Rivolta

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DIARIO

MARTEDI 7 APRILE 2009

DI REPUBBLICA

■ 40

La protesta contro i manager superpagati è la spia di un malessere sociale che fa fatica a trovare una voce e un’espressione politica

RIVOLTA Quando gli esclusi dicono “basta”

ADRIANO SOFRI

LIBRI JOHN M. KEYNES GUIDO ROSSI

Possibilità economiche per i nostri nipoti Adelphi 2009 JOHN R. TALBOTT Obamanomics

Dalla crisi dell’alta finanza all’economia dal basso Università Bocconi 2009

LORETTA NAPOLEONI

Economia canaglia Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale Il Saggiatore 2009 CHARLES R. MORRIS

Crack. Come siamo arrivati al collasso del mercato e cosa ci riserva il futuro Elliot 2008 HUGUES LAGRANGE MARCO OBERTI

La rivolta delle periferie. Precarietà urbana e protesta giovanile: il caso francese Bruno Mondadori 2006 ALBERT O. HIRSCHMANN

Lealtà defezione protesta Bompiani 2002

a parola rivolta è tornata a circolare inseguendo il fatto. Ci siamo sforzati di imparare la nonviolenza, sapremmo combinarle la rivolta? Non è la ribellione, non è l’insurrezione, né la sua versione vandeana, l’insorgenza. Non è neanche, non tanto, la rivolta nelle piazze e nelle officine, quella di cui Fitoussi ha rintracciato qui la genesi e che ha insieme additato come un pericolo per la democrazia. Vecchio aneddoto: la rivolta che invece rassicura l’ancien régime. (14 luglio 1789, presa della Bastiglia. Luigi XVI: “E' una rivolta?” Ufficiale della Guardia: “No, Maestà. E' una rivoluzione”). E’ la rivolta morale che ha spiegato qui Ezio Mauro. Succede quando l’ordinaria ingiustizia e assurdità dei nostri modi di vita eccede il limite, e diventa, alla lettera, rivoltante. Dunque è il momento di ripassarla. La rivolta si è definita nel confronto con la rivoluzione. Di norma, venendone colonizzata: la rivolta è scialacquatrice, cieca e sprovveduta, mentre la rivoluzione è lucida, sa dove vuole arrivare, sa come arrivarci, sa anche riscattare la rivolta tramutandola in una tappa del proprio cammino. La rivoluzione ha la sua rivolta premeditata, la chiama insurrezione, e le assegna un anno, un mese e un giorno preciso – il 6 novembre sarebbe stato troppo presto, l’8 troppo tardi. La rivolta è intempestiva, il suo giorno viene a caso, per una scintilla caduta sulla paglia, o naturalmente, come un terremoto. Ma la spontaneità e la genuinità della rivolta può anche essere rivendicata contro il raffreddamento calcolato della rivoluzione. La rivolta non ha da giustificare se stessa che con il rifiuto della servitù e dell’inganno. Nonostante il paradosso di Camus, che vuole far durare la rivolta, la rivoluzione può (invano) sognarsi permanente, la rivolta si brucia in un giro di notti. La rivoluzione vittoriosa costruisce un nuovo ordine impegnato a schiacciare la controrivoluzione fuori e dentro le proprie file, la rivoluzione sconfitta lascia uomini impegnati a cavarne la lezione e preparare la prossima. La rivolta è sconfitta per definizione, e dopo aver infiammato insieme gli individui e una moltitudine – «Je me rèvolte, donc nous sommes – mi rivolto, dunque siamo» – lascia persone sole a passare attraverso file di carcerieri, a registrare impronte digitali, a camminare su e giù in un cortile, forse per tanti anni, forse per un’ultima notte.

