Libertà Di Stampa In Italia - Intervista A Roberto Natale - Di Wilma Massucco

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EUGAD : European Citizens working for the global development agenda EUGAD is one of the actions that implement the European Commission Programme of Public awareness and education for development in Europe EuropeAid Contract: DCI-NSA ED/2008 153-791 Programme reference: EuropeAid/126341/C/ACT/Multi

Interview to Stakeholders INTERVIEW to ROBERTO NATALE, President of FNSI (National Italian Press Federation) – July 30th 2009 by Wilma Massucco

Summary Roberto Natale is the current President of the National Italian Press Federation (FNSI). Referring to 2009 Report by Freedom House and Reporter Sans Frontieres, International Supervisory Bodies for Press Freedom in the world, we see that Italy has been placed only on 44th position, and cited as a Country “not totally free”. What’s Roberto Natale’s point of view as regards the freedom press in Italy, and the choices made by Media about the news/information to deal with in their schedules? The International Millenium Development Goals Agreement, signed by the Advanced Countries of the World, ask for a coherence between declarations and actions. What’s the role of Media Communication in promoting, among common people, a Culture for Global Development Agenda? Roberto Natale points attention at some recent Italian news, related to Ddl Alfano and Subscription for Fondazione Fava, highlighting the risk for an additional reduction of Press Freedom in Italy. He suggests and strongly acts, through FNSI initiatives, to promote a cultural reconversion of current journalism, so to induce journalists and Directors of Media to make a different choice of the news selected in their schedules. He also supports the role of education made in the schools, in order to teach young students the importance of reading newspapers and the way how to read news with criticism. It’s common people who can make their choices, and decide how much important is “the news about hot weather in summer and cold weather in winter, compared to the news about international crisis and the analysis of their causes”.

Integral edition, Italian language INTERVISTA a ROBERTO NATALE, Presidente FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) 30 luglio 2009 - di Wilma Massucco Nell’ultimo Report 2009 di Freedom House e di Reporter Sans Frontieres, due organismi di controllo internazionali, autonomi e indipendenti da qualunque connotazione politica, che effettuano il monitoraggio della libertà di stampa su oltre 170 Paesi al mondo, l’Italia viene collocata al 44esimo posto, e definita a riguardo un “Paese solo parzialmente libero”. Lei cosa pensa della libertà di stampa in Italia, anche alla luce del Disegno di Legge Alfano, approvato alla Camera il 10 giugno scorso - e in attesa di essere valutato in Senato, a settembre? Penso che purtroppo questi rapporti internazionali abbiano pienamente ragione. Dico purtroppo perché non mi fa piacere che il nostro Paese sia così in basso nelle classifiche internazionali. I criteri di valutazione adottati costringono a mettere l’Italia in una posizione diversa, e inferiore rispetto a quella delle democrazie dell’Europa occidentale. Penso alle minacce rivolte ai cronisti, soprattutto nelle zone in cui è presente una forte criminalità organizzata; penso soprattutto all’accentramento dei poteri che gravano sull’informazione. Al conflitto di interessi, in primo luogo. Il conflitto di interessi del Presidente del Consiglio, una concentrazione di potere politico – mediatico – finanziario che non ha eguali al mondo. Vorrei anche parlare di “conflitti” di interesse, al plurale, perché ritengo ci sia non solo il conflitto clamorosamente evidente del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ma anche in altri settori della nostra informazione ci sia un rapporto non puro tra l’informazione e gli interessi economico-finanziari che la segnano. Questa è la somma delle ragioni per le quali l’Italia viene considerata Paese parzialmente libero, quanto al diritto/dovere di comunicare e di informare. In più adesso sta arrivando, ed è un’aggravante che cercheremo in ogni modo di evitare, il Disegno di Legge Alfano sulle intercettazioni, che rappresenta un vero e proprio colpo al nostro diritto - dovere di informare e al diritto dei cittadini a sapere. Non è una tendenza solo italiana, quella di restringere gli spazi dell’informazione, ma nella situazione italiana – già deformata dal quadro del conflitto d’interesse, rappresenta un’aggravante pesantissima. Sulla base di questo Disegno di legge, a quali penalizzazioni/censure andrebbero incontro i giornalisti e gli editori?

