Museke N. 25 - Dicembre 2005

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NOTIZIARIO DELL’ASSOCIAZIONE MUSEKE ONLUS – Via Brescia, 10 – 25014 CASTENEDOLO (Brescia) ITALIA Tel. e Fax 030.2130053 - Cell. 349.8832835

NUMERO VENTICINQUE - DICEMBRE 2005

impianti: nadir - ciliverghe (bs) / stampa: euroteam - nuvolera (bs)

Per un Natale di Speranza

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radurre in scelte concrete e profetiche ciò in cui si crede e vale la pena di vivere si chiama testimonianza, che conosce il solo alfabeto della vita messa in gioco, della dinamica delle scelte, del dare carne all’amore. Infatti si testimonia ciò che si ama e chi si ama e dal quale ci si sente amati. Gesù di Nazareth venendo al mondo non si è limitato ad essere un testimone ma “ha reso testimonianza alla verità”. La nostra era post-moderna è iniziata come una stagione di smarrimento e di paura del futuro, ma continua a registrare anche un’insopprimibile nostalgia della speranza. Poiché alla radice dello smarrimento sta il tentativo di far prevalere un’antropologia chiusa alla trascendenza e al vangelo di Cristo e, poiché senza la fede la speranza non è possibile, il bene più prezioso che la Chiesa ha da offrire al mondo, è l’annuncio che genera e sostiene la speranza: “Cristo è nato, morto e risorto per la nostra salvezza”. Infatti in questa nostra epoca che sa dire tutti i “come”, ma non sa dare più alcun “perché”, e che ha certamente bisogno di pane e di giustizia, ma prima ancora di senso (Ricoeur), noi cristiani possiamo tornare ad evangelizzare e a testimoniare come e perché Gesù l’Emmanuele rigene-

ri la vita nella speranza. Di questi cristiani oggi c’è urgente bisogno e quindi anche a ciascuno di noi oggi è offerta questa grande chance: rendere ragione della speranza che ci abita e che ci anima. Partendo dalla grotta di Betlemme e dalla tomba vuota di Gerusalemme siamo chiamati dunque ad annunciare la speranza cristiana, che non è un’utopia umana, ma un “attender certo” (Dante), perché si fonda sulla roccia che è Gesù il Cristo Risorto. La profezia cristiana non appartiene al genere della previsione, ma a

quello biblico della promessa che “attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila perché certo verrà e non tarderà” (Abacuc 2,3). Ora noi cristiani non siamo anestetizzati dalla paura, ma siamo gratificati da una promessa: “Io sono con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Con D. Bonhoeffer diciamo che “Dio non realizza sempre le nostre attese, ma compie sempre le sue promesse”. segue a pag. 8

“Andate dunque ed ammaestrate tutte le nazioni” Monsignor Gabriel Peñate Rodriguez presenta, all’ultima assemblea di Museke, il progetto per i “Garifona”

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a celebrazione eucaristica che ha preceduto, come di consueto, l’assemblea annuale di Museke è stata presieduta dal vescovo Gabriel Peñate Rodriguez passato a salutare la nostra associazione, terminato il Sinodo dei Vescovi a Roma al quale aveva partecipato in rappresentanza della sua nazione: il Guatemala. Lo hanno conosciuto in modo del tutto fortuito circa 26 anni orsono, Cesarina, Enrica e don Roberto quando P. Gabriel era ancora seminarista; nel 1984 è stato ordinato sacerdote e Museke lo incontrò per la prima volta nel 1997 quando propose alla nostra associazione di aiutarlo nella realizzazione della clinica di Guastatoya. Nella circostanza illustrò la precarietà in cui si trovava il suo paese ancorché avesse da poco siglato gli accordi di pace che ponevano fine a 30 anni di guerra civile. Il progetto, al quale Museke ha aderito, è stato un bagno di solidarietà straordinario, un’occasione di missionarietà efficace che ha trovato compimento nella realizzazione della clinica e, cosa assai più rilevante, nella costruzione della coscienza spirituale dei molti che hanno condiviso l’esperienza del donarsi. Aura Marina Maldonado Lopez, rappresentante del consiglio pastorale della parrocchia di Guastatoya, ci scriveva in proposito: “Padre Gabriel è stato un esempio di lavoro… ha preso il badile lavorando con le sue mani fino a scottarsi al sole come i nostri fratelli italiani… ”. Quando leggi queste espressioni anche chi non è stato fisicamente in quei luoghi e magari qui si è interessato di scartoffie e similia si sente investito di un calore gratificante e beneficiato da quella grazia che irradia i suoi effetti su tutti coloro che condividono anche indirettamente questa aspirazione missionaria. Più di recente Museke ha contribuito a sostenere il progetto finalizzato alla salute delle donne ed alla scolarizza-