Soffitta

L

Oggi la parola rivoluzione anche solo come sinonimo di grande cambiamento ha fatto il suo tempo. È stata superata, mandata in soffitta, mandata via oppure anestetizzata Autoesproprio

Il capitalismo è tutto e il suo contrario. Riesce a chiedere in prima persona che le banche vengano nazionalizzate e i debiti collettivizati. È capace di autoespropriarsi La rivoluzione ha fatto il suo tempo. Strana espressione questa, di fare il proprio tempo. Perché vuol dire essere superati, messi in soffitta, buttati via, ma anche, in qualche origine, aver preteso di forgiare il tempo sulla propria misura. La parola stessa è così anestetizzata che si può reimpiegarla nelle conversazioni perbene, disincarnata, disossata, mero sinonimo di un cambiamento, di un grande cambiamento. Si può perfino dire “una vera rivoluzione culturale”, non so, per il modo di appendere i quadri in una mostra, e non sentire più i brividi dell’originale. Di

SILLABARIO RIVOLTA

tutti i progetti di governo delle cose, la rivoluzione sociale e politica era il più ambizioso: una specie inconsapevole di ingegneria genetica ante litteram applicata al corpo sociale universale. Se ne è disillusa, ed è diventata scettica e conservatrice, o prudentemente riformista. Così, per chi non ci sta e ha membra agili ed è troppo giovane o troppo stanco per provare interesse a un futuro, è rimasta la rivolta. Per strada, nelle periferie notturne, o nelle incursioni in centro in certi giorni di gala, quando un’ufficialità ne offra il pretesto. O nei luoghi in cui si lavora, e si smette così spes-

ALBERT CAMUS

ella prova quotidiana che è nostra, la rivolta gioca lo stesso ruolo del cogito nell’ordine del pensiero: è la prima evidenza. Ma questa evidenza trae fuori l’individuo dalla solitudine. È un legame comune che fonda su tutti gli uomini il primo valore. Mi rivolto, dunque siamo. La storia prodigiosa qui evocata è la storia dell’orgoglio europeo. L’uomo è l’unica creatura che rifiuta di essere ciò che è. La questione è sapere se questo rifiuto può portare solamente alla distruzione degli altri e di lui stesso. Se ogni rivolta deve risolversi in giustificazione dell’omicidio universale, o se, al contrario, senza pretendere un’innocenza impossibile, può scoprire il principio di una colpevolezza ragionevole. La rivolta è il movimento stesso della vita e non è possibile negarla senza rinunciare a vivere.

N

so di lavorare, e si può acchiappare per un po’ qualche ricco, un amministratore delegato o un tagliatore di teste, in fuga a Varennes con il portafoglio gonfio e la coda fra le gambe. Nichilista, la rivolta? Be’, le avete tolto tutto, anche la lepre della rivoluzione. Quanto alla convalescenza, stava appena studiandosi di smettere di dirsi riformista e cominciare a essere riformatrice, che le sue ricette diventano aspirina per l’elefante. La cosiddetta crisi eccede rivoluzione e riforma. Peggio: investe gli Amministratori delegati delle potenze statali di un’ambizione rivoluzionaria, di una recita prometeica. Sono loro, adesso, quando la macchina mondiale è imbizzarrita, a immaginarsi capaci di metterle morso e redini, a fissarle date di un’agenda da luna park, a somministrarle, in mancanza di qualità, quantità di trilioni. Era giudiziosa, la mano invisibile del mercato: dissuadeva dalla megalomania demiurgica, suggeriva di maneggiare con cura, di lasciare che il risultato venisse dalla libertà di innumerevoli corsi e incroci delle cose. Naturalmente, questo campo libero poteva inclinare alla giungla, e dato che poteva l’ha fatto. Il capitalismo è ambedue le cose, capricciosamente: l’ordine e perfino il progresso che viene da quel libero corso, e il tracollo. Nazionalizzare le banche, collettivizzare i debiti, diventa affar suo, del capitalismo che si autoespropria, e nel momento in cui dichiara la bancarotta della propria presunta razionalità –della propria giustizia, nemmeno parlarne- simula di poter governare il mondo. Manca poco che annunci i piani quinquennali. D’altra parte, bisogna pure rassegnarsi a sperare che Dio ce la mandi buona, e che i governanti, e Obama per tutti, non ce la mandino troppo cattiva. Chi non abbia l’età o il reddito bastanti a questa pazienza, potrà imbattersi nella rivolta. Non la sceglierà: quello lo fanno, peggio per loro e per noi, i black block. La rivolta vera non ha uniformi né visi coperti. E’ come un incidente stradale: uno si ferma a dare un’occhiata, e finisce nella mischia. Dopotutto la crisi dell’auto era stata annunciata dalle decine e centinaia di automobili date alle fiamme in una notte nei nostri Paesi: soprattutto in Francia, già patria della famosa rivoluzione, e ora della malfamata rivolta. Altri sciagurati vanno a sparare all’impazzata in un qualunque luogo affollato, o si portano all’altro mondo i propri cinque figli. All’altro mondo possibile.