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L’originario testo del Ddl rimane per noi largamente inaccettabile. A settembre il testo andrà al Senato. Tutte le rappresentanze del giornale italiano (FNSI, Odg, l’Unione Cronisti) continueranno a fare di tutto perché questo brutto Ddl non divenga legge. La sua sostanza è rappresentata dal fatto che delle notizie contenute negli atti giudiziari si potrà parlare fino al momento del processo assai poco; e considerando i tempi della giustizia italiana, questo significa che per anni noi rischiamo di sapere poco o nulla su vicende di assoluto interesse generale. Faccio due o tre esempi, che sono quelli che abbiamo fatto con più insistenza nella campagna condotta in questi mesi contro il Ddl Alfano. Penso al crack Parmalat: l’ avremmo potuto raccontare molto più tardi e molto peggio, se questo testo fosse stato già legge. Penso alla vicenda di quella clinica di Milano in cui alcuni medici – davvero con pochissimi scrupoli – disponevano di far trapiantare alcuni organi in loro pazienti non perché ne avessero davvero bisogno ma perché questo ai medici conveniva di più. Questa vicenda non avrebbe potuto essere raccontata per tempo, con il rischio di mandare altri pazienti di Milano e dell’area lombarda, dove appunto si trova la clinica, a farsi massacrare da questi medici davvero così spregiudicati. Per di più, per minacciarci, il testo dice che ci può essere il carcere per i giornalisti che violino le disposizioni (da 6 mesi a tre anni) e, più grave ancora, un apparato sanzionatorio che arriva a combinare agli editori fino a quasi mezzo milione di Euro di multa. E’ chiaro che il risultato sarà che l’editore dirà al suo Direttore o al suo capocronista “Non vi azzardate a pubblicare nulla che non sia tranquillo, perché sennò mi rivalgo su di voi”. Vorrei fare un parallelismo tra questa situazione e il fatto recente della sottoscrizione – a cui ha aderito anche FNSI lanciata in questi giorni dalla Fondazione Fava per la rivista antimafia “I Siciliani”. Obiettivo: raccogliere 90.000 euro entro il 30 settembre, pena la confisca dei beni dei giornalisti che a suo tempo, circa 25 anni fa, continuarono la loro attività di denuncia presso quella medesima testata; ad oggi la stessa casa di Giuseppe Fava, Direttore dei I Siciliani e vittima di mafia proprio per le coraggiose denunce che aveva condotto attraverso quella testata, rischia di essere confiscata. Lei cosa pensa a riguardo? Perché FNSI ha aderito a questa sottoscrizione e quale messaggio volete trasmettere con questa adesione? Penso che questa vicenda sia – per usare una parola chiara - un autentico scandalo. La vicenda è in questi termini. Nel gennaio 1984 la mafia uccide a Catania Pippo Fava, all’epoca Direttore di una coraggiosissima rivista, I Siciliani. La sua redazione, un gruppetto di ragazzi tra i quali il figlio Claudio, di fronte a questo efferato omicidio mafioso decide di non farsi intimidire e di andare avanti. Per due anni abbondanti continuano le esperienze del giornale fondato da Pippo Fava. I Siciliani si fanno carico di questa esperienza. Poi, ad un certo momento, devono arrendersi. Erano rimaste piccole somme, non pagate, a dei creditori. Le cose sono andate avanti per circa vent’anni