La Guerra Dei Mondi

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VIDEOGIOCHI HARD-GORE L'industria video-ludica sta spingendo sempre più verso lo sviluppo, ai confini del “buon gusto”, di contenuti “hard-gore”, iper-violenti e multi-sanguinolenti. Scatenando nuovi ripetuti attacchi da legislatori e attivisti secondo cui queste “mostre di atrocità” virtuali dovrebbero essere tenute alla larga dagli occhi dei più piccoli. Gli oppositori citano una nuova ricerca che evidenzierebbe gli stretti collegamenti tra esposizioni a contenuti hard-gore e comportamenti aggressivi, indotti dall'ubiquità culturale dei videogiochi e dal miglioramento delle tecnologie di realtà virtuale, sempre più iper-realistiche. Secondo quanto riportato da Craig Anderson, professore alla Iowa State University, a capo di una ricerca sugli effetti della videoviolenza, “abbiamo registrato un notevole incremento nell'aggressività di coloro che hanno videogiocato a qualche avventura hard-gore”. L'industria dei videogames dice che una legislazione restrittiva dei titoli hard-gore sarebbe una grave violazione del Primo Emendamento: tutti devono avere il diritto alle loro dosi giornaliere di atrocità videoludiche. E che diamine! (anche perché così poi si digeriscono meglio anche i telegiornali, ndr). Al limite, per venire incontro alle proteste, si potrebbe applicare delle etichette tipo “mature content” o “adults only”, tanto per mettere a tacere le coscienze dei perbenisti. Non è certo da oggi che pediatri e psicologi dicono che la video-violenza ha effetti negativi sulla psicologia infantile, e non solo, incitando alla censura e al bando dei giochi più violenti. Una nuova ondata di provvedimenti fu promossa a partire dal 1999, dopo la tragedia accaduta alla Columbine High School, (quella di “Bowling At Columbine” di Michael Moore). Ma perché non sono ancora stati incriminati i padroni delle industrie che questi giochi li producono e li vendono facendo un sacco di soldi? Finora, ogni tentativo di istituire una legge a tutela dei più piccoli è stato vano perché, dopo tante battaglie, le stesse corti americane, con un recente verdetto a favore della IDSA (Interactive Digital Software Association), l’organizzazione che riunisce i produttori di videogiochi, hanno garantito all'industria “hard-gore” il diritto alla libertà di espressione in base al Primo Emendamento. Gli unici a fare le spese della campagna anti-video-violenza, sono stati, in Inghilterra, i produttori della saga zombistica "Resident Evil", costretti a cambiare il colore del sangue da rosso a verde, e quelli di "Carmageddon", costretti a cambiare l'aspetto dei pedoni da persone comuni a zombie, data l'orrenda fine a cui sono destinati. KILLER GENERATION

Provate ad indovinare: chi è che fa maggior uso di questi fantastici simulatori di carneficine? L'industria militare statunitense, che li usa per addestrare i soldati. Si tratta di simulazioni di guerra altamente spettacolari e fottutamente realistiche, con cui, prima che addestrare, “catturare” la mente di futuri killer, privandolaa di ogni scrupolo, da usare poi come soldatini sulla mappa geopolitica globale. Mandandoli spesso a morire. La rivista Nature ha pubblicato una ricerca condotta dall'Università di Rochester che prova a dimostrare come la fruizione di videogiochi hard-gore migliori le capacità percettive favorendo tempi di elaborazione più rapidi. La verità è che l'industria video-ludica rappresenta oggi il modo più efficace per fare “psico-reclutamento”, a partire dalla più tenera età. Se poi succede che qualcuno impazzisca, magari cominciando a sparare all'impazzata su dei poveri malcapitati, allora la colpa è

dei videogiochi, non dei bastardi che li progettano. In uno di questi casi, l'avvocato della Florida Jack Thompson ha provato, senza successo, a far assolvere due teenagers - responsabili di aver ucciso e ferito due motociclisti - che hanno dichiarato di essersi ispirati al loro videogioco preferito ("Grand Theft Auto"), ribaltando l'accusa verso i produttori del videogame, secondo Thompson artefici di un vero e proprio “programma di addestramento”. Lo scrittore Evan Wright, autore di “Generation Kill”, che tratta degli effetti dei videogames sui soldati USA in Iraq, riporta che in un'approvazione del videogioco "Grand Theft Auto", il suo creatore ha citato un soldato USA che aveva dichiarato di essersi sentito proprio come all'interno del videogame: “Ho visto fiamme uscire fuori da finestre, macchine che esplodevano per la strada, vittime che si trascinavano urlando verso di noi”. Nei prossimi 12 mesi si assisterà ad un turbine di nuovi procedimenti, dato che stanno per essere immessi sul mercato i sequel di capostipiti del genere hard-gore come il classico "Doom" (il favorito dei giovani killer di Columbine), "Mortal Kombat" (che incita il giocatore a finire l'avversario nei modi più agghiaccianti) e "Grand Theft Auto" (che esorta i giocatori ad iniziare una guerra razziale Cubano-Haitiana). Tutto questo mentre ci troviamo proprio nel mezzo di una esplosione di massa del fenomeno videoludico: si prevede che il numero di dispostivi “smart” abilitati ai videogiochi - telefoni cellulari, palmari, consolle ecc.- raggiungeranno il culmine entro il 2010 passando dai 415 milioni attuali a circa 2.6 miliardi. (Pubblicato su Ecplanet 09-07-2004) LINKS Entertainment Software Association - Wikipedia Violent Video Games and Other Media Violence: Craig Anderson answers FAQs Saggio: Videogiochi & violenza videoludica 20 febbraio 2006 Videogame violenti induriscono i cuori dei bambini ihealthbulletin 04 aprile 2007 Generation Kill - Wikipedia Jack Thompson: storia del crociato anti-videogame La Stampa 23 marzo 2006 Jack Thompson contro GTA IV, continua la vicenda "giochi violenti" gamestar 28-02-2007 Jack Thompson (attorney) - Wikipedia Spencer Halpin's Moral Kombat - Wikipedia OMICIDIO IN DIRETTA La Starkweather Quality è lieta di invitarvi al reality-show più estremo e sanguinoso nella storia del piccolo schermo. Dimenticatevi grandi fratelli, fattorie ottocentesche e isole tropicali; qui di finto non c'è nulla: vincerà solo chi riuscirà a uccidere tutti gli altri contendenti. Non vi basta? Guardate il primo omicidio in diretta e poi ne riparliamo. Parola di Lionel Starkweather... Siamo nel mondo virtuale di "Manhunt", della Rockstar Games, specializzata in opere estremamente violente, "hardgore", che tanto successo riscuotono tra

i giovanissimi, ma non solo. Nei panni di un criminale condannato a morte, ci ritroviamo a vagare in una città fatiscente con l'unico scopo di uccidere i peggiori esponenti della feccia della società: tutto questo è il piatto forte di un reality-show televisivo messo in piedi da un regista senza scrupoli, una sorta di Truman Show trasportato in una dimensione horror. Ennesimo videogame a dir poco controverso, quello proposto dagli autori di "Grand Theft Auto", tra i più violenti mai apparsi sugli schermi di un computer. Calandosi nei panni dello psicopatico protagonista, immersi in un'ambientazione malata e terrificante, si dovrà dare spettacolo massacrando i criminali sparsi per un territorio urbano avvolto dall'oscurità, sotto gli occhi impietosi delle telecamere. A chi li accusa di traviare i giovani e di assuefarli ad una violenza iper-reale, i produttori ripondono che: "è solo un gioco, una simulazione", che "non si possono mettere limiti alla fantasia". Il tipo di argomentazione che da sempre viene usata per giustificare qualsiasi tipo di rappresentazione, dal teatro al cinema fino alla realtà virtuale: è solo finzione. Il 28 luglio 2004, il 17enne Warren Leblanc è stato giudicato colpevole dell'omicidio del 14enne Stefan Pakeerah, ucciso a febbraio. Giselle Pakeerah, madre di Stefan, ha fatto notare che l'omicida era ossessionato dal videogioco “Manhunt“, ritendolo la principale causa del delitto di suo figlio. Per il giornale The Mirror, Warren Leblanc era un "teenager ossessionato colpevole di un brutale omicidio copycat" (gli omicidi copycat, letteralmente, sono un particolare tipo di omicidi seriali nel senso che si è spinti a commettere il crimine per imitare e riprodurre le gesta di un assassino con il quale ci si identifica, reale o virtuale che sia, ndr). Lo zio di Stefan, Gary Broomes, ha paragonato Manhunt alla pedopornografia. Il Daily Mail ha pubblicato due pagine con il titolo: "Spinti ad uccidere dai giochi per computer?", con un articolo dedicato all'omicidio di Stefan dal titolo: "Assassinato dalla Playstation: immagini horror di un videogioco hanno spinto un teenager ad uccidere il suo amico di 14 anni". Per il suo folle gesto, l'omicida ha usato un coltello da cucina e un martello, tipo di armi che non chiamavano direttamente in causa il videogioco. La speculazione sulla colpa del videogioco si è basata soprattutto sulle testimonianze dei familiari di Stefan. A seguito di ciò, Manhunt è stato ritirato dai negozi, e le pressioni legali contro la Rockstar Games sono notevolmente aumentate. Il gioco, già bandito in Nuova Zelanda, sarà poi bandito da tutto il Regno Unito. L'ennesimo caso di video-violenza in cui il virtuale fagocita il reale. Accade sempre più spesso, sta diventando una psicopatologia diffusa. Tra i casi più famosi, vi è quello della strage alla Columbine, di cui ha parlato Michael Moore in "Bowling at Columbine", che vedeva coinvolto il videogioco "Doom". Il panico morale è andato crescendo in questi ultimi tempi, tanto da spingere il governatore della California, Arnold Schwarznegger (uno che di violenza se ne intende, ndr), a bandire tutti i videogiochi ritenuti troppo violenti. Recenti studi, seguiti all'ondata di panico, hanno dimostrato che l'esposizione prolungata alla video-violenza stimola i cosiddetti circuiti neurali, che scatenano l'aggressività, e che in alcuni casi può avere drammatici effetti antisociali nel comportamento manifesto degli individui, specialmente nei più piccoli o nelle situazioni già a rischio. Lo psicologo Mark Griffiths della Nottingham Trent University, intervistato dalla BBC, ha confermato che i videogames possono influenzare il comportamento degli adolescenti, e che è stato dimostrato un collegamento tra videogiochi violenti e il comportamento anti-sociale di bambini dagli 8 anni in giù, che tendono a riprodurre in serie quello che vedono sullo schermo. La Corte Distrettuale di Springfield, USA, presieduta dal giudice Matthew Kennelly, ha dichiarato che le restrizioni alle vendite di videogiochi violenti che coinvolgono i minori, contenute nella legge approvata dal Governo dell'Illinois, sono incostituzionali, perché violano le libertà personali garantite dal Primo Emendamento. "In questo paese, lo Stato non ha l'autorità per vietare la libertà di espressione che riguarda i pensieri e le attitudini degli ascoltatori e degli osservatori", ha dichiarato il giudice. Un messaggio che in qualche modo sembra essere un monito per il futuro: i videogiochi vanno considerati come "prodotti d'informazione". Non si tratta di "simulazioni" che possono influire sui comportamenti dei minorenni, come invece hanno sostenuto molti gruppi e lo stesso Governatore (e come hanno dimostrato tragici fatti di cronaca, ndr). La battaglia sui videogiochi negli Stati Uniti si inasprisce ogni giorno di più. La scorsa settimana, è scesa nella mischia anche Hillary Clinton proponendo una legge federale molto restrittiva ma, come ha ricordato l'Entertainment Software Association, potrebbero profilarsi evidenti conflitti con il Primo Emendamento: in questo quadro, quanto avvenuto in Illinois è destinato ad influire non poco sull'iter della proposta Clinton. In nome del Primo Emendamento in America si giustifica tutto: la pornografia, l'incitazione alla violenza, allo stupro, all'abuso dei minori, al satanismo, al terrorismo, ai suicidi collettivi... Il mito americano della libertà non può morire, perché significa libertà di uccidere, significa legge della giungla: homo homini lupus.

LINKS "Ritirate quel videogame Ha assassinato nostro figlio" Repubblica 29 luglio 2004 ManHunt: da gioco a realtà? Horrormagazine 02 agosto 2004 Manhunt - Wikipedia Hillary opens up morality war on violent video games timesonline 27 marzo 2005 Clinton seeks 'Grand Theft Auto' probe USA Today 14 luglio 2005 Mentre in California fa discutere la messa al bando dei videogiochi violenti (iniziativa del governatore Arnold Schwarznegger, uno che la violenza la conosce bene, ndr), alcuni scienziati dell'Università del Michigan hanno presentato un nuovo studio empirico che dimostrerebbe il nesso tra comportamenti antisociali e giochi cruenti. I risultati della ricerca fanno eco alle scoperte di un'équipe di psicologi tedeschi, ugualmente convinti che l'equazione tra sangue virtuale e violenza reale sia una verità lapalissiana facilmente dimostrabile. “Abbiamo scoperto un nesso causale ben preciso”, sostiene Rene Weber, professore di scienze della comunicazione, “tra passare del tempo di fronte ad un videogioco d'azione in prima persona e sviluppare comportamenti ed effetti neurologici tipicamente aggressivi”. L'indagine è stata effettuata su un campione di tredici giocatori, impegnati ad uccidere nemici virtuali in “Tactical Ops: Assault on Terror”, analizzati con tecniche di risonanza magnetica: i risultati hanno mostrato come l'esposizione a videogiochi di questo tipo scateni una tempesta neurologica nelle zone del cervello che regolano l'aggressività, situate nella parte frontale della massa cerebrale. Secondo gli analisti, esisterebbe una soglia temporale (5 ore a settimana) superata la quale subentrano cambiamenti nell'apparato cognitivo e psicologico dei videogiocatori. Superato questo limite, hanno dichiarano gli esperti, “l'aggressività aumenta e le sensazioni si fanno più nitide, esattamente come in una situazione pericolosa reale”. Coltivati e stimolati dai videogiochi, dunque, i cosiddetti circuiti neurali, che scatenano l'aggressività, potrebbero avere drammatici effetti antisociali nel comportamento manifesto degli individui, specialmente nei più piccoli. Nella legge approvata in California, che vieta la vendita di determinati giochi elettronici ai minorenni, esiste un richiamo ben preciso a questi “effetti devastanti” che certi tipi d'intrattenimento digitale scatenerebbero nei giovanissimi. L'industria videoludica internazionale non l'ha presa bene, accusando Schwarzenegger: “Non esistono prove empiriche di quanto affermato nelle nuove norme”. Secondo gli industriali, tredici sole cavie, seppur sottoposte a risonanze magnetiche e test psicoattitudinali, non possono costituire una prova definitiva. (Pubblicato su Ecplanet 23-11-2005) LINKS Violent Video Games Lead To Brain Activity Characteristic Of Aggression ScienceDaily 12 ottobre 2005 L'esposizione a videogiochi violenti modifica il comportamento delle persone? Un ricercatore dell'Università del Missouri, lo psicologo Bruce Bartholow, è convinto di aver trovato la chiave di volta per risolvere il

