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  • Pages: 28
Marzo 2006

Anno 1 - Numero 0 Periodico di Politica e Cultura della SG “Pier Paolo Pasolini” di Priverno

L’EDITORIALE

IL PERCHE’ DI UNA SCELTA

Una nuova sfida. Una sfida editoriale, una sfida politica, una sfida di vita. “ControVerso” nasce da un bisogno, il bisogno di partecipazione, di coinvolgimento attivo, di critica costruttiva su un mondo che troppe volte rifiuta la visione della realtà e dell’esistenza di un universo giovanile mutevole e policentrico. “ControVerso” perché abbiamo scelto di porci sopra le righe, di stare al di là, al di fuori di schemi preconcetti di lettura del nostro universo. Vogliamo leggere la realtà da dentro, essere scomodi, essere pungolo di una società che troppe volte snobba una visione “altra”, accontentandosi di una interpretazione superficiale dei fenomeni culturali, politici, storici e socio-antropologici. Ma il nostro è anche il tentativo di abbattere stereotipi comuni sui giovani. Non è sempre vero che i giovani rifiutano la politica, non è sempre vero che i giovani amano subire passivamente delle scelte, perché l’esercizio della delega è uno strumento di democrazia solo nel momento in cui presuppone un accordo critico tra i soggetti coinvolti. I giovani hanno voglia di partecipare, di dire la loro, di creare un mondo ritagliato sui propri bisogni. Il punto da cui abbiamo deciso di contraddire la realtà è politicamente schierato. Siamo giovani di sinistra e non vogliamo negarlo. Ai nostri lettori chiediamo di essere criticamente costruttivi, di dirci sempre quando non sono d’accordo, perché dalla critica possano nascere idee migliori per un presente migliore.

SG “Pier Paolo Pasolini” Priverno

SoMmArIo

Usciamo dal silenzio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag 3 Alla ricerca del posto (auto) perduto . . . . . . . . . . . . . . . .pag 5 Non capiscono o fanno finta di non capire . . . . . . . . . . . . . .pag 7 Vasilij Kandinsky e le armonie musicali dell’arte . . . . . . . . . . .pag 9 Lo scandalo del contraddirmi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag 11 Felice Cascione, l’eroe che fece fischiare il vento . . . . . . . . . .pag 17 Le nuove frontiere del folk . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag 19 All’inizio era Fender . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag 21 ‘Il grande passo’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag 23 Chi ha paura dell’atomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag 25

Usciamo dal silenzio

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n sottile filo rosso, che unisce cori, slogan, striscioni; un sottile filo rosso per sancire la laicità dello stato e ribadire il dolore e la speranza, che si celano dietro ogni scelta; un sottile filo rosso chiamato libertà. Libertà di scegliere e di amare, libertà di decidere e di soffrire, libertà di ospitare un altro dentro di sé, libertà di condividere la propria esistenza con una persona dello stesso sesso: l’Italia scende in piazza e lo fa per gridare la propria voglia di laicità. Una laicità di duplice livello, che presuppone, da un lato, la non ingerenza dello stato nella vita e nel corpo delle donne e, dall’altro, la capacità della politica di garantire gli stessi diritti ai propri cittadini. Sabato 14 gennaio, Roma e Milano, piazza Farnese e piazza Duomo: in una giornata di sole gelido un legame ideale, un’aspirazione ha percorso longitudinalmente l’Italia, unendo uomini e donne, madri e padri, bambini ed adulti in difesa della 194 ed in favore dei Pacs, i Patti civili di solidarietà. Alle spalle un terreno politico infuocato, dove il fantasma delle elezioni pesa sull’obiettività delle scelte. MILANO 14 GENNAIO 2006: LA SVOLTA Così a ventotto anni di distanza dall’approvazione delle legge 194 del 1978, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza”, e a venticinque dai due referendum del 17 maggio 1981 (il primo proposto dal Movimento per la Vita, l’altro dai Radicali), la politica torna a mettere in discussione la libertà di scelta delle donne. Un’inchiesta parlamentare sulla corretta applicazione della 194; l’opposizione alla pillola abortiva, la Ru 486, che sembra sciogliere il dolore e rendere più facile la decisione di ogni donna: un attacco ai valori di un’epoca, che si trascina dietro il fantasma del

Un’immagine della manifestazione di Milano

delitto Moro. Il 9 maggio del 1978 veniva ritrovato a Roma il corpo del leader democristiano, il 22 maggio dello stesso anno, con i soli voti favorevoli dei partiti laici veniva approvata la legge 194. Secondo molti storici la Dc sacrificò l’unità dello stato e il mantenimento del suo potere sull’altare della laicità. In occasione della firma della legge Andreotti annotava sul suo diario: "Seduta a Montecitorio per il voto sull’aborto. Passa con 310 a favore e 296 contro. Mi sono posto il problema della controfirma a questa legge (lo ha fatto anche Leone per la firma) ma se mi rifiutassi non solo apriremmo una crisi appena dopo aver cominciato a turare le falle, ma oltre a subire la legge sull’aborto la Dc perderebbe anche la presidenza e sarebbe davvero più grave”. Un clima, un ambiente politico che ha segnato per sempre l’approccio all’autoderminazione delle donne. “Come si poteva temere l’arretramento della laicità delle istituzioni – afferma Susanna Camusso, Segretario generale CGIL Lombardia – si trasforma in un attacco alle donne, alla nostra pelle, alla nostra salute, alla nostra autodeterminazione. Cogliamo negli appelli che corrono in rete un disagio che cresce, la paura che tutto resti nel silenzio, condi-

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vidiamo, sappiamo che non si può stare in silenzio, è una responsabilità anche nostra”. Usciamo dal silenzio: questo il manifesto per un nuovo femminismo, che metabolizzate le conquiste degli anni Settanta, archiviato il periodo di contrapposizione sterile con la cultura maschile, le donne tornano consapevoli del loro ruolo e della loro forza. La forza della non violenza, la forza di duecentomila persone che si ritrovano a pizza del Duomo, a Milano, con slogan e striscioni colorati; la forza di chi ogni giorno si incontra su internet, sul sito www.usciamodalsilenzio.org, per confrontarsi, per scontrarsi su un tema dove etica, morale, politica collimano per esercitare un potere sulla libertà di scelta delle donne. Decidere di diventare madre è decidere di mettere in discussione i propri equilibri, la propria natura, il proprio essere. È una scelta consapevole e non impo-

sizione della natura, al di là di qualsiasi dettato etico. Ma c’è qualcosa che va al di là della 194. è la volontà di far sentire che dopo anni, forse non di silenzi, ma di dormiveglia incosciente, il movimento delle donne è tornato. È tornato per ribadire che le donne sono entità pensanti, che hanno diritti di partecipazione e di coinvolgimento, che non sentono i ricatti moralisti delle gerarchie ecclesiastiche. Rivendicare la difesa di un diritto conquistato con passione, per mettere a tacere gli anni degli aborti clandestini. Un messaggio sottile, sotterraneo partito dall’appello lanciato on-line da Assunta Sarlo, giornalista di Diario, un messaggio che si è diffuso sulla rete, che si è fatto movimento e che è divenuto manifestazione. Per chiedere uniti, uomini e donne, che l’Italia sia finalmente un paese laico.

Stella Teodonio

Daria Bignardi Ogni donna sa che l’aborto è una scelta difficilissima e dolorosa. È stupido e anche un po’ offensivo nei confronti delle donne che qualcuno dica che pillola abortiva o la pillola del giorno dopo lo rendano “una scelta facile”. È la decisione la parte più traumatica, non il modo in cui si opera. Eppure è proprio questo diritto alla scelta che va strenuamente difeso. Ogni donna sa che l’aborto è una scelta difficilissima e dolorosa.

Mariangela Melato Impariamo ad essere belle dentro Impariamo a non avere paura Impariamo a difenderci e proteggerci l'una con l'altra Impariamo a diventare sorelle

Ornella Vanoni Trovo orribile che un argomento così doloroso e lacerante per la donna come l'aborto possa essere discusso con tanta superficialità per fare battaglia politica. Nel teatrino italiano questa marionetta non ci sta!

Alla ricerca del posto (auto) perduto

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olpo gobbo all’italiana. Così recita il titolo di un film del lontano 1962 diretto da Lucio Fulci. Lunghissimo sarebbe l’elenco delle scelte ‘sui generis’ alle quali richiamarsi e per le quali si sono distinti, in questi due anni e mezzo di amministrazione (o disamministrazione che dir si voglia), il nostro caro sindaco Macci ed i suoi assessori. Stavolta, però, vogliamo focalizzare la nostra attenzione su una delle ultime decisioni prese dall’assise comunale, una di quelle che lasciano un po’ basiti. Parliamo dell’appalto per i parcheggi della stazione ferroviaria di Fossanova, snodo di grande rilevanza logistica sulla tratta Roma - Napoli. Palesemente insufficienti ormai da molto tempo, i parcheggi erano e restano il problema maggiore per chi voglia usufruire della stazione ferroviaria privernate. Dato il grande flusso di viaggiatori (ricordiamo che secondo alcune stime la stazione di Priverno Fossanova ha un bacino di utenza di circa 60.000 persone, raccogliendo i viaggiatori, oltre che di Priverno, anche di Sonnino, Roccasecca dei Volsci, Pontinia, San Felice Circeo e Sabaudia), i posti auto disponibili finiscono presto (già alle 7 di mattina diventa una vera impresa riuscire a trovare un posteggio nelle vicinanze della stazione) e chi arriva dopo è costretto ad arrangiarsi come può. Così i poveri pendolari sono costretti, a volte, a parcheggiare le proprie automobili anche a parecchie centinaia di metri, andando a sistemarsi o ai lati della strada di accesso alla stazione o ai margini di Via Starturo (la traversa precedente provenendo da Priverno). È un problema di strettissima urgenza, quindi, quello dei parcheggi per la stazione di Fossanova e non è di certo l’immobilismo, a tal riguardo, che si vuole