zione dei giovani nella parrocchia guatemalteca di Mataquescuintla. Lo scorso ottobre, come dicevamo all’inizio, abbiamo incontrato padre Gabriel d i ve nu t o Vescovo di Izabal un Vicariato Apostolico grande quasi come la Lombardia e tramite lui abbiamo conosciuto un’altra realtà del Guatemala. Il Vicariato copre circa 9.000 Km quadrati ha in organico 1 vescovo e 7 preti di cui 4 locali, la popolazione è composta da tre etnie: indigena (discendenti dei Maya), larina (discendenti degli spagnoli) e garifona di origine africana con l’insediamento più numeroso nella cittadina di Livingston dove conta circa 3.000 persone. L’etnia garifona deriverebbe da schiavi provenienti dall’Africa che si sono ribellati al destino infelice che li attendava gettandosi in mare dalla nave che li trasportava e guadagnando a nuoto la costa più vicina. Ora questa piccola comunità accomunata dal colore nero della pelle dal linguaggio, da usi e costumi diversi dalle atre due etnie, rischia di sparire. Il sogno di P. Gabriel è quello evitare che ciò si possa verificare e di arrivare a far nascere una parrocchia garifona partendo magari con la realizzazione di un posto (forse definirlo centro sembrerebbe altisonante) polifunzionale che funga da polo aggregativo e nel quale i garifona possano incontrarsi, tramandarsi tradizioni, usanze,

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rivitalizzare la lingua d’origine posto che i giovani già non la parlano più (pare siano già stati presi contatti con una insegnante di lingua garifona). Matrimoni misti si sono già verificati principalmente tra larini e garifona mentre quelli tra indigeni e garifona sono molto rari. Nella generale condizione di povertà l’attività più sviluppata trae origine da piccole iniziative artigianali di natura alimentare e, purtroppo, anche qui esiste la piaga connaturata a tutte le realtà che vivono in grande precarietà: il turismo sessuale. Il sottosuolo pare ricco visto sono state rilasciate circa 26 licenze di esplorazione mineraria e pare assodato ci sia il petrolio. Concludiamo questi cenni, affatto esaustivi ce ne rendiamo conto, per un’ultima considerazione a noi implicitamente rivolta dalla circostanza di aver (casualmente?) incontrato un fratello che viene dall’altra sponda dell’oceano Atlantico vale a dire: è proprio ed esclusivamente P. Gabriel che chiama Museke, oppure… ? Di certo la nostra associazione non farà attendere la sua risposta e con l’occasione pone a tutti i più sereni auguri per le imminenti festività natalizie. Flavio Modonesi MUSEKE - 2

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Precisamente 10 anni fa Precisamente sabato e domenica 16 e 17 dicembre 1995, i 41 bimbi rwandesi venivano accolti dalle famiglie affidatarie, dopo esser stati nel Centro R. Pisa (ex asilo comunale) di Castenedolo. Cominciava così la grande avventura di amore che avrebbe portato all’adozione dei nostri bimbi orfani.