quesito: i videogiochi violenti hanno un preciso effetto anestetizzante sulla struttura neurologica del cervello, in grado di abbassare sensibilmente la soglia di percezione dell'aggressività. In pratica, spiega Bartholow in un'intervista rilasciata al New Scientist, "le persone immerse in simulazioni particolarmente cruente non riescono a percepire la violenza reale come tale", anzi, "essere continuamente a contatto con videogiochi di questo tipo neutralizza la normale risposta cerebrale alle esperienze violente", continua il ricercatore. Lo studio è stato condotto su un campione rappresentativo di 39 videogiocatori "incalliti", selezionati in base alla loro dimestichezza con i titoli più violenti del panorama video-ludico contemporaneo. Il gruppo è stato sottoposto alla visione di immagini solitamente associate ad emozioni negative: foto di violenze e malattie, di morte e di dolore. Bartholow ha così utilizzato un elettroencefalogramma per registrare una particolare risposta cerebrale, detta “P300”. L'onda P300, secondo gli standard della psicologia sperimentale, viene prodotta dal cervello quando è sottoposto ad un input particolarmente emotivo. "I videogiocatori più avvezzi a simulazioni violente", dichiara l'autore dello studio, "hanno dimostrato di avere una reazione neutra rispetto a stimoli solitamente percepiti come negativi: sangue, morte, scene di colluttazione". Per confermare la scoperta, Bartholow ha offerto ai soggetti l'opportunità di sfidarsi in un combattimento virtuale sullo schermo d'un computer. Coloro con il valore P300 più basso, stando ai risultati della ricerca, hanno messo in luce una spiccata predisposizione alla crudeltà, seppur virtuale, giungendo a ritorsioni spietate contro gli avversari. "È il primo studio completo che dimostra gli effetti diretti dell'esposizione a videogiochi violenti", sostiene soddisfatto Bartholow. Anche se, gli effetti antisociali paventati da alcuni esponenti del panorama politico internazionale, specie negli Stati Uniti, erano già stati precedentemente studiati da una equipe dell'Università del Michigan. Alcuni paesi, come la Cina, proibiscono arbitrariamente gli abusi nell'intrattenimento digitale con pene severe: l'esposizione cronica ai videogiochi, sostengono gli scienziati, danneggia specialmente le menti dei più giovani. Lo stesso principio vale per la Malaysia, dove il governo ha introdotto il coprifuoco obbligatorio contro i video-giocatori che intasano gli Internet-cafè per giorni interi.Il legame tra simulazione digitale ed aggressività individuale è un tema molto delicato, perché coinvolge un giro d'affari esorbitante. (Pubblicato su Ecplanet 27-12-2005) LINKS Video game violence desensitizes players to real life violence University of Missouri 29 settembre 2005

SUPER COLUMBINE MASSACRE Nel videogioco “Super Columbine Massacre RPG”, scaricabile gratuitamente da Internet, i protagonisti sono Dylan Klebold e Eric Harris, i due adolescenti che nel 1999 uccisero quindici persone e ne ferirono altre venti sparando all'impazzata all'interno della Columbine High School di Littleton in Colorado. Successivamente si tolsero la vita. Lo sconvolgente fatto di cronaca, che ha ispirato anche il pluri-premiato “Bowling for Columbine” di Michael Moore, è diventato un videogioco, facendo scoppiare negli Stati Uniti un'accesissima polemica: di cattivo gusto, offensivo, diseducativo, per alcuni, un ottimo esempio di interazione per altri.

Richard Castaldo, da sette anni paralizzato su una sedia a rotelle in seguito alle ferite riportate nella sparatoria della Columbine, ha scaricato il gioco e l'ha voluto provare vestendo i panni di Dylan e Eric: “Il gioco non banalizza gli eventi. Ci sono però alcuni aspetti controversi: il forte contrasto fra fantasia e vita reale rischia di dare un'immagine distorta dell'accaduto. E, quel che è peggio, gli studenti si identificano con i killer, mitizzandoli come degli eroi popolari. C'è il rischio emulazione. Chi spara su un innocente disarmato non è certo un eroe positivo”. Poi, parlando dei due artefici della strage alla Columbine: “Credo che Dylan e Eric, come tanti giovani americani, stavano vivendo una situazione di forte disagio, di rifiuto da parte dei coetanei. Molto spesso questi giovani si rifugiano nella violenza estrema. Reale o virtuale, come quella di chi si diverte a rivestire il ruolo del killer e rimane affascinato dal sangue”.

Sulla strage di Columbine si sono interrogati in molti: a colpire fu proprio l'apparente mancanza di un movente dichiarato. Dopo il documentario di Michel Moore del 2002, nel 2003 è stato il turno di Gus Van Sant che con “Elephant” ha cercato di mostrare come una quotidianità banale, fatta di violenza e videogiochi, possa portare alla follia. Del 2003 è anche “Zero Day”, di Ben Coccio, film inedito in Italia che, sotto forma di finto home-movie, mostra la preparazione della strage. Anche i creatori di “Super Columbine Massacre” hanno voluto dare la loro interpretazione dei fatti e, nascondendo le loro identità, hanno lanciato una sfida dal forum del sito: “L'intento del gioco è quello di mostrare la sparatoria da una prospettiva interiorizzata. Colpiti? Confusi? Incuriositi? Annoiati? Parlatene qui”. Gli argomenti del forum hanno titoli spesso offensivi e sono tre le tendenze dei giovani commentatori: quelli che mandano all'inferno gli ideatori, quelli che si divertono e quelli che cercano di capire le interazioni fra virtuale e cronaca. Nel primo gruppo, il più cospicuo, le accuse sono pesanti: il gioco creerà altre stragi, i giocatori non rispettano il dolore delle famiglie delle vittime, ci si diverte con la morte. Gli estimatori sono pochi, per loro vale più l'aspetto formale che quello morale. Nel terzo gruppo ci si interroga sulle reali cause del disagio generato dal gioco: ci indigna di più chi ci gioca o chi lo ha creato? I giovani americani vivono drammaticamente il cortocircuito che si è creato fra realtà, cinema e videogioco, il “delitto perfetto”. (Pubblicato su Ecplanet 30-06-2006) LINKS Super Columbine Massacre RPG! - Wikipedia Playing Columbine - Wikipedia Saggio: Giocare il massacro di Colombine videoludica 08 giugno 2006 Zero Day (film) - Wikipedia Forever Guns: da Elephant a Bowling a columbine

LA GUERRA DEI MONDI

La guerra dei mondi, reali e virtuali, è una guerra psichica che si combatte a colpi di immagini e immaginari, bombe informatiche e persuasioni occulte hi-tech, dove la manipolazione è sempre in agguato. È una “guerra pura”, di pura percezione, i cui esiti determinano la visione del mondo e, di conseguenza, la forma del mondo. Una guerra che tutti siamo chiamati a combattere… È entrato nella sua ex-scuola armato fino ai denti: un coltello legato alla gamba destra, due fucili a canne mozze, una cintura carica di ordigni artigianali e bombe a gas. Una maschera antigas militare sulla faccia, alle mani un paio di guanti. Ha sparato all'impazzata, ha ferito undici persone, poi si è suicidato. Ancora violenza cieca. orrore e morte in una scuola: come a Columbine, come a Erfurt, come tra gli Amish di Pennsylvania. Questa volta con una sola vittima: Sebastian B., 18 anni, uscito dalla scuola media «Geschwister Scholl» di Emsdetten - una città di 34 mila abitanti nel NordReno-Vetsfalia, quasi al confine con l'Olanda - lo scorso giugno, dopo tre bocciature. Pieno di astio e di voglia di vendetta. «L'unica cosa che in questi anni mi hanno insegnato è che sono un perdente. Da quando avevo sei anni per voi sono lo scemo da prendere in giro. Adesso ve la farò pagare. Vi odio tutti, voi e la vostra razza», ha scritto nella lettera d'addio, lasciata sul suo sito domenica sera. Lo aveva detto al momento di lasciare la scuola: «Ve la farò pagare. A tutti». È stato di parola. Una madre ha raccontato che diceva alle ragazze: «Sarete voi le prime, bambolette». Con i compagni parlava di un futuro nell'esercito: «Voglio andare nelle zone di guerra». Nel 2004 - dopo l'ultima bocciatura - aveva scritto in una chat, firmandosi ResistantX: «Per tutti quelli che ancora non l'hanno capito: sì, sto parlando di una sparatoria all'impazzata. Sui primi che capitano». Aveva però anche chiesto aiuto a un forum di assistenza psicologica: «Ho un desiderio folle di strage, non so più chi sono, non so come andare avanti, per favore aiutatemi». L'ultimo messaggio di B. è una lettera spietata e disperata. Come sottofondo c'è una canzone Death Metal, «Muori, maiale, muori»: «La mia vendetta sarà talmente brutale che vi gelerà il sangue nelle vene. Più nessuno potrà dimenticarmi. A scuola sono sempre stato umiliato, nessuno è innocente. Comincerò dagli insegnanti, che si sono intromessi nella mia vita e mi hanno fatto arrivare sin qua: sul campo di battaglia. E adesso me ne vado». Sebastian B. le armi se le era procurate sul mercato nero. L'avevano già fermato più volte. Proprio il giorno dell'atto suicida avrebbe dovuto presentarsi in tribunale, a rispondere dell'accusa di possesso illegale di armi. Invece, ha organizzato la sua uscita di scena. Si era “esercitato” con un videogioco brutale, “Counter-Strike”. E in Germania si è accesa la polemica sui videogiochi violenti. “Devono essere vietati per legge”, ha detto Wolfgang Bosbach, leader del partito Cristiano Democratico tedesco, citando degli studi che dimostrerebbero l'effetto negativo dei giochi killer su alcuni giovani, e dichiarando la necessità di definire “linee guida efficaci per proteggere i ragazzi”. Christa Stewens, Ministro della Famiglia per lo stato della Baviera, ha sostenuto che in risposta ai gravi fatti di Emsdetten, il governo federale dovrebbe bandire i “giochi killer” come il “Paintball” (una vera e propria simulazione di battaglia con marcatori a vernice e riproduzione di tattiche di guerriglia sempre più popolare) o videogiochi quali “Doom 3” e “Counter-Strike”. La Stewens si era già fatta sentire nel 2002, dopo il caso del massacro di Erfurt, in cui ci furono sedici morti, quasi tutti professori del Gutenberg Gymnasium: la gravità del fatto provocò il divieto di vendere i “killer games” in Baviera, nel sud-est del paese, inclusa la città di Monaco.

Non molto tempo prima dei fatti di Emsedetten, era tornato nell'occhio del ciclone “Grand Theft Auto”, la tristemente nota serie di videogiochi creata da Rockstar Games: dopo le innumerevoli polemiche e diatribe per la natura violenta e sessista del gioco, i produttori erano stati accusati di aver provocato indirettamente un omicidio. Una famiglia dell'Alabama, infatti, ha sporto denuncia contro Take2 Interactive, che gestisce Rockstar Games, incolpando i videogiochi della serie GTA per aver istigato un giovane di 14 anni ad uccisdere il padre (gli avvocati dei parenti della vittima hanno richiesto un risarcimento di ben 600 milioni di dollari). Cody Posey, il parricida, che ha ucciso il padre dopo aver ricevuto uno schiaffo, avrebbe sviluppato una sorta di ossessione per le cruente sparatorie mostrate nelle fasi di gioco di GTA. “Se non avesse avuto questa ossessione”, ha detto l'avvocato Jack Thompson, “non avrebbe sicuramente ucciso il padre”. Thompson ha dichiarato che i creatori di GTA “hanno attentato alla sicurezza pubblica nel momento in cui hanno iniziato a vendere il gioco” e che il rischio di un “effetto emulazione” avrebbe dovuto tenere a freno la pubblicazione del titolo. La software house che ha realizzato GTA ha risposto che si tratta di un caso estremamente controverso e che è pronta a difendere fino all'ultimo i propri interessi. Gli studi empirici sugli effetti dei videogiochi violenti sono ancora molto contrastanti e assai poco trasparenti: alcuni ricercatori sostengono l'assoluta innocuità, mentre altri sono convinti che l'esposizione prolungata a simulazioni violente possa causare alterazioni nello sviluppo comportamentale dell'individuo. La questione ha visto esporsi anche la Microsoft che ha proposto una campagna per stimolare nei genitori una più stretta supervisione sull'uso che i figli fanno dei videogiochi violenti. Anche se, avvicinare gli adulti al mondo delle console, in modo da azzerare il “digital divide” tra genitori e figli, dai più maliziosi è visto come un'abile mossa commerciale, utile ad incrementare le vendite di Xbox, la console ammiraglia di casa Microsoft. Come nella precedente versione di Xbox, e in molti prodotti concorrenti, anche su Xbox 360 sono previste impostazioni di sicurezza che permettono di delimitare i contenuti ai quali i ragazzi accedono sia online che offline. Molti titoli sono provvisti di protezioni attivabili che vietano l'accesso a contenuti x-rated o violenti. Nonostante ciò, per Robbie Bach, presidente della Microsoft Entertainment and Devices Division, il ruolo chiave è l'educazione. “Non vediamo nella censura dei contenuti un business. Dovremmo spendere meno tempo nel fare norme e molto più nell'educare, poiché l'educazione è la chiave del problema”. La mossa di Microsoft è arrivata tra incalzanti pressioni sugli organi legislativi perché si mettano al bando violenza e sesso nei prodotti destinati ai ragazzi. Le polemiche si sono più che mai accese in seguito all'uscita di “Super Columbine Massacre”, un videogioco che traspone in 3D il massacro avvenuto alla scuola di Columbine. A SCUOLA DAI BULLI In mezzo a tutto questo polverone, un'altro titolo della Rockstar, “Bully”, già messo all'indice in Australia e uscito vittorioso da un processo negli USA, è uscito in Italia mentre infiammavano le polemiche su bullismo e violenza giovanile in seguito al caso del pestaggio di un ragazzo down ripreso con una telecamera e messo su internet tramite il servizio di video-sharing offerto da Google