contestare all’amministrazione comunale, quanto, piuttosto, lo strano modo con cui lo si vuole risolvere. Già la precedente giunta comunale di centro-sinistra, quella guidata da Mario Renzi, aveva rilevato la gravita della situazione ed aveva realizzato un progetto, finanziato con la legge 122 del 1989, la cosiddetta legge Tognoli. Un’idea ambiziosa, che prevedeva la realizzazione di un parcheggio su due piani, per un totale di altri 175 posti auto. Il progetto, già divenuto esecutivo, non viene però appaltato dall’amministrazione Renzi a causa dei lunghi tempi che la burocrazia richiede. Sarebbe spettato, quindi, all’amministrazione Macci l’appalto dei lavori, finanziati con circa 1 milione e 200 mila euro. E in un primo momento sembra questa l’intenzione del sindaco: seguire la strada tracciata dal suo predecessore. Tant’è che, con una delibera dell’agosto 2004, viene approvato il bando per la gara d’appalto. Insomma, l’iter burocratico procede regolarmente e tutto sembra portare verso una celere soluzione del caso. Ma così non è. Ad una settimana dall’approvazione del bando, la situazione sul tavolo si trasforma. L’amministrazione di centro - destra, infatti, cambia repentinamente idea e ritira il bando di gara. Dopo appena una settimana, per Macci & Co. tutto muta, e quello che prima era un progetto realizzabile e con una congrua copertura finanziaria, non può essere più messo in atto e bisogna ripensare il tutto. Quali le possibili motivazioni? Sforzando l’ingegno se ne possono individuare due: o un errore di valutazione sui reali costi di realizzazione del progetto, oppure valutazioni di convenienza sulle quali non si possono fare supposizioni. Quella addotta dal sindaco Macci, invece, è di quelle più logiche: il finanzia-

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mento non copre il progetto attuale e anno. Questo a meno di ribassi in fase siamo costretti a ripensare il tutto. Così d’asta. si decide di non procedere più con la Insomma, un vero e proprio salasso per gara di appalto semplice, ma si passa tutti quei lavoratori e studenti che ogni all’assegnazione in concessione del pro- giorno si recano a Roma oppure nel sud getto. Decisione, questa, presa nel con- della provincia utilizzando il treno. siglio comunale del 19 dicembre e Facendo due rapidi conti, un operaio che molto contestata dall’opposizione di si reca a lavorare a Roma, con uno stipendio medio di circa centro-sinistra. 1000 - 1200 euro, Ma, se vogliamo, deve così spendere anche qui la decisione quasi 200 euro tra degli amministratori abbonamento del lepini può apparire treno e abbonamento logica e, anche se per il parcheggio. non totalmente inapSottraendo a quel puntabile per le poco che rimane i modalità con le quali soldi per le bollette, ci si è arrivati, si per i consumi primari potrebbe anche ed eventualmente accettare. Quello che anche quelli per l’afinvece appare inacUn’immagine della stazione di Fossanova fitto si capisce che cettabile è la sostanza del nuovo progetto. Le spese che non arrivare alla fine del mese diventa un verranno coperte con il finanziamento impresa biblica o quasi. previsto, saranno totalmente a carico La scelta dei nostri cari amministratori, della società assegnataria, che ‘riceverà insomma, si è dimostrata, come molto in cambio’ la gestione del parcheggio spesso accade, davvero poco convenienper i prossimi trenta anni. Attraverso la te per noi poveri cittadini. Bisognerebbe gestione, l’azienda appaltatrice dovrà prevedere altre forme di finanziamento riuscire, in un modo o nell’altro, a ripa- per la messa in opera del progetto e per garsi delle spese per la realizzazione e la gestione del parcheggio, in modo da per la gestione che si troverà ad affron- non far ricadere l’intero costo, o quasi, tare. Insomma, per dirla in breve, il par- sulle tasche degli utenti. Ma, almeno per il momento, su questo fronte non si cheggio sarà a pagamento. I prezzi, decisi nel nuovo bando di gara, muove una foglia. sono tutt’altro che popolari: 7 euro per Luigi Teodonio un giorno, 96 per un mese e 980 per un

l o c a LA SITUAZIONE NEGLI ALTRI COMUNI l Sono nove le altre stazioni appartenenti alla nostra provincia che si trovano sulla tratta ferroviaria Roma - Napoli. partendo da sud: Minturno-Scauri, Formia, Itri, - Sperlonga, Monte San Biagio, Sezze, Latina, Cisterna e Campoleone. e Fondi Prendiamo ad esempio tre di queste stazioni: Sezze, Latina e Formia.

Per quanto riguarda Sezze, ci troviamo molto probabilmente alla miglior situazione della provincia, per quanto riguarda i parcheggi. Sono ben due le aree in cui è possibile posteggiare l’auto ed ambedue gratuite. A Latina la situazione è un po’ più caotica, ed i posti auto sono merce rara, ma in compenso nel capoluogo si parcheggia gratuitamente. A Formia, invece, il parcheggio è a pagamento, ma, a differenza di Priverno, è prevista una convenzione tra gli abbonati a Trenitalia e la società che gestisce il parcheggio, con gli utenti che se la ‘cavano’ con circa 200 euro annue.

Non capiscono, o fanno finta di non capire

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’ sceso in campo persino Cusani a difendere il suo sindaco Macci (ma sostanzialmente se stesso) dalla nostra accusa di non tener in alcun conto il territorio di Priverno riguardo le politiche di “spesa” dell’amministrazione provinciale. È una difesa che in realtà non funziona perché semplicemente parte da una premessa sbagliata: non si tratta di ribattere all’accusa che questo territorio non riceva nulla dalla Provincia; sappiamo

“Cusani scende in campo per difendere il suo sindaco Macci, ma il nostro territorio è ormai dimenticato” bene che ci sono leggi regionali per le quali La Pisana passa all’amministrazione provinciale risorse che questa gira poi in modo più o meno equo ai comuni (Diritto allo studio, Musei, Biblioteche, ecc). O anche politiche autonome decise dall’Amministrazione di via Costa come quella di aiutare i piccoli comuni cosicché “automaticamente” tutte le amministrazioni che ricadono in una fascia demografica hanno diritto ad un certo contributo. Il problema che noi poniamo si riferisce alle “scelte” che la giunta Cusani fa rispetto alla destinazione di risorse a volte anche ingenti (è il caso della decina di milioni di euro in occasione dell’assestamento di Bilancio di qualche mese fa) e che puntualmente privilegiano territori nei quali evidentemente il Centro Destra ritiene di aver maggiori interessi elettorali: di certo non Priverno. Al cui territorio viene in realtà riservato

si un qualche interesse (anche perché l’opposizione si fa sentire) ma tutto costruito su impegni finanziari futuri e assolutamente incerti. Così ad esempio i marciapiede di Madonna delle Grazie e di Fossanova o la rotonda di Osteria si faranno, forse, con mutui da contrarre nei prossimi anni. Mentre i soldi contanti, da utilizzare subito, vengono destinati altrove. L’ultimo esempio di quest’atteggiamento sta in un colpo di mano che la maggioranza di centro - destra ha effettuato il 27 dicembre scorso, in piena pausa festiva. Senza che la minoranza fosse in alcun modo coinvolta, si sono distribuiti centinaia di migliaia di euro per iniziative sulla cultura e per interventi sulle chiese dei Centri Storici. Priverno non è nemmeno menzionata (ma il Comune, almeno per le chiese, aveva avanzato qualche richiesta?). Tra qualche settimana inizierà il dibattito sul Bilancio 2006: verificheremo puntualmente l’interesse della Giunta Cusani per Priverno, e poi informeremo i cittadini. SVINCOLO FORNACE E 156 : MACCI SCOPRE LA REGIONE Non riesce ad ottenere nulla dai suoi amici della provincia, ma da un po’ di tempo il sindaco Macci ha imparato ad alzare la voce con la regione. Con Storace stava zitto e buono quando questi veniva ad inaugurare la FrosinoneMare facendo finta di non vedere lo scandalo dello svincolo di Fornace; addirittura accucciato con Fazzone quando l’ex padroncino della Regione veniva a sbandierare finanziamenti inesistenti per la 156. Ora, improvvisamente, si è accorto che per intervenire sull’uscita della superstrada, sui due ponti e sull’imbocco della

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Marittima a Fornace ci vogliono milioni di euro (come noi andiamo dicendo da due anni), e non la mancia elettorale del suo amico Cirilli; e che, se grazie all’impegno nostro e della Margherita ci sono finalmente le risorse vere per impedire la chiusura della vecchia Marittima e inguaiare decine di commercianti, restano aperte altre questioni (una soprattutto: dove porta quella strada che ad oggi finisce in aperta campagna?). E allora un giorno sì e l’altro pure chiama in causa il presidente Marrazzo, dimenticando che per la nuova 156, ad esempio, all’ex presidente Storace e al sindaco Zaccheo non sono bastati cinque anni

anni di silenzi d il“Dopo sindaco scopre che a esiste la regione, l ed inizia a lamentarsi” l per definirne almeno il tracciato e proa grammare il contestuale inizio dei lavori del 3° Lotto, per evitare il paradosso di una strada che non porta da nessuna parte.

p RIFIUTI: CHE FARE? r Gea può anche essere relatio Cancellare vamente facile (del resto dove passa non cresce più l’erba), un po’ più v Macci difficile sembra essere la costruzione di che garantisca un servizio più i qualcosa efficace ed efficiente insieme alla garanper l’occupazione di chi a Gea ha n zia lavorato per più di un decennio. di conoscere gli orientamenti c Indei attesa nostri giovani e spensierati ammini(ormai stanno perdendo la i stratori pazienza anche i loro amici del comprenci limitiamo a prendere atto che a sorio) questo paese non è mai stato così sporco e privo di cura come in questo momento, che l’assenza totale di qual-

siasi servizio di raccolta di rifiuti ingombranti (elettrodomestici ed altro) insieme a comportamenti poco civili di molti, sta provocando nel territorio la diffusione di decine e decine di microdiscariche per risanare le quali saranno necessarie risorse umane e materiali immense; e che nonostante sia da tutti ammesso che una delle strade da percorrere per affrontare il tema dei rifiuti sia lo sviluppo della raccolta differenziata, noi siamo ancora al palo.

Problema ingombrati: basterano i volontari per risolverlo?