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ella primavera del 1994 si consumò in Rwanda uno dei più feroci genocidi della storia dell’uomo. Oltre 800.000 persone furono uccise nella quasi totale indifferenza della Comunità internazionale che non seppe e non volle impedire l’ecatombe. Di fronte a questa immane tragedia la generosità di Enrica e Don Roberto Lombardi e dei tanti volontari del Gruppo Operazione Museke seppe coinvolgere l’intera Comunità castenedolese in una straordinaria azione di solidarietà ed accoglienza di tanti piccoli orfani di quel Paese che ancora oggi non si è esaurita. Superato il clamore dei primi mesi che tanta attenzione richiamò su Castenedolo e sui bambini, si constatò l’assoluta necessità di proporre urgentemente soluzioni di affido

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familiare che potessero soddisfare i bisogni primari di rapporti affettivi propri di ciascun bambino. Si diede così avvio alla “seconda fase” di accoglienza con l’individuazione delle famiglie idonee per forme di affido alquanto particolari. Nulla è stato semplice tuttavia con la determinazione dei volontari ed il sostegno delle Istituzioni internazionali, nazionali e dell’Amministrazione Comunale che allora presiedevo, si è riusciti nell’intento di restituire a questi bambini la serenità perduta. Non posso a questo proposito non tornare con il pensiero alla grande gioia che coinvolse la Comunità castenedolese alla notizia che tutti i bambini avrebbero finalmente potuto avere una famiglia. I piccoli sono oggi in larga parte ado-

lescenti perfettamente integrati nelle loro Comunità e consapevoli della storia che li ha coinvolti. Ad oltre dieci anni dal genocidio in Rwanda rimane viva in noi la memoria di quei tragici avvenimenti; siamo stati testimoni di quanto l’uomo possa essere malvagio verso altri uomini ma dai fatti che si sono poi susseguiti a Castenedolo anche di come gli uomini con il loro amore possano compiere atti straordinari di autentica solidarietà. Per tutto questo sono estremamente grato ad Enrica e Don Roberto, per aver fatto sì che la nostra Comunità vivesse una straordinaria ed irripetibile avventura umana, un impareggiabile esempio, nel nostro tempo, che anche il bene si può ancora compiere. Gianbattista Groli

Riflessioni su un’esperienza...

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anni fa abbiamo accolto nella nostra casa Agnes con molti timori, qualche certezza e grandi speranze. Ritornare a quella scelta ci porta a fare alcune riflessioni sull’accoglienza e la possibilità di condividere ciò che si ha con gli altri. Accoglienza: questa semplice parola può essere utilizzata per ispirarsi ad un modello di vita che ci porta ad essere sempre più consapevoli che noi non bastiamo a noi stessi ma è solo nella relazione con gli altri che troviamo la realizzazione piena. I destinatari dell’accoglienza sono tutte le persone che incontriamo e che si possono relazionare con noi, quindi le modalità con cui possiamo agire possono essere molteplici. Nella nostra coppia oltre all’accoglienza reciproca fra di noi e dei nostri figli naturali, a quella di parenti, amici ecc.. la vita ci ha condotto attraverso l’esperienza dell’affido prima e dell’adozione poi. Il caso ha guidato gli eventi (... o meglio un progetto divino): nella concitazione delle prime ore veniamo contattati per una situazione di omonimia per svolgere servizio di assistenza al gruppo di bambini rwandesi appena giunti in Italia. Dopo un primo momento di perplessità e sorpresa chiediamo spiegazioni e rispondiamo che non siamo in grado di soddisfare la richiesta nell’immediato ma che la cosa poteva interessarci per il futuro. Individualmente abbiamo spesso avuto degli impegni in parrocchia però questa improvvisa richiesta ha fatto si che nascesse in noi la voglia di fare qualcosa insieme, di svolgere del volontariato in coppia. La risposta a tutto questo è stata : dopo aver ricevuto (la telefonata) è giunto il momento di fare (una telefonata) ed in breve ci siamo ritrovati immersi in questa esperienza nel turno serale del venerdì con il gruppo dei grandi. E i nostri figli di 5 e 2 anni? E’ stato