e, nel frattempo, quel piccolo debito iniziale ha raggiunto la cifra, appena ricordata, di 90.000 Euro. Noi di FNSI abbiamo aderito alla sottoscrizione perché non vogliamo rassegnarci a questo esito … non può essere, semplicemente non può essere … è vergognoso per il Paese che chi ha avuto il coraggio di continuare un’esperienza come quella, oggi venga chiamato a risponderne come se fosse una specie di ladro. Questo non è tollerabile. Questa è la ragione per la quale noi, della Federazione Nazionale della Stampa, che abbiamo chiamato con noi l’Ordine dei Giornalisti, Libera informazione, Articolo 21, Unione Cronisti Italiani, tutti insieme per dire che, pur nel rispetto delle decisioni della Magistratura, non può finire così. Non può essere questa l’ultima risposta che lo Stato a chi si è fatto ammazzare per combattere la criminalità organizzata. Questa è la posizione che abbiamo tenuto. L’altra questione, a dire il vero in questa campagna, è anche un’altra, ma è un’ambizione così smodata che devo dirla a bassa voce. L’ambizione è che i nostri colleghi – dei giornali, delle TV, delle radio – ripensino un po’ a ciò che significa cronaca. Perché, quando ci sono delitti di mafia, i processi di mafia scarseggiano, e quando invece si tratta di qualche grande delitto privato (adesso si parla di Perugia), perché in questi casi la nostra informazione è così prodiga non solo di notizie ma anche di particolari inutili, che nell’ambito di una notizia non dovrebbero essere considerati. Giuseppe Fava parlava di un “concetto etico di giornalismo” e del fatto che “un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni”. In qualità di Presidente di FNSI, qual è il suo concetto di giornalismo, e in che modo FNSI si adopera per salvaguardare la libertà di stampa, di modo che si possa davvero fare informazione sui fatti importanti dell’Italia? Non voglio essere così presuntuoso da dare una mia definizione di giornalismo. Sento in particolare in questi anni un’esigenza forte. Quella che l’informazione si occupi di cose che meritano di essere chiamate notizie. Mi spiego meglio. In questi anni, nella nostra informazione televisiva, ma non solo, ha avuto un peso crescente lo spazio dedicato a quello che in cerco vengono chiamate “notizie – news – hot news”, notizie curiose prese da internet del genere “strano ma vero” oppure quelle vicende che riguardano veline e calciatori. Abbiamo una quantità di informazione che magari 15 anni fa era rimasta relegata nei settimanali che ciascuno di noi poteva trovare dal parrucchiere e che adesso ha invaso anche l’informazione “seria”. Questo mi sembra uno dei problemi principali: mantenere cioè un’idea civilmente ricca dell’informazione. Oggi sui giornali c’è la notizia che Mario Giordano arriverà alla direzione del TG5. Non posso non ricordare che Mario Giordano è stato, fino a pochi anni fa Direttore di Studio Aperto, un telegiornale che dedica ai primi due servizi i temi seri della giornata e poi, per la restante quasi mezzora, si dedica a far vedere i calendari di veline e cose di questo tipo. Questo è un tradimento dei costi dell’informazione. In questo gigantesco palcoscenico che è stato allestito in Italia, noi non possiamo avere solo il ruolo di chi racconta gli spettacoli