Gli autori IL TESTO del Sillabario di Albert Camus è tratto da L’uomo in rivolta (Bompiani). Jacques Le Goff è uno dei maggiori medievisti contemporanei. Aldo Schiavone ha appena pubblicato L’Italia contesa (Laterza)

I Diari online TUTTI i numeri del “Diario” di Repubblica, comprensivi delle fotografie e dei testi, sono consultabili su Internet in formato Pdf all’indirizzo web www.repubblica.it. I lettori potranno accedervi direttamente dalla home page del sito, cliccando al menu “Supplementi”.

Repubblica Nazionale

Victor Hugo

Henrik Ibsen

Gustave Le Bon

Una rivoluzione significa l’esatto contrario di una rivolta

Il vero spirito di rivolta consiste nell’esigere la felicità qui, nella vita

Rivoltarsi o adattarsi non c’è quasi altra scelta nella vita

I miserabili (1862)

Gli spettri (1881)

Aforismi del tempo presente (1913)

SPARTACO

IL MEDIOEVO

MASANIELLO

BOXER

OGGI

Schiavo originario della Tracia, nel 73 a. C. fu a capo di una rivolta di schiavi che sconfisse le legioni romane

Tra le molte rivolte del XIV secolo, la più celebre fu l’insurrezione contadina “Jacquerie” del 28 maggio 1358

Nel 1647, a Napoli, la grande rivolta popolare contro la pressione fiscale imposta dal governo spagnolo

La rivolta dei Boxer, nazionalisti e anti cristiani, ha luogo, tra il 1899 e il 1901 nel Nord della Cina

La crisi economica dà luogo a proteste contro i protagonisti della finanza o contro i manager delle industrie

■ 41

Le tappe

Intervista a Jacques Le Goff

Se le élites vengono messe in discussione

GLI UMILIATI UGUAGLIANZA DEL MEDIOEVO E DEMOCRAZIA FABIO GAMBARO

ALDO SCHIAVONE

l medioevo fu un’epoca di grandi rivolte, violente e sanguinose.» Lo sottolinea lo storico francese Jacques Le Goff, ricordando le molte ribellioni popolari scoppiate tra il X e XIV secolo: «Nonostante spesso si creda il contrario, il medioevo non fu un’epoca dominata dall’ubbidienza. Questa era richiesta soprattutto ai servi e ai monaci. Questi ultimi però non sempre la rispettavano, specie nei monasteri riformati e negli ordini mendicanti, che quindi non di rado partecipavano alle rivolte popolari. A quel tempo, per la chiesa la giustizia era più importante dell’ubbidienza. Di conseguenza, le numerose rivolte che scoppiavano contro le gravi e diffuse ingiustizie sociali non sempre venivano condannate dal mondo ecclesiastico». La tipologia della rivolte varia da un secolo all’altro? «Attorno all’anno Mille, le rivolte scoppiano innanzitutto nelle campagne, dove ci si ribella contro i signori. Dal XII secolo, le rivolte si spostano soprattutto nei centri urbani, sempre più importanti per via delle loro attività artigianali e commerciali. In città, il solco tra ricchi e poveri si fa sempre più profondo, alimentando un forte malcontento, a cui va aggiunta l’insofferenza nei confronti del dominio dei vescovi. Si spiegano così molte rivolte, tra cui quelle scoppiate a Roma al seguito d’Arnaldo da Brescia o Cola di Rienzo».