DISSESTO IDROGEOLOGICO: CHE FA IL COMUNE? A Cesare quel che è di Cesare; in occasione delle precipitazioni torrenziali delle scorse settimane gli uomini e i mezzi dell’Amministrazione Provinciale (insieme alla Protezione Civile) hanno fatto tanto e bene, evitando guai peggiori (vedi Madonna delle Grazie). Ma non basta intervenire “dopo”. È necessario prevenire, con un piano serio di riassetto di tutte le aree che in questi anni hanno subito gravi danni e che ora rappresentano un pericolo per i cittadini. L’amministrazione comunale ha tanto sbandierato un finanziamento statale per opere di risanamento ambientale proprio in quelle aree: cosa aspetta a spenderli?

Federico D’Arcangeli

Vasilij Kandinsky e le armonie musicali dell’arte

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rovate a pronunciare insieme a me la p a r o l a “A r t e ”. Non preoccupatevi, non vi sta guard a n d o nessuno in q u e s t o momento. Se pure vi Vasilij Vasil'evic Kandinskij guardano, penseranno che anche voi avete un amico immaginario. Ecco, se il vostro coraggio ha prevalso, allora ditemi: cosa suscita in voi questo termine? Ad alcuni fa venire in mente, non so, muse ispiratrici, grandi accademie, am-bienti colti ed aulici, corti dove il mecenatismo e l’amore per il classico regna sovrano. Ad altri invece, magari, suscita solo un rapido formicolio al piede sinistro. Se siete tra questi ultimi, vi consiglio caldamente di farvi visitare da un neurologo, mentre se appartenete alla prima categoria, allora è già un passo avanti: il titanico obiettivo che questa rubrica si pone di raggiungere nell’arco del tempo, sarà disfare questa obsoleta visione dell’arte che da tanti fronti viene invece osannata. Chiariamo i ruoli, non siamo alla ricerca di verità metafisiche; né tanto meno vogliamo arrivare alla suprema quanto presuntuosa definizione di questa ineffabile attitudine creativa; tuttavia possiamo ben dire cosa l’arte non è, e potete star sicuri che affermando che spesso non si trova nei musei o nelle accademie, o meglio, non solo in quelle, non erriamo molto. Come alcuni tra i più acuti di voi avran-

no concluso, questa rubrica non parla di gastronomia, anche se viviamo in un periodo in cui la moltitudine di aree e soggetti che passano sotto la denominazione di “arte” è talmente vasta da far sembrare difficile che qualsiasi attività umana, tranne un paio che rientrano tra i bisogni fisiologici, non vi appartenga, o che almeno non abbia una “versione artistica”. Stiamo però complicando le cose più di quanto esse lo siano già. Siamo qui per presentare solamente autori, opere, correnti e confortante umanità, inoltre ci sono delle regole; per cui oggi parleremo di Kandinsky (giustamente lamentoso per lo spazio rubato finora da questa per voi terribile prefazione). Mi sembra doveroso inaugurare con un autore cronologicamente vicino a noi, sensibile e sinestetico per via di certe relazioni con la musica, tramite i suoi dipinti che per l’ignoranza possono sembrare solamente “scarabocchi”, ma che in realtà non lo sono. Vediamo perché: Vasilij Kandinskij (firma Kandinsky) nasce a Mosca il 4 Dicembre 1866. Pittore, la sua era una famiglia benestante. Molti critici sono d'accordo nell'affermare che i viaggi che fece con i genitori in Italia furono decisivi per la sua straordinaria attitudine cromatica. A me, visto che aveva appena tre anni allora, piace pensare che era un bambino normalissimo. Subì in infanzia delle separazioni, dalla madre prima di tutto e dalla sua città natale, cui tornerà per le lezioni di musica e per gli studi liceali di diritto, ai quali sarà pienamente dedito. Difatti, fino a circa i trenta anni, della sua attività artistica ci pervengono solamente qualche disegno di Mosca e pochi dipinti, che, certo, documentano la sua talentuosa inclinazione, ma che non lasciano presagire affatto che questa, finora relegata al tempo libero, avrebbe

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così radicalmente sovvertito la vita del giovane fino a fargli abbandonare una carriera politica brillantemente avviata, come invece fu. Il primo presagio di cambiamento infatti, si verificò quando Kandinsky era già laureato e sposato con la cugina Anja: la mostra degli impressionisti francesi a Mosca nel 1896, che lo affascinò e turbò, portandolo, dall'osservazione dell'opera “i Covoni” di Claude Monet, a gravidare e sviluppare quella che diventerà nel tempo la sua vocazione per un'arte atipica, paradossalmente, nonostante la sinergia con la musica, in quel tempo dissonante. La formazione di Kandinsky si avrà infatti dallo sviluppo graduale delle sue influenze, tanto di Wagner quanto degli impressionisti (visiterà spesso Parigi, fino a stabilirvisi) e da un abbandono crescente verso quella che considera la “mimesi” dell'arte, intesa come imitazione della realtà alla quale mai aderirà. Arriverà a questa concezione solo dopo un lungo percorso

Vasilij Kandinsky “Su bianco II” 1923, Olio su tela, 105x98 cm

sia tecnico (sappiamo che studiò pittura più volte e in più scuole, tra le quali ricordiamo quella di Franz Von Stuck, ove entrò non senza fatica e conobbe Paul Klee, altra grande figura di spicco da cui e con cui si influenzò) sia intellettuale, in quanto Kandinsky sarà tra l'altro grande teorico dell'arte, soprattutto negli anni di insegnamento nella scuola Bauhaus di Weimar, in cui, ormai con una conoscenza abbastanza chiara, elaborò vari metodi didattici di insegnamento e scrisse diverse opere. Al centro della sua elaborazione teorica la codificazione degli elementi visivi secondo una precisa grammatica (Punto, linea, superficie) e una visione dell'arte (Dello spirituale nell'arte) in cui l'oggetto non fosse il vero scopo della tela, che scopriva invece la sua dimensione nelle sensazioni, nelle forme e nell'atto del confronto, del legame che con essa si instaurava, senza filtri o deviazioni metaforiche e contenutistiche. Si ricorda a tal proposito un aneddoto, secondo il quale il pittore entrando nel suo studio fu colpito dalla meravigliosità di un dipinto e delle sensazioni che gli trasmetteva. Scoprì poco dopo che si trattava di una sua tela che era stata riposta al contrario sul cavalletto, ma questo gesto aveva talmente rotto i legami con la codificazione oggettuale, che l'artista ne trasse profondo insegnamento. Ecco quindi, che l'arte si rivela nella sua totalità, acquisendo le sfumature e le armonie musicali negli accordi cromatici e dando vita ad un meccanismo di per sé poco codificabile, che ci lascia spettatori. Ciò viaggia parallelamente alla vita di Kandinsky, che intanto ha rifuggito due guerre mondiali, viaggiando tra Monaco di Baviera, Mosca e infine Parigi, ricoperto con dedizione cariche culturali lasciando dopo la sua morte nel 1944 una profonda eredità all'arte contemporanea.

Livio Fania

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Lo scandalo del contraddirmi C

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LA VITA

crivere di Pasolini. Pensare a Pasolini. Riflettere su Pasolini. Un fiume di acqua limpida e torbida. Una giornata d’aria cristallina e offuscata. Il sapore malinconico negli sguardi distratti e bistrattati dei suoi ragazzi di vita…E’ già tutto qui e risulta assai complicato esprimerne il senso attraverso le parole. Non è soltanto lo scrittore di cui poter parlare; non è soltanto la poesia da dover parafrasare; non è soltanto il film su cui potersi abbandonare. Lo rivedo piccolino nascere a Bologna il 5 marzo del 1922 (primogenito di una maestra elementare friulana e di un tenente di fanteria) e trascinato subito in giro per varie città del nord Italia: “Hanno fatto di me un nomade. Pas-savo da un accampamento all’altro, non avevo un focolare stabile”. Visti i numerosi spostamenti, l'unico punto di riferimento della famiglia Pasolini rimane Casarsa. Pier Paolo vive con la madre un rapporto di simbiosi. “Mia madre era come Socrate per me. Aveva e ha una visione del mondo certamente idealistica e idealizzata. Lei crede veramente nell'eroismo, nella carità, nella pietà, nella generosità. Io ho assorbito tutto questo in maniera quasi patologica”. Pur fra gli innumerevoli trasferimenti il rendimento scolastico di Pasolini è buono: conclude gli studi liceali a 17 anni e si iscrive all’Università di Bologna, facoltà di Lettere. Appartiene a questo periodo la partecipazione alla redazione di una rivi-

sta, “Stroligut”, con amici letterati friulani con cui ha creato l'Accademiuta de lenga furlana. Il dialetto rappresenta una sorta di opposizione al potere fascista: "Il fascismo non tollerava i dialetti, segni / dell'irrazionale unità di questo paese dove sono nato / inammissibili e spudorate realtà nel cuore dei nazionalisti". L’uso del dialetto rappresenta anche un tentativo di privare la Chiesa dell'egemonia culturale sulle masse sottosviluppate. Mentre la sinistra predilige l’uso della lingua italiana, il dialetto è una prerogativa clericale e Pasolini tenta di portare anche a sinistra un approfondimento in senso dialettale della cultura. Gli anni della seconda guerra mondiale vedono Pasolini piangere la morte del fratello Guido, il quale aveva intrapreso la lotta partigiana, aggregandosi alla divisione Osoppo. Nel febbraio del 1945 il partigiano Guido viene ucciso dai partigiani della brigate garibaldine, insieme al comando della divisione Osoppo. “Egli morì in un modo che non mi regge il cuore di raccontare: avrebbe potuto anche salvarsi, quel giorno: è morto per correre in aiuto del suo comandante e dei suoi compagni. Che la sua morte sia avvenuta così (…) mi conferma soltanto nella convinzione che nulla è semplice, nulla avviene senza complicazioni e sofferenze”. Nel 1945 Pasolini si laurea e si stabilisce in Friuli. Qui trova lavoro come insegnante in una scuola media di Valvassone, in provincia di Udine. In questi anni comincia la sua