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Voi avete qualche strategia o qualche iniziativa concreta per avviare un cambiamento, e fare arrivare all’opinione pubblica messaggi di un certo tipo? Non è facile innescare mosse concrete. Si tratta direi quasi di una riconversione culturale che viene chiesta al giornalismo italiano. Per di più in una condizione strutturale, quella del conflitto d’interessi, che rende osservazioni professionali come quelle che io le sto facendo facilmente sospettabili di pregiudizio politico. Non è così, ma così la pensa chi può comunicare più degli altri. Nell’ambito della libertà di stampa e dell’accesso alle informazioni, consideriamo ora il tema della Cooperazione Internazionale. Gli Stati nazionali, con la Dichiarazione del Millennio, si sono assunti la responsabilità di portare avanti gli impegni presi (vedi 8 obiettivi del millennio) nei tempi stabiliti, eppure siamo ancora molto lontani dal raggiungimento di quegli obiettivi. Qual è il ruolo della Comunicazione nel promuovere una cultura che vada davvero a sostegno della Cooperazione allo Sviluppo, e qual è lo spazio che a suo avviso la stampa italiana dà oggi a questi temi? Credo che il compito dell’informazione sia quello di farci aprire gli occhi, di farci alzare lo sguardo da una situazione italiana nella quale siamo concentrati talvolta in modo ossessivo. L’attenzione che si dedica ad ogni minimo stormire di fronda in Parlamento, il collage delle dichiarazioni di politici di tutti o quasi i partiti riportati nei TG, sono tutti generi d’informazione che tolgono spazio ad altro. Tolgono spazio ad altro. Mi piacerebbe un servizio pubblico che dicesse: “Nei vostri palinsesti, cari Direttori dei giornali vedo poco lungo, vedo dei telegiornali provinciali. Ci impegniamo in campagne per provare a colmare questo divario”. Sulla base di questa logica, so che FNSI ha patrocinato anche l’iniziativa promossa da Medici Senza Frontiere sulle “crisi dimenticate”, ovvero con l’obiettivo di aprire un varco all’interno dei quotidiani, in modo da dare voce alla quelle crisi umanitarie altrimenti dimenticate dai media. Mi chiedo se FNSI non potrebbe promuovere iniziative di questo tipo anche a sostegno della Cooperazione Internazionale, di modo che si parli sui giornali di Cooperazione non tanto e non solo quando si tratta di eventi internazionalmente rilevanti, quali il sequestro di un volontario o uno tsunami, ma anche per divulgare una cultura che, volendo andare a sostegno dello Sviluppo, vada anche e soprattutto ad analizzare le cause, in modo da promuovere una riflessione critica del perché di certe emergenze. Mi chiedo se FNSI può dare una mano in questo senso, ad aprire un varco dentro i quotidiani, perché venga dato spazio anche a questa tematica Noi ci proviamo senz’altro. Citavi il rapporto di Medici Senza Frontiere. Quello è stato uno dei momenti di maggiore chiarezza sulla nostra televisione, su come funziona. Il rapporto di quest’anno aveva un raffronto tra il tempo dedicato alla crisi afghana e il tempo dedicato a servizi del tipo “il caldo d’estate” (non di gennaio, ma di luglio e agosto …. figurarsi che sorpresa!). Ovviamente il tempo dedicato al primo argomento era minoritario rispetto a quello dedicato al secondo. Qual è il potere di un ente come il vostro, anche alla luce degli input che sta dando lei, in prima persona, nel rompere certi meccanismi e nel promuovere davvero una cultura diversa? La via non facile è quella del richiamo, dell’appello continuo ai colleghi, facendo notare che certi meccanismi non sono per nulla naturali, non sono esiti scontati. Siamo noi che facciamo le nostre scelte, siamo noi che decidiamo che il processo di Perugia va seguito in maniera ossessiva e magari la notizia di un broker iraniano che viene pestato a morte nemmeno la diamo. Siamo noi che pensiamo che il caldo d’estate e il freddo e l’influenza d’inverno sono un tema che deve oscurare le crisi internazionali. Siamo noi che non ci vergogniamo se alle notizie del colera in un Paese centro africano, che sta facendo magari decine di morti, non riusciamo a trovarvi spazio perché magari c’è da dare sul TG il servizio sulle nuove mode di divertimento sulla riviera romagnola. Quindi bisogna insistere con le nostre unità di redazione, cioè con la rappresentanza di base delle redazioni, e con i nostri Direttori di redazione, che hanno la responsabilità grandissima nelle scelte. Non andate al seguito di quelle rappresentazioni che dicono che le redazioni siano sorta di collettivi in cui si decide tutti insieme. Le redazioni sono organizzate in maniera fortemente gerarchizzata, e allora anche ai Direttori dobbiamo fare appello. Poi lavorare sulla formazione dei giovani giornalisti. Io credo che questo sia uno dei temi più importanti. Fare in modo che chi entra adesso nella professione, e sta facendo spesso anche con serie difficoltà economiche, un biennio per prepararsi a diventare giornalista, deve potere, in quella sede, riflettere sulle gerarchie delle notizie, cioè su cosa li spinge a mettere in pagina una notizia piuttosto che un’altra, a fare un servizio su un tema piuttosto che su un altro. Voi di FNSI avete anche intenzione di promuovere una formazione dal basso, a livello di scuole, in modo da educare i giovani lettori sull’importanza di leggere i giornali e sul modo critico con cui leggere una notizia? Si, stiamo lavorando a questo. Stiamo tra l’altro sollecitando il governo a occuparsi di questo tema, perché il governo ha fatto ripetutamente appelli alla lettura, ma non è così banalmente che si scongiura la crisi del settore.

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