(che nel frattempo è finita sotto inchiesta). In Bully, nella versione italiana “Canis Canem Edit” (Cane Mangia Cane), il protagonista è Jimmy Hopkins, un teenager che viene «parcheggiato» in un college dalla madre che sta partendo per la sua quinta luna di miele. Jimmy è irascibile e al dialogo preferisce le scazzottate. Tra una lezione e l'altra, si diletta con fialette puzzolenti e petardi, a scassinare armadietti e picchiare i rivali. La scuola è divisa non solo in classi, ma in strati sociali: ci sono i palestrati, i fichetti, i «nerd» (secchioni imbelli). Tra una punizione e una sospensione, Jimmy scopre anche il sesso: All'inizio del gioco è interessato dalle ragazze (basterà rubare un mazzo di fiori per avere un bacio), più avanti nel gioco scoprirà di avere inclinazioni omosessuali. Su Bully si è pronunciato il ministro per l'istruzione Giuseppe Fioroni: «Mentre la società dice di volersi impegnare ad educare i ragazzi al rispetto delle regole e degli altri, esce un videogioco con un messaggio che rischia di vanificare i nostri sforzi». Una preoccupazione, quella espressa dal ministro, che trova conferma in un'indagine di Telefono Azzurro, secondo cui un ragazzo su due dice di aver minacciato o picchiato uno dei suoi compagni e il 33% cento degli studenti delle scuole superiori è vittima ricorrente di atti di bullismo. RULE OF ROSE Una inchiesta di Panorama, firmata da Guido Castellano, ha messo sotto accusa il videogioco giapponese “Rule of Rose”, vietato ai minori di 16 anni, in cui una bambina viene sepolta viva dopo aver subito violenze psicologiche e fisiche di ogni genere. La questione è finita anche sulle pagine del Times, che riferisce anche dell'iniziativa che il vicepresidente della Commissione UE e commissario alla Giustizia Franco Frattini vuole intraprendere al Parlamento Europeo per regolamentare i contenuti dei videogiochi violenti. Viene citato anche il sindaco di Roma Walter Veltroni, fra i primi a essersi espresso con preoccupazione sugli orrori del videogame. Divampa la polemica: il Ministro della Giustizia Clemente Mastella invoca un'Authority ad hoc che stabilisca degli «standard accettabili» e annuncia che il governo si muoverà per «un controllo preventivo». Prima di Mastella, era stata la senatrice dei DS, Anna Serafini, presidente della Commissione Infanzia, a lanciare l'ipotesi di istituire l'Authority. “Credo” - aveva sottileneato la Serafini - “che, sia attraverso un intervento penale che ritengo indispensabile, sia attraverso un'azione amministrativa-commerciale, si possano realizzare gli elementi di deterrenza”. Rule of Rose è un videogioco horror che fa leva sulla morbosità dei giocatori: le inquadrature della bambina nella bara, per esempio, sono riprese dalla parte dei piedi, con la telecamera che volutamente indugia sulle forme ancora acerbe di Jennifer e la gonnellina che proprio non riesce a stare al suo posto. Vi sono continue allusioni sessuali, tra il lesbismo e il sado-masochismo. Protagoniste sono delle bambine che si ribellano al perverso mondo degli adulti, che le vorrebbe sottomesse, praticando una violenza che fa accapponare la pelle. Rule of Rose, sviluppato dalla casa giapponese Punchline, prodotto e distribuito dalla Sony, stà facendo scandalo, mentre viene venduto in milioni di copie (in Italia è distribuito dalla 505 Games). Per Yuya Takayama, inventore del gioco, Rule of Rose non è pericoloso o deviante, ma, anzi, può essere perfino educativo: «Vuole dimostrare quanto un adulto possa essere terrificante per un bambino», ha detto Takayama a Panorama, «ma anche il perfetto contrario, ossia quanto un bambino possa divenire terrificante per un adulto».

«Demonizzare i videogiochi è sbagliato», secondo Anna Oliverio Ferraris, docente di psicologia dello sviluppo all'Università La Sapienza di Roma, «la cosa preoccupante è la filosofia morale che pervade alcuni di questi giochi. Si vince se si è più violenti. Non importa ragionare troppo, l'importante è sparare e uccidere. Il ragazzo può assuefarsi ad una sorta di inquietante adattamento cognitivo». In merito si è espresso anche lo psicologo americano Craig Anderson, della Iowa State University: nel suo libro “An Update to the Effects of Playing Violent Videogames”, ha confrontato 42 ricerche sugli effetti dei videogiochi, concludendo che l'utilizzo di videogame violenti determina indiscutibilmente effetti negativi nei giocatori. In particolare: aumenta l'aggressività in generale; si producono reazioni tendenzialmente più violente; vengono stimolati pensieri violenti, emozioni violente e si genera negli utenti un atteggiamento meno conciliante nei confronti degli altri. Al contrario, per lo scienziato Steven Johnson tutti i videogiochi fanno bene, anzi, benissimo. È una delle tesi fondamentali del suo libro “Tutto Quello che fa Male ti fa Bene” (Mondadori, 2006). Johnson, ricorrendo alle neuroscienze, all'economia e alla teoria dei media, sostiene che quella che si è sempre considerata come «spazzatura» è capace di potenziare la vivacità intellettuale dei bambini (e non solo). Lo confermerebbe il fatto che il quoziente intellettivo delle giovani generazioni è in costante aumento. A favore dell'utilità sociale di ogni tipo di videogame, si è schierato anche Mark Prensky, dell'americana Game2train, società che promuove i videogiochi a uso educativo. «Anche se a contenuto violento o apparentemente diseducativo», ha dichiarato al settimanale The Economist, «la possibilità che i giocatori hanno di fare scelte morali è importante per sviluppare la personalità». L'ultimo studio pervenuto, quello della Radiological Society of North America (RSNA), ha preso in esame il cervello di 44 teenager durante sessioni di gioco da 30 minuti con due diversi prodotti: il violento “Medal of Honor: Frontline” e l'automobilistico “Need for Speed: Underground”. Grazie alla risonanza magnetica, sono state rilevate le differenze fra i due gruppi: “I giovani che avevano giocato al titolo violento hanno mostrato precise differenze nell'attivazione del cervello rispetto agli altri”, ha dichiarato il dottor Vincent Matthews, autore dello studio e docente di Radiologia presso l'Indiana University School of Medicine. Attivazioni paragonabili al cosiddetto “fight-or-flight response”, una sorta di stimolo che fa reagire il cervello tramite segnali alle ghiandole surrenali per la produzione di ormoni come l'epinefrina (adrenalina) e norepinefrina. Dunque, gli effetti del videogioco violento si traducono in un aumento della tensione muscolare, una crescita del battito cardiaco, un aumento della la pressione del sangue e una accelerazione della respirazione. “Negli studi futuri sarà importante cercare di scoprire i motivi di queste differenze funzionali; di fatto per ora sappiamo che esistono”, ha sentenziato il dottor Matthews. Mentre, sul sito ufficiale della RSNA si legge: “Questo studio ha dimostrato che i videogiochi violenti attivano maggiormente le regioni del cervello associate alle emozioni. Ma i dati non sono ancora sufficienti per poter dire se questa combinazione di effetti sia capace di rendere gli individui più inclini alla violenza”. Nel frattempo, negli Stati Uniti, il giudice federale della Louisiana, nell'ambito della controversa legge di proibizione della vendita dei “killer game” agli under-18, ha stabilito definitivamente l'inapplicabilità dell'interdizione. La legge “HB1381”, approvata dallo Stato della Louisiana nel corso del giugno scorso, realizzata in collaborazione proprio con Jack Thompson, prevedeva la criminalizzazione della vendita dei giochi dai contenuti forti a chi ancora non avesse raggiunto la maggiore età. Dopo aver subito un primo stop temporaneo in agosto da parte del giudice James Brady, l'iniziativa è stata ora

definitivamente arrestata dallo stesso Brady. Non sono serviti tutti gli sforzi di Thompson e del Repubblicano Roy Burrell per provare il nesso esistente tra la violenza reale e quella simulata dalle elaborate scene 3D dei videogame di ultima generazione. La HB1381 proibisce la vendita di videogiochi ai minori solo nei casi in cui: attraggano il morboso interesse dei giovani nei confronti della violenza secondo gli “attuali standard della comunità”; dipingano la violenza in maniera inappropriata nei confronti dei minori secondo “gli standard prevalenti” nella comunità degli adulti; non presentino adeguate caratteristiche di “serio valore letterario, artistico, politico e scientifico” per gli adolescenti. Il giudice Brady ha valutato “aleatori” i tentativi di connessione tra violenza reale e virtuale, a suo dire “vaghi e tendenziosi”. Dopo la sentenza, l'avvocato Thompson ha definito il giudice federale “nel migliore dei casi incompetente e nel peggiore compromesso”. Sempre negli Sates, il National Institute on Media and the Family è convinto che sia giunto il momento per i genitori di ristabilire il loro ruolo educativo e salvaguardare gli angioletti di casa dai giochi cattivi pieni di sesso, violenza, droga e rock'n'roll. In occasione della pubblicazione dell'undicesimo rapporto annuale sui videogame, l'associazione indica ai disattenti educatori familiari una lista dei “10 giochi cattivi più cattivi”, che dovrebbero essere assolutamente vietati ai bambini e ai teenager, tra cui figurano “Scarface”, “Gangs of London”, “GTA: Vice City Stories” e l'ultimo “Mortal Kombat: Unchained” (tutti titoli che sono comunque già distribuiti con la classificazione M-rated, e possono quindi essere venduti solo a chi abbia raggiunto almeno i 17 anni di età). David Walsh, presidente dell'istituto, ha accolto con favore gli sforzi dei grossi store generalisti come Wal-Mart e Best Buy nel tentativo di impedire l'acquisto dei suddetti giochi ai ragazzi, e ha dimostrato di apprezzare anche i meccanismi di parental control integrati nelle console di ultima generazione dai produttori. Basterebbero i tanti fatti di cronaca nera con protagonisti giovani sbandati e violenti, appassionati di videogiochi “hard-gore”, a dimostrare che un legame esiste, eccome. Certo, non si può incolpare solo i videogiochi violenti se la barbarie si sta impadronendo del mondo e dei suoi abitanti, adulti compresi (bisognerebbe chiamare in causa tutti i mass-media, a cui piace così tanto sguazzare nel sangue e nella violenza, ndr); dall'altra, non si può neanche dire che questi videogiochi siano educativi, né tantomeno “catartici”. La violenza genera violenza. Specie nel mondo impazzito in cui viviamo, in cui il ruolo educativo viene svolto dai mezzi di comunicazione di massa, in modo totalmente schizofrenico (lo dice anche il Papa, ndr). In questo “iper-mondo” o “simul-mondo”, dove i messaggi si accavallano vorticosamente, in cui scompare ogni principio di realtà, ogni spazio di riflessione e di comunicazione a misura d'uomo, è impossibile pretendere una qualsiasi funzione educativa. L'unica forma che si intravede è quella del caos. VIOLENT ENTERTAINMENT GRAND THEFT AUTO Il protagonista ha una città a sua disposizione. Può bighellonare tutto il giorno, rubare automobili, picchiare tutti quelli che incontra, dai cittadini inermi ai poliziotti. Ma si fa anche di peggio; si bastonano le prostitute con mazze da baseball rubando il loro incasso, magari dopo averne approfittato. E dopo un po' questa vita non basta più. Allora si inizia a lavorare per il boss di turno, che manda «il bravo ragazzo» a riscuotere il pizzo o a mettere le bombe nelle auto dei nemici. SCARFACE “Scarface: The World is Yours” di Vivendi, ispirato all'omonimo film culto del 1983 con Al Pacino nei panni di un boss della droga, ha debuttato in ottobre direttamente al primo posto della classifica dei videogiochi più venduti negli USA... CAMORRA Aspiranti boss virtuali a scuola di camorra: attraverso un sito internet di origine olandese ci si può costruire una carriera criminale, iniziando da semplice rapinatore fino a diventare un potente narcotrafficante. Da semplici “postini” a compratori e pusher, si può arrivare fino a creare una “coke factory” per produrre e

vendere cocaina con tanto di borsino dei prezzi, città per città. Tra i benefit dovuti al boss c'è anche l'acquisto di una villa dove scappare nei momenti di pericolo. Dato che le sanguinose faide, così come il carcere, è un rischio che si deve correre. Dello stesso filone ci sono titoli come “Mafia” e “Yakuza”, giochi dove, per diventare «uomo d'onore», l'unico modo è ammazzare, picchiare e rapinare. Ma soprattutto, violare la legge. NARC I protagonisti sono due poliziotti che possono decidere se seguire le regole o essere corrotti. Se si sceglie di essere «bad cops» si può massacrare chiunque ci si pari dinanzi, vendere la droga sequestrata ad altri spacciatori, e anche imbottirsi di qualsiasi tipo di sostanza stupefacente. Le dosi assunte serviranno come energizzanti: un po' di marijuana rallenterà tempo, offrendo un certo vantaggio in uno scontro armato; una dose di crack aiuterà a mirare meglio; l'assunzione di lsd, procurerà allucinazioni inquietanti. HITMAN Se in Canis Canem Edit la madre di Jimmy sembra essere il motivo del suo disagio scolastico e sociale, in Hitman il protagonista può addirittura uccidere il padre. POSTAL 2 In questo gioco si uccide e massacra senza motivo. Tutti, indiscriminatamente. Dopo aver accumulato una discreta quantità di cadaveri, li si può anche bruciare. I gay, effeminati nelle movenze e nel parlare, vanno prima picchiati a sangue e e poi, come oltraggio finale, gli si può fare la pipì addosso. Tra feriti che rantolano (smettono solo se uccisi), gruppi di pacifisti con cartelli che inneggiano alla chiusura degli studios della Running with Scissors (la casa che produce il gioco), alte dosi di piombo e la giusta quantità di bombe molotov. Non vengono risparmiati nemmeno gli animali: si possono usare i gatti come silenziatore del proprio fucile. GANGS OF LONDON Una volta scelta la propria gang, il giocatore, pistola alla mano, comincia a svolgere le proprie missioni durante le quali bisogna freddare ogni essere in movimento. Una volta al volante della propria vettura, invece, si può procedere alla guida spericolata (sportellate tra vetture, inseguimenti e così via) per le vie di Londra. LEFT BEHIND “Left Behind: Eternal Forces” è un videogame cristiano basato sulle profezie del Libro della Rivelazione della Bibbia, basato sulle popolarissime serie di libri “Left Behind”, create da Tim LaHaye e Jerry Jenkins. Il gioco è ambientato a New York dopo che milioni di cristiani sono stati trasportati in paradiso in estasi. Ai giocatori è richiesto di reclutare, e convertire, un esercito che dovrà sostenere un conflitto fisico e spirituale con l'anticristo e i seguaci del male. Lungo la strada, i giocatori raccolgono punti risucchiando lo “spirito” dei personaggi che uccidono. Jack Thompson, che è un cristiano conservatore, ha condannato il gioco per la violenza (non importa che si tratti di cristiani che spazzano via gli infedeli). “Il contesto è irrilevante. È un gioco sulle uccisioni di massa”, ha dichiarato sul sito www.religioustolerance.org. (Pubblicato su Ecplanet, 19-03-2007) LINKS GERMAN SCHOOL SHOOTING Spiegel 21 novembre 2006 Strage al liceo, 16 morti in Germania La Stampa 11 marzo 2009 Parricidio? Colpa di un videogioco PI 28 settembre 2006 Cody Posey | GamePolitics