i n e m a e l e t t t e r a t u r a

zione al settimanale del partito "Lotta e lavoro". L'adesione al Pci rappresenta per il giovane poeta un atto di profondo coraggio: intendeva con ciò sacrificare il profondo dolore inferto a sé e alla propria famiglia a un ideale sociale da condividere in pieno con quello stesso Pc friulano che aveva ispirato politicamente gli assassini del fratello. Il 15 ottobre 1949 Pasolini viene segnalato ai Carabinieri di Cordovado per corruzione di minorenne ed è l'inizio di una delicata e umiliante trafila giudiziaria che cambierà per sempre la vita del poeta: Pasolini viene accusato di essersi appartato il 30 settembre 1949 nella frazione di Ramuscello con due o tre ragazzi. La denuncia viene ripresa sia dalla destra che dalla sinistra e prima ancora che si svolga il processo, il 26 ottobre 1949, Pasolini viene espulso dal Pci e perde il posto di insegnante. Decide così di fuggire da Casarsa, dal suo Friuli spesso mitizzato; insieme alla madre si trasferisce a Roma: è l'inizio di una nuova vita. I primi anni romani sono difficilissimi, proiettato in una realtà del tutto inedita quale quella delle borgate romane. Sono tempi d'insicurezza, di povertà, di solitudine. “Nei primi mesi del ’50 ero a Roma con mia madre (…), avevo cominciato a scrivere le prime pagine di Ragazzi di vita. Ero disoccupato, ridotto in condizioni di vera disperazione: avrei potuto anche morirne. Poi con l'aiuto del poeta in dialetto abruzzese Vittorio Clemente

trovai un posto di insegnante in una scuola privata di Ciampino, a venticinque mila lire al mese”. È il periodo in cui tenta la strada del cinema, ottenendo la parte di generico a Cinecittà; fa il correttore di bozze e vende i suoi libri nelle bancarelle rionali. Sono gli anni in cui Pasolini trasferisce la mitizzazione delle campagne friulane nella cornice disordinata della borgate romane, viste come centro della storia, da cui prende spunto un doloroso processo di crescita: nasce il mito del sottoproletariato romano. Nel 1954 Pasolini abbandona l'insegnamento e pubblica il suo primo importante volume di poesie dialettali: La meglio gioventù. Nel 1955 pubblica con Garzanti il romanzo Ragazzi di vita, che ha un vasto successo, sia di critica che di lettori. Il giudizio della cultura ufficiale del Pci è in gran parte negativo. Il libro viene definito intriso di "gusto morboso, dello sporco, dell'abietto, dello scomposto, del torbido". La Presidenza del Consiglio (nella persona dell'allora ministro degli Interni, Tambroni) promuove un'azione giudiziaria contro Pasolini e Livio Garzanti. Il processo si conclude con l'assoluzione perché "il fatto non costituisce reato". Il libro, per un anno tolto dalle librerie, viene dissequestrato. Pasolini diventa uno dei bersagli preferiti dai giornali di cronaca nera e viene accusato di reati al limite del grottesco: favoreggiamento per rissa e furto; rapina a mano armata ai danni di un bar limitrofo a un distributore di benzina a San Felice.

ta. La faccia deformata dal gonfiore è nera di lividi, di ferite. Nere, livide e rosse

di sangue anche le braccia, le mani. Le dita della mano sinistra fratturate e tagliate. La mascella sinistra fratturata. Il naso appiattito deviato verso destra. Le orecchie tagliate a metà, e quella sinistra divelta, strappata via. Ferite sulle spalle, sul torace, sui lombi, con il segni dei pneumatici della sua macchina sotto cui era stato schiacciato. Un'orribile lacerazione tra il collo e la nuca. Dieci costole fratturate, fratturato lo sterno. Il fegato lacerato in due punti. Il cuore scoppiato. Nella notte i carabinieri fermano un giovane, Giuseppe Pelosi, detto "Pino la

militanza politica. Nel 1947 dà la propria

1 2 adesione al Pci, iniziando una collabora-

C i n e m a e

l e t t t e r a a mattinaLAdelMORTE 2 novembre 1975, sul Llitorale romano di Ostia, in un campo t incolto in via dell'idroscalo, una donna, Maria Teresa Lollobrigida, scopre il cadau vere di un uomo. È Ninetto Davoli a ricoil corpo di Pier Paolo Pasolini. r noscere Giace disteso bocconi, un braccio sanguinante scostato e l'altro nascosto dal a corpo. I capelli impastati di sangue gli ricadono sulla fronte, escoriata e lacera-

rana" alla guida di una Giulietta 2000 che risulterà di proprietà di Pasolini. Il ragazzo confessa l'omicidio. Racconta di aver incontrato Pasolini presso la Stazione Termini e, dopo una cena in un ristorante, di aver raggiunto il luogo del ritrovamento del cadavere; lì, secondo la versione di Pelosi, Pasolini avrebbe tentato un approccio sessuale e, vistosi respinto, avrebbe reagito violentemente; questo avrebbe scatenato la reazione del ragazzo. Il processo che segue porta alla luce retroscena inquietanti. Si ipotizza da diverse parti il concorso di altri nell'omicidio. Non vi sarà mai chiarezza su questo punto. Pino Pelosi viene condannato, unico colpevole, per la morte d i Pasolini. Il poeta d e l l a “disper a t a vitalità” è sepolL’agghiacciante immagine di Pasolini, to nel piccolo cimitero di Casarsa, nel suo mai dimenticato Friuli. Nella tomba, indossa la maglia della "Nazionale Italiana Spettacolo", la squadra calcistica che ancora oggi ha tra i suoi giocatori Ninetto Davoli e di cui fu uno dei fondatori. "E' dunque assolutamente necessario morire, perché finché siamo vivi manchiamo di senso, e il linguaggio della nostra vita è intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità. La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita:

ROMANZI & POESIA

R

agazzi di vita, romanzo del 1955, in cui a fine lettura rimane una sensazione di malessere e tristezza: adolescenti della periferia di Roma e le loro giornate trascorse alla ricerca di soldi e passatempi, sottoproletari con alle spalle famiglie sfrattate, ammucchiate insieme ad altre famiglie in stanze e corridoi

ossia sceglie i suoi momenti veramente significativi e li mette in successione, facendo del nostro presente, infinito, instabile e incerto, e dunque linguisticamente non descrivibile, un passato chiaro, stabile, certo, e dunque linguisticamente ben descrivibile (nell'ambito di una semiologia generale). Solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci”. Nel 2005, a trent'anni dal barbaro omicidio, Pino Pelosi si è presentato alla trasmissione televisiva "Ombre sul giallo" di Franca Leosini e, in presenza dei due esterrefatti avvocati di parte civile al processo del 1975-76, Guido Calvi e Nino Marazzita, ha dichiarato che l'autore del delitt o Pasolini non fu lui, ma a l t r e persone “ c o n l’accento del sud” di cui riverso a terra all’idroscalo di Ostia tuttavia non conosce l'identità. Anzi, ha aggiunto che li vide per la prima volta quel 2 novembre 1975. Lo minacciarono di fare del male alla sua famiglia se avesse parlato. E lui si adeguò. Dopo una prima riapertura del fascicolo giudiziario i magistrati di Roma hanno, almeno per il momento, concluso che non sembrano esserci elementi per la riapertura delle indagini sul delitto. Tutto è demandato all'ulteriore istanza avanzata dal Comune di Roma, che si è costituito parte offesa e intende presentare nuovi elementi probatori. di edifici fatiscenti. Non si riesce a non rimanere coinvolti e a non provare un senso di colpa davanti a tanta disperazione: nel 2006 non possiamo pensare che quella raccontata da Pasolini sia una realtà riscontrabile solo negli anni in cui scriveva giacchè lo sfratto è un problema attualissimo. E l’indifferenza, anzi l’assenza dello Stato che dovrebbe aiutare, allora come adesso, è più attuale

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Settanta venivano espresse da questo scrittore, quasi a precorrere situazioni e L’ultima fatica narrativa di Pasolini si avvenimenti dei giorni nostri. In Petrolio chiama Petrolio. Libro dalla copertina vi è perfino (p. 546) un appunto che concompletamente bianca, colore della tiene un accenno inquietante: «La bomba purezza e della castità, della verginità e viene messa alla stazione di Bologna. La dell’innocenza, colore del divino e del- strage viene descritta come una l’assenza di colore; soltanto il titolo è in 'Visione'». La strage alla stazione di rosso, colore archetipico. Quando, nel Bologna è del 2 agosto 1980 e, in questo 1992, Einaudi scelse il “tutto bianco” per suo ultimo romanzo incompiuto, pare che la copertina di Petrolio, la scelta fu la la "visione" l'abbia avuta proprio Pasolini! migliore: il libro è un canovaccio, è un Per quanto riguarda la poesia voglio ricordare la manoscritto raccolta Le incompiuto, ceneri di è una scatola Gramsci e che contiene l’omonima materiali impuri, è il Il sogno di una cosa (1950); Ragazzi di vita (1955); Una poesia: vi è il bianco dei vita violenta (1959); Amado mio - Atti impuri (1962, all’inizio f a n t a s m i , postumo, 1982); Alì dagli occhi azzurri (1965); Teorema contrasto tra delle appari- (1968); Petrolio (postumo 1975); Storie della città di Dio il laico cimizioni, della (postumo 1995); La divina mimesis (postumo 1995); Un tero in cui è s e p o l t o morte, della paese di temporali e di primule (postumo 2001). G r a m s c i paura e del(cimitero l’inquietudine. Così La meglio gioventù (1954); Le ceneri di Gramsci (1957); degli Inglesi d i c e v a L'usignolo della chiesa cattolica (1958); La religione del mio a Roma) e il P a s o l i n i tempo (1961); Poesia in forma di rosa (1964); Trasumanar lontano battere delle all’inizio del e organizzar (1971); La nuova gioventù (1975). incudini dal 1975 : ” Sto quartiere lavorando popolare di (…) ad un Accattone (1961); Mamma Roma (1962); La ricotta (1963) Testaccio, non l u n g o La rabbia (1963); Comizi d'amore (1963-64); Il Vangelo lontano da lì, romanzo, di secondo Matteo (1963-64); Uccellacci e uccellini (1965); La ma già un almeno dueterra vista dalla luna (1966); Edipo re (1967); Che cosa altro mondo, mila pagine. sono le nuvole? (1967); Teorema (1968); La sequenza del un'altra vita. S'intitolerà fiore di carta (1968); Porcile (1968-69); Appunti per Il Gramsci di Petrolio. ". In un'Orestiade africana (1968-69); Medea (1969-70); Il quel cimitero questo suo Decameron (1970-71); Le mura di Sana'a (1970-71); I racnon è quello u l t i m o conti di Canterbury (1971-72); Il fiore delle Mille e una notte della prigioromanzo, (1973-74); Salò o le centoventi giornate di Sodoma (1975). nia, della Pasolini ritorna su alcuni dei temi che egli preferisce: lotta, "non padre, ma umile fratello", la "mutazione antropologica" a causa quindi indifeso e solitario. È riscontrabile della quale ormai tutta una popolazione in questa idealizzazione di Gramsci la si è trasformata in neo-borghesia, la figura del fratello partigiano assassinato: sparizione del "popolo puro", portatore anch'egli giovane e indifeso. Ma il centro di grandi valori, l'identificazione dei del poemetto si sposta sulla figura del democristiani con i fascisti. Una rifles- poeta, attraverso il verso famoso “Lo sione che si trova leggendo Petrolio, è la scandalo del contraddirmi, dell'essere / validità e l'attualità di certe analisi e di con te e contro di te; con te nel cuore, / certe previsioni che già negli anni in luce, contro te nelle buie viscere”. che mai, a parte quando “tutela l’ordi-

1 4 ne”.

