prefigura un dato che poi sarebbe stato ampiamente confermato da altri punti della ricerca e cioè che tra l'uso reale e le rappresentazioni circolanti della Rete c'è una consistente differenza. I ragazzi sottolineano soprattutto due aspetti: lo scarto tra es erienza diretta e mediata, tra quello che la Rete è e quello che si p n Issa a CIOc e se ne dice «
2 438 unità in tutto, cui si devono aggiungere le 148 del campione di controllo.

MITOLOGIEDELLARETE

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emerso, invece, dalle risposte di chi, non facendone un uso significativo, affida le sue rappresentazioni più all'immaginazione che alla pratica in contesto. Questo rovesciamento viene confermato dall'attendibilità che i ragazzi riconoscono alle informazioni reperite in Internet {i161 % le ritiene attendibili, solo il 17% avanza dei dubbi, gli altri non rispondono). Le interviste ad alcuni di loro consentono di capire meglio questo tipo di risposta: l/Devono essere giuste, come ad esempio il libro delle ricerche di storia. .. non te le danno sbagliate... altrimenti te ne accorgeresti»; I/Perche comunque sono basate su fonti vere e comunque non penso che sia una cosa non vera. ..che siano stati lì a scrivere tutte quelle cose. ..mi fido abbastanza». La fiducia è fondata su argomentazioni molto deboli, riconducibili in sostanza a quello che gli studiosi di comunicazioni di massa chiamano effetto di autorità {«Se 1'ha detto il telegiornale "deve" essere vero») e ~ una concezione molto tradizionale della pubblicazione, per cui nel momento in CUIconsenti ao altn 01O'1~~~~I~4uellu cIle pen:;l, lIIlirre-cn:nprincipio non dovresti dire cose non vere. Una visione abbastanza ingenua, sostanziata dal senso comune, bilanciata da chi, utilizzatore frequente, solleva eccezioni: «In generale, sì, possiamo fidarci. Per esempio, dei siti famosi, io mi fido delle informazioni che trovo. Però ci sono dei siti, dei sottositi, che sono fatti praticamente in casa e di cui è meglio non fidarsi». Qui il criterio è un altro. Il ragazzo coglie perfettamente il significato assolutamente particolare della pubblicazione sul Web rispetto alla pubblicazione nel mercato editoriale cartaceo. In Internet chiunque è editore: basta salvare un documento in formato html e appenderlo in un sito attraverso un programma di ftp. Non vi è nessun tipo di controllo su ciò che viene pubblicato: in questo caso 10 statuto di autore non viene riconosciuto dall'industria libraria, ma rivendicato direttamente da chiunque possegga una homepage nel Web. Ora, è vero che il mercato ragiona in termini di copie vendute e non di qualità e quindi spesso consacra come autore chi vende di più, ma sicuramente istituisce uno spazio pubblic03 e vincola I' accesso a questo spazio attraverso una forma di controllo

3 Senza entrare nel merito di una questione molto complessa, è sufficiente sottolineare che si fa riferimento a un significato del termine in cui «pubblico" significa «aperto", «accessibile a tutti". Ciò che è pubblico in questo senso è ciò che è visibile o osservabile, ciò che si esegue alla presenza di spettatori, ciò di cui tutti o molti possono venire a conoscenza o vedere in prima persona. [ ...J Un atto pubblico è un atto visibile, eseguito apertamente in modo che tutti lo possano vedere; viceversa, un atto privato è invisibile, un atto eseguito in segretezza e a porte chiuse" (rhompson, 1995, pp. 173-174). Sul concetto di spazio pubblico si possono vedere Habermas (1962) e Bobbio (1985).

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COSTRUTT/VISMO E PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE ON L/NE

(curriculum di chi scrive, vaglio di un comitato redazionale, giudizio di un collegio di referees, ecc.). Proprio questo controllo viene «aggirato» in Internet ponendo il problema dell'autorevolezza dell'autore: la visibilità, cioè la possibilità di apparire con le proprie produzioni nello spazio pubblico, non è più garanzia oggi di questa autorevolezza. Ma solo gli utilizzatori 10possono comprendere: per gli altri Internet è come la televisione; in quanto spazio pubblico deve in qualche modo recare in se qualche garanzia di autorevolezza per i suoi materiali. Quest'idea di facile accessibilità alimenta una delle rappresentazioni più consistenti della Rete in cui il campione ha dimostrato di riconoscersi: quella che pone l'equazione tra Internet e la democrazia. Qualche battuta tratta dalle interviste consente di comprenderlo: I/È un mondo aperto a tutti». l/Tutti sono in Internet,