'Bully' Video Game Already Getting Heat for Violence FoxNews 10 agosto 2006 Fioroni:Stop ai videogiochi violenti hwupgrade 23 ottobre 2006 Bully (video game) - Wikipedia Rule of Rose Gets Canceled Due to Sexual Controversy softpedia 24 novembre 2006 Rule of Rose al parlamento italiano videoludica 17 novembre 2006 Scatta la censura per Rule of Rose buddhagaming 26 novembre 2006 Un'Authority per i videogame Panorama 20 novembre 2006 An update on the effects of playing violent video games Study: Violent Video Games Affect the Brain betanews 28 noveembre 2006 Gli effetti dei giochi violenti sul cervello dinoxpc 04 dicembre 2006 Ban on Louisiana video game law made permanent arstechnica 29 novembre 2006 RSNA National Institute on Media and the Family Tra la folla di avatar elettronici che affollano il mondo in continua espansione di “Second Life” (aziende, istituzioni, professionisti, cantanti pop, gente comune), da qualche settimana circolano anche quelli dell'estrema destra francese, che nel “metaverso” più chiacchierato del momento ha aperto una propria sezione con finalità propagandistiche a favore di Le Pen. Una mossa che non è piaciuta a molti dei residenti di Second Life che hanno scatenato la prima guerra politica nel metamondo: “Quando sono giunto alle proteste contro la sede del Fronte Nazionale francese in Second Life la prima notte - racconta un blogger dappertutto c'erano manifestanti con cartelli e dichiarazioni politiche da distribuire ai passanti. La seconda notte il tutto era divenuto un conflitto, e molti residenti si erano armati. Esplosioni dai molti colori e un continuo scoppio di armi da fuoco irrompevano nell'aria di Porcupine, un'isola sulla quale il Fronte a dicembre ha scelto di costruire la propria sede virtuale. Il server era assaltato da così tanta gente che sparava all'impazzata da rallentare la battaglia ad uno scontro in slow motion”. Tanto più che Porcupine è un'area di Second Life dove non è possibile far danni, dove le sparatorie non hanno avuto alcun tipo di effetto, se non quello di causare problemi al server. Nel frattempo, il Ministero degli Esteri svedese ha annunciato che presto stabilirà un'ambasciata virtuale proprio in Second Life, per farne un portale di informazione a disposizione dei milioni di frequentatori del mondo virtuale. Ma non è tutto. Il clamoroso successo di Second Life ha dato vita anche alla sua parodia: si tratta di “Get a First Life!”, che offre una membership “a costo zero”.

“Prima Vita è un mondo 3D analogico dove non esiste il ritardo di risposta di server”. Tra le chicche, i tre punti cardinali, ovvero “lavora, riproduciti, muori”, oppure “Fornicate usando i vostri veri genitali”, o “Scopri dove realmente vivi”, o, ancora, “Accedi al tuo armadio per costruire il tuo look”. Il numero dei residenti di First Life? Più di 6,5 miliardi di persone. La grafica ricorda molto da vicino il metamondo a cui si riferisce. L'autore della parodia, Darren Barefoot, ha dichiarato di aver ricevuto una mail da Linden Labs, con cui la società fondatrice di Second Life si è congratulata per la parodia riuscitissima. La guerra dei mondi impazza dall'estrema destra all'estrema sinistra. Il regime nazi-comunista vietnamita ha un nuovo nemico: Vo Lam, l’ “Uomo delle Spade”, il magico guerriero di una tribù della Cina medievale, che ha invaso, nel giugno 2005, le menti dei giovani vietnamiti. Si tratta di “Swordsman”, un videogioco di ruolo online di fabbricazione cinese che ha creato una vera e propria dipendenza di massa tra i ragazzi del Vietnam, allarmando il governo di Hanoi. Gli Internet-cafè vietnamiti, spuntati come funghi in questi ultimi anni nel paese, sono sempre affollati di bambini e ragazzini che, invece di andare a scuola o di giocare a pallone, passano intere giornate attaccati allo schermo a giocare a Vo Lam e a chattare con gli altri giocatori online: 250 mila solo in Vietnam. Una comunità virtuale enorme, all'interno della quale nascono amicizie e addirittura amori, fidanzamenti e matrimoni. “Grazie a Vo Lam mi sono fatto degli amici in tutto il paese”, racconta Truong, 15 anni. “Io ci gioco diverse ore al giorno. A scuola, con i compagni, è la prima cosa di cui parliamo”. “Io gioco raramente durante la settimana”, dice Nguyen, 22 anni, “ma il sabato e la domenica mi rifaccio, giocando 12 ore al giorno”. Tra i Vo Lam-dipendenti non ci sono solo ragazzini. Tran, dentista di 29 anni, gioca tutti i giorni e si giustifica così. “Questo gioco è affascinante perché ti fa entrare in un mondo fatto di castelli medievali, tribù guerriere e arti marziali, un mondo magico che evoca la stessa atmosfera dei racconti della tradizione cinese con cui tutti noi vietnamiti siamo cresciuti. È per questo che Vo Lam ha così tanto successo”. Il governo di Hanoi, dal canto suo, ritiene che questo videogioco stia corrompendo l'animo dei giovani vietnamiti, proiettandoli in un mondo di fantasia che li allontana dai rapporti umani reali, dallo studio e dalla “costruzione del socialismo”. E che pergiunta rievoca un epoca storica in cui il Vietnam era dominato dalla Cina (tra i due paesi non è mai corso buon sangue). Per questo, lo scorso giugno, il regime ha annunciato una serie di misure per limitare questo fenomeno. Misure che ora sono diventate effettive. Sono stati chiusi tutti gli Internet-cafè situati nel raggio di 200 metri dalle scuole, sono stati imposti orari di chiusura ridotti ed è stato vietato l’ingresso dei minori di 14 anni. Ma, soprattutto, è stato imposto alla VinaGame (la succursale vietnamita che gestisce il gioco) di introdurre un nuovo sistema di punteggio che dà penalità dopo le tre ore di gioco. Pare però che tutti questi provvedimenti non stiano avendo nessun effetto. Anzi, il numero dei giocatori è in continuo aumento. Complice, forse, la pubblicità che il governo ha involontariamente fatto al gioco con la sua campagna di condanna. Si sa che, soprattutto per bambini e ragazzini, le cose “vietate” sono sempre le più attraenti. Secondo Doug McDavid, dell'IBM Academy of Technology, intervenuto all'evento “Virtual Worlds: Ready, Fire, Aim” organizzato da SDForum, quella offerta dai mondi virtuali è una sfida che alletta anche Big Blue. Che, per il momento, possiede almeno dodici isole su Second Life, a cura di circa un migliaio di dipendenti operativi. IBM, così come altre aziende, intravedono le grandi potenzialità propagandistiche e commerciali dei mondi virtuali e dei social network. A proposito di social networking, di recente IBM ha annunciato “Lotus Connections”, uno

strumento per il mondo del business, che consentirà ai dipendenti delle aziende di gestire blog, condividere bookmark, costruire comunità, produrre idee e conoscenza in maniera collaborativa e informale (il pacchetto include l'equivalente di servizi già ampiamente affermati come le comunità virtuali di MySpace e Facebook, del sistema di condivisione dei bookmark del.icio.us, e del servizio di ricerca dei blog Technorati). Il progetto è stato presentato alla conferenza “Lotusphere 2007”, che si è svolta contemporaneamente ad Orlando e virtualmente su Second Life. Tra l'altro, il social network Facebook è stato scelto nientepopòdimeno che dalla CIA come centro di reclutamento di nuove leve per i suoi uffici: a cominciare dallo scorso dicembre la Central Intelligence Agency è presente sul popolare sito con la propria pagina, in cui sono spiegati i requisiti e le motivazioni che i candidati devono avere per tentare la conquista di un posto di lavoro nel National Clandestine Service. Una pagina semplice, contenente essenzialmente il testo di presentazione, con un video auto-promozionale della durata di 30 minuti postato su YouTube e dedicato ai potenziali aspiranti che – viene precisato – devono essere cittadini americani con un GPA (Grade Point Average, media dei voti al college) superiore a 3.0. L'NCS è stato costituito in seguito agli attentati dell'11 settembre per reclutare nuove forze sia all'interno del Paese che all'estero. È la prima volta che la CIA si rivolge al WEB per trovare nuovo personale (solitamente il reclutamento avveniva direttamente all'interno dei college) ed è anche la prima volta che un'agenzia governativa pensa di sfruttare la grande popolarità del social networking come strumento di propaganda. Il gruppo Facebook CIA Careers - National Clandestine Service conta attualmente più di 2.200 membri e resterà attivo fino al 19 febbraio. Tornando alle strategie virtuali di IBM, quei paraculoni di Big Blue hanno anche voluto partecipare all'edizione 2007 del torneo di tennis Australian Open, aprendo una finestra in Second Life, e hanno avviato la collaborazione con lo store Circuit City, che ha aperto una sede virtuale sempre in Second Life. Il “V-business” a cui aspira IBM, con la creazione di interfacce visuali come quelle dei mondi virtuali immersivi, sarà “banda larga per la mente”, come ha dichiarato il vice presidente per l'innovazione di Big Blue Wladawsky-Berger. E tanti dollaroni (reali). (P.S. ne hanno fatta di strada da quando hanno progettato e venduto un sistemone a schede perforate per la contabilità dei campi di concentramento nazisti) Anche il mondo dell'arte, in particolare della net-art, è sceso in campo. Ad esempio, Eva e Franco Mattes (in arte 0100101110101101.ORG) propongono – per la prima volta in Italia - “LOL”, il progetto con cui si sono aggiudicati il Premio New York 2006 (dal 20 gennaio al 3 marzo 2007, presso la Fabio Paris Art Gallery, mostra e catalogo a cura di Domenico Quaranta). “LOL” fa parte della ricerca avviata con “13 Most Beautiful Avatars”, un progetto espositivo che ha coinvolto lo spazio reale dell'Italian Academy di New York e quello virtuale della galleria Ars Virtua (a cura di Rhizome.org); e che proseguirà a febbraio con la loro seconda personale presso la Postmasters Gallery di New York. “LOL” propone cinque ritratti e un trittico, tutti dedicati ad avatar femminili, risultato di un anno di deriva psico-geografica nel mondo virtuale di Second Life. La sigla posta a titolo della mostra è un'espressione molto utilizzata nelle comunità online per esprimere divertimento, allegria, grasse risate (“Laugh Out Loud” o “Lots Of Laughs”) o anche un saluto (“Lots Of Love”). Nel presentare le loro creazioni, gli 0100101110101101.ORG hanno detto di vedere gli Avatars come degli auto-ritratti, basati più che sull'essere, sul voler essere. In ambienti virtuali come quello di Second Life, si indossano delle maschere a 3D, non per mascherare la propria identità, ma piuttosto per svelarla, dal momento che si possono ignorare le normali restrizioni sociali del mondo reale. In questo risiede un grande potenziale liberatorio. L'invito è dunque a ricercare forme e modi di essere originali, non omologati, o porno-globalizzati. E, in pratica, a combattere la guerra dei mondi.

(Pubblicato su Ecplanet 30-03-2007) LINKS Facebook Vo Lam Truyen Ky Second Life Herald Second Life Insider 0100101110101101 Get a First Life: A One Page Satire of Second Life “Oh, come avrei potuto essere felice tra voi edonisti, se non mi aveste fottuto la vita”. Il giovane Cho, che dalla tomba inneggia ai “martiri Eric e Dylan” (i due autori della strage al liceo di Columbine, ndr), si paragona a Gesù Cristo e accusa tutti di avergli “distrutto la vita”, è uno shock per l'America più intenso dei video di terroristi kamikaze. Perché Cho, pur essendo nato in Corea del Sud, è un “prodotto” americano, cresciuto in un tranquillo sobborgo alle porte di Washington. L'autore della più grave strage nella storia delle scuole americane - 33 morti, compreso il killer - aveva preparato con cura il proprio testamento, usando computer e telecamera. Lunedì mattina, dopo aver ucciso due ragazzi in un dormitorio e prima di compiere il resto della strage, Cho, con freddezza ha completato il suo manifesto, si è recato all'ufficio postale del campus e lo ha spedito a New York al network NBC, che lo ha ricevuto mercoledì. Poi si è avviato verso l'edificio Norris Hall e ha dato il via alla carneficina. Studenti e professori caduti sotto i suoi proiettili, se lo sono trovato di fronte d' improvviso con lo stesso look che tutto il mondo ha potuto vedere attraverso le foto che Cho si è scattato: t-shirt nera, giubbotto kaki in stile militare, fondine per pistole e coltelli, cappellino nero con la visiera rivolta all'indietro, guanti neri senza dita. “Uccido perchè odio i miei compagni, figli di papà”. Chi guarda le foto, si trova di fronte la canna della Glock 19 o della Walther calibro 22, l'ultima immagine che hanno visto le sue vittime. “Ci siamo. Questa è la fine. Che razza di vita è stata”, mormora Cho in uno spezzone che potrebbe risalire alle ore subito precedenti la strage. Le immagini lo ritraggono nel suo dormitorio o all'interno di un'auto. Nelle 23 pagine di un file Pdf che rappresentano una sorta di testamento, il killer ha tentato una sorta di racconto, mostrandosi prima sorridente e poi nelle vesti da assassino venuto a punire chissà quali affronti. “Avete avuto cento miliardi di possibilità - afferma - per evitare quello che accade oggi. Ma avete deciso di versare il mio sangue. Mi avete messo in un angolo e mi avete lasciato solo un'opzione. La decisione è stata vostra, adesso avete sangue sulle mani che non verrà mai lavato”. Le accuse non sembrano avere un destinatario preciso, ma vengono lette da criminologi e psichiatri come manie di persecuzione e deliri di onnipotenza di una mente malata. Il passato di Cho potrebbe aiutare a fare un po' di luce.

