di Wilma Massucco
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ato a Palermo nel 1963, Pippo Pollina esordisce come giornalista nel mensile I siciliani, rivista dissacratoria e innovativa, caratterizzata dalle sue coraggiose indagini su mafia e politica. Quando il direttore della testata, Giuseppe Fava, viene assassinato, Pippo lascia l’Italia: doveva essere un breve soggiorno all’estero, e invece, dopo 23 anni, non è ancora rientrato in patria. All’inizio, per sbarcare il lunario, suona per strada i propri pezzi in giro per l’Europa, finché - all’uscita da un centro commerciale non viene notato da Linard Bardill, celebre cantautore svizzero, che lo invita a partecipare alla sua tournée: 50 concerti insieme. Avviene così il passaggio dalla strada al palco. Da allora Pippo si esibisce da solo e collabora anche al fianco di personaggi internazionali quali Tracy Chapman, Van Morrison, Konstatin Wecker, Georges Moustaki, Franco Battiato e altri. Venuto a conoscenza della sua vicenda artistica e umana, Leoluca Orlando lo invita a realizzare un concerto a Palermo e Nando Dalla Chiesa dedica un intero capitolo del suo libro Storie eretiche di cittadini per bene alla sua figura. È inoltre attore protagonista nel film Ricordare Anna, che ottiene la nomination come miglior film svizzero. Fino a oggi ha inciso dodici cd (in italiano); oggi torna nei negozi con Caffè Caflish, il nuovo disco, e con un libro autobiografico. Intimista e sensibilizzatore delle coscienze, è stato pluri-premiato dalla critica internazionale, e mediamente tiene un concerto ogni tre giorni. Eppure in patria Pippo Pollina è quasi sconosciuto: perché? «Ho scelto di vivere all’estero - dice - e di conseguenza ho poca presenza in questo paese. In Italia si vive di contatti, anche proprio fisici: devi farti conoscere, frequentare salotti, devi essere amico dell’amico, anche nel contesto di quelle rassegne delle canzoni d’autore che invece dovrebbero essere scevre da certi ragionamenti. Devi essere disposto a fare tanti compromessi, cosa che io non sono mai stato disposto a fare». In Europa funziona diversamente? All’estero, nel 98% dei casi, funziona così: il direttore di un teatro riceve il materiale dagli artisti che vogliono esibirsi, e decide, da solo o in commissione, sulla base del gusto e della qualità, di fare o di non fare un certo spettacolo. Non perché conosce questo o quello. Io per esempio quando ho iniziato a suonare ero totalmente sconosciuto. Eppure inviavo il mio materiale, i teatri che lo ricevevano lo ascoltavano, mi rinviavano indietro il materiale e mi dicevano, ’Ci è piaciuto, le diamo la data’ oppure,’Non ci è piaciuto, ci dispiace’. Valutavano il materiale, e nient’altro.
ippo Pollina
esordisce artisticamente nel 1979 a Palermo, città dove nasce e si forma, frequentando la facoltà di giurisprudenza e l'accademia musicale «Amici della musica». In quegli anni fa parte degli Agricantus, gruppo di ricerca popolare in primo luogo legata alle tradizioni dell'America latina e conseguentemente a quelle siciliane e più in generale del sud-italia. Formativa e importante per il personaggio è anche la collaborazione giornalistica con il mensile I siciliani, periodico diretto dallo scrittore Giuseppe Fava che per le sue indagini su mafia e politica viene assassinato a Catania nel 1984. Un anno dopo, Pollina - che nel frattempo ha interrotto i suoi studi - lascia l'Italia. Viaggerà per due anni senza meta in quasi tutti i paesi europei. Tutto ciò suonando in strada, nei metrò, nei ristoranti. Notato per caso da Linard Bardill, cantautore svizzero-tedesco, Pollina viene invitato dallo stesso a partecipare a un progetto discografico e concertistico nel 1987 in lingua ladina. A questo punto Pollina incide il suo primo album solisitico intitolato Aspettando che sia mattino e con l'etichetta svizzera Zytglogge inaugura una stagione artistica che lo vede presente ininterrottamente nel panorama elvetico dall'inizio del 1988.
