Concorso di Idee: “Mai più sconosciute” Provincia di Napoli Area Politiche Educative Direzione Pari Opportunità
DONNE E STORIA Il contributo di MEENA in Afghanistan alla lotta per la democrazia e i diritti delle donne
Dirigente Scolastico: prof. Vincenzo Gesuele Coordinatrice del progetto: prof.ssa Elena della Vella Collaborazione: prof.ssa Maria Elena Auxilia
A cura della classe IV A del Liceo delle Scienze Sociali “M.Serao” Pomigliano d’Arco ( NA)
Mappa del percorso
La “Storia” da un altro punto di vista
RAWA
Filmati
Poesia
Vita di Meena
La lotta per i Diritti e la Democrazia
La “Storia” da un altro punto di vista Un giorno, studenti come noi leggeranno nei loro libri di storia quello che sta accadendo in Afghanistan, un paese lontano, scenario di conflitti dove la popolazione vive situazioni di vita inimmaginabili e la donna è considerata proprietà privata del padre e del marito. Nonostante questo paese sia distante da noi, il nostro interesse per quel mondo e per le condizioni di vita della popolazione cresce sempre di più, a differenza di altre persone che non ne conoscono nemmeno l’esistenza. Mediante questo progetto, “MAI PIU’ SCONOSCIUTE”, noi studentesse della classe IV A del Liceo delle Scienze Sociali della scuola “Matilde Serao” di Pomigliano D’ Arco, intendiamo fissare lo sguardo non solo sui “grandi” uomini, ma anche sulle donne. La Storia, infatti, è fatta anche di persone come MEENA che ancora oggi, a più di venti anni dalla sua morte, ci spinge ad agire in nome della pace, della giustizia, della democrazia, e soprattutto, per la liberazione delle donne.
Dalla poesia “Mai più tornerò sui miei passi” di Meena “Sono
la donna che si è svegliata. Mi sono alzata e sono diventata tempesta fra le ceneri dei miei figli bruciati. I miei villaggi in rovina e in cenere mi riempiono di rabbia contro il nemico. O compatriota, non mi guardare più debole e incapace, la mia voce si mescola con migliaia di donne in piedi per rompere tutte insieme queste sofferenze e queste catene. Sono la donna che si è svegliata, ho trovato la mia strada e non tornerò mai indietro".
Il nostro commento alla poesia di Meena
La grande anima che scrisse questa poesia pagò con la vita il suo sogno di libertà, ma la sua lotta continua ed è sempre più viva. Il suo grido, ora lanciato nel mondo anche attraverso la nostra ricerca, si levò nel lontano 1977 per dar vita ad un'organizzazione per i diritti umani e per la giustizia sociale in Afghanistan, RAWA, l’Associazione Rivoluzionaria delle donne afgane.
La lotta per i Diritti e la Democrazia Le violazioni dei diritti umani che subiscono donne e bambine, in ogni parte del mondo, sono le più svariate e comprendono violazioni di diritti civili, politici, economici, sociali e culturali. Quello che accomuna i vari diritti negati è che tale negazione si fonda, nella maggior parte dei casi, sulla discriminazione di genere. La discriminazione può accompagnare tutta la vita di una donna, da ancor prima della nascita alla vecchiaia, e determinare, nei casi più gravi, l'esclusione dalla vita economica, sociale e culturale del proprio paese. E’ ciò che accade in Afghanistan un paese dove regna la misoginia e il fondamentalismo religioso, dove la Sharia è viva e vegeta. Da quando l’Afghanistan è vittima del fondamentalismo religioso i diritti umani nel paese sono stati completamente violati. Le donne sono considerate esseri senza dignità che hanno solo la funzione di saziare gli appetiti sessuali dell’uomo. I matrimoni forzati sono all’ordine del giorno e le galere sono piene di giovani donne incarcerate per essere scappate dalla propria casa. Il Burqa è usato dalla maghior parte delle donne che, anche se oggi possono uscire senza essere sorvegliate da un parente maschio, hanno timore e il Burqa è come se fosse un ‘arma di difesa contro le minacce.
Vita di Meena Nata a Kabul nel 1957, Meena, all’età di venti anni lasciò l’Università dove studiava
per
diventare
avvocato
e
fondò
RAWA,
l’Associazione
rivoluzionaria delle donne afgane. Meena scelse di aiutare le donne afgane, molte delle quali erano analfabete e prive di ogni diritto legale. Assieme ai suoi sostenitori volle che RAWA lavorasse per la democrazia e la giustizia sociale, obiettivi che divennero sempre più difficili e pericolosi da ottenere quando i Russi invasero l’Afghanistan e la situazione politica del paese peggiorò. Rifugiatasi in Pakistan, continuò il lavoro di RAWA nei campi profughi, rendendo l’organizzazione famosa a livello internazionale. Minacciata dalla sua popolarità, fu catturata ed uccisa dai suoi oppositori nel 1987.