Dopo le testimonianze dall'interno del Virginia Tech, che lo ritraggono come personaggio inquietante e solitario che non parlava con nessuno, sono spuntati i racconti degli ex compagni di scuola delle superiori, secondo i quali era la vittima prediletta di abusi e bullismo: veniva preso in giro per la sua timidezza e il modo strano in cui parlava, e una volta, mentre leggeva in inglese in classe, ci fu chi si mise a ridere gridando: “Torna in Cina!”. L'FBI e la polizia della Virginia, che hanno ricevuto dalla NBC il memoriale, non ritengono che aggiunga molto al profilo del killer che già avevano tracciato. Soprattutto, manca ancora un'idea precisa di cosa abbia innescato la violenza. “Rampage”, ovvero, «atto spontaneo di violenza omicida», è il termine preferito dai network per definire il raptus improvviso che spinge di ragazzi armati nelle scuole a commettere delle stragi. È significativo che le occasionali carneficine scolastiche vengano considerate una sorta di psicopatologia sociale in cui i risentimenti trovano sfogo naturale in terribili massacri. Un fenomeno che ha una scadenza quasi regolare in America, specie negli ultimi dieci anni. Nel 1979, Brenda Spencer, sedicenne di San Diego che, improvvisatasi cecchina col fucile ricevuto come regalo di Natale dal padre, uccise il preside e il bidello della sua scuola e ferì nove compagni. La sua motivazione dichiarata - «I don't like mondays (non mi piacciono i lunedì)» - divenne il titolo dell'omonima canzone dei Boomtown Rats di Bob Geldof. Fu la capostipite di una macabra lista di “baby-killer”, da Barry Loutakis, che nel '96 fece tre vittime a colpi di pistola e carabina nella sua scuola media di Lake Moses, Washington, a Luke Woodham, che freddò due studenti e la propria madre l'anno dopo al liceo di Pearl in Mississippi, fino a Michael Carneal, che appena due mesi dopo fece tre vittime e cinque feriti nel suo liceo di Paducah, Kentucky, all'età di 14 anni. Qualche mese più tardi, nel 1998, vennero imitati da Mitchell Johnson e Andy Golden, rispettivamente 13 e 11 anni, che, vestiti in uniforme militare e con un arsenale da guerra, uccisero 5 compagni e ne ferirono 15 mentre uscivano dalla scuola media di Jonesboro in Arkansas. Lo stesso anno, il quindicenne Kipland Kinkel di Thurston, Oregon, uccise due compagni e i loro genitori. L'anno dopo, Dylan Klebold, 17 anni, ed Eric Harris, 18, compirono la strage nel liceo di Columbine, che fino a tre giorni fa era l'episodio più tragico del genere. Ad ogni tragedia sono stati chiamati in causa squilibri psicologici, abusi emotivi e sessuali, bullismo, depressione. Imputati film, videogiochi, la musica “satanica” (il rap e l'heavy-metal), l'industria culturale giovanile in generale. Di certo, questi episodi, che tendono ad aumentare e a diventare sempre più sanguinari, chiamano in causa un livello endemico di violenza che diventa paradigma sociale. Ha provato a spiegarlo Michael Moore: «Come americani, la nostra consuetudine è di sparare prima e fare domande dopo. Mettiamo mano alla pistola come nessun'altra cultura. Lo consideriamo nostra prerogativa, il nostro destino manifesto». La cultura guerrafondaia americana d'altronde la conosciamo. Quella stessa cultura che, pochi minuti dopo la peggiore strage nella storia del paese, ha spinto il presidente Bush a sentirsi in dovere di tutelare, nonostante tutto, il sacrosanto diritto di portare armi da fuoco. Quando, nel 1991, un simile massacro venne perpetrato da un folle all'interno di una tavola calda a Killeen in Texas, i texani si sollevarono indignati contro le norme sul porto d'armi che vietavano ai cittadini di portare le proprie pistole in locali pubblici. Se più avventori avessero avuto un'arma a portata di mano, ragionamento logico, sicuramente avrebbero potuto difendersi meglio. Quattro anni dopo la legge venne modificata secondo i loro desideri. Dopo Columbine, fu accertato che gli assassini avevano acquistato il proprio arsenale presso un «Gun Show», un «mercatino» di armi da fuoco, dove non sono in vigore i controlli federali e dove quindi è molto più facile per un criminale o un minorenne acquistare una pistola. Bill Clinton, in seguito al massacro, tentò di far passare una legge che estendesse anche a queste fiere della pistola, roccaforte della lobby delle armi, le restrizioni che impongono controlli sugli acquirenti, ma il congresso repubblicano respinse la proposta. Rimane valido il secondo emendamento alla Costituzione, introdotto nel 1789 per garantire ai cittadini il diritto di portare armi, «essendo una milizia ben regolata necessaria alla sicurezza di un libero stato». In America, la violenza è “costituzionale”, assurta a sacramento inviolabile della lobby delle armi e vangelo della destra fondamentalista, inviolabile tabù che racchiude il vero volto della nazione: quello di John Wayne che fa a pezzi gli indiani ciancicando un chewing-gum, fumandosi una marlboro, sputando per terra e pronunciando qualche battuta da saloon. “Non doveva finire così. La decisione è stata vostra. Avete le mani piene di sangue”. I già lievi controlli sulla vendita delle armi da fuoco imposti dal “Brady bill” - legge intitolata a James Brady, il portavoce di Ronald Reagan rimasto gravemente ferito nell'attentato al presidente del 1981 - iun questi ultimi anni sono stati ulteriormente allentati. Uno di questi, prevedeva fino a qualche anno fa un limite di 10 proiettili per caricatore da 9mm. Ma la legge è stata prescritta, così oggi sono tornati in legale commercio quelli maggiorati da 19 proiettili l'uno, come quelli usati da Cho. Lo slogan della NRA, associazione che «tutela» i 200 milioni di fucili e pistole attualmente in circolazione in USA, diretta in passato da Charlton Heston, è che «non sono le pistole che uccidono la gente ma i malintenzionati». In parte hanno ragione, afferma ancora

Michael Moore, che ricorda il tasso annuale di omicidi, che a New York 12 anni fa era di 2100. In seguito alle restrizioni sulle vendite di armi da fuoco il numero scese a 600. Un buon risultato, ma non la soluzione, perché in definitiva, «non sono le pistole che uccidono la gente ma gli americani», il popolo che al mondo detiene di gran lunga il triste primato di violenza «civile». PSYCHO KILLER Nella ridda di ipotesi, deduzioni e controdeduzioni, c'è chi ha chiamato in causa gli psicofarmaci. In effetti, Cho era finito in un centro psichiatrico nel 2005, dopo che aveva perseguitato con email e con attenzioni non richieste due compagne di studi. I suoi amici avevano riferito che la situazione lo aveva depresso e che temevano per la sua incolumità. Questo aveva fatto scattare l'invio del sudcoreano ad un centro di assistenza psichiatrica. Stando alle ultime notizie provenienti dagli investigatori che lavorano sul caso, Cho potrebbe avere assunto antidepressivi che, come documentato dall'agenzia statunitense del farmaco (FDA), possono causare comportamenti suicidi, manie, psicosi, allucinazioni, ostilità ed “idee omicide”. Non sarebbe certo la prima volta. Nel settembre del 2005, in seguito alla conferma che Jeff Weise, il giustiziere scolastico della Scuola della Riserva Indiana di Red Lake, agiva sotto l’influenza del Prozac, la Fondazione Nazionale delle Donne Legislatrici, assieme ad alcuni capi tribù Pellerossa, avevano richiesto al Congresso un’inchiesta parlamentare sulla correlazione tra uso di farmaci e i massacri nelle scuole. A tutt'oggi non c'è stata alcuna risposta a questa richiesta, nonostante la conferma che almeno 8 tra coloro che recentemente hanno compiuto tali massacri, agivano sotto l'influenza di psicofarmaci. Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, un gruppo di denuncia di abusi psichiatrici che per primo aveva scoperto il legame tra l'uso di psicofarmaci e la sparatoria alla Columbine, prevede che le industrie produttrici di psicofarmaci tenteranno ancora una volta di oscurare l'attitudine di questi farmaci ad indurre violenza per proteggere i loro profitti multimiliardari. Il CCDU richiede che il Congresso svolga un’inchiesta per fare piena luce sui legami tra questi insensati atti di violenza e l'uso di psicofarmaci, legame recentemente riconosciuto dalla stessa Agenzia Federale per i Farmaci (FDA). L'uso di psicofarmaci è il denominatore comune di otto sparatorie scolastiche: 21 maggio 1998, Springfield, Oregon: il quindicenne Kip Kinkel uccide i suoi genitori e poi si reca a scuola dove fa fuoco su altri studenti che si trovavano nella caffetteria, uccidendone due e ferendone 22. Kinkel era sotto Prozac; 16 aprile 1999, Notus, Idaho: il quindicenne Shawn Cooper svuota due caricatori sparando all’impazzata e mancando per un pelo diversi compagni di scuola, era in cura con un mix di antidepressivi; 20 aprile 1999, Columbine, Colorado: il 18enne Eric Harris era in cura con il Luvox, un antidepressivo, quando lui ed il suo compagno Dylan Klebold ammazzarono 12 compagni di classe ed un insegnante, ferendone altri 23 prima di suicidarsi in quello che, fino ad ieri, era stato il più feroce massacro scolastico. Il medico legale confermò la presenza dell'antidepressivo nel sangue di Harris, mentre l'autopsia di Klebold non fu mai resa pubblica; 20 maggio 1999, Conyers, Georgia: il quindicenne T.J. Solomon era in cura con un mix di antidepressivi quando ha fatto fuoco sui suoi compagni di classe ferendone 6; 7 marzo 2000, Williamsport, Pennsylvnania: la quattordicenne Elizabeth Bush era sotto Prozac quando ha sparato a compagni di scuola a Williamsport, ferendone uno; 22 marzo 2001, El Cajon, California: il diciottenne Jason Hoffman si trovava sotto l'effetto di due antidepressivi – Effexor e Celexa – quando ha fatto fuoco nel suo liceo ferendo cinque persone; 10 aprile 2001, Wahluke, Washington: il sedicenne Cody Baadsgaar si reca a scuola con un fucile e tiene sotto sequestro 23 compagni di classe ed un insegnante dopo avere assunto un'alta dose di Effexor; 21 marzo 2005, Riserva Indiana di Red Lake, Minnesota: il sedicenne pellerossa Jeff Weise era sotto l'influenza del Prozac quando ha sparato a scuola ammazzando nove persone e ferendone cinque prima di suicidarsi; 28 settembre 2006, Bailey, Colorado: Duane Morrison, 53 anni, entra nel liceo di Platte Canyon e spara, uccidendo una ragazza e abusando sessualmente di altre sei. Nella sua auto sono stati trovati antidepressivi. Luciano Gianazza, in un articolo su medicinenon, ricollegandosi alle ipotesi che già da vari anni alcuni psichiatri hanno avanzato sul possibile collegamento fra uso di psicofarmaci e tendenza al suicidio/omicidio, così commenta l'episodio: “... il ragionevole dubbio che gli psicofarmaci inducano all'omicidio e al suicidio potrebbe diventare certezza se delle ricerche in tal senso venissero fatte senza l'ostruzionismo delle case farmaceutiche. Oltre a questo, c'è l'omertà dei media che molto raramente riportano che gli autori delle stragi nelle scuole o delle cosiddette stragi famigliari, nella quasi totalità dei casi, erano psichiatrizzati e dediti al