possibile offrire la nostra disponibilità grazie all’aiuto dei baby- sitter (leggi cognati) che hanno potuto esercitare a pieno titolo il ruolo degli zii, oltre a quello di volontari a loro volta in altri turni.. E’ stata questa economia del ricevere e del dare che ha fatto crescere in noi la consapevolezza che dopo aver ricevuto tanto era giunto il momento di mettere a disposizione le nostre energie per qualcuno che ne aveva bisogno. La molla che ha fatto scattare questo pensiero è stata una profonda riflessione su quello che i genitori, gli amici, i figli, il volontariato, ci avevano donato in termini di tempo, di aiuto, di arricchimento personale fino a quel momento. Abbiamo risposto a questo sentirci interpellati presentando la domanda per l’adozione; e dopo aver percorso l’iter burocratico abbiamo ottenuto l’idoneità nel luglio del 1995. Le strade del volontariato e dell’idoneità all’adozione si sono incrociate nel momento in cui per questi bambini è stato richiesto l’affido temporaneo in famiglia, anche se le due cose non erano intenzionalmente collegate nei nostri pensieri fin dall’inizio. Le motivazioni e gli ideali, sicuramente nobili, devono però confrontarsi con la realtà. Accogliere un figlio naturale è sicuramente diverso, anche se non più facile come potrebbe sembrare, perchè ti relazioni con lui già dal primo giorno di vita; mentre quando abbiamo iniziato l’esperienza dell’affido con una bambina africana di 4 anni con una personalità ben definita, che non aveva mai avuto una famiglia, è stato, come metaforicamente amiamo dire, “salire su un treno in corsa”. All’inizio la difficoltà è stata quella di cercare un nuovo equilibrio famigliare, perché, entrare in relazione con una persona che conosci po-

co, che non conosce le dinamiche di una famiglia, che giustamente si pone al centro dell’attenzione porta un certo squilibrio soprattutto con gli altri figli. Per limitare i momenti di anarchia è stato necessario fare uno sforzo per trovare i modi più appropriati per farla stare bene, per esempio, con il gioco, la relazione con i fratelli ed i figli dei nostri amici, il cibo... sì anche il cibo in alcune occasioni è stato importante per poter entrare in una relazione empatica con lei (… la mia mamma fa da mangiare bene !!). Il tempo è stato sicuramente un alleato per far crescere giorno dopo giorno l’accoglienza reciproca e, nei momenti più difficili ci è stato utile ritornare alle origini, vale a dire alle motivazioni che ci hanno spinto ad imboccare la strada dell’adozione, grazie anche al confronto con altre famiglie adottive e con la Parola di Dio, fondamento della nostra fede. Agnes ci ha aiutato anche a capire che farsi accogliere dagli altri non sempre e solo è questione di principio : spesso le situazioni difficili legate al colore della sua pelle (poche per fortuna) sono state affrontate e talvolta superate con ironia ed è stata lei stessa, grazie anche alla sua simpatia, ad inventarsi ed insegnarci i modi migliori per riportare la serenità. Ma come in tutte le cose c’è sempre un però! Il tempo dell’accoglienza non finisce mai perchè accogliere significa accettare l’altro per quello che è, amarlo non per quello che fa ma perché esiste, anche con tutte le bizze da adolescente. Questo percorso ci ha dato un insegnamento prezioso: accettare una persona così diversa da noi aiuta ad accogliere meglio anche chi è più simile a noi (marito-moglie; genitori-figli…) I genitori di Agnes

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s r R e c t e s n l a L q t u a e R t s e t s s t C r d M s t