RAWA Revolutionary Association of the Women of Afghanistan Le donne di RAWA insegnano a centinaia di donne e bambini matematica, fisica, chimica, persiano, scienze, studi sociali, storia e geografia. Alle donne, soprattutto matematica e persiano. Quando le donne afgane vanno in un negozio non sanno come pagare e cambiare i soldi perché nessuno glielo ha mai insegnato. Le sostenitrici di RAWA cercano di documentare con delle telecamere i crimini dei Taliban e della Northern Alliance. È un lavoro rischioso. Sono state loro a filmare l'esecuzione della donna trasmessa in tutte le TV del mondo. Hanno girato filmati a Kabul e in molte altre città, prendendo le immagini di afgani cui sono state tagliate le mani per aver rubato, o decapitati. Le donne di RAWA fanno un buco nel burqa e cercano di filmare attraverso quello, ecco perché la qualità delle immagini è piuttosto cattiva. Nessuna è stata mai scoperta mentre lo faceva: l'unica punizione sarebbe l'esecuzione.
ESECUZIONI
Attività delle donne di RAWA In Pakistan le donne della Rawa sostengono progetti d’istruzione e sanità per bambini e bambine rifugiati, gesticono l’ospedale di Malalai; forniscono ai media e alle organizzazioni che tutelano i diritti umani, notizie su omicidi, amputazioni, incarcerazioni, torture, cercando di riportarne la versione integrale. La Rawa ha aperto nuove scuole, orfanotrofi, gruppi di sensibilizzazione sui temi della salute ,dei diritti e della democrazia; opera anche in istituzioni sanitarie , ha avviato attività di microimprenditoria, come laboratori di sartoria e di tessitura , allevamenti di polli o capre; infine, fornisce assistenza legale e sociale alle famiglie dei prigionieri, alle donne maltrattate , alle vedove e ai bambini traumatizzati.
Ospedale di Malalai
SCUOLE
Bambini in un orfanotrofio
LA VIOLENZA FAMILIARE Samia, vittima della violenza familiare in Afghanistan
Samia (clicca per vedere il video sul web)
La piccola Samia, a 7 anni, ha alle spalle una storia terribile. È una tra le decine di migliaia di bambine in Afghanistan, vittime della violenza domestica in una società sciovinista in cui i fondamentalisti promuovono e sostengono la misoginia. Due anni fa il padre di Samia violentò una bambina di 10 anni, figlia di un certo Mohammed Yassin, nella provincia di Baghlan, nel nord dell'Afghanistan. Quando fu arrestato, secondo i costumi di quella zona - gli iBadi - ha chiesto di dare sua figlia ad un figlio di Mohammed Yassin, per saldare il debito. Ha dato dunque in moglie Samia a Mohammed Omer (figlio di M. Yassin). Samia fu condotta nella casa di M. Yassin, dove, da due anni, viene trattata come una schiava e subisce ogni tipo di tortura e discriminazione. La famiglia la percuote ogni giorno e la tiene reclusa in uno scantinato buio. Deturpano il suo corpo con il metallo rovente, le tirano i capelli, la costringono a stare nuda per ore all'aperto durante il gelido inverno e altre punizioni bestiali. Alla fine, alcune persone della zona sono venute a sapere dei crimini commessi contro la bambina e hanno deciso di sottrarla ad un tale orrore. Sono entrati nella casa con la forza, hanno portato via Samia e la hanno consegnata alle autorità. M. Yassin e suo figlio sono fuggiti, evitando l’arresto. In un paese in cui i signori della guerra e la Jihad dominano l’intera società, e in cui i più abietti fondamentalisti sono al potere, non ci sono leggi né alcun ordine che impediscano tali orribili crimini. Costumi disumani e violenza domestica possono facilmente ritorcersi contro i bambini innocenti e le donne, quando gli organi legislativo, esecutivo e giudiziario non proteggono queste vittime. In Afghanistan sono per lo più i signori della guerra ad essere coinvolti in questo tipo di atti criminali. Hanno le armi, il potere ed occupano posti di rilievo. Nessuno può fermarli.
Fine