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Le Opere

La Narraticva

La Poesia

Il Cinema

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IL CINEMA

asolini oltre ad imporre uno stile personale nel mondo della poesia, della saggistica e della narrativa, racconta le sue storie pittoresche e colorate, dando una rappresentazione, come affermò Gadda, “lucida e spietata delle persone e degli atti o degli ambienti”, anche in film come “Mamma Roma”, “Accattone” ed “Uccellini e uccellacci”. Pasolini vive il cinema in modo rivoluzionario e profondo, poiché il suo pensiero non si realizza nei film, ma è anteriore ad essi; la realtà non è uno schema mentale ma è una lingua, che può essere visiva o orale, primitiva, una dimensione in cui i personaggi interagiscono. Una “nuova” lingua che, secondo Pasolini, entrerà nella scrittura insieme ad altre forme d'arte come la pittura, il ballo, o più semplicemente la poesia e la saggistica. La differenza? Quest’ultime forme sono evocative ed ognuno può interpretarle come vuole, seguendo le sue inclinazioni o i suoi ideali, al contrario della lingua visiva pasoliniana, dalla quale emerge una interpretazione tautologica, dove le cose sono come sono, senza il bisogno dell’inserimento da parte del fruitore di interpretazioni che potrebbero diversificare il vero significato delle cose o degli atti raccontati. Quindi seguendo il pensiero di Pasolini un povero, ad esempio, per la lingua scritta può esser un uomo che soffre o un nulla tenente, frutto di una qualsiasi ragione che può andare dalla sfortuna al pre-intenzionamento; nella lingua visiva o orale, invece, un povero non è nient’altro che un povero. Dietro questo modo di pensare e di agire, che può sembrare minimalista, troppo semplice, un mondo che presuppone doppiatori non professionisti o una macchina da presa tenuta sulla spalla

indebolendo la qualità delle inquadrature, oppure storie narrate in modo diretto, senza intrecci o situazioni complicate, si nasconde un grande regista. Il ruolo di Pasolini è fondamentale: è lui che inventa un giusto piano da seguire e segna il montaggio discorsivo della storia. Un film che abbia effetti speciali, che sia ben orchestrato e con bravi attori è facile che diventi un capolavoro, ma Pasolini è riuscito a creare film capolavoro da materiale quotidiano, quasi elementari o dilettantistico, film che ormai sono conosciuti da tutti. Come mai? la risposta non va ricercata nella trama, nella curiosità o nel saper cosa ne pensa un intellettuale, quale Pasolini è, di un tale argomento ma va ricercata, come nelle sue opere narrative, nella sua scelta di esser diverso, e nella scelta di non narrare storie “da film”; esso racconta storie quotidiane, molto più vicine al popolo e/o parlanti del popolo stesso, narra vicende di persone “normali” che non hanno alternative vie d’uscita. E’ questo quello che fa di pasolini un condottiero che sbatte in faccia la verità e descrive i ragazzi e la loro situazione in cui allora vivevano. Pasolini amava distinguere i suoi film in quattro “fasi” o cicli: - Un ciclo realistico e ideologico che va dal 1961 al 1966. Nei primi tre anni crea film come, “Accattone” (1961), “Mamma Roma” (1962), “ La Ricotta” (1963) in cui viene descritta l’amata, e nello stesso tempo odiata, realtà delle borgate romane, dove il modello ispiratore è tratto dai romanzi scritti in precedenza. Nei successivi due anni dirige, invece, due film: “Il vangelo secondo Matteo” in cui prevale un messaggio cristiano: la religione è un valore primogenito, e non ha nulla a che vedere con le volgarità del mondo attuale; e “Uccellacci e uccellini” (1965), in cui prevalgono i valori politici e apolitici gra-

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zie anche a una spettacolare prestazio-

1 6 ne di Totò;

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- Un ciclo mitico-psicoanalitico che va dal 1967 al 1970, in cui vengono rielaborati modelli antichi e moderni con una fittissima rete di elementi e/o immagini simboliche che servono per descrivere il disgusto pasoliniano per il mondo borghese. Fanno parte di questo ciclo film come: Medea (1970) e Porcile (1969); - Del terzo ciclo, fanno parte 3 film, la Trilogia della vita, così come Pasolini amava definirli. Fanno parte di questo ciclo, che va dal 1971 per arrivare al 1974, “Decameron” (1971), “ I racconti di Conterbury” (1972), “Il fiore delle mille e una notte” (1974). In questi opere, Pasolini, vuole metter in evidenza situazioni in cui l’erotismo sia fattore di vitalità, esaltazione di valori naturali ma anche come porta verso la morte, descrivendo così la rivoluzione sessuale che negli anni 70 era diventata un marchio di fabbrica della cultura alternativa; - Nell’ultimo suo film, “Salò o le 120 giornate di Sodoma” (1975), Pasolini descrive l’orrore e la distruttività del potere riferendosi al fascismo. Questo film uscito dopo l’orribile morte di Pasolini, ricevette una lunga serie di critiche per la durezza e la perversione delle immagini. Quest’ultimo film è ambientato nel 1944-1945, durante gli anni in cui la Repubblica di Salò prendeva forma. Il film narra la storia di 4 “Signori” rappresentan i 4 poteri: il Duca (nobiliare), il Monsignore (ecclesiastico), Sua Eccellenza il Presidente della corte d'Appello (giudiziario) e il Presidente Durcet (economico), che, dopo aver catturato ragazzi e ragazze, figli di partigiani e/o loro stessi partigiani, si rinchiudono in una villa decadente fuori Salò. Ai ragazzi, non appena arrivati, viene letto un regolamento a cui dovranno prestare massima obbedienza e, ad ogni infrazione, dovranno pagare con tortura o morte. Le loro giornate sono divise in un Antinferno a tre gironi: il girone delle Manie, in cui una narratrice racconta le

sue esperienze erotiche al fine di far eccitare i Signori che poi applicheranno ciò sulle loro vittime, il girone della Merda, in cui i giovani vengono sodomizzati. Inoltre nello stesso giorno viene preparato un banchetto il cui cibo principale era rappresentato dalle loro stesse feci. Nell’ultimo girone, il girone del Sangue, i ragazzi vengono posseduti, seviziati e infine vengono uccisi. Un film che fu definito dalla critica disgustoso, sospeso tra la nausea e il vomito, senza considerare tuttavia quello che precedentemente Pasolini aveva affermato: “Oltre che la metafora del rapporto sessuale (obbligatorio e brutto) che la tolleranza del potere consumistico ci fa vivere in questi anni, tutto il sesso che c'è in Salò (e ce n'è in quantità enorme) è anche la metafora del rapporto del potere con coloro che gli sono sottoposti. In altre parole è la rappresentazione (magari onirica) di quella che Marx chiama la mercificazione dell'uomo: la riduzione del corpo a cosa (attraverso lo sfruttamento). Dunque il sesso è chiamato a svolgere nel mio film un ruolo metaforico orribile”. Èquesto il vero significato, simbolico del film: il potere, in questo caso fascista, è abituato a “violentare” il sottomesso, i ragazzi, imponendo il proprio “regime”, il codice comportamentale. E’ un’attenta condanna non solo del fascismo o del nazismo, ma anche degli anni in cui la Dc aveva un predominio incontrastato. Non bisogna fermarsi alle immagini, come precedenti film di Pasolini, ma bisogna cogliere il vero significato profondo: la sottomissione non rispetta l’uomo. Salò e le 120 giornate di Sodoma, inoltre, vuol fare aprire gli occhi al popolo italiano e lancia un messaggio veritiero per l’epoca: bisognava cambiare! Pasolini come alcuna critica affermò, non era una mente malata ma un uomo che credeva nei cambiamenti e ha cercato di aprirci gli occhi non solo con poesia o romanzi ma anche con film come questo, crudo, perverso ma libero!