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di Affido e di Adozione

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icorre quest’anno il decimo anniversario dell’ affido e con piacere cerchiamo di ricostruire i momenti che hanno caratterizzato questo periodo. Ricordiamo con emozione le ansie e le preoccupazioni che hanno preceduto il giorno in cui Monica è entrata a far parte della nostra famiglia: era così piccola e indifesa e anche se aveva già avuto contatti con tutti noi, sembrava impaurita e noi più di lei, perché temevamo di non essere abbastanza attenti alle sue necessità. La nostra prima preoccupazione era quella di crearle intorno un ambiente accogliente e caloroso, adatto a una piccola creatura in mezzo a tutti adulti con le loro abitudini e le loro esigenze. Ripensandoci ora, ci rendiamo conto che la nostra agitazione non aveva senso perché ciò che più importava era farle sentire tanto affetto; infatti, dopo pochi giorni di convivenza, sembrava che Monica fosse sempre stata in questa casa, a suo agio, accanto ai suoi fratelli. Con il passare del tempo cresceva però il pensiero che potesse incontrare difficoltà nei rapporti sociali, invece Monica si è integrata sin dall’inizio, senza subire discriminazioni di alcun tipo. Certo la differenza del colore

della sua pelle con quello delle sue amiche è evidente, ma non è motivo di sofferenza o ingiustizia. Per questo noi siamo fiduciosi di

continuare a trasmetterle serenità, accompagnandola nelle gioie ma anche nelle difficoltà dell’adolescenza. I genitori di Monica

L’ULTIMO GIORNO AL “CENTRO”

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ue grandi occhi, due grandi manine, uno sguardo intenso, un vocione da grande, una domanda: ci sarà un lettino per me a casa tua? Una grande stanza affollata: il refettorio della scuola materna Pisa, l’eco di quarantuno bimbi che mangiavano, l’eco di sempre otto volontarie e volontari che imboccavano, pulivano, coccolavano, amavano. La stessa stanza: tanti genitori nuovi, tanti fratelli e sorelle nuovi, tanti volontari, tutti noi. Il rumore di sempre in quella stanza, ma una cosa nuova: è l’ultima volta che res-

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tiamo in questa stanza... Tanti saluti, tanti abbracci, tanti occhi umidi in quell’ultimo giorno al Centro, poi: due grandi occhi, due grandi manine, uno sguardo intenso. La macchina su cui sono saliti Diogene, le sue nuove sorelle, la mamma e il papà si allontana dal Centro e si dirige verso quel lettino che era pronto da giorni, giorni fatti di ansia, paura, attesa, felicità. Poi un salto verso il futuro e siamo ad oggi: auguri da Diogene a tutti , ma proprio a tutti! Giorgio e Marilena

I bimbi ci hanno adottato S

pesso crediamo di essere noi ad adottare i bimbi. Ma se è vero che figli si diventa quando si è accolti, è altrettanto vero che genitori adottivi si diventa quando in effetti si è adottati! Parecchie famiglie sono certo che potrebbero testimoniarlo, soprattutto coloro che durante i quasi due anni di volontariato al centro sono venuti a intessere dei rapporti, sollecitati per la maggior parte dai bimbi. In un recente libro Un figlio venuto da lontano (ed. San Paolo, pagg.120, euro 9) lo psicologo Guido Cattabeni dice che adozione è e “deve rimanere un diritto del bambino in stato di abbandono”. Cioè “il bisogno del bambino di avere una famiglia deve stare al centro e non il bisogno della coppia di possedere il bambino”. Partendo da questo principio di base l’autore si addentra nei meandri

dell’adozione e dell’affido, offrendo una guida preziosa sul modo di accoglierte un figlio “non biologico”. Via via vengono affrontate le situazioni cruciali in cui si imbatte la coppia che adotta: la dolorosa eredità dell’abbandono, le difficoltà dovute alle differenze culturali quando in famiglia entra un bimbo straniero. E ancora: quali informazioni dare al figlio sulle sue origini? Come rispondere alla domanda fatidica: come sono nato? La risposta, afferma il Cattabeni, è sempre la stessa: “Tu sei al modno perché qualcuno ti ha voluto, ti ha amato”. Figli si diventa quando si viene accolti e non quando si viene generati fisicamente. E genitori si diventa invece, quando è il bambino che decide di “adottare” la sua famiglia. E non il contrario.