consumo di psicofarmaci. La ragione per cui i media non riportano che molto spesso gli individui che vengono colti da raptus omicidi o suicidi erano dediti al consumo di psicofarmaci è che le case farmaceutiche costituiscono una grossa fetta dei loro inserzionisti, che nell'arco dell'anno pagano milioni di euro per la pubblicità delle loro pastiglie per il mal di testa, antiacidi e lassativi”. Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, da anni denuncia gli abusi nel campo della salute mentale: il trattamento farmacologico eccessivo, l'etichettamento, la diagnosi imperfetta, la mancanza di protocolli scientifici. Le testimonianze di numerose persone in cura psichiatrica da anni, ci dicono che troppo frequentemente non solo non hanno risolto i problemi originari per cui si erano rivolte al medico, ma che spesso ne sono state pesantemente danneggiate. Chiunque ritiene di aver subito danni causati da trattamenti psichiatrici può mettersi in contatto con il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani. Jack Thompson, avvocato americano già conosciuto per la sua battaglia contro il videogioco Grand Theft Auto, e lo psicanalista Phil McGraw, hanno associato il gesto di Cho al mondo dei videogiochi, dove ti svegli, esci di casa e ammazzi. In particolare, è venuto fuori il videogame “Counter Strike” - già tirato in ballo per Sebastian B., 18 anni, autore in Germania di una stage molto simile a quella compiuta da Cho, compreso il delirante “tesdtamento” - che avrebbe influenzato negativamente il killer. A seguito di una perquisizione eseguita dalla polizia nella stanza di Cho Seung-Hui, pare però non sia stato ritrovato alcun videogioco. McGraw ha detto: “Se questi ragazzi giocano a videogame dove le uccisioni di massa sono una cosa normale, e ciò viene idealizzato anche sul grande schermo, alla fine diventa parte del tessuto sociale. Se prendi questo fattore e lo mischi a una personalità psicopatica, sociopatica, o a una qualche forma di disturbo mentale e ci aggiungi una bella dose di rabbia, la suggestione diventa troppo alta”. E se ci aggiungi anche una buona dose di psicofarmaci e un paio di pistole Glock 19 e Walther 22 liberamente acquistabili al mercatino... In effetti, tra le 43 fotografie apparentemente fatte con l'autoscatto, in cui Cho si è ritratto in diverse pose, i periti psichiatrici hanno notato delle somiglianze con icone cinematografiche: in particolare, le “citazioni” si riferiscono a “Old Boy”, cruenta pellicola coreana che nel 2004 vinse il gran premio della giuria al Festival di Cannes, che tratta della vendetta di un uomo tenuto segregato per 15 anni, e al protagonista “disturbato” di “Taxi Driver” (Robert De Niro). “Gli assassini di massa di domani sono i bambini di oggi programmati con una massiccia overdose di violenza”, ha tuonato McGraw dal pulpito televisivo del Larry King Live sulla CNN. Craig Anderson, professore di psicologia alla Iowa State University, ha rincarato la dose, sostenendo che “gli atti di violenza estrema non accadono quasi mai senza di molteplici fattori di rischio”. Anderson è autore dello studio “Violent Video Game Effects on Children and Adolescents”, secondo il quale l'utilizzo di videogiochi e contenuti violenti aumenta il rischio di comportamenti aggressivi e antisociali. Doug Gentile, coautore dello studio, sostiene inoltre che nessun ricercatore del campo pensa che la sola violenza di videogame e cinema possa spiegare tali esplosioni di follia e odio. “Se fossero stati proibiti (i videogame violenti, ndr) il rischio sarebbe diminuito? Sì, lo sarebbe stato. Ma chi può dire se ciò sarebbe bastato a prevenire la strage?”. Dall'Inghilterra, invece, un sondaggio organizzato dal British Board of Film Classification, l'ente d'oltremanica che si occupa anche dei bollini che indicano la fascia di età consigliata sui videogiochi distribuiti nel Regno Unito, afferma che i videogame non causano dipendenza né incitano alla violenza. La ricerca si è svolta intervistando tutte le

categorie coinvolte: giocatori di tutte le età, rappresentanti dell'industria e giornalisti specializzati hanno risposto a domande su come scegliere quale videogioco giocare; si è tenuto conto dell'opinione dei genitori, della violenza nei videogame e dell'impatto che questa avrebbe nei comportamenti dei giocatori. Dai risultati, sembrerebbe che i “consumatori” siano ben consci della differenza esistente tra finzione e realtà, mentre, tra i più giovani c'è chi ritiene addirittura spiacevole che in certi titoli a prevalere sia “il cattivo”. In molti poi pongono l'accento sui benefici derivanti dal gioco, come ad esempio alleviare lo stress quotidiano o allenare la coordinazione occhio-mano. Dal sondaggio risulta inoltre che il metodo preferito per la scelta dei titoli è il passaparola, ma che una condanna da parte della stampa di un gioco violento o diseducativo incide moltissimo sull'appeal di quel titolo sui consumatori. Gli stessi genitori, sebbene preoccupati dalla natura di alcuni videogame, tendono a liquidarli come semplici giochi, concentrando le loro preoccupazioni sui rischi che si annidano nelle chat e sui siti di blogging per i più giovani. Un sondaggio del genere non può essere certo considerato una prova scientifica, ma è sintomatico di come la guerra dei mondi sia in pieno svolgimento. Per un responso serio sul rapporto tra videogiochi e violenza, bisognerà attendere che qualcuno si decida a valutarne l'impatto su delle menti “disturbate”, magari sotto effetto di psicofarmaci. A seguito di alcune dichiarazioni del Ministro dell' Educazione britannico Alan Johnson, riguardo i siti di video-sharing, come YouTube, utilizzati dai più giovani e dagli studenti, che secondo Johnson “devono assumersi le proprie responsabilità”, in Italia, il Ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, ha proposto, ove necessario, il sequestro di player e telefonini in classe, per combattere il fenomeno del “cyber-bulllismo”, ovvero i video pubblicati dagli studenti che ritraggono episodi di bullismo. “Il bullismo cyber - afferma Johnson - è crudele e senza posa, e non colpisce solo gli insegnanti, ma anche gli alunni. Può seguire un bambino ben oltre i cancelli della scuola, fin dentro la propria casa”. Per questo, YouTube e analoghi devono “intraprendere azioni più ferme per bloccare o rimuovere video scolastici offensivi, proprio come hanno ben fatto per cancellare i contenuti pornografici”. Si tratta di servizi web che secondo il Ministro britannico hanno “una responsabilità sociale e un obbligo morale ad agire”. “Nessuna censura sia chiaro - gli ha fatto eco Fioroni - ma è chiedere troppo se ai gestori chiediamo di vigilare sui contenuti dei video che circolano sui loro siti ? Che segnale è quando un diversamente abile sottoposto a prepotenze diventa il video divertente più cliccato? Non si tratta di fare censure che limiterebbero la circolazione di notizie e informazioni, ma di effettuare controlli per individuare e rimuovere contenuti violenti e diseducativi”. La BBC, che ha ripreso le dichiarazioni di Johnson, segnala come YouTube, sul proprio sito, dichiari di nutrire fiducia sul fatto che i propri utenti “siano responsabili, e milioni di utenti rispettano quella fiducia”. Per ora, dunque, non si profilano nuove misure contro YouTube ed affini, al contrario di quanto accaduto in Australia, dove sono 1.600 gli istituti scolastici dalle cui postazioni web non è più possibile accedere a YouTube. Riguardo ai videogiochi violenti, il ministro Fioroni ha di recente firmato una intesa con i produttori nostrani per la creazione di titoli con fini didattici ed una più attenta classificazione per la protezione dei minori. Il ministro ha quindi riconosciuto l'importante ruolo che i videogame possono ricoprire nell'istruzione e nella formazione dei giovani. Di sicuro, quella per i videogiochi è una passione sempre più dilagante. In questi ultimi tempi stanno avendo molto successo quelli online: gli oltre 8 milioni di giocatori dei MMOGS (Massively Multiplayer Online Games), di cui tre milioni e mezzo solo in Cina, rappresentano sicuramente un fenomeno sociale. Ma non solo. Gli analisti di Screen Digest, in uno studio recente, hanno provveduto a tradurre anche in cifre il valore di mercato di questo settore, in continua espansione: più di 1 miliardo di dollari. A cavalcare la classifica dei videogame più giocati sul web, e soprattutto a trainare il fatturato, è indiscutibilmente il genere fantasy. È “World of Warcraft”, il leader incontrastato nelle preferenze degli utenti, con 10

milioni di iscritti in tutto il mondo, che rappresenta, da solo, il 50% del mercato. Molto indietro si trovano “Habbo Hotel” e “Final Fantasy”. Nel mondo di Warcraft - nato esclusivamente per internet, e sviluppato dalla Blizzard Entertainment nel 2004 - popolato da elfi, nani, orchi e troll, due fazioni nemiche si fronteggiano, senza tregua, nella perenne sfida tra le forze del bene e quelle del male. È un vero e proprio fenomeno sociale, in ogni parte del mondo, con una crescita che sembra non conoscere sosta. Quando fu immesso sul mercato, ha venduto oltre 240 mila copie In un solo giorno. Il nuovo capitolo, «Burning Crusade», arricchito di nuove sfide, contenuti, ambientazioni e di un nuovo continente (Outland), è già introvabile tra gli scaffali dei negozi. In Gran Bretagna, così come in Germania, ci sono state code di oltre dieci ore di fronte ai centri commerciali per accaparrarsene una copia. A Colonia, la lunga attesa si è addirittura trasformata in una rissa. La scelta commerciale della Blizzard, che per la prima volta mette sul mercato un'espansione per un suo prodotto già campione d'incassi, non ha però convinto molti analisti: l'accusa - forse non senza ragione - è di aver creato un modello di gioco basato su una sorta dipendenza dei partecipanti. Se i giocatori vogliono infatti continuare a far vivere i propri personaggi in World of Warcraft devono spendere 12,99 euro al mese. Il successo di questo tipo di videogiochi, che si differenziano da quelli standard proprio perché riuniscono un vasto numero di giocatori, è dovuto essenzialmente alla possibilità di condividere l'entusiasmo del gioco in vaste comunità online, dove la società di giocatori è spesso organizzata in clan o in gilde, favorendo quindi il gioco di gruppo e il senso di appartenenza, creando un legame fra le persone anche per mesi o anni. Oltre ai produttori dei giochi, questo mercato - molto ghiotto - stuzzica anche gli appetiti degli investitori esterni, che guardano a questo tipo di business con sempre maggiore attenzione. «Le compagnie tradizionali stanno portando i propri marchi all'interno dei videogiochi online con l'obiettivo - spiegano sempre i ricercatori della Screen Digest - di costruire comunità in rete, aumentare la conoscenza del loro brand e raggiungere consumatori considerati centrali per il loro sviluppo futuro». Proprio come sta accadendo in Second Life. «Amsterdam venduta per 50.000 dollari». Il flash di agenzia, targato Reuters, è datato 27 marzo 2007. E non si tratta di un falso. Amsterdam è stata realmente acquistata su eBay, per una cifra pari al prezzo di listino di una Porsche. Solo che si tratta di una Amsterdam virtuale, presente su Second Life. “La mia società Eros ha venduto Amsterdam per realizzare un nuovo e più grande business sempre legato al sesso, sentivo che Amsterdam sarebbe dovuta rimanere aperta al pubblico dato che di fatto è un'icona di Second Life. La nuova attività invece sarà accessibile solo agli adulti”, ha dichiarato l'ex “metaproprietario”, che vorrebbe reralizzare una sorta di “campo giochi” per adulti frutto di un mix fra DisneyWorld, la residenza di Playboy e il film “Il Mondo dei Robot”. Amsterdam, comunque, continuerà ad essere un punto di riferimento di Second Life, con le sue stradine, i canali, le biciclette, i numerosi sexy shop e... le passeggiatrici disponibili al cyber-sesso a pagamento. “Il posto è anche popolare per i suoi eventi, come i concerti live”, ha dichiarato Daniel Huebner, direttore dei “community affair” per la Linden Lab - la società sviluppatrice di Second Life. “È carina, una zona certamente di riferimento. Non ci sono tanti contenuti random, ma è coesiva ed immersiva. È stata creata con un'unica visione; una cosa che su Second Life molto spesso manca. E poi non bisogna dimenticare che è stata creata con foto ad alta risoluzione della vera Amsterdam. La prima in assoluto su Second Life ad adottare questa tecnica, adesso comunque molto diffusa”. Cinque milioni di residenti registrati e 900.000 utenti «regolari», una superficie di 260 chilometri quadrati, un giro di affari che nella sola giornata di mercoledì ha fatto registrare transazioni per 1.490.308 dollari. Second Life, da piccolo paradiso per iniziati, è diventato universo vero, vivo, pulsante. «Un mondo digitale 3D online, immaginato, creato e posseduto da chi ci abita», è lo slogan che accoglie i neofiti. «Second Life è un mondo complesso, popolato da gente altrettanto complessa. E per ora sconosciuto», lo definisce Mario Gerosa, redattore capo di AD-

Architectural Digest. In SL il suo nome è Frank Koolhaas (omaggio all'architetto olandese), di mestiere fa l'agente di viaggi: con la sua Synthravels porta la gente a spasso per le «isole» che compongono questo spazio parallelo e in costante espansione. Nella realtà, Gerosa ha appena pubblicato “Second Life” (Meltemi), un reportage tra le vite parallele di Decka Mah, Bruno Echegaray, Anshe Chung. Tutti avatar (i «doppi» digitali) di persone reali, che in SL intrecciano affari e relazioni. Nulla a che vedere con un videogioco in Rete, con regole da seguire e trame prefissate. La differenza tra SL e gli altri mondi virtuali sta tutta in una parola: creatività. «Nei social network, i siti in cui sono gli utenti a produrre i contenuti (YouTube, Flickr), solo l'1-2% di chi si connette crea davvero - spiega l'esperto di new media Pierluigi Casolari - qui sfioriamo il 60%». «Nelle chat ci si può inventare personalità inesistenti, ma qui bisogna dimostrare di saper fare qualcosa, di corrispondere al profilo che ci si è creati», concorda Gerosa. Prendiamo i Parioli, isola virtuale e «piazza» dell'Italian style su SL: dietro c'è Bruno Cerboni, ingegnere con trent'anni di esperienza in Alitalia, Alenia, Telecom. Aria paciosa e capelli grigi nel mondo reale, il suo avatar è un giovane rampante di nome Bruno Echegaray, proprietario di VIP, Virtual Italian Parks. Parioli è tra i luoghi più frequentati di SL; gli avatar «italiani» si ritrovano qui, tra Piazza Navona e il caffè Greco, su fiammanti Vespe anni 50. Ma c'è anche l'immobiliare Gabetti, che su SL ha ricreato le ville che poi vengono vendute nella realtà, ma investe anche sul virtuale “puro”. Il suo ad, Maurizio Monteverdi, ha un avatar che risponde al nome di Morris Gabetti. Perfino la Toyota, per mettere in vetrina i suoi ultimi modelli, si è rivolta a un italiano: Giuseppe Nelva, alias Shiryu Musashi, stilista della linea virtuale Musashi- Do, proprietario di Musashi-Motorsports e consulente SL per marchi come L'Oréal. Se Shiryu ha un caschetto di capelli neri e lineamenti nippoeuropei, Giuseppe ha un aspetto meno esotico, ma altrettanto sicuro di sé. «Aver successo in Second Life - commenta - non è facile: ci vogliono meno capitali di partenza (servono circa 250 Linden Dollar, la valuta di SL, per fare un dollaro USA, ndr), ma anche molta abilità e impegno». Qualcuno ce l'ha fatta, altri sono pronti a raccogliere la sfida. Tra di loro c’è Simona Caraceni, docente all'ateneo di Bologna. Il 19 aprile, al summit mondiale del Planetary Collegium, a Montreal, presenterà il suo museo virtuale su Second Life. «Non un database o una riproduzione di gallerie già esistenti, ma un vero e proprio museo, con un suo curatore e un direttore, mostre temporanee e permanenti». E con opere reali, create dagli artisti che su SL vivono e lavorano. «Si potranno fare donazioni e sottoscrizioni. Nessun progetto concreto, del resto in SL si vola, ci si teletrasporta: perché chiudersi in un edificio, se posso appendere i quadri al cielo?». Quella di Second Life, ormai, è davvero una mania planetaria. Il 23 giugno 2003, quando il Linden Lab di Philip Rosedale (su SL è Philip Linden, «El Presidente») ha messo online la prima versione del software, gli iscritti erano mille. Il 18 ottobre 2006 erano un milione. Il 14 dicembre, due. Oggi, oltre cinque. BusinessWeek gli ha dedicato una copertina. La Reuters vi ha persino aperto una sede, e sta cercando collaboratori. Dentro SL, ovviamente. Di recente, ha fatto il suo esordio su SL anche il “mitico” Calvin Klein, per lanciare il suo nuovo profumo, CkIn2U, in omaggio presso CkIn2U, ad Avalon, dove è possibile raccogliere bottiglie virtuali della nuova fragranza, con le quali connettersi con gli altri utenti spruzzando il profumo e iniziando un dialogo. CkIn2U è dedicata alla “generazione Y”, una generazione di persone che dovrebbe fondere la sua essenza nella libertà, nella velocità e nella virtualità della rete, una generazione caratterizzata più dalla comunicazione che dalla musica, che Calvin Klein ha definito “technosexual”. Nelle intenzioni del suo creatore, il nuovo profumo dovrebbe parlare un linguaggio che si fonda sulla tecnologia, sull'essere digitali, e rappresentare un modo attraverso cui gli abitanti di Second Life