Gaetano Lestingi Gildo Carinci

Felice Cascione, l’eroe che fece fischiare il vento

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na sera fredda, il fuoco che riscalda la pelle e il vino che riscalda il corpo. Una notte come tante per un partigiano, impegnato a difendere i suoi ideali di libertà e di pace, mentre nella mente rimbomba assordante un unico sogno: l’Italia libera. Libera dai fascisti e dagli occupanti nazisti, libera da una dittatura che l’aveva portata sull’orlo di un baratro, in un circolo vizioso senza ritorno. Forse è proprio in una di queste sere, che Felice Cascione, compose e magari intonò, quello che successivamente sarebbe diventato, per antonomasia, l’inno dei partigiani: “Fischia il vento” (. Si deve a lui la composizione della canzone che riscaldava i cuori degli eroi delle montagne, Un’immagine di che infondeva coraggio e speranza, della canzone che impose nella storia del popolo italiano una voglia di rivincita, di riscatto e di libertà. Felice Cascione nacque a Porto Maurizio, il 2 maggio 1918. Sua madre Maria Baiardo era un’insegnante elementare; suo padre Giobatta, discendente di una famiglia svizzera, era un fonditore di campane, che si ammalò al fronte e morì nel novembre del 1918. Dal 1920 al 1922 Felice frequenta l’asilo di Borgomaro. Quindi dal 1923 al 1928 frequenta, sotto il maestro Delfinio, le elementari a Pietra Ligure, dove la madre si era trasferita. Quando Felice si iscrive grazie a borse di studio al ginnasio ad Imperia, nell’ottobre del 1928, ha già un carattere “spiccato e deciso”. Scrive alla madre: “La mia vita sarà, come la tua, una missione. Mi laureerò in medicina e

chirurgia. Verso questo bel sogno indirizzerò tutti i miei sforzi”. Dopo aver raggiunto il suo sogno, la laurea in medicina presso l’università di Bologna (1942), Felice si iscrisse al partito comunista italiano, dove i suoi ideali antifascisti si rafforzarono a tal punto da spingerlo a scendere in piazza con la madre (che lo aveva educato secondo i valori della libertà e del rispetto dei diritti umani), per manifestare contro il fascismo. Fu dopo quella manifestazione che conobbe, per pochi giorni, il carcere. Era il settembre del 1943, alla guida dell’Italia c’era il maresciallo Badoglio. Felice Cascione uscì dal carcere qualche giorno dopo, poco prima che i tedeschi, dopo aver instaurato un governo Felice Cascione fascista fantoccio, la Repubblica di Salò, decidessero di invadere l’Italia. Il giovane, divenuto nel frattempo “U megu” (il medico), organizzò, così, una banda di giovani partigiani, la prima formazione partigiana del levante imperiose, per contrastare il nuovo invasore tedesco. Le sue vittorie schiaccianti e trionfanti ottenute sui fascisti, si alternavano al suo essere medico, alla sua professione. Durante una battaglia, quella di Montegrazie, i partigiani riuscirono a catturar due fascisti operanti nelle brigate nere, tra cui il tenente Michele Dogliotti. Dopo un sommario processo, decisero di eliminarli, ma Cascione, però, si oppose con tutte le sue forze dicendo: “Ho studiato più di 20 anni per salvare la vita della gente e non voglio che qualcuno muoia per causa mia”. Così i prigionieri furono

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S t o r i a

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costretti a spostarsi con i partigiani, e, disse: “Il capo sono io!”. Era il 27 gennadurante il riposo o la notte, il coman- io 1944, giorno in cui morì il comandandante, divideva con il tenente fascista, te Felice Cascione, medaglia d’oro al le coperte, il rancio e le sigarette, dimo- valor militare alla memoria, crivellato da strazione della grande umanità del “U decine di colpi. Questa è la storia, la stomegu”. Ma questa sua benevolenza e ria di un uomo morto da eroe, un mediuna fedeltà alla professione così assolu- co chirurgo che aveva rinunciato non ta gli costarono caro, tanto da indurlo in solo al suo lavoro, ma anche a servire una dittaerrore. t u r a , Dogliotti senza rinriuscì a negare scappare mai i suoi e tornò ideali e la p o c o sua voglia t e m p o di esser dopo con libero. Un una squaeroe che dra di non aveva n a z i vo l u t o fascisti. I rinunciare partigiani al sogno sorpresi, di vedere riuscirono l’Italia a ripielibera! Il gare ma 27 aprile Cascione 2003 gli è v e n n e s t a t o ferito, dedicato rifiutò gli un monuaiuti e mento, coprì il innalzato ripiegaalle spalle mento dei d i s u o i Alberga. uomini. La stele, M a o p e r a Emiliano donata Mercati e dallo sculG i u tore tedes e p p e s c o CastelRainer lucci non K r i e s t e r, riuscirono Fischia il Vento - versione manoscritta di Felice Cascione era stata a vedere la fine del loro compagno e cercarono di sfregiata, tre giorni prima dell’inauguraaiutarlo. I nemici erano troppi e l'azione zione, da neofascisti che avevano anche fallì subito. Mercati riuscì a fuggire, ma tentato inutilmente di scalzarla dalle Castellucci fu preso, torturato selvaggia- fondamenta, ma questa è un’altra stomente perché dicesse dove fosse il ria, che non può oscurare Felice comandante. Cascione sentendo i Cascione. Medico, comunista, partigiano lamenti di dolore del suo compagno, ed eroe. agonizzante e quasi senza voce si alzò e

Fischia il vento

S t o r i a

Gildo Carinci

Le nuove frontiere del folk

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arlare di musica a volte non è facile: esprimere un parere, una critica su uno o più generi musicali è alle volte difficile, si rischia di esternare un’opinione troppo personale esprimendo pareri magari poco obiettivi e alle volte equivoci. Un tentativo che tuttavia abbiamo scelto di compiere palando della musica folk, intesa come canto popolare tradizionale che permette di comprendere le tradizioni etno-musicali del nostro paese. La dicitura canto popolare è sicuramente generica in quanto in essa si possono racchiudere sia le musiche pensate e scritte per il popolo, la popolar music, sia le linee melodiche e le musiche provenienti dal popolo, ovvero la folk music. Nel primo gruppo rientrano la quasi totalità delle musiche che quotidianamente ascoltiamo alla radio, ma se riflettiamo a fondo sulla questione, si può dedurre che anche le musiche dei grandi compositori, essendo dedicate al popolo, si possono in qualche maniera far rientrare in questa categoria. Sicuramente la musica proveniente dal popolo risveglia, all’orecchio degli appassionati di etnomusicologia, un interesse particolare. Una musica che secondo le recenti teorie nasce insieme alla civiltà umana e con essa si sviluppa nel corso dei secoli: dalla semplice emissione suono della preistoria alla formulazione di vere e proprie linee melodiche. Nelle società e nella storia numerosi sono i canti, le melodie e gli argomenti trattati, per fare solamente alcuni esempi possiamo citare i canti epici che trattavano imprese e storie eroiche, diffusi maggiormente nei Balcani, nel nord Europa e in Medio Oriente; le ballate folk inglesi e scozzesi; i canti di lavoro (dagli schiavi afroamericani alle mondine italiane); i canti rituali (dai riti ancestrali africani ai festeggiamenti pasquali) fino

alle filastrocche e ninne nanne degli antichi canti celtici. La musica popolare intesa quindi come folk music è presente nella vita di tutti i giorni. Ad esempio i tipici canti tradizionali americani tipo la celebre “Oh Susanna” non si creda che sia un canto del far west: si tratta bensì di un’antica melodia proveniente dalle isole britanniche le cui radici si perdono nella notte dei tempi ed è giunta negli USA con l’avvento dei primi coloni inglesi. Da queste poche righe vediamo che la musica folk è radicata dentro noi, linee melodiche, metriche, strofe che ci fanno abbracciare le tradizioni musicali del territorio, facendoci scoprire suoni, strumenti, e melodie che appartengono alla nostra cultura fin dalle epoche più remote. L’Italia possiede un ricchissimo patrimonio di canti popolari, molto differenziati regionalmente, e i ricercatori hanno raccolto e catalogato centinaia di linee melodiche arcaiche. Le linee melodiche arcaiche, di tradizione orale, spesso oggi vengono tenute in considerazione da compositori di altissimo livello, che prendendo il materiale in questione, dopo una lunga ricerca lo rielaborano trasformandolo in una vera e propria opera polifonica. Come dimostrano le ricerche dell’Istituto Ernesto De Martino (Istituto per la riscoperta e la conservazione della cultura del canto popolare) in Italia le radici del folk sono molto vive e producono ogni anno centinaia di opere nuove o riadattate, che rendono il folk italiano un genere musicale tra i più produttivi d’Europa. Basti pensare che la tradizione musicale Folk italiana si estende dai canti degli alpini del nord, sino al sole della Sicilia attraversando tutto lo stivale. Da più di dieci anni si sono affacciati sul nostro panorama musicale nazionale gruppi, che hanno abbracciato tradizioni melodiche sia nazionali, che tra-

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M u s i c a

mandate da altri stati in primis USA,

2 0 Inghilterra e Irlanda.

Primi tra tutti a sposare la tradizione irlandese, (sulle orme tracciate qualche anno prima dai Pogues, uno dei più grandi gruppi folk irlandese) sono stati i Modena City Ramblers, gruppo nato

Una foto del concerto dei MCR a Lenola di luglio

M u s i c a

agli inizi degli anni novanta. I MCR, dopo accurati studi etno-musicali e dopo una serie di viaggi tra Irlanda ed Italia, sfornano, nel 1994, Riportando tutto a casa, il loro primo lavoro, a mio avviso il migliore in assoluto della loro carriera. Riportando tutto a casa è un lavoro stilisticamente perfetto: alla melodia, ricca di suoni trasportati dall’Irlanda, si uniscono testi contenutisticamente perfetti, sia ispirati alla e dalla politica (Quarant’anni e Il funerale di Berlinguer) che dalla vita quotidiana (Deliqueint ed Modna e Amhed l’ambulante). Spicca nel disco la collaborazione con uno dei grandi della musica internazionale Bob Geldof presente nel brano Il bicchiere dell’addio. È datato 1993 un altro grande album di uno dei gruppi italiani più rappresentativi della scena Folk-Rock nazionale. Loro sono i Gang ed il disco è Storie d’Italia. Sulla scena musicale ormai da vent’anni i Gang sono una delle realtà più vive, più coerenti e più combattive del Folk-Rock d’autore italiano. Questo album presenta brani politicamente indirizzati, basti citare Duecento giorni a Palermo, o Sesto S. Giovanni per capire di che pasta sono fatti i fratelli Severini. Il disco è contornato da suoni di violini e fisarmoniche, che si fondono alla perfezione con le chitarre distorte e tremo-