Il Rwanda adesso Il 16 novembre nella sala dei Disciplini di Castenedolo Padre Michel, Vicario generale della diocesi di Ruhengeri, ci ha parlato della situazione attuale del Rwanda a 11 anni dal genocidio e in particolare del contributo specifico che la Chiesa sta offrendo alla “rigenerazione” di una nazione spiritualmente disperata, moralmente disorientata, economicamente sinistrata. È una comunità che non si è estraniata dal popolo, si è detta pronta a convertirsi, camminando insieme agli altri, confutando accuse diffamatorie e offrendo esempi e cammini di riconciliazione. Ha fatto poi cenno al fatto che è stata avviata la scarcerazione di migliaia di detenuti per genocidio, gran parte dei quali ha confessato le proprie responsabilità e dovrà affrontare i cosiddetti tribunali popolari “Gacaca”, corti locali chiamate ad affiancare con pieni poteri la magistratura ordinaria. Alla serata ha partecipato la dott. Antonella Bertolotti che con la passione missionaria che la contraddistingue ha offerto il suo ultimo volume Chemin de fer a supporto dei progetti di sviluppo sanitario del nord-ovest del Rwanda.

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Pascal e Francine: due vite difficili

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ra i tanti nostri bambini in adozione, ci sono casi molto gravi che senza il nostro continuo intervento e sostegno non avrebbero la possibilità di vivere.

i medici non sono in grado di fare una diagnosi. precisa Viene sottoposto mensilmente a prelievi di sangue. E’ stato curato con molti farmaci, ora prende una compressa di Hydrea (250 mg al giorno), che deve assumere per tutta la vita.. . Pascal, nonostante lo desideri, non può frequentare regolarmente la scuola e non può certo vivere come tutti i bambini. E’ gracile e molto sensibile e si rende conto della sua precaria situazione. Spesse volte va alla sede di Museke dove incontra Suor Cecilia e poi si raccoglie in preghiera nella cappella. La suora lo ha spesso sorpreso a chiedere: Gesù fammi guarire. Fortunatamente è sostenuto dall’adozione a distanza, ma certamente il suo caso richiede un spesa medica non indifferente.

Vi raccontiamo le tristi vicissitudini di Pascal, un ragazzino che è in continuo pericolo di vita e riesce a sopravvivere grazie all’aiuto di Museke e al grande impegno di suor Cecilia, che lo assiste con amore e disponibilità. Pascal è nato nel 1996. Vive a Gitega con la mamma vedova, molto povera e con altri tre fratellini, in una casetta con un piccolo appezzamento di terreno, procurato da Museke tempo fa, quando la famigliola viveva nel campo profughi, in una situazione di grande indigenza. Pascal è nato con una malformazione al cuore e ha altri gravi problemi di salute. Viene frequentemente ricoverato negli ospedali di Mutoy, Gitega, Kiremba e nell’ospedale universitario di Bujumbura per esami e cure, però

Francine è una graziosa bimbetta di 11 anni. Vive a Gitega con quattro fratelli più piccoli e con la mamma che è vedova e sempre malata. Si ritrova quindi ad essere capo-famiglia, una famiglia molto indigente. Nonostante i gravosi impegni, riesce a frequentare con ottimo profitto la terza elementare, poiché è molto volonterosa. Fin dalla nascita Francine è affetta da una malformazione alla base della gola che le crea non poche difficoltà ad esprimersi: questa situazione la rende timida e insicura. Ha subito due interventi, ma senza esito positivo. In effetti

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non è stato individuato il vero problema, nonostante le visite di vari specialisti del posto e i vari ricoveri all’ospedale di Bujumbura. Francine ha una mamma brava e premurosa che si interessa e si preoccupa dei figli, quindi sottopone i gravi problemi riguardanti la salute della bimba a suor Cecilia, che fa il possibile per aiutarla anche con il sostegno dell’adozione. Si teme che , crescendo, la malformazione peggiori e che per Francine diventi sempre più difficile dialogare. Nella foto inviataci è sorridente e soddisfatta del vestito indossato per la Prima Comunione, fornito da Museke, che ha provveduto anche a ristrutturare la casetta dove vive con i suoi e che è costata ben 1000 Euro. E’ felice sapendo che può contare su tante persone come noi che l’aiutano a distanza e le vogliono bene.