In grande Pippo Pollina. Qui sotto con il chitarrista Jean Pierre Von Dach (foto Wilma Massucco)
non lo apprezza bene. Manca l’effetto curiosità. Hanno drogato il sistema, e da questo sono penalizzati anche i grandi artisti. Il pubblico dice,’Perché devo pagare 20 euro per vedere i Nomadi, se i Nomadi suonano gratis tutta l’estate, in tutte le piazze d’Italia?’. Qualcosa sul tuo nuovo disco, «Caffè Caflish - Storie di amanti e migranti»? È un disco scritto a quattro mani con Linard Bardill, un mio caro amico nonché grande cantautore, molto conosciuto in Svizzera, con il quale andremo in tournée un po’ in tutta Europa (4 date anche in Italia). Il disco è scritto per metà in italiano e per metà in tedesco. Tematizziamo le migrazioni dei popoli nella storia, constatando come la migrazione sia una necessità di ogni popolo. Per esempio gli svizzeri, oggi paese ricco per antonomasia, a fine Ottocento e primi del Novecento sono migrati un po’ dappertutto, perché non avevano lavoro. Lo stesso motivo per cui gli italiani emigrarono negli anni ’50 e ’60 e oggi migrano le popolazioni dei paesi asiatici e africani. L’Italia, in passato paese di emigrazione per antonomasia, è diventato oggi un paese di immigrazione, ma di fronte a questa trasformazione gli italiani sono un po’ spiazzati. Crescono intolleranze e razzismi, e si sviluppano politiche veramente reazionarie e discriminatorie. Non hanno ancora capito che il loro ruolo storico è cambiato. Forse cambierà di nuovo. È un ciclo che bisogna compiere, e l’Italia è ancora giovane da questo punto di vista: diversamente dalla Francia o dall’Inghilter-
Come mai il sistema musica in Italia è così diverso da quello in Europa? In Italia, musicalmente (e non solo) lavora chi è rappresentato da un manager che ha dei contatti politici, che conosce un certo assessore piuttosto che un altro; inoltre, gli spettacoli vengono spesso offerti gratis nelle piazze d’estate, di modo che la cittadinanza possa apprezzare l’operato dell’assessore di turno (oltre a intascarsi magari, quest’ultimo, una bustarella). Offrire gli spettacoli gratis è sbagliato, perché questo svalorizza la musica e fa credere alla gente che la musica sia gratis. Io, per avere il pane, vado dal panettiere e pago, e anche il caffè lo pago. Succede così che la gente non sia più disposta ad andare a teatro, pagando un biglietto per un artista, soprattutto se non lo conosce e
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ra, ad esempio, dove gli uomini di altre etnie sono già pienamente integrati. Tu canti all’estero, in italiano, e i tuoi sono testi impegnati. Non ti turba il fatto di cantare in una lingua che potrebbe non essere compresa da chi ti ascolta? Ai miei concerti introduco sempre la canzone che sto per cantare, spiegandone il contenuto, e la introduco nella lingua di quel paese (parlo cinque lingue). Comunque, a prescindere da questo, sono convinto che la musica sia un meta-linguaggio, cioè una lingua a sé, e come tale non necessiti davvero di «comprensione logica». Viaggia a un livello di comunicazione superiore, che è legata alla pancia, al cuore e al cervello. Poi è chiaro che, andando in profondità, se capisci anche il testo, è meglio. Ma non è strettamente necessario. Questa è la grandezza della musica, posso entrare in contatto con tutto il mondo. Con la letteratura no, perché se non conosci la lingua con cui scrivi non puoi comprendere, e neppure con la poesia o con il teatro. Con la musica sì. Per diverso tempo hai suonato per strada, chiedendo l’elemosina… Com’è avvenuto il passaggio dalla strada al palco? Non mi ha mai turbato chiedere l’elemosina suonando per strada: la trovavo una forma di libertà; anche nei confronti del passante che, se voleva, si fermava e dava un obolo, altrimenti no. È proprio in uno di questi contesti che ho incontrato
Leonard Bardill, famoso cantautore svizzero che però allora io non conoscevo minimamente. Stavo cantando Eskimo di Guccini davanti a un grande magazzino e lui, uscendo con le borse della spesa, mi ha notato, anche perché aveva comprato un disco di Guccini pochi giorni prima. Si è fermato un po’ a parlare con me e poi mi ha invitato a bere un caffè, e lì, parlando mi ha proposto di incidere un disco con lui. Gli era piaciuto come cantavo e come suonavo. Dopo di che ho partecipato alla sua tournée, 50 concerti insieme, e grazie a questo ho acquisito quella visibilità e quei contatti che mi hanno permesso poi di dedicarmi davvero alla carriera del cantautore. Non ti è sembrato «particolare» il tuo incontro con Bardill? Certo, ma sai quante volte, nel corso della mia vita, mi sono trovato davanti a circostanze «particolari»? Io credo che la vita dia sempre dei segnali sulla direzione da percorrere, il punto è che bisogna saper cogliere e interpretare quei segnali, quando arrivano. Te ne sei andato dall’Italia per problemi di mafia? Mi trovavo in una situazione emotiva particolare. Ero dentro il movimento antimafia di Palermo (nato da pochissimo tempo) e c’era stato l’assassinio di Giuseppe Fava, direttore del giornale per cui scrivevo. Stavamo mettendo a fuoco anche i possibili rapporti tra mafia e politica, eravamo soli e in prima linea. Tant’è che il nome di Andreotti non era ancora stato enunciato dai pentiti (Tommaso Buscetta fu il primo che lo indicò come un colluso con Cosa Nostra). Io amavo anche viaggiare, e amavo l’avventura in generale. Per cui ad un certo punto ho avuto una crisi di rigetto e mi sono detto, ’Ora voglio anche pensare alla mia vita, faccio tre mesi di stop’. Con sacco a pelo e chitarra sono andato in giro, e non sono più tornato: viaggiando, ho capito che quella dimensione era la mia dimensione, e mi faceva stare bene.