ell’incipit di un saggio una volta famoso, oggetto di una polemica violentissima, Albert Camus scriveva che “l’uomo in rivolta”, nel “dire no”, afferma l’esistenza di una frontiera, di un limite intollerabilmente superato, e dunque formula in modo bruciante un giudizio di valore, che è insieme per lui “tutto” e “niente”, ma in nome del quale vale comunque la pena di mettersi in gioco. E sono proprio uomini e donne “in rivolta”, nel senso letterale di Camus, quelli che nei giorni scorsi sono improvvisamente comparsi per le strade d’Europa: non solo black bloc, rivoluzionari contro il capitale - agitatori “no global” carichi di ideologia - ma anche persone che dicevano semplicemente “basta”, “non si può andar oltre”, e che sentivano, confusamente ma pure in maniera assai forte, che un confine era stato violato, e che ciò non si poteva accettare in silenzio. Episodi limitati, per ora. Che abbiamo tuttavia l’obbligo di capire: senza tragediare, ma anche senza addolcire. Nella mente di chi protestava, la misura appariva colma fino all’insopportabile per due ragioni, molto serie, e anzi cruciali: una ragione che chiamerei di legittimità, e un’altra che definirei di eguaglianza. Entrambe arrivano a toccare i fondamenti stessi delle nostre democrazie. In questi mesi, in queste settimane, la crisi economica

«I

Sopra, Zapata e Pancho Villa in un murales; in alto, rivolta operaia a Budapest (illustrazione A. Beltrame); a sinistra, Masaniello (Mary Evans)

N

Jacquerie

Consenso nuovo

Attorno all’anno mille le sommosse scoppiano innanzitutto nelle campagne. Dal XII secolo si spostano nei centri urbani. Il Trecento è il secolo delle grandi sollevazioni di contadini, alimentate dalla povertà

La crisi economica coinvolge direttamente la vita di grandi masse in tutto il pianeta investendo identità, ruoli, prospettive. Per questo alla politica spetta il compito di costruire un nuovo consenso

Nel XIV secolo le rivolte si moltiplicano. Come mai? «È un secolo di crisi, dominato dalle guerre, dalle carestie e dalla peste. La povertà alimenta grandi sollevazioni di contadini in Inghilterra e Catalogna. A metà secolo, la grande jacquerieinfiamma la regione di Parigi. Qui per la prima volta, accanto alla dimensione sociale, emerge una dimensione politica, dato che la ribellione prende di mira la monarchia francese e produce un’inedita alleanza tra il popolo e una parte della borghesia. Nel XIV secolo abbiamo anche la prima rivolta operaia, quella dei Ciompi a Firenze, nel 1378». Quali erano le ragioni delle rivolte? «Le motivazioni erano essenzialmente economiche. Il popolo si ribellava alla povertà e all’oppressione fiscale, ma chiedeva anche il rispetto della propria dignità, denunciando l’arroganza dei signori. Globalmente, le rivolte restano sul terreno sociale, dato che l’aspirazione alla giustizia solo di rado dà luogo a un vero disegno politico. Non vanno poi dimenticate le rivolte nate dalle eresie come pure quelle, meno conosciute, condotte da gruppi di giovani in rotta con la società. Insomma, il medioevo fu un’epoca tormentata, ma a poco a poco emerse una tendenza al negoziato e al compromesso». Nell’età moderna le rivolte tendono a diminuire? «In realtà aumentano, dato che l’industrializzazione produce disuguaglianze sempre più profonde, che verranno compensate solo tardivamente e in modo insufficiente dalle conquiste operaie. Nel corso della modernità assistiamo alla progressiva politicizzazione delle rivolte. Tuttavia, solo raramente la politicizzazione ha permesso alla rivolta di trasformarsi in vera e propria rivoluzione, di rimettere in discussione l’intera società». Vede qualche analogia tra la realtà medievale e quella odierna? «Oggi come allora la disperazione sociale nasce dalla povertà, ma anche da un sentimento di umiliazione. Chi sta perdendo tutto non sopporta lo spettacolo della ricchezza ostentato da alcuni. Tutto ciò è particolarmente percepibile nelle città dove, come nel medioevo, le grandissime disparità economiche continuano ad alimentare l’ingiustizia sociale».