Francine, felice con l’abito della prima comunione

Nella Verità la Pace Il messaggio di Benedetto VI per la 39ª Giornata Mondiale della Pace del 1º gennaio sarà dedicato al tema “Nella verità le Pace”. “La Pace vera è anche pacifica. Essa riconcilia, fa uscire dal proprio isolamento. La Verità illumina, fa intravvedere la strada delle autentiche relazioni umane, permette di correggere gli errori, di riconciliarsi con se stessi e con gli altri di essere trasparenti nelle contrattazioni e fedeli alla parola data” .

Conducimi dalla morte alla vita dalla menzogna alla verità. Conducimi dalla disperazione alla speranza dalla paura alla verità. Conducimi dall’odio all’amore dalla guerra alla pace. Fa che la pace riempia i nostri cuori, il nostro mondo, il nostro universo. Pace, pace, pace Madre Teresa di Calcutta

segue da pag. 1

Forte di questo il cristiano, anche nel tempo della ragione debole e del disincanto, deve riuscire a dire che Cristo è la ragione della speranza “che è in noi”. Sia nella nostra società del benessere che in quella in via di sviluppo questa speranza non va sottaciuta. Anzi la speranza cristiana mostra in modo particolare la sua verità proprio nei casi della fragilità. “Solo una cultura che sa dar conto di tutti gli aspetti dell’esistenza è una cultura davvero a misura d’uomo. Insegnando e praticando l’accoglienza del nascituro e del bambino, la cura del malato, il soccorso al povero, l’ospitalità dell’abbandonato,

dell’emarginato, dell’immigrato, la visita a un carcerato, l’assistenza all’incurabile, la protezione dell’anziano, la Chiesa è davvero maestra di umanità” (Testimoni di Gesù Risorto, Speranza del mondo, n. 15). È questo l’augurio che facciamo rimbalzare nei nostri cuori perché possa essere declinato nelle opere di carità, coscienti di essere sempre più seminatori di speranza. Tanti sono ancora i segnali di speranza che Dio, incarnandosi nel Figlio, semina nella vita delle persone. A noi intuirli perché in ciascuno rinasca consapevolezza di futuro. Sarà così un Natale di speranza per tutti gli uomini di buona volontà. Don Roberto

Auguriamo Buon Viaggio e intensa esperienza missionaria

a 12 amici che durante le vacanze natalizie saranno in Burundi e visiteranno persone a noi care e strutture che in questi anni Museke ha realizzato. Accompagnati da Enrica e Cesarina, vivranno un Natale africano Amalia Gennari, Cristina e Maria Grazia Stella, Ruggero Saiani, Clodimiro Conchieri, Enrico Donelli e Laura Brolio, Marta Lopascio, Don Pio Zuppa e Don Franco Mazza.

Auguri di Buon Natale e di un prospero Anno Nuovo ˚ Noheli Nziza Umuvaka Mushya Muhire ˚ Feliz Navidad y propsero Año Nuevo Assemblea di Museke del 29 ottobre 2005, con la presenza di Mons. Gabriel

MUSEKE ONLUS

sito internet: www.museke.org • indirizzo di posta elettronica: [email protected] c/c postale 15681257 • c/c bancario: 27499 - Banco di Brescia - ABI 3500 - CAB 11200 intestati a MUSEKE ONLUS Via Brescia, 10 - 25014 CASTENEDOLO (BS) MUSEKE - 8

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