possono esprimere se stessi. Calvin Klein offre agli Avatars, rappresentazione virtuale degli utenti, la possibilità di partecipare ad un concorso fotografico, pubblicando quotidianamente, nella galleria Ck di Second Life, le immagini che li ispirano nel mondo virtuale, mettendo in palio premi milionari. Justin Bovington, amministratore delegato della Rivers Run Red, l'agenzia creativa dietro CkIn2U, ha dichiarato: “Siamo molto eccitati per l'ingresso di Calvin Klein in Second Life, le bottiglie dei profumi contengono una miriade di sorprese. Second Life è stato il posto ideale per il lancio di CkIn2U”. Ma la pubblicità su Second Life non sembra essere troppo gradita dagli utenti. In particolare, il sondaggio condotto dall’agenzia tedesca Komjuniti, ha riportato che il 72% dei Second Lifers è scontento e deluso dal modus operandi delle aziende presenti (un terzo di loro era ignaro della presenza di brand all’interno di SL). Secondo il 42% degli utenti invece, la presenza aziendale altro non è che un trend passeggero di cui ci si libererà nel breve termine. La pubblicità piace invece molto ai leaders politici. Molti candidati in Francia, ad esempio, hanno aperto su SL i propri uffici elettorali. Tra questi, Nicolas Sarkozy, Segolene Royale, François Bayrou e Jean-Marie Le Pen. Tutti gli esponenti dei principali partiti (destra, socialisti, centro e estrema destra) si sono preoccupati di aggiudicarsi uno spazio nella vita virtuale, sperando di conquistare il maggior numero di elettori possibile. La trasposizione è riuscita perfettamente, visto che, come per ogni campagna elettorale che si rispetti, si sono verificati dibattiti ma anche scontri, come quello avvenuto a gennaio nelle strade virtuali di Second Life tra militanti di estrema destra e di sinistra. (Pubblicato su Ecplanet 20-05-2007) LINKS Massacro al Virginia Polytechnic Institute - Wikipedia THE DEADLIEST SHOOTING IN US HISTORY godhatesgoths Johnson warning on 'cyber bullying' DailyMail aprile 2007 Screen Digest: ‘The golden age for games is now’ mcvuk 11 gennaio 2008

Habbo ~ Habbo museum.i-sim.it Second Life Herald STOP cyberbullying British Board of Film Classification World of Warcraft Italia - Italian Community Citizens Commission on Human Rights (CCHR) FINAL FANTASY Online Italia Tutto sui Final Fantasy Cyber Bully, Cyberbully, Prevention and Intervention of Cyberbullying

“Hiro sta per arrivare sulla Strada - la Broadway, gli Champs Elysees - del Metaverso, un viale pieno di luci brillanti. Non esiste in realtà, ma milioni di persone lo percorrono avanti e indietro. Le dimensioni della Strada sono stabilite da un protocollo elaborato dai ninja supremi della computer-graphics della Società per il Protocollo Globale Multimediale sulle Macchine da Calcolo...” (tratto da “Snow Crash”, di Neal Stephenson, 1992). Durante una conferenza virtuale, organizzata in collaborazione con il Media Lab del MIT all'interno di Second Life, IBM ha proposto la creazione di una serie di standard per i mondi virtuali. “Un sacco di gente guarda Second Life e dice facciamone uno anche noi”, ha detto Bob Sutor, vicepresidente del settore standard e open-source di IBM, “ma l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un sacco di modi di fare la stessa cosa. Abbiamo bisogno di standard su come teletrasportarsi da un mondo virtuale all'altro e portare con noi i nostri oggetti”. Non si parla solo di vestiti e aspetto: in futuro si potrebbe portare con sé del denaro, oppure documenti e presentazioni da mostrare ad amici e colleghi che risiedano in un'altra realtà virtuale. Ma come si potrà comunicare da un metaverso all'altro? Linden Labs, la società creatrice di Second Life, vorrebbe rendere open ource i sorgenti del suo client. “I mondi virtuali sono fondamentalmente delle comunità di incontro”, sostiene Sutor, che auspica la nascita di un gruppo di sviluppatori che lavori a standard comuni. In gioco c'è l'interoperabilità dei metaversi. Non per niente, IBM sta lavorando allo sviluppo di nuovi modelli di business per le realtà virtuali. Trasportare il proprio avatar e il proprio denaro in giro per i metamondi permetterebbe agli imprenditori di semplificare i propri investimenti: basterebbe realizzare un solo negozio per essere sicuri di essere potenzialmente in grado di raggiungere l'intera popolazione virtuale. Una moneta comune o un tasso di cambio fissato semplificherebbero ulteriormente il lavoro. Big Blue sta anche lavorando ad un sistemone specializzato nel far girare i mondi virtuali 3D che sposerà le tecnologie dei suoi mainframe Linux-based alle capacità del processore Cell, già alla base di PlayStation 3, e della piattaforma di gaming online della partner Hoplon Infotainment. Ciò che ne risulterà, sarà chiamato “Gameframe”. Un sistema del genere necessiterà di ingenti risorse di calcolo e di memoria: basti pensare che Second Life gira su oltre 2000 server x86 e deve gestire decine di terabyte di dati utente. L'idea di IBM è quella di abbattere il numero di sistemi utilizzati, e con esso i costi associati a gestione e manutenzione, offrendo ai provider di metaversi dei mainframe specializzati in grado di servire milioni di utenti simultaneamente. Gameframe sarà costituito da un mainframe Linux-based della linea System z e da una serie di server blade con processore Cell: il risultato, secondo IBM, sarà un sistema con la potenza di calcolo di un mainframe e le capacità grafiche 3D di PS3.

“Avvicinandosi alla Strada, Hiro vede due giovani coppie, che probabilmente stanno usando il computer dei loro genitori per un doppio appuntamento nel Metaverso. Naturalmente, non sta vedendo persone reali. È solo una parte dell'immagine disegnata dal suo computer, in base ai dati provenienti dal cavo a fibre ottiche. Le persone sono dei software detti avatar. Si tratta di corpi audiovisivi che la gente usa per interagire nel Metaverso [...] Il tuo avatar può avere l'aspetto che preferisci, nei limiti degli strumenti di cui disponi. Se sei brutto, puoi avere un avatar bellissimo. Se sei appena sceso dal letto, il tuo avatar può essere vestito e truccato perfettamente. Nel Metaverso puoi avere l'aspetto di un gorilla, di un drago o di un gigantesco pene parlante. Provate a farvi un giro su e giù per la Strada, ne vedrete delle belle” (op. cit.). Le interazioni virtuali sul metaverso di Second Life sono così simili a quelle della vita reale, che il popolare mondo virtuale, “abitato” da circa 10 milioni di avatar, è diventato un laboratorio ideale per gli psicologi. Nick Yee, del Department of Communications della Stanford University, che studia Second Life sin dalla sua apparizione, ha elaborato una serie di teorie sull’argomento: “Le persone tendono ad adeguarsi agli stereotipi suggeriti dai loro corpi digitali: gli avatar più attraenti tendono a essere più amichevoli e confidenti, gli avatar più alti si mostrano più aggressivi di quelli bassi”. L'interesse degli scienziati per Second Life ha avuto anche conseguenze inattese. Ad esempio, la diffusione tra gli ‘abitanti’ del mondo virtuale di una sottile paranoia, la convinzione di essere costantemente ‘studiati’. In risposta a questo sentire comune, la Linden Lab ha iniziato a chiedere ai ricercatori di rivelarsi e chiedere una sorta di consenso informato agli altri avatar. “C'è ancora tanto da studiare e capire”, spiega Yee, “incluso l'impatto di Second Life sulla vita reale. Ulteriori ricerche ci permetteranno forse di comprendere meglio il comportamento umano attraverso lo specchio di Second Life”. Secondo lo psichiatra Massimo Di Giannantonio, gli avatar, i doppi del mondo virtuale, sono dei cloni “talmente perfetti da racchiudere in sé anche i disturbi mentali degli utenti”. Di Giannatonio, direttore del Dipartimento di Salute Mentale della ASL di Chieti, sostiene che “l'avatar ha una dimensione nevrotica meno grave e una psicotica più grave. Il grado di scissione dell'apparato mentale è il segnale della difficoltà. Più profonda è la scissione, più il disturbo è grave”. A detta dell'esperto, ognuno “proietta parte di sé fuori dall'ambito mentale. E l'avatar finisce per diventare anche un clone della propria patologia potenziale”. Una patologia che ha già un nome: “trance dissociativa da videoterminale”. Di Giannantonio, che afferma di aver studiato a fondo la questione, dice anche che “individuare gli avatar pericolosi è possibile, integrando l'analisi delle caratteristiche estetiche e l'interazione online di un esperto con il personaggio. Il problema della navigazione virtuale è che mina il contatto con la realtà e genera un'esplosione del senso di onnipotenza, dovuta all'assenza di limiti anagrafici, geografici, contestuali”. Già ora, secondo lo psichiatra, è possibile seguire regole semplici per individuare i pericoli. “In linea teorica sostiene lo psichiatra - un avatar femminile è pericoloso quando è eccessivamente seduttivo e disponibile, immotivatamente disinibito e manipolatorio. La sua versione al maschile è un personaggio che fa riferimento a gesta epiche ed eroiche, si definisce senza macchia e senza paura e si attribuisce qualità assolutamente all'apice, senza manifestare mai alcuna contraddizione o difficoltà”. Il “patologico” si riconosce anche dai colori, violenti o a forte contrasto, “come il viola per il mondo maschile e il blu elettrico per quello femminile. Nuance che identificano l'ipereccitabilità interiore”.

A riprova di come le psico-patologie si trasferiscano anche sul Metaverso, la Linden Labs - la ditta californiana dell'inventore di SL, Philip Rosedale - ha annunciato che due utenti, un uomo di 54 anni e una donna di 27, sono stati radiati dal mondo virtuale in seguito ad un episodio di pedofilia (riportato dalla tv tedesca). «La varietà delle cose da vedere e fare all'interno di Second Life è quasi infinita, ma la nostra comunità ha chiarito che alcuni contenuti e attività non sono accettabili in alcuna forma. Immagini reali, avatar o altre rappresentazioni di comportamenti a sfondo sessuale che coinvolgano bambini o minori, che rappresentino scene di violenza o chiaramente offensivi non saranno mai permessi né tollerati all'interno di Second Life», recita un comunicato della società. È una risposta indiretta alle proteste dell'Associazione Famiglie di Francia, che hanno minacciato un'azione giudiziaria contro i provider francesi e contro Linden Labs, chiedendo misure efficaci di controllo all'accesso. «In Second Life - scrive l'associazione in un comunicato - si trovano contenuti pornografici e scurrili», ma anche «pubblicità per il tabacco, l'alcol, la droga» e «slot macchine virtuali, lotto e lotterie». Tutte cose non adatte ai minori, per i quali invece esiste una “Teen Second Life”, frequentata solo da ragazzi fra i 13 e i 17 anni. Lanciata all'inizio del 2005, questa versione ridotta di Second Life è accessibile solo da cittadini residenti negli USA o in Canada, che possono iscriversi fornendo un numero di telefono cellulare, un account Paypal o una carta di credito. In questo modo, dovrebbe essere possibile risalire all'identità reale degli utenti. Ma, se esiste un controllo per iscriversi e giocare nella Teen Second Life, entrare nella versione esplicitamente riservata ai maggiorenni è invece molto più semplice: basta avere un indirizzo e-mail e l'iscrizione base è gratuita. Fino all'anno scorso era comunque richiesto un numero di carta di credito proprio per verificare l'identità dei nuovi membri, ma oggi non è più così. E questo è uno dei motivi che hanno portato la popolazione di Second Life a crescere così velocemente (e poter sciorinare numeri sempre più elevati significa attrarre i potenziali investitori). Second Life ormai è pieno di iniziative sponsorizzate, di eventi di marketing, di pubblicità più o meno esplicite. E il denaro gira in maniera vorticosa: ad esempio, sono stati scambiati in Lindendollari (la moneta locale) l'equivalente di 1.437.571 dollari reali, secondo le statistiche ufficiali, che però non specificano l'oggetto delle transazioni. Su Second Life è possibile acquistare di tutto, dal tatuaggio personalizzato alle isole private, ai biglietti per i concerti. E sono moltissime le agenzie di escort che propongono compagnia per ogni gusto e ogni momento della vita virtuale o reale. Si può vivere una notte di passione tra i pixel con un'avatar focosa, ma anche chiederle di vedersi al bar all'angolo per un incontro in carne ed ossa. Salvo poi scoprire che si tratta di un uomo, visto che non c'è nessuna garanzia sull'identità sessuale degli abutanti di Second Life, come non è dato sapere se dall'altra parte del monitor c'è un ragazzino.