Eppure tu hai sempre avuto la Sicilia nel cuore, vero? Come hai fatto ad accettare questa lontananza? Non è facile stare vicino a qualcosa che ami troppo. Quando vivevo in Sicilia, avevo la pretesa di credere di poter fare qualcosa per la mia terra, ma poi mi sono reso conto che quello che avrei voluto fare era allo stesso tempo troppo pericoloso e perfettamente inutile. Perché quella terra non era come pensavo io, non voleva cambiare, voleva restare così com’era. E dall’altra parte c’erano poteri troppo forti. Ho capito che avrei potuto dare un giorno un contributo più importante, facendo il mio percorso da un’altra parte, e poi ritornando. Come vedi l’Italia oggi, rispetto all’Italia di allora? Siamo una società basata sulle veline, sui calciatori, sul successo tout court. L’italiano medio è stato livellato verso il basso a partire dagli anni Ottanta, quando le tv, passate in mano a Berlusconi, hanno «drogato» le teste degli italiani, e c’è stato un crollo non soltanto dell’intelligenza ma anche della volontà di reagire. Siamo al penultimo posto in Europa quanto a lettura di giornali e di libri. Per un paese che è stato la culla della civiltà questo è devastante. A farne le spese sono soprattutto la musica, la cultura, l’arte… Noi, quando veniamo a sapere le cose, le veniamo a sapere dai comici: se non è Grillo è la Guzzanti oppure la Littizzetto. Per sapere le cose dobbiamo basarci sui comici. Il problema è che qui la gente si è abituata a tal punto allo scempio che ormai non ci fa più caso. È come una malattia che non ti uccide, ma ti infastidisce per tutta la vita, e tu ti prendi la medicina e fai finta che non ci sia. Lo noti subito, venendo da fuori: è bella l’Italia, ma l’abbiamo davvero ridotta male, e la gente l’ha accettato come un fatto inevitabile, non sapendo che invece si potrebbe fare ben diversamente. Cosa si potrebbe fare? Per cambiare la società bisogna costruire un uomo nuovo, cioè bisogna rifondare i principi che ci portano a stare insieme e a convivere. Il che non vuol dire sconvolgere le basi su cui abbiamo costruito questa nostra società. Però quelle cinque o sei cose assolutamente ingiuste devono sparire. La corruzione; l’idea che con la violenza si riesca ad ottenere il risultato che ti sei prefissato; il significato (perso) della meritocrazia - per cui c’è chi le cose le ottiene per grazia ricevuta, diversamente da altri che magari hanno lavorato sodo; la giustizia sociale - non ci piace una società in cui la maggior parte della gente, che fa lavori importantissimi, riesca a campare per puro miracolo. Per questo, 4 anni fa ho fondato in Italia Nuovomondo: siamo una comunità di persone che hanno imparato a conoscersi e a sviluppare una piattaforma di valori attorno ai quali crescere e fare iniziative. Comunichiamo attraverso un forum su internet, e ogni tanto promuoviamo anche incontri diretti. Viaggiando mi sono reso conto che c’è gente che ha la medesima urgenza di cambiamento. Tornerai dunque in Italia? Certo… dal deserto può nascere sempre un fiore… Io amo l’Italia e per questo ci torno sempre.
■ RITMI ■ HA COLLABORATO CON TRACY CHAPMAN E BATTIATO ■
La rivolta del folk’n’roll