non esistono ricchi e poveri»,

Si tratta di un tema noto. Lo si può far risalire alla presidenza Clinton e in particolare alla vicepresidenza Gore negli Stati Uniti. Fu, infatti, proprio AI Gore a lanciare il programma della cablatura totale del mondo come garanzia di sviluppo e civiltà per tutti: le autostrade informatiche, in questo tipo di visione, divenivano allo stesso tempo un agente di globalizzazione (tutto circola dappertutto) e un fattore di accesso ai servizi e alle informazioni (tutto è disponibile per tutti). Contemporaneamente all'affermarsi di questo tipo di lettura ha iniziato a essere sostenuta anche l'ipotesi contraria, quella del digital divide: Internet non garantirebbe un accesso a chiunque agendo da fattore di integrazione e perequazione, al contrario favorirebbe la riproduzione del gap sociale e culturale tra i ricchi e i poveri, dal momento che per accedere alla Rete occorre avere una connessione e poterla sostenere dal punto di vista finanziario (economical divide) e disporre di un capitale culturale sufficiente, fatto di competenze alfabetiche e di socializzazione tecnologica (knowledge divide). Un aspetto, questo, perfettamente colto da un ragazzo di 14 anni che di Internet dice: I/È un modo per comunicare con tutto il mondo destinato però a pochi. Può essere paragonato a un giornale di informazione globale che solo i pochi abbonati possono leggere». Come si può intuire, i ragazzi della ricerca riproducono nelle loro affermazioni la stessa dialettica che a livello di politica internazionale si può cogliere tra gli entusiasti del mercato e della globalizzazione e i no global. Si trova conferma di questo dispositivo anche nelle affermazioni relative all'altra rappresentazione condivisa della Rete, quella che la rende oggetto di un'attesa quasi messianica: Internet «è la strada che ci guida per la nostra vita» dice una ragazzina di 14 anni; «È un viaggio nel futuro» ribadisce una dodicenne; «Penso che Internet sia il futuro)

MITOLOGIE DELLA RETE

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conferma un ragazzo di 13 anni. II tema, in questo caso, non è più quello dell'accesso e della democratizzazione, ma quello di una tecnologia in grado di agire in termini salvifici sulla nostra società. Attorno a Internet si organizza, in sostanza, un nuovo culto i cui precetti sono la necessità di separarsi per entrare in comunione e l'importanza del comunicare. Seguendo le acute analisi di Breton (2001), su cui torneremo ampiamente, si possono trovare per questa nuova forma di religiosità mediatica dei padri fondatori (da Saint-Simon a Wiener), dei profeti (come Nick Negroponte, Bili Gates o Pierre Levy) e un'utopia fondatrice: quella di una società completamente trasparente che proprio attraverso questa trasparenza e I' eliminazione del contatto fisico riesce a risolvere il problema della violenza, garantendosi la sopravvivenza. AI tema dell'autostrada verso la democrazia risponde quello della strada verso il domani, allo sguardo orizzontale e laico di un'utopia immanente, quello verticale e intriso di religiosità New Age di un'utopia quasi-trascendente. .Evidentemente non è plausibile che un preadolescente abbia letto il discorso di AI Gore al G7 di Bruxelles del 1995, o che conosca Levy e Negroponte. L'allineamento dei temi (e dei toni), quindi, deve trovare giustificazione altrove. L 'ipotesi che avanziamo è che i media -soprattutto la carta stampata e la televisione -agiscano da mediatori di queste rappresentazioni, favorendone la circolazione e I'appropriazione sociale. Alla domanda: «II modo in cui i giornali e gli altri media parlano di Internet ne facilita la comprensione?», i ragazzi del campione replicano secondo due tipologie di risposta: l/Secondo me no, perche ne parlano però non spiegano come si usa e cosa si può trovare oltre determinate cose... e quando poi vai a vedere, c'è qualcosa di più di quel che dicono» (1); l/Fa capire bene... specialmente

il telegiornale» (2)

La risposta di tipo (1) è quella propria degli utilizzatori regolari, quella di tipo (2) di chi non ha mai utilizzato Internet o l'ha solo vista usare qualche volta da qualcuno. Ancora una volta l'esperienza diretta si contrappone all'esperienza mediata, la rappresentazione è smentita dall'uso. Come dire che è molto facile che la rappresentazione di chi non ha esperienza diretta del mezzo venga mediata (dai media, come dai discorsi della società scientifica o della società adulta), mentre tale mediazione può essere proficuamente messa alla prova dei fatti dagli utilizzatori abituali. Se le cose stessero in questi termini il problema sarebbe tutto sommato di lieve entità: sarebbe sufficiente promuovere l'uso di Internet o aspettare che la sua penetrazione sociale faccia il suo corso per vedere lentamente scomparire le sue rappresentazioni discorsivizzate dai media in favore di quelle più «reali»promosse

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