lanti di Sandro Severini. Da non dimenticare che gli arrangiamenti dei brani e la produzione dell’album furono curati da Massimo Bubola. Storie d’Italia è, ancora oggi, per gli intenditori del genere uno dei migliori dischi Folk-Rock italiani. Facendo una panoramica generale su alcuni gruppi folk che riempiono da qualche anno la scena musicale italiana, non si può non citare Davide Van De Sfross, cantautore comasco. Il suo è un folk orientato verso le tradizioni popolari del nord, testi originali che raccontano storie di tutti i giorni, un folk intriso di dialetto comasco e italiano. Per spaziare ancora un po' sul folk targato Italia, come non poter citare I ratti della sabina, altro gruppo di elevato spessore artistico musicale. Originari del centro Italia, propongono un folk diverso dai gruppi precedenti, poiché la loro linea melodica si snoda tra un folk più spinto, (dove fisarmonica e violino sono strumenti dominanti), di atmosfere di tradizione irlandese, mista ad un folk a tratti balcanico, fino a ballate di folk tradizionale italiano. Da non dimenticare i calabresi de Il parto delle nuvole pesanti, i Luf un nuovo gruppo del nord Italia, e per ultimi, non per ordine di bravura la Bandabardò e i Folkabestia. In chiusura, un omaggio ai Legittimo Brigantaggio, gruppo folk locale. Violino e fisarmonica, affiancati da un ritmo forsennato di chitarra acustica: basta ascoltare uno dei loro brani più famosi Non si saputo caricà la botta, dedicata al celebre brigante di Sonnino Antonio Gasbarrone, oppure le ballate in dialetto privernese, come la bellissima Firmamenti e catene (quindi nell’attesa del loro primo lavoro discografico che sembra essere imminente; come amico e come curatore di questa rubrica faccio personalmente insieme a tutti i componenti della SG un grandissimo augurio, e un in bocca al lupo a Gaetano e al resto della banda). Che il Folk possa smuovere le nostre coscienze popolari e farci riscoprire le antiche origini della canzone popolare, quindi lunga vita al folk targato Italia.

Agostino Pasquarelli

All’inizio era Fender

T

e lo giuro qui in ginocchio in mezzo alla pista te lo giuro sulla Fender, io non l’ho fatto apposta”. Con queste parole il cantautore Ivan Graziani celebrava uno dei marchi di chitarre più utilizzate e beatificate dai migliori musicisti della terra. Addentrarsi nel mondo incantato delle chitarre Fender è come scrivere di una donna desiderabile e allo stesso tempo irraggiungibile. La Fender è tutto questo: desiderata, perché chi non vorrebbe farsi un giro sulla sua tastiera duttile e morbida; irraggiungibile, perché purtroppo non tutti se la possono permettere. E pensare che Leo Fender, l’inventore della grande diva, non sapeva nemmeno suonare la chitarra e non ha voluto saperne di imparare per il resto della sua vita. Ma di che materiale è fatta e quali sono i modelli più utilizzati? La Fender Esquire e la Broadcaster,

Una carrellata di Fender

create rispettivamente nel giugno e nell’ottobre del 1950, furono le antesignane della più famosa Telecaster. Queste furono le prime chitarre al mondo com-

mercialmente disponibili, dotate di corpo in legno pieno con manico avvitato. Il materiale utilizzato fu il legno di pino perché leggero e capace di trasmettere in modo pulito e armonico le vibrazioni delle corde attraverso i pickup. La Fender Telecaster nacque nel 1951, quando la Gretsch impose alla Fender di abbandonare il modello Broadcaster, che sarà utilizzato dalla medesima per la costruzione di strumenti a percussione. Ecco che Leo Fender e la sua squadra consegnarono, dunque, sul mercato la Fender Telecaster con tastiera in acero, manico profondo a D e numero di serie sulla placca del medesimo. La Telecaster diventerà famosa per il suo tono brillante e tagliente, per la sua facilità d’uso e per l'assoluta, spartana solidità. Considerata una chitarra adatta al Country, al Rock e al Blues, in realtà, a chi lo ama, questo strumento sa rivelarsi di una strabiliante versatilità, capace di attraversare tutti i generi musicali, compresi quelli apparentemente meno adatti come il Jazz, il Pop, il Reggae, o l’Hard Rock, cui conferisce un forte accento di originalità. Lo sanno bene grandi mucisti come Andy Summers (Police), Keith Richards (Rolling Stones), Roger Waters (Pink Foyd), Joe Strummer (The Clash), Bruce Springsteen, Bob Dylan, e i tanti altri che ne hanno esaltato la grande professionalità, facendola

21

M u s i c a

diventare una delle chitarre più famose

2 2 al mondo. Ma non è finita qui. Nel 1954,

M u s i c a

nel suo laboratorio di Los Angeles, Leo Fender produsse la sua seconda creatura, una chitarra destinata a sconvolgere la storia della musica. Nasceva la Fender Stratocaster. Usata, abusata, amata e odiata, la Strato è, secondo il mio modesto parere, lo strumento più importante di questo secolo. Le prime Strato venivano realizzate con il corpo in frassino scavato in modo particolarmente attento. E’ interessante notare il profilo notevolmente assottigliato degli incavi destinati ad assecondare la posizione del musicista, nella innovativa posizione del Countor -Body, che contribuisce a conferire allo strumento un peso assai ridotto. La caratteristica più evidente delle Strato di quegli anni è la presenza delle parti in Bakelite, una materia plastica assai diversa rispetto a quella usata negli anni seguenti. Manopole, coperture dei pick up e manopolina del selettore sono realizzati con questo materiale particolare che non ingialliva nel tempo, ma aveva una maggiore possibilità di spaccarsi perché meno elastico. Tempi epici. Il suono che verrà tirato fuori da questo modello di chitarra è quello che abbiamo ascoltato nei milioni di dischi dei migliori chitarristi del mondo. Uno su tutti? Jimi Hendrix. Negli anni 60 questo chitarrista blues/rock è stato uno dei maggiori innovatori del suono della chitarra elettrica nel periodo della psichedelia. La sua parabola artistica, breve quanto intensa, lo ha consegnato nell’immaginario collettivo degli appassionati di musica. Chi non ricorda le esibizioni del chitarrista mancino mentre imbracciava una Fender Stratocaster con irriverente visionarietà artistica?! E che dire dell’ eclettico Eric Clapton che con quel suo stile “slow hand” (mano lenta), ne mostrerà il lato struggente. Steve Ray Voughan, coetaneo della Strato ma scomparso prematuramente, farà correre delicatamente le dita sulla tastiera per poi scatenarsi con quella sua maniera di “assoleggiare” in assoluta libertà. E poi ci sono The Edge, con i

suoi riff stracolmi di effetti e David Gilmour, anche lui un po’ delicato e un po’ perverso. Gli Iron Maiden, che sembrava volassero sulla tastiera per così tanta accurata velocità e il Frusciante dei primi Red Hot con il suo Funky stravagante. Insomma così tanti da far nascere una domanda: sono loro ad aver creato il mito della Stratocaster o è stata questa chitarra con il suo design futurista, i suoi colori e il suo suono gracchiante e inconfondibile, adatto per ogni genere musicale, ad aver aperto così tanta strada alla musica? ”La risposta è nel vento” per parafrasare una celebre frase di Bob Dylan. A questo punto, cari lettori, spero che vi stiate chiedendo quali siano le differenze più marcate tra questi due modelli di chitarre. Innanzitutto la Telecaster è una “Solidbody”, l’unica della Fender, intendendo con questa parola che il corpo e il manico della chitarra sono un pezzo unico. Questo differisce con il modello Strato, il cui manico è avvitato. Poi, oltre alla differenza del ponte (mobile nella Strato e fisso nelle Tele), la Telecaster ha due sigol coin mentre la Strato ne ha tre, regolabili a seconda del tipo di genere da suonare. Infine, la differenza più marcata viaggia nel suono. Fondamentalmente la Tele ha un suono più cristallino e pulito, venendo utilizzata dalla maggior parte dei musicisti come chitarra da accompagnamento. La Strato, invece, ha un suono meno morbido e a volte sporco e quindi più adatta al “solo” su ogni tipo di genere. Ma secondo il mio modesto parere le due chitarre possono essere utilizzate a seconda dell’esigenza del musicista. Nel corso degli anni sono stati costruiti svariati modelli “Made in Mexico” o “Made in Japan” o addirittura sotto marche prestigiose come la Squire. Ciò è stato fatto perché più economiche e quindi più accessibili al pubblico. Anche se avvicinabili queste chitarre non eguaglieranno mai il modello originale americano che nonostante sia passato così tanto tempo resterà per sempre leggendario.

Pino Lestingi

‘Il Grande Passo’

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I tanti perchè del passaggio all’open source

M

olti di noi arrivati un giorno ad una discreta conoscenza informatica o meno si pongono domande di "crisi esistenziali" sul proprio Sistema Operativo. Tutti parlano bene di GNU/Linux, ma cos'è esattamente? E che differenze ci sono rispetto a Microsoft © Windows? E' adatto soltanto ad utenti esperti? Oppure posso usarlo anche io che "non ne capisco quasi nulla"? Se decidessi di installarlo, poi che si fa? PANICO! Cerche-remo di rispondere a tutta questa serie di domande sperando di liberare la vostra mente, se possibile, dalla maggior parte dei dubbi e dei problemi su "Il Grande Passo..." da compiere! Innanzitutto bisogna dare un'introduzione storica, anche se non molto dettagliata, su GNU/Linux, per capire come è

nato e quali sono state, e sono tutt'ora, le filosofie di pensiero che lo contraddistinguono da qualsiasi altro Sistema Operativo. Tutto iniziò nell'agosto 1991 quando uno studente universitario finlandese, di nome Linus Torvalds, lasciò questo messaggio nel gruppo di discussione comp.os.minix: "Hello everybody out there using minix. I'm doing a (free) operating system (just a hobby, won't be big and professional like gnu) for 386 (486) AT clones". L'hobby di cui parlava, che non doveva essere un grande e professionale Sistema Operativo, è diventato oggi GNU/Linux ed è usato addirittura da grandi aziende che hanno bisogno di affidabilità e sicurezza del proprio sistema, interno ed esterno.In seguito la versione 1.0 del kernel fu rilasciata il 14

C o m p u t e r & c o

Una simpatica immagine di Tux, il pinguino simbolo di Linux, e lo Gnu, simbolo della GNU, acronimo di GNU’s not Unix.

marzo 1994. Così, lavorando e studian-

2 4 do su MINIX, nacque Linux.