Negli ultimi tempi, si sono moltiplicati anche gli avatar bambini, che si vendono per pochi soldi, come quelli che hanno contattato il reporter tedesco Nick Schader: un modo semplice per accumulare denaro virtuale, da convertire poi in reale (il tasso di cambio ufficiale è di circa 270 Lindendollari per un dollaro USA). E così, mentre la polizia di Vancouver si è inventata una divisione speciale operante su Second Life, crescono le preoccupazioni per i bambini veri. In Germania, ad esempio, la pedofilia virtuale è considerata un crimine, e i due utenti anonimi identificati da Linden Lab rischiano fino a cinque anni di carcere. «È una questione complessa - osserva il presidente di Telefono Azzurro Ernesto Caffo - perché la dimensione reale si confonde con quella virtuale. Le emozioni sono molto simili, e se per un adulto il pericolo è di mettere in pratica quello che ha sperimentato in Second Life, per un adolescente o un bambino le conseguenze sul piano psichico possono essere gravi, e causare sofferenze difficili da cancellare». La soluzione ? «Inutile illudersi - prosegue Caffo - i sistemi di verifica dell'età non funzionano, e per garantire un minimo di affidabilità richiederebbero investimenti che nessuno vuol fare». Identificare un utente dal suo computer comporta una grave violazione della privacy ed è un'operazione piuttosto complessa, ma a volte è necessaria. Ad esempio, dopo due anni di indagini, la Corte di Appello di Philadelphia ha condannato Daniel Voelker per aver mostrato su una webcam la propria figlia nuda; da una perquisizione è poi risultato che sul suo computer era registrato materiale pedopornografico. Voelker è stato condannato a cinque anni e undici mesi di prigione, più un'inedita pena accessoria: l'interdizione perpetua da internet. Un modo per bloccare sul nascere la pedofilia virtuale ci sarebbe: impedire tramite software che un avatar adulto possa avere rapporti sessuali con un avatar bambino. Ma alla Linden Labs pare che nessuno ci abbia pensato. Certo, in questo modo non si cancellerebbe il traffico di immagini e video pornografici con veri minorenni, che avviene perlopiù al di fuori di Second Life e sfrutta il mondo virtuale per allacciare contatti e scambiarsi informazioni. Ma almeno si limiterebbero i rapporti sessuali ai soli adulti consenzienti (e agli animali, che pare siano l'ultima frontiera della trasgressione nella Seconda Vita). Nel frattempo, sei avatar italiani hanno messo a punto un accordo per firmare un protocollo d'intesa contro la pedopornografia virtuale. I proprietari di luoghi come Bella Siena, Bar Italia, Italian Life, Mantova e Sluub tv, vorrebbero infatti costituire un servizio di sorveglianza che, una volta individuati i pedofili, li metta al bando e li denunci alle autorità, del mondo reale e, naturalmente, alla Linden Labs. “Come un qualsiasi luogo della realtà, la Strada è soggetta all'espansione edilizia. Gli imprenditori edili possono costruire piccole strade private che si dipartono dalla via principale. Possono costruire case, parchi, segnali e anche cose che non esistono nella realtà, come giganteschi spettacoli di luce proiettate verso l'alto, speciali zone edilizie in cui vengono ignorate le regole dello spazio-tempo tridimensionale [...] Il denaro che viene stanziato da queste imprese per poter costruire sulla Strada confluisce tutto in un fondo fiduciario che appartiene e viene gestito dalla Società per il Protocollo Globale Multimediale” (op. cit.). Marc Bragg, un disinvolto immobiliarista virtuale, aveva accumulato un territorio di pixel per un grande valore, e vi aveva edificato, a mezzo script, palazzi e abitazioni da rivendere agli avatar del metamondo. Un'operazione contemplata dalle condizioni di utilizzo di Second Life: il patrimonio di proprietà intellettuale sulle creazioni che risiedono nel metamondo sembra spettare interamente all'utente, che può disporne come ritiene opportuno. Ma Linden Lab aveva congelato l'account di Bragg e ne aveva requisito i territori senza addurre motivazioni, né rifondere i danni.

A giustificazione del provvedimento, Linden Lab ha fatto notare che Bragg aveva trovato una scorciatoia per acquistare a prezzi stracciati: manipolava gli indirizzi della pagina delle aste e acquistava territori non ancora sul mercato. Bragg non si è lasciato intimorire: ha chiesto supporto economico e legale e ha perseverato nel suo intento, ritenendo di doversi ergere a difensore di tutti coloro che agiscono nei mondi virtuali. A sorpresa, il giudice federale incaricato di valutare la questione, Eduardo Robreno, non acconsentendo alle richieste di Linden Lab, ha dichiarato che il caso non è affatto chiuso: sono in discussione le condizioni di utilizzo del servizio, e vanno chiarite in maniera da tutelare l'utente; i gestori del metamondo le avrebbero redatte intenzionalmente in maniera torbida, in modo da potersi arrogare poteri spropositati. In pratica, la Linden Lab costringerebbe gli utenti ad accettare condizioni che, fra le righe, permettono all'azienda di agire come una “divinità” che dà e che toglie. Linden, che costruisce il suo impero sull'operato creativo degli utenti, avrebbe la libertà di agire come un feudatario senza scrupolo, trattando gli utenti come mezzadri, di cui disporre a proprio piacimento. Bragg, invece, reclama l'emergenza di un governo che tuteli i cittadini virtuali. “Se le proprietà sono virtuali, la disputa è reale”, ha sentenziato il giudice. E come tale verrà regolata. Un rapporto del Fraud Advisory Panel inglese denuncia il fatto che Second Life, World of Warcraft e simili ambienti interattivi online, potrebbero presto trasformarsi in luoghi prediletti per il riciclaggio di denaro sporco. Nel rapporto si sostiene che la mancanza di regole legali certe può esporre le comunità virtuali ad un rischio crescente di furto e frode. “Tali comunità - si legge nel rapporto - non sono solo semplici chat room, ma anche dei mercati lucrativi in crescita continua”. Spazi di compravendita usati sempre più spesso per transazioni che movimentano denaro reale, e che fanno quindi gola ai professionisti dell'illecito finanziario. Reuters Second Life, il canale specializzato della celeberrima agenzia di stampa per tutto ciò che concerne il metaverso di Linden Labs, cita un'indagine del congresso americano sui sistemi di incasso dei mondi virtuali, l'azione investigativa della polizia tedesca sul caso di pedofilia e la nuova legge sudcoreana sui trasferimenti di denato nei giochi online. “Secondo la mia esperienza - ha dichiarato Steven Philippsohn, presidente del FAP - i truffatori tendono a migrare verso le aree più vulnerabili. Beneficiano sempre di quei paesi blandamenti regolati. E gli ambienti virtuali non sono regolati affatto”. Una delle preoccupazioni principali è rappresentata proprio dai Linden Dollar, la moneta correntemente usata su Second Life, che secondo Philippsohn dovrebbe essere trattata come denaro reale, con la stessa Linden Labs attivamente impegnata nel verificare e riferire alle autorità transazioni finanziarie sospette, proprio come fanno gli istituti specializzati del mondo reale. “Al momento Second Life ha il sistema economico più sofisticato - ha detto Philippsohn ma è un modello così chiaramente competitivo e di successo che sicuramente verranno sviluppate delle varianti”. I server di Linden Labs sono registrati negli Stati Uniti, ma la possibilità di registrare domini nel Belize e nel Congo, suggerisce l'esperto, rende tutto piuttosto confusionario. Come ogni viaggiatore che si rispetti, anche chi decide di partire all'esplorazione del Metaverso dovrebbe portarsi dietro una buona guida turistica. Per evitare di stupirsi troppo trovandosi di fronte alla prima Chiesa di Elvis o di credersi impazzito entrando nella zona delle Virtual Hallucinations, dove viene simulata la schizofrenia. Paul Carr e Graham Pond, nel libro “Second Life. Guida turistica essenziale” (pubblicato in Italia da Isbn Edizioni), hanno raccolto consigli e curiosità per aiutare i “newbies” - i neo-avatar - e i residenti a non

perdere la bussola nel mondo parallelo. Obiettivo certamente non facile, in un universo in continua espansione come quello di Second Life. A gennaio, quando è stata scritta la guida, Second Life aveva due milioni di abitanti. A cinque mesi di distanza, sono più di sette milioni. Una crescita esponenziale di iscritti, alla quale corrisponde un'esplosione di costruzioni, nuove città, punti di aggregazione. Difficile, dunque, dare delle coordinate. Carr e Pond ci hanno provato, prendendo appunti mentre i loro avatar, i loro alter ego virtuali volavano o si teletrasportavano da un punto all'altro della grid di Second Life. E per non rischiare che le parole stampate sulla carta della guida diventassero presto obsolete, hanno messo a punto anche una versione online, che viene continuamente aggiornata. Meglio sapere fin da subito, quindi, dove sono Amsterdam (un enorme distretto a luci rosse sui canali), Dublino e l'antica Roma. Dove fare acquisti e dove divertirsi tra nightclub e festival. Dove si fa cultura e dove si gioca d'azzardo. Dove teletrasportarsi, insomma, a seconda dei propri interessi. E se vagare da soli tra paradisi artificiali e campi nomadi virtuali (Camp Darfur è stato pensato per sensibilizzare i visitatori sul tema dei rifugiati) può sembrare pericoloso, si può ricorrere a un'agenzia di viaggi per “secondi mondi”. Mario Gerosa (uno degli esperti italiani dell'in-world, autore del recente “Second Life” per Meltemi, e Matteo Esposito ne hanno creata una, la Synthravels, grazie alla quale si possono fare tour gratuiti di universi paralleli, accompagnati da avatar più esperti che si mettono a disposizione. AVATART “Brandy e Clint sono entrambi modelli di serie molto diffusi. Quando l liceali bianche e povere vanno ad un appuntamento nel Metaverso corrono alla sala giochi del Wal-Mart locale e si comprano una copia di Brandy. La cliente può scegliere tre misure di seno: improbabile, impossibile e assurda. La Brandy ha un repertorio limitato di espressioni facciali: carina o imbronciata; carina e focosa; civettuola e interessata; sorridente e ben disposta; carina e sconvolta. Le ciglia sono lunghe un centimetro e mezzo e il software è così scadente da farle sembrare schegge di ebano tridimensionali. Ogni volta che una Brandy sbatte le ciglia avverti quasi lo spostmento d'aria. Il Clint non è altro che la controparte maschile della Brandy. È bello e levigato con una gamma estremamente limitata di espressioni facciali. Nella Strada, i Clint e le Brandy sono abbastanza numerosi da costituire un nuovo gruppo etnico” (op.cit.). Gazira Babeli è una “avatartista”, una “code performer”, un'artista del codice binario, attiva su Second Life. Una sciamana del metaverso che usa il proprio corpo, o meglio, la rappresentazione virtuale del suo corpo, come un'opera d'arte. La performance “Buy Gaz' 4 one Linden!” (aprile 2007) invitava i residenti di Second Life ad acquistare, per il prezzo simbolico di 1 Linden Dollar, il suo corpo open source. Il lavoro di Gazira è centrato sul concetto di identità, sulla sua continua ridefinizione, specie ora che sono entrati in gioco anche gli avatars. In “Avatar on Canvas” (Marzo 2007), tre dipinti di Francis Bacon vengono rimpiazzati da una sedia tridimensionale: nel momento in cui ci si siede, il nostro avatar subisce una violenta deformazione (proprio come nelle opere di Bacon); si può allora scegliere di lasciare la sedia, e tornare alla normalità, oppure sperimentare un nuovo corpo anamorfico. In “Spawn of the Surreal” (11 febbraio 2007), una performance teatrale dei Second Front (un gruppo virtuale di cui Gazira fa parte), Gazira ha incorporato il suo codice deformante in alcune sedie per il pubblico che assisteva allo show: improvvisamente, gli spettatori seduti sulle sedie vedevano il proprio avatar deformarsi senza alcun preavviso, rivelando sentimenti di panico e di forte imbarazzo, a dimostrazione di un irrazionale senso di attaccamento per i propri corpi virtuali, come fossero reali. Nel 2004, un saggio del critico tedesco Inke Arns introdusse il concetto della “performatività del codice”, ovvero del potenziale artistico esprimibile mediante la scrittura di un software (per cui si parla di “softwareart”, ndr) riprendendo la teoria di “arte linguistica” di John L. Austin: “... questa performatività non và intesa come puramente tecnica, perché investe la sfera estetica, politica e sociale. Il codice, in un certo senso, diventa legge...”. Secondo Arns, la software-art dirige l'attenzione sul fatto che l'ambiente mass-mediato in cui siamo immersi (“mediascape”) è basato su strutture programmate. Gazira Babeli, scegliendo di vivere dentro

quest'ambiente, cerca, mediante il codice che scrive, di trasformarlo, di manipolarlo, di sabotarlo, come un meta-hacker. Con lo scopo di provocare dei corto-circuiti che risveglino le coscienze, sempre più vittime, ormai, del sublime neo-tecnologico. (Pubblicato su Ecplanet 12-01-2008) LINKS Snow Crash - Wikipedia Metamondi, IBM s'inventa il Gameframe PI 02 maggio 2007 IBM Announces the "Gameframe" A Method for Longitudinal Behavioral Data Collection in Second Life Gli internauti producono avatar psicopatici PI 26 ottobre 2007 Troppi pedofili su Second Life La Stampa 07 giugno 2007 Virtual pedophilia on Second Life foreignpolicy 05 ottobre 2007 Second Life, c'è la guida per turisti Avatar contro la pedopornografia Repubblica 07 giugno 2007 Disputa in Second Life finisce in tribunale visionpost 04 giugno 2007 Linden Lab settles Bragg lawsuit reuters 04 ottobre 2007 Other Second Life Studies Second Life Wiki Virtual terrorists theaustralian 31 luglio 2007 Software art - Wikipedia Reuters/Second Life www.gazirababeli.com The Fraud Advisory Panel www.unofficialsecondlife.com Synthravels - The 1st online Virtual Travel Agency Teen Second Life | A 3D virtual world where teens can socialize, connect and create LA GUERRA DEI MONDI 6 TRAINING GAMES Giochi di Guerra LA GUERRA DEI MONDI 7 LA GUERRA DEI MONDI 8 LA GUERRA DEI MONDI 9

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