sta cominciando a investire direttamente la vita di grandi masse, da un capo all’altro del pianeta: identità, ruoli, prospettive. Essa non è un fenomeno “naturale” - anche se sono in molti ad affannarsi per farcela percepire così. Non era inevitabile. È un evento prodotto dalle scelte politiche, economiche e culturali (sì, anche culturali) del ventennio che ci ha preceduto. Chiama in causa responsabilità, valutazioni, errori precisi, che rimandano a individui e cerchie altrettanto determinati e individuabili, che spesso hanno ricavato vantaggi enormi dalle loro decisioni. Si pone dunque in modo evidente un problema di discontinuità, di rottura rispetto a questo passato. In altri termini, un problema di rapporto fra masse e (responsabilità delle) élite, fra governanti e governati. Se non si rende evidente la novità, che si sta voltando drasticamente pagina - nelle persone, nelle idee, nei comportamenti - la legittimazione popolare di chi detiene il potere ne esce compromessa, se non completamente spezzata. Questo innanzitutto esasperava le donne e gli uomini in rivolta, in questi giorni: la mancata evidenza del cambiamento. Credo del resto che Obama lo abbia capito benissimo - e che stia cominciando a esplorare le strade per la costruzione di un nuovo consenso. Ma le classi dirigenti europee? E l’Italia? C’è poi un problema di eguaglianza: una parola che dobbiamo reimparare a pronunciare. La crisi sta creando, soprattutto nei Paesi più ricchi, una dismisura di diseguaglianze mai prima sperimentata. E non solo in termini di quantità (che pure non vanno certo trascurati). Ma soprattutto di qualità, se così si può dire, di proporzioni nei confronti di quei “nuovi esclusi” di cui ci hanno appena parlato Ezio Mauro ed Eugenio Scalfari su questo giornale. D’improvviso, nel cuore delle nostre società, si stanno aprendo voragini di squilibrio che minacciano di inghiottire e di disintegrare intere trame del nostro tessuto comunitario, fasci interi di vincoli e di legami. Democrazia e disuguaglianza sono compatibili (e addirittura funzionali) solo se queste ultime non superano livelli di guardia prestabiliti. Oltre, c’è la comune rovina civile e democratica dei soggetti coinvolti in entrambi i lati dello squilibrio. Anche di questo gridavano le nostre inattese rivolte.

FILM LOUISE MICHEL

Un gruppo di operaie assolda un killer per uccide il padrone che ha chiuso la loro fabbrica. di Gustave de Kervern, Benoît Delépine Francia, 2008 SPARTACUS

Il gladiatore Spartaco e la sua rivolta di schiavi contro Roma. Fino alla sconfitta e alla crocifissione. di Stanley Kubrick con Kirk Douglas, Laurence Olivier Usa, 1960 BLOODY SUNDAY

Derry, nell’Irlanda del Nord, una marcia di protesta di diecimila cittadini diventa un massacro. di Paul Greengrass con James Nesbitt, TimPigott Smith Gran Bretagna 2002 CREPA PADRONE, TUTTO VA BENE

Una coppia di intellettuali partecipa all’occupazion e di una fabbrica. di Jean-Luc Godard con Jane Fonda, Yves Montand Francia-Italia 1972

Repubblica Nazionale

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