C o m p u t e r & c o

Sono in molti a chiedersi se Linux è sinonimo di UNIX. Non è assolutamente così! UNIX è un marchio registrato e per avere la licenza si è obbligati a pagare, e non poco fra l'altro. Linux può considerarsi un "clone" di UNIX. Tutto il kernel è stato scritto da zero da Torvalds e da altri grandi geni della programmazione. Inoltre Linux è nato come Sistema Operativo Open Source e rimarrà tale nel futuro. Ora che sappiamo a grandi linee come è nato il kernel Linux non ci rimane altro che incamminarci verso "Il Grande Passo...". Molti di noi davanti ad una qualsiasi distribuzione GNU/Linux si domandano: "Ma avrò le stesse funzionalità di Microsoft © Windows? Avrò programmi per lavorare in multimediale? O GNU/Linux è solo una stupidissima console di testo?". GNU/Linux può essere questo ed altro. Chiaramente la scelta della distribuzione è molto importante; per gli utenti "alle prime armi" esistono delle distribuzioni User-Friendly come Linspire (http://www.linspire.com/), Mandriva (http://www1.mandrivalinux.com/it/), SuSE (http://www.novell.com/itit/linux/suse/) e Fedora Core (http://fedora.redhat.com/) per citarne solo alcune, mentre per l'utente più esperto esistono Slackware (http://www.slackware.com/), Crux (http://www.crux.nu/), Gentoo (http://www.gentoo.org/) e Debian (http://www.debian.org/). Inutile dirvi quale scegliere tra le prime quattro o le restanti. Se approdate per la prima volta su questo fantastico mondo installate una delle prime quattro, mentre se cercate qualcosa di più impegnativo e soddisfacente scegliete una delle rimanenti. Chiaramente io ne ho citate solo alcune, ma ne esistono molte altre più o meno conosciute. Se avete intenzione invece di scoprire GNU/Linux senza un'obbligata installazione su HardDisk potete provare le cosiddette distribuzioni "Live" come Knoppix (http://www.knoppix.org/) ad

esempio. Avete così molteplici possibilità di scelta e quando finalmente deciderete la distribuzione definitiva da usare (passerà del tempo, credetemi) non dovete far altro che inserire il CD o DVD nel vostro lettore, settare nel bios come FirstBoot il CD/DVD-ROM ed entrare finalmente nel mondo più libero che esista. Credo sia superficiale indicarvi di fare un backup di tutti i vostri dati più rilevanti. Può capitare che qualcosa vada storto... dunque occhio, state molto attenti a quello che fate, soprattutto in fase di partizionamento dischi. Una volta completata l'installazione riavviate e dal bootloader (LILO o GRUB) selezionate il vostro nuovo Sistema Operativo. Altri sono i motivi per cui un utente non è invogliato a migrare verso GNU/Linux: i programmi ad esempio. Nella maggior parte dei casi c'è sempre un'alternativa ai programmi che girano su Microsoft © Windows; solo per citarne alcuni: XMMS o GXine (players multimediali), Gimp (photo-editor), KIIIB (Utility masterizzazione), OpenOffice (pacchetto Office), Firefox o Mozilla (browsers)... insomma di programmi ce ne sono, e quanti ne volete. Se proprio non riuscite a fare a meno di un programma di origine Windows potete provare sempre ad installarlo su GNU/Linux con Wine (http://winehq.com/). Sono molti i programmi, nati per la piattaforma Windows, che possono essere utilizzati anche con Linux grazie a questo fantastico tool. Più ardua però sarà l'impresa con i videogames! Con questo ora non voglio insinuare di cancellare totalmente Microsoft © Windows dal vostro HardDisk e di passare di punto in bianco a GNU/Linux; ma usare entrambi per riempire le vostre conoscenze e scoprire mondi diversi. Quello che posso consigliarvi è di affrontare e familiarizzare con GNU/Linux il prima possibile. Non lasciatevi scappare un Sistema Operativo così versatile, ma soprattutto personalizzabile al 100% e LIBERO!

Francesco Ficarola

Chi ha paura dell’atomo? Sono passati quasi venti anni da quando gli italiani furono chiamati ad esprimersi sull’opportunità di continuare a produrre energia nucleare all’interno del nostro paese. La risposta, dovuta in gran parte dalla forte spinta emotiva creatasi all’indomani della tragedia di Chernobyl, fu molto chiara: stop al nucleare. Eppure, a distanza di così tanto tempo, la questione non è mai tramontata, anzi, negli ultimi tempi, ora a causa del black out ora a causa della crisi del gas tra Russia e Ucraina, torna in auge sempre più spesso, tanto da entrare nel dibattito elettorale di questi giorni. Di certo si può dire che la situazione, oggi, sia cambiata: le paure di allora sono un lontano ricordo anche perché gli impianti moderni hanno dei dispositivi che garantiscono una maggiore sicurezza. Ma davvero ci sono le premesse per un ritorno al nucleare? Quali sono le motivazioni che spingono i pro e i contro a nuovi investimenti in questa direzione? La tesi su cui puntano molto i cosiddetti nuclearisti si basa sul fatto che, un paese come l’Italia, tra i primi al mondo nel settore industriale, non possa avere una dipendenza energetica così eccessiva. Questo soprattutto se si considera che, la costante crescita del fabbisogno di energia su scala mondiale, aumenta sempre più il prezzo dei combustibili e, quindi, delle bollette. Un ritorno al nucleare non ci renderebbe comunque autosufficienti, ma di sicuro potrà aumentare la nostra autonomia in caso di crisi internazionali e, allo stesso tempo, ridurrebbe i costi per i cittadini. Maggior autonomia quindi ma anche la possibilità di sfruttare un’energia pulita .

Si afferma infatti che, rispetto al petrolio e al metano, il nucleare riesca a produrre una quantità molto minore di gas ad effetto serra o comunque nocivi e ridurre così l’inquinamento atmosferico. Infine si deve aggiungere il fatto che lo stato attuale sia ritenuto quantomeno illogico; basta andare aldilà delle Alpi, a meno di 200 km di distanza si possono trovare ben 13 centrali nucleari che, ai fini delle conseguenze di un incidente rilevante sulla popolazione e sul sistema naturali, possono essere considerate come fossero nel territorio italiano. Sembra che un nuovo percorso si sia ormai aperto e che voglia portare dritto alla rintroduzione del nucleare. Eppure, se si guarda al di fuori dell’Italia, c’è una situazione di stallo. Da circa 15 anni nessun paese occidentale, salvo la Finlandia, ha messo in cantiere nuove centrali nucleari. Da cosa dipende questa recessione? In precedenza ho accennato alla riduzione dei costi per i cittadini: ma è davvero così? Penso che parlare oggi di centrali nucleari in termini di risparmio sia sbagliato, soprattutto in Italia dove si deve ripartire da zero. Il costo reale del nucleare è molto elevato. Bisogna considerare innanzi tutto il processo di adeguamento (dove possibile) dei vecchi impianti o addirittura prevederne dei nuovi. Questo comporta, oltre ad anni di lavoro, anche finanziamenti ingenti. Si devono considerare, inoltre, i costi sia per il trasporto che per lo smaltimento dei rifiuti. Molto spesso, in tale conteggio vengono ignorati i cosiddetti costi esterni, la cui parte più rilevante è costituita da danni ambientali e sanitari. Quindi, oltre ad un peggioramento della

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S c i e n z a

qualità della vita si dovranno sommare

alternative ma la ricerca in questa direzione non hanno avuto grande successo, sanitaria (che anche perché ricadranno non supporsulla fiscalità tata a dovegenerale). re: oggi risulUn altro tano ancora punto che può troppo costoessere contese e non in stato riguarda grado di poter la maggior far fronte ad autonomia una richiesta energetica. Il così alta di processo di energia. f i s s i o n e Q u i n d i nucleare, nucleare o infatti, dipennon nucleare? de dall’estraEsiste la terza zione di una s t r a d a ? fonte primaria Magari rinunnon presente ciare alle nel territorio industrie e al italiano: l’urabenessere nio. In altre che portano e parole, la tornare ad scelta del attività con nucleare non più basso fabsignifica bisogno eneraffrancarsi da getico e una risorsa accontentarsi forzata ma del poco che passare da se ne ricaveuna dipenrebbe? Quanti denza (petrodi noi sono lio) all’altra disposti a (uranio). farlo? Il fatto Il problema è che non si maggiore, può avere la L’Italia radioattiva però, viene, botte piena e secondo me, la moglie dalla gestione dei rifiuti nucleari: cosa ubriaca. Bisogna essere consapevoli che farne? Dove metterli? Che piano adotta- qualunque decisione si prenderà in future?. E’ un problema di difficile soluzione. ro, avrà delle ripercussioni sulla nostra Nessuno li vuole. La sistemazione delle vita. La sfida, secondo me, è quella di scorie nucleari, infatti, genera problemi riuscire a sviluppare dei strategie che di sicurezza a fronte di periodi di eleva- riescano a bilanciare i vari interessi i ta radioattività. D’altra parte, qualche campo non dimenticando che l’esito anno fa, abbiamo avuto un anticipo di riguarda la società intera e che quindi ciò che potrebbe avvenire con le vicen- non possono essere prese in ambito de di Scanzano Jonico. ristretto ma debbono riguardare l’intero Quali sono le possibili soluzioni? Si pianeta. potrebbe pensare a fonti energetiche

2 6 anche ulteriori finanziamenti in materia

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Daniele Visca

“Bande Sonore” è il titolo del concorso musicale, orga nizzato dalla sezione della SG “Pier Paolo Pasolini” di Priverno , che si terrà in piazza Giovanni XXIII il 23 e 24 aprile 2006. Per partecipare al concorso, rivolto a gruppi emergenti e non, ogni band dovrà eseguire tre canzoni, una cover e due pezzi propri. Ciascun gruppo potrà eseguire la stessa cover nelle due serate di gara o scegliere di cambiarla, mentre fissi restano i due brani originali. Per maggiori informazioni sulle modalità per partecipare alle selezioni rivolgersi ai numeri Agostino: 0773-913082 Luigi: 3406607093 Pino: